Carolina Crescentini: talento, eleganza e (tanta) ironia

Lo sguardo, che ricorda quello di Lauren Bacall. La femminilità elegante. L’ironia, sempre.
Non si può non avere un debole per Carolina Crescentini, attrice versatile e donna di grande stile, in tutti i sensi. In questi giorni sta promuovendo la commedia C’era una volta il crimine di Massimiliano Bruno, in sala dal 10 marzo. Terza “puntata” della serie iniziata con Non ci resta che il crimine, anche questo film è il racconto di un viaggio indietro nel tempo. Questa volta, Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi si ritrovano nell’Italia del 1943. Carolina interpreta una donna sola, con il marito al fronte, pronta a imbracciare il fucile anche lei. A ottobre, invece, la ritroveremo nei panni di Corinna, l’attrice di soap raccomandata e sempre definita “cagna maledetta” della scatenata serie Boris che torna a furor di popolo su Disney+ con una quarta stagione di sei episodi, quindici anni dopo la prima.

Scusi, ma sono fan di Boris: che cosa mi può anticipare?

Non posso dire niente! Se non che sono felicissima di questo ritorno di Corinna. Voglio un gran bene a quella cretina, è la mia amica scema.

Non vedo l’ora. Forse in questo momento tutti abbiamo bisogno di ridere.

Guardi, in questi giorni ci ho pensato tanto. Sono in giro a dare interviste su C’era una volta il crimine, un film che racconta la guerra in toni comici e fuori c’è una guerra vera verso la quale non si può certo essere indifferenti. Però è anche vero che, proprio per questo, abbiamo tutti bisogno di qualche momento di leggerezza e il ruolo sociale degli attori è, da sempre, anche quello dei clown. Se strappiamo un sorriso, facciamo la nostra parte.

Come ha scelto i look per questa promozione, visto il momento poco propizio a frizzi e lazzi?

Ho puntato su capi semplici ed eleganti e sono andata da Armani: tute, vestiti, completi. Oggi in televisione ho indossato un tailleur pantalone bianco con i pantaloni larghi. Mi piacciono le cose un po’ ampie, in generale, e non importa se è pensiero comune che in televisione ingoffino. A me non interessa sagomarmi, sottolineare il corpo, preferisco sentirmi a mio agio”.

Quando sceglie come vestirsi è un’indecisa che fa mille prove?

Al contrario, vivo di colpi di fulmine. Tra mille modelli, vedo subito quello che mi interessa. Ricordo un anno, quando ero in giuria a Venezia, da una selezione di Gucci scelsi in un attimo un abito con maniche a chimono e una cintura con una stella in vita. Per un’altra serata mi innamorai all’istante di un abito di Alberta Ferretti, con frange di metallo argentate. Un abito abbastanza difficile da portare perché anche molto pesante ma era scenico, irresistibile.

È vero che è stata sua mamma Paola a trasmetterle la passione per la moda?

Sì, fin da piccola. La accompagnavo nelle boutique delle sue amiche, mi provavo dei maglioni extralarge di Krizia o di Iceberg con gli animali, sembravo Pisolo (ride, ndr). Mia madre mi ha insegnato il potere salvifico dei bei vestiti e della cura di sé. Ogni volta che nella vita sono stata male, lei mi ha incoraggiato a pettinarmi, mettermi la crema, una camicetta carina. Se ti senti bella non sarai giù di morale, dice sempre. E lei è la prima testimonial di questa filosofia. Anche adesso, che non è più una ragazzina, si diverte con la moda, indossa ancora pantaloni di pelle alla sua età.

Quanti anni ha?

L’età vera non posso dirla pubblicamente: mia madre se ne sente sempre 39.

Lei scrive racconti, anni fa aveva una rubrica di critica cinematografica su Rolling Stone, ha mai pensato di pubblicare un libro?

Mi piacerebbe ma al tempo stesso non vorrei insinuarmi e dare fastidio ai libri veri, quelli per i quali ho enorme rispetto. Considero la scrittura un appuntamento con me stessa, anche se non scrivo direttamente di me. Vedremo.

