Saul Adamczewski: genio (suo malgrado)

Traduzione e adattamento: Valentina Ajello

Ph credits: Lou Smith

“Dov’è Saul?”. Questo slogan è diventato celebre tra i fedelissimi ammiratori degli immensi “Fat White Family” e dello stesso Saul. 

Infatti: dov’è Saul? Ma, soprattutto, chi è veramente? 

Premetto subito che questo articolo di certo non chiarirà in modo definitivo la personalità di un personaggio che fa del paradosso situazionista e della dissacrazione il suo “non modo” di essere. Credo che nessuno mai ci riuscirà. Forse neppure lui stesso. 

Ma la vera notizia è che, non solo sono riuscito a trovarlo ma sono riuscito addirittura ad intervistarlo. Quindi, forse, esiste. 

“Non ti rilascerà mai un’intervista. Non la rilascerebbe neppure a “Pitchfork” (potentissima ed influentissima webzine musicale americana), figurati se lo farà con te che non sei nessuno”. Questo è quello, in sostanza, che più persone mi hanno detto prima che, a dispetto di tutti e di tutto, mi sono arrischiato nel mettermi in contatto con lui. 

Saul fonda, ancora minorenne, una band indie/punk chiamata “The Metros” che riscuoterà un notevole successo di critica e pubblico per poi sciogliersi nel 2009. 



Ma è nel 2011 che succederà un evento destinato a destabilizzare in modo tellurico la sonnolente scena musicale dell’epoca: Saul fonda, assieme ai fratelli Lias e Nathan Saoudi i “Fat White Family” che poi, nel 2013 debutteranno con un disco che cambierà brutalmente le carte in tavola: “Champagne Holocaust”. 

Da lì in poi i “Fat White Family” inizieranno un’inesorabile operazione nichilista di dissacrazione e distruzione di certo “trasgressivo perbenismo” politicamente corretto che serpeggiava, e serpeggia tutt’ora, nel mondo musicale underground inglese e non solo.  

La band negli anni cambia molti elementi tranne Saul e i fratelli Saudi. 

In realtà Saul comincia a diradare le sue presenze live, venendo spesso sostituito da altri musicisti.  

Lo stesso succede quando la band viene intervistata: a poco a poco la sua presenza scompare lasciando a Lias (il cantante del gruppo) questa incombenza. 

Nel 2018 Saul sorprende tutti formando una band dalle sonorità completamente contrapposte a quelle dei “FWF”. La scelta del nome, a mio parere, è geniale: “Insicure Men” (Gli Uomini Insicuri). L’album, probabilmente, rispecchia almeno in parte il lato più fragile, poetico e delicato di Saul e fragili, poetici e delicati sono anche i contenuti dell’omonimo disco fatto, per lo più, di eteree e sognanti ballads accompagnate però spesso da testi grotteschi, surreali e strazianti. 

Saul ora ha preparato il suo primo disco solista. Una meravigliosa gemma che ho avuto la fortuna di poter ascoltare in anteprima e che, spero vivamente, possa vedere presto la luce dal punto di vista discografico. Si tratta di un album dalle sonorità a tratti spettrali e a tratti di una dolcezza e immediatezza quasi disarmanti.  

Un vero capolavoro. 

Tornando all’intervista che tutti davano per impossibile, non solo Saul me l’ha concessa ma si è dimostrato essere una persona dotata di una gentilezza e umiltà veramente sorprendenti. 

Posso ora con certezza dire ciò che ho sempre pensato di lui: qui abbiamo un vero genio. Cosa ce ne facciamo? Ce lo meritiamo? Ma, soprattutto, lui vuole veramente esserlo? Probabilmente no. Ma quella di essere geniale è una (meravigliosa) condanna che sono convinto si porterà con se fino a quando deciderà di fare musica. 

Amatelo, vi prego.

E se apparentemente lui sembrerà disprezzarvi, ricordatevi di ciò che diceva Oscar Wilde “Ogni uomo uccide ciò che ama”. 



1) Qual è il senso della vita? Ma, soprattutto, ha davvero senso vivere? 

Credo si possa dare un senso alla vita, ma è solo un espediente. In realtà nasciamo, cresciamo e poi moriamo: e non c’è un senso.

2) ‘Patheticism’ dovrebbe essere il titolo del tuo primo album da solista. Ci dici perché hai scelto questo nome e ci spiegheresti chi è per te una persona patetica o quale situazione può esserlo?

Non è  il titolo del mio album. E’ un manifesto scritto da alcune persone tra cui me, Lias e il nostro amico Lev Parker della casa editrice “Morbid Books” e dallo scrittore Rob Doyle. Suppongo che siamo persone patetiche. L’idea è fare delle nostre debolezze una virtù. Deriva dal fatto che abbiamo passato gli anni della formazione frequentando ogni genere di freak, perdente, fuori di testa e abbiamo visto che anche negli angoli oscuri c’è della luce. E’ anche un manifesto anti Woke-art. Speriamo di farlo uscire quest’anno.

