Couturier visionario, artigiano spericolato, creativo controverso: addio a Paco Rabanne

Paco Rabanne

Quasi 60 anni dopo il lancio della sua prima collezione, il cui titolo fu una sorta di manifesto della sua poetica, le métallurgiste de la mode (così lo definì Coco Chanel, non senza una vena polemica), è scomparso a Portsall all’età di 88 anni. Francesco Rabaneda y Cuervo, in arte Paco Rabanne, designer, artigiano, artista o vero e proprio genio – secondo le parole di Salvador Dalí, che di lui disse: “È il secondo genio più grande della Spagna, dopo di me” – se ne è andato, lasciandoci in eredità uno stile avveniristico, che si esprime con un linguaggio futuristico ancora prepotentemente attuale. Innovazione, sperimentazione, avanguardia, audacia e sfrontatezza, con una buona dose di provocazione: queste sono le caratteristiche che definiscono – seppur in maniera non esaustiva – la cifra stilistica di Paco Rabanne, potente e visionaria, che ha influenzato profondamente la moda a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Fu tra i massimi esponenti (assieme ad André Courrège e Pierre Cardin) dell’estetica Space Age, espressione di un’epoca della storia contemporanea scandita da sviluppi tecnologici, esplorazioni spaziali e corsa al progresso e che trova il suo momento simbolo nel 1969, con lo sbarco sulla Luna. Il suo immaginario era popolato da donne guerriere dalle apparenze robotiche, attraversate da bagliori lucenti; eroine postmoderne ricoperte da armature scintillanti fatte di metallo fluido – che assumono talvolta le sembianze di tute spaziali. Artista e artigiano esperto e curioso, con la verve da fabbro e un know-how da designer di gioielli, era capace di lavorare sapientemente materiali fino ad allora mai usati nel prêt-à-porter: le pinze e le tenaglie nelle sue mani sostituivano ago e filo per creare abiti e accessori – forgiati più che cuciti – a partire da metalli, come alluminio e lamine d’argento, ma anche plastica, plexiglass, carta e rhodoïd. 

Dalla Spagna alla prima emblematica sfilata: la storia del designer della Metal Couture

Paco Rabanne nasce nel 1934, nei Paesi Baschi, in Spagna, alla vigilia dello scoppio della Guerra Civile Spagnola. Per sfuggirvi, all’età di cinque anni si trasferisce in Francia assieme alla madre, ai tempi capo cucitrice dell’atelier Balenciaga (non conobbe mai il padre, un generale repubblicano fucilato dall’esercito di Franco). É proprio lei, tempo dopo, a indirizzarlo verso la moda. All’inizio degli Anni ’60, spinto dalla necessità di finanziarsi i suoi studi (dal 1952 al 1964, segue i corsi di architettura all’École Nationale des Beaux-Arts di Parigi), il giovane Francisco vende i suoi disegni e gli accessori da lui realizzati a Charles Jourdan e Roger Model: borse, bijoux, cappelli e fermagli. In parallelo, inizia a creare accessori di lusso artigianali per Givenchy, Pierre Cardin e Courrèges.

Più interessato all’innovazione che alla moda, nel 1965 l’architetto, influenzato dai movimenti d’avanguardia della Pop Art e dell’Arte Cinetica, abbraccia la rivoluzione dei materiali in atto in quell’epoca e lancia una sua linea di gioielli in rhodoïd, un materiale plastico a base di acetato di cellulosa leggero e rigido: la collezione, firmata Paco Rabanne, è un vero successo. Siamo nel 1966 quando fonda il suo brand omonimo, con una sfilata che assume le sembianze di un documento programmatico: all’Hotel Georges V di Parigi, i dodici abiti della collezione dal titolo eloquente (12 robes importables en matériaux contemporains) sono indossati da modelle di colore – sfidando i dettami etici, oltre che i codici linguistici, dell’allora rigido sistema moda –, che sfilano in passerella marciando sulle note di Marteau sans Maître di Pierre Boulez (mai prima di quel momento la musica aveva accompagnato un défilé). La sfilata del ’66 segna un momento emblematico nella storia del fashion, sancendo una rivoluzione che decreta una rottura con l’estetica vigente e dando vita a una nuova forma espressiva, in grado di minare le fondamenta della struttura dell’haute couture, ostinatamente radicata sulle sue convinzioni. I capi, caratterizzati da costruzioni inedite e dall’uso non convenzionale dei materiali, esprimono l’attitude sperimentale e avanguardista di Monsieur Rabanne, maestro nell’arte dell’assemblaggio: dodici abiti scultorei, costruiti con lastre di alluminio e rhodoïd unite da anelli metallici quadrati e rettangolari.

