Le sculture luminose di Paolo Gonzato

“La baracca è luogo fisico e al contempo metafora di un processo relazionale e creativo in bilico tra anarchia e controllo, poesia e razionalità”. Così il curatore Damiano Gulli introduce l’omonimo titolo – BARACCHE – della mostra personale dell’artista milanese Paolo Gonzato presso la galleria CAMP, il cui programma è interamente dedicato dalla direttrice Beatrice Bianco alla ricerca nel mondo in divenire del collectible contemporary design. Abbiamo incontrato l’artista in occasione del finissage della mostra per parlare di unicità, di pieni vs vuoti e di come il vetro abbia memoria.


Photo Credits: Ivan Muselli

È la tua seconda mostra da CAMP Gallery? Cosa ti attrae di quello che oggi molti oggi descrivono come functional art ?

Mi piace il fatto che sia un terreno ambiguo, indefinito che tiene il piede in due scarpe senza protendere per nessuna direzione. Mi piace che sia un ambito aperto che si sta scrivendo ora differenziandosi dal classico design di produzione, un’ “arte espansa” citando Mario Perniola.



Chi sono stati i tuoi riferimenti nel design industriale passato ?

Alcuni hanno dato forma ai miei riferimenti generali di artista, che ha il design come stimolo concettuale. Principalmente le forme di Ponti, Mendini, Sottsass, Munari.  Tuttavia non smetto di aggiornare le ispirazioni scoprendo percorsi minori o soltanto ancora da scoprire; per la ceramica Antonia Campi e Carlo Zauli, per i vetri Tony Zuccheri, del quale ho avuto la straordinaria occasione privata di vederne lo studio “congelato” al momento della sua morte.



Sempre di più l’individualismo è un valore determinante nella nostra società fondata sui social media. Individualismo e unicità sono valori sovrapponibili ?

L’unicità è una qualità che non può essere prodotta, è un concetto complesso legato al talento e non necessariamente all’idea di novità. L’unicità non è un luogo comune, non ha corrispondenze col pensiero mainstream né col falso mito della libertà. Ha più a che fare con le identità eccezionali e con le idee.

Oggi più che mai siamo consapevoli della mutevolezza e della precarietà dei nostri sistemi di riferimenti. Tre oggetti della tua vita quotidiana da cui non ti potresti mai separare ?

Mi guardo attorno e la stanza è talmente piena che farei a meno di tutto. Agirei per sottrazione fino ad arrivare al minimo indispensabile. Anzi se qualcuno volesse comprarsi tutto, casa compresa , ricomincerei da zero.



Tre libri che vorresti sempre avere nella tua borsa favorita ?

Nella mia borsa Simone Rainer mi porto a spasso Glamorama di Bret Easton Ellis, la copia originale della fine degli anni ’90.  Poi uno dei libri che Isabella Santacroce ha firmato e dedicato per una mia installazione/display fatta al museo di Rimini, una memorabilia da teen-fan che mischiava oggetti personali, disegni fatti da Isabella stessa col rossetto per me e opere preesistenti. La borsa deve essere capiente perché ci metto anche un grande e pesante libro di stampe del ’800, che separate dallo stesso sono diventate la base su cui intervenire per la mia serie di lavori OUT OF STOCK (Ex Libris), con le quali lo scorso anno ho presentato una personale all’interno della casa di un collezionista milanese di arte moderna.

Che rapporto hai con il vetro, perché lo senti affino al tuo carattere ?

Le vetrofusioni registrano e congelano per sempre ogni segno, ogni difetto, ogni errore, anche la grana della polvere.

La cosa migliore di essere un artista che vive e lavora a Milano ?

Milano è una città eccezionale, che ha plasmato il mio immaginario fatto di architetture di cemento armato grigie e austere. Non so se molti la considerano una qualità ma io esteticamente trovo questo aspetto molto apprezzabile. Cosi come il vestire di nero da testa a piedi, distaccati ma intensi, forse anche un po’ stronzi. Dagli anni ’90 vivo a Milano, l’ho presa come base da cui sono andato e venuto nelle altre capitali europee. I club, l’Accademia, le gallerie d’arte, il Design, un gran concentrato in un piccolo spazio vivibile e vivace.

Cosa invece trovi che manchi ?

