78mo Festival del Cinema di Venezia – guerra e violenza nei film di denuncia

Reflection

L’idea del film nasce da un fatto accaduto nella vita personale del regista, Valentyn Vasyanovych, che assiste assieme alla figlia allo schianto di un uccello sulla finestra di casa, una metafora, il passaggio dalla vita alla morte.

Siamo nel 2014 nell’Ucraina orientale durante le prime fasi del conflitto Russia-Ucraina e assistiamo ad atroci torture, violenze e crimini realmente accaduti e documentati, le brutalità commesse dalle truppe filorusse sui prigionieri di guerra: strangolamenti, scariche elettriche, sevizie, torture medievali, trapani che lacerano carni ed ossa.

Il protagonista, un medico catturato dalle forze militari russe, assiste e subisce le spaventose umiliazioni cui lo spettatore non riesce a sostenere, spesso lasciando la sala del Festival. Volutamente cruento nella prima fase, volutamente silenzioso nella seconda, nel momento in cui il protagonista riesce a sopravvivere alla guerra e cerca appunto nel silenzio di ricostruire i rapporti con la ex moglie e con la figlia, Reflection lancia in immagini/metafore le grandi riflessioni sulla vita. L’importanza dei rapporti umani, il valore degli affetti, il significato della vita.

Non lasciare tracce – (Leave no trace)

Ricorda il caso di Stefano Cucchi, il giovane morto dopo un pestaggio sotto custodia cautelare sette giorni dopo l’accaduto, questa pellicola di Jan P. Matuszyński.
E’ la storia vera di Grzegorz Przemyk (Mateusz Górski), figlio della poetessa e attivista Barbara Sadowska (Sandra Korzeniak), ucciso a calci nello stomaco dalla polizia comunista, la Milicja Obywatelska (era il 14 maggio del 1983).
Il giovane studente festeggia nella piazza del Castello di Varsavia la maturità, fermato dalla polizia rifiuta di esibire i documenti di identità e viene così portato in centrale, dove in pochi minuti avviene il pestaggio davanti agli occhi dell’amico, il protagonista del film che lotterà fino alla fine per ottenere giustizia.
La verità verrà sotterrata con ogni mezzo dalle autorità ministeriali, con depistaggi che porteranno le accuse a infermieri innocenti, in un crescendo di rabbia e frustrazione e ingiustizia che incolla allo schermo lo spettatore in attesa della sentenza finale.
Qui il male trionfa, la contraffazione dei fatti è così capillare che la stanchezza prende il sopravvento, anche sulla madre raggomitolata nel dolore e arresa; solo l’amico fidato dirà la verità in tribunale, fino all’ultimo spiraglio di speranza, ma il potere dei miliziani è troppo radicato e la violenza dello Stato mortalmente pericolosa.
Noi possiamo solo parlarne e urlare la verità affinché il ricordo possa pulire tanto degrado.

Vera sogna il mare
di Kaltrina Krasniqi

Lei è un’interprete del linguaggio dei segni, lui, il marito, un giudice in pensione. La morte del marito, suicidatosi senza lasciare lettere di addio, apre infinite porte dove dietro si celano la dipendenza al gioco, le eredità sperperate, le proprietà che la malavita torna a riprendersi.
Minacce, pedinamenti costanti, il rischio che la figlia venga uccisa, obbligano Vera a cedere alle ingiuste richieste.
La storia svela una donna forte, che lotta per non cedere alla prepotenza ostile, corrotta, maschilista della società in Kosovo ai giorno nostri.
Un film di denuncia e di orgoglio, di dignità e di arrendevolezza come unica soluzione per la sopravvivenza, dove le difficoltà vengono rappresentate sullo schermo attraverso la forza del mare, che si fanno sempre più soffocanti e violente quando Vera rischia di “annegare”.


78 Festival del Cinema di Venezia – i film da non perdere

Freaks out! di Gabriele Mainetti ha stupito tutti a Venezia per la delicatezza del racconto della diversità

Freaks out

Mirabolante! “Freaks out” di Gabriele Mainetti è una storia delicatissima di “diversi che senza circo sono solo dei mostri”, come afferma uno dei fantastici 4 personaggi dotati di superpoteri. C’è tanto della poesia de “La forma dell’acqua” nella rappresentazione dell’amore e della tenerezza verso il mostro, tanto dei personaggi strambi amati da Diane Arbus, la fotografa morta suicida la cui storia é stata interpretata da una Nicole Kidman che si innamora dell’uomo lupo. 2 anni di post-produzione per una pellicola che tiene incollati allo schermo, azione, storia, ironia, colpi di scena, fotografia ed effetti speciali. Anche qui il Festival del Cinema avvicina al crudele tema della guerra, durante il periodo fascista, e il cinema è il mezzo forse più veloce e potente per aprire cuori e menti.

