Valeria Solarino racconta il film The Cage: “Gli ostacoli aumentano le possibilità”

The Cage è il film scritto e diretto da Massimiliano Zanin presentato Fuori Concorso nella sezione Panorama Italia ad Alice nella città, kermesse che affianca la Festa del Cinema di Roma. Con Aurora Giovinazzo, Valeria Solarino, Brando Pacitto, Desirée Popper, Alessio Sakara, Patrizio Oliva e la partecipazione di Fabrizio Ferracane.

Un film forse poco riuscito se ci si aspetta un action movie sul WMMA, l’MMA femminile. The Cage è un lavoro che, nella cornice di un racconto sui combattimenti WMMA, allarga l’obiettivo alla battaglia delle donne all’autodeterminazione.

Valeria Solarino in The Cage lotta contro le gabbie sociali

The Cage, la gabbia. In realtà le gabbie raccontate da Massimiliano Zanin nel suo film sono tante.
La gabbia del nostro passato, quella di una relazione tossica nella quale ci ritroviamo incapaci di uscirne; quella della morale cristiana, subdola, soffocante, che ci vuole madri, mogli, sottomesse; quella dei traumi che viviamo e che possiamo usare come massi sui quali arrampicarci per scalare una montagna o come pietre sepolcrali che ricordano il nostro nome, la nostra immagine, ma sotto le quali giacere già morte nonostante siamo ancora in vita. Il film si avvale di validi attori come Brando Pacitto (Alessandro), Aurora Giovinazzo (Giulia) e della bravissima Valeria Solarino (Serena), con noi su MANINTOWN.

Una scena del film The Cage
Una scena del film The Cage

In The Cage due frasi aprono e chiudono la parte centrale del film. Il prete che dice: «Aiutala a fallire» e il ragazzo che dice: «Io c’ho provato a farla fallire». Spesso i falsi amici sono i più difficili da riconoscere quelli che, uomini o donne che siano, fanno finta di aiutarti sperando che tu fallisca. Ne hai mai affrontati?

Ho avuto un’educazione alla libertà e ho sempre cercato di fare le cose nelle quali credevo, che mi rispecchiavano, e ho avuto attorno persone che accoglievano questo mio aspetto. Questa frase è terribile. “Aiutala a fallire” è emblematica, perché la vittoria di qualcuno ci spaventa. Ci mette di fronte alle nostre possibilità, ma se una persona fallisce è meglio anche per me, perché non mi devo sforzare. Invece, se una persona vince, è un problema, perché allora devo vincere anch’io o comunque devo sforzarmi per arrivare a un livello superiore a quello al quale sono. Quindi è sempre meglio il fallimento dell’altro, nella competizione becera, e non solo sportiva. Anzi, nello sport c’è un grandissimo rispetto dell’avversario, che diventa colui che mi permette di realizzare il mio obiettivo. Paradossalmente, l’avversaria più temuta, il nemico numero uno di Giulia, è la sua migliore amica perché le permette di realizzare il suo sogno. Giulia ha vinto tutti gli incontri, ma le manca quello e, finché l’avversaria non dice: «Ok, tu questa rivincita te la meriti», Giulia non riesce a uscire dal suo incubo. Riesce a superarlo soltanto grazie a colei che dovrebbe essere il suo nemico. È una situazione emblematica.

Valeria Solarino in una scena del film The Cage
Valeria Solarino nel film The Cage

«Ci sono spesso ostacoli che ci vengono posti, qualcosa che ci fa superare il nostro limite»

C’è una frase del film dove dici a Giulia che ci sono due tipi di fighter: quello che è imbattibile in allenamento ma poi non regge in gara e quelli che hanno il coraggio di entrare nella gabbia e affrontare le proprie paure. C’è una gabbia nella quale sei entrata?

Ci sono spesso ostacoli che ci vengono posti, qualcosa che ci fa superare il nostro limite. Il mio personaggio, ad esempio, si arrabbia con Giulia perché lei combatte sempre in piedi. Giulia potrebbe anche vincere combattendo così, ma lei vuole che Giulia combatta a terra perché quello è un ostacolo che va superato e gli ostacoli aumentano le tue possibilità.

«Ancora una volta, la donna è vista esclusivamente come generatrice di vita, quindi non nella sua complessità. Ovvio che la maternità rappresenti un aspetto meraviglioso, ma non esaurisce, e non deve esaurire il ruolo di una donna»

Il prete ricorda più volte a Giulia l’importanza di essere madre, moglie, di avere una famiglia. È un pensiero strisciante che continua ad essere inculcato alle donne. Adozione, affido, nipoti, creano famiglie di serie B?

