DESTINATO ALLA MUSICA, TRA URBAN E POP: ROKAS

Classe 1992 Alberto Sanlazzaro, in arte Rokas, nasce in Liguria, nell’entroterra de La Spezia. La sua passione per la musica cresce con lui, incentivata dal padre e dal fratello, entrambi musicisti, e dalla madre, pioniera delle radio libere. Considerata la vena creativa propria di tutta la famiglia, per Alberto è praticamente inevitabile percorrere la via della musica, mezzo attraverso cui riesce ad esprimersi pienamente. Dagli esordi nel panorama rap e la passione per i graffiti, con il passare degli anni Rokas evolve, mostrando sempre più una spiccata tendenza alla mescolanza di generi. Urban, punk e R&B si fondono in uno stile peculiare, da cui attualmente Alberto si sente maggiormente rispecchiato.

Di questo e molto altro ci racconta lo stesso artista, che ha da poco firmato un nuovissimo EP: Ci sono dei bambini, pubblicato lo scorso 24 maggio. Il progetto, il cui vero significato sarà svelato solo prossimamente, si compone di tre anime, tre singoli dal carattere autentico che intendono coinvolgere l’ascoltatore emotivamente. Ne abbiamo avuto un primo assaggio con Scusami, uscito il 12 gennaio, a cui ora si aggiungono Se cado giù e Paura di non farcela.

Rokas e il suo stile musicale: «Mi piace definire le mie sonorità come urban, i testi sono molto pop e il tipo di scrittura che prediligo si avvicina molto al cantautorato italiano»

Volendoti definire come artista ti attribuisci l’etichetta di “cantautore urban-pop”. Per quale motivo?

Collocarsi all’interno dei generi musicali per definirsi in quanto artisti è molto sfidante. E questa penso sia una risposta abbastanza comune, quella che spesso diversi nomi nel mondo della musica avanzano di fronte al doversi “etichettare” musicalmente. In primis perché di frequente gli artisti mostrano una certa presunzione nel non volersi incasellare in nessuna categoria nello specifico.

Poi quando si realizza un qualcosa di artistico, in musica per esempio, si è inevitabilmente condizionati da molteplici influenze. Si può essere più propensi ad un genere piuttosto che a un altro, ma alla fine non ci si dedica mai solo a una singola cosa.

Cercando di analizzare il mio progetto artistico, mi piace definire le mie sonorità come urban (perché effettivamente lo sono), i testi sono molto pop e il tipo di scrittura che prediligo si avvicina molto al cantautorato italiano. Parlo di amore, di relazioni.

Sei partito dal mondo rap per poi arrivare a un’interessante mescolanza tra urban, punk e R&B. Cosa ti ha spinto a questo passaggio?

La vecchiaia (ride, ndr), semplicemente questo. Il rap è un genere molto generazionale, molto giovanile. Quando mi dedicavo al rap, parlavo di cose che vivevo direttamente. Nei miei pezzi trattavo di ghetto, di quartiere popolare, di graffiti. Poi, con il passare degli anni, la vita prende direzioni diverse, e per forza di cose si cambia. Il mio bisogno di comunicare tramite la musica c’è sempre stato, ad un certo punto, però, si è tradotto in altri generi oltre al rap, più simili a me. Una modalità espressiva in cui ad oggi mi rispecchio maggiormente.

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«La mia playlist sembra avere più personalità, al suo interno è possibile trovare di tutto, da brani classici a dirompenti singoli punk»

All’inizio del tuo percorso, perché ti sei avvicinato proprio al rap?

R: Mio padre suonava il basso in un gruppo punk, mia madre lavorava nelle radio libere. Fin da piccolo, quindi, sono cresciuto a stretto contatto con la musica e per questo mi reputo molto fortunato.

Dedicarmi alla musica e farne un lavoro non era nei piani, è semplicemente capitato. All’inizio del mio percorso artistico mi sono avvicinato al rap in primis grazie alla passione per i graffiti; in più conoscevo alcuni ragazzi che facevano musica. E da lì è un po’ partito il tutto. Un giorno ho accompagnato un mio amico a registrare una strofa: a lui non è riuscita, a me invece sì.

Quali sono le influenze che pensi condizionino maggiormente il tuo modo di fare musica?

Non ho un singolo modello di ispirazione, negli anni ho ascoltato diversi artisti, anche molto differenti l’uno dall’altro. I miei collaboratori spesso mi prendono in giro dicendo che la mia playlist sembra avere più personalità; al suo interno è possibile trovare di tutto, da brani classici a dirompenti singoli punk.

Ogni volta che ascolto un pezzo che avrei voluto scrivere io, e da cui mi sento stimolato musicalmente, da lì prendo ispirazione. Oppure mi piace trarre spunto dalle arti visive, dai libri, dalle persone che incontro.

Tra i brani che avresti voluto scrivere tu, ce n’è uno che ti ispira particolarmente?

Il cielo in una stanza, l’opera per eccellenza di Gino Paoli. Un vero capolavoro.

