Charles Leclerc, la giovane stella Ferrari

Sa stare al suo posto, ascoltare gli ordini di scuderia e capire quando può essere necessario sacrificarsi, è giovane ed ha talento. Charles Leclerc è veloce, ma è anche composto, raffinato, elegante. Ha tratti fini ed occhi del colore del mare, quel mare dove ogni giorno si specchia il “glamour” del suo luogo d’origine: Monte Carlo.

Il ventunenne pilota di Formula 1 da questa stagione affianca il quattro volte iridato Sebastian Vettel in Ferrari. Era dai tempi di Ricardo Rodriguez, nel lontano ’61, che Maranello non investiva su un pilota così giovane. Una ventata d’aria fresca, indice della volontà dello storico team di rinnovarsi.

Tutti, colleghi inclusi, vedono in questo ragazzo un futuro promettente: in lui sono riposte fiducia, speranze, e il forte desiderio di riconquistare un titolo mondiale che manca da tempo.

Ad oggi, si può dire che la tuta rossa gli ha regalato gioie e dolori: in sei Gran Premi, ha ottenuto la sua prima pole in carriera, una vittoria sfumata e premiata con una coppa di bronzo, un quartetto di quinti posti e un ritiro, più amaro dell’amaro poiché arrivato proprio nella sua amata Monte Carlo. 

Tanto tranquillo e carismatico fuori dalla pista, quanto determinato guerriero dentro la sua monoposto, Charles ha sin da subito dimostrato impegno, velocità, determinazione, e un’ingenua audacia ai limiti della spericolatezza tipiche dei predestinati a diventare leggende. Chiunque, nella gara monegasca, ha rivisto romanticamente in lui un po’ del Gilles Villeneuve nell’ Olanda del ’79, in quel pazzo tentativo di fare metà pista su tre ruote pur di arrivare ai box e portare avanti la sua rimonta consapevole di avere il fondo totalmente danneggiato. Forse, per questo, l’aver compiuto solo 18 tornate sulle 78 previste è stato un po’ meno doloroso del normale. Nonostante tutto, è riuscito ad esibirsi in un paio di sorpassi spettacolari. 

Il Principato è il suo luogo del cuore: quando, da piccino, sentiva le auto da corsa passare sotto casa durante il Gran Premio, allungava il collo per cercare con lo sguardo quella di colore rosso. Perché, come ammette lui stesso, “La Ferrari è il sogno di tutti i piloti, anche di quelli che non lo dicono.”

Spinto dalla passione tramandata dal padre Hervè, inizia a correre a soli otto anni a Brignoles, il kartodromo gestito dal papà del compianto Jules Bianchi, suo fraterno amico. La prima volta sul kart è così elettrizzante, da non accorgersi di guidare senza casco. Quando la Scuderia Ferrari decide di inserirlo nella Ferrari Driver Academy gestendone la crescita sportiva nel 2016, Leclerc vede sempre più vicina la possibilità di entrare a far parte del grande Circus. Due anni più tardi, il volante in Alfa Romeo Sauber è suo. Dopo un inizio di stagione faticoso, Charles riporta alla luce le sue capacità con valide prestazioni e non passa inosservato.

Nel settembre del suo stesso anno d’esordio, Ferrari lo sceglie per il 2019 come sostituto di Kimi Raikkonen, l’ultimo “Imperatore rosso”.Per la prima volta dalla sua fondazione, la Ferrari Driver Academy riesce a portare un allievo in “prima squadra”, Charles, d’altronde, l’Italia ce l’ha proprio nel cuore. Non solo per le gare di kart, anche per Giada, la sua fidanzata di origini partenopee. 