Ça va sans dire, l’evento fa scandalo nella Parigi di quei tempi e il couturier attira critiche da tutti i fronti, perfino da una Coco esterrefatta, la quale partorisce l’appellativo con cui oggi è celebrato, di “metallurgico della moda”: da lì in poi è ufficialmente riconosciuto come l’inventore della Metal Couture

Sperimentazione e savoir-faire: i codici del linguaggio avveniristico di Paco Rabanne

Un precursore che si muove con dimestichezza nel panorama dell’Alta Moda francese, lo sdegno del fashion system, lungi dal fermarlo, lo spinge ad andare oltre e ad esplorare ossessivamente i meandri della sperimentazione, coltivando la cosiddetta art du détournement. Sostituendo la tecnica della rivettatura alla cucitura, Paco Rabanne crea i suoi celebri abiti costituiti da piastre di alluminio che richiamano la cotta di maglia e che lasciano maliziosamente scoperte ampie parti del corpo. Progressivamente, introduce nella moda nuovi materiali: la carta, la corda, il legno e il vinile; è il primo a lavorare a maglia la pelliccia; è in grado di sottomettere al suo estro e alla volontà di testare, materiali improbabili come il vetro olografico o il tessuto a nido d’ape utilizzato dalla NASA. Rabanne non è interessato al comfort o alla comodità del capo, secondo lui, piuttosto: “La haute couture doit être importable. C’est un manifeste de rêve ”. 

La conferma della sua intuizione giunge un paio d’anni dopo quando Françoise Hardy, cantautrice e attrice, simbolo della generazione yéyé, per un concerto al cabaret Savoy di Londra nel 1968, indossa una creazione di Rabanne: una tuta metallica di 16 chili, così rigida da impedirle i movimenti sul palco. Ma il look avanguardistico della Hardy, che sul finire degli Anni ‘60 è considerata l’ambasciatrice della moda francese, rimane negli annali. E così, lo stilista basco inizia a vestire tutte le donne moderne e libere del suo tempo. 

Non solo in passerella: i tessuti luminescenti e i sottili fogli metallizzati di Paco Rabanne appaiono anche sul grande schermo. Prima, Audrey Hepburn nel 1967 nel film Two for the road indossa un abito simbolo della vocazione sperimentale del designer, plasmato a partire da piccoli dischi di plastica (e che si può ammirare oggi al Metropolitan Museum of Arts di New York). Poi, Jane Fonda, nel 1968, nei panni dell’avventuriera spaziale, protagonista della commedia fantascientifica Barbarella, sfoggia i tessuti fluidi e luminescenti dei capi inconfondibili dello stilista. E anche i personaggi simbolo dell’epoca, come Jane Birkin e Sylvie Vartan si fanno immortalare con addosso le creazioni iridescenti del maestro spagnolo. 