3) Ho visto nel 2019 l’ultimo live degli “Insicure Men“ al Lexington di Londra. A fine concerto hai fatto gelare il sangue al pubblico dicendo che non avreste mai più suonato live. Poi, ti ho incontrato al volo tra la folla a fine concerto e ti ho chiesto conferma. Tu hai sorriso in modo beffardo rimanendo ambiguo.

Ci possiamo quindi aspettare in futuro un nuovo lavoro targato “Insecure Men” o è per te un capitolo definitivamente chiuso?

Sì, questa primavera registreremo un nuovo album. Se tutto va bene, uscirà entro l’anno. Per quanto riguarda i concerti, sono sicuro che se ci chiameranno, andremo.



4) Nel 2006 hai fondato, giovanissimo, il gruppo “The Metros” con alcuni tuoi compagni di scuola, che poi si è sciolto nel 2009.

Nel 2013 esce c’è lo straordinario debutto discografico dei Fat White Family “Champagne Holocaust” disco che, personalmente, mi ha cambiato radicalmente la vita. Cosa è successo negli anni che hanno preceduto l’uscita di questo capolavoro? Ci vuoi raccontare come hai conosciuto gli altri componenti del gruppo e come è nata quella che poi è diventata l’inconfondibile poetica iconosclasta e dissacrante che ha caratterizzato tutti i lavori a seguire della band?

Non mi piace analizzarlo troppo. Credo che l’idea sia venuta dalle nostre giovani menti degenerate. Ai tempi c’era un maggior senso di speranza e non c’importava se alla gente non piacessimo noi o la nostra musica. E’ stato quando abbiamo accettato il nostro completo fallimento come artisti e persone che siamo riusciti a trasformare i “Fat White Family” in qualcosa che assomigliava vagamente al successo. Gli anni precedenti alla band, lì abbiamo trascorsi per lo più all’ufficio di collocamento e al pub. Non sono sicuro di aver risposto, ma ti dovrai accontentare.

5) Apparentemente sembri avere un atteggiamento di distacco verso la musica che componi/suoni. Ma so che durante le prove sei un perfezionista e sei attentissimo agli arrangiamenti dei dischi oltre che alla qualità dei live. È così? 

Sono distaccato perché non penso che abbiamo mai fatto chissà cosa. Il prossimo progetto è quello che mi interessa. Ho fatto di tutto perché non diventassimo una band indie rock di merda e, sinceramente, non ci sono riuscito.



6) C’è molta attesa per il prossimo lavoro dei Fat White Family. Chi ha ascoltato i demo dice che il materiale è sensazionale.

Ci puoi dire qualcosa di più su quello che ci dovremo aspettare e, più o meno, quando potrebbe uscire l’album?

Al momento non partecipo a quel progetto. Non so se stanno registrando un disco.

7) Tornando a “Patheticism”(o a come si intitolerà il tuo disco), ci puoi dire come si differenzia musicalmente dai tuoi precedenti lavori? Che musicisti sono coinvolti? Anche qui ti chiedo per quando è prevista l’uscita. 

Se Dio vuole, uscirà quest’anno. Ho avuto problemi con la label e abbiamo dovuto rimandare un paio di volte. Il disco in sé è molto più personale di qualsiasi cosa abbia mai fatto prima. Sono canzoni che parlano di tristezza e rimpianto. Le persone più importanti che partecipano sono Lias, Alex White e il produttore, il mio vecchio amico Raf Rundell.

8) Oltre a far spesso politica in modo provocatorio e situazionista, un po’ come succedeva in certo ambito punk ma in maniera totalmente personale e riconoscibilissima, spesso durante i concerti (e non solo) inneggi a Satana ringraziando il pubblico tra una canzone e l’altra: anche qui vi è un motivo puramente provocatorio e dissacrante o c’è qualcosa di più? Politica e religione sono temi che hanno un reale peso nella tua poetica o ci troviamo davanti ad un operazione nichilista ed iconoclasta?

La politica e la religione occupano uno spazio importante nel mio universo, ma il saluto a Satana è stato ispirato da Lev Parker. Ha fatto da supporto a Insecure Man durante il tour e ha sparso il suo seme demoniaco. Durante il tour ripeteva spesso “Ave Satana”. Credo di essere facilmente influenzabile.

https://morbidbooks.net/feed/2019-11-19-king-baby-syndrome/

9) Sono venuto spessissimo dall’Italia a Londra solo per vedere i live dei “Fat White Family”, “Insicure Men” e anche te come solista o accompagnato dal magnifico sax di Alex White. Hai un pubblico che ti adora ma, per sentito dire, anche ti teme. Hai la fama di avere un carattere molto spigoloso ed un indole anti-sociale. Avendo avuto la fortuna di parlarti un paio di volte, mi son trovato di fronte un essere umano gentile, alla mano e molto umile.

