Moda e mecenatismo

I mecenati sono i protettori di artisti e studiosi, coloro che da tempo immemore, fin dall’impero romano, quando nacque Gaio Clinio Mecenate, per l’appunto, durante il regno dell’imperatore Augusto, operano come promotori culturali, finanziatori, procacciatori di talenti e studiosi di meraviglie filosofiche, artistiche, architettoniche e culturali in generale.

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Il défilé Chanel Métiers d’art 2018/19, allestito all’interno del Met di New York

Il mecenatismo ai nostri tempi

Oggi il mecenatismo ha un’aria diversa?Assolutamente no, ha solamente cambiato volto, è forse invecchiato e in parte mutato, ma è rimasto invariato nel suo scopo primario, allargando le maglie che l’arte racchiude in sé. Siamo passati, in tempi più recenti, a Peggy Guggenheim, che negli anni ’40 si impegna in prima persona per lanciare Jackson Pollock; figlia di Benjamin Guggenheim e nipote di Solomon R. Guggenheim, magnati tra i più ricchi dei loro tempi, è celebre per aver creato la fondazione omonima che, ad esempio, realizza musei in giro per il mondo.

La moda, invece, entra solo una decina di anni fa nel mondo del mecenatismo, in maniera molto evidente. Anche se Dior effettivamente allestisce un celebre servizio fotografico al Partenone di Atene nel 1951, è in tempi assai più recenti che i casi di finanziamenti e sponsorizzazioni di musei, luoghi e palazzi di grande valore artistico hanno spiccato il volo, incorporando di fatto arte e architettura nelle location di grandiose sfilate, presentazioni ed eventi, volti a promuovere in sinergia entrambe.

Le location artsy delle sfilate dei principali brand

Probabilmente non ultima di una lunga serie di collezioni itineranti, la sfilata del menswear Saint Laurent che si terrà il 12 giugno alla Neue Nationalgalerie di Berlino, disegnata da Mies van Der Rohe, è un esempio di quello che succede durante tutto l’anno, soprattutto con le sfilate dedicate alle proposte cruise o resort. Dopo la griffe parigina, toccherà poi Valentino portare lo show Haute Couture Fall/Winter 2023 allo Château de Chantilly, nella Francia settentrionale.
Ultime, in ordine cronologico, ad aver sfilato in luoghi d’eccezione sono state invece le maison Dior nel Palacio de Bellas Artes, a Città del Messico, Louis Vuitton nel Palazzo Borromeo, sull’Isola Bella, Alberta Ferretti a Castel Sismondo, in Romagna, vicino al Museo Fellini di Rimini, Gucci al Gyeongbokgung Palace di Seul, Emilio Pucci nel cuore di Firenze.

Le ragioni del supporto dei brand a monumenti, musei e affini

Ma cosa spinge la moda a finanziare restauri, sponsorizzare location, monumenti e affini? Sicuramente un ampio ritorno dell’investimento, ma anche l’entusiasmo di investire denaro in qualcosa di sentito e vissuto interiormente, oltre che estremamente bisognoso di investimenti anche esterni.
Il legame che il fashion system sente con le proprie radici culturali, con il pensiero creativo che è alla base di una collezione, con alcuni luoghi specifici, è assolutamente viscerale e va oltre il semplice investimento. Si tratta probabilmente di un istinto di protezione e coinvolgimento, spesso anche personale.
Succede però che non tutti siano d’accordo e nel 2017 Alessandro Michele, da Gucci, riceve un sonoro rifiuto da parte di Atene rispetto all’uso del Partenone per un défilé, nonostante il possibile ritorno d’immagine internazionale e l’investimento promesso.

Chi ha ragione, dunque? Il ministro della Cultura di allora, Dario Franceschini, che sosteneva in questa polemica lo stretto, intenso legame e dialogo tra moda e arte, oppure i detrattori della mercificazione dei beni culturali? La verità è che in Italia, di intersezioni e congiunzioni del genere, si è letto molto: Tod’s ha finanziato il restauro del Colosseo a Roma, in cambio della possibilità di sfruttarne l’immagine per 15 anni, Bvlgari si è occupata invece della scalinata di Trinità dei Monti, sempre nella capitale, per non parlare di Fendi che ha sponsorizzato il restauro della Fontana di Trevi, per poter poi sfilare – nel 2016 – su una passerella sospesa sull’acqua. Si parla di finanziamenti di milioni di euro, che danno la possibilità di intervenire per proteggere storie preziose, che corrono sempre il rischio di andare rovinate o perdute.

Il legame indissolubile tra arte e moda

Torna quindi prepotentemente alla ribalta, al solito, il tema del legame tra moda e arte, che non può limitarsi all’inserimento di abiti e accessori nei musei. Si passa sempre più spesso attraverso la creazione, da parte degli stessi brand, di veri e propri musei a sé: parliamo del milanese Armani/Silos a Milano, della Galerie Dior a Parigi e altri ancora; un tentativo come altri, da parte dei marchi, di prendersi cura e allo stesso tempo “sfruttare” le bellezze e meraviglie del mondo per i propri scopi, offrendo in parallelo un servizio alla cultura.

C’è qualcosa di sbagliato? È pressoché certo che i detrattori della moda vedano in tutto ciò comportamenti mercificatori, laddove la cultura si dovrebbe invece ergere sopra tutto il resto; se vogliamo davvero fare un’analisi approfondita, però, perché mai non concedere a chi ha denaro da investire la possibilità, ovviamente sotto un’attenta supervisione degli enti preposti, di finanziare e prendersi cura di qualcosa che per l’umanità ha un’estrema importanza?
L’heritage, per un brand, è fondamentale, un pozzo di idee, immagini e contenuti strettamente interconnessi con la sua storia, dunque la storia stessa di un paese ha la medesima, viscerale e cosmica importanza.

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Lo show Louis Vuitton F/W 2018 al Louvre (ph. by Bertrand Guay/AFP/Getty Images)

La sfilata per i 90 anni di Fendi allestita su una passerella sospesa sulla Fontana di Trevi, nel 2016

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