Designer e stylist, la new wave creativa. Un portfolio

Il ruolo di designer e stylist, nel fashion system contemporaneo, è imprescindibile. Il loro lavoro, poi, è strettamente correlato, perché se i primi plasmano l’estetica dei marchi che dirigono, i secondi provvedono a veicolarla attraverso lo styling, che si tratti di outfit da passerella, shooting o look della celebrità di turno.

MANINTOWN ha selezionato dodici figure di spicco nei rispettivi ambiti che, oltre a posare per l’obiettivo del fotografo Filippo Thiella, ci forniscono un prezioso insight sulla creatività che alimenta il loro operato.

Walter Chiapponi

Quali sono i tratti distintivi, i capisaldi stilistici del “tuo” Tod’s?

Mi piace che le collezioni siano l’espressione moderna dei segni iconici del brand, ovvero la sartorialità e il concetto di selleria, filtrati anche attraverso l’ottica del tipico lifestyle italiano.

Cosa ti ispira maggiormente, da dove prendi spunto per disegnare capi e accessori?

Guardo molto ai grandi personaggi del passato, come Gianni Agnelli, Marcello Mastroianni o John John Kennedy, che riuscivano a definire un’estetica con pochi elementi, ma giusti. Sono convinto che la nonchalance del loro stile, la capacità di sentirsi a proprio agio con tutto ne sottolineassero già all’epoca la contemporaneità.

I must assoluti del guardaroba, quelli su cui magari torni con regolarità nelle collezioni del marchio.

Il capospalla non manca mai, sia nelle collezioni invernali che in quelle estive, perché in qualche modo chiude il look. Un altro must è rappresentato dalla giacca in pelle, nella versione leggera come una overshirt o a mo’ di Valstar, oppure in versione più pesante, tipo biker jacket; in ogni caso, un capo in pelle esprime carattere.

Andrea Adamo

Quali sono i tratti distintivi, i capisaldi stilistici del brand che porta il tuo nome?

L’elemento centrale dell’estetica AndreĀdamo è la nudità intesa come verità. A volte essere nudi spaventa o intimidisce, nella visione del marchio, invece, il corpo e la nudità sono essenziali, così come l’approccio positivo alla propria fisicità, alla percezione di sé. Il colore nudo, in questa filosofia, è universale, per questo non abbiamo voluto dare nomi alle cromie utilizzate, denominandole tutte semplicemente “nudo”, come a significare che si tratta di una diversità visibile solo agli occhi, che bisogna andare oltre qualsiasi etichetta. AndreĀdamo è pensato per esprimere se stessi, i capi prendono vita e diventano unici, seguendo la forma specifica del corpo.

Cosa ti ispira maggiormente, da dove prendi spunto per disegnare capi e accessori?

Sono ispirato dalla vita quotidiana, dagli amici, dalle persone che conosco o da quelle in cui m’imbatto per caso. Tutte le esperienze che vivo nella quotidianità si traducono in suggestioni che elaboro negli abiti, capita che si declinino in un particolare, una silhouette, un taglio o che, più semplicemente, definiscano un mood, un’attitude.
Un’altra grande ispirazione è rappresentata da tutti quei luoghi, persone, culture ed energie che accumulo durante i miei viaggi; per me viaggiare significa libertà completa, immersione nella quotidianità di un posto sconosciuto.
Mi piace perdermi per le strade di una città dove non ero mai stato, sedermi in un bar di quartiere, entrare in contatto con persone che hanno una cultura diversa dalla mia. Esperienze simili sono un’inesauribile fonte d’idee per il mio lavoro, sotto forma di sfumature che, magari, non sono direttamente leggibili per chi vede o indossa un outfit ma, nella mia sensibilità, innescano un ricordo diretto e immediato dell’esperienza vissuta.

I must assoluti del guardaroba, quelli su cui torni con regolarità nelle collezioni del marchio.

In tutte le collezioni AndreĀdamo non mancano capi che originano o si rifanno alla lingerie, dato che parto sempre dal corpo umano, la mia principale fonte d’ispirazione. L’underwear si evolve e modifica, diventando di volta in volta il punto di partenza per un capospalla, il dettaglio di un top o la caratteristica peculiare di un pantalone. Per me è una costante, mi riporta all’idea centrale della mia estetica, all’ispirazione primaria: esaltare le forme naturali, con naturalezza e un pizzico di provocazione.

