Santi Francesi, la vita – e il successo – dopo X Factor

Cosa significa passare da un album autoprodotto a un EP che le persone quasi pretendono dai vincitori di un talent? Cosa ha rappresentato Creep nella loro vita, prima di quel secondo live finito dritto nella storia di X Factor? Cosa si prova a centrare un pezzo come Vaniglia? Qual è lo schianto che temono di più, ora che tutto è da scrivere sul serio? Ma soprattutto: riusciranno mai a staccarsi l’uno dall’altro e abitare in case separate?
Intervista ad Alessandro De Santis e Mario Francese, gli unici che non avrebbero puntato su se stessi neanche quando tutta Italia aveva già scommesso sulla vittoria dei Santi Francesi. Stupendi.

Santi Francesi album
Total looks Antony Morato

Fin dalle audizioni, sapevamo tutti che sareste andati avanti, anzi, che probabilmente avreste vinto. Anche voi avevate un po’ questa consapevolezza o arroganza?

Alessandro: Probabilmente eravamo gli unici a non saperlo. Siamo arrivati a X Factor privi di qualunque castello in aria, non eravamo neanche troppo convinti di partecipare. Però dalla seconda puntata in poi, qualche volta ci è capitato di pensare che saremmo potuti arrivare alla fine. Di sicuro ci interessava dare spettacolo.

Mi raccontate questo “cinismo colorato” con cui venite identificati? Il mio lo chiamo “pessimo umore ma con un sereno sarcasmo”, è qualcosa del genere?

A: Potremmo avvicinarlo alla sensazione di profondo legame con ciò che è reale e oggettivo, però sempre col buonumore di sottofondo, anzi, alla fine diventa quasi una sensazione di appagamento e leggerezza, nata proprio dal cinismo. Questo si ripercuote su di noi anche a livello musicale, è l’immagine e l’atmosfera che cerchiamo di comunicare.

Santi Francesi stile
Total looks Diesel

Cos’è cambiato di più dal 2019 di Tutti Manifesti (album autoprodotto che fece il boom su Spotify) all’EP In fieri, uscito post X Factor?

Mario: Siamo cresciuti, abbiamo maturato una consapevolezza. Il titolo si riferisce anche al fatto di sentirsi sempre un po’ incompiuti, di non voler raggiungere una dimensione definita.
Alla produzione di un brano, però, ci approcciamo sempre nello stesso modo: le cose ci capitano. Cogliamo l’attimo, il fatto di vivere insieme aiuta. Per il resto, chiaramente, i giochi sono cambiati, è diventato un vero lavoro, ci sono più persone con cui interfacciarsi.

Non si può ignorare lo scatto dalla produzione in solitaria all’attenzione mediatica. Come proteggete la vostra concentrazione creativa?

M: Ora è diverso, c’è sempre quella paura che non sia più un processo naturale, del dirsi “devo scrivere i pezzi, è il mio mestiere”. Dall’altro lato, però, per entrambi è stata sempre una necessità. Quindi siamo un po’ impauriti ma soprattutto gasatissimi; speriamo di sentirci sempre il fiato sul collo, perché vuol dire che la musica ci sta facendo mangiare.

Dopo Amici e prima di X Factor, avevate riserve e pregiudizi sui talent. Alla fine ne avete vinto uno: vi sentireste di dire che oggi questo format fa davvero la differenza?

A: Ci tengo a farlo capire: non vogliamo prendere in giro nessuno, siamo davvero convinti che la strada sia lunga. Il talent, nel momento in cui funziona come per noi, è una possibilità in più da non disdegnare. Anche perché i meccanismi sono cambiati molto, non ci sono più solo i ragazzini che dalla cameretta finiscono sul palco di X Factor, anzi, spesso arrivano artisti in giro già da qualche anno, come noi o i Tropea. Quindi ben venga il talent che riesce a mettere al primo posto la musica e la carriera degli artisti.

Santi Francesi gruppo
Total looks Moncler

Sulla visibilità e le possibilità offerte, c’è poco da discutere. Ma come crescita musicale vi è stato utile?

A: Non è cambiato granché nel nostro modo di fare musica. Naturalmente ci sono anche da menzionare Mirko (Rkomi, ndr) e Katoo, il suo produttore, con cui abbiamo un bellissimo rapporto e ogni volta ci ha aiutato a produrre i pezzi. Ma tutto quello che è uscito, era fatto da noi.
Di sicuro ci è servito ad acquisire un po’ di consapevolezza in più, a dirci “forse ‘sta roba non fa cagare”, prima ce lo dicevamo spesso.

Quando si scrivono frasi come «il mio sangue ti somiglia» o «io sono un bambino e tu sai di vaniglia», cosa si prova? Esaltazione? Consapevolezza di aver centrato un testo? Paura di non riuscire a replicarsi?