C’è forse una distorsione tra come vieni visto e percepito da chi ti segue artisticamente ma che non conosce il tuo lato privato?

E’ difficile per me farmi un’idea di come sono percepito dalle persone che non conosco, ma non mi interessa neanche molto… Forse la gente confonde la mia timidezza con l’arroganza. 

Meno penso a cose simili meglio è.

10) Sei anche un bravissimo disegnatore/illustratore. Hai mai pensato di pubblicare i tuoi lavori?

Non l’ho preso in considerazione. Ma se qualcuno volesse pubblicarli ne sarei felice.



11) Parlando di letteratura, osservandoti e ascoltandoti mi vengono i nomi di Luis-Ferdinand Céline, Emil Cioran, De Sade, Arthur Schopenhauer, Nietzsche, Pier Paolo Pasolini, Jean Genet, Guy Debord…ci sono tra questi nomi alcuni dei tuoi scrittori di riferimento? 

Altrimenti ci potresti dire quali libri hanno influenzato la tua vita personale e artistica? 

Credo sia esatto dire che alcuni di questi scrittori hanno influenzato noi come band e soprattutto i testi di Lias, in particolar modo Emil Cioran, Luis-Ferdinand Céline e Jean Genet.  Sono costantemente influenzato dai libri che leggo e da molto altro… Proprio oggi ho letto un brano in un libro intitolato “Low Life” di Jeffrey Bernard che mi ha fatto alzare e danzare in onore degli alcolizzati di tutto il mondo. Ma per me la musica migliore che abbiano fatto è quella anti-intellettuale, anti-artistica.

12) Domanda un po’ banale ma che interessa molto a chi ci legge e a chi ti conosce: cosa stai ascoltando al momento e quali solo le band e gli artisti che hanno maggiormente influenzato? 

Le tre band che hanno avuto una maggiore influenza su di me sono state “The Fall”, “Make up” e “Country Teasers”… Il nostro sound è una miscela delle tre… con un pizzico di “Manson Family” per andare sul sicuro… Attualmente sto ascoltando cose molto diverse: soprattutto musica strumentale e molto più lenta. Troppa da nominare qui.

13) “Where’s Saul?” è un tormentone creato dal geniale e amico comune Lou Smith che poi è diventato una maglietta e una stampa disegnate da te; in effetti, spesso non ci sei: rilasci pochissime interviste, a volte capita di non vederti nella line-up di un concerto dei Fat White Family, sui social appari molto sporadicamente. Personalmente, a prescindere dalle ragioni che ti spingono a “non esserci” ad “essere assente”, trovo questa cosa molto affascinante specie in un epoca come questa fatta di egotismo e patetica ricerca di “visibilità h24”. Ci puoi dire di più su questo tuo bellissimo lavoro di “sottrazione mediatica”? 

E’ più facile per me fare quello che faccio senza la voce di altri costantemente nella testa. Uso i social ma raramente posto qualcosa e non ho interesse ad esprimere  le mie opinioni attraverso essi. Sembrano un campo minato… Preferisco abbassare la testa e cercare di fare musica.  



14) Che canzone utilizzeresti per torturare qualcuno?

Breaking into Aldi dei “Fat White Family” o qualcosa dei “Pregoblin”.

15) Qual è l’aspetto più ridicolo di tutta la cultura pop?

La consapevolezza della salute mentale.

16) Quale membro dei “Fat White Family”, sia passato che presente, ti piace di meno?

Una volta era Dan Lyons il nostro primo batterista, ma oggi è una persona diversa. 

Ora direi Lias. Da quando fa un sacco di soldi con le pubblicità delle auto è diventato un divo.

18) Cosa pensa la tua famiglia della tua musica?

La tollerano amorevolmente.

18) Finisco in modo patetico. Forse apprezzerai. Non ci conosciamo ma sento di avere molte cose in comune con te. Ti voglio bene come se fossi il mio migliore amico e amo la tua unicità. Inoltre, attraverso la tua/vostra musica la mia vita ha preso un percorso non previsto e immaginifico. Grazie per l’intervista. Conserverò questa esperienze tra le poche veramente speciali della mia vita. 

Dici che sono stato sufficientemente patetico? 

Ce l’hai fatta. Anch’io ti voglio bene, compagno! Combatti la battaglia giusta. Ave Satana!

