Nuove frontiere dell’enologia: il vino affinato sott’acqua. Da insegnante scolastico a “Signore degli Abissi”, la storia di Pierluigi Lugano, inventore di un metodo che sta conquistando i sette mari

La prima volta che ne vedi una bottiglia rimani affascinato, strizzi un po’ gli occhi per mettere a fuoco e ti avvicini incuriosito. La prendi fra le mani e resti stupito ad ammirare le conchiglie ancorate al vetro in quell’ordine casuale che solo madre natura può architettare. ti ricorda il fondo di una barca rimasta in porto per troppo tempo o quello scoglio da cui ti tufavi la scorsa estate. È il tuo primo Abissi, lo spumante affinato sotto il mare. Sembra una bottiglia recuperata da un relitto, quella che ti aspetteresti di vedere sulla tavola di Davy Jones, Willy l’Orbo e Barbanera mentre brindano alla conquista dei sette mari. Superato lo stupore iniziale, la stappi e la versi nei calici.

Una volta dispersa la spuma bianca, ne noti il colore intenso e brillante come l’oro antico. Afferri lo stelo e porti il bicchiere al naso. Percepisci le prime note salmastre, poi la scorza degli agrumi infine i profumi delle nocciole e del panettone appena tagliato. Lo assaggi. Senti le piccole bollicine zampillare dalla lingua al palato. È una carezza vellutata, fresca e salina con un tocco di acidità finale che attiva subito la salivazione dopo il sorso. Il sapore che resta in bocca è piacevole e continui a richiamarlo fra lingua e palato per comprenderlo meglio. Assomiglia alla crema di nocciole, alla polpa di una pesca matura con un tocco di scorza di limone e una sferzata di iodio. Ti giri verso i tuoi commensali ed esclami: corpo di mille balene!

L’affinamento subacqueo, una “moda” che coinvolge le etichette più disparate

Cantina Bisson vino
Uve della Cantina Bisson

La moda dell’affinamento subacqueo è scoppiata ormai da qualche anno nel mondo del vino e degli spirits. Sono sempre di più le cantine che decidono di affondare le loro bottiglie, chiuse all’interno di cassoni metallici, per lasciarle maturare nelle profondità marine, cullate dal rollio di onde e correnti. Bianchi, rossi, rosati, spumanti e passiti… ce n’è per tutti i gusti.

Anche birre e distillati finiscono “in fondo al mar” per aggiungere una sferzata iodata al loro bouquet e un fascino piratesco ai nostri brindisi. Si affinano vini sott’acqua in Francia, Grecia, Spagna, Stati Uniti, Cile, Sudafrica, Australia e diversi altri paesi. Lungo lo Stivale si contano molti esempi. A Ravenna la Tenuta il Paguro invecchia le sue bottiglie nel relitto di una piattaforma affondata. Tra le isole dei Ciclopi, in Sicilia, a 50 metri di profondità riposano 2.000 bottiglie di Etna Doc firmate Benanti e Cantina Passopisciaro. Sullo stesso fondale ci sono anche duecento bottiglie di Volcano Gin, il primo Gin dell’Etna. Persino in Trentino si pratica l’affinamento subacqueo, nel lago di Levico le bottiglie di spumante Trento Doc Dosaggio Zero “Lagorai” dell’azienda Romanese aspettano di essere ripescate e stappate.

Dallo champagne -52 Underwater alla birra di Oliver Köhn, gli esempi di affinamento “sotto il mar”

Nel golfo del Tigullio è nata una società di cantinamento subacqueo, la Jamin Portofno. Basta accordarsi per una consulenza e consegnare le proprie bottiglie all’impresa. Questa le immergerà ad affinare per conto del produttore e certificherà ogni operazione attraverso la tecnologia blockchain, lo stesso inviolabile sistema di tracciamento su cui si basano i Bitcoin. Jamin immerge anche le bottiglie dello Champagne Cloe Marie Kottakis -52 Underwater, che ha scelto le acque del Mar Ligure per maturare la sua personalità. Surfando il successo del vino ecco arriva anche la birra affinata sott’acqua. A Cuxhaven, cittadina tedesca adagiata sulle rive del Mar del Nord, Oliver Köhn, già vigile del fuoco, si dedica alla produzione e all’immersione di “birra artigianale subacquea”. Tutta la produzione va prontamente esaurita subito dopo la messa in vendita.