Mancano le strade vuote, le automobili mi fanno schifo, sono un oggetto obsoleto. C’è una foto attuale di Chernobyl abbandonata, invasa dalla natura che corrisponde alla mia proiezione utopica degli spazi. Vorrei spazi entropici. Non ho la patente e mi muovo solo coi mezzi pubblici.

Il tuo prossimo progetto ?

Uno solo? Ne ho sempre tanti… Prendere un altro french bulldog, una compagna per il mio frenchie Artù; una serie di arazzi di lana di grande dimensione che presento alla galleria APALAZZO di Brescia; completare il mio nuovo studio nella zona di NOLO a Milano…


MIAMI ART WEEK: MONEY, SUCCESS, FAME, GLAMOUR

«Money, Success, Fame, Glamour» il ritornello della famosa hit di Felix da Housecat, cantata da uno strepitoso Macaulay Culkin e una conturbante Chloë Sevigny nel film culto del 2003 Party Monster, è l’unico vero vademecum per il neofita art lover che sceglie di trascorrere la prima settimana di dicembre nella tropicale Miami. Va infatti in scena la più sfavillante settimana dedicata all’arte al mondo, a base di un alto tasso di capolavori, Vip e gossip. Alcuni detrattori ne parlano come di una sorta di Spring Break per soli milionari per l’incredibile avvicendarsi di openings, happenings ma sopratutto parties. Tuttavia quello che rende questo appuntamento uno dei più attesi dell’anno rimane la qualità dell’arte in mostra a Art Basel Miami, l’unicità dei pezzi da collezione a Desig Miami, le mostre museali e l’incredibile shopping experience del Design District. A Miami i superlativi si sprecano: questi i nostri tips.

L’oggetto del desiderio in questi giorni a Miami è lei, la Vip card di Art Basel, la fiera internazionale d’arte che raccoglie il meglio dell’offerta di 268 gallerie da 35 paesi e che permette accesso illimitato ai padiglioni e alla Vip Lounge dove si posso incontrare celebrities di ogni tipo da Pharrell Williams fino a Cardi B. Nella capitale della Florida in questi giorni l’arte regna suprema, con un fiorire di fiere satellite per chi è alla ricerca di artisti emergente. La nostra favorita rimane NADA che si tiene quest’anno all’Ice Palace Studios. Se all’arte preferite il design o più precisamente “l’arte funzionale” Design Miami è il vostro paradiso o il vostro inferno, visto i prezzi da capogiro per questi oggetti unici che rompono le barriere fra arte, design e alto artigianato.

La settimana dell’arte è un evento esclusivo e inclusivo al contempo accogliendo un pubblico globale costantemente in crescita con un numero eccezionale di mostre e installazioni di arte pubblica, sia a Miami Beach tanto quanto al Design District e a Downtown. Il cuore pulsante della scena artistica di Miami passa attraverso le sue note  fondazione familiari come il Margulies Warehouse, la Fondazione de la Cruze la Rubell Family Collection, quest’ultima fondatada Mera e Don Rubell, fratello di Steve Rubell del mitico Studio 54. Quest’anno tuttavia gli eventi che troviamo più significativi sono legati alle personali  museali di due donne. La prima l’italiana Paola Piviche porta i suoi orsi di piume colorate al Bass Museumsu Collins Ave con la mostra “Art with a view”, ma sopratutto la celebrazione, presso l’Institute of Contemporary Art – ICA Miami, dello straordinario lavoro seminale di Judy Chicago, l’artista femminista per eccellenza che con la sua energia e forza interiore è stata d’esempio a generazioni di artiste ma anche curatrici, giornaliste o semplicemente donne.

Se il dolce vento tropicale non si adatta al vostro guardaroba da clima oramai invernale vi consigliamo di fare un salto da The Websterla boutique culto fondata da Laure Hériard Dubreuil e che l’anno prossimo compierà dieci anni. Oppure di visitare i sontuosi monomarca del Design Districtfra cui quest’anno spicca il negozio di Celine: un sogno in marmo blu disegnato dall’architetto svizzero Valerio Olgiati. Il dolce arrivederci della designer Phoebe Philo al retail design. L’attesa tuttavia è concentrata su un’altro brand francese: Saint Laurent. Una collaborazione fra il designer della maison Anthony Vaccarelloe la performer italiana Vanessa Beecroft animerà il Design District dall’1 al 15 dicembre.