Rokas a proposito del suo nuovo EP: «Durante il periodo Covid non riuscivo più a scrivere, la stesura del brano Paura di non farcela esprime proprio questo sentimento»

Nel tuo singolo intitolato Scusami, uscito su tutte le piattaforme il 12 gennaio, indaghi il difficile rapporto tra opposti che, mentre si attraggono, finiscono spesso anche per respingersi. Questa tematica è derivante da un qualcosa che ha segnato il tuo vissuto personale?

Sicuramente sì, io scrivo principalmente di esperienze vissute. Poi mi impegno sempre nel non soffermarmi su un solo vissuto all’interno di una canzone (in primis per non vincolare il brano a una singola persona con cui magari, in un ipotetico futuro, non avrò più a che fare).

In Scusami ho deciso di affrontare la tematica degli opposti perché mi ritrovo spesso in situazioni dove si percepisce proprio un forte senso di attrazione o repulsione. A me piace molto stare con le persone. Amo interfacciarmi con individui a me affini, ma, al tempo stesso, sono sempre curioso di esplorare visioni lontane dalla mia. Guardando al mio vissuto in generale, ricerco spesso questa dinamica basata su opposti. Nel mio singolo parlo di diverse situazioni, sperimentate in prima persona, fatte di contrasti ma anche di tanti freni. Il ritornello infatti recita: “E scusami / Ma io sono un sacco di droga / e tu un posto di blocco”.

Lo scorso 24 maggio è uscito il tuo nuovo EP, Ci sono dei bambini. Potresti parlarcene brevemente?

Il mio nuovo EP si intitola Ci sono dei bambini perché volevo sottolineare come spesso non ci accorgiamo che le nostre azioni hanno un impatto, comportamenti e parole possono fare male. Contiene due brani: Se cado giù e Paura di non farcela. Il primo è molto ritmato e pop, si ambienta in un club, in una momentanea situazione di lucidità e consapevolezza, dove ci si rende conto di essere soli, nonostante il marasma circostante. Il secondo, invece, è caratterizzato da una doppia narrazione: nelle prime strofe parlo a mia madre, nel ritornello mi rivolgo all’ansia. Durante il periodo Covid non riuscivo più a scrivere, temevo di non essere in grado di portare a termine il disco; la stesura del brano Paura di non farcela esprime proprio questo sentimento. Rappresenta un importante turning point per me, da quel pezzo in poi ho concluso il disco in pochissimo tempo.

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«Tutto ciò che è creativo ed è fonte di ispirazione mi appassiona»

Sempre a proposito della tua carriera, hai ricevuto l’attenzione di artisti importanti, per esempio Marracash che ha campionato il tuo brano Giorni stupidi nell’album Noi, Loro, Gli altri. E attualmente la tua musica vanta un ottimo posizionamento a livello di classifiche. Cosa si prova a veder piano piano il proprio sogno musicale realizzarsi?

Non sono mai troppo celebrativo nel parlare dei miei traguardi, senza ombra di dubbio, però, vedere il proprio talento riconosciuto regala una bellissima soddisfazione.

Per me è già una grande gioia vedere le persone cantare le mie canzoni. Ad esempio, durante un live a Milano sono rimasto molto sorpreso per il fatto che in molti conoscessero a memoria i pezzi. Poi, nonostante cose del genere gratifichino come poche altre, cerco sempre di rimanere con i piedi per terra.

Se dovessi pensare ad un featuring, con chi lo vorresti realizzare? Perché?

Parlando di featuring fattibili ti direi Frah Quintale, mi piace molto. Mentre invece, anche se infattibile (ride, ndr), mi piacerebbe collaborare con Swedish House of Mafia o The Weekend.

Questi artisti rispecchiano sotto diversi punti di vista quello che mi piace vedere nella musica. The Weekend ha la capacità di essere molto intelligibile, di scrivere testi semplici ma mai banali. E Frah Quintale è molto bravo a fare lo stesso in italiano. Entrambi sono accomunati dal fatto di saper far ballare chi li ascolta.

Poi, parlando di featuring con persone che non sono coinvolte nel mondo musica, mi piacerebbe un sacco collaborare con James Turrel, un artista noto per le sue installazioni luminose.

Al di là della musica, coltivi qualche altro interesse in particolare?

Qualche anno fa mi dedicavo a più passioni, dalla musica ai graffiti, ora preferisco concentrarmi su meno cose. Leggo molto, ogni tanto provo a realizzare dei quadri (terribili – ride, ndr), mi piace visitare mostre e praticare sport, la boxe soprattutto. E poi, in generale, ciò che è creativo ed è fonte di ispirazione mi appassiona.

Nel prossimo futuro vedremo qualcosa di nuovo in uscita? Puoi parlarcene?

Prossimamente (non si può ancora svelare quando di preciso) uscirà un disco in cui si capirà il vero significato dell’EP Ci sono dei bambini, un titolo abbastanza forte. E il resto è top secret, non posso anticipare altro (ride, ndr).

Credits

Photographer: Leandro Manuel Emede

Stylist: Nick Cerioni

Stylist assistants: Ilaria Taccini, Noemi Manago, Niko Prete

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