Ma come mi vesto?

Piacere, mi chiamo Bella. A volte, mi sento Bella. Ad essere onesti, negli ultimi tempi mi sento sempre più Bella e sempre più spesso. Tuttavia, per deformazione professionale, non riesco a smettere di chiedermi: perché?

Insegno Storia e teoria della moda e il mio lavoro mi richiede di analizzare tutte le rappresentazioni del corpo, non solo nel fashion system ma anche nella musica, nel cinema, nella vita di tutti i giorni. Cerco di interpretare queste rappresentazioni e capire il perché delle loro forme. La mia anima storica dirige ossessivamente l’attenzione verso l’intertestualità, ovvero la relazione tra diversi testi (e immagini), cercando di capire come certi simboli vengano riproposti, rivisti, stravolti.
Questa forma mentis ha un impatto su come mi vesto e mi porta a fare sempre auto-analisi, a chiedermi perché certi abiti mi facciano stare così bene. Essere consapevoli che il gusto non sia solo un’inclinazione personale, ma risulti fortemente influenzato anche da tutto ciò che ci circonda, è un’arma a doppio taglio. Mi permette di capire molte cose del passato e del presente, a volte di intravedere il futuro, però può spingermi in una spirale in cui metto in discussione ogni aspetto del mio gusto e lo leggo solo come una combinazione di cause ed effetti, su cui ho poco controllo. 

Perché mi sento Bella con un abito da sera come quello che indosso in questa foto? Perché sono attratto da un tipo di eleganza piuttosto tradizionale? Andava di moda quando ero molto piccolo, forse mi ha influenzato? Oppure perché metto sempre abiti con mega spacchi? Sono davvero libero o semplicemente ho cambiato lo stereotipo a cui mi adeguo? Amo questi capi in maniera viscerale, eppure se inizio a farmi domande va così, anzi peggio. Evito di trascinarvi nella spirale.

Matteo Augello moda
Matteo Augello indossa un abito Belville Sassoon, courtesy of Tug Store Genova (ph. by Daniele Fummo)

Queer è sia sostantivo che verbo, usato per indicare l’azione di scardinare dei parametri e metterli in discussione. Per me è naturale mettere in discussione la mia immagine e analizzarla”

Pensare così tanto alla mia apparenza, però, non è un qualcosa iniziato dallo studio, ma da una combinazione di circostanze. Sono di sesso maschile e ho una femminilità pronunciata. Sono omosessuale e ciò mi ha portato a vivere esperienze, ad essere esposto a stimoli che hanno formato il mio gusto. Per questi motivi, il giudizio altrui si è manifestato in maniera assai più esplicita rispetto alla media, ovvero tante persone giungono a conclusioni su di me semplicemente basandosi sul mio aspetto. Spesso, vogliono farmelo sapere attraverso il modo in cui mi guardano.
Ho imparato presto a capire in che modo controllare le impressioni degli altri, per usare un termine del sociologo Erving Goffman dal suo libro La vita quotidiana come rappresentazione (1959). Scelgo di vivere la mia femminilità pubblicamente e parlo di scelta proprio perché so che farlo ha delle conseguenze, che affronto in maniera volontaria.

La mia identità di genere è non-binaria, non si può inserire in uno dei due principali contenitori identitari, maschile e femminile. Detto questo, devo comunque relazionarmi a tali contenitori perché la mia immagine è interpretata dalla società secondo questi binari e, da studioso, so che l’identità è sociale e si costituisce come una trattativa tra noi e gli altri. Mi descrivo con il termine queer, perché in inglese è sia sostantivo che verbo, usato per indicare l’azione di scardinare dei parametri, di metterli in discussione. Per me è naturale mettere in discussione la mia immagine e analizzarla. 

“La mia identità è un divenire, mi esploro indossando abiti categorizzati come maschili e femminili”

Studiando la storia si nota in maniera palese come i canoni di mascolinità e femminilità evolvano nel tempo, cambino da una cultura all’altra: pensare alla propria identità come a qualcosa di fisso e definito ci forza a prendere decisioni che non dovremmo prendere. La mia identità è un divenire, mi esploro indossando abiti categorizzati come maschili e femminili. Provo diversi indumenti perché sono curioso di conoscermi, conoscere le mie emozioni e le reazioni degli altri.

