Al Narni Città Teatro Festival Gemitaiz racconta il suo percorso artistico

Il più atteso dai giovani al Narni Città Teatro Festival, quest’anno è stato Gemitaiz. Un milione e mezzo di follower su Instagram, cresciuto nell’ambiente underground romano, Davide De Luca – questo il suo nome – è stato ospite di Francesco Montanari.
Montanari, direttore artistico del festival insieme a Davide Sacco e Ilaria Ceci, è amico di Davide dai tempi dello spettacolo teatrale Cattivi Ragazzi. Le musiche erano infatti firmate da Gemitaiz e Frenetik & Orange. «Non lo avevo mai fatto – ammette Davide – e non è stato facile. Pensavo a tutti quelli che avrebbero ascoltato quella canzone e che non erano abituati al rap. Volevamo fare qualcosa che fosse comprensibile e ci siamo riusciti».

Intervista a Gemitaiz: «La musica è l’unica cosa che so fare»

Tanta strada alle spalle, una vita raccontata nelle sue canzoni «Il mio album preferito, quello al quale sono più affezionato, è Nonostante tutto – Gemitaiz ha iniziato a fare rap da giovane, ma fin dall’inizio – non ho mai pensato di mollare. La musica è l’unica cosa che so fare. Non sono portato per altro. Per questo auguro a tutti i ragazzi di trovare una passione, perché se la trovi allora vai fino in fondo».

A Narni è arrivato un Davide maturo, amato da tanti giovani e giovanissimi arrivati lì per lui. Ragazzi e ragazze che lo hanno ringraziato per averli accompagnati in viaggi di vita che spesso non sono facili; che lo considerano “un fratello” anche per le sue fragilità, la rabbia, i sogni che sbattono contro la realtà; e poi la forza e la determinazione che lo hanno portato “a farcela”.

Davide inizia a scrivere giovanissimo. «Ho iniziato col rap grazie al mio migliore amico che mi regalò un disco di Tupac per il compleanno dei miei 13 anni. Andai in montagna con i miei genitori e sentii quel disco tante volte. Non sapevo sciare, e non so ancora sciare, e in qualche modo dovevo occupare il tempo. Pensai che fosse una musica forte, piena di sacrificio, dolore, e sono rimasto catturato da questo immaginario dei sobborghi di Los Angeles. Era il contrario di quello che vivevo io, che non venivo dal ghetto americano dove rischiavo di essere ammazzato tutti i giorni. Però ho vissuto anch’io le situazioni di povertà che c’erano a Roma. E ancora oggi credo che sia nobile esporre con la musica i problemi del posto da dove vieni, dove sei cresciuto e che ti ha formato».

Gemitaiz
Gemitaiz

«Le cose migliori che ho fatto sono quelle che ho scritto di getto»

Come si è evoluto il tuo processo creativo nel tempo e quali altre forme d’arte ti influenzano maggiormente nel tuo lavoro?

Mi ricordo che ho iniziato a scrivere le mie rime in classe, sul diario, in terza media. Oggi non sono capace di scrivere senza la musica, ma allora non avevo base musicali. Al massimo potevo scrivere su altre canzoni. Ma a scuola occupavo ad esempio le ore di matematica, dove non capivo niente, scrivendo le prime righe. Scrivo sensazioni. Il mio analista mi ha detto che io sono un ripetitore: “tu vedi, senti, tante cose, poi le processi e le ributti fuori nei tuoi testi”.

La musica è quella con la quale riesco a comunicare meglio. Ma ho imparato ad interessarmi anche ad altre forme di arte. Mi è capitato di emozionarmi con sculture o quadri. Ci sono cose che riesco a capire meno di altre, come ad esempio la danza. Credo che la danza sia incredibile, ma guardandola non riesco a percepire un granché. Guardando un dipinto, invece, mi arrivano sensazioni. La mia ispirazione viene da un mix di altre forme d’arte e vita quotidiana.

Quando scrivo non mi chiedo se quell’argomento è importante per chi ascolta. Negli anni ho visto che le cose migliori che ho fatto sono quelle che ho scritto di getto. Difficilmente rimaneggio un pezzo. Non è pigrizia. È che mi sembra di dissacrare un testo se non lo lascio come l’ho pensato. Se l’ho scritto in quel modo è perché in quel momento lo sentivo così. Non riesco a iniziare un pezzo un giorno e finirlo il giorno dopo. Se comincio a scrivere di notte mentre piove, non posso continuare la canzone tre giorni dopo, di pomeriggio, col sole. Se mi piace la finisco, sennò la getto via. Una canzone per me è una foto di un preciso momento.

«Davanti a quello che succede nel nostro Paese e nel mondo, credo che un’artista si debba sempre esporre»

Nel tuo percorso artistico, ci sono stati momenti in cui hai sentito particolarmente la necessità di esprimere la tua opinione su questioni sociali o politiche?

Davanti a quello che succede nel nostro Paese e nel mondo, credo che un’artista si debba sempre esporre. Chiunque si dovrebbe sempre battere per la propria idea di giustizia. Se uno è un’artista, trovo che sia vitale comunicare il proprio pensiero a chi ti segue. Io non ho neanche finito la scuola, quindi potrebbe essere strano avere un approccio didattico. Ma sento che è importante dover far sentire la propria voce sulle questioni importanti… ed è qualcosa che ultimamente sta venendo a mancare.

Narni Teatro Città Festival
Gemitaiz

«Ho collaborato con tanti artisti con i quali siamo anche diventati amici, ma mi piacerebbe fare un disco tutti insieme, come fecero negli anni Ottanta con We are the World»

Come nascono le collaborazioni con altri artisti nei tuoi pezzi?

