Design della vite: bonsai a Montalcino, l’idea di Francesco Illy

A Montalcino (Siena), nel cuore della Toscana e in una delle denominazioni vitivinicole più pregiate al mondo nasce Bonsai, un sangiovese in grado di sfidare il tempo, che lega le sue radici in modo atipico a questo territorio.
Le prime testimonianze legate alla produzione di vino a Montalcino risalgono alla vendemmia del 1843, tramite una relazione della commissione ampelografica, e già nel 1865 quest’importante zona vitivinicola veniva riconosciuta a livello internazionale, battendo i rossi francesi a Parigi e Bordeaux. Da allora, la denominazione è cresciuta fino a consacrarsi stabilmente tra i luoghi produttivi di maggior spessore globale; merito anche dei produttori che, negli anni, hanno saputo valorizzare e interpretare i nobili terreni di Montalcino; della sua storia fa parte anche Francesco Illy, che nel 1984 acquista il podere da un pastore sardo e fonda Podere Le Ripi, con cui concretizza i primi sogni enologici a metà degli anni ‘90, ma è nel 2007 che dà vita alla prima vendemmia di Bonsai.

Sangiovese Bonsai
Una delle fasi del processo di vinificazione

L’idea (vincente) di Francesco Illy

Gli abbiamo chiesto cosa l’abbia spinto a intraprendere questa nuova sfida sui suoli di Montalcino: «“Un vigneto può produrre le migliori uve solo dopo 35 anni”, mi disse una volta un vecchio viticoltore della Borgogna. Pochi minuti dopo, nella mia testa non potevo che domandarmi se sarei stato costretto ad attendere i miei novant’anni per capire cosa sarebbero state in grado di produrre le nostre vigne, appena piantate a Montalcino. La risposta fu semplice, decisi di provare qualcosa di nuovo ed innovativo: spingere la densità del vigneto a un livello estremo, ovvero 62.500 viti per ettaro (mediamente i nuovi impianti vanno dalle 5.000 alle 8.000 piante per ettaro, ndr), per costringere le radici ad attraversare molti strati geologici diversi in un arco di tempo più breve; in pratica, sfruttare la competizione radicale per avere radici più profonde».

«All’epoca mi dissero tutti che ero pazzo, che le piante sarebbero semplicemente morte. I primi anni furono impegnativi, dedicammo molto tempo alle piccole viti e a mantenere il terreno in buone condizioni; il tasso di mortalità del Bonsai si fermò all’8%. Piazzammo un tutore d’acacia a fianco di ogni pianta, impostammo la potatura come si fa per un alberello. Due anni e mezzo dopo, nel 2007, con la terza gemma, fummo in grado di vinificare il primo Bonsai Sangiovese. Non potevo crederci: finalmente avremo avuto un vino da assaggiare prodotto da questa folle vigna».
«Ho riflettuto a lungo – prosegue Illy – su quella citazione del viticoltore borgognone, credo che alla fine la natura si ripeta con gli stessi meccanismi in tutti gli esseri viventi. Una pianta troppo accudita e facilitata tenderà ad impigrirsi, al contrario di una vite che per sopravvivere non ha tempo da perdere. Contro la pigrizia, niente è più incisivo della fame».

Bonsai Sangiovese
I vigneti dell’azienda toscana 

Una coltura unica nel suo genere

Facciamo però un passo indietro, se pronunciamo la parola bonsai non possiamo fare a meno di pensare ai famosissimi alberi in miniatura, intenzionalmente mantenuti nani, anche per molti anni, tramite potatura e riduzione delle radici. Far crescere i bonsai è una vera e propria arte, in quanto è un’attività che comporta svariate conoscenze sia nel campo generale della botanica, sia in quello più particolare delle tecniche bonsaistiche, applicate per coltivare una pianta che rispetti determinati canoni estetici. Per rendere l’albero nel complesso più forte e adatto a sopravvivere in spazi ristretti, si procede alla potatura delle radici fittonanti (quelle che penetrano in profondità nel terreno), al rinvaso periodico e ad adeguate potature dei rami. È stato facile applicare tali concetti alla pianta della vite?