La città offre un’infinita possibilità di combinazioni culinarie, da quella raffinata degli hotel a 5 stelle a quella localcaraibica. Noi di MANINTOWNabbiamo selezionato tre classici di Miami Beach. Colazione: i pan cakes più dolci e le macedonie più fresche della città sono da Balance nel cuore della Lincoln Road. Pranzo: piatti vegetariani e vista stupenda sulla laguna da The Lido Bayside Grillil ristorante dell’hotel The Standard. Cena: per prepararsi a una serata di festa fino a tarda notte consigliamo uno dei sushi migliore della città Toni’s Sushi. Non fatevi ingannare dal nome è una vera istituzione dal 1986.

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Irina Razumovskaya: a new inner geometry

«Mi lascio guidare nel mio lavoro da emozioni e memorie di impressioni, ma non posso costringere il mio osservatore a sperimentarle allo stesso modo. Mi piace lasciare un’interpretazione aperta, poiché questo è il modo in cui io stessa amo vivere l’arte» Così descrive la propria pratica artistica Irina Razumovskaya che presenta i suoi raffinati lavori in ceramica nella mostra “Inner Geometry”  fino al 26 ottobre 2018, presso la galleria Officine Saffi, punto di riferimento milanese per l’arte ceramica contemporanea. Razumovskaya nasce a Leningrado, in URSS, nel 1990. Quando ancora ha pochi mesi di vita la realtà attorno a lei subisce un processo di cambiamento così radicale e rapido da risultare quasi prodigioso. La sua città natale riprende il nome imperiale di San Pietroburgo e la sua nazione quello ancestrale di Russia. Pur se troppo giovane per appartenere alla generazione della Ostalgia – cresciuta a cavallo di due sistemi politici e culturali, e immortalata in film come “Good Bye, Lenin!” (2003) di Wolfgang Becker o più recentemente da Natalya Kudryashova in “Pionieri-Eroi” (2016) – ciò nonostante la ventisettenne scultrice sembra subirne un fascino discreto. Riferimenti all’estetica del Vchutemas – la scuola d’arte moscovita che negli anni Venti divenne il centro di riferimento per l’avanguardia – riecheggiano infatti nell’uso di forme geometriche pure per le sue sculture in ceramica, restituendo un’idea quasi romanticizzata dell’estetica sovietica. Ma questa è per lo più un’opera di mediazione culturale tra generazione. I “dashing 90s”, con la loro carica dirompente di rigenerazione ma anche la loro instabilità, sono infatti quello che l’artista per lo più ricorda della sua infanzia. Riflessioni di matrice filosofica sull’invecchiamento, l’ineluttabilità del deperimento della materia, l’osservazione analitica di strutture architettoniche opposta a visioni sintetiche di paesaggi, sono alla base della ricerca artistica di Razumovskaya. La fascinazione per una bellezza non comune, per l’inatteso, la portano a descrivere nelle sue opere i profili essenziali di oggetti domestici, di parti di macchinari, o ancora dettagli di edifici con tutte le loro possibili sfumature di granulosità. Le semplici forme geometriche, punto di partenza di ogni sua scultura, vengono alterate dall’artista con successive modifiche e rotture. Durante la smaltatura il controllo iniziale sulla forma va progressivamente e inevitabilmente sciamando, man mano che la struttura evolve indipendentemente all’interno del forno di cottura, divenendo qualcosa d’altro, rispondendo a regole di una forma diversa di geometria. «Nel mio lavoro cerco di evitare il dinamismo, mentre favorisco la simmetria. Mi piace che i miei pezzi non abbiano un significato scontato e siano animati da una propria vita interiore». Con Inner Geometry” Irina Razumovskaya colleziona immaginari reperti provenienti da oniriche rovine contemporanee, edificate su visione di forme e simboli inconsci, ribadendo così la sua ferma convinzione che il lirismo consista più nel celare che nello svelare e che l’arte trovi la sua massima espressione “tra le linee” di una poesia, tra le crepe della ceramica, nel mistero, nel suo pieno senso etimologico di ciò che non deve – o non dovrebbe – essere rivelato.