Christian Boaro

Quali sono i tratti distintivi, i capisaldi stilistici del brand che porta il tuo nome?

Le proposte firmate CHB-Christian Boaro nascono dai contrasti: bianco e nero, maschile e femminile, forza e fragilità. Ho sempre trovato affascinante osservare come il guardaroba dell’uomo e quello della donna potessero dialogare, influendosi a vicenda, così ho scelto di progettare dei capi che si allontanassero il più possibile dalla distinzione binaria di genere. Il messaggio è, semplicemente, di totale libertà.

Cosa ti ispira maggiormente, da dove prendi spunto per disegnare capi e accessori?

Mi ispira la gente comune, la strada, il cinema, la musica, l’arte e qualsiasi cosa catturi la mia attenzione. In ogni collezione ci sono molteplici ispirazioni e riferimenti, tratti da mondi completamente diversi tra loro.

I must assoluti del guardaroba, quelli su cui torni con regolarità nelle collezioni del marchio.

Sicuramente i capi sartoriali, quelli che provengono dal guardaroba maschile; il pizzo, un tessuto sensuale che mi piace utilizzare in modo inusuale; e poi, immancabili, i rimandi allo streetwear e alla couture, tutti elementi che convivono in una “perfetta” dicotomia

Andrea Pompilio

Quali sono i tratti distintivi, i capisaldi stilistici del brand che porta il tuo nome?

Parto dalla storia della sartoria maschile italiana, per rivisitarne le proporzioni, e dalle nuance, per ottenere un look finale molto contemporaneo, in linea con i tempi e gli orientamenti culturali del momento. Colore e abbinamenti cromatici hanno sempre avuto una grande importanza nel mio lavoro. 

Cosa ti ispira maggiormente, da dove prendi spunto per disegnare capi e accessori?

Prendo spunto da tutto, ogni cosa può essere fonte d’ispirazione, la mia mente non sta mai ferma purtroppo, a volte mi sveglio nel cuore della notte con un’idea, un ricordo che risale a uno dei miei tanti viaggi, e sono costretto ad alzarmi per farne uno schizzo. Può trattarsi di un frammento della mia vita frenetica, di un’immagine rubata in aeroporto, del frame di un bel film visto nel fine settimana… Assorbo e colgo continuamente sfumature, che poi si tramutano in idee.

I must assoluti del guardaroba, quelli su cui torni con regolarità nelle collezioni del marchio.

Amo follemente i capispalla e in particolare le giacche, parto sempre da loro per realizzare una collezione; un’ossessione acquisita probabilmente quand’ero piccolo, da mio nonno. Altro mio “feticcio” sono i boxer maschili e la classica t-shirt bianca, sembrano tutte uguali ma in realtà non lo sono affatto!

Alessandro Vigilante

Quali sono i tratti distintivi, i capisaldi stilistici del brand che porta il tuo nome?

Il marchio si esprime attraverso il sottile balance tra erotismo e rigore, tagli iperfemminili e sartorialità maschile, fibre seconda pelle e tessuti scultorei, cut-out grafici e volumi over, colori neutri e tonalità inaspettate (acide, shocking, fluo).

Cosa ti ispira maggiormente, da dove prendi spunto per disegnare capi e accessori?

La danza contemporanea è la mia fonte d’ispirazione primaria; nelle collezioni, la prospettiva e l’estetica di Merce Cunningham si fondono alla carica emotiva di Pina Bausch. Da un lato, la mia attrazione per i cut-out viene sicuramente dall’abbigliamento indossato dai ballerini durante le ore di lezione e prova, o dai loro costumi di scena; dall’altro, è riconducibile alla voglia di lavorare all’essenza dei capi, di togliere piuttosto che aggiungere, scartando e riducendo il tessuto al minimo, incorniciando le parti del corpo che trovo espressive, in particolar modo la schiena.

I must assoluti del guardaroba, quelli su cui torni con regolarità nelle collezioni del marchio.

