Gian Paolo Barbieri: rivelazioni di Stile e Bellezza, Il docufilm sul maestro della fotografia di moda

Arriva in esclusiva su Sky Arte lunedì 15 aprile alle 21.15 il documentario Gian Paolo Barbieri. L’uomo e la bellezza. Un racconto intenso, un viaggio nella storia di uno dei protagonisti della grande moda italiana.

Gian Paolo Barbieri, il fotografo di Armani, Ferrè, Versace, Valentino; colui che ha inventato il glamour come nessuno prima di lui aveva fatto. Un uomo di cultura e di straordinario stile che non può essere racchiuso nella limitata definizione di fotografo di moda. L’artista che sapeva trasformare una campagna pubblicitaria in un reportage e un abito nel protagonista di una storia.

Un documentario che è un viaggio in un mondo lontano, con i maestri Tom Kublin e Richard Avedon; i volti di donne iconiche come Audrey Hepburn per Valentino nel 1969, Catherine Deneuve, Monica Bellucci per il calendario “GQ”, Sophia Loren, Ava Gardner, Elisabeth Taylor; le campagne per i grandi stilisti che hanno reso la moda italiana unica al mondo: Valentino, Versace, Ferré, Armani.

Il documentario, diretto da Emiliano Scatarzi e scritto da Federica Masin ed Emiliano Scatarzi, è prodotto da Moovie in collaborazione con la Fondazione Gian Paolo Barbieri. Quello che resta è una storia, come quelle che minuziosamente Barbieri ha sempre costruito sui suoi set, dove il grande fotografo incontra e saluta chi lo ha conosciuto, amato, chi ha lavorato con lui e per lui. Uno sguardo tenero e potente su uno degli ultimi testimoni di quei meravigliosi anni che in tanti hanno provato a imitare senza riuscire a farli rivivere. Un abbraccio collettivo a Gian Paolo Barbieri da Monica Bellucci, Domenico Dolce, Stefano Gabbana e tanti altri.

Un viaggio irripetibile tra preziosi materiali d’archivio, come quelli del Centro di Ricerca Gianfranco Ferré, diretto dalla sua storica compagna d’armi Rita Airaghi. Ed è Rita Airaghi a raccontarci Ferrè architetto della moda e Barbieri che costruiva set fotografici come fossero progetti, a tal punto minuziosamente realizzati da non necessitare, spesso, neanche di lavoro in post produzione. 

«Agli occhi di Gianfranco, Gian Paolo aveva la capacità sublime di restituire, con i suoi scatti, la femminilità e il senso dell’eleganza della moda»

Ma cosa univa Gianfranco Ferrè e Gian Paolo Barbieri e dove, invece, contrastavano?

Su molte cose erano estremamente convergenti. Anzi, pericolosamente convergenti, perché tutti e due rasentavano la follia del dettaglio. Ricordo che, per un servizio fotografico, c’era necessità di una pelle di zebra, oggetto non facile da reperire. Un collaboratore, che oggi chiameremmo un art buyer, arriva con una pelle di zebra. Immediatamente, entrambi e all’unisono, dicono: “è piccola”. Ma quelle erano le dimensioni della zebra. Ne abbiamo riso per anni. Gian Paolo era abituato a questa precisione nel dettaglio che, credo, gli venisse dalla frequentazione con Visconti ai tempi di Cinecittà. Gianfranco era preciso di natura; una delle frasi che amava era di Van Der Rohe: “Dio è nei dettagli”.

Quella tra Ferré e Barbieri è un’intesa che è nata molto presto. Gian Paolo fece per noi alcune campagne prima che nascesse la Gianfranco Ferrè e il marchio di prêt-à-porter, quando Ferré ancora disegnava per diverse aziende, tra le quali Baila. Una cosa che ha sempre caratterizzato Gian Paolo è il  modo di rappresentare la bellezza della donna. Gianfranco definì Gian Paolo “divino fotografo”, sottolineando la sua straordinaria capacità di raccontare il potere seduttivo della moda e della femminilità. Agli occhi di Gianfranco, Gian Paolo aveva la capacità sublime di restituire, con i suoi scatti, la femminilità e il senso dell’eleganza della moda.

Una frase apre e chiude il docufilm: “La bellezza deve essere colta”…

Si, credo che quella frase riassuma l’arte di Gian Paolo Barbieri.

Rita Airaghi su Gian Paolo Barbieri: «Questa sua capacità di illuminare la scena fotografica di un pathos che rende i suoi scatti irripetibili»

Una delle voci della docufilm, Benedetta Barzini, dice: «Per me la bellezza degli anni 60 e 70 è noiosissima. Talmente perfetta da essere irreale». Ferrè e Barbieri ci hanno restituito delle donne iconiche, di una bellezza disarmante. È stata braccio destro di Ferrè e ora si occupa del Centro di Ricerca Gianfranco Ferré. Trovava quella bellezza noiosa?