Il trend in poco tempo ha contaminato anche il settore del turismo di lusso. Sull’atollo di Raa, al largo dell’isola privata su cui sorge l’Emerald Maldives Resort&Spa, sono state affondate centinaia di bottiglie di Sangiovese proveniente dalle colline toscane. Sempre sulla stessa scia ma pensando ancora più in grande, qualche anno fa l’agenzia di viaggi Cookson Adventures, insieme alla compagnia di ricerche subacquee Oceangate, ha deciso di implementare la propria offerta d’esperienze da sogno con un giro in sottomarino attorno al relitto del Titanic per poi offrire ai propri ospiti una bottiglia di champagne Heidsieck Gout del 1907, recuperata dai resti di una goletta svedese affondata durante la prima guerra mondiale.

Pierluigi Lugano, il fautore della rivoluzione sottomarina

Pierluigi Lugano
Pierluigi Lugano, titolare della Cantina Bisson di Chiavari

Insomma il fascino degli abissi ha ormai contaminato e amplificato quello del mondo enologico, creando un trend completamente nuovo che in molti inizialmente identificavano come una moda passeggera ma che in realtà, in poco più di dieci anni, ha tracciato muovi trend di consumo e aperto segmenti di mercato fino ad allora inesplorati. E non si tratta di puro marketing (e anche se fosse dove sarebbe il problema?) alla base del metodo ci sono evidenze scientifiche e organolettiche che un ex professore di Chiavari è stato in grado prima di sognare e poi di realizzare.
Sì, avete capito bene, la rivoluzione sottomarina del vino è nata in Italia per merito di un personaggio che meriterebbe un film di Hollywood. Si chiama Pierluigi Lugano e il suo è stato il primo vino ad emergere dai mari. Questa è la sua storia.

L’uomo

Bisson vini
I vigneti della Cantina Bisson

Pierluigi Lugano, per tutti Piero, nasce a Narzole (CN) nel 1948. Stazza da nuotatore, sguardo fero ma mai supponente, temperamento mite e allo stesso tempo determinato, molto determinato. In tanti oggi lo chiamano Il Signore degli Abissi, come il titolo del suo libro, scritto a quattro mani col gastronomo Paolo Massobrio. Piero non si nega mai quando lo si contatta per una visita o un’intervista. Ha la disponibilità e la gentilezza delle persone più sensibili; è un tipo silenzioso ma appena gli domandi del suo lavoro comincia a spiegarti ogni dettaglio e non si ferma più.
Ama da sempre e visceralmente il vino e il mare e, grazie al suo intuito e alla sua testardaggine, è riuscito a sposare in maniera inscindibile queste due passioni. Aveva solo 6 anni quando ha creato il primo vino. Era andato ad aiutare un compagno di classe a vendemmiare il vigneto di famiglia e in cambio aveva ricevuto dei grappoli di Vermentino. Era tornato a casa e di nascosto aveva pigiato l’uva in un grande vaso, poi aveva nascosto il tutto e il giorno di San Martino, l’11 novembre, aveva assaggiato il suo primo vino. La madre si accorse del suo alito e lo mise in castigo ma poco importa, quello fu il primo passo di un lungo cammino.

Una passione che viene da lontano…

Bisson Abissi
Una cassa contenente le bottiglie dell’azienda, inabissata al largo di Sestri Levante

Da giovane Piero è portato per i lavori manuali e competitivo negli sport acquatici (nuoto, pallanuoto, canottaggio…). Indirizzato dal padre verso gli studi artistici, si diploma maestro d’arte, progettista ed ebanista navale. Grazie al suo punteggio, a 22 anni viene assunto come insegnate, prima a Nuoro e poi a Cittadella (PD). Qui conosce la sua dolce metà: Wally Bisson, a cui dedicherà l’insegna della loro impresa. Si trasferiscono a Chiavari nel 1978 e aprono un’enoteca. Intanto Piero continua ad insegnare ma si appassiona sempre di più all’enologia. Inizia ad acquistare uva nei dintorni, a pigiarla in cantina e a fare il proprio il vino.