Ha sposato un cantante. Lei canta?

Ho studiato canto al Centro Sperimentale. Nella mia famiglia per hobby cantano tutti. Mio padre davanti a un microfono non resiste e canta My Way tutta intera senza sbagliare una nota. Mia sorella, che è più grande di me, quando ero piccola mi trascinava con lei nelle sale prove dove cantava con una band. Mia madre, nei nostri viaggi in macchina, intonava tutto il repertorio di Dalla, De Gregori, Baglioni e Califano”.

Serata al karaoke. Carolina sale sul palco e che cosa canta?

È successo davvero. Eravamo in Grecia io e Francesco (Motta, il cantautore, suo marito ndr) e lui ha voluto a tutti i costi che partecipassimo a un karaoke per battere dei turisti olandesi. Io ero titubante, pensavo “ma se ci sono degli italiani tra il pubblico, che figura facciamo?”. Invece poi l’ho seguito: abbiamo cantato una pessima versione di My Way, in onore di mio padre e qualcosa di Bob Dylan.

È appena passato l’8 marzo. Mi cascano le braccia all’idea che si debba ancora parlare di parità.

Anche a me. Ma dobbiamo farlo! Le differenze di trattamento tra uomini e donne sono ancora enormi, a cominciare da quella salariale. E poi: le donne che, come me, non hanno figli, sono guardate con sospetto. Invece, quelle che i figli li hanno, si sono trovate, con la pandemia, a dover fare passi indietro sul lavoro perché l’impegno della gestione di casa e famiglia è caduto tutto sulle loro spalle. Del resto, quanti uomini conosce lei che abbiano goduto dei permessi di paternità? Io pochissimi.

In tutto il servizio, total look Giorgio Armani, gioielli Giuliana Mancinelli Bonafaccia

Credits
Photographer & art director Davide Musto
Ph. assistant Valentina Ciampaglia
Stylist Alfredo Fabrizio
Hair e make-up Fulvia Tellone @simonebellimakeup
Location TH Hotel Roma Carpegna Palace

Musica, psicologia, fiction e cinema: i diversi volti di Laura Adriani

Occhi grandi, sguardo intenso, una fisicità nervosa ma con un tocco di grazia da ballerina che la rendono diversa dallo stereotipo classico su cui sono modellate la maggior parte delle attrici del cinema italiano, sempre un po’ schiave di un’idea di sensualità convenzionale: ecco Laura Adriani, che è romanissima eppure sembra un po’ certe ragazze francesi, con addosso qualcosa di irrequieto e tormentato terribilmente sexy.



Ha iniziato da giovanissima e non ha ancora 28 anni. Ha interpretato una decina di film, spesso diretta da registi di qualità come Giuseppe Piccioni in Questi giorni e Silvio Soldini nel Colore nascosto delle cose. Ma, soprattutto, Laura ha lavorato moltissimo in televisione, ruoli piccoli e medi in tante fiction, una carriera senza fiammate eppure solida, un percorso più da maratoneta che da sprinter. Cosa che risponde al suo carattere deciso, equilibrato.



L’abbiamo appena vista in Cuori, serie campione di Auditel su Rai1, la ritroviamo in A casa tutti bene, reboot del film di Gabriele Muccino, campione di incassi del 2018. Gli otto episodi, scritti e diretti dallo stesso regista, sono in onda su Sky e in streaming su NOW dal 20 dicembre. Il personaggio interpretato da Laura Adriani è Ginevra, seconda moglie di Carlo (Francesco Scianna) primogenito dei Ristuccia, famiglia di ristoratori di successo visti da fuori, famiglia altamente disfunzionale da dentro.



Un tipino appiccicoso, questa Ginevra.

“Lo è, poverina. È più giovane del marito e lui è ancora legatissimo alla prima moglie (interpretata da Euridice Axen, ndr), donna molto sicura di sé, molto centrata. Però, vedrai, nel corso della serie, Ginevra evolverà e si rivelerà molto più interessante di quel che sembra a prima vista”.

