FASHION BRANDS IN THE FOOTBALL WORLD: a matter of style and identity

Questione di stile, in campo e fuori.
Le grandi squadre di calcio hanno intrapreso da anni un percorso chiaro, che mette al centro l’immagine come strumento di definizione della propria identità. Così, le differenze che si percepiscono in campo tra le grandi squadre europee si riflettono anche nel loro vestiario ufficiale, curato dai più noti stilisti del fashion system.

La Juventus ha confermato l’unione con Trussardi, nel segno dell’eccellenza italiana, in campo come nella sartoria: divisa formale caratterizzata dall’eleganza rilassata tipica del brand, composta da un completo gessato blu scuro con giacca, cardigan in cashmere e seta molto caldo e idrorepellente.

Anche il Milan sceglie il made in Italy: per il secondo anno i rossoneri vestiranno Diesel, coronando il sogno di Renzo Rosso, fondatore del brand, «I nostri percorsi sono sostanzialmente simili: siamo due grandi player italiani, iconici, affini nello spirito e con una risonanza globale». Dopo la divisa total black proposta nella scorsa stagione, quest’anno Bonucci e compagni indossano un’uniforme ispirata da Herbert Kilpin e dal suo celebre “rosso come il fuoco”. Pattern del tutto nuovo, simile a un camouflage: il CAMO-FIRE, elegante, ma al tempo stesso informale e rock.

La storia dell’Inter, votata all’apertura internazionale, si riflette nella scelta di Brooks Brothers, storica label newyorkese, che veste Icardi e compagni anche in questa stagione. Un abito fedele allo stile del brand, creatore di diversi capi diventati iconici, come la camicia Oxford bianca button-down, che completa l’abito in tessuto birdseye, con giacca monopetto tre bottoni e che presenta una particolare coccarda sul revers. Outfit definito dalla cravatta blu navy in pura seta, con logo dell’Inter ton sur ton all’interno.

Uno dei marchi più presenti nel panorama calcistico è Hugo Boss, da questa stagione partner anche della Roma. Un feeling nato nel nome di carisma e dinamismo, che si traduce nel guardaroba di De Rossi e compagni: spicca il completo blu tre pezzi, abbinato con camicia e cravatta della linea “Create Your Look”. L’attenzione allo stile coinvolge anche i grandi club europei: la migliore lana italiana di Hugo Boss è protagonista anche del completo stagionale del Bayern Monaco, mentre Commune de Paris ha creato una linea per i tifosi del Paris Saint Germain, rivisitando i classici della sua collezione con i colori della squadra.

È questione, in campo e fuori, di classe, identità e stile.

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De Martini «su Instagram condivido la mia rincorsa ai sogni»

Un profilo Instagram decisamente in fermento, con scatti e stories che coinvolgono i suoi follower (quasi 150mila, numero in continua crescita) e tifosi. Matteo De Martini, azzurro di ginnastica artistica, ci ha raccontato il suo rapporto con i social network, attraverso la sua passione, i suoi sogni e una grande determinazione nell’inseguirli.

Quanto contano per te i social network e quanto li usi?
I social network rappresentano, per me, la principale fonte di informazione mediatica, sia privata che pubblica. Ritengo che siano una parte ormai consolidata della vita quotidiana, nonostante siano spesso sminuiti da persone che non ne percepiscono la reale potenzialità.

Come ti proponi ai tuoi followers?
Credo che sia importante essere se stessi, anche dietro lo schermo di un telefono, senza creare un “personaggio” con il solo scopo di accumulare “followers”.

C’è un social che usi più degli altri e perché?
È Instagram, mi piace davvero tanto fare foto fuori dagli schemi e modificarle come preferisco. Credo che ogni singolo post rifletta, anche solo in parte, la personalità di chi ci sta dietro.

Che consigli vorresti dare a chi ti prende come modello di vita e di sportività?
Quello di perseverare nelle proprie passioni e di sbattere la testa fino al raggiungimento dei propri obiettivi. Sembrano le solite frasi fatte, ma penso che la costanza sia davvero basilare.