Foto courtesy Charles Leclerc

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FAIR PLAY NELLA SCHERMA: MARCO FICHERA

Classe 1993 e una vita dedicata alla scherma, Marco Fichera originario di Arcireale ha già collezionato una medaglia d’argento ai giochi olimpici di Rio De janeiro, un bronzo agli europei 2018 e il premio Fair Play 2018, conferito a chi ha saputo promuovere valori di lealtà e correttezza sportiva.
Un vero orgoglio all’italiana che promuove i principi sportivi di lealtà.

Total look: Brunello Cucinelli

Quando hai iniziato a praticare lo sport della scherma ?
L’inizio della mia attività è stato quasi del tutto casuale, il mio vicino di casa praticava scherma e da lì è iniziato il tutto. Avevo 7 anni e poco a poco è diventato un lavoro, sin dall’età di 14 anni ho iniziato a vincere, a 17 anni sono entrato in polizia nelle fiamme oro grazie alle quali ho avuto modo di trasformare la mia passione in un lavoro

A 22 anni hai vinto un argento alle olimpiadi di Rio e solo due anni dopo un bronzo agli europei, quale sarà il tuo prossimo traguardo?

I nostri cicli sono sempre in base alle olimpiadi, dopo Rio abbiamo iniziato subito a programmare le olimpiadi di Tokyo del 2020. Durante questi 4 anni ci sono appuntamenti che valgono comunque tanto, come gli europei o le qualifiche delle olimpiadi che si terranno a maggio.

Recentemente ti è stato assegnato il premio fair play e con ciò che è successo a Bogotà hai dato una splendida lezione di sportività ed eticità, ce ne vuoi parlare?

Noi facciamo uno sport in quale il punto valido è quello sul bersaglio. In quell’occasione stavo 2 a 1 contro l’avversario a 7 secondi dal finale, ho portato uno stoccata non sul bersaglio ma a terra e nessuno si era reso conto, neanche l’arbitro. Io però avevo la certezza di ciò che era successo e quindi l’ho accusata. Noi sportivi grazie alla nostra sensibilità riusciamo a renderci conto quando un punto non è andato a segno, e quindi ho insistito chiedendo la prova video perché ci sono altri valori che vanno aldilà del risultato, dalla vittoria e dal prestigio che ne consegue. Grazie alla moviola l’arbitro si è reso conto dell’errore. Ho perso la vittoria, ma ho vinto come persona.

E il tuo rapporto con la moda?
Io come tanti uomini ho un rapporto conflittuale con il vestirsi, ma se devo essere onesto negli ultimi anni mi è sempre più piaciuto ricercare look diversi e soprattutto essere a passo con i tempi. Ho avuto diverse esperienze con alcune aziende e ne sono contento perché la cura del look fa parte della cura della persona.

Dove ti vedi fra cinque anni?
Sto studiando scienze politiche e dopo la laurea voglio iscrivermi a giurisprudenza, faccio sport e ho diversi interessi. Non so dove sarò tra cinque anni, ma sicuramente sarò impegnato. Per esempio sono molto vicino al sociale con due associazioni importanti, l’associazione Francesca Rava si occupa di assistenza a ragazzi che vivono in situazioni disagiate all’estero e in Italia, con loro abbiamo dato un grande contributo per la realizzazione di alcune scuole colpite dal terremoto nella zona del centro Italia, mentre Aida aiuta i ragazzi con il disturbo dello spettro autistico.

Photographer: Alan Pasotti
Stylist: Stefano Guerrini
Stylist’s assistant: Vittoria Parola, Fabiana Guigli
Grooming: Fabiana Albanese
Thanks to Cristina Florence Galati

 

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VIVIENNE WESTWOOD: LA DAMA RIVOLUZIONARIA.

Iconica, punk, rivoluzionaria e controcorrente, nel corso degli anni Vivienne Westwood ha dato vita ad uno stile unico che si sposa perfettamente con il suo attivismo. Lo scorso 20 febbraio è uscito nelle sale cinematografiche “Westwood. Punk. Icona. Attivista” diretto da Lorna Tucker e distribuito da Wanted Cinema e Feltrinelli Real Cinema, un intimo ritratto dell’iconica designer britannica. Ma perché Vivienne Westwood è così importante?  Ecco i cinque motivi per cui designer britannica è diventata un’icona destinata a rimanere per sempre tra i nomi che hanno rivoluzionato la moda.