Al momento mi pare vittima di una gelosia retrospettiva terribile. Sei gelosa anche tu, nella vita?

“Non molto. Sono tollerante in generale nei confronti delle debolezze umane. I tradimenti fanno parte della vita. E dell’amore. Si tradisce se si ama, quindi tutto è molto più complicato. Non ci sono bianchi e neri. Io stessa ho tradito e sono stata tradita. Penso che, prima o poi, capiti a tutti”.



Io credo che Ginevra sia così gelosa della prima moglie di Carlo anche perché lei è stata la sua amante, prima che lui si separasse. Sa che lui è un potenziale traditore e ha paura di ritrovarsi “parte lesa”.

“Non ci avevo pensato ma credo tu abbia ragione. La verità è che questa famiglia è terribilmente conflittuale e, nel momento in cui lei ha scelto di stare con quest’uomo, si trova in mezzo a tutte le loro contraddizioni. Ma, ripeto, più va avanti la serie più sorprendente sarà l’arco narrativo di Ginevra”.

Aspetto volentieri, la serie è un family drama molto riuscito. Ma torniamo a te. Tu hai partecipato a serie popolarissime, anzi nazional-popolarissime come I Cesaroni. Che ricordo hai?

“Ero piccola, ancora poco consapevole rispetto a tante cose. Mi sono divertita, ho imparato tanto, se ci penso è stato un periodo della vita entusiasmante e soprattutto decisivo”.



Ti sei laureata in Psicologia. Deduco che se non avessi fatto l’attrice, avresti fatto la psicologa.

“Sì, penso proprio di sì. E comunque, come secondo lavoro, lo faccio già un po’, nel senso che avere studiato certe cose si è rivelato un bagaglio davvero utile nel mio mestiere di attrice”.

Il mondo dello spettacolo è pieno di nevrotici? I set sono degli psicodrammi anche fuori scena?

“Un pochino sì (ride, ndr). E poi avere un background in psicologia aiuta tantissimo a capire i personaggi, a studiare le dinamiche con gli altri, è un bagaglio davvero utile”.

Sul luogo di lavoro ognuno ha un ruolo. Tu per tanti anni sarai stata la piccolina, la mascotte. Com’era?

“Ammetto che non era sempre facile. Mi sentivo un po’ schiacciata, intimorita dalla presenza degli attori adulti. Adesso è diverso, anche perché mi capitano ruoli più rilevanti, per esempio sto girando una nuova serie con Francesco Arca che probabilmente si intitolerà L’ultimo spettacolo e qui sono la protagonista femminile. Per me quel che conta è cercare di instaurare un rapporto paritario con tutti. Una volta, sul set, schiattavamo di caldo, ho chiesto dell’acqua, qualcuno della produzione si è offerto di andarmela a prendere, io ci ho tenuto a dire che dovevano portarla a tutti non solo a me”.



Non è più tempo di divismi, insomma.

“Ma proprio no. Questo è un lavoro collettivo, nessuno deve sentirsi lasciato indietro perché ha meno battute di un altro o perché il suo nome non è in testa al titolo”.

Tu sei anche cantante, hai partecipato a Ti lascio una canzone e insegni nella scuola di teatro musicale fondata da tuo fratello Daniele, che è tenore.

“Mio fratello è un vero cantante, lui sì. Io ho solo studiato canto, non mi definisco una cantante. La scuola è ad Acilia, io ho condotto un corso di recitazione, gli allievi sono ragazzi e bambini, si mettono in scena tanti musical, è un’esperienza bellissima e molto arricchente anche per chi insegna”.



E tu, non hai voglia di buttarti nel musical?

“L’ho già fatto, in realtà. Ho interpretato un musical che si intitola Next to Normal qualche anno fa. L’ho amato moltissimo perché, dentro un genere apparentemente leggero come il musical, si affrontava il tema dei disturbi bipolari. Uno spettacolo geniale e profondo che, non a caso, in America, ha vinto il Premio Pulitzer”.