Nello stesso periodo rinuncia a un incarico da professore di Liceo e si laurea sommelier a Genova col massimo dei voti. Nel 1989 raggiunge la minima per la pensione e, dopo l’acquisto del suo primo ettaro di vigna a Sestri Levante, decide di dedicarsi totalmente al vino. Comincia dai fermi concentrandosi sulle varietà di uva tipiche della sua terra (Albarola, Bianchetta, Vermentino, Granaccia, Ciliegiolo) senza mai cedere alle lusinghe dei vitigni internazionali.

Purtroppo il destino non è sempre docile e nel 1996 lo priva dell’inseparabile moglie Wally. Piero continua a condurre la sua “enoteca con cantina” grazie all’aiuto della sorella e all’amore per la figlia Marta e, dopo il forte “sbandamento”, decide di tentare il tutto per tutto e prendere in affitto un vigneto abbandonato di 7 ettari in Valgraveglia. È proprio assaggiando le uve di Bianchetta di quella vigna che, ispirato dalla mineralità e dalla freschezza acida dei frutti, inizia a progettare il suo spumante.

L’intuizione

Quando chiedi a Piero Lugano come gli è venuta l’idea che sta affascinando mezzo mondo, il suo racconto parte sempre da un sogno che ricorda come fosse ieri e che nasce da un episodio biblico: Le Nozze di Cana. Un passaggio del Vangelo che “il signore degli abissi” ha in mente fin da quando, bambino, si prestava in chiesa come chierichetto. Nel 1993 Piero sogna di trovarsi nel mezzo del banchetto e di assistere al miracolo di Gesù che trasforma l’acqua in vino. In quel momento assiste alla rabbia del maestro delle cerimonie (maître dell’epoca) contrariato del servizio di un nettare così buono al termine del pasto anziché all’inizio.

Per Piero quello è il primo momento della storia in cui si celebra la qualità del vino, che non è più solo un alimento ma una sostanza in grado di dare piacere edonistico a chi la assapora. Non è chiaro il nesso fra questo sogno e la messa a punto dell’affinamento sottomarino ma Piero ci tiene sempre a rimarcarne l’importanza. È infatti continuando a ragionare sulla storia antica del vino che, pochi giorni dopo quel sogno rivelatore, al nostro caparbio sommelier tornano in mente i racconti del suo professore di storia dell’arte.

Il signor Pierulli narrava spesso di un pastore della campagna romana che un giorno scoprì una grotta con delle antiche anfore vinarie all’interno delle quali il liquido era completamente evaporato. Cosa che non accade invece quando le medesime anfore si ritrovano all’interno di relitti inabissati da millenni. In questi casi il vino si conserva maggiormente. Approfondendo l’intuizione Piero arriva a concludere che in assenza d’ossigeno, il processo di osmosi, responsabile dell’evaporazione del liquido, non si verifica e che il mare ha un effetto positivo sul nettare di bacco.

La messa a punto del processo

vini Bisson
Le botti nelle quali riposa il vino Bisson

Da quel momento l’idea prende forma e diventa presto ossessione. Impiegherà 15 lunghi anni per mettere a punto ogni dettaglio, superare gli ostacoli burocratici e ottenere i permessi sanitari necessari alla realizzazione del suo progetto. Per fortuna trova nel dottor Franco Macchiavello, all’epoca ispettore ai controlli sui vini al Ministero dell’Agricoltura, un valido aiuto nel portare le sue richieste agli uffici di Roma e farle approvare.

A maggio 2008 gli astri si allineano, prima arriva il via libera del Ministero e pochi giorni dopo la telefonata di Augusto Sartori, titolare di un’osteria già cliente di Bisson e presidente dell’Area Marina Protetta di Portofino che, venuto a sapere del progetto, propone a Piero di depositare le bottiglie proprio su quei fondali. La riserva naturale avrebbe festeggiato il decennale dell’istituzione proprio quell’anno e lo spumante affinato sott’acqua avrebbe rappresentato il brindisi perfetto. Così, una volta trovate delle bottiglie in grado di resistere a pressioni elevate e dei tappi a corona in una speciale lega antiruggine, nel maggio 2009 alla presenza di numerosi giornalisti, Piero Lugano cala le sue prime 6.500 bottiglie di Abissi Spumante a 60 metri di profondità al largo di Cala degli Inglesi. È l’inizio di tutto.

