Anthony Pomes, il ritratto come medium per far emergere emozioni e unicità del soggetto

Anthony Pomes inizia il suo percorso nella fotografia nel 2011, sfruttando la luce naturale per ritrarre amici e paesaggi. Di stanza a Parigi ma originario del sud della Francia, muove i primi passi nel mondo della cultura e dell’arte al liceo, dove studia teatro e letteratura. Queste discipline sono state, e sono ancora oggi, fonte di ispirazione per le sue foto, così come la danza, che pratica attualmente. Con i suoi lavori, Pomes vuole percepire e catturare le emozioni dei soggetti, proprio come fanno il teatro, la danza e la letteratura. In particolare, lo sguardo e il movimento del corpo sono per lui gli aspetti più importanti da ritrarre, per mezzo dei quali riesce a far emergere le emozioni che sta ricercando.

Un autoritratto di Anthony Pomes

Quando hai scoperto la passione per la fotografia? Come è iniziato tutto?

A 12 anni ho iniziato a studiare teatro e ho continuato con la letteratura e la recitazione al liceo. Andavo in scena, interpretando e dando vita a personaggi e apprezzando la creatività che mi circondava. Ho intrapreso anche una breve carriera di modello che mi ha introdotto al mondo dell’immagine.
L’arte della fotografia è arrivata poi in maniera naturale. Nell’estate del 2011 ho comprato la mia prima macchina fotografica e ho cominciato ad allenarmi scattando foto ad amici e paesaggi. La letteratura e la recitazione erano, e continuano ad essere, le mie principali fonti di ispirazione. I miei scatti erano una sorta di editoriale che ricordavano personaggi letterari o di teatro. Quando mi sono trasferito a Bordeaux, ho iniziato a fotografare per la prima volta modelli professionisti provenienti da agenzie di moda, il che mi ha spinto verso un altro livello. I ritratti e la luce naturale erano i miei terreni di lavoro preferiti. Oggi tengo sempre in mente le mie origini artistiche ricercando la sensibilità e l’unicità nei ritratti che realizzo.

Chi sono i professionisti o gli artisti che ti hanno maggiormente ispirato?

Sicuramente i grandi drammaturghi come Shakespeare o Beckett, ma anche fotografi contemporanei che mi hanno permesso di elevarmi agli inizi. Ricordo che sognavo le foto di Théo Gosselin e ammiravo le luci degli studi di Florian Saez e Malc Stone.

Come scegli i modelli per le tue foto? Cosa deve catturare la tua attenzione?

Come le muse ispirano gli artisti, io devo essere ispirato da un modello. Viso, sguardo, forme del corpo, atteggiamenti ed emozioni. Ma per rispondere alla domanda, dirò che è tutta una questione di sguardo. Tutto sta negli occhi, che sono lo specchio dell’anima, come diceva Cicerone.

Chi sono i modelli o le persone che hanno per te un talento speciale e perché?

Questa è l’occasione per omaggiare volti nuovi con cui ho avuto l’opportunità di collaborare. Prima di tutto devo parlare della mia talentuosa amica e musa Céline, che è stata la mia modella fin dall’inizio e con la quale siamo molto compatibili per quanto riguarda i gusti letterari. In secondo luogo, il più famoso e desiderato ballerino francese, Andreas Giesen, un grande talento da seguire per i suoi movimenti, colori e outfit.
La danza è anche il punto di forza di Jean-Baptiste Plumeau, che unisce il ballo contemporaneo e l’improvvisazione. Il comico Philippe Touzel ha quello sguardo che non si dimentica: un artista da tenere d’occhio. Amaury Bent, modello francese emergente, è un nuovo volto che ho avuto la possibilità di scattare più volte.
Infine, una menzione speciale per il mio amato amico e talentuoso fotografo Sébastien Marchand. Ha la capacità di creare e ricreare all’infinito: la sua immaginazione non conosce limiti.

Progetti e sogni per il futuro?

