I 3 brand sostenibili del momento

Acclarato che la sostenibilità è cosa buona e giusta, il punto, per le griffe alle prese con un tema ormai ineludibile, è tenere insieme dettami green e una ricercatezza nel design in grado di scacciare l’associazione degli stessi (il più delle volte frutto di pregiudizio, ma tant’è) con uno stile anonimo, penitenziale. I tre marchi di quest’articolo provano, appunto, come sia possibile conciliare le due esigenze, per la felicità dell’ambiente oltreché dei consumatori.

Veja

Veja sneakers vegane

I numeri di Veja sono oggi ragguardevoli (fatturato in costante crescita, 3000 rivenditori in 60 stati, «prodotto sostenibile più venduto nel 2020» secondo Lyst, un’eccellente rosa di collaborazioni), eppure fino a qualche tempo fa in pochi avrebbero scommesso su una start-up di calzature vegane, guidata da un duo pressoché estraneo al fashion world. Sébastien Koop e François-Ghislain Morillion, infatti, lavoravano per una Ong di consulenza sull’impatto ambientale; frustrati dal velleitarismo in materia di tanti, troppi brand, nel 2005 mettono su la società, individuando nelle sneakers il prodotto giusto per far breccia nei desideri dei clienti.
Concepiscono la sostenibilità come un modus operandi, declinabile in ogni singolo passaggio del modello aziendale, dalla scelta dei materiali (cotone biologico, gomma naturale, fibre ottenute da plastiche riciclate o scarti della filiera alimentare…) ai salari equi dei lavoratori. La certificazione B corp (assegnata ad aziende che si distinguono per l’impatto positivo del proprio operato su persone e ambiente) è la logica conseguenza di tali, virtuosi pratiche.

Mansur Gavriel Veja sneakers
Veja x Mansur Gavriel

Le trainers in catalogo fanno propri gli stilemi degli anni ‘70, quando quelle che allora erano “solo” scarpe da ginnastica (gli sneakerhead erano di là da venire) presentavano un aspetto funzionale, senza fronzoli. Un design semplice eppure efficace, raffinato dalle collab – cui si accennava – con la migliore intellighenzia fashionista (leggesi Agnès b., Lemaire, Bleu de Paname e altri ancora). Le ultime recano la firma di Mansur Gavriel (ginniche in tonalità candy) e Marni, che ha provveduto a scarabocchiare le tomaie con ghirigori energici. Perfino Rick Owens, profeta della moda goth tutta cupezze e slanci scultorei, ha messo mano volentieri, in più occasioni, alle scarpe Veja, in una “collisione creativa” – così è stata ribattezzata – risoltasi in piccole ma decisive modifiche, tra allacciature incrociate, nuance acide e suole stratificate.

Veja Rick Owens collab
Veja x Rick Owens

Re/Done

Dare nuova vita – e stile – ai jeans dismessi, dissezionati e ricomposti per attualizzarne le vestibilità mantenendo, però, la patina used, autentica, che distingue l’abbigliamento vintage: è questa, in sostanza, l’idea perseguita con profitto da Sean Barron e Jamie Mazur sin dalla nascita della label, nel 2014. Un’attività intrinsecamente sostenibile, assai laboriosa, tanto che il primo lotto, appena 300 paia di denim pants Re/Done (nomen est omen), è il risultato di nove mesi di tentativi e ricerche per arrivare ai fit desiderati, a vita media e skinny oppure dalle forme più gentili, sold out in men che non si dica sull’e-shop approntato dai fondatori.

Redone jeans men
Sean Barron e Jamie Mazur nell’headquarter Re/Done (ph. by Jace Lumley)

Nel laboratorio losangelino del brand vengono convogliate cataste di vecchi Levi’s, sottoposti a un certosino lavoro di taglia e cuci che li tramuta in cinque tasche dall’allure contemporanea, unici perché, essendo il processo di upcycling interamente manuale, nessun esemplare può essere identico.
Il successo dei jeans, prontamente adottati dalla fauna modaiola (supermodel – Kendall Jenner, le sorelle Hadid, Emily Ratajkowski, Hailey Bieber, Kaia Gerber, Candice Swanepoel – in testa), convince Barron e Mazur a dotarsi di una linea apparel (che reimpiega, tra le altre, t-shirt di seconda mano fornite dal produttore Hanes) e collezioni maschili. Un paio di capsule collection ben assestate, in tandem con G.H. Bass & Co. (per mocassini che stillano vibe rock, tra motivi animalier e borchie) e The Attico (per capi arricchiti da strass, nastri, grafiche retrò, particolari vezzosi), fanno il resto, cementando la notorietà di un’etichetta venduta in decine tra department stores e mecche dello shopping di nicchia, on e offline, da LuisaViaRoma a Saks Fifth Avenue passando per Antonia, 10 Corso Como, Net-A-Porter, The Boon Shop, Harrods, Kith

Redone jeans collezioni

Blowhammer

Applicare allo streetwear, segmento generalmente avido di novità consumate a ritmi frenetici, i diktat dell’eco-responsabilità, che contemplano molteplici sfide e opportunità. È questo l’obiettivo di Blowhammer (in inglese “colpo di martello”, a sottolineare la dirompenza del progetto), marchio con sede a Nola che fonda la sua filosofia su principi quali la libertà d’espressione, l’autodeterminazione, la ricerca di un’identità creativa che assecondi totalmente le proprie idee e gusti.

Blowhammer brand
Blowhammer

Prima ancora che di azioni (invero esemplari, l’azienda opera quasi esclusivamente sul web, implementando un modello di produzione just in time che, pur velocizzando gli ordini, riduce al minimo emissioni di CO2, invenduti, giacenze di magazzino e scarti, occupandosi inoltre di riciclare o smaltire correttamente gli articoli inutilizzati), il founder e Ceo Salvatore Sinigaglia ne fa una questione di valori, perché, afferma, «chi ci sceglie non indossa solo una maglia o una t-shirt, ma una vera e propria storia che racchiude visioni, aspirazioni, desideri».

Blowhammer collezione
Blowhammer

Scevre dall’omologazione, le collezioni si distinguono per lo stile sincretico, un blend di contaminazioni provenienti da musica, arti figurative, sport, subculture. Si inserisce in quest’ottica la collaborazione con EasyWeasy, Giovanni Maisto e Paskull, tre giovani artisti scelti da Blowhammer per personalizzare altrettante capsule. Il primo, con Outworlds, si serve del digital painting per compiere un viaggio spaziotemporale verso universi altri, massimalisti e alienanti, reso attraverso la ripetizione di figure geometriche, arzigogoli fluo e simboli architettonici. Il secondo usa per Organik la medesima tecnica, tracciando sul tessuto composizioni colorful dal sostrato sci-fi, sul crinale sottile tra realtà e finzione. Il tatuatore Pasquale D’agostino aka Paskull, da ultimo, sparge nella linea OverminD i suoi soggetti preferiti, demoni, teschi e falene bianche su fondo nero.

Felpa della collezione OverminD

Nell’immagine in apertura, una foto della campagna di lancio della collezione Veja x Marni

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