Il metodo

Il 20 luglio 2010, dopo 14 mesi di affinamento sottomarino, le bottiglie vengono recuperate. Ognuna di queste è ricoperta da incrostazioni, piccole conchiglie e cirripedi. Una meravigliosa fotografa del mare originatasi da quel processo spontaneo che porta il nome di fouling. Piero ne realizza subito il valore e capisce che bisogna rendere immortale quell’opera della natura. Dopo numerosi tentativi fallimentari con la vernice vetrificante, trova nel cellophane trasparente e termoretraibile la soluzione al problema. Portando in tavola una bottiglia di Abissi si stappa una splendida scultura marina, un pezzo unico da conservare anche dopo la bevuta.
Il lato estetico non è né l’unico né il più grande vantaggio dell’affinamento subacqueo. Una delle più salde convinzioni di Piero fin dagli inizi è stata la profondità ideale d’immersione. Fra i 45 e i 60 metri la temperatura è costante tutto l’anno, con qualsiasi evento atmosferico. Anche la luce è molto soffusa. In queste condizioni l’affinamento procede al meglio e non c’è dispendio energetico per la climatizzazione della cantina.

I vantaggi dell’affinamento subacqueo

Bisogna poi da considerare il fattore pressione. Sulla terraferma il barometro segna 1 atmosfera ma sott’acqua la pressione aumenta di una nuova atmosfera ogni 10 metri. A 60 metri di profondità la pressione è esattamente di 7 atm, lo stesso identico valore che c’è all’interno di una bottiglia di spumante. Questa equivalenza secondo Piero crea una sorta di equilibrio ideale che permette alle bollicine di anidride carbonica di disperdersi al meglio all’interno del vino e di donare un perlage fine, persistente e cremoso al suo Abissi. La dimensione delle bollicine è uno dei parametri più importanti per determinare la qualità di un spumante: più queste risultano piccine e più il vino sarà percepito cremoso e giudicato di ottima fattura da ogni tipo di palato, esperto o meno.

Da non dimenticare poi, e forse qui c’è uno degli aspetti più innovativi, l’azione delle correnti e del moto ondoso. In profondità le bottiglie subiscono un micro-movimento continuo, è come se venissero perennemente cullate dal moto perpetuo del mare. Questo “rollio” equivale a quello che gli chef de cave de la Champagne definiscono remuage, cioè il quarto di giro quotidiano che ogni bottiglia di spumante riceve durante l’affinamento. Ciò serve a non far attaccare al vetro i lieviti chiusi in bottiglia e a favorire lo scambio fra questi e il vino. Tale processo in ambiente subacqueo avviene in maniera continua, i lieviti sono in perenne sospensione e cedono molte più sostanze aromatiche e proteiche alla bevanda. Le prime ne aumentano profumi e sapori, le seconde ne levigano lo “spessore” tattile, rendendo il vino più vellutato al sorso.

Assaggiando una bottiglia di Abissi si ha infatti l’impressione di bere uno spumante ben più vecchio di un anno e mezzo sui propri lieviti. I profumi di nocciola e crosta di pane sono nettamente percepibili e il vino raggiunge una ricchezza aromatica maggiore rispetto a uno spumante affinato il medesimo tempo sulla terraferma. Anche la morbidezza del nettare è ben percepibile, nonostante non vi sia aggiunta di nessuna miscela zuccherina prima della tappatura finale.
Ultimo, ma non in termini strategici, il risparmio di spazio in cantina. Fondamentale in una terra ”stretta” come quella ligure dove le dimensioni delle aziende vitivinicole sono ricavate da piccole terrazze rubate ai pendii rocciosi che si tufano a picco nel mare.