«Nel tempo, per questo vigneto così particolare abbiamo messo a punto sistemi specifici. Seguendo l’esempio delle viti che si sono sapute adattare a condizioni uniche, anche noi abbiamo dovuto fare lo stesso per aiutare le piante a sopravvivere. Abbiamo impiegato pratiche del tutto peculiari, adatte allo scopo. Parlando di potatura, abbiamo capito che era inutile pretendere una produzione paragonabile, in termini di quantità d’uva, a una situazione standard».
«Lo sforzo compiuto dalla pianta era già gravoso e quindi, con la potatura, abbiamo individuato un carico di gemme ridotto, impostando un alberello a 40-50 centimetri da terra, con uno sperone singolo a 2/3 gemme produttive. La produzione varia di anno in anno, alcune piante a volte non producono grappoli per andamenti stagionali non favorevoli, ma solitamente vendemmiamo uno, massimo due piccoli grappoli per esemplare.

La fase di potatura

L’importanza del terreno

«Lo stato di salute dei suoli è stato fin da subito il principale scoglio. I nostri terreni sono costituiti prevalentemente da argilla e limo, pertanto compattano facilmente e si strutturano con difficoltà. Un vigneto così intensivo richiede ogni anno un reintegro di sostanza organica abbondante, mediante letame distribuito a mano, e una decompattazione almeno per i primi trenta centimetri. Dopo di che, apportiamo un sostanzioso letto di paglia per praticare la pacciamatura, a difesa della risorsa idrica e per ridurre il compattamento, il tutto senza dimenticare i preparati biodinamici».

Ad oggi si contano 1,4 ettari di Bonsai Sangiovese, con piante adulte che producono circa 200 grammi di uva ciascuna. Dalla prima vendemmia ad ora sono cambiate molte cose ed è entusiasmante pensare che l’areale di Montalcino, già famoso e unico nel suo genere, sia stato in grado di regalare un’altra chicca legata alla viticoltura mondiale.
«Per noi è anche un progetto di studio, in più occasioni abbiamo esaminato il profilo del suolo in profondità per capire il comportamento dell’apparato radicale. Le radici raggiungono i tre metri di profondità, circa il doppio dei vigneti piantati regolarmente, questo è sicuramente un segnale incoraggiante», sostiene Illy.

Podere Le Ripi vini
I bonsai di Podere Le Ripi

Difficoltà e successi dell’azienda

Le viti di sangiovese Bonsai vivono in uno stato di elevata competizione, non sono particolarmente “esuberanti” e questo le rende molto suscettibili alle principali malattie fungine, allo stesso tempo il clima arido delle ultime annate può metterle in grave difficoltà. Tutto ciò impone a Podere Le Ripi di pensare a come adattarsi a questo fenomeno, nel migliore dei modi.
Ad oggi la sfida più importante è legata soprattutto al superamento delle difficoltà climatiche, non solo in vigna ma anche nell’interpretazione della vinificazione, pertanto nelle ultime due annate le uve del vigneto sono vinificate con i propri raspi a grappolo intero, anticipando la raccolta in modo da spingere il vino verso sensazioni maggiormente fresche e tese. È bello pensare che questo curioso, intelligente e innovativo metodo di vivere la produzione, dentro e fuori dai vigneti, possa negli anni essere sperimentato e applicato in altri territori vitivinicoli e, perché no, che sia l’ennesima eccellenza made in Italy da far conoscere in tutto il mondo.
Il Bonsai è un vino che si caratterizza per il suo bouquet complesso ed elegante, che colpisce per la molteplicità di aromi. Al palato risulta fine e sottile, il retrogusto ricorda fragranze di note fruttate che si integrano con i sentori di spezie, tabacco e violetta. L‘ultimo sorso rallegra il palato in modo persistente, con dolcezza e intensità.

Nell’immagine in apertura, una veduta del Podere Le Ripi, a Montalcino

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