‘Tempo e Memoria’, in mostra alla Cardi Gallery le opere di Vincenzo Agnetti

Tempo e Memoria: sono questi i due oggetti fisici su cui si concentra la riflessione di Vincenzo Agnetti, condensata nelle opere esposte nelle due sedi di Cardi Gallery, a Milano e Londra, visibili fino al primo settembre. Dopo un soggiorno in Argentina con la famiglia, dove lavora nel campo dell’automazione e si rifiuta di dipingere (periodo che lui stesso chiama della “liquidazione” o dell’”arte no”), l’artista torna a produrre dal 1967 al 1981, concentrandosi sulla parola scritta e la sua traduzione in immagine, attraverso incisioni su bachelite e marchi su feltro, che ci accompagnano durante la visita negli spazi della galleria.

Il valore delle parole nel corpus agnettiano

Osservando le opere esposte sembra di tornare indietro nel tempo, al periodo delle scuole dell’obbligo: si possono infatti ammirare, su un nero di ascendenza e proporzioni maleviciane, i segni del gesso con cui Agnetti si cimentava nell’operazione impossibile di sintetizzare e tradurre il suo pensiero. Accogliendo la sfida, si è servito di un linguaggio semplice e univoco come quello matematico per tenere la sua lezione. E in effetti lui stesso era solito concepire i propri lavori come memorandum critici, che i fruitori potevano utilizzare per proseguire la riflessione iniziata dal primo approccio all’artwork.

Le opere esposte alla Cardi Gallery

Il tempo è il peso mentale degli eventi, ad esempio, è il grafico di una retta che inizia nell’origine di due assi cartesiani, di cui l’ascissa, e quindi la variabile indipendente, è proprio il peso mentale. Qui la prima affermazione, fortissima, dell’autore: gli eventi non esistono fuori dalla nostra mente, e il tempo è una funzione dell’operazione che essa fa nel soppesare gli eventi stessi. Formulazione che può apparire complessa per un’esperienza comune a tutti noi, basti pensare a espressioni quali “è passato in un attimo” oppure “non passa più” in riferimento al tempo, con cui, effettivamente, misuriamo la “gravità” con cui esso è trascorso.

La storia è l’espansione della memoria, altro assioma agnettiano (espresso peraltro, in altri termini, da Foucault), tende invece a sottolineare come la Storia non coincida mai con gli eventi o con la memoria di essi, ma sia sempre eccedente. L’operazione di espansione prende corpo, così, nella sfera narrativo-teleologico-dialogica: una storia, e anche la Storia con la S maiuscola, è sempre un racconto con un determinato fine per un determinato pubblico.

Altra opera in mostra, L’evoluzione è la Storia dimenticata a memoria: viene qui introdotto il concetto centrale per il tema dell’exhibition. L’artista milanese, sovvertendo la concezione adottata nel senso comune, afferma infatti che la memoria è assorbimento obliante entro se stessi. Un’idea arrivata lontano, considerando le teorie esposte da Richard Dawkins nei saggi Il gene egoista e Il fenotipo esteso, che l’etologo britannico elabora sostenendo che manifestazioni e comportamenti esteriori condizionino la natura dei geni degli organismi. Questi, perciò, sono la nostra memoria ultima, proprio come l’evoluzione è la Storia dimenticata a memoria, appunto.

Le incisioni dell’artista milanese

Vincenzo Agnetti opere

Vincenzo Agnetti Memoria
Feltri dipinti e incisi in mostra nella sede milanese di Cardi Gallery

Tecnica e parole si incontrano nella serie di feltri incentrati sulla questione della memoria: la rimozione fisica del materiale dalla superficie del quadro, qui, si fa segno del processo tramite cui la memoria si forma, la dimenticanza. Piccole targhette metalliche alla base danno il nome ai lavori dell’autore, e invitano, tramite un irriverente sovvertimento, a riconsiderare i concetti con cui si parla del reale. Incontriamo sulle pareti Quasi dimenticato a memoria, Ritratto di un uomo, Dimenticato a memoria, A memoria d’uomo, Paesaggio.

Al piano superiore dello spazio milanese, in corso di Porta Nuova, a riassumere la concettualizzazione dell’artista, quasi fosse una reliquia, sta Libro dimenticato a memoria: scavato del contenuto, il volume resta nel suo scheletro; le pagine, assimilate, si aprono come una voragine. Lo svuotamento del supporto che da sempre simboleggia la cultura vuole rimettere quest’ultima dov’è situata davvero, nell’uomo, e nel farlo la priva della fissità e della certezza, caratteristiche che le vengono spesso assegnate.

Vincenzo Agnetti Tempo
Libro dimenticato a memoria, Vincenzo Agnetti

I cardini del lavoro concettuale di Agnetti

Vincenzo Agnetti
Il Trono, Vincenzo Agnetti e Paolo Scheggi

Per concludere, prendiamo in esame Il Trono, realizzato a quattro mani con Paolo Scheggi. Alla base dell’opera, si legge la scritta «Il sistema rimaneva nel tempo come peso consumato, essendo peso e consumo di noi depositari della costante e intanto la paxifina, la ethicina, la deberixina, la sexina e la voluntina, alimentavano le nostre corone ideali». Nella targa descrittiva viene chiarito come la seduta sia il simbolo del sistema – piramidale – sospeso fra passato e futuro. La dimenticanza, l’oblio, portano l’uomo a scordare che l’ordine del presente è mantenuto da una libertà costrittiva: avendo dimenticato a memoria gli istinti naturali, le ingenuità, le foreste, i mari, le liberazioni, gli esseri umani hanno tralasciato il valore della storia del nulla, mettendosi nelle mani del freddo ordine.
È qui la chiave di lettura delle esposizioni e del lavoro di Agnetti, nel rimuovere la crosta di polvere e cenere che si assume essere il significato ultimo dei concetti culturali più importanti per il genere umano, così da mostrare il magma di senso che vi sta sotto, e fare così assumere ai fruitori una postura mentale dubitativa, aperta ad una riflessione dinamica sui fenomeni che ci circondano.

Nell’immagine in apertura, Il Trono, opera di Vincenzo Agnetti e Paolo Scheggi esposta alla Cardi Gallery

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