I messaggi che riceviamo continuamente sono in quella direzione. Ultimamente la presidente del Consiglio ha anche parlato di detassare quelle donne che danno, con due figli, il loro contributo alla società. Innanzitutto come se i figli fossero un affare solo femminile. Può accadere, ma molto spesso c’è anche un uomo che partecipa alla messa al mondo di un figlio. E poi, ancora una volta, la donna è vista esclusivamente come generatrice di vita, quindi non nella sua complessità. Ovvio che la maternità rappresenti un aspetto meraviglioso, ma non esaurisce, e non deve esaurire il ruolo di una donna. È vero che viene continuamente riproposto questo modello, ma, secondo me, la società civile, che è più pronta a ricevere i messaggi che vengono dal mondo della cultura, può fare molto nell’educare le nuove generazioni.

«La vera parità si ha quando non c’è una disparità data da qualcosa che è indipendente da te»

Alla Festa del Cinema riceverai il premio Q-cultura per il tuo impegno sociale e artistico a difesa dei diritti dell’uomo e della donna. È bella la motivazione: diritti dell’uomo e della donna…

Sì, iniziamo a chiamare le cose con il loro nome. È molto bella questa motivazione. Dare un nome a una cosa le dà una dignità, la fa esistere, le dà una struttura. È un concetto che era stato ripreso anche da Michela Murgia, che amavo e continuo ad amare moltissimo. Ci sono tante professioni che troviamo strano declinare al femminile, preferiamo continuare a chiamarle al maschile, ma semplicemente perché sono ruoli che prima non erano occupati solo da uomini. Adesso che le cose stanno cambiando, diamo dignità a quelle professioni. Non esiste solo il presidente, esiste la presidente o presidentessa, come più ci piace. Sono semplicemente cose che prima le donne non facevano e ora, fortunatamente, fanno.

Forse dovremmo anche smetterla di dire “è un mondo maschile” o “è un campo femminile”…

Il problema è dare a tutti le stesse possibilità di partenza. La vera parità si ha quando non c’è una disparità data da qualcosa che è indipendente da te, come il ceto sociale o il genere. Le stesse possibilità si danno quando due persone vengono messe nelle stesse condizioni di poter concorrere per un ruolo e scegliere un tipo di vita.

«Quando c’è una gabbia, da una parte e dall’altra, c’è un problema di paura»

Nella gabbia a volte veniamo messe, a volte ci mettiamo da sole. Indipendentemente da come ci siamo finite, mettere o tenere una donna in gabbia può essere un modo che gli uomini hanno per non affrontare qualcosa di cui hanno paura?

Quando c’è una gabbia, da una parte e dall’altra, c’è un problema di paura: anche chi ti mette nella gabbia, in realtà ha paura di dominarti. Perché mettiamo la tigre in gabbia? Perché abbiamo paura di essere divorati.

È bellissima la scena dove Brando Pacitto è nudo nella gabbia davanti alla tigre. Alla fine chi è nudo, inerme, è lui…

Io in quella scena ho visto anche un’altra cosa: lui vuole risolvere tutto, ma non riesce a risolvere la sua vita e l’unica soluzione che trova è farla finita. Ma non ce la fa neanche lì. Lo vedi agire in quel modo e ti viene da dire: no non si risolve così, esci da questa gabbia e combatti davvero.

«Nel settore del cinema la disparità è ancora profondissima»

Alla Festa del cinema si sta parlando tanto di cinema al femminile. In realtà i dati dell’osservatorio del Mic parlano di un rapporto uomini – donne alla regia di 1 a 10; tra il 10 e il 16% sono le donne direttrici della fotografia o che si occupano di musiche o effetti speciali, settori prevalentemente tecnici. Le donne sono la maggioranza tra le costumiste o le truccatrici. C’è una certa manipolazione nel modo di raccontare i numeri?

Sicuramente ci sono tante registe donne, che è il ruolo principale sul set, però c’è ancora una grande differenza. Nel settore dell’audiovisivo è un discorso complesso, dove c’è anche un grande divario nei compensi, perché vieni pagato in base a quanto contribuisci al film in termini di incassi al cinema. La disparità è ancora profondissima.

Per arrivare dove sei, hai rotto il “soffitto di cristallo”?

Sicuramente sono stata fortunata, ho incontrato bei ruoli, importanti, ma ho scelto io in quali ruoli cimentarmi.

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