Addio a Vivienne Westwood, regina incontrastata del punk

Scompare a 81 anni, «serenamente, circondata dalla sua famiglia, a Clapham, nel sud di Londra» (recita il comunicato del marchio eponimo, che nella serata di ieri ha dato la notizia sui propri canali social) Vivienne Westwood, figura monumentale della moda inglese (e non solo), un personaggio larger than life, come direbbero gli americani. Ribelle, anticonformista, irriverente, Dame Viv, com’era soprannominata (ché dama dell’Impero britannico, in fondo, lo era davvero, a nominarla tale fu, nel 2006, l’allora principe Carlo), in oltre mezzo secolo di onorata carriera ha saputo conferire piena dignità estetica a un movimento, il punk, per sua natura elusivo, magmatico, fino a renderlo un vero e proprio vessillo ideologico, una filosofia di vita, oltreché professionale.

Vivienne Westwood ritratto
Vivienne Westwood in un ritratto di Tim Walker

Gli inizi con Malcolm McLaren

Nata Vivienne Isabel Swire (Westwood è il cognome del primo marito, Derek, sposato nel 1962, da cui si separa nel 1965, dopo la nascita del figlio Ben) nel 1941, in un paesino del Derbyshire, da adolescente si trasferisce nei sobborghi della capitale dove, per sbarcare il lunario, lavora come insegnante. Sono gli anni della Swinging London, di una città ombelico del mondo tra cultura pop e minigonne, Beatles e prodromi della liberazione sessuale, per lei è però fondamentale l’incontro con un’altra personalità a dir poco carismatica, Malcom McLaren – futuro pigmalione e manager dei Sex Pistols, nientedimeno, cui si lega sentimentalmente e professionalmente.

Vivienne Westwood sfilate
La stilista al termine di uno show, nel 2017 (ph. Reuters)

Lo store di King’s Road, tempio dei freak londinesi

Insieme, nel 1971, aprono un negozio al civico 430 di King’s Road, che diventa in breve il sancta sanctorum della controcultura londinese, frequentato da giovani “alternativi” che vengono ad acquistarvi le creazioni outré dell’eclettica proprietaria. Inaugurato sotto l’insegna Let it Rock, lo spazio viene rinominato più volte (Too Fast to Live, too Young to Die, Sex, Seditionaries, Worlds End), rispecchiando i vorticosi cambi di registro stilistico della Westwood, che lo riempie, volta per volta, di maglie ricoperte di ossa animali, allineate a formare la parola “rock”, t-shirt perforate da spille e catene, indumenti borchiati, accessori in lattice dal sottotesto peccaminoso, bric-à-brac in metallo.

Vivienne Westwood Let it Rock
Vivienne Westwood davanti al negozio Let it Rock, negli anni ’70

Pezzi al limite dell’oltraggioso per la rigida morale vigente all’epoca, non a caso la polizia la costringe in diverse occasioni a chiudere i battenti, ma lei non si lascia certo intimidire, anzi, incoraggiata dal clamore suscitato dai primi, scandalosi articoli, si decide a compiere il grande passo, varando l’etichetta che porta il suo nome.

Il debutto in passerella di Vivienne Westwood

Il défilé d’esordio del 1981, Pirate, assurge ad autentico manifesto programmatico della designer (lo scopo, dichiara, è “distruggere il termine conformismo”), dando il via a una stagione che trasla sulle passerelle i codici musicali del new romantic. L’ispirazione, come si può supporre dal titolo, rimanda ai corsari, a modelli e modelle viene lasciata la libertà di scegliersi i propri outfit, e loro si presentano in pedana agghindati con marsine, cappelli a tricorno, gilet, stivali al ginocchio, tuniche guarnite di merletti, camicie pittate di rosso, giallo oro e blu, tra arabeschi ondulati e motivi wax.

Vivienne Westwood Pirate
Vivienne Westwood, collezione Pirate (ph. By David Corio/Getty Images)

Seguono collezioni consegnate da tempo al mito: Buffalo Girls (autunno/inverno 1982-83), col suo campionario carnascialesco di gonnelloni a ruota, reggiseni indossati sul top e stampe folk, modellato sull’abbigliamento tradizionale delle donne peruviane; Punkature (primavera/estate 1983), distopia in forma di prêt-à-porter che vagheggia il ritorno all’età della pietra, conseguente a una guerra nucleare, tra materiali sbrillentati, tele rustiche dipinte a mano, vestiti che, pur sostenuti dalle bretelle, appaiono sul punto di disfarsi; Witches (A/I 1983-84), con le superfici dei capi brulicanti di vivaci grafismi, mutuati – per ammissione della diretta interessata – dai celebri omini di Keith Haring, enfant prodige della graffiti art d’oltreoceano; Mini-Crini (P/E 1985), uno sberleffo alla pomposità delle crinoline settecentesche, qui riconfigurate in dress più che succinti.