A: Vaniglia è un pezzo molto importante, ma come succede alle canzoni preferite dal pubblico, spesso l’artista non vuole quasi più sentirle. È un brano che tuttora ci fa riconoscere ciò che è stato, però siamo in mutamento costante. Ora come ora, non scriverei mai una canzone come Vaniglia.

M: È difficile riflettere col senno del poi su quello che è successo in quel periodo. Quando Vaniglia ha ottenuto quella risonanza inaspettata, prima di tutto c’era una sensazione di appagamento totale. Più che la paura di replicarsi, c’era la voglia di alzare ancora l’asticella.

Penso a brani come Medicine o Spaccio con i FASK, al Giffoni Festival insieme a Franco 126, alle aperture dei live di Blanco e Madame, per non parlare della soundtrack di Summertime per Netflix, che più pop di così si muore. State cercando di evitare un target, abbracciando più pubblico possibile?

A: Sì. C’è principalmente la voglia di gettare un sacco di ami, o comunque di punti interrogativi (tra l’altro hanno la stessa forma). Scoprire quante persone possano legarsi alla nostra musica. Credo sia vincolante cercare di comunicare solo con una fetta di pubblico, non ci è mai passato per la testa. Oltretutto la musica che ci piace e facciamo, probabilmente, ha il potenziale per arrivare a un numero ampio di persone. Anche nel modo di scrivere, cerchiamo sempre di non spiegarci fino in fondo.
Credo sia un grande atto di fiducia dell’artista nei confronti del pubblico: non rivelare esattamente ciò che vuole dire, lasciare uno spazio di riflessione, dar da mangiare ai dubbi.

Che legame avevate con Creep dei Radiohead, prima che gli spettatori la legassero così profondamente a voi?

A: Forse puoi immaginarlo, ma sono molto legato a Creep perché descrive sensazioni che ho provato spesso. Si tratta del rifiuto di me stesso, della paura di ciò che a volte arrivo anche solo a pensare. Farsi paura da soli, sì: è la canzone che meglio lo descrive nella storia, anche a livello strumentale è di una violenza inaudita.

M: Ho un rapporto di timore con Creep, mi fa talmente paura che mi sono quasi rifiutato di farla, quando Ale me l’ha proposto. È perfetta, strumentale, testo, melodie, come fai a riproporla? Poi abbiamo deciso di prenderla per com’era, nella sua semplicità più struggente, partendo da piano e voce. Abbiamo pensato fosse l’unico modo per non snaturarla.

Santi Francesi Alessandro Mario
Total look Paul Smith, bag Montblanc

vi siete accorti che stava succedendo qualcosa? L’avete sentita la reazione del pubblico?

M: Ricordo solo Ale che si gira verso di me subito dopo l’esibizione e dice: “Fra’, mi sa che è piaciuta” (ride).

A: La botta del pubblico non è arrivata subito, forse non abbiamo capito immediatamente quanto fosse piaciuta l’esibizione. Però ricordo che in quel momento mi sono reso conto per la prima volta di quanto fosse fico quello che stavamo facendo. Siamo tornati in hotel, ho guardato la puntata e ho detto: “Sì, questa è una cazzo di roba che mi fa accapponare la pelle”. Ci siamo divertiti.

In questo momento convivete? O meglio, pensate ancora di essere rispettivamente l’unica persona con cui l’altro possa vivere?

(Ridono) Sì, speriamo non per molto. Stiamo entrambi cercando casa a Milano, per trasferirci ognuno nella propria dimora.

Due pronostici: il rischio più grande che correte e il punto più alto che pensate di poter raggiungere.

A: Il rischio è semplice, calcolato e sotto gli occhi di tutti, perché è legato al talent, al partire con un’esposizione grande che poi magari rallenta. È sempre meno rischioso il contrario, crescere pian piano.

M: Il punto più alto? La possibilità di fare vari palazzetti in Italia, e non utilizzare i social.

I social li odiate, quindi ce la potete fare. Ma per quanto riguarda i tour, perché così umili? L’acustica dei palazzetti è pessima…

(Ridono) C’hai ragione. Allora diciamo il Parco di Monza, per il resto teniamoci stretta un po’ di scaramanzia.

Santi Francesi X Factor
Total looks Emporio Armani

Santi Francesi concerti
Total look Paul Smith, bag Montblanc

Santi Francesi canzoni
Alessandro total look Valentino, Mario total look Emporio Armani

Credits

Talent Santi Francesi 

Editor in Chief Federico Poletti 

Text Chiara Del Zanno 

Photographer Mattia Guolo 

Production & styling Alessia Caliendo 

Grooming Filippo Ferrari @Blend Management

Hair Davide Perfetti @Blend Management

Production assistants Sara Passaretti, Clementina Anzivino

Light assistant Jacopo Peloso  

2nd light assistant Alessandro Germani 

Special thanks Il Piccolo Lab

Nell’immagine in apertura, i Santi Francesi indossano total looks Antony Morato

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