Irina Razumovskaya
Inner Geometry
26.09 – 26.10.2018
Officine Saffi
Via A. Saffi, 7 – 20123 – Milano
www.officinesaffi.com

Photo Courtesy of Officine Saffi

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MILAN ART WEEK 2018: A BALANCING ACT

Fra uno scroscio improvviso e uno spiraglio di luce abbagliante Milano è elettrizzata per l’arrivo della sua stagione più amata, la lunga e attesa kermesse primaverile della creatività, che inizia con la fiera d’arte moderna e contemporanea MIART e prosegue, poi, con il Salone del Mobile

Milano si sveglia in questi giorni più aperta che mai a nuove idee e nuovi progetti culturali, che invadono letteralmente la città, in tutti i suoi molti poli culturali. Tutti sono invitati a prendere parte a questo “banchetto” della cultura, non soltanto i Vip stranieri e nostrani. Tanti i progetti di arte pubblica offerti da mecenati come la Fondazione Trussardi che, dal 12 al 15 aprile, invita l’artista inglese Jeremy Deller – già vincitore del Turner Prize nel 2004 – a portare nel cuore del parco delle sculture di CityLife il gigantesco gonfiabile Sacrilege, che ricostruisce in scala 1:1 il sito archeologico di Stonehenge. Poco più in là, nei padiglioni di Fieracity, è protagonista assoluta invece la fiera MIART, diretta da Alessandro Rabottini che con grande maestria armonizza le sette sezioni della fiera con i suoi 184 espositori provenienti da 20 Paesi, spaziando dal contemporaneo al moderno.

 

Da non perdere le sezioni Emergent, a cura di Attilia Fattori Franchini e Generations, a cura di Lorenzo Benedetti. Quest’anno, fra i moltissimi progetti da segnalare in città, seguendo un asse nord-sud, la retrospettiva dell’artista americano Matt Mullican all’Hangar Bicocca. The Feeling of Things, a cura di Roberta Tenconi è la più grande mostra personale mai realizzata da Mullican, che ha concepito l’imponente struttura scultorea sulla forma delle sue iconiche cosmologie in cinque colori, occupando quasi completamente i 5mila metri quadrati dello spazio espositivo delle Navate dell’Hangar. In via Solferino invece, presso lo show-room Missoni, viene presentata al pubblico, dal 13 al 22 Aprile, l’installazione site-specific dell’artista Rachel Hayes a cura di Mariuccia Casadio. E per finire, per chi ancora non avesse avuto modo di vederla, imperdibile la mostra alla Fondazione Prada Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943, una riflessione del critico Germano Celant sull’arte in Italia, tra prima e seconda guerra mondiale.

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Pari Ehsan: Present and Future of Social Media

«Mi considero una creatrice a tutto tondo, piuttosto che un’influencer». Inizia così la conversazione con Pari Ehsan, il volto dietro il fenomeno Instagram Pari Dust (@paridust, 200k followers). Metodica, perfezionista e uberchic Pari Ehsan, con un’esperienza alle spalle da architetto e interior designer, nel 2013 da vita al suo popolare account, individuando una nicchia esclusiva nel cross-over arte e moda. Oggi però – come ci spiega questa 34enne americana, nata nel Kentucky e che vive a New York – la definizione di influencer le va stretta: «La capacità di influenzare il gusto per me è una qualità multiforme e radicata nella creazione, nell’assimilazione e nell’attitudine creativa di contenuti e nella condivisione tale esperienza».

Come definiresti quindi il tuo processo creativo?
Continuo a educare me stessa attraverso un’immersione performativa in un ambiente, in un’estetica, in un contesto emozionale e ciò a cui aspiro è sintetizzare e condividere quello che mi colpisce e apporta valore alla mia community e a chiunque ne sia affascinato.

C’è qualche differenza nel modo in cui mostri la moda che ami e l’arte che ammiri?
Cerco di colmare il divario tra moda e arte, per sfumarne i contorni e alterarne la percezione, in modo tale che siano sempre meno chiari i confini dell’uno e dell’altra.