Jessica Winter, Pregoblin e altre magnifiche stranezze

Se doveste formare una band, che nome scegliereste? Sicuramente, a meno che non si tratti di una band Black metal, tutto ma non Pregoblin. Eppure la stramba scelta si è da subito rivelata vincente: quando, anni fa, leggevo questo nome tra quelli delle band inglesi emergenti era l’unico che mi rimaneva veramente impresso. Il mistero Pregoblin era infittito da uno scarnissimo profilo Facebook corredato solo da una foto sbiadita e rovinata di una bambina che sembrava esser stata presa da una lapide di campagna abbandonata alle intemperie e all’incuria. Nessuna ulteriore informazione se non altre enigmatiche foto-collage prive, apparentemente, di un senso logico. Poi, improvvisamente, nel 2019, il debutto con il singolo più accattivante e bello di quell’anno acclamato dalla critica specializzata, “Combustion”.

Scoprii che la band era formata da due componenti: l’affascinante Alex Sebley, un vero dandy Baudleriano di periferia completamente immerso nella creatività poetica e nei fumi dell’oppio e Jessica Winter, stupenda con i suoi occhiali da vista retrò e il suo look così (per fortuna) distante dai banali e scontati canoni estetici della scena musicale underground. Entrambi provengono da precedenti ed illustri collaborazioni con artisti come Fat White Family, Gorillaz e The Horrors.

Dopo l’esordio con “Combustion”, i Pregoblin sfornano una manciata di brani. Quattro, per l’esattezza. Quattro gemme, tra loro assai diversi ma ugualmente impeccabili nella loro scrittura di cristallino e strambo pop d’autore. L’ultima uscita è la meravigliosa e sognante “Snakes and oranges”, piccolo capolavoro pop con un ritornello che ti entra in testa e non ti esce più.

https://www.youtube.com/watch?v=30ZSwMg26KM&feature=youtu.be

Dal canto suo Jessica Winter inizia parallelamente una carriera da solista in cui la sua angelica voce viene subito magistralmente messa in risalto nel suo brano di debutto “Sleep Forever” del 2019. Seguono una serie di singoli che vanno poi a formare il mini-album di 5 canzoni “Sad Music”. Le sonorità rimangono pop ma, rispetto ai Pregoblin, gli arrangiamenti sono più sofisticati e le atmosfere teatrali.

L’ultimo singolo di Jessica è “Psycho” canzone dall’incedere epico e misterioso, accompagnato da un video particolarmente eccentrico ed inquietante.

Jessica e i Pregoblin sono un’adorabile anomalia composta da ingredienti spesso volutamente (e solo apparentemente) sgangherati ed improbabili ma sempre attraversati da una vera vena poetica intrisa di meravigliosa malinconia che con orgoglio si contrappone allo scontato, sfavillante e artefatto panorama musicale contemporaneo. Per queste ragioni vi consiglio di scoprire la loro musica e di innamorarvene: non ve ne pentirete.

Ecco l’intervista che abbiamo fatto a Jessica Winter in cui ci racconta come si sono formati i Pregoblin e il perché della scelta dello strambo nome, dei suoi problemi di salute che non l’hanno mai abbattuta e altre stranezze…


Ph: NAN MOORE

Ciao Jessica, intanto grazie di questa intervista per i lettori di MANINTOWN! Ci racconti come hai conosciuto Alex Sebley e come è nata l’idea di formare i Pregoblin e perché avete scelto questo nome per la band?

Io e Alex ci siamo conosciuti su Facebook – lui stava promuovendo a un concerto di Harry Merry e io sono una grande fan di Harry. Per com’è fatto lui, Alex aveva creato l’evento, ma non il link per comprare i biglietti. Io gli ho inviato un messaggio per comprare un biglietto e da li’ ci siamo messi a chattare. E’ strano perché successivamente abbiamo scoperto di essere entrambi di Hayling Island; un’isola al largo di Portsmouth. Abbiamo scelto PREGOBLIN perché dovevamo fare un concerto ma non avevamo ancora un nome. E’ iniziato come come scherzo, ma poi ce lo siamo tenuti. Il Pregabalin è una medicina che cura la dipendenza da eroina, ma agisce anche contro il dolore cronico. Quindi abbiamo quel farmaco in comune.

Definite vostra musica come “weird pop”. In effetti è difficilmente catalogabile. È molto fruibile ma, allo stesso tempo, sembrerebbe non voler essere mainstream. Cosa ci dici al riguardo?

Alla gente piacciono le sfide.



Ti ho sempre ammirata per il modo del tutto naturale in cui non hai mai fatto mistero di un tuo problema fisico dovuto ad una displasia dell’anca. Ci racconti il tuo rapporto con questa malattia e se ha influito sulla tua carriera artistica?

