Marco Bonadei, dalle pièce a ‘Diabolik’

Reduce dal successo teatrale di Alla greca di Berkoff, ora in sala con Diabolik – Ginko all’attacco!, Marco Bonadei arriva al cinema dopo tanto teatro.
Nato a Genova il 15 ottobre 1986, si diploma alla Scuola del Teatro Stabile di Torino e nel 2011 vince il Premio Ubu come miglior nuovo attore under 30. Nel 2020 è nel cast di Comedians, per la regia di Gabriele Salvatores, regista premio Oscar che lo ha voluto anche nel suo film di prossima uscita Il ritorno di Casanova.

Ma prima che il cinema si accorgesse di lui, Marco ha camminato a lungo sulle assi del palcoscenico, entrando a far parte del gruppo di attori che hanno la loro casa all’Elfo Puccini di Milano. Qui trova un maestro, Elio De Capitani: “Sono 12 anni che lavoro con De Capitani: mi ha cresciuto, è stato un maestro sia d’arte che di vita. Penso che maestri si possa essere in tanti modi. È una fortuna incontrarsi ed è una fortuna poter incontrare qualcuno che, per un certo periodo di vita, possa farti da guida”.

Dopo Alla greca, dove è Eddy, un Edipo della Swinging London che si ribella agli dèi, alle istituzioni, ma anche a Freud, Bonadei sarà di nuovo all’Elfo Puccini di Milano, dal 9 al 12 dicembre, con Il guscio di Ian McEwan.

Marco Bonadei
Marco Bonadei (ph. Paolo Palmieri)

“Da quando è arrivato il lavoro con Salvatores ho cominciato a dedicare al cinema attenzione e impegno”

Da una rilettura di Edipo a una rilettura di Amleto.

Edipo, Eddy, protagonista di Alla greca, sceglie di rinunciare alla violenza, al continuo spargimento di sangue, al senso di colpa. L’Eddy della pièce, che sceglie di rompere i dogmi sociali, e che, invece di accecarsi, sceglie la madre, la donna, ne Il guscio si rituffa nell’utero materno. Divento un feto al nono mese di vita nell’utero di mia madre, nonostante il mio metro e novantuno di altezza. Ne Il guscio abbiamo il mito di Amleto, il testo per eccellenza, che, attraverso la rilettura di McEwan, diventa un divertentissimo giallo. È un giallo perché il protagonista, ascoltando i suoni che provengono dall’esterno dell’utero, si rende conto che un orribile piano per uccidere suo padre sta per essere messo in atto dalla madre e dal suo amante. È Amleto in tutto, tranne per il fatto che l’omicidio deve ancora avvenire e lui cercherà, per quanto in suo potere, di impedirlo.
Pur rivisitando due miti greci, sono due drammaturgie completamente diverse. In Alla greca abbiamo un performer, attore, regista, drammaturgo e poeta arrabbiato degli anni ‘80, che usa il linguaggio nella sua forma più violenta, provocatoria, pungente, esasperata, pornofonica, grottesca. Ne Il guscio, invece, abbiamo un autore, sempre inglese, che fa ricorso a un linguaggio raffinato e borghese.

Così come ogni dio è storicamente determinato, anche i miti possono essere riscritti man mano che la società si evolve?

Assolutamente sì!

“Ho fatto scelte teatrali, mi sono distaccato da alcune realtà per approfondirne altre. È stato il momento più faticoso e doloroso del mio percorso”

Marco Bonadei teatro
Ph. Paolo Palmieri

Tanto teatro e poi Gabriele Salvatores…

È stato un grandissimo incontro, avvenuto anni fa al teatro dell’Elfo. Gabriele mi vide in scena e gli sono tornato alla mente per Comedians, progetto nato nel primo lockdown, quello più duro. Un mese e mezzo di magia a Trieste, chiusi in una bolla, un vero e proprio guscio. Chiusi lì dentro, abbiamo creato questa creatura cinematografica. Eravamo un cast ridottissimo. Abbiamo vissuto tutti insieme con lo scopo di costruire una squadra, una classe, un gruppo di persone che si conoscevano da tempo, con le loro dinamiche. Questo è stato il primo grande regalo di quell’esperienza, perché poterla vivere così a fondo e così immersi, senza andirivieni, senza distrazioni esterne, per me è stato un dono prezioso. Lavorare con Salvatores è meraviglioso.
C’è poi un altro aspetto che mi ha stupito. Gabriele ha chiarissimo in testa cosa vuole raggiungere, ma è al tempo stesso molto aperto alle proposte. Anzi, richiede grande libertà in scena. Ed è la stessa cosa che si aspetta sul palco Elio De Capitani. Entrambi lasciano grande libertà. Ti responsabilizzano nell’atto creativo: una cosa preziosissima.
All’inizio sei in soggezione, poi ti rendi conto che sei necessario al lavoro e quello che devi fare è semplicemente lavorare al meglio ed essere il più generoso possibile.