Toni Servillo in una delle scene di Qui rido io, film di Mario Martone presentato al Festival del cinema di Venezia 2021

Qui rido io

Qui Rido io di Mario Martone è la storia vera di Eduardo Scarpetta, il più grande commediografo e attore comico del ‘900 italiano. Un uomo generoso con il pubblico e severo con la famiglia, a tratti egoista, un dongiovanni che coabitava con mogli ed amanti e rispettivi figli, quelli riconosciuti e quelli che lo chiamavano “zio”, Titina, Peppino ed Eduardo De Filippo, che presero poi il cognome della madre.
Per Scarpetta teatro e vita vera si mescolavano, la sua esistenza sfarzosa in palazzi imperiali lo portavano ad un atteggiamento imperioso che obbligava la sua cerchia ad una sudditanza “naturale”. Fino a quando l’episodio dannunziano, la messa in scena della parodia della “Figlia di Iorio”, l’opera di Gabriele D’Annunzio, lo vede accusato di plagio; sarà Benedetto Croce l’unico a sostenerlo, testimone di una malinconia che prende il sopravvento, di un mondo che muore e della nascita di un teatro nuovo.
Toni Servillo ha letteralmente divorato il palcoscenico.

Le cose che restano è il docufilm omaggio al grande direttore d’orchestra Ezio Bosso che ha commosso la giuria del Festival di Venezia 2021

Ezio Bosso. Le cose che restano

Per Ezio Bosso, interprete, direttore d’orchestra e compositore, esiste una “Teoria delle 12 stanze in movimento”, l’ultima delle quali tornerà a noi come prima nel momento in cui impareremo a riconoscerci, per poter essere liberi, per sempre.
Il docufilm di Gabriele Salvatores che in Ezio Bosso vedeva l’artista musicale che lui non è mai stato, è una finestra sul giardino dei mille volti che hanno avuto la fortuna di incontrare un grande comunicatore. Con la sete di sapere e la fame di musica che ha dall’età di quattro anni, Ezio Bosso è riuscito nell’intento di avvicinare “il popolo” alla musica classica, di portare la gente comune nei teatri; un film dalle infinite citazioni e dalla colonna sonora che Bosso ha regalato all’Italia intera, la direzione dei Carmina Burana all’Arena di Verona, le tre ore e mezza di musica e spettacolo nel Teatro Verdi di Busseto, in provincia di Parma, andato poi in onda su Rai3 in cui spiega Beethoven.
Una lunga storia d’amore e di dolore, quello che lo ha fermato e allontanato dalla musica, la malattia degenerativa che aveva da 2011.
Le sue esibizioni non sempre erano perfette, lo ha dichiarato anche il suo ufficio stampa, ma non è forse l’imperfezione a renderci unici?!

Redenzione, spiritualità e perdono sono i temi del bellissimo Capitan Volkonogov Escaped presentato al Festival del cinema di Venezia 2021

Captain Volkonogov Escaped

Captain Volkonogov Escaped di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov è la storia di una redenzione.
Fedor Volionogov è il capitano del servizio di sicurezza nazionale russo, il suo compito è quello di catturare i “nemici dello Stato”, per lo più vittime innocenti che vengono seviziate e uccise per accuse inesistenti.
Uno spirito notturno, una spiritualità che si era sopita, lo avverte dell’Inferno imminente dandogli la speranza di un Paradiso eterno solo nel caso in cui almeno uno dei famigliari delle vittime da lui uccise, gli avesse concesso il perdono.
Incontrerà un padre che aveva ripudiato il proprio figlio credendolo un traditor di patria; una moglie impazzita per aver perso il marito per sempre; una figlia che credeva il padre ancora vivo; un bambino che brucia gli oggetti del padre perchè “un traditore non può chiamarsi padre” e una figlia chiusa in soffitta, sull’orlo di morire, sarà lei il limbo per poter accedere all’alto oppure in basso…

Il pubblico di Venezia 2021 ha accolto con calore anche il film Imaculat di Monica Stan e George Chiper: una drammatica e autobiografica

Imaculat

Volutamente claustrofobico, volutamente lento, volutamente irritante, volutamente silenzioso, il film sceneggiato da Monica Stan racconta la sua dolorosa e reale storia, le vicende di una tossicodipendente in un centro di riabilitazione tra giochi di potere taciti e non.

Di Monica Stan e George Chiper