Le tre mostre più rilevanti che hai visitato, fino ad ora, in questo 2018?
Kaye Donachie, Silent as Glass, da Maureen Paley, a Londra. Le donne nei suoi dipinti si trasformano in natura, in parole per poi divenire di nuovo umane. Poi, Cyprien Gaillard, Nightlife, da Gladstone Gallery, a New York. Un’incantevole trance, video 3D di alberi danzanti, fuochi d’artificio cuciti nell’antichità: tutto ciò ha per me la capacità di arrestare l’attimo. Rick Owens, Subhuman Inhuman Superhuman, a La Triennale di Milano, un vero testamento delle infinite possibilità della moda.

Come definiresti la tua estetica in tre hashtag?
#zen #space #discovery.

Qualche consiglio per gli artisti emergenti che stanno iniziando con i loro account sui social media?
Direi di pensarlo come un moodboard della propria esistenza. Uno specchio che rifletta la propria immagine, la propria storia, le proprie intuizioni e le emozioni che si vogliono esprimere.

Come funzionerà il social del futuro?
In maniera cerebrale, visualizzando immagini e narrazioni direttamente nella propria mente e condividendole con le persone con cui siamo in sintonia o cercandole attraverso i propri pensieri.

L’ultimo posto fantastico che hai visitato durante i tuoi viaggi?
Torino, dove si respira ovunque Arte Povera, la natura e tutto ciò di cui il mondo ha bisogno.

Cinque luoghi da visitare nella tua città preferita?
Amo Berlino. Questi sono i miei luoghi imperdibili: la collezione Feurle, la raccolta d’arte privata che preferisco. Si tratta di un ex bunker riprogettato da John Pawson, che giustappone l’arte contemporanea con mobili cinesi Qing. The Bikini, un negozio che è esattamente l’opposto di quello che il nome potrebbe suggerire. Il parco dell’aeroporto di Tempelhof. Lo Schinkel Pavilion, dove l’architettura storica incontra un visionario programma sperimentale di arte contemporanea. I cigni sul canale Landwehr.

Hai recentemente visitato Milano: cosa ti ha affascinato di più?
I milanesi, che mi hanno catturano con i loro gesti, con il loro modo di porsi attraverso i loro vestiti, con il modo in cui coltivano l’arte dell’ospitalità, il rispetto  che è visibile e palpabile nel loro ambiente, e nel ricco contesto storico della città in generale.

Come immagini il tuo futuro: online o offline?
Vedo un connubio fra più elementi; mi piacerebbe progettare e avere una creatività più diretta, fare cose con le mie mani, ma anche trasmetterle attraverso il mio cervello digitale e la mia piattaforma.

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A Madrid è tempo di ARCO

Cover_The Couch with Ada O’Higgins by DIS

Il mondo dell’arte – si sa – è oramai sempre più globalizzato e se anche è vero che fra un evento importante in Europa e uno in Centro America o in Asia probabilmente si vedranno uomini e donne con atteggiamenti, vestiti e accessori molti simili fra loro, quello che rende ancora, soprattutto le fiere d’arte, degli eventi unici è il contesto in cui si sviluppano. In Europa il mondo dell’arte si “risveglia” a Madrid con la fiera ARCO, che si terrà come tradizione nei padiglioni della Fiera madrilena dal 21 al 25 febbraio. Questa manifestazione decisamente accogliente e mondana non è solo un punto di riferimento culturale per la Spagna e l’Europa, ma anche per tutta l’America Latina. È questa certo un’ottima occasione per un weekend alla scoperta del lato contemporaneo della capitale spagnola. Ecco alcuni suggerimenti su dove recarsi dopo aver visitato la trentasettesima edizione di ARCO con le sue 208 gallerie provenienti da 29 paesi.
www.arcomadrid.es

Il centro culturale sperimentale La Casa Encendida presenta la mostra Thumbs That Type and Swipe: The DIS Edutainment Network del collettivo newyorkese DIS. DIS è formato da Lauren Boyle, Solomon Chase, Marco Roso e David Toro. Questo progetto di collaborazione artistica è nato con lo scoppio della crisi nel 2009, inizialmente come una lunga conversazione attraverso e-mail che ha portato in maniera organica alla fondazione di DIS Magazine, una rivista ibrida in cui sono stati analizzati i contenuti più urgenti dei nostri tempi, dando poi origine al progetto curatoriale che ha sdoganato alla Biennale di Berlino del 2014 il Post-Internet, la corrente artistica più cutting edge dei nostri giorni.