I miei pezzi iconici – e best-seller – sono il blazer maschile, la gonna midi con spacco stondato, il pantalone dal fit rilassato, il body con dettagli cut-out. La giacca sartoriale tailored in neoprene, con la schiena nuda, è un omaggio a Carolyn Carlson (di cui porta il nome), coreografa e danzatrice americana di fama mondiale; quella oversize con revers lunghi fino al fondo, invece, si chiama Pina Bausch: l’iconica danzatrice e coreografa tedesca, infatti, portava ampi suit di taglio mannish, modellati appositamente per lei da Yohji Yamamoto, suo amico. Per quanto riguarda i tessuti, la natural vegan rubber è immancabile, subisco da sempre una grande fascinazione per questo materiale, la cui lavorazione richiede una tecnica artigianale che non fa che aumentarne il valore.

Salvo Rizza

Quali sono i tratti distintivi, i capisaldi stilistici di Des Phemmes?

Il brand trae ispirazione da ogni forma d’arte, focalizzandosi in particolare sull’immaginario fotografico dei Nineties, legato all’idea di giovinezza e sovversiva femminilità sublimato, all’epoca, da Kate Moss.
Sono affascinato dal rapporto tra luce e corpo, e utilizzo le superfici decorate per accentuare e sottolineare ulteriormente quest’opposizione.
Nel mio lavoro c’è un concetto di “tensione”, originato da antinomie quali uomo e donna, minimalismo e massimalismo; in quello spazio di mezzo, c’è un mondo nuovo che rende interessante il progetto. Nelle collezioni prevalgono dunque capi semplici, arricchiti però da contrasti, dettagli, sproporzioni che li rendono subito più interessanti. È proprio la tensione a generare un elemento di novità, facendo sì che il “difetto” venga valorizzato, diventando un segno di unicità.
L’approccio stilistico di Des Phemmes è a suo modo istintivo, con pezzi ricamati e speciali, dalla matrice quasi couture, mescolati a proposte daywear e street. Ogni capo, da quello più speciale all’ultrabasic, ha lo stesso valore, ma è proprio dalla fusione, dalla costante tensione tra universi opposti che nasce il marchio.

Cosa ti ispira maggiormente, da dove prendi spunto per disegnare capi e accessori?

La mia principale fonte d’ispirazione è la vita stessa, le persone che la costellano. Des Phemmes è una lettera d’amore a tutte le donne che fanno parte del mio percorso, o lo hanno fatto, spesso vengo ispirato da ricordi o indumenti che vedo addosso a chi mi circonda, portati magari con una particolare attitudine, che diventano il punto di partenza per sviluppare un’intera collezione. E poi i richiami fotografici agli anni ‘90, gli scatti di Corinne Day e Juergen Teller, che hanno plasmato la mia estetica personale.
A mio avviso il miglior modo per essere autentici è parlare di se stessi e del proprio vissuto, che per definizione è e resterà unico, differente da quello di chiunque altro.

I must assoluti del guardaroba, quelli su cui torni con regolarità nelle collezioni del marchio.

La camicia mannish in popeline, sempre presente nelle mie collezioni, declinata ogni volta in chiave diversa. L’idea del capo da uomo, oversize, sul corpo della donna è parte integrante dello stile Des Phemmes, la dualità continua tra maschile e femminile è un pò l’emblema di tutto il mio percorso. La camicia, ad esempio, può essere abbinata indifferentemente a longuette ricamate o cargo pants in denim. 

Mauro Biasiotto

Quali sono le peculiarità dei tuoi styling, a livello di reference, estetica, scelta di capi/accessori…?

Una delle principali caratteristiche è l’uso del colore, potrei dire che ricerco delle cromie forti in un mondo minimal, ispirato principalmente all’estetica di fine anni ‘90/inizio anni 2000. Cerco di realizzare degli styling che non si distacchino troppo dalla realtà ma, allo stesso tempo, abbiano un minimo di azzardo e follia, attraverso una ricerca a livello di forme o materiali.

Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?

Sono cresciuto con Mtv, che ha rappresentato anche il mio primo lavoro come stylist, tanti anni fa, dunque musica e vecchi video sono la mia più grande fonte d’ispirazione, in particolare quelli degli autori che si distinguevano per l’uso minimalista dei colori, da Michel Gondry a Chris Cunningham. Negli ultimi anni, invece, a influenzarmi sono stati soprattutto i fotografi che si sono spinti “oltre”, nella moda o nei reportage, come Viviane Sassen o Pieter Hugo.