Vivienne Westwood corsetti
I corsetti della collezione A/I 1990 del brand (ph. by John van Hasselt – Corbis)

Vivienne Westwood anni 90
Una sfilata Vivienne Westwood degli anni ’90 (ph. dal sito ufficiale del marchio)

Lo stile iconoclasta di Dame Viv

Vivienne Westwood the Orb
Il logo the Orb su una borsa della griffe (ph. dal sito ufficiale del marchio)

Inarrestabile, refrattaria alle convenzioni, nel 1985 lascia McLaren, ormai lanciata nell’empireo della creatività internazionale, affascinato dalla verve iconoclasta con cui la stilista dalla chioma rossa fa strame degli archetipi, passati e presenti, dell’eleganza comunemente intesa.

Sconquassa, a ogni piè sospinto, lo status quo fashionista, saccheggiando epoche storiche  e correnti artistiche, iniettando una grinta sfrontata nel vestiario della buona società inglese (i completi in tweed, l’impermeabile, il tartan, il girocollo di perle, trasformato in un choker sul quale, al centro, è effigiato the Orb, il logo del brand, un globo ripreso dallo stemma della Corona, circondato dagli anelli di Saturno e sormontato da una croce) oppure recuperando, in chiave dissacrante, l’armamentario femminile d’antan, dalla tournure ai falpalà, dagli strascichi alle trine, fino ai corsetti che, nelle sue mani, da simbolo di una sessualità castigata, quasi negletta, diventano un capo da esibire con orgoglio, decorato ad esempio, per l’A/I 1990-91, dai soggetti classici dei quadri di François Boucher, che stridono assai con la scollatura abissale dello styling di sfilata.

O, ancora, estremizzando l’ossessione della moda per i tacchi a stiletto con plateau “impossibili” (memorabile, in questo senso, il capitombolo di una certa Naomi Campbell durante uno show della griffe, nel 1993, causato dall’altezza stratosferica – superiore ai 30 centimetri – delle pumps calzate dalla top model).

Vivienne Westwood Obe
Vivienne Westwood a Buckingham Palace per la cerimonia d’investitura dell’OBE, nel 1992 (ph. PA)

Dallo sberleffo alla Thatcher all’OBE, le provocazioni della stilista

La comunicazione dell’azienda non è da meno, trainata dalla sua esuberante fondatrice che, nel 1989, arriva a schernire la premier Margaret Thatcher, di cui avversa in toto la politica conservatrice, posando per la copertina del magazine Tatler con un look che ricalca esattamente quello della Lady di ferro, trucco e parrucco compresi, corredato dalla scritta ironica “this woman was once a punk”. Westwood non rinuncia alla provocazione neppure in un contesto solenne come la nomina a Officer of the Order of the British Empire, onorificenza concessale nel 1992 dalla regina Elisabetta: terminata la cerimonia d’investitura, solleva la gonna davanti ai fotografi, svelando così l’assenza dell’underwear nella mise scelta per l’occasione.

Vivienne Westwood Thatcher
La stilista sulla cover del numero di aprile 1989 di Tatler

Le battaglie ambientali e civili della creativa inglese

Negli anni Novanta, per dare stabilità finanziaria al marchio, moltiplica le linee (Red e Gold Label, Anglomania), affiancata dal fido braccio destro Andreas Kronthaler, sposato nel 1993; quando quest’ultimo, nel 2016, assume la direzione creativa della maison, Queen Viv può spendere tutto il suo carisma ed energie per le battaglie che l’appassionano maggiormente, moltiplicatesi esponenzialmente nel corso del tempo.

Vivienne Westwood adv 2022
Vivienne Westwood e Andreas Kronthaler (ph. Juergen Teller)

Sposa senza remore la causa della sostenibilità (oltre il 90% della collezione A/I 2021-22, per dire, è stato realizzato con materiali dal ridotto impatto ambientale, tra cotoni e sete organiche, nylon riciclati, viscosa certificata Fsc), si batte caparbiamente per la pace, i diritti civili, la liberazione del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, inscena proteste spettacolari nelle strade del Regno Unito, manifestando contro la Brexit, le armi nucleari, lo sfruttamento dei lavoratori, si spinge fino a guidare un (finto) carro armato davanti all’abitazione del primo ministro David Cameron, richiamando l’attenzione sulla controversa tecnica estrattiva del fracking.

Merita un capitolo a sé, poi, l’impegno ambientalista, abbracciato in tempi non sospetti e declinato in innumerevoli iniziative, dal supporto alle principali Ong (Greenpeace su tutte) a slogan d’impatto quali “Make Love, not Fashion” o l’attualissimo “Buy less, choose well, make it last” (cioè “compra meno e meglio, fallo durare”), convogliate da ultimo nella Vivienne Foundation, società senza scopo di lucro che sarà operativa dal prossimo anno; l’attività della fondazione, spiegano i vertici, verterà su quattro pilastri, «cambiamento climatico, stop alla guerra, difesa dei diritti umani e protesta contro il capitalismo». Difficile immaginare un lascito migliore per la stilista brit, che (anche e soprattutto) su certi temi non è mai scesa a compromessi.

Vivienne Westwood manifestazione

Nell’immagine in apertura, Vivienne Westwood a una manifestazione in supporto di Julian Assange (ph. © PA Archive)

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