Vinicio Marchioni: il mio è il mestiere dei paradossi 

La cultura che ci forma e che ci cambia aprendoci al mondo secondo un orizzonte in cui ognuno può trovare il proprio sguardo, mai unico ma molteplice. Lo sa bene Vinicio Marchioni, uno degli attori più bravi e preparati che abbiamo in Italia che, proprio grazie alla cultura – che va di pari passo con la curiosità e la voglia di sapere al di là di tutto – è diventato quello che voleva essere senza mai fermarsi, cercando sé stesso al meglio, cambiando laddove è stato possibile o accentuando dei difetti che poi, in realtà, sono diventati dei pregi, dimostrando così come quella stessa cultura ci salva in un divenire che è continuo.

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«Nonostante tutto, la mia è stata un’adolescenza normale e molto ha fatto la scuola della strada»

«Sono cresciuto a Fidene, borgata nord-est della Capitale – ci racconta quando lo incontriamo – e vivere in quel contesto è stato come vivere in un film in bianco e nero degli anni ’70. Erano gli anni’80 e gli inizi degli anni ’90, un altro mondo in cui tutto stava accadendo. Lì era come stare in un paese dove tutti o quasi ci conoscevamo. I figli della vicina spacciavano droga, ma la stessa vicina ci preparava la merenda. Nonostante tutto, la mia è stata un’adolescenza normale e molto ha fatto la scuola della strada».
«A salvarmi – precisa – è stato lo sport. Giocavo a calcio allenandomi tre volte a settimana. La musica, per restare in tema, ha fatto il suo gioco – ascoltavo cantautori italiani come Dalla, Venditti e De Gregori, i meno conosciuti e gli internazionali – ma in particolare mi hanno salvato i libri e la lettura. Leggevo di tutto e, nel posto dove sono vissuto come anche a scuola, ero considerato una sorta di alieno. A 14 anni avevo già letto I dolori del giovane Werther di Goethe e 1984 di Orwell, una certa curiosità mi viene anche da lì, ma non avevo coscienza di quello che facevo. Del resto, quella era la mia adolescenza, il periodo più brutto della vita, quello in cui non sai nulla, ma hai la presunzione di sapere tutto. La vita ti passa davanti, ma tu non capisci niente». 

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«Amo le grandi storie che danno sempre grandi emozioni anche se uno non ha la coscienza di quello che legge»

Quell’amore per la lettura e la cultura in generale gli sono rimasti ancora oggi e non si sono mai spente. «Amo le grandi storie che danno sempre grandi emozioni anche se uno non ha la coscienza di quello che legge; ma è una maniera per scoprire, conoscere e andare via, anche solo dalla mente, dal luogo dove ci si trova e arrivare a realtà diverse, molto più grandi e con amori o storie struggenti». Lui da quel posto è andato via per davvero senza mai dimenticarlo («Non ho mai sopportato chi dimentica le proprie origini»), e da allora, di strada ne ha fatta davvero tanta.  

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«Scrivere mi rilassa, mi fa distrarre, mi emoziona sempre»

Prima c’è stato il diploma all’ITIS Pacinotti del quartiere: «Ogni anno – ricorda – mi rimandavano in quattro materie, ma non sono stato mai bocciato. La matematica, in particolare, non faceva per me. La matematica – come canta Venditti – non sarà mai il mio mestiere. Preferivo scrivere i diari, che erano e sono il mio sfogo e il rifugio nella fantasia». Ecco, poi, arrivare un altro diploma – alla Libera Accademia dello Spettacolo – le esperienze indimenticabili con Luca Ronconi, gli studi di Lettere all’Università abbandonati per coronare la sua vera passione: recitare.
«Mandai del materiale al Centro Sperimentale, ma non mi presero, per questo nel frattempo scelsi La Sapienza. Scrivevo come un matto e lo faccio adesso tra un set e l’altro», continua. «Scrivere mi rilassa, mi fa distrarre, mi emoziona sempre. Frequentai così la Libera Accademia dello Spettacolo a Monti di cui non posso non ricordare le lezioni che si tenevano in un sottoscala, in uno spazio seminterrato con l’odore di muffa. Sembrava di stare in una grotta, ma all’epoca non ci facevamo caso, perché quello, assieme all’odore delle tavole del palcoscenico, era un odore pregno di umanità». «Quegli odori – continua – mi riguardavano e in quel posto mi facevano sentire a casa. Ci sono rimasto tre anni indimenticabili e poi un anno per la specializzazione in Drammaturgia Antica e Uso Corale della Maschera». 

