Tra Milano e Parigi, i direttori creativi della nuova stagione

Questa stagione di presentazione delle collezioni Autunno Inverno 2024 2025, ha visto diversi nuovi direttori creativi misurarsi con il perenne arduo compito di ri-lanciare alcune tra le più storiche e celebri case di moda.

Tod's, backstage sfilata autunno inverno 2024 2025
Tod’s, backstage sfilata Autunno Inverno 2024 2025

TOD’S e ROCHAS

Tali show si sono succeduti tra le settimane della moda di Milano e Parigi, dove rispettivamente Matteo Tamburini da Tod’s e Alessandro Vigilante da Rochas hanno ricevuto il testimone dai predecessori Walter Chiapponi e Charles de Vilmorin. Due marchi colti in due momenti opposti della loro storia. Un Tod’s in gran forma, grazie ai 4 anni di lavoro del predecessore Chiapponi; Rochas invece più instabile, alla ricerca di qualcuno in grado di ridare alla maison l’antico lustro che le era proprio.

E proprio da Rochas è passato Matteo Tamburini, designer dal curriculum notevole, e conosciuto da pochi addetti ai lavori. Classe 1982, è nato a Urbino e cresciuto a Pesaro. La sua esperienza nel settore include due anni da Rochas e due da Schiaparelli a Parigi; tre anni e mezzo circa da Pucci e più di sei da Bottega Veneta. Il suo obiettivo è quello di rendere ancora più contemporaneo il marchio Tod’s; da sempre simbolo di altissima qualità artigianale italiana, dove capi essenziali, ma sofisticati, percorrono il confine fra tradizione e innovazione.

Alessandro Vigilante, al contrario, è una figura nota nel settore, dal momento che è direttore creativo del marchio eponimo da lui fondato nel 2021. Particolarmente legato al mondo della danza, il suo lavoro spesso gira attorno all’investigazione del corpo umano in movimento. È la prima volta che assume la direzione creativa di un altro brand e per il debutto di Rochas è ripartito dagli archivi. Ne ha tratto una collezione che si ispira al contesto di massimo splendore della maison fondata da Marcel Rochas: la Parigi degli anni ’30. La mancanza di riconoscibilità è ciò di cui la maison francese soffre oggi, per cui Vigilante dovrà occuparsi di ristabilirne l’identità, nel tempo che gli sarà dato.

MILANO: BLUMARINE e MOSCHINO

A Milano, il sopracitato Walter Chiapponi ha invece presentato la sua prima collezione per Blumarine. Lo storico marchio italiano, fondato a Carpi nel 1977 da Anna Molinari e il marito Gianpaolo Tarabini, era stato catapultato nuovamente sotto i riflettori nell’era di Nicola Brognano. Caratterizzato da una visione iper-trendy ispirata agli anni Y2K, e sviluppata con l’aiuto della celeberrima stylist Lotta Volkova, Blumarine si è pian piano allontanato dalle proprie radici e forse troppo. Walter Chiapponi ha riportato in carreggiata il marchio con una collezione (e una campagna) che rimanda al suo DNA: un mondo fanciullesco, intriso di magia, spensieratezza e sottile erotismo. Caratteristiche che riportano il brand agli anni ’90, quando i capi venivano scattati da Helmut Newton ed erano ricchi di dettagli quali le ruches, le balze, il raso, lo chiffon e le stampe animalier.

Quella di un gran ritorno alle origini è anche la sensazione, piacevolissima, che ha accompagnato la collezione di debutto di Adrian Appiolaza per Moschino. Approdato nel marchio dopo la prematura scomparsa di Davide Renne, il designer argentino 51enne ha avuto pochissimo tempo per dar vita al nuovo progetto. La Collezione n.0 (così battezzata da Appiolaza) è parsa più che altro come un manifesto d’intenti; una presa di posizione rispetto al lavoro che si vuole portare avanti da qui in futuro. Grande estimatore dello storico marchio italiano e collezionista dei suoi abiti, Appiolaza ha rimesso in evidenza i meccanismi sovversivi, ironici e provocatori che caratterizzavano l’approccio alla moda del brillante Franco Moschino.