Thumbs That Type and Swipe: The DIS Edutainment Network
Dal 2 di febbraio al 13 di maggio
www.lacasaencendida.es

Tappa obbligata è il Museo Reina Sofia, che ha da poco inaugurato la mostra temporanea Pessoa. Todo arte es una forma de literatura che mira a fare scoprire al pubblico la vigorosa, ma poco conosciuta, scena d’avanguardia artistica portoghese che si è sviluppata alla prima metà del XX secolo e in cui il grande poeta portoghese Fernando Pessoa (1888 -1935), ha giocato un ruolo di primaria importanza, intervenendo attivamente attraverso i suoi scritti e le sue versatili proposte artistiche.

Pessoa. Todo arte es una forma de literatura
Dal 6 di febbraio al 7 di maggio
www.museoreinasofia.es

Una fra le più intellettuali tra le gallerie madrilene Helga de Alvear allestisce la personale dell’artista di origini canadesi Marcel Dzama. Il titolo della mostra – It ́s time – è un monito sui tempi in cui viviamo. Dzama si collega da un lato ai principi teorici, politici e sociali sviluppati dal movimento Dada come reazione alla prima guerra mondiale e dall’altro alla serie dei disastri della guerra di Francisco Goya, che riflettono la crudeltà della guerra d’indipendenza spagnola.

Marcel Dzama
It ́s time
Dal 15 di febbraio al 24 agosto
www.helgadealvear.com

Per gli amanti di un’arte più grafica e astratta consigliamo invece di visitare la mostra del pittore inglese Terry Haggerty alla galleria Ivorypress. Haggerty traduce nelle sue tele forme naturali o oggetti creati dall’uomo in coinvolgenti composizioni di linee che oscillano tra lo spazio bidimensionale e quello tridimensionale utilizzando semplici combinazioni di due colori.

Terry Haggerty
Still Motion
Dal 21 febbraio al 5 maggio
www.ivorypress.com

Tra una mostra e l’altra ci si può rilassare con un’ora di shopping nella boutique più cool di Madrid, Ekseption. Nata a Marbella negli anni ’70 e dal 1987 a Madrid Ekseption ha visto nei suoi trent’anni di attività l’avvicendarsi della tendenze più importanti nella moda, dando oggi spazio ai giovani designer tra cui Jacquemus, Simone Rocha e Magda Butrym. La forza di questo spazio di 1.000 metri quadrati ridisegnato alla fine del 2017 è quello di mescolare decorazione e pezzi d’arte in maniera ludica e giocosa.
www.ekseption.es

Dopo tutto questo girovagare fra templi dell’arte e della moda si sente quasi la necessità di lasciarsi tutto alle spalle e fare un salto nella natura selvaggia. Il ristorante Amazonico nel quartiere modaiolo di Salamanca risponderà proprio alle vostre preghiere. Vero paradiso gastronomico Amazonico vi stupirà sia per il suo ambiente tropicale ricco di piante esotiche, i suoi cocktail e i sue piatti di carne.
www.restauranteamazonico.com

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Le Polaroids di Philip-Lorca diCorcia: tra analogico e digitale

La David Zwirner gallery di New York – una delle voci più autorevoli del mondo dell’arte – compie 25 anni, e lo fa in grande stile, con una mostra internazionale che celebra gli artisti che hanno partecipato alla creazione della sua ultra sofisticata estetica. Per chi, in questi mesi, non potrà viaggiare tra New York, Londra o Hong Kong dove la galleria ha le sue sedi, suggeriamo di visitare la sezione The Viewing Room del loro sito web, un progetto digital only curato dagli stessi artisti della galleria. Dal 2 febbraio è, infatti, possibile visionare la mostra Polaroids by Philip-Lorca diCorcia. Classe 1951, diCorcia è considerato oggi fra i più influenti e innovativi fotografi americani, particolarmente noto per la sua capacità di creare immagini, che sono un mix tra fotografia documentaristica e scenografia teatrale. diCorcia ha scattato Polaroid per tutta la sua carriera e sono ora considerate complementari alla sua pratica artistica, offrendo un punto d’osservazione distintivo sulla sua sensibilità. La selezione di lavori in mostra online include le Polaroid create in connessione con le serie principali Hustlers (1990–1992), Heads (1999–2001), Story Book Life (2003) e East of Eden (2008–present), ma anche le sue opere autonome di nature morte, paesaggi e scene familiari, così come i test fotografici per compagne pubblicitarie di brand di moda. «Cornici di film indimenticabili che non sono mai stati realizzati», così le ha definite lo studioso Peter Galassi in occasione della prima mostra personale dell’artista al MoMA di New York, nel 1993. Questi lavori di diCorcia sottolineano senza dubbio l’approccio dell’artista alla fotografia come un mezzo sospeso tra verità e finzione. Scorrendo su un iPad, immagine per imagine, si è colpiti dalla corrispondenza di questi lavori analogici e i successivi sviluppi dell’estetica fotografica digitale e di come gli apparentemente casuali accenni voyeuristici di diCorcia siano divenuti il gold standard degli Influencer di oggi su Instagram.