Ho vissuto molti lockdown nella mia vita in ospedale. Ho trascorso sei settimane alla volta stesa sulla schiena incapace di muovermi dalla vita in giù e questo ha probabilmente influenzato la mia etica del lavoro. Sono molto grata di aver potuto fare della musica la mia carriera e lavoro sodo quando sto bene abbastanza per farlo. Non mi lascio stressare e sono felice di poter condurre attività come camminare, stare all’aria aperta e più in generale essere viva. La vita e’ un grande privilegio e temo sempre l’improvviso che ci possa essere tolta da un momento all’altro..

Avendovi visti più volte dal vivo trovandovi sempre fantastici, mi ha sempre molto intrigato la presenza scenica che trovo originalissima e fuori da ogni cliché: la tua voce unica, il tuo look, il tuo muoverti in scena sembrano sovvertire quelli che sono gli stereotipi di una frontwoman. Cosa ne pensi di questa osservazione e ti piace esibirti?

Grazie! Ad essere sincera non ci ho mai pensato molto. Mi esibisco nel modo che mi e’ più comodo. Amo danzare, mi e’ sempre piaciuto… sul palco non sento più il dolore… dev’essere l’adrenalina. Ne pago il prezzo il giorno successivo, ma in quei momenti ne vale la pena. Mi piace intrattenere e dare un po’ di gioia a chiunque mi guardi. Penso che in qualsiasi cosa sia importante non prendersi troppo sul serio!

È uscito da pochissimo il tuo ultimo bellissimo singolo “Psycho” accompagnato da un video molto affascinante e abbastanza inquietante. Ce vuoi parlare di come è stato realizzato?

Questa canzone e’ nata in un contesto sterile. La Warp Publishing mi corteggiava e mi aveva offerto di partecipare a un ritiro di scrittura di una settimana. Ogni giorno avrei incontrato una persona nuova: alcuni erano produttori, altri artisti, altri scrittori e alla fine di ogni giorno dovevo scrivere una canzone nuova . L’intera cosa mi pareva cosi’ repellente che DOVEVO farla. Al terzo giorno avevo imparato a gestire l’ansia di dover conoscere gente nuova e mi avevano assegnato Bobby aka S Type e un artista chiamato LYAM. Entrambi si rivelarono fantastici: trascorremmo la giornata a scrivere una canzone che, ricordo, era piuttosto bella, ma poi YAM dovette andarsene. A me e Bobby rimanevano due ore, per cui iniziammo una jam session…. 2 ore dopo PSYCHO era nata. Era successo tutto cosi’ rapidamente che non avevo pensato potesse essere un buon brano. L’anno dopo l’abbiamo ripresa in mano entrambi e abbiamo pensato “e’ bella”, cosi’ ho fatto una vera e propria registrazione e ho chiamato Gam dei SWEAT per avere l’accompagnamento delle corde ed era fatta. C’e’ da dire che quando crei qualcosa cosi’ alla leggera, senza pensarci troppo, o darci troppo peso, hai meno probabilità di rovinarlo.

Quando è prevista l’uscita del tuo album solista?

Sto ancora decidendo. Per ora sto solo scrivendo scrivendo scrivendo. Tuttavia adoro gli EP: una piccola raccolta di canzoni, non poche, non troppe.

Quali sono i tuoi rapporti con la mitica scena di South London? Ci sono degli artisti o gruppi con i quali ti senti più in sintonia?

La ’South London Scene’ – ci sono cosi’ tante scene nel sud di Londra, ma credo che tu di riferisca a quella che fa capo al Windwill. Credo che sia merito di Tim Perry di aver creato una comunità li’. Invita sempre gruppi di generi differenti. Mi ha appoggiato sia come solista che con PREGOBLIN e trova sempre modi nuovi perché la gente si ritrovi insieme. L’ho incontrato circa un mese fa per strada e benché la musica live sia stata bandita quest’anno, mi parlava di voler fare una space opera e chiamare diversi musicisti di band differenti per quella serata. Lo adoro!

Qual è il tuo background musicale e cosa ascolti maggiormente in questo momento?

A due anni le mie gambe erano tenute separate da un tutore… le tastiere mi intrattenevano per ore. Mia nonna inizio’ a pagarmi le lezioni di piano quando avevo quattro anni e fu allora che iniziai a imparare la musica classica. Sto ascoltando Amara ctk100, 100 Gecs, Jazmin Bean, Salvia, ShyGirl, A G Cook, Sorry, Grace Lightman, Deep Tan, SWEAT, Comanavago, Lauren Auder, Eartheater, Daniel Johnston, Cottontail, Slayyter, Lynks, Diane Chorely, Lucy Loone, Zheani, Sundara Karma, Squid, Tïna, ZAND e altri.