Lo stylist, oggi, è tra le figure di spicco dell’industria fashion, ha assunto una centralità per molti versi inedita. Cosa può fare la differenza, in una scena sempre più affollata e competitiva?

Credo che la cosa più importante sia sempre non smettere di crederci, seguire il proprio cuore e istinto. Non bisogna avere paura di rischiare, andando avanti per la propria strada senza farsi troppo condizionare né scalfire dalla superficialità della moda (un aspetto, questo, cui contribuiscono anche i media), proseguendo con la propria ricerca personale e restando fedeli al proprio credo.

Leonardo Caligiuri

Quali sono le peculiarità dei tuoi styling, a livello di reference, estetica, scelta di capi/accessori…?

Le mie scelte sono sempre basate sul mio istinto, preferisco non farmi fuorviare da mode a me non consone. Amo l’eleganza, la femminilità e tutto ciò che può definirsi timeless. Per la mia donna, lo styling non ha tempo, risulta sempre contemporaneo, sussurra sensualità e giocosa innocenza .

Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?

La mia più grande fonte di ispirazione, fin da bambino, è mia madre; la mia visione della moda nasce dalla sua forte influenza, in termini di stile, carattere, esuberanza. Amavo guardarla quando si vestiva o si muoveva, era bellissima, sempre alla moda pur senza mai rinunciare alla sua femminilità.
Per anni, la mia unica fonte di ispirazione, a livello editoriale, è stata Vogue Paris, amavo quel tipo di estetica e quella tipologia di femminilità per veicolare uno styling. In termini fotografici e iconografici, invece, mi sono sempre piaciuti autori del calibro di Helmut Newton, Guy Bourdin, Mario Testino e David Sims.

Lo stylist, oggi, è tra le figure di spicco dell’industria fashion, ha assunto una centralità per molti versi inedita. Cosa può fare la differenza, in una scena sempre più affollata e competitiva? 

Stiamo vivendo un momento storico “schizofrenico”, nel quale tutto è possibile. La figura dello stylist è certamente cambiata, ma non sempre o per forza in senso migliorativo. La differenza, nel nostro lavoro, la faranno sempre la professionalità, l’esperienza, la cultura. Mai cambiare il proprio modo di essere per adeguarsi a tendenze passeggere, è fondamentale rimanere fedeli a se stessi.

Christian Stemmler

Quali sono le peculiarità dei tuoi styling, a livello di reference, estetica, scelta di capi/accessori…?

Ho un approccio piuttosto realistico, indossabile, che il più delle volte presenta un legame con le subculture degli anni ‘90/primi anni 2000, ma anche con il glam e il punk degli anni ‘70.
Nei mie styling sono predominanti elementi grunge, techno, denim, pelle, come pure lo sportswear e i codici street. I modelli che vesto indossano boots o sneakers tecniche, spesso anche occhiali da sole; sono visioni di creature divine, che si dirigono in un club chiuso ormai da tempo.

Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?

Sono le persone la mia eterna fonte d’ispirazione, le guardo e parlo con loro, ovunque, per strada, nei bar, sulla metropolitana, nelle discoteche, in palestra, nelle stazioni…

Lo stylist, oggi, è tra le figure di spicco dell’industria fashion, ha assunto una centralità per molti versi inedita. Cosa può fare la differenza, in una scena sempre più affollata e competitiva?

Sicuramente essere un buon ascoltatore e un acuto osservatore, nonché dimostrarsi capaci di creare una narrazione e un’atmosfera, un mondo intorno agli abiti che dia loro vita.

Francesco Casarotto

Quali sono le peculiarità dei tuoi styling, a livello di reference, estetica, scelta di capi/accessori…?

Credo che la cosa che mi contraddistingue maggiormente sia, con ogni probabilità, la manualità. Trovo piacevole, spesso e volentieri, lavorare con materiali e accessori per creare qualcosa ad hoc per lo shooting. Adoro la personalizzazione, un elemento, questo, che deriva forse dal mio background in fashion design. Cerco di aggiungere a ogni look un twist, un tocco speciale. La maggior parte delle volte è anche una necessità personale, uno sfogo, motivo per il quale è nato il progetto Agglomerati.

Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?