Faresti ancora un musical?

“Il problema è che in Italia, il repertorio dei musical è molto limitato. Si fanno sempre le stesse cose, raramente si rischia con testi innovativi come Next to Normal. Ce ne sarebbero tanti altri super interessanti da adattare per l’Italia ma qui si preferisce fare Grease per la milionesima volta. Niente contro Grease, ma non fa per me”.



Video director: Federico Cianferoni 

Music: Iskander

Art Director & Photographer: Davide Musto

Styling: Andreas Mercante

Styling assistant: Valentina Calicchio

Ph. Ass. Dario TucciValentina CiampagliaRiccardo Albanese

Fashion Editor: Alfredo Fabrizio 

Ass. Fashion Editor: Federica Mele

Hair e make up: Laura Casato, Eleonora Mantovani @simonebellimakeup

Location: Coho Loft – Roma

Attore in carriera, attore sulla difensiva. In dialogo con Francesco Cavallo

Nel provino finale per il ruolo di Gianni Guido, uno degli assassini del massacro del Circeo nel film La scuola cattolica, Francesco Cavallo ha dovuto fare una cosa abbastanza sconvolgente anche per attori più navigati. Il regista Stefano Mordini gli ha chiesto di leggere ad alta voce la dichiarazione in tribunale di Guido, in pratica la confessione delle peggiori sevizie. “Era un test, per vedere se ce l’avrei fatta, per capire se riuscivo ad arrivare al bordo del burrone” racconta.

Francesco ce l’ha fatta alla grande. Casertano, 24 anni ha girato due film quasi in contemporanea, saltando da un set all’altro negli stessi giorni, un po’ come Isabelle Huppert in un famoso episodio della serie Chiami il mio agente. I due film sono appunto La scuola cattolica, che ha partecipato all’ultimo festival di Venezia ed è poi uscito in sala e Mio fratello, mia sorella che è su Netflix. E questo già sarebbe un record, perché nel primo è uno dei protagonisti, nel secondo un ragazzo autistico con tante scene molto impegnative. C’è gente che ci mette anni a conquistarsi ruoli così. Francesco lo sa.



Solo in apparenza svagato e leggero, il ciuffo che gli balla sugli occhi, non ha paura del successo ma sa di essere in uno di quei momenti della vita dove ogni scelta è un dilemma e bisogna stare attenti a dove si cammina.

Quando lo intervisto, ha appena finito di girare la prima serie della sua vita. Si intitola Vincenzo Malinconico avvocato e lui interpreta il figlio del protagonista (Massimiliano Gallo). Andrà probabilmente in onda sulla Rai nel 2022 ed è tratta dai romanzi di Diego De Silva.  

E poi?

“Ancora non lo so”.

Come? Non sei stato inondato dalle offerte?

“Qual è il parametro di un’inondazione di copioni? (ride, ndr) Vabbè, qualcosa è arrivato. Due cose, in particolare, davvero belle, di quelle che se me le avessero predette un anno fa sarei impazzito e, in effetti, sono impazzito. Ma ancora non ne posso parlare”

Attore in carriera, attore sulla difensiva.

“Più che sulla difensiva, mi sembra di avere bruciato delle tappe canoniche e in certi momenti mi sento un po’ impreparato. Non vorrei spostarmi troppo dal centro della questione”.

Che sarebbe?

“Fare il mestiere che ho scelto”.

Quando lo hai scelto?

“In realtà, lo ha scelto mia madre per me. Mi ha iscritto a un corso di teatro, quando avevo sette anni. Ero molto irrequieto, cambiavo sport di continuo. Tre mesi di scherma, poi mi stufavo. Poi tre di nuoto, poi tre di basket. A un certo punto lei ha avuto questa intuizione: il corso di teatro. E lì è iniziato tutto. Ho fatto molti spettacoli amatoriali ma anche una tournée con la compagnia di Giulio Bosetti: Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello”.



Però.