Tornando ai Pregoblin, dopo l’esordio con il capolavoro pop di “Combustion”, avete fatto uscire una serie di singoli, molto diversi tra loro: “Anna”, “Love Letters”, “Gangsters” e, forse il mio preferito, la stupenda “Snakes & Oranges”. Quando è prevista l’uscita del vostro primo attesissimo album e che cosa ci dobbiamo aspettare?

Speriamo di iniziare l’album all’inizio del nuovo anno. Abbiamo già scritto molte demo nuove…

Film e libro della vita?

“La famiglia Addams” e “Il Profumo” (di Süskind)

Ti piacerebbe diventare una popstar o è una cosa a cui non tieni particolarmente?

LOL


Traduzione e adattamento – Valentina Ajello

La musica per l’autunno: the Windmill playlist

Una playlist con una selezione di alcuni tra i migliori artisti della ricchissima ed eclettica scena musicale nata o cresciuta al “Windmill”, gloriosa venue di Brixton (Londra): 

Fat White Family, Warmduscher, Meatraffle, Pregoblin, PVA, Insecure Men, JackMedleyy’s Secure Men, Madonnatron, Black Midi, Goat Girl, Shame, Tiña, Misty Miller, Lazarus Kane, Squid, Muck Spreader, Deadletter, Lynks, Pink Eye Club, Peeping Drexels, Deep Tan, Black Country New Road, Scud FM, Sonic Eyes.


Photo Credits: Lou Smith


L’importanza di chiamarsi Lou Smith

Traduzione e adattamento – Valentina Ajello

Circa una decina di anni fa, la scena musicale rock era abbastanza in stallo. Non riuscivo a trovare nulla di particolarmente interessante tra i dischi che uscivano in quel periodo. Ricordo nitidamente che un giorno mi imbattei, in modo del tutto casuale, in un video su YouTube di un’esibizione live di un gruppo chiamato “Fat White Family”. Ne rimasi completamente colpito. Feci altre ricerche, sempre su YouTube, che confermarono ancor più quella mia prima sensazione: finalmente, dopo tantissimi anni, mi trovavo di fronte ad un gruppo musicalmente inclassificabile e dotato di una micidiale miscela di dissacrante anticonformismo. 



Andai avidamente a vedermi tutto quello che riuscii a trovare in video su di loro. Notai che quasi tutti i video erano di un certo Lou Smith. Investigai e scoprii che la firma di Lou Smith era presente anche in moltissime registrazioni live di altri interessantissimi gruppi e che, quasi sempre, la location dove avvenivano queste registrazione era un locale di Londra, più precisamente a Brixton, chiamato  “Windmill”. Rimasi sbalordito dalla freschezza e qualità di tutti quei gruppi. A parte i Fat White Family mi impressionarono molto gruppi come “Meatraffle”, “Warmduscher”, “Pregoblin”, “Goat Girl”, “Madonnatron” e molti altri. Facendo delle ulteriori ricerche venni a scoprire che abbastanza incredibilmente tutte quelle band venivano sì da Londra, ma in particolare dalla zona a sud della città. Una scena ricchissima di stili e generi nata intorno a pochissimi quartieri della città. 



Dopo alcuni anni, mentre continuavo avidamente a seguire tutte le nuove registrazioni di Lou Smith, andai a Londra e, per la prima volta, arrivai al Windmill a Brixton. Ricordo che ero molto emozionato. La stessa emozione che si prova quando si ha la certezza che un desiderio verrà realizzato. Entrai e rimasi subito positivamente colpito dalla gentilezza dello staff e dal fatto che la location era tutto tranne che scintillante e alla moda: un pub scarno e accogliente con un piccolo palco posto sul fondo del bancone addobbato da una tendina carnevalesca e con il logo del locale bene in evidenza. Mi sembrò incredibile e bellissimo che tutte quelle band, tutta quella scena fosse passata da quel palco così ridotto ed intimo. 

Ma quella sera successe un’altra cosa che mi segnò tantissimo: scorsi da dietro una sagoma che mi era familiare. Mi avvicinai a capii che mi stavo trovando di fronte proprio alla persona grazie alla quale mi stavo trovando lì in quel momento: Lou Smith! Mi presentai e lo salutai. Da lì cominciò un’amicizia che mi portò a frequentarlo tutte le volte che andavo a Londra per qualche concerto. Sempre al Windmill, ovviamente. 



A causa del COVID il “Windmill” rischia la chiusura. Sarebbe una tragedia immane. Ecco il link per chi volesse partecipare al crowdfunding e salvaguardare questa storica venue.

Ecco l’intervista che ho fatto a Lou in cui ci racconterà qualcosa della sua vita, del suo rapporto con il Windmill e i Fat White Family e di come e perché è nata quell’incredibile scena musicale proprio nel  sud di Londra. 