Ho avuto la grande fortuna di aver visto questo mondo in momenti di nascita e crescita consapevole. Capivamo che stavamo facendo qualcosa di nuovo e di importante. Con il Centro di Ricerca Gianfranco Ferré abbiamo fatto il lavoro di raccontare la moda di Gianfranco vista attraverso gli occhi dei vari fotografi che hanno realizzato le nostre campagne, da Demarchelier a Lindbergh. Uno dei primi è stato proprio Barbieri e c’è una sezione di foto dove emerge il suo amore per il dettaglio, la sua precisione. Questa sua capacità di illuminare la scena fotografica di un pathos che rende i suoi scatti irripetibili. Una cosa che vorrei sottolineare è che, quando parliamo di Gian Paolo, ricordiamo sempre le sue foto di donne, perché le più famose sono sempre di creature femminili straordinarie; ma resta sottotono la sua fotografia al maschile, che non è solo quella etnica. Non ci sono solo i bellissimi uomini vestiti di tatuaggi di Tahiti Tattoos. Ci sono foto uniche dove Gian Paolo entra nell’uomo contemporaneo col suo obiettivo: visi e corpi straordinari, uomini veri, concreti; pose statuarie che risultano di una naturalezza impressionante e non impostate o finte. Frutto della maestria di Gian Paolo.

Vedendo il contenuto della moda di oggi credo che Gianfranco non sarebbe stato contento di vivere nel momento attuale della moda. Abbiamo vissuto un’altra storia e, probabilmente, quel suo modo di concepire la bellezza femminile e maschile, oggi, secondo me, avrebbe avuto meno spazio.

«Nessuno di loro veniva da scuole di moda. Ma tutti e tre hanno trovato degli industriali che hanno accettato il rischio, che hanno puntato su questi giovani che non erano nessuno»

Secondo lei il fatto che la moda oggi sia in mano alla finanza ha distrutto la moda come arte?

In parte sì, perché c’è una pressione sui creativi che una volta non c’era. Mi rendo conto che parlo della preistoria, quando è nato il fenomeno del made in Italy, e parlo di Armani, Versace e Ferré: Armani sfila col suo nome la prima volta nel ’75, Ferré e Versace nel ‘78. Nessuno di loro veniva da scuole di moda. Ma tutti e tre hanno trovato degli industriali che hanno accettato il rischio, che hanno puntato su questi giovani che non erano nessuno. Oggi invece il gruppo, i fondi, puntano su nomi che dovrebbero già essere conclamati, dando loro dei paletti a sei, massimo dodici mesi, per vedere un ritorno degli investimenti. E comunque dopo un certo periodo si rimescolano le carte. Ci sono casi estremamente fortunati e positivi, ma in molti altri possiamo dire che questa fretta e questa pressione sul risultato, sui numeri, sul raggiungimento di certi mercati, non fa bene alla creatività, credo .

Gianfranco era un fenomeno perché andava ogni settimana a Parigi da Dior, si occupava della Ferré a Milano, controllava personalmente le seconde linee. Ma c’era un modo di lavorare che non era così drammaticamente condizionato da un risultato a breve. Da Dior Gianfranco ha ottenuto risultati strepitosi, ma non aveva il fiato sul collo.

Ha parlato di “preistoria” del made in Italy. Però Sabato De Sarno ha riportato Gucci all’interno di un percorso più classico, più vicino ai suoi anni d’oro; se vedo foto di Barbieri o di altri che hanno fatto la storia della fotografia di moda, resto ipnotizzata; sui red carpet gli abiti più acclamati sono pezzi vintage che vengono dagli archivi storici delle maison. Cosa legge in tutto questo?

Vuol dire che negli ultimi decenni sono state create espressioni dell’arte della moda che sono eterne, che hanno valenza anche a distanza di tempo. Ci sono foto di Gian Paolo dei primi anni Ottanta che sembrano scattate ieri. C’è una campagna che lui ha fatto con una tecnica particolare e quando, un anno fa, guardando delle foto di archivio, gli ho chiesto come le avesse realizzate, lui mi ha detto: “non mi ricordo, ho fatto delle prove, degli esperimenti”. Lui provava. Ma era quell’esperimento che ha reso quegli scatti più moderni di qualunque cosa fatta oggi. Vuol dire che certi valori sono eterni. Io lo leggo così

«Da Gianfranco ho imparato più di quanto io abbia dato a lui: in termini di raffinatezza, di gusto della bellezza»

Ogni volta si dice che tornano gli anni 70-80-90. Raccontava di quando eravate consapevoli di star creando qualcosa di nuovo. Perché si anela a quel trentennio ma non emergono nuovi Valentino, Versace, Ferré?

Perché è cambiato il sistema: non emergono nella moda come non emergono in altri campi. Per quanto riguarda la moda è proprio cambiato l’uso del vestito, il suo consumo. Da quando si è inserito il sistema del fast fashion è cambiato il modo di concepire l’abito. In un contesto di regole completamente modificate, non è detto che gli attuali creatori di moda non debbano essere considerati dei geni. È diverso il metodo di giudizio.

Cosa le ha lasciato Ferré e cosa ha dato lei a Gianfranco Ferrè?

Occupandomi delle pubbliche relazioni e della comunicazione, avevo il compito di trasferire all’esterno informazioni e suggestioni che appartenevano al mondo Ferrè. A lui personalmente ho dato di più, ma perché essendoci un vincolo di famiglia c’era questa perversa abitudine di parlare di lavoro anche il sabato sera o la domenica pomeriggio. L’esperienza l’ho fatta sul campo perché nei famosi anni 70 non esisteva una scuola. Oggi si esce da una pseudo università di comunicazione e si entra in un ufficio già strutturato. Noi siamo quelli che quel sistema lo hanno creato dal niente. Da Gianfranco ho imparato più di quanto io abbia dato a lui: in termini di raffinatezza, di gusto della bellezza, della ricerca di quelle ispirazioni che non sono mai casuali, ma che sono il frutto di una passione spirituale.

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