www.davidzwirner.com

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© Philip-Lorca diCorcia
Courtesy the artist and David Zwirner, New York/London/Hong Kong

From cocoon to butterfly

Bouke de Vries, Split camel, 2017, tecnica mista e cammello della dinastia Tang

«Un oggetto danneggiato può ancora essere bello, così come un oggetto perfetto», ragiona Bouke de Vries, artista olandese di stanza a Londra, che presenta a Milano la sua nuova mostra personale, “Sometimes I look east, Sometimes I look west” presso le Officine Saffi, centro di ricerca specializzato nella ceramica contemporanea, on stage dal 24 gennaio fino al 14 marzo 2018.
Il lavoro di questo raffinato artista riflette perfettamente il nostro tempo, nutrendosi del paradosso contemporaneo della bellezza: una ricerca spasmodica di unicità e perfezione, avviluppata alla banalizzazione estetica del consumismo. Tale visione nasce dalla sua precedente esperienza come restauratore. De Vries punta, infatti, il suo sguardo artistico sul modello culturale occidentale, secondo cui la rottura di un oggetto ne comporta automaticamente il suo scarto. Egli, invece, si sente più vicino alla sensibilità della tradizione cinese e giapponese di riparare importanti manufatti in modo che la rottura sia celebrata, piuttosto che nascosta. Silenziose, meditative, ma al contempo ingegnose e sovversive, le sculture di de Vries offrono una seconda opportunità narrativa a manufatti dalla fattura squisita, come un vaso cinese a bozzolo in terracotta di epoca Han, che per un urto si è mutato in pochi istanti da feticcio a coccio. De Vries decostruisce nello spazio questi antichi frammenti, dando loro una nuova simbologia. Lo sciame di farfalle che circonda il vaso, nell’opera “Resurrectio Jar 2”, da un lato allude alla forma a bozzolo del vaso, dall’altro al loro uso iconografico, come simbolo di resurrezione nelle famose nature morte del Secolo d’Oro olandese. In questa mostra Cina e Olanda sono i poli estremi della sua narrazione. Da un lato de Vries sembra voler ricordare il monito di Napoleone Bonaparte: «Lasciate dormire la Cina, perché al suo risveglio il mondo tremerà», dall’altro la lezione dei maestri fiamminghi de Heem, Kalf, van Alst e van Huysum nei cui dipinti il vasellame di uso comune – come lattiere, teiere, o scolapiatti – è intriso di riferimenti alla vanitas e al memento mori. Se i lavori de Vries si presentano sotto forma di esplosioni, bruciature, destrutturazioni o, al contrario, sono ricomposti utilizzando la tecnica kintsugi – la pratica giapponese di usare l’oro per saldare i frammenti di oggetti in ceramica – la qualità di esecuzione è ciò che contraddistingue ognuna di queste lavorazioni. In diversi lavori in mostra i resti archeologici sono il punto di partenza per una nuova narrativa. Forse un giorno anche loro spariranno nella terra e forse saranno ritrovati in un futuro inimmaginabile. Che storie allora rievocheranno?

Bouke de Vries
Sometimes I look east, Sometimes I look west
24.01 – 14.03.2018
Officine Saffi
Via A. Saffi, 7 – 20123 – Milano
www.officinesaffi.com

Photo Courtesy of Bouke de Vries and Officine Saffi

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