Puoi raccontarci qualcosa di te e dei tuoi svariati progetti?

Sono nato a Leeds. Mio padre era un geologo e mia madre un’artista e una creativa. Ci siamo trasferiti a Uxbridge, un sobborgo a ovest di Londra quando avevo 14 anni. Era la lunga estate calda del 1976 quando il punk raggiunse le strade e le onde radio di Londra. Fu in questo periodo che mi regalarono la mia prima macchina fotografica che, però, non portavo mai a quei primi concerti perché era pericoloso: c’erano le guerre tra bande di Ted, Rocker, Punx, Skinz ecc. Non mi sarei sentito sicuro con una macchina fotografica in metropolitana ai tempi. Allora fotografavo paesaggi, persone e animali e documentavo i miei primi viaggi. Iniziai a interessarmi alla musica alternativa ascoltando, tutte le sere dalle 22 alle 24, il programma radio di John Peel: i Clash, i Fall, i Cure, i Ruts, gli Undertones e numerosi altri inclusi musicisti Ska e Reggae. Questa mia passione mi distingueva dai miei compagni di scuola che ascoltavano heavy rock e più tardi heavy metal. In quel periodo, in concerto, ho visto, tra molti altri, i Joy Division, gli Strangers i Jam, i Clash, i Cure, gli Smiths e Kate Bush.

Dopo aver finito la scuola e non aver terminato la laurea in biochimica all’Imperia College, nel 1983, a 21 anni, mi sono trasferito in uno squat di Brixton. Da allora vivo e lavoro nel sud di Londra. Successivamente mi sono trasferito a Camberwell e poi a East Dulwich dove risiedo tuttora. Ho lavorato come ingegnere video, sui set come manovale, scenografo, assistente art director e  art director per numerosi video promo tra cui  “Firestarter” e “Breathe” dei Prodigy e “Where The Wild Roses Grow” di  Nick Cave/ Kylie Minogue e come fotografo freelance, videomaker, regista e montatore di video musicali. Ho imparato da solo a fare il fotografo, saldatore, argentiere, falegname. Recentemente sono diventato  serigrafo, un mestiere che mi permette di guadagnarmi da vivere organizzando feste per bambini e realizzando il merchandise per le band del sud di Londra.



Quando e perché hai iniziato a filmare e documentare tutto ciò che passava al Windmill e gli altri locali del sud di Londra?

Ho iniziato filmando  i musicisti che suonavano regolarmente alla serata Dog’s Easycome Acoustic all’Old Nun’s Head pub a Nunhead. Per me era una valvola di sfogo e un impegno lontano dalle mura domestiche durante i primi anni di vita di di mia figlia Iris. Caricavo sul mio canale YouTube materiale relativo ad artisti quali Lewis Floyd Henry, Boycott Coca-Cola Experience (Flameproof Moth), Andy (Hank Dogs) Allen, Ben Folke Thomas and i fratelli Misty and Rufus (Popskull) Miller. 

Il 9 febbraio 2011 sono sbarcati lì i Fat White Family, che allora si facevano chiamare Champagne Holocaust e hanno suonato la cover dei Monk “I hate You” oltre a una manciata  di canzoni loro tra cui “Borderline” e “Wild American Prairie”.  La formazione era composta dai fratelli Saoudi, Saul Adamczewski  e Anna Mcdowell e Georgia Keeling come coriste. Il batterista doveva essere Chris OC.  Lias (Saoudi) era alla chitarra e Saul alla voce e tamburino. Ho perso il filmato dell’intero concerto, ma mi è rimasto quello del brano “I Hate” che trovate sul mio canale:

I FWF hanno suonato molti altri set acustici all’Easycome nei mesi di febbraio e marzo. Da allora ho seguito la band fino al loro primo vero e proprio concerto intorno all’11 aprile. Insieme a Saul, Lias e Nathan (Saoudi), c’erano  Dan Lyons alla batteria e Jak Payne (Metros) al basso.

Avevo Canon 5D Mkll  e usando una versione “craccata” sel sotware Magic Lantern sono riusito a ottenere un suono decente e a documentare per la prima volta un evento live in HD.

Ti ricordi la prima volta che hai messo piede al Windmill? Qual è la tua serata che non scorderai mai?  

Come ho già’ detto è stato l’11 aprile  2011. Tuttavia ho un lontano ricordo di esserci stato trascinato anni prima visto che mi sono trasferito a Brixton negli anni ’80. Ci sono state molte serate grandiose, ma le migliori erano quelle il cui line-up comprendeva i FWF o i Warmduscher. La raccolta di fondi dopo la morte di Jack Medley è stata un evento intriso d’amore. L’amore era così denso che lo si poteva spalmare. All’evento hanno partecipato sia i Warmduscher che i Fat White Family. 

