PIETRO SEDDA, il re dei tattoo

Pietro Sedda ha abbracciato il mare con la propria arte, quella del tatuaggio. Una disciplina in cui è maestro e che assume le sembianze dei marinai delle novelle – coloro che solcavano il mare in un’alternanza di donne e paesi – e delle balene leggendarie, e che lo ha portato a diventare uno degli artisti più richiesti. Chino sul tavolo da disegno, ha chiamato il suo studio nell’unico modo in cui, poi, non si può che finire per soprannominare lui: The Saint Mariner.

Come ti sei avvicinato alla tua professione?
Mi sono avvicinato al tatuaggio più per necessità che per predisposizione romantica, con l’aiuto di amici che mi hanno spinto e sostenuto.

In che modo i social l’hanno influenzata?
Quando ho iniziato io, servivano almeno dieci anni d’esperienza per carpire i segreti e riuscire a tenere collegati il cervello e la mano. Ora, dopo sei mesi, si è già delle star, anche se non si conosce propriamente il mestiere.

È possibile diventare tatuatori famosi più come personaggi che per la bravura?
È capitato spesso che molte persone venissero da me solo per il mio nome e non perché seguissero il mio lavoro e le mie ricerche. Io faccio un po’ la vita del bottegaio, molti mi conoscono, io non conosco nessuno: mi sembra una posizione perfetta.

Il tuo rapporto con i social?
Non intervengo né commento mai, cerco di essere il più asettico possibile.

Cosa pensi della figura dell’influencer?
Mi sembra un gioco torbido, più un divertissement che un lavoro. Con MySpace era diverso, mostravi un contenuto, mentre ora sembra di entrare nella gabbia dei leoni: sono tutti giudicanti, tutti migliori, tutti devono dire la loro.

Perché credi abbiano successo?
Siamo lobotomizzati.

Come è nata la collaborazione con Parfumerie Particulière?
I ragazzi di Parfumerie Particulière mi hanno coinvolto nel progetto per illustrare il packaging. È stato un lavoro durato un anno, ma molto soddisfacente: da venti illustrazioni ne sono state scelte otto. L’ultima, Madeleine, è nata prima come un’illustrazione femminile e poi si è evoluta in quella attuale, un volto maschile, senza genere. A Marzo uscirà, poi, “Pietro Sedda – The Saint Mariner”, con una fragranza dalle suggestioni legate al mare, ai marinai ubriachi e alla loro vita balorda.

Cosa pensi del discusso tema gender?
Non sono giudicante per la sessualità. Per tanti anni ho sostenuto la cultura queer, alquanto frammentata in Italia, nonostante un tempo fosse molto attiva. Se una bambina, una mattina, guardandosi allo specchio capisse di essere un bambino sarebbe fantastico, ma tutto dipenderebbe dal contesto sociale, dalle condizioni di vita, dai genitori. Nell’ambiente del tatuaggio, un mondo nato tra motociclette e tette, c’è stata molta omofobia. Fino a sette anni fa era difficile che qualcuno si tatuasse il volto di un uomo, preferendo quello della propria donna. Il mio lavoro è partito anche dal trovare i clienti giusti.

Mare e marinai sono da sempre il fil rouge del tuo lavoro. Da dove arrivano?
Ho sempre avuto il mare davanti, anche d’inverno, quando lavoravo nel mio studio ad Oristano. Contemplarlo mi fa stare bene. È l’unica cosa che manca in questa città perfetta che è Milano.

L’odore che ti è più caro?
Il cisto selvatico. Inebriante.

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