Ha lanciato lo stile Punk nella moda.
Proveniente dalla Working Class Inglese, Vivienne arriva a Londra all’età di 17 anni, la sua vita prende una piega inaspettata quando incontra Malcom McLaren, impresario e manager dei Sex Pistols: insieme aprono un negozio a Kings Road lanciando il genere punk,  che di lì a poco diventerà poi una vera e propria sub-cultura dal respiro rivoluzionario.

Ha attuato una rivoluzione sessuale
Dalla metà degli anni 70, il negozio assume un’identità ancora più forte, attraverso design perversi destinati a prostitute e personaggi eccentrici della movida londinese, viene esplorata la sfera sessuale e trasferita direttamente sui capi. La coppia più eccentrica di Londra aveva come obbiettivo quello di scioccare le persone e rivoluzionare l’opinione pudica di quegli anni, pertanto, vennero istallati dei graffiti pornografici nelle pareti interne del negozio.Westwood e McLaren arrivarono persino a includere nelle loro collezioni delle scarpe che ricordavano atti sessuali espliciti.

L’impegno politico
Le battaglie politiche sono fondamentali nella storia della Westwood. Nel 1983 appare in copertina per la rivista Tatler vestita e pettinata come Margaret Thatcher, allora primo ministro del Regno Unito:  l’immagine era accompagnata dalla scritta “THIS WOMAN WAS ONCE PUNK” Il completo indossato da Westwood nell’immagine era stato ordinato dalla Thatcher. Tra i suoi appoggi a questioni civili ricordiamo quello al gruppo britannico per i diritti  National Council for Civil Liberties nel 2005 dove lanciò una serie di capi che includevano lo slogan “I am not a terrorist, please don’t arrest me” durante la battaglia per la salvaguardia della libertà individuale che vige nel Regno unito. Il gesto più anticonformista rimane però il suo incontro con la Regina Elisabetta II in occasione del ricevimento del titolo di dama dell’ordine dell’impero britannico, Vivienne da sempre ostica alla Gran Bretagna fece ruotare l’ampia gonna, mostrandosi con addosso soltanto delle collant senza biancheria intima.

La battaglia ambientalista
Da sempre un’attivista molto sensibile a tematiche ambientali, Vivienne promuove nelle sue creazioni una moda sostenibile e cruelty free. Dalla linea di borse e accessori creata per l’Ethical fashion Africa project,  fino al suo sostegno per la campagna Save the Artic con lo scopo di fermare le trivelle e la pesca industriale nell’artico, passando per le t-shirt in collaborazione con Marie Claire e People Tree volte a salvaguardare le tribù indigene della foresta pluviale. La sua battaglia ecologica va a pari passo con quella politica, ricordiamo il famoso aneddoto del natale 2014 quando regalò al primo ministro inglese David Cameron un pacco contenente amianto per protestare contro la pratica del fracking.

E’ una stilista da Museo
Vivienne Westwood ha da sempre avuto un profondo rapporto con il mondo dell’arte tanto da dare vita ad una concezione di moda che è un punto d’incontro tra arte e design. Alcune delle sue creazioni sono diventate fondamentali per la storia del costume, tanto da essere esposte nei musei come delle vere e proprie opere d’arte, è il caso della collezione Pirate in mostra al Victoria and Albert Museum di Londra.
Proprio lo scorso dicembre è stata annunciata la sua collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, per l’occasione, la dama della moda Inglese ha disegnato le divise del personale, andando così a solidificare il suo legame con le istituzioni museali.


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MOVIE TO WATCH: BOY ERASED VITE CANCELLATE.