Meccanismi che nel decennio di direzione creativa di Jeremy Scott si erano persi. Ruolo fondamentale, nella riuscita di questa collezione dall’animo cauto, ma denso di significati, lo ha giocato anche lo styling di Nunzio Del Prete, già noto per il lavoro che fa da Magliano.

PARIGI: CHLOÉ e ALEXANDER MCQUEEN

Spostandoci a Parigi, il debutto della tedesca Chemena Kamali da Chloé, ha riportato in auge il “boho chic”; guadagnandosi l’approvazione sia dalla critica che dal pubblico.

Kamali ha un passato nella maison fondata da Gaby Aghion e resa celebre dalla collaborazione pluridecennale con Karl Lagerfeld. Qui, ha lavorato sotto Phoebe Philo, Hannah MacGibbon e Clare Waight Keller. Per lei, dunque, è stato un po’ come tornare a casa. L’estetica boho non è propriamente sinonimo del marchio, ma corrisponde alla fase di massimo splendore che Chlo ha vissuto nei primi 2000; e per la quale il brand è riconosciuto nel mondo. Fluidi e romantici abbiti in chiffon hanno sfilato in passerella associati a stivali al ginocchio, frange, pelle e colori poverosi. Sienna Miller in front row con Pat Cleveland e la figlia Anna, hanno contribuito a riportare a galla quell’immaginario iconico in cui le zeppe erano protagoniste. La sfida per Kamali ora sarà rifuggire dalla nostalgia e contribuire a un’evoluzione sensata per mantenere Chloé rilevante nel panorama moda.

Evoluzione che si attende forse con più ansia che mai da Alexander McQueen; la cui collezione di debutto firmata Seán McGirr è risultata la più divisiva della stagione (e forse degli ultimi anni).

Il 35enne irlandese McGirr possiede un’evidente attitudine concettuale acquisita negli scorsi 3 anni passati da JW Anderson; e proviene da una famiglia operaia come l’eternamente compianto Lee McQueen. Come ricorda la giornalista di moda Rachel Tashjian nel suo articolo per il The Washington Post, Alexander era il suo secondo nome. Un uomo dal talento unico, in grado di riversare i propri traumi e demoni interiori negli abiti che creava, rendendoli oggetti non di desiderio, ma di culto, per il resto del mondo.

L’asticella, per chi si ritrova a coordinare la direzione creativa di uno storico brand di moda, non è mai stata così alta. McGirr però si è detto eccitato dalla sfida e per nulla oppresso dal peso che un tale compito porta con sé. Come dichiarato in backstage alla stampa, ha sviluppato la collezione a partire dai sentimenti che animavano il lavoro di McQueen, piuttosto che dagli archivi del brand. Perversione, mistero, erotismo, sofferenza e impertinenza, dunque. Ironicamente però, il suo obbiettivo finale, era quello di dar vita a una collezione uplifting (edificante, esaltante ndr).

Ne è risultata una collezione per molti più vicina a un progetto sperimentale di tesi di uno studente di moda. Sono apparsi chiaramente alcuni riferimenti alla collezione The Birds della Primavera Estate 1995, da cui McGirr è partito. Si sono sovrapposti look dal preciso taglio sartoriale e identificativo della maison (Lee McQueen aveva una formazione come sarto da Savile Row). Sono apparse calzature ispirate ai cavalli dei nomadi irlandesi Pavee e abiti decorati da specchi che rimandano agli schermi frantumati degli iPhone. In chiusura, tre “car dress” in acciaio sagomato che alludevano al lavoro di meccanico del padre di McGirr. Tanti, forse troppi spunti che, anche se interessanti, hanno soffocato la possibilità di ottenere una visione o narrazione coerente e indicativa della nuova direzione che vuole prendere il marchio.

È vero anche, però, che in seguito alla bufera di critiche scagliate contro Sean McGirr, dovremmo fare tutti un passo indietro e riconoscere la difficoltà estrema di portare avanti un progetto così strettamente legato al suo fondatore. O domandarsi, piuttosto, se una manovra di questo tipo abbia ancora realmente senso.

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