S|Style, a Pitti Uomo i designer emergenti che coniugano sostenibilità e ricerca creativa

Tracciabilità, filati riciclati (e riciclabili), tessuti di recupero o upcycled, uso della tecnologia per contrastare gli sprechi che, per una delle industrie in assoluto più inquinanti qual è la moda, costituiscono un gigantesco problema; sono alcune delle parole d’ordine adottate dai brand di S|Style, area di Pitti Immagine Uomo che, da tre anni a questa parte, porta avanti uno scouting dall’impronta fortemente inclusiva e internazionale, promuovendo il lavoro di designer emergenti che, nel realizzare le proprie collezioni, ricorrono a pratiche virtuose sotto il profilo etico e ambientale, unendo eco-responsabilità e desiderabilità dei capi.
A illustrarci le peculiarità dei marchi protagonisti quest’anno nella Sala delle Nazioni, in Fortezza da Basso (nello specifico, Ksenia Schnaider, Dalpaos, Permu, Cavia, Dhruv Kapoor, Isnurh, Steven Passaro, Jeanne Friot, Olooh Concept, Young n Sang), soffermandosi anche su credenze più o meno infondate ed esempi lodevoli, da imitare, è la giornalista e stylist Giorgia Cantarini, curatrice e ideatrice del progetto.

S|Style Pitti Uomo
Giorgia Cantarini, curatrice del progetto S|Style di Pitti Immagine Uomo

S|Style Pitti 104
Steven Passaro

“La soddisfazione maggiore è l’arrivo negli store, vedere che i brand di S|Style hanno riscontri commerciali e riscuotono il gradimento sia della stampa sia del pubblico”

S|Style è giunto alla settima edizione, a tre anni dal varo qual è il bilancio di quest’iniziativa, gli obiettivi già centrati e quelli a cui puntare negli anni a venire?

Sicuramente tra quelli già raggiunti il fatto che buona parte dei designer passati da S|Style abbiano fatta molta strada; sono approdati nei negozi più importanti e, in diversi casi, sono state offerte loro collaborazioni prestigiose o riconoscimenti. Steven Stokey-Daley (fondatore e creative director del brand S.S. Daley, ndr), ad esempio, che ha presentato con noi la prima collezione, ha vinto l’LVMH Prize 2022, Phipps ha firmato una collab con Boss, Uniforme è stato selezionato per la finale dell’Andam Fashion Award, Vitelli ha iniziato a lavorare con Collina Strada… Insomma, parecchi di loro si sono fatti notare e stanno portando avanti il proprio percorso. Personalmente, la soddisfazione maggiore è però l’arrivo negli store, vedere che hanno riscontri commerciali e riscuotono il gradimento sia della stampa sia del pubblico, cominciano ad essere nomi su cui puntare nel contesto del menswear. 

Nell’immediato, invece, ci attende la partnership con Kering, uno step ulteriore, perché potremo offrire una fase di formazione, avviando una mentorship col Material Innovation Lab, il centro di ricerca del gruppo che si occupa di tutto ciò che concerne la sostenibilità. Questo darà l’opportunità ai creativi selezionati di accedere a risorse difficili da ottenere per le rispettive griffe, di dimensioni ridotte; sicuramente potranno acquisire un know-how unico nel suo genere e saranno legati a una multinazionale che garantisce enorme visibilità. L’auspicio è che i più dotati vengano notati anche da altre maison e, di nuovo, riescano a entrare nelle boutique di riferimento in tutto il mondo. 

S Style sostenibilità
Isnurh

“La sostenibilità è un percorso estremamente lungo e tortuoso, che interessa il business a 360 gradi”

Da Cavia a Dalpaos, sono dieci i marchi selezionati per la 104esima edizione di Pitti Uomo, potresti fornirci una panoramica, illustrare brevemente le caratteristiche precipue di ciascuno?

Sono marchi piccoli, perciò si avvalgono tutti di materiali “fine pezza”, cioè le giacenze che si accumulano nei magazzini delle aziende manifatturiere. Alcuni hanno attive delle partnership con altre realtà del settore, si possono citare tra gli altri Permu e Steven Passaro, che fanno ricorso alla prototipia 3D, evitando di realizzare un numero eccessivo di pezzi di campionario e modellando tutto prima, per gestire al meglio l’intero ciclo produttivo; Ksenia Schnaider, che collabora col produttore di denim sostenibile ISKO; i danesi di Isnurh, coi loro capi in cotone organico certificato Oeko-Tex, che hanno trovato il modo di stampare senz’acqua, inoltre una parte della linea di ready-to-wear è artigianale, lavorata a mano (come avviene anche da Cavia), un’altra ancora viene ottenuta da tessuti certificati o vintage (e lo stesso vale per Dalpaos). 