Scelgo con chi collaborare in base alla musica. Se penso che per una canzone va bene un’artista, lo chiamo. È solo una questione di orecchio. Ascolto un testo e dico: voglio lavorare con questa persona.
E per me ogni collaborazione è speciale. Anche quando lavoro con qualcuno con cui ho già suonato, penso che quella collaborazione in particolare sia unica. È bello quando due artisti lavorano insieme per creare, e nel rap succede spesso. È meno frequente nel mondo della musica pop. E nonostante nel rap ci sia tantissima competizione, le collaborazioni fanno parte di questo mondo. Nel rap ci sono situazioni nelle quali due artisti si odiano, ma anche quello è bello, anche quello è spettacolo. È qualcosa che nel resto della musica non esiste.

Non esiste un gruppo rock che fa un pezzo contro un altro gruppo rock. Nel rap sì. A me è successo, ma l’ho sempre visto sul piano artistico, no che poi dopo, se lo incontri, lo meni. Anche esprimere il proprio disprezzo in un testo contro un’artista è una libera espressione. Se penso che ci sia uno che è un parassita dell’industria musicale, e mi irrita così tanto da volerlo dire in una canzone, è un modo di comunicare le tue idee a chi ti ascolta. Ho collaborato con tanti artisti con i quali siamo anche diventati amici, ma mi piacerebbe fare un disco tutti insieme, come fecero negli anni Ottanta con We are the World.

«Trovo che le cose più belle dell’arte sono quelle alimentate dalla tristezza e dal buio più che dalla luce»

Non ci sono più canzoni che sono un inno collettivo

Nel panorama musicale, sia italiano che internazionale, a parte qualcuno, non mi pare che ci sia un messaggio importante che passi in questo momento storico. È anche difficile fare una cosa che resti, perché escono 1200 canzoni ogni venerdì in tutto il mondo. C’è un approccio più leggero nella scrittura, anche nella mia. Se risento i pezzi che scrivevo dieci anni fa… eravamo altre persone, ero diverso. Poi crescendo è ovvio che la musica viene smussata da quello che vivi.

In un festival il cui tema è il sogno, quali feat sogna di fare Gemitaiz?

Tanti, ma molti sarebbero con artisti morti. Diciamo con Eminem, Frank Ocean e Lana del Rey.

Che significato ha per te la musica?

La musica mi ha aiutato nei momenti difficili, ma non è stata l’unica cosa. Ci sono stati anche gli amici. Non sono stati tanti, ma quelli che ci sono stati sono stati importanti. È un po’ triste da dire, ma trovo che le cose più belle dell’arte sono quelle alimentate dalla tristezza e dal buio più che dalla luce. Riuscire a estrapolare qualcosa dalla tristezza o vedere la bellezza che ci può essere nella malinconia o nella solitudine, trovo che sia un privilegio. Se riesci a farlo diventa quasi piacevole. So che è assurdo da sentire. Ci sono giorni in cui sono contento di sentirmi triste o malinconico o pensare che determinate cose potevano andare meglio. È l’abilità di riuscire a sguazzare nella tristezza senza guardare solo il lato negativo. La maggior parte degli artisti che stimo di più, nell’arco della loro storia non se la sono sempre passata benissimo.

«Alla fine si tratta sempre di fare la scelta che ti sembra più coerente con te stesso»

Quando hai capito di star seguendo la strada giusta?

Quando ho iniziato a guadagnare, la prima cosa che ho pensato è stata: “da paura!”. Io non sono bravo a fare altro. Ho avuto questa lucidità di capire che cosa volessi fare e anche la tenacia di perseguire questa strada. Sono contento che sia diventato il mio lavoro. Ma l’integrità di un’artista deve essere scissa dal mondo dei soldi. Avrei potuto fare tanti soldi in più, ma mi sarei vergognato di quello che avrei dovuto fare per farli. Alla fine si tratta sempre di fare la scelta che ti sembra più coerente con te stesso. Non ricordo cosa ho fatto con i primi soldi: potrei esserci andato in vacanza o anche solo al ristorante. Non mi ricordo.
Ricordo però quando ho capito che ce l’avevo fatta: quando ho fatto il primo concerto per QVC2 a Roma a San Lorenzo. Era il primo concerto da solo e c’erano tipo 200 persone. Lì capii che stavo ingranando, nonostante tutto. Stava accadendo davvero!

Gemitaiz
Gemitaiz

Soldi e successo rendono meno arrabbiati meno contestatori? Sei cresciuto e hai un’altra età oppure ti senti libero di esprimerti solo sul tuo palco e nei testi delle tue canzoni? Perché faccio fatica, in questo momento, a vedere davanti a me il Gemitaiz di Nonostante tutto

Soldi e successo sicuramente fanno essere meno arrabbiati, perché vedi che quello che fai sta funzionando. E il metro di paragone che ha uno che fa il mio lavoro, è vedere quanti dischi vendi.
Allo stesso tempo ci sono tante occasioni nelle quali un’artista può perdere credibilità e guadagnare denaro. Quelle sono le situazioni da evitare. Quindi, anche se uno è meno arrabbiato, un po’ più nella sua comfort zone, deve sempre cercare di mantenere nobile quello che fa e quello per cui ha cominciato. Questo almeno è il mio approccio alla mia carriera. Ognuno è libero di fare quello che vuole, ma trovo che sia importante non scendere a compromessi. Non comportarsi in maniera diversa rispetto a quello che è stato il proprio percorso, nel mio caso nella musica.

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