Siamo stati alla prima di Boy Erased, film basato sulla storia vera di Garrard Conley e raccontata nel suo libro di memorie Boy Erased: A Memoir, pubblicato negli Stati Uniti nel 2016 e tradotto in italiano nel 2018.

Protagonista del film è Lucas Hedges, affiancato dallo stesso regista Joel Edgerton, Nicole Kidman e Russell Crowe. La pellicola si snoda sulla tormentata storia di Jared, dicannovenne proveniente da una famiglia battista dell’Arkansas che dopo aver fatto coming out con i genitori, viene costretto ad intrapendere una terapia di conversione dall’omosessualità, la cui pena in caso di fallimento sarà l’esilio dalla famiglia e dagli amici. Il percorso “riabilitativo” chiamato Love in Action, si rivela per il protagonista un viaggio nella follia di una compagnia religiosa oscurantista, un’antiterapia che si pone come obbiettivo quello di cambiare la natura dell’omosessuale sfidando i numerosi studi psichiatrici in merito. Boy Erased racconta tramite la finzione cinematografica, una realtà purtroppo ancora oggi profondamente radicata nella cultura occidentale.

Il film è ispirato da una storia vera, quella di Garrard Conley, che compiuti 19 anni subisce uno stupro, a cui segue il coming out. Da quel momento i genitori decidono di fargli seguire una “terapia di conversione” in un centro religioso specializzato per “curare i gay”, Love in Action, poi diventato Restoration Path. L’obiettivo è smettere di essere omosessuale, ma dopo due settimane Conley tenta il suicidio e si sente un errore umano. Non è l’unico ad essere stato sottoposto a programmi per adolescenti che, si legge nella descrizione del centro, “soffrono per l’attrazione sessuale verso partner dello stesso sesso, per l’interesse verso la pornografia e/o verso la promiscuità”, con risultati piuttosto rilevanti. Le terapie di conversione sono presenti anche sul territorio italiano, in epoche non troppo lontane hanno avuto anche una forte risonanza mediatica, come nel caso del controverso brano “Luca era Gay” di Povia, secondo classificato a Sanremo 2009 che ricalca la storia vera di Luca di Tolve, omosessuale “convertito” che oggi presiede anche l’associazione onlus Regina della Pace, finita negli anni scorsi nel mirino mediatico a seguito di un servizio delle Iene.

Nonostante le tematiche trattate nella storia siano ormai all’ordine del giorno, non è mai troppa l’informazione in questo senso. Se da una parte sembra che questi argomenti siano ormai permeati e metabolizzati dalla nostra società, assistiamo quotidianamente a discriminazioni che ci dimostrano il contrario. Compito principale del cinema è quello di educare, ed è giusto ricordarci di una società chiusa e bigotta nella quale la scoperta dell’omosessualità viene ancora trattata come una malattia, nonostante il DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) la abbia derubricata nel 1990.

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Credit: Focus Features

LONDRA, NEW YORK E MILANO: I TALENT TO WATCH DELLE FW 2019.

Delle vere e proprie vetrine volte alla promozione dei giovani talenti del panorama internazionale,  le FW di Newyork, Londra e Milano puntano anno dopo anno sulle nuove leve più interessanti del settore che , attraverso innovazione e creatività, spiccano tra le passarelle delle tre metropoli della moda.