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«È stata davvero una fortuna essere arrivato al successo non da giovanissimo, perché così ho avuto più consapevolezza di ciò che non volevo fare come attore»

Dal teatro arriva anche alla tv. I primi ruoli in televisione risalgono al 2006 nella serie R.I.S. 2 e poco dopo arriva per lui la grande occasione con Romanzo criminale – la serie in cui interpreta il Freddo, un personaggio rimasto nel cuore di molti. «È stata davvero una fortuna essere arrivato al successo non da giovanissimo, perché così ho avuto più consapevolezza di ciò che non volevo fare come attore. Dopo Romanzo Criminale ogni cosa mi sembrava più piccola, ho detto tanti no, ma poi le parti giuste sono arrivate». Lo ricordiamo nel ruolo di Aureliano Amadei, unico sopravvissuto civile della strage di Nassiriya nel 2003 nel film 20 sigarette, dello stesso Amadei. La scena dell’attentato è da brivido e Vinicio dà il suo meglio.
In tanti lo ricorderete, poi, in Scialla di Francesco Bruno dove interpreta “Il Poeta”, boss della malavita romana innamorato di Pasolini e di Truffaut, una specie di parodia di quello che è stato il suo Freddo, un’esperienza a cui si aggiunge quella con Woody Allen in To Rome with Love e molte altre. Valeria Golino lo vuole in Miele, Sergio Castellitto in Venuto al mondo, Marco Ponti in Passione Sinistra, Paul Haggis in Third Person, Riccardo Milani in Ma cosa ti dice il cervello?, Fabio Mollo ne Il sud è niente, Ivano De Matteo in Mia Alessio de Leonardis e Fabrizio Moro in Ghiaccio (il personaggio di Massimo, da lui interpretato, è a dir poco straordinario) e Milena Mancini, anche lei attrice, tutto per sé.

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«Čechov penso che sia uno di quegli autori che, frequentandoli, ti rendono un essere umano migliore: ti insegnano la misericordia, il non giudizio, la compassione non in maniera cristiano- cattolica, ma mettendo l’essere umano al centro di tutto»


I due si sono sposati nel 2011 e hanno due figli, Marco e Marcello: «La mia vita, come lei del resto». Sono anni che lavorano insieme, soprattutto a teatro. Abbiamo visto più volte la sua trasposizione Zio Vanja di Čechov, dove recitano insieme. «Čechov – precisa – è il più grande genio teatrale contemporaneo anche se contemporaneo non è. Come Shakespeare, ha avuto lo stesso effetto dirompente sulla storia del teatro e su quello che ha fatto l’essere umano dopo di lui.
L’uomo non sapeva molte cose di sé stesso prima che lui le scrivesse. Penso che sia uno di quegli autori che, frequentandoli, ti rendono un essere umano migliore: ti insegnano la misericordia, il non giudizio, la compassione non in maniera cristiano- cattolica, ma mettendo l’essere umano al centro di tutto». Insieme hanno tenuto un corso di alta formazione per attrici e attori del Teatro della Pergola di Firenze e lì porteranno Caligola di Camus nella prossima stagione. «Anche Caligola ricorda Amleto, è una pietra filosofale, perché ha dentro tutto e il suo contrario, produce contemporaneamente fascino e orrore, stimola verso ciò che ti riguarda ma che allo stesso tempo non vuoi vedere né sentire. Sono due personaggi che hanno attorno quella solitudine fin dall’inizio e lì finiranno, in un vuoto cosmico che li circonda». 

«Alla fine, ti rendi conto che tutto serve, anche i film che non sono andati bene e che pensavi avessero la sceneggiatura della vita e che hai fatto di tutto per poter interpretare. Anche quello ti insegna»

Dal teatro, ancora al cinema e poi in tv con l’amico Paolo Genovese: un vero e proprio ritorno visto che i due hanno già lavorato insieme in Tutta colpa di Freud, The Place e Supererori . Questa volta è stato chiamato per I leoni di Sicilia, la nuova serie originale italiana Disney+ basati sui libri di Stefania Auci e presentata in anteprima alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma. «Interpreto Paolo Florio, il capostipite che prende la decisione di lasciare la Calabria e di trasferirsi con tutta la sua famiglia a Palermo, un personaggio davvero interessante. È stata un’esperienza incredibile con un cast pazzesco. Mi piacciono i film in costume, quell’epoca è stata bellissima e piena di fascino. La serie è un’epopea fatta di amore, famiglia, successi, guerre e rivoluzioni, ambientata nella Sicilia dell’Ottocento fino all’Unità d’Italia del 1861».

«Del resto, il nostro è il mestiere dei paradossi, e come questo ce ne sono molti altri. Capisci che non c’è una struttura vera e propria, che la sua arte si disperde come l’immaginazione: non è meraviglioso?»


Ultimo, ma non certo per importanza, il nuovo film di Paolo Virzì (che lo ha voluto già in Siccità), Un altro Ferragosto, in uscita il prossimo anno, quasi trenta anni dopo il fortunato e iconico Ferie d’Agosto. Poi il primo film da regista di Paola Cortellesi, anche questo presentato alla Festa del Cinema di Roma. «Il mio è un piccolo ruolo, ma il film è grande da più punti di vista, uno di quelli che farà stupire tante persone e che resterà».
In tutto questo, c’è spazio per qualche pentimento? «Di lavori come delle scelte, no», ci risponde lui. «Alla fine, ti rendi conto che tutto serve, anche i film che non sono andati bene e che pensavi avessero la sceneggiatura della vita e che hai fatto di tutto per poter interpretare. Anche quello ti insegna. Del resto, il nostro è il mestiere dei paradossi, e come questo ce ne sono molti altri. Capisci che non c’è una struttura vera e propria, che la sua arte si disperde come l’immaginazione: non è meraviglioso?». 

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Credits

Photographer Davide Musto

Stylist Romina Piperno

Hair Clelia, Marcella – Contestarockhair

Make-up Sofia Righi

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Styling assistant Benedetta De Martino

Location Teatro della Pergola

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