Con Comedians si è riaperto un sogno.

Ho sempre amato il cinema. I primi anni, dopo l’accademia, non accadeva niente di interessante, qualcosa che desse davvero frutti. Qualche piccolo ruolo in alcune serie, ma erano figurazioni speciali. A poco a poco ho quasi abbandonato l’idea che il cinema facesse per me. Mi sono invece trovato stupito dalla vita quando è arrivato il lavoro con Gabriele: da lì mi sono rincuorato, ho cominciato a dedicare al cinema attenzione e impegno.

“Persone come Servillo e Mastandrea mi hanno fatto scuola, in un linguaggio che finora ho frequentato poco”

Sei stato coraggioso perché non è facile rifiutare di salire sui treni che passano appena esci dall’accademia. Anche solo per la paura che quel treno non ripassi più.

In questi tredici anni dopo l’accademia, c’è stato un momento in cui ho detto: smetti di prendere tutto quello che passa. Ho fatto scelte teatrali, mi sono distaccato da alcune realtà per approfondirne altre. Quello è stato il momento più faticoso e doloroso del mio percorso. Ho dovuto avere coraggio. Finché poi non è arrivato questo dono meraviglioso che è Salvatores. E come non accoglierlo? 

Il regista di Mediterraneo ti ha voluto anche nel film – in uscita – Il ritorno di Casanova.

Siamo tutti in attesa. Penso sia un bellissimo lavoro. Come Salvatores ha già dichiarato in qualche intervista, è un film che ha un aspetto autobiografico, personale, pur essendo tutto centrato su una storia altra. Per me è stata anche l’occasione di lavorare con Toni Servillo… Cosa devo dire? Un altro mostro. Avere lui e Salvatores sul set che lavorano con te è emozionante. La maestria di Servillo è unica. Così come è stato bellissimo lavorare sul set, anche se solo per un cameo, con Valerio Mastandrea in Diabolik: anche lui è magistrale. Tutte queste persone mi hanno fatto scuola, in un linguaggio che finora ho frequentato poco.

Elfo Puccini attori
Ph. Paolo Palmieri

“Diabolik è in qualche modo citazionista di un cinema dallo stile poliziesco, ma con un’estetica molto curata”

Sei anche nel cast di Diabolik – Ginko all’attacco!. La critica è stata più benevola col primo capitolo della saga. I supereroi americani hanno sempre successo. Diabolik era arrivato al cinema nel 1968, con la regia di Bava. Poi più nulla fino allo scorso anno. Perché si è così critici nei confronti di questo personaggio?

Penso che chi lo critica, indipendentemente dalle ragioni, abbia ritrosia nei confronti della scelta stilistico-narrativa che è stata fatta. È molto chiara. Non insegue i ritmi dei tempi odierni, è in qualche modo citazionista di un cinema dallo stile poliziesco, ma con un’estetica molto curata. C’è un gusto vintage nel film, sia nel primo che nel secondo. Questa è una pellicola dai ritmi più sostenuti; più drama e azione rispetto alla prima, che invece era più di presentazione dei personaggi. Almeno questa è la mia lettura. Penso il problema sia una non accettazione del linguaggio scelto.

“Il tema di Apple Banana è quello della propria evoluzione interiore, letto in chiave pop e astratta”

In primavera un altro debutto in teatro.

Prima una tournée di un mese e mezzo in giro per l’Italia, con la ripresa di Moby Dick alla prova di Orson Welles, dove sarò di nuovo con Elio De Capitani.
A marzo debutterò a Milano con un mio progetto, sempre all’Elfo Puccini, con Apple Banana. Parla del tema della scelta, intesa sia come capacità di scegliere giornalmente, che come saper scegliere che essere umano essere. Anche scegliere se staccarsi dal passato e vivere il presente e, quindi, saper scegliere di abbandonare alcune parti di sé per trovarne di nuove. È un lavoro sull’evoluzione di una persona. Il tema è quello della propria evoluzione interiore, letto in chiave pop e astratta, nel senso che è un lavoro dove la narrazione è frammentaria e tutto si incentra su un gioco all’apparenza cheap, cioè la scelta tra un cellulare e una banana… Che di per sé non vogliono dire niente, ma nascondono significati da scoprire insieme.

Marco Bonadei 2022
Ph. Paolo Palmieri

Nell’immagine in apertura, Marco Bonadei fotografato da Paolo Palmieri

FacebookLinkedInTwitterPinterest

© Riproduzione riservata