DAL SET DI “MASCHILE PLURALE”, DUE CHIACCHIERE CON GIULIO CORSO

Originario di Palermo ma da sempre affezionato a Roma, dove ha iniziato a lavorare, Giulio Corso è un attore poliedrico, costantemente diviso tra teatro, cinema e televisione. Con entrambi i genitori musicisti, fin da piccolo ha la possibilità di esplorare il mondo dell’arte, capendo ben presto di volerne far parte un giorno. E così è stato. Dalla passione per la musica all’amore per la recitazione è letteralmente un attimo: Giulio Corso si catapulta in un universo a lui ignoto ma affascinante, uno scenario scintillante che sembra quasi richiamare il giovane attore a sé.

Dal teatro, sua prima casa, ai set cinematografici, Corso vive ogni esperienza pienamente, emozionandosi come stesse calcando il palco per la primissima volta. Con gli occhi quasi di un bambino, non smette mai di provare meraviglia guardando al suo lavoro, per lui una vera e propria vocazione.

L’attore siciliano è ora tra gli interpreti del nuovo film firmato Alessandro Guida Maschile plurale, disponibile su Prime Video. Nei panni di Dario, Giulio Corso prende parte a una storia che sottolinea il valore delle seconde opportunità, «seconde opportunità che ci vengono concesse dagli altri, ma soprattutto – dice lo stesso attore – che concediamo a noi stessi».

Maschile plurale
Tank top FRNKOW, shirt and trousers Missoni

«Durante il mio percorso formativo presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ho davvero compreso la strada da percorrere: quella della recitazione, un’autentica vocazione per me»

Partiamo dalle origini, da dove tutto è iniziato. Come si è svolto il tuo percorso di formazione per poi diventare attore? Hai avuto un mentore che ti ha in un certo senso guidato e ispirato?

Sono convinto del fatto che l’identità di ognuno sia anche forgiata dal contesto culturale in cui si nasce. I miei genitori erano musicisti e questo aspetto ha sicuramente influito sulla mia persona. Ho avuto la fortuna fin da piccolo di frequentare i teatri, da dietro le quinte almeno. Dentro di me, quindi, sin dalla prima infanzia, era in un certo senso già scritto che sarei stato destinato al mondo dell’arte.

Piano piano ho scoperto la passione per la musica, musica però molto diversa da quella seguita dai miei genitori. Loro si dedicavano all’opera lirica, alla musica classica, a me invece piacevano il grunge e il metal. E poi, ad un certo punto, la musica si è trasformata in performance. Il mondo del teatro mi incuriosiva tantissimo, sentivo il bisogno di diventare io stesso uno strumento attivo in quel contesto. Arrivato a Roma all’età di 18 anni, mi sono avvicinato al teatro in punta di piedi. All’epoca non avevo ancora le idee chiare, avevo conosciuto il mondo dell’opera lirica e della musica classica ma non sapevo cosa aspettarmi e dalla prosa. Senza dubbio, però, durante il mio percorso formativo presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ho davvero compreso la strada da percorrere: quella della recitazione, un’autentica vocazione per me.

Sempre a Roma, poi, mi sono avvicinato al mondo dello spettacolo. Qui il mio primo approccio è stato un po’ brusco, immediato; mi sono presentato a un provino per la trasmissione televisiva Carramba che Fortuna, condotta da Raffaella Carrà, e da lì sono stato catapultato in un universo a me nuovo. È successo tutto piuttosto velocemente. Conoscere la signora Carrà a soli 18 anni è stata un’esperienza assolutamente unica, l’ho vissuta come una bella maestra di vita. Mi ha insegnato l’importanza di essere affascinati dallo scintillante mondo dello spettacolo senza però diventarne succubi.

E a proposito di persone che mi hanno da sempre stregato e in un certo senso inspirato in quello che faccio tutt’ora, ti potrei nominare Carmelo Bene. La sua capacità di vendersi al pubblico in una maniera tanto spontanea mi incantava. Il suo essere poeta sul palcoscenico era insuperabile.