Il vino

Bisson vino sott'acqua
Le bottiglie della cantina dopo l’affinamento sott’acqua

Il bello, come se ne servisse altro, è che non solo il metodo rende unico questo vino ma anche il territorio è leggibile, anzi assaporabile, all’interno di Abissi. Partiamo dal blend (unione) di uve utilizzate. Piero utilizza tre vitigni molto identitari della sua regione: la Bianchetta genovese, il Vermentino e il Cimixà. Il primo apporta sapidità e freschezza, il secondo è responsabile dei profumi fruttati e il terzo contribuisce ad esaltare la struttura e la potenza del nettare. Quest’ultimo è un vitigno rarissimo, praticamente nel nostro Paese è presente solo nella zona di Sestri Levante, importato secoli fa dai crociati di ritorno dal Medioriente affascinati dalla bellezza dei sui grappoli. Luigi Veronelli, il più grande cantore del vino che la storia italiana abbia mai avuto, ne parlò abbondantemente negli anni ’60 quando ancora si vinifcava solo nelle versioni ferme e passite.

Il blend di uve utilizzato da Lugano

Questa triade di vitigni è fortemente identitaria e unica se pensiamo che la quasi totalità dei metodo classico mondiali è fatta con i francesi Chardonnay, e Pinot Nero. Stessa cosa si può dire di Abissi Rosato ottenuto dalle varietà a bacca rossa locali Granaccia e Ciliegiolo.
Poi c’è il territorio. Quella del Tigullio è una zona impervia, fatte di scogliere a strapiombo sul mare, dove le brezze e i venti spirano continuamente arricchendo di iodio i terreni dove le viti crescono. Tutto ciò conferisce sapidità e una nota salmastra alle uve che Piero ha deciso di valorizzare attraverso le tecniche di cantina. Una volta raccolta l’uva infatti non la spreme dolcemente e immediatamente, come si fa di solito per gli spumanti. Prima rimuove i raspi e rompe un poco gli acini e poi li lascia macerare a 0°C per un paio di giorni. In questo modo molte sostanze aromatiche e saline presenti nelle bucce si disciolgono nel mosto. Solo allora le spreme a fondo e a più riprese per estrarre tutte quelle note che raccontano la terra del Tigullio.

Il risultato (d’eccellenza) finale

Abissi spumante
Bottiglie di Bisson Abissi, spumante metodo classico sottoposto ad affinamento nei fondali della Baia del Silenzio, a Sestri Levante

Una volta ottenuti più vini base dalle singole varietà di uva e dalle pressature più o meno incisive, si giunge ad uno dei momenti più importanti e creativi del processo. Piero porta i diversi campioni nell’ufficio della sua cantina di Sestri Levante e si prende il suo momento. Aspetta che scenda la notte e apre le finestre che guardano il mare. In quell’attimo di solitudine pervaso dall’odore dello iodio e dal rumore della risacca, Piero assapora i vini e si lascia guidare dall’istinto per creare i blend che poi diventeranno le cuvée dei suoi tre spumanti.
In quel momento c’è tutto ciò che Abissi rappresenta: il vino, il mare e la sensibilità di un uomo che ha avuto il coraggio di realizzare l’inesplorato.
Le cuvée vengono poi imbottigliate con una miscela di zucchero e lieviti e ritappate per svolgere la seconda fermentazione, quella che darà vita alle bollicine. Dopo la presa di spuma le bottiglie vengono calate nelle profondità marine e lasciate afnare: 18 mesi l’Abissi, 24 il Rosè e 36 la Riserva. Una volta riportate in superfcie le bottiglie vengono sboccate e colmate con lo stesso vino senza l’aggiunta di liquor d’expedition. Tutti gli spumanti di Piero sono infatti, da sempre e rigorosamente, Pas Dosè al fne di esaltare il carattere salmastro delle uve liguri. Allora ogni bottiglia viene sigillata dal flm trasparente e immessa sul mercato, pronta per essere stappata (o perché no sciabolata) sognando il tesoro del Capitano Flint.

Nell’immagine in apertura, Bisson Abissi, spumante metodo classico Portofino Doc 2015, affinato nei fondali della di Sestri Levante

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