L’identità non è un’entità che esiste da qualche parte e viene comunicata attraverso gli abiti, bensì si costituisce attraverso gli abiti perché questi sono portatori di idee, e noi attraverso essi articoliamo queste idee. Le società cristallizzano precise idee in certi vestiti per facilità di comprensione, per cui quando ci vestiamo, gli altri interpretano la nostra immagine secondo il sistema di codifica che ci è familiare.
Essere non-binario non significa mescolare codici di mascolinità e femminilità, ma sentirsi liberi rispetto a questi codici, per cui non esiste un’immagine fissa della fluidità, per la sua stessa natura. Io sono queer quando indosso un abito zebrato di Roberto Cavalli del 2002, ma anche quando vesto in giacca e cravatta e pure quando sto in tuta (sgambatissima) in palestra. Io sono queer perché voglio esplorarmi, non definirmi.
Essere consapevoli che esplorarsi pubblicamente abbia conseguenze precise rende l’esplorazione stessa un atto politico. In parole semplici, so esattamente cosa sto facendo quando lo sto facendo. 

“Essere non-binario non significa mescolare codici di mascolinità e femminilità, ma sentirsi liberi rispetto ad essi”

Bisogna anche tenere in conto gli obiettivi dietro agli “atti vestimentari”. A volte lo faccio per me, scelgo un abito che amo perché ho bisogno delle emozioni che mi regala. Altre volte ho un messaggio preciso da inviare a qualcuno. Altre ancora – come quando ho presentato il mio primo libro – sono consapevole che mostrare la mia più marcata femminilità potrebbe essere percepito come fuori luogo, e quindi la metto in scena proprio con l’obiettivo di dire: posso avere la schiena nuda e indossare un completo femminile, questo non intacca la qualità del mio lavoro. 

Ora veniamo all’ultimo elemento che ha un forte impatto sulle mie scelte di abbigliamento. Usare il corpo è una parte fondamentale nel mio lavoro, cerco di articolare le idee attraverso il corpo e gli abiti. Indossare repliche di capi storici mi permette di studiare il loro impatto sul movimento, sulla percezione dello spazio e le possibilità di interazione con gli altri. Quando insegno storia della moda, indosso abiti recenti che abbiano dei riferimenti all’epoca che sto trattando, per mostrare il complesso sistema di referenze e auto-referenze della moda. Uso il mio corpo per mettere in scena riflessioni; comunicandole in maniera non-verbale, lascio più spazio interpretativo agli altri e questo mi permette di mantenere il principio fondamentale che applico quando insegno: l’obiettivo non è dare risposte, ma aiutare a farsi delle domande. 

“Uso il mio corpo per mettere in scena riflessioni; comunicandole in maniera non-verbale, lascio più spazio interpretativo agli altri”

Quindi, come mi vesto? Una risposta sintetica non c’è. Anzi, la bellezza di questa domanda è proprio la complessità e varietà delle sue risposte.
Dovete sapere che Bella nacque come nome drag: Miss Bella Bird. Le performance drag mi hanno permesso per prime di esplorare la mia femminilità dallo spazio “sicuro” del palco. Vedevo Miss Bella come un’identità diversa dalla mia, perciò poteva permettersi di indossare ciò che voleva. Poi, piano piano, è scesa dal palco per parlare col pubblico, è uscita dal teatro, ha fatto tante cose; alla fine sono riuscito anche a vederla nello specchio e ho capito che l’identità continua a cambiare. In un momento preciso, in un luogo preciso, qualcuno mi vede bella ma qualcun altro no, questo è inevitabile. I miei sentimenti, il sentirmi bella, cambiano dal contesto, da chi ci guarda, e non possiamo ridurre il tutto a questi sentimenti tanto volubili quanto influenzabili.
L’importante è essere Bella, sempre.

Matteo Augello è docente di Storia e teoria della moda al London College of Fashion e all’Istituto Marangoni di Londra. Collabora con diverse istituzioni in Italia e Inghilterra e nel 2022 ha pubblicato il suo primo libro Curating Italian Fashion: Heritage, Industry, Institutions, dedicato alla curatela di moda in Italia. Il suo profilo Instagram è @missbellabird.

Nell’immagine in apertura, Matteo Augello, fotografato da Daniele Fummo, indossa un abito Belville Sassoon (courtesy of Tug Store Genova)

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