«Il teatro è il luogo in cui realizzo appieno tutto il mio istinto»

Ti abbiamo visto in svariati film (Promises e Mafia Mamma, giusto per citarne qualcuno) e in diverse serie tv. Hai inoltre preso parte ad alcuni spettacoli teatrali, Rapunzel per esempio, per cui hai vinto l’oscar italiano dei musical come miglior attore protagonista. Sei quindi costantemente diviso tra cinema, televisione e teatro: quale di questi tre mondi senti più vicino a te? Perché?

Senza pensarci due volte ti direi il teatro, il luogo in cui realizzo appieno tutto il mio istinto. Recitando in questa cornice si crea un qualcosa di magico con lo spettatore. Il teatro, come poche altre cose al mondo, è in grado di scuotere l’animo umano e di toccare nel profondo. Personalmente, la parte che amo maggiormente lavorando in questo contesto, è il periodo delle prove, il più fervido, bello e florido dal punto di vista della creatività.

Spesso, tornando a casa in macchina dopo aver trascorso la giornata sul palcoscenico provando e riprovando la mia parte, ripenso al tutto e mi emoziono, come se l’avessi vissuto per la primissima volta. In me emerge una sorta di fanciullino, un bambino che vede il mondo con occhi carichi di stupore, come se ogni cosa fosse a lui sempre nuova e meravigliosa. E questo aspetto, secondo me, è fondamentale poiché sarà restituito poi anche al pubblico.

Hai mai dovuto affrontare difficoltà nel separare te stesso dai tuoi personaggi? Se sì, in quale contesto?

Io tendo sempre a identificarmi nel ruolo che sto interpretando; non in maniera malata ovviamente, ma andando a ricercare quei lati di me che considero compatibili con la parte. Poi, a mio avviso, ciascun buon attore deve sempre difendere fino alla morte il proprio personaggio, indipendentemente dai suoi atteggiamenti e dal suo modo di agire nel corso della narrazione. E proprio in questo sta il gioco: schierarsi sempre dalla parte del personaggio senza giudicarlo al di là di tutto, rendendolo così credibile.

Nei periodi in cui mi ritrovo completamente assorbito da una parte, devo costantemente ricordarmi di non filtrare le vicissitudini di tutti i giorni attraverso quello che ho fatto durante la giornata, sul palcoscenico. Quando vita personale e lavoro si inglobano a vicenda, il rischio è quello di essere nervosi anche quando non si dovrebbe e di non ascoltare veramente le persone a noi vicine. Replicando una certa cosa per diverse ore consecutive, l’attore rischia di somigliare alla cosa stessa, e qui entra in gioco l’abilità di un interprete.

A questo proposito ricordo il periodo in cui stavo lavorando a un film su una storia di anarchia, intitolata Soledad. Io interpretavo tale Edoardo Massari, noto con il nome di battaglia “Baleno”. In quel frangente avevo cominciato in qualche modo a sposare l’idea dell’anarchismo in generale, al punto tale da mettere in discussione cose che io, Giulio, non mi sarei mai sognato di toccare. Ero completamente assorbito dalla parte, tanto da esserne condizionato in alcune mie decisioni. Poi, altro aspetto interessante, Edoardo Massari era vegano in tempi non sospetti; io ho sposato la cosa in toto perciò ho seguito una dieta vegana di otto mesi e ho perso molti chili. Avevo bisogno di entrare nella parte in maniera profonda e questo meccanismo è un po’ un’arma a doppio taglio; da un lato aiuta, dall’altro può influenzare la tua persona. Ovviamente poi sono ritornato in me (ride, ndr).

Ora come ora cerco sempre di tener ben presente questo reminder: al di fuori del teatro, ritorno a chi sono io davvero, la vita reale è la cosa più importante.

Giulio Corso
Tank top and boxers FRNKOW, trench coat Caruso

Giulio Corso a proposito del suo ruolo in Maschile plurale: «Per costruire il personaggio di Dario, ho cercato di esplorare la mia natura femminile»

A proposito, invece, di tuoi progetti recenti, in Maschile plurale, film di Alessandro Guida, interpreti il ruolo di Dario. Ci potresti parlare un po’ di questo personaggio e del suo ruolo nel corso della narrazione?