Le qualità mentali e fisiche che richiede il tuo sport?
La ginnastica artistica è uno sport che richiede molta disciplina e continuità. Questo provare continuamente, quasi in maniera maniacale fino alla corretta esecuzione, mi ha insegnato molto su come affrontare le sfide che mi vengono proposte regolarmente.  Bisogna essere pazienti e allenarsi tanto. L’unico requisito, che si sviluppa anch’esso con l’età, è la concentrazione: durante gli allenamenti è importante essere focalizzati su ciò che si sta facendo, per evitare infortuni e per una buona riuscita dell’esercizio.

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MADE IN ITALY, LA PRECARIETÀ DEI NOSTRI GIORNI NEL NUOVO FILM DI LIGABUE

Godere i pregi, notare i difetti, subirne gli effetti e, nonostante tutto, amare. È la sintesi perfetta del percorso parallelo, che Luciano Ligabue fa compiere ai protagonisti di Made in Italy, il suo nuovo film, nelle sale cinematografiche da domani. Doppio perché, oltre a raccontare l’amore di Riko (Stefano Accorsi) e Sara (Kasia Smutniak), la pellicola esprime il sentimento nei confronti dell’Italia: una «tormentata dichiarazione d’amore verso il nostro Paese», come l’ha definita il regista. Made in Italy è, essenzialmente, un film reale, che racconta i tormenti e i pensieri di un uomo alle prese con la precarietà: lavora in un salumificio – sporcandosi le mani nel senso letterale del termine, non certo il lavoro dei suoi sogni – il matrimonio con Sara è stagnante, il figlio Pietro sembra non volerne sapere d’indipendenza, una casa costruita dal nonno ed ereditata dal padre, che non può permettersi.
Problematiche tremendamente reali e comuni, acuite da un profondo senso d’ingiustizia sociale per i continui licenziamenti in azienda, in nome della gelida crisi che spegne i sogni rimasti e riduce al minimo la dignità dei lavoratori mandati a casa.
I fantasmi di Riko esplodono quando scopre il tradimento di Sara che, però, riconosce il suo errore e da quello costruisce la rinascita del rapporto di coppia, ritrovando partecipazione e complicità persi per strada.
Un personaggio, quello interpretato da Kasia Smutniak, di grande forza, in grado di sostenere Riko anche quando gli eventi sembrano piegarlo fino all’annullamento completo. L’esaltazione di quella forza femminile che Luciano ha sempre raccontato e cantato: Le donne lo sanno che niente è perduto, che il cielo è leggero però non è vuoto, torna più che bene.
Riko, invece, sommando i suoi momenti emotivi profondamente diversi (tra l’esaltazione e la goliardia delle serate in balera, nonostante l’età e la profonda crisi di chi rifiuta anche il cibo, in preda ai pensieri negativi) regala comunque un messaggio di speranza, di rifiuto dell’arrendevolezza, espresso perfettamente nella scena che precede la partecipazione al corteo di protesta in difesa dei diritti dei lavoratori: “Qualche cosa va fatto”.
Altro tema centrale, come nelle due precedenti pellicole di Ligabue, è l’amicizia: forte, fortissima, al punto da arrivare a scontrarsi anche fisicamente, senza mai separarsi davvero, pure davanti a incidenti di percorso tutt’altro che piccoli. Il film è scandito dalle tracce scelte dal regista, molte prese da Made in Italy, omonimo concept album che raccontava già la storia di Riko, alter ego di Ligabue (che di secondo nome fa Riccardo).
Un personaggio che fa i conti con la sua voce interiore, quella che si chiede «di cosa è fatto quel pulviscolo che sopravvive quando muoiono le nostre cellule» e arriva a capire che “siamo fatti” anche della bellezza e delle contraddizioni dei nostri paesi, che apprezza durante l’insolita “luna di miele in Italia” dopo il secondo, simbolico, matrimonio con Sara.
Made in Italy è un flusso continuo di introspezione, emozione, riflessione e «colpi di coda, una lunga serie di colpi di coda». Da vedere e assimilare, perché Riko e Sara sono quanto di più vicino alla gente comune.

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