Londra – 1×1 studio
Fondata nel 2017 e guidata dalla designer Taiwanese Yi-Ling Kuo premio FDC Young Designer,  il marchio di abbigliamento maschile di lusso propone una maglieria innovativa che fonde perfettamente artigianato e creatività, formale e casual si fondono così nella visione di Yi-ling Kuo dando vita ad un ready to wear giocoso che può essere adatto a tutti i tipi di occasione. Nelle lavorazioni di 1×1 studio vengono impiegati sempre materiali di riciclo, che fusi con le particolari trame 3d e tecniche di lavorazione innovative, permettono alla designer Yi-ling Kuo di esplorare nuovi orizzonti tessili.
1×1 studio si è distinto durante gli scorsi one to watch di Londra con una collezione che esplora la tecnologia d’avanguardia interpretando la convinzione di un futuro scientifico. La relazione tra uomo e tecnologia viene spiegata attraverso il miro di Icaro, l’idea di “non volare troppo vicino al sole” si riversa sull’atteggiamento umano verso la tecnologia e trova la sua spiegazione attraverso una collezione innovativa che ci proietta nel futuro.

Milano – Angel Chen

Dopo una formazione in Central Saint Martins Angel Chen fonda il suo brand nel 2014 a Shangai, durante la scorsa FW milanese ha presentato la sua nuova collezione, un sentito tributo all’antica tribù nomade Qiang della Cina occidentale.
Twill, denim, tessuto scozzese, montone, piume, e toni aranciati, rossi, giallo brillante e blu navy hanno dato vita ad una fall winter colorata e frizzante, la giovane designer  seminfinalista al Woolmark prize 2018/2919 è anche molto attenta all’utilizzo e all’impiego di tessuti eco-sostenibili come le pellicce di lana o il tessuto scozzese realizzato con filo ricavato da bottiglie di plastica riciclata.

Styling a cura di Giorgia Cantarini

New York- R13
Fondata nel 2009 dal designer Chris Leba R13 vuole presentare beni di lusso che richiamino lo spirito ribelle della storia Americana.
Per la FW 2019 Leba si è ispirato ai negozi dell’usato mentre visitava Austin TX, la collezione viene descritta come “un’ode alle nonne grunge” e mescola sapientemente diversi elementi vintage; bavaglini di pizzo, t shirt vintage ricamate a mano, abiti floreali anni 50, giacche adornate con braccialetti e leopardato che viene impiegato in cappelli, pantalon,  top in flanella drappeggiati e abitini stapati.
Il risultato finale è una fantasia vintage che si fa collezione attraverso il personale tocco del designer.

 

 

NICO VALSESIA – IMPRESE ESTREME: IL POSSIBILE NELL’IMPOSSIBILE

Imprese all’apparenza folli, ma straordinarie, che abbracciano la bellezza degli oceani, l’infinità dei deserti e la maestosità delle catene montuose. Nico Valsesia, 47enne di Novara, ne è il protagonista. In più di
vent’anni di onorata carriera, ha collezionato una lunga serie di imprese sportive estreme e record in giro per il mondo. Del suo motto “la fatica non esiste” ne ha fatto un libro, nel 2014. È istruttore di sci, ciclista,
campione di endurance, ultratrail runner e organizzatore di tour di cicloturismo estremo e competizioni no-limits, come ad esempio il K3, l’evento Red Bull che è entrato nel circuito mondiale di skyrunning, e la toubkal in Marocco. Proprio in Marocco, nel 2019 prenderà il via “let’s ski together”, un progetto finalizzato alla donazione di
attrezzature sciistiche di cui Nico è prima voce e promotore.

Com’è nata la sua passione per lo sport estremo?
Sono nato in un paese (Borgomanero, Novara, n.d.r) situato tra le montagne, a 1500 metri dal livello del mare. Un luogo in cui principalmente si scia, quindi sport più comuni come il calcio, ad esempio, non sono stati
mai molto praticati. Sin da ragazzino ho sempre amato avventurarmi per ore, e con la sola compagnia del mio cane, tra la natura della montagna. Amavo stare solo, e questa mia capacità di saper affrontare l’endurance
credo sia in parte ereditaria: mia mamma non ha mai praticato sport, ma nella vita ha lavorato come commessa in un bar-pasticceria. Attaccava alle 5 del mattino e staccava a mezzanotte. E oltre questo, faceva i lavori
di casa. Una resistenza incredibile; se nella vita avesse fatto l’atleta, probabilmente si sarebbe distinta nella maratona. Il suo motto è diventato il titolo del suo libro. Quale filosofia c’è
dietro al fatto che “la fatica non esiste”? La fatica esiste, tutto sta nel non sentirla. Perchè se riesci a fare di quello
che è la tua passione la tua vita, allora la fatica non esiste. Se riesci a rendere la tua passione il tuo lavoro, hai vinto, e non esistono soldi in grado di pagare questo tipo di soddisfazione. Credo che nella vita sia
importante non accontentarsi mai, lottare per raggiungere i propri sogni, perché la fortuna non casca dal cielo, la fortuna si crea. Pensandoci, “la fortuna non esiste” potrebbe essere il titolo di un mio prossimo libro.