Uno sguardo proiettato al futuro: ricerca continua e uso sfrontato dei materiali

Instancabile nel suo obiettivo di ricerca e sperimentazione, l’artista prosegue per tutti gli anni successivi arricchendo continuamente le sue collezioni con materiali anticonvenzionali, tenendosi sempre al passo con i progressi scientifici e tecnologici: fogli metallizzati, tende di perle di legno, giornali, spugne, bottiglie d’acqua. Negli Anni ’90 poi, esplora le potenzialità sartoriali dei dischi laser, la fibra ottica e il plexiglas. Insieme al collega André Courrèges, si avvicina alla Sputnik couture, che si ispira ai romanzi di Asimov e Dick, dando vita a una “moda metallica”. Come conseguenza, le sue sfilate sono momenti attesissimi: delle odissee fantascientifiche in cui le mannequin si aggirano in passerella con sembianze robotiche, abbagliando con luci, riflessi e fulgori cosmici e mettendo in scena uno spettacolo futuribile, un connubio di estro creativo, savoir-faire, tecnica manifatturiera, sperimentazione e arte. Indimenticabile nel 1991, una Naomi Campbell che sembra arrivare direttamente dal futuro, ricoperta solo da un costume da bagno realizzato in maglia di metallo, diventato capo iconico della Maison.

La consacrazione nell’olimpo della moda arriva nel 1990, ventiquattro anni dopo la sua prima sfilata, quando Paco Rabanne viene insignito del Dé d’Or, il più prestigioso riconoscimento della Haute Couture. Ma lui, istrionico e, non a caso, passato alla storia anche come l’enfant terrible della moda francese, all’apice della sua carriera, afferma: “non è proprio il mio centro di interesse”. Eppure, il suo impero, venduto al gruppo spagnolo Puig nel 1986 (Rabanne continua a mantenere il suo ruolo a capo della direzione artistica della casa di moda fino al suo ritiro nel 1999), si dirama nei cinque continenti attraverso una miriade di licenze e alcune gemme, o meglio pietre miliari – best seller formato boccetta – nel campo dei profumi: Calandre, XS e poi One Million e Invictus. Inconfondibile la bottiglietta di Phantom, più recente, che emula le sembianze di un robottino. 

Il ritiro e il ritorno alle origini di Paco Rabanne

Il 1999 rappresenta l’Annus horribilis nella biografia di Paco Rabanne che, in accordo col gruppo Puig, si ritira dalla scena dell’alta moda, appendendo al chiodo i suoi attrezzi da saldatore. Austero, sempre in abito nero di rito e barba ben curata, Rabanne, uomo illuminato, colto e riservato, pioniere di un linguaggio futurista ma dall’anima nostalgica, decide di concludere la sua vita ritornando alle origini, quelle di Portsall. Il couturier si ri-trasferisce infine nel villaggio costiero affacciato sull’Oceano Atlantico, estrema punta della Bretagna, dove era cresciuto dopo essere stato sradicato dalla natia Spagna. 

Bisogna dare libero sfogo alle proprie intuizioni”, questo era il suo credo. Il suo carattere e il suo approccio al lavoro è stato plasmato durante gli anni tumultuosi della sua infanzia, divisa tra una madre militante marxista, che lo educò al pragmatismo, e una nonna esperta di esoterismo, che alimentava la sua fantasia con i suoi segreti di guaritrice. Negli ultimi due decenni è riapparso occasionalmente, ma sempre in veste di pittore o designer di arredi e mai in connessione con il marchio che porta il suo nome.

A partire dal 2013, Julien Dossena, dopo aver militato in Balenciaga, prende le redini della Maison francese come direttore creativo, raccogliendo un lascito complesso, e nel suo ruolo riesce a dare un nuovo slancio allo spirito avanguardista del brand.

Ad annunciare la scomparsa di Paco Rabanne, couturier visionario, artigiano spericolato, creativo controverso, i cui influssi sono evidenti nel lavoro di molti altri designer, è stato il gruppo Puig, il 3 febbraio 2023. Sull’account Instagram del brand si legge:

“La Maison Paco Rabanne desidera onorare il suo visionario stilista e fondatore, scomparso oggi all’età di 88 anni. Tra le figure più importanti della moda del XX secolo, la sua eredità rimarrà una costante fonte di ispirazione. Siamo grati a Monsieur Rabanne per aver creato il nostro patrimonio d’avanguardia e per aver definito un futuro di possibilità illimitate.”

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