“Sono esempi di best practice le imprese che mettono tutto in piazza, comunicando in maniera onesta e chiara, fornendo un quadro d’insieme che sia verificabile”

La sostenibilità è un argomento ormai all’ordine del giorno, eppure la confusione in materia è ancora tanta, basti pensare che un recente studio della Commissione europea ha evidenziato come oltre la metà delle indicazioni fornite dai brand siano vaghe, fuorvianti o del tutto infondate, mentre quasi la metà dei 230 che si professano “eco” non può fregiarsi di adeguate procedure di verifica. Puoi indicarci alcuni falsi miti da sfatare sull’argomento e, all’opposto, le best practice?

La sostenibilità è un obiettivo ad oggi irraggiungibile, non a caso la denominazione S|Style sta per sustainable style, quello perseguito dalle nostre label, responsabili e con un’attitudine – sul lungo termine – sostenibile; ci mettono il massimo impegno, però non possono definirsi pienamente tali, perché a monte c’è un percorso estremamente lungo e tortuoso, che interessa il business a 360 gradi, non riguarda solo la produzione dei capi, ma anche la tipologia dei materiali, la catena del valore, i fornitori, gli standard da adottare…
Nessuna griffe, a parte eccezioni virtuose alla Patagonia, può dirsi sostenibile al 100%, quelle della sezione sono però un esempio di cosa voglia dire essere coscienziosi, avere a cuore certe tematiche fin dal principio…

Tra i falsi miti, innanzitutto la pelle vegana, che purtroppo in termini di sostenibilità è peggio di quella naturale, infatti si stanno sviluppando alternative bio-based o rigenerative; bisogna comunque ammettere che, fintanto che continueremo a consumare carne, perlomeno con la concia dei pellami si evitano sprechi, reimpiegando gli scarti alimentari.
Si può fare un discorso simile per la finta pelliccia: i trattamenti e coloranti usati per riprodurre l’effetto del pelo animale la rendono più inquinante delle pellicce classiche, per quanto siano allo studio soluzioni meno impattanti. Si parla tanto, poi, di tessuti riciclati, ma il nodo riguarda la riciclabilità degli stessi, altrimenti rimane il problema di dover reimmettere sul mercato prodotti nuovi.
Sono esempi di best practice, al contrario, le imprese che mettono tutto in piazza, comunicando in maniera onesta e chiara se e come si stiano muovendo in tale direzione, fornendo un quadro d’insieme che sia verificabile. Rientra tra le best pratice anche il tenersi aggiornati sulle innovazioni e migliorie tecniche introdotte man mano (in particolare sulle lavorazioni che consentono di sprecare meno acqua o prevedono un limitato consumo di suolo, mi viene in mente l’agricoltura rigenerativa), come pure seguire gli aggiornamenti a livello legislativo e di certificazioni; sotto quest’aspetto, l’azienda migliore, trasparente in tutto e per tutto, è – ancora – Patagonia, che arriva a dire esplicitamente ai consumatori “se non vi serve, non compratelo”.

“Il focus di S|Style è la selezione, con marchi scelti non solo per l’approccio sostenibile, ma anche per l’effettiva vendibilità, per il valore intrinseco delle proposte”

S Style Pitti Firenze
Permu

Come vorresti evolvesse il progetto da qui ai prossimi anni?

Certamente sarebbe bello aprirsi anche alle realtà femminili, sebbene al momento non credo avremmo la capacità di gestire più di dieci label per volta; voglio che il focus di S|Style resti la selezione, i marchi devono essere scelti non solo per l’approccio sostenibile, ma anche per l’effettiva vendibilità, per il valore intrinseco delle proposte.
Di brand ce ne sono tanti, fin troppi, spesso si dà grande rilievo alla sostenibilità mentre la creatività passa in secondo piano, eppure le maggiori resistenze dei potenziali clienti sono dovute proprio al fatto che non vogliono mettersi addosso abiti esteticamente poco validi, non desiderabili. Non possiamo farci illusioni, nessuno acquista – o meno – un prodotto solo perché “buono”, comprare un vestito è un gesto emozionale, è nella natura umana essere attratti da ciò che ci piace, trasmettendoci sensazioni gradevoli. 

S Style 2023
Kseniaschnaider

Nell’immagine d’apertura, Giorgia Cantarini, curatrice del progetto S|Style di Pitti Immagine Uomo

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