Coltiva degli hobby?
Il mio lavoro lo è. Allenarmi tutti i giorni per 4 o 5 ore è un piacere, uno sfogo, la mia felicità. Sono sereno quando mi alleno, è come una dipendenza.

Come si concentra prima di un’impresa?
Col passare del tempo ho imparato a conoscermi e a riconoscere
quando sono in forma, è tutta una questione di “testa”. Prima di una sfida cerco di focalizzarmi solo su quello, anche se gli altri pensieri e ciò che c’è al di fuori delle gare non posso cancellarlo. Mi
concentro intensamente su uno specifico spicchio di quella torta che rappresenta la mia vita per dare il massimo, che raggiungo anche grazie agli stimoli: il più importante è rappresentato dai miei
tre figli.

Parliamo ora del progetto “Let’s ski together”: da quale idea nasce e perchè ha scelto proprio il Marocco?
Il Marocco è nel mio cuore, per svariati motivi. Non tutti sanno che è patria dell’immensa catena dell’Alto Atlante, caratterizzata anche da montagne di 4mila metri. Lo scorso anno mi trovavo proprio in Marocco
a sciare, come tante altre volte. Ricordo che aveva nevicato moltissimo, in due giorni si erano formati circa 3 metri di neve. Durante lo sci alpinistico, passando tra un villaggio e l’altro, rimango stupito alla vista di ragazzini
che tentavano di sciare utilizzando stivali di gomma inchiodati su tavole di legno: il loro entusiasmo e la loro grinta mi avevano colpito molto, così tanto da iniziare a pensare a cosa poter fare per renderli felici facendoli
divertire. La sera successiva al mio ritorno dal Marocco, ero ospite da Fazio. Ed è lì, in diretta, che ho deciso di dare vita a questo progetto. Ho iniziato a spargere la voce per raccogliere delle
attrezzature da donare a quei ragazzi; un riscontro incredibile, tanta gente da privati agli sci club, persino una nota azienda di forniture ha contribuito alla causa con 900 paia di sci nuovi, delle
tute, e 500 scarponi. Per un totale di 2500 pezzi.

A quando il via?
“Let’s ski together” inizierà il 21 gennaio 2019. Il 22, all’arrivo del camion, io e una decina di volontari italiani, insieme ai molti amici collaboratori del posto, scaricheremo il tutto alla stazione
sciistica di Oukaimeden e raggrupperemo tutti i ragazzi che desiderano sciare. Cercheremo di organizzare nel miglior modo possibile, l’obiettivo è renderli contenti. Entrerò in gioco anche
come maestro di sci, impartirò lezioni per circa una decina di giorni. Ho preso anche accordi con il Governo marocchino e con la Federazione Royal marocchina di sci e di sport di montagna
per mettere a disposizione dei ragazzi gli impianti gratuitamente, oltre che dar modo di farli pernottare nella colonia di proprietà del governo. Il Marocco, come ho già detto, per me è un luogo magico, che mi ha sempre regalato buone notizie e conoscenze importanti. E con lui sono in debito. Portare un camion di sci è il minimo che io possa fare.

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