“A 17 anni sono andato a Roma e mi hanno preso al Centro Sperimentale, la strada era segnata. Mi sento completamente cambiato da quando faccio questo mestiere, perché non è solo una professione ma proprio un modo di vivere, un’idea dell’esistenza.  Fare l’attore porta a farti milioni di domande, al momento non riesco ancora a dividere la mia persona dall’attore che vorrei essere”.

E che attore vorresti essere?

“Proprio una di quelle domande da un milione di dollari. Se avessi la risposta, avrei risolto tutti i miei quesiti. Un giorno mi piace quel film, il giorno dopo mi piace l’opposto. Di sicuro so che sono stato fortunato a debuttare in un progetto come La scuola cattolica, con un regista che ha curato tantissimo il lavoro di noi attori. Non vorrei calare l’asticella”.

Modelli di attori?

“Sean Penn. Ralph Fiennes. Luca Marinelli. Isabelle Huppert. Tutti grandi trasformisti. So che sto dicendo una banalità, ma a me piacciono quelli che sanno cambiare così, radicalmente, mettendosi al servizio di storie crude, di un cinema autoriale. Nel cinema italiano non è così frequente. In quello francese già di più. Infatti, sto studiando il francese e vorrei tentare di fare qualcosa lì”.

Vaste programme, come dicono loro, appunto. Che ne pensa tua madre, adesso?  Lei che ha avuto l’idea a Caserta.

“Esatto, dice questo, che lei ha avuto l’idea e lo rivendica sempre! (ride, ndr).  Mia madre è un personaggio, una caratterista nata. Fa la professoressa di matematica e ha sposato un ingegnere, cioè mio padre, ma è l’opposto dello stereotipo: va a scuola con calze verdi, gonne lunghe fatte con le cravatte, è istrionica, fantasiosa, difficile da inquadrare. Mio padre, invece, è esattamente come ti immagini sia un ingegnere”.

Che ne pensano loro della tua carriera?

“Sono contenti perché hanno capito che faccio sul serio e si stanno godendo il sogno con me. Ma io li tengo all’oscuro dei momenti difficili, della parte tormentata, dello sforzo che si fa nell’accettare i provini non andati in porto. Ho imparato che bisogna avere la consapevolezza che non si potrà mai andare bene per tutti i film e per tutti i ruoli. Noi attori siamo destinati a ricevere più no che sì. Ma è giusto, è parte del gioco. Solo che se non lo capisci scivoli, ti butti giù, è molto pericoloso”.



Luca Marinelli, invisibile sui social media versus Alessandro Borghi, 847mila follower. Tu?

“Mah. Sono consapevole della potenza dei social ma mi sembrano una delle tante cose che ti fanno perdere il centro, quel centro di cui parlavo all’inizio: il mestiere che ho scelto. In sintesi: i social media mi stressano, anche se so che è utile starci. Anzi, mi stressano proprio perché so che è utile starci”.

Quanto utile? Se vai a un provino competi anche con chi ha più follower di te?

“Sì. Oggi è così. Giusto o sbagliato non importa, ormai indietro non si torna. Un profilo social è un elemento di potere contrattuale”.

E il rapporto con i brand come lo vedi? È un altro aspetto di cui oggi un attore fatica a fare a meno.

“Al contrario dei social con cui ho un rapporto un po’ conflittuale, la collaborazione con i brand io la trovo un’esperienza molto positiva. Al festival di Venezia ci sono andato con Valentino, abbiamo fatto diversi fitting, mi sono divertito e poi, soprattutto, una volta sul tappeto rosso, ero a mio agio. Il fatto di indossare qualcosa di pensato e adattato per me, ha anche aiutato a togliere la pressione del momento, sono stato benissimo”.

Total look: Valentino

Photography Davide Musto

Stylist Francesco Mautone

Make Up Marialivia Igliozzi

Hair Cristian Vigliotta

Location Teatro Brancaccio Roma

Stylist’s Assistant Federica Pennetti

Photography Assistant Valentina Ciampaglia