Adoravo l’atmosfera di anarchia dei primi concerti dei FWF e quella sensazione forte di appartenere a una famiglia, o a qualcosa di più grande della somma delle parti. Mi sono divertito molto anche alle serate dei  Meatraffle e della loro band consorella Scud Fm così come a quelle degli Shame, Sleaze, Amyl e gli Sniffers e Goat Girl. 

Quanto è stato importante il Windmill per la “creazione” di tutta quella che poi è diventata la scena di South London e se ci puoi raccontare quello che è stato il tuo rapporto con quella venue meravigliosa? 

Non credo sia eccessivo dire che la scena di South London (SLS) che conosciamo oggi non sarebbe stata possibile senza il Windmill. Non è facile capire il perché, ma la ragione principale è Tim Perry, l’organizzatore del locale, che coniuga buon gusto musicale con lo scouting di artisti su cui nessuno scommetterebbe (ma anche grandi talenti) e un fiuto allenato a capire le fregature. Il locale ha sempre attratto i migliori ingegneri del suono e la qualità’ del suono è sempre stata una delle sue caratteristiche distintive. Le band si aiutano a vicenda senza la rivalità distaccata e modaiola che ho visto nel nord di Londra. Una volta che il Windmill ha raggiunto la fama attuale, la gente ha iniziato ad assieparsi alle sue porte per partecipare alla magia che si creava al suo interno. Sono felice di aver contribuito  nel mio piccolo con il mio canale YouTube a far sì che quelle fantastiche band avessero un po’ di visibilità’ globale.



Sei stato il primo a documentare il lavoro dei Fat White Family. Hai capito subito quale poteva essere il loro potenziale? Puoi descriverci cosa ne pensi di questa band? 

Direi di si’. Ho capito subito che catturavano lo zeitgeist della crescente sensazione di nichilismo, disgusto e disprezzo totale per il trattamento riservato alla gente comune dall’ondata di gentrificazione, dalla politica neo liberista e dalla finanza globale. Mi ricordavano lo spirito del ’76 e hanno riacceso in me la passione che provavo per le prime band punk. La loro fama si allargava e la famiglia cresceva, non in modo gonfiato, ma per l’entusiasmo che i loro concerti  riuscivano a trasmettere La relazione ambigua e violenta tra i membri della band, in particolare Saul e Lias, e la prontezza se non maestria con cui affrontavano tabù e temi scabrosi con una sorta di humour che confinava con la morbosità’ li rendeva irresistibili. I testi tribali e totemici che nessuno osava mettere in questione accompagnati da ritmi sexy, sporchi, lo-fi country psichedelici rendeva la miscela inebriante. Lias perfezionando il suo falsetto gollomesco gracchiante e imprevedibile mandava il pubblico in estasi, mentre Saul alimentava l’euforia emanata dal sound con il suo sorriso sdentato e il ritmo della sua chitarra. Il resto della band doveva per necessità essere degenerata o geniale.

Secondo te come è possibile che così tante band interessantissime vengano tutte da quella zona di Londra? 

Credo che dipenda dall’ondata di gentrificazione che e’ iniziata da Covent Garden nei tardi anni ’70. Poi gran parte del nord e in seguito l’est ed il sud est sono stati conquistati da orde spietate di yuppy. Brixton, con la sua forte identità culturale, gli squat e la sua popolazione afro-caraibica ha resistito almeno temporaneamente. Gli affitti erano ancora abbordabili e gli studenti del Goldsmith e Comberwell College trovavano qui una comunità e la possibilità di esprimersi sui muri delle strade. I musicisti si riunivano in quei pochi locali dove potevano ancora sopravvivere, esplorare e crescere, ovvero una manciate di pub di cui il Windmill è senza dubbio il più importante, ma di cui fanno parte anche il Grosvenor, l’Amersham, il New Cross  Inn, il Queen’s Head, il Montague Arms, il Five Bells.

Quali sono le tue band preferite di questi ultimi anni? 

Mi appassiono raramente a band diverse da quelle che vedo da vivo, per me la musica deve essere per forza live. Se non fosse così, ascolterei ancora le band che seguivo da giovane, ricordando le glorie passate, come fanno molti uomini della mia età. Ho avuto la fortuna di vivere a due passi dal Windmill e di aver costruito un’amicizia con i proprietari e i musicisti.

Ci puoi anticipare quelle che, secondo te, sono le più interessanti e promettenti tra le band più recenti? 

E’ bello vedere che arrivano ancora band nuove nonostante il COVID. Mi piacciono soprattutto le seguenti: Addywak, STV, Deadletter, PVA, Muckspreader, Misty Miller.


Vi segnalo il suo sito, il suo canale YouTube e quello LBRY.

Photo Credits: Lou Smith