Al momento ho intenzione solo di praticare e sperimentare la fotografia. Nel prossimo futuro mi piacerebbe realizzare editoriali e ritrarre più ballerini e comici, i migliori quando si tratta di espressioni facciali.
Per il futuro sogno di viaggiare in luoghi mozzafiato lontano da Parigi e fare delle foto in giro per il mondo: editoriali, immagini per i brand, ritratti dei miei volti preferiti o scatti da aggiungere al portfolio. Le mostre sono sempre nella mia mente ma al momento non ho il tempo di dedicarmici.

Per tutte le fotografie, credits Anthony Pomes

5 Serie TV da non perdere in questo periodo

Tra Netflix, Sky e la Rai, il mondo dell’intrattenimento è in pulpito per nuove serie uscite o in uscita in questo periodo. Prima di tutto, la top 10 di Netflix è da giorni occupata da tre nuovissimi originali del magnate dello streaming : Inventing Anna, Fedeltà e Uno di noi sta mentendo. Contemporaneamente, da un lato, Sky offre Euphoria – in tendenza con la seconda stagione dopo il successo della prima nel 2019 – e, dall’altro, su Rai 1 sta per uscire Noi il remake italiano della serie drammatica americana This is us.

Uno di noi sta mentendo

Uscito il 18 Febbraio, questo giallo-drama adolescenziale ha intrattenuto tutti con una serie di misteri e intrecci che ricordano i classici degli anni 2010, come Pretty Little Liars.
Cinque liceali si ritrovano in detenzione quando d’improvviso tutto si complica con la morte di uno di loro: Simon, il blogger della scuola, che aveva intenzione di rivelare i segreti dei compagni. Nel mirino della polizia, gli altri quattro si ritrovano sopraffatti da tante bugie, e soprattuto da una situazione che rende ognuno di loro un probabile sospetto. Chi di loro sta mentendo?
Questa serie incrocia il mondo del gossip incanalando il tutto in un contesto di giochi di potere attraverso i social media, ormai pilastri delle dinamiche giovanili e non solo. Per quanto classica è riuscita ad essere apprezzata dal pubblico più giovane, attratto da storie brevi e avvincenti con protagonisti che risolvono misteri e allo stesso tempo nascondo altrettanti segreti.



Fedeltà

Dramma amoroso di Netflix Italia, Fedeltà è basata sull’omonimo romanzo di Marco Missiroli. La serie tratta di un tema chiave delle relazioni di coppia: la fedeltà al partner, ma anche a se stessi.
I protagonisti: Carlo (Michele Riondino) e Margherita (Lucrezia Guidone), coppia felicemente sposata, affronteranno presto uno sconvolgimento dei propri equilibri attraverso due incontri straordinari. Il tradimento è solo la superficie di una serie di questioni che sorgono dai loro incontri extraconiugali perché li porteranno a mettere in dubbio ogni cosa e a guardarsi allo specchio per la prima volta dopo tanto tempo. È più importante essere fedeli agli altri o a se stessi? Questa è una delle tante domande che nascono guardando questa serie che, come del resto la maggior parte dei prodotti italiani, mette in scena dinamiche e difficoltà che fanno parte della vita di ognuno di noi.



Inventing Anna

Netflix stupisce con un prodotto estremamente particolare e unico raccontando la storia della truffatrice più in tendenza d’America. La storia di Anna Delvey (pseudonimo di Anna Sorokin), nel 2017 ha sconvolto tutta l’alta società di New York e non solo, quando è stata arrestata per frode e furto aggravato di primo, secondo e terzo grado. Fin da giovanissima era ossessionata dalla moda e dal mondo social, infatti seguiva continuamente Vogue e vari account moda su Flickr e su altri social dei primi anni 10 del 2000. La sua vita inizia a prendere una nuova piega quando nel 2013 si reca a New York per la Fashion Week e – dopo aver tentato invano di ricevere finanziamenti per una fondazione artistica inventata – decide nel 2014 di fingersi una ricca ereditiera e farsi conoscere dall’alta società come parte di essa. È riuscita rapidamente a farsi conoscere dai più grandi banchieri e dai nomi più influenti dell’upper class Newyorkese, diventando anche un’influencer su Instagram.
In pochi anni è diventata ciò che ha sempre sognato e visto sulle riviste di moda più famose del mondo, incastrando tutti fino a farsi pagare viaggi, assegni e hotel commettendo una delle più grandi truffe del secolo. Nel 2018 Jessica Pressler ha pubblicato un articolo sulla Sorokin da cui Netflix a preso l’ispirazione per creare la serie che sta intrattenendo tutti e che ha raggiunto le vette delle tendenze di questo periodo. La serie infatti segue la giornalista Vivian Kent (basata su J. Pressler), mentre segue la storia della Delvey, dall’inizio della frode fino al suo arresto.
Inventing Anna apre le porte dell’Upper East Side in vero stile Gossip Girl raccontando, però, una storia vera dal punto di vista di qualcuno che è riuscito incredibilmente a farsi strada al suo interno.