Le reference sono le più disparate, penso che ogni creativo sia come una spugna, che assorbe tutto ciò che vede, sente o immagina, per poi filtrarlo e restituirlo in una forma nuova. Un processo che può riguardare un film, una canzone, un’opera d’arte, persino un sentimento.

Lo stylist, oggi, è tra le figure di spicco dell’industria fashion, ha assunto una centralità per molti versi inedita. Cosa può fare la differenza, in una scena sempre più affollata e competitiva?

Secondo me è importante fare una distinzione tra lavoro editoriale e commerciale. Il secondo, svolto per un brand o un’azienda, è assai più complicato. In questo senso la nostra figura è di supporto, perché l’obiettivo di uno stylist non è proporre un’immagine straordinaria in senso assoluto, bensì una che si adatti perfettamente al Dna del marchio, soddisfacendo le richieste sia del marketing che del mercato. Spesso molti stylist si sentono incompresi, creativamente limitati, ma per me creatività significa trovare soluzioni, è una qualità che appartiene a ogni persona che, di fronte un problema o una richiesta specifica, usa la propria testa e i propri strumenti per fornire una risposta, a prescindere dal settore in cui opera.

Lorenzo Oddo

Quali sono le peculiarità dei tuoi styling, a livello di reference, estetica, scelta di capi/accessori…?

Quando inizio a pensare a uno styling, parto ogni volta dal personaggio o dall’estetica che vorrei venisse fuori. Non ho reference precise, mi piace spaziare, essere trasversale. Attingo dalla musica e dal cinema, come pure dall’arte in generale. Credo che nei miei lavori ci sia sempre qualcosa di stridente, quello che io definisco un “errore”, l’elemento “sbagliato”, di distrubo, che poi è la mia ossessione.
Se dovessi scegliere un accessorio cui riservo molta importanza direi le scarpe, ma sono attento anche ai gioielli.

Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?

Traggo ispirazione da tutto, davvero, film, mostre, fotografie e, più di ogni altra cosa, da videoclip musicali e grandi fotografi, passati e presenti. Se dovessi citare una sola persona, sarebbe di sicuro Manuela Pavesi.

Lo stylist, oggi, è tra le figure di spicco dell’industria fashion, ha assunto una centralità per molti versi inedita. Cosa può fare la differenza, in una scena sempre più affollata e competitiva?

Dietro un lavoro all’apparenza semplice, spesso banalizzato, penso che la differenza possano farla solo dedizione e cultura. Sono avido di cultura, a 360 gradi, cerco sempre di approfondire ciò che conosco meno, spesso vengono fuori proprio da lì idee e cortocircuiti mentali utili, poi, all’ideazione e realizzazione dello styling.

Giovanni Beda Folco

Quali sono le peculiarità dei tuoi styling, a livello di reference, estetica, scelta di capi/accessori…?

Credo risiedano nell’equilibro tra severità, delicatezza e sensualità. Cerco di mischiare ambiti estremamente diversi tra loro, sono ad esempio affascinato tanto dalla sartoria quanto dal mondo degli sport estremi, oppure dalla pelletteria. Ogni mio progetto è definito anche da una rigorosa scelta degli accessori, ed è importante non smettere mai di fare ricerca, soprattutto tra i nuovi talenti.

Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?

Principalmente navigo con la fantasia nell’immaginario che circonda il corpo maschile. Ho avuto modo di studiare come, negli anni, moda e fotografia abbiano favorito lo sdoganamento di una nuova concezione di “mascolinità”. In particolare, ho un’ammirazione per i codici queer definiti da Robert Mapplethorpe attraverso immagini sessualmente sfrontate, ma al tempo stesso armoniose.

Lo stylist, oggi, è tra le figure di spicco dell’industria fashion, ha assunto una centralità per molti versi inedita. Cosa può fare la differenza, in una scena sempre più affollata e competitiva? 

Lo stylist è una figura poliedrica, ricopre tanti ruoli che, nella definizione che va per la maggiore, vengono a volte dimenticati; per questo, personalmente, mi piace definirmi più un image curator. Nella scena contemporanea è fondamentale avere una visione propria, chiara e distintiva. L’identità personale deve spiccare attraverso il lavoro, è questo a fare la vera differenza.

In tutto il servizio, ph. by Filippo Thiella

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