Ho amato subito il personaggio di Dario ed è stato divertente provare ad interpretarlo sin dal primissimo provino con Alessandro. Ricordo di aver proposto un’idea molto decisa, ho fatto divertire tutti, ma credo di esser stato preso anche per la natura tragicomica che ho immaginato per questo personaggio. In effetti si parla di uno che arriva sempre secondo. Penso che a volte possa essere molto doloroso non essere corrisposti in amore. Però, al tempo stesso, questa condizione ti dà un forte slancio per lottare, per crederci, per desiderare e amare ancora di più. Purtroppo tutti questi tentativi spesso, se non si è corrisposti, non portano da nessuna parte. Ma capita a tutti di essere secondi almeno una volta nella vita e se ci hai provato con tutte le tue forze, alla fine, saprai di non avere rimpianti.

Come ti sei preparato per calarti al meglio nei panni del tuo personaggio?

Per costruire il personaggio di Dario, ho cercato di esplorare la mia natura femminile. Secondo me ognuno di noi, dentro, cela sia un lato maschile che femminile, due mondi che coesistono e fanno di noi esattamente quello che siamo. Mi piace immaginare queste due parti come due sfere che convivono alternandosi, collaborando, combattendo, soccombendo a volte l’una all’altra, per tutto l’arco della nostra esistenza. In mezzo a questo binomio esistiamo noi, imperfetti e meravigliosi allo stesso tempo.

Quali sono i messaggi chiave che a tuo parere vengono trasmessi con il film? C’è una morale?

Il film parla delle seconde opportunità. Penso che almeno una volta nella vita ognuno di noi abbia chiesto al cielo un’altra chance, per fare meglio, per non rifare o semplicemente per rivivere qualcosa che ci era già stato dato. Ma più che le seconde opportunità che ci vengono concesse dagli altri, abbiamo bisogno delle seconde opportunità che concediamo a noi stessi. Bisogna imparare a perdonarsi, amarsi di più, concedersi il tempo di essere umani, di essere fragili, di perdersi. Solo allora ritrovarsi sarà così dolce e tutto sembrerà più bello di prima.

Giulio Corso ai giovani attori: «Consiglierei di nutrirsi sempre di cose belle, di leggere molto, di andare al cinema, a teatro. Prendersi cura della propria persona, dentro e fuori, è essenziale»

Cosa consiglieresti ad un giovane talento in erba che sogna di fare l’attore?

Non c’è una strada corretta da percorrere per riuscire al meglio nella professione di attore. Non esiste “la via giusta” ma esiste “la tua via giusta”; così come non c’è “la miglior scuola” ma “la tua scuola”. Tutto comunque ha a che fare con la vocazione, ogni parte del tuo corpo deve desiderare ardentemente di tagliare quel traguardo, di sfondare nella recitazione. È fondamentale, poi, non scoraggiarsi di fronte alle prime difficoltà o dinnanzi a lavori che magari ci mettono in discussione. Ogni attore nella propria carriera ne ha incontrato almeno uno ed è del tutto normale, l’importante è non abbattersi se un qualcosa non riesce subito come lo si era immaginato.

Infine consiglierei di nutrirsi sempre di cose belle, di leggere molto, di andare al cinema, a teatro. Prendersi cura della propria persona, dentro e fuori, è essenziale. Il corpo è il nostro tempio e non possiamo permetterci di lasciarlo in balia di abitudini malsane.

Puoi raccontarci qualcosa in anteprima riguardo tuoi progetti futuri?

A breve comincerò con le riprese di Che Dio ci aiuti 8. E nel 2025 inizierò le prove di un progetto teatrale, Moby Dick, con la regia di Guglielmo Ferro, nei panni di Starbuck. Inutile dire quanto quest’opera sia maestosa, un vero caposaldo della nostra storia letteraria. Confrontarsi con un gigante del genere sarà molto impegnativo e rappresenterà sicuramente un’enorme responsabilità. Nonostante i molti decenni passati dalla sua prima stesura, questa narrazione risulta oggi iper contemporanea; parla delle nostre paure e della nostra irresistibile attrazione verso ciò che non conosciamo e che ci spaventa. Mi sento onorato di essere parte in questo progetto e sono impaziente di vederlo concretizzato.

Credits

Photographer: Giuseppe Attanasio

Stylist: Gianluca Cococcia

Producer: Chiara Iermano

Grooming: Maria Livia Igliozzi

Film: Nicolas Vanegas Sanchez

Set assistant: Sergio D’Alessio

Location: The First Musica, Alto Roma

Agency: Moviement

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