Euphoria

Sesso, droga e vita notturna sono solo la superficie di questo crudo dramma adolescenziale che racconta la crescita e la ricerca di se stessi in un modo forse mai visto prima. Euphoria, uscita nel 2019 è da poco ritornata a stupire i fan con la seconda stagione. La serie segue un gruppo di liceali alle prese con la scoperta della propria identità e le numerose difficolta della crescita e della vita. Ogni episodio è una finestra estremamente cinica sulla realtà adolescenziale incorniciata da una cinematografia tanto sorprendente da creare un “mood” in tendenza ormai sui social come TikTok e Instagram. Inoltre, l’eccellente recitazione del giovane cast – tra cui spiccano i nomi di Zendaya (Rue) Jacob Elordi (Nate Jacobs) e Hunter Schafer (Jules) – rende la serie un vero e proprio prodotto di qualità degno di nota.



Noi

Versione italiana di This is us, questa serie – in uscita a Marzo su Rai 1 – racconta la storia di due innamorati; Pietro (Lino Guanciale) e Rebecca (Aurora Ruffino) – a partire dal loro incontro negli anni ottanta fino alla creazione della loro famiglia. I due scoprono ben presto di aspettare tre gemelli ma uno dei tre muore appena nato; un segno del destino, però, gli offre l’opportunità di compiere un atto d’amore e loro lo colgono adottando lo stesso giorno un neonato nero accogliendolo nella loro famiglia. In un gioco di parallelismi tra passato, presente e futuro, la serie segue le vite dei cinque membri della famiglia alle prese con le difficoltà e tutto ciò che la vita ha da offrire. La versione americana ha avuto molto successo e ha emozionato tutti tramite la naturalezza e la spontaneità con cui ha raccontato la quotidianità e i cambiamenti sociali seguendo il passare del tempo.
Una serie di questo genere dovrebbe conquistare il pubblico italiano che potrà rivedere la storia del proprio paese attraverso il punto di vista di una famiglia come tante, ma che allo stesso tempo è unica e speciale. Nel frattempo, aspettando il 6 Marzo, è possibile vedere su Prime Video le prime cinque stagioni della serie originale



‘Sissy’, il frutto di un incontro speciale: intervista a Eitan Pitigliani

«Mi rende davvero felice essere riuscito a cogliere tutto questo e aver dato vita a Sissy, opera grazie alla quale mi sento un regista – e soprattutto – una persona migliore». Mentre lavora per il suo primo lungometraggio – intitolato E poi chissàEitan Pitigliani ci trasporta all’interno del percorso del suo ultimo progetto Sissy.
Regista conosciuto per i suoi corti acclamati dalla critica – come In questa vita del 2011 e Like a Butterfly del 2015 – Pitigliani porta sullo schermo una storia profonda e travolgente che gli ha cambiato la vita.


Eitan Pitigliani

Sissy parla di un amore di un figlio verso la propria madre. Sta parlando di lei e dell’amore per sua madre nel film?

Certamente, Sissy rappresenta per me un film particolare, quello a cui sono più affezionato, per tanti motivi, non ultimo quello di averlo realizzato con una bambina al centro della storia, e di essere riuscito a girarlo prima che diventasse troppo grande. Perché la storia, e lo stesso personaggio di Sissy, avevano bisogno di un’innocenza, di un’immediatezza, che solo una bimba così piccola poteva raffigurare. Una bambina magica come, appunto, è Dea. E sì, sicuramente, la storia viene dal mio vissuto, ed è dedicato ad una persona speciale, mia mamma. E nessuno meglio di Dea avrebbe mai potuto rappresentare l’elemento magico di questa storia. Le sono molto grato, più di quanto io stesso possa pensare.
Il suo ruolo era molto complesso, ma ha saputo dargli vita in una maniera sorprendente, e io stesso, nel guardarla e riguardarla durante tutta la fase della post-produzione, ancora non riesco a capacitarmi di come abbia fatto. Alla sua prima prova da attrice, a soli 7 anni, è come se avesse sentito su di sé la vera importanza del personaggio del quale era stata investita, di cui sapeva il giusto ma non troppo e, dopo mesi di preparazione e di lavoro sodo, è riuscita a dargli vita in un modo davvero sorprendente.

Può raccontare cosa è stato per lei l’incontro con Dea Lanzaro, la bambina che l’ha aiutata a uscire da un momento difficile?

L’incontro con Dea Lanzaro è avvenuto come d’incanto, in un momento molto delicato, e particolare. In realtà la conoscevo già da tempo, da quando era piccolissima. Avrà avuto credo appena 4 anni quando venne alla prima del mio precedente film breve, e ricordo ancora come si emozionò quando entrò per la prima volta in una sala cinematografica.
Da lì, è sempre stata per me un personaggio molto curioso, un piccolo genio, dotato di grande sensibilità e di grande energia, con una delicatezza e una grazia d’altri tempi, e un piglio da scugnizza che non guasta. Il mix perfetto per dare uno scossone a chi è, in un modo o nell’altro, in un momento di difficoltà. Quello che mi ha sorpreso è che, dopo le prime lezioni di cinema, era già in grado di emozionarmi a tal punto da spingermi a creare una storia su di lei, un personaggio modellato su di lei… E credo sia il più grande talento per un’attrice o un’attore, quello di ispirare personaggi inesistenti, e di far sì che le/gli vengano cuciti addosso. E tutto questo è nato così, per gioco, fino a diventare un film.



La bambina è stata in grado di farle cambiare percezione della vita? O della famiglia magari?

La bambina ha dato forza ad una concezione della vita che già ho. La vita per me, oltre che un gran casino, è anche un campo di gioco, un teatro come diceva Shakespeare, dove ognuno ha il suo ruolo, e lo interpreta a modo suo. Per questo giudicare gli altri per partito preso, anche quando viene naturale, non è mai un bene perché non si capisce il vero ruolo di una persona, la sua unicità, nel bene e nel male.
E in questo gioco di ruoli, in questo immenso, gigantesco casino, è proprio il gioco che non si deve perdere mai, il vivere davvero, fino in fondo, o per lo meno il provarci, costi quel che costi. E passare per ospedali – mai come in questo momento il tema è così attuale – o luoghi dove c’è molta sofferenza, mi ha dato la spinta a considerare il gioco, e quindi l’innocenza bambina, come l’unica via per superare il dolore e vivere appieno questa vita così ricca ma al tempo stesso cosa incredibilmente incasinata.


La locandina di Sissy

Tra i personaggi della storia ce n’è uno che lo si potrebbe considerare come la proiezione di lei stesso?

Quando scrivo viene automatico trasferire la maggior parte della mia sensibilità alla figura centrale della storia. In Sissy sicuramente quello che mi è più vicino è il giovane protagonista, interpretato da Vincenzo Vivenzio, che è riuscito a calarsi a nel ruolo in un modo così profondo e totale che ha stupito anche me che quel ruolo l’avevo scritto. E non era facile, perché è un ragazzo che fa una scelta estrema, quella di vivere per strada, allontanandosi dal mondo reale, e che vive dentro di sé un conflitto fortissimo: un “internal struggle” che tuttavia ha in sé già la risposta alla
sua sofferenza e che nell’arco della storia, dà vita e realtà ai successivi eventi. Perché in fondo, al di là di qualsiasi aiuto esterno, a volte fondamentale, la risposta a molte cose, soprattutto al dolore, è dentro di noi. E non può che essere così.
Al di là di tutto però, quando scrivo tