Cos’è la recitazione? Per Enrico Borello “la massima espressione dell’esprimersi”

Enrico Borello, attore romano emergente, rappresenta il classico esempio di come nella vita si debba essere sempre pronti a prendere decisioni drastiche; a intraprendere una strada tutta nuova dopo aver percorso a lungo quella che si pensava essere “la propria strada”. Dopo il conseguimento della laurea in Tecniche della Riabilitazione Psichiatrica alla Sapienza di Roma, Enrico Borello vive un momento confuso; sente il bisogno di fare un qualcosa che gli permetta di esprimere a pieno se stesso in tutte le sue molteplici sfaccettature. Si apre così per lui un capitolo nuovo; un esordio nel mondo della recitazione che, anche se all’apparenza non si direbbe, non è poi così lontano dai suoi studi all’università.

Dai reparti psichiatrici e dai pazienti con cui ha avuto modo di interfacciarsi, il giovane attore apprende la sensibilità, l’empatia e l’attenzione nei confronti dell’altro, qualità queste necessarie, anzi fondamentali, interpretando un ruolo sul palco. Tra i suoi progetti più recenti, l’acclamata serie Netflix Supersex, disponibile sulla nota piattaforma streaming dal 6 marzo, in cui si ritrova nei panni di Gabriele, cugino del protagonista Rocco Siffredi.

L'attore Enrico Borello
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Enrico Borello: «Secondo me il personaggio è un qualcosa che si costruisce da sé e dal modo in cui gli altri lo guardano. È un insieme di cose insomma»

Nella serie Netflix Supersex interpreti il ruolo di Gabriele Galetta, cugino di Rocco Siffredi. Puoi raccontarci un po’ di questa esperienza e come hai affrontato la preparazione per questo ruolo?

Il mio personaggio è stato pensato come una valvola attraverso cui Rocco può respirare. Gabriele si porta dietro una storia fatta anche di conflitti e dolori; tuttavia il suo obiettivo principale nel corso dell’intera serie consiste nell’alleviare il più possibile i drammi di suo cugino, diventato per lui un vero e proprio faro. Il mio personaggio mostra un continuo senso di protezione nei confronti del grande divo, cercando costantemente di innalzarlo al di sopra di tutto e di tutti. E in questo senso, per esprimere al meglio il sentimento di devozione di Gabriele verso Rocco, mi sono cimentato in una necessaria e approfondita ricerca.

È stato un lavoro complesso ma ricco di umanità e senso di fratellanza. In linea generale, calandomi nei panni di Gabriele, non ho riscontrato particolari difficoltà. Anzi, a dir la verità io non credo molto nel fatto di “calarsi dentro un personaggio”; secondo me il personaggio è un qualcosa che si costruisce da sé e dal modo in cui gli altri lo guardano. È un insieme di cose insomma.

In certi momenti, vedendo al monitor alcune scene di dolore in cui magari non ero nemmeno partecipe, ho percepito un’angoscia profonda. Le scene intime mi hanno toccato moltissimo, si portavano dietro una sensazione di amaro tormentata, struggente. E lì forse ho riscontrato un po’ di difficoltà. Ho dovuto rendermi conto di cosa stesse succedendo e, consapevole di quello, ho sempre cercato di dare il mio meglio sul set. Il tutto con una buona dose di spensieratezza e leggerezza che a mio parere non fa mai male.

Enrico Borello
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«È sempre importante riconoscere un mentore e aspirare ai suoi traguardi: solo così si continua a crescere mettendo in campo la miglior versione di se stessi»

Nel tuo percorso, hai avuto l’opportunità di lavorare con registi e attori di grande talento. In particolare, nella serie Supersex hai condiviso il set con Alessandro Borghi (nei panni di Rocco) e Jasmine Trinca (Lucia). Come è stato recitare al loro fianco?

Io ho lavorato principalmente con Alessandro, la maggior parte delle scene in cui sono presente mi vedono interagire con lui. È un attore molto accogliente, sia professionalmente sia umanamente. Sul set tra di noi si creava una sorta di gioco; girando ogni scena si respirava una bella sensazione da “O la va, o la spacca”. Qualche volta abbiamo addirittura modificato il registro di alcune scene (previste magari in chiave comica e da noi riadattate con toni più drammatici). In generale, l’intero progetto Supersex ha lasciato molto spazio alla creatività e, perché no, all’improvvisazione. E questo è stato possibile grazie all’incredibile lavoro dei registi e di tutta la macchina nascosta dietro ogni scena, dal reparto fotografia a ogni singolo operatore. Nonostante la serie sia stata girata in tempi molto serrati, lavorando sul set mi sono trovato benissimo; tutti sono stati super disponibili e aperti al dialogo.

Io sono un neofita nel mondo della recitazione, Supersex è stata la mia quarta esperienza sul set. Sono costantemente spinto da quell’entusiasmo e da quella voglia di fare che un principiante sprigiona cimentandosi in una realtà nuova. E questo mio entusiasmo è stato ben accolto sia dalla regia, sia dal cast. Girando le varie scene mi sono sentito a mio agio, a casa direi.

A livello umano ho instaurato un rapporto stupendo con Saul Nanni (il Rocco da giovane della serie) e Adriano Giannini (nei panni di Tommaso). Ci siamo visti anche al di fuori del set e abbiamo fatto delle belle chiacchierate. Con Jasmine Trinca (Lucia) ho avuto modo di raccontarmi moltissimo. Di solito la gente tende sempre a voler essere ascoltata, lei invece mi ha posto un sacco di domande, curiosa di scoprire un qualcosa in più su di me. Confrontarsi con professionisti del genere è stata una grandissima lezione; avendo poi io ancora molto da imparare nell’ambito recitazione, interfacciarmi e lavorare con loro è stato stimolante e d’ispirazione, sia dal punto di vista attoriale sia (e soprattutto) da quello umano. È sempre importante riconoscere un mentore e aspirare ai suoi traguardi: solo così si continua a crescere mettendo in campo la miglior versione di se stessi.  

Enrico Borello
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«Sono sempre stato un ragazzo un po’ scapestrato, molto vivace, e ho deciso di esprimere me stesso e i miei bisogni nel modo più sano possibile»

Da laureato presso la facoltà di Medicina e Psicologia a attore emergente: qual è stata la scintilla che ti ha fatto decidere di intraprendere questa nuova strada?

Questa è una storia un po’ ingarbugliata, forse in futuro mi ci addentrerò più nello specifico. Io mi sono laureato in Tecniche della Riabilitazione Psichiatrica, una facoltà scientifica sì, ma anche con una forte componente umana. Dopo aver conseguito il titolo di laurea, ho avuto modo di toccare con mano diverse realtà legate alla persona in tutte le sue sfaccettature. Da quelle esperienze ho imparato moltissimo, mi sono interfacciato con la “carne più sensibile”, quella dei pazienti psichiatrici.

Poi, a seguito di una serie di vicissitudini un po’ turbolente, mi sentivo confuso. Avevo 23 anni e forse quello che facevo mi stava un po’ stretto. Probabilmente, oltre all’assorbire dall’esterno, avevo bisogno di esprimermi in prima persona. E proprio da lì, da quella sensazione di incertezza, mi sono buttato nel mondo della recitazione. Sono sempre stato un ragazzo un po’ scapestrato, molto vivace, e ho deciso di esprimere me stesso e i miei bisogni nel modo più sano possibile.

Da sempre coltivo un grande amore per il cinema; in più ho avuto la fortuna di avvicinarmi al mondo della recitazione fin dal liceo, con la creazione di un cortometraggio scritto da me. Poi, un po’ così per caso, durante l’università ho iniziato a frequentare dei corsi di recitazione serali. Calcando il palcoscenico, ho capito che quell’ambiente mi piaceva veramente tanto e che l’avrei voluto conoscere a fondo. Sono una persona curiosa di natura, non mi bastava aver assaggiato l’arte della recitazione, volevo scoprirla in ogni sua sfaccettatura.

Enrico Borello: «Il mio percorso accademico mi ha allenato all’essere sensibile, empatico e aperto alla relazione, qualità fondamentali nella professione dell’attore»

E sempre parlando del tuo percorso universitario: c’è un qualcosa di appreso in facoltà che ti è poi servito nella nuova esperienza lavorativa da attore?

Tutto. Durante i miei studi all’università ho avuto la fortuna di essere affiancato da un docente che era molto appassionato di arte; grazie a lui ho iniziato a conoscere l’arte da un punto di vista terapeutico. Avendo avuto a che fare con persone che stavano affrontando situazioni patologiche anche molto complesse e pesanti, ho imparato a dare veramente attenzione all’altro, ponendomi costantemente domande del tipo: “Chi è l’altro? Cosa gli sta succedendo?”.

Queste riflessioni, se ci pensi, sono fondamentali nel mestiere dell’attore. Secondo me, dovendo entrare in un personaggio, è sempre necessario interrogarsi su chi sia l’altro, in quali dinamiche sia inserito, in che contesto abbia vissuto ecc. L’arte della recitazione è interamente basata sugli accadimenti emotivi, fisici e mentali che stanno succedendo all’altra persona e a te stesso. È una danza. Una danza, sottile e delicata, che io personalmente ho ritrovato anche nei colloqui tra psichiatri e pazienti a cui ho avuto modo di assistere. Proprio per questo, secondo me il mondo più “patologico” che ho studiato all’università e quello della recitazione alla fine non sono così lontani, anzi. Il mio percorso accademico mi ha allenato all’essere sensibile, empatico e aperto alla relazione, qualità fondamentali nella professione dell’attore.

Prima hai accennato all’importanza di avere un mentore che stimoli a fare il proprio lavoro al meglio. Puoi citare una o più figure (attori, registi, ma non solo) che ti hanno ispirato nel tuo sviluppo artistico?

Non ho un’unica fonte di ispirazione e non è sempre la stessa. Il tutto dipende da come mi sento. Da un punto di vista scenografico, più che mentori ti potrei nominare miei veri e propri miti; persone straordinarie che mi sarebbe piaciuto conoscere. Da Alberto Sordi a Marlon Brando, da Kubrick a Dino Risi, dal cinema più americano degli anni ’70 a quello italiano del Dopoguerra: sono davvero moltissimi i nomi che mi ispirano. E la carriera di Matthew McConaughey, per esempio, è tra quelle che più mi incuriosiscono.

Poi un mentore non solo sul set, ma nella vita in generale è mia nonna. Da sempre aspiro al suo modo di vedere le cose e a quella sua voglia di vivere la vita con semplicità. Un altro importante esempio, che io considero come un vero e proprio punto di riferimento, è Sergio Valastro, il mio insegnate di recitazione, da cui ho imparato e ricevuto moltissimo, soprattutto a livello umano.

«Nella recitazione, interpretando un ruolo si è allo stesso tempo se stessi e l’altro»

Oltre alla recitazione, quali sono le tue passioni e interessi nella vita di tutti i giorni? Come riesci a bilanciare la tua vita personale con quella professionale?

La capacità di bilanciare recitazione e altri interessi è un qualcosa che ancora oggi sto tentando di acquisire. Negli ultimi anni mi sono dedicato anima e corpo alla recitazione e al suo studio, quasi dimenticandomi di me. Poi, a partire dall’estate scorsa, ho riscoperto l’importanza di costruirsi una routine con attività diverse. Vedere i miei amici, surfare quando si presenta l’occasione, viaggiare, fare sport, leggere, scrivere, disegnare: ho tante passioni e tutte mi permettono di dar sfogo al mio bisogno di espressione.

Un bisogno che, se ci si fa caso, si ricollega al mio amore per la recitazione, “la massima espressione dell’esprimersi” a mio parere. Interpretando un ruolo si è allo stesso tempo se stessi e l’altro. Lo stare sul palco o sul set regala molta libertà di manovra me è sempre e comunque vincolato a uno studio approfondito e imprescindibile. E la grande sfida nell’arte recitativa è proprio questa: trovare libertà espressiva anche in un sistema rigoroso e tridimensionale come il cinema.

Esiste un progetto cinematografico in cui ti piacerebbe particolarmente prendere parte? O un ruolo che ameresti interpretare?

Mi piacerebbe moltissimo poter prendere parte a un thriller psicologico, con un’atmosfera cupa in cui scavare a fondo per svelare un mistero. Vorrei immergermi e sperimentare una circostanza oscura alla ricerca di un qualcosa di luminoso.

Qual è il tuo obiettivo più ambizioso come attore?

Sarebbe interessante trovare una formula recitativa che cambi le sorti della recitazione, un punto di svolta per l’espressione di attori e attrici.

Credits:

Photographer: Davide Musto

Styling and press office: Other Srl – Sara Castelli Gattinara, Vanessa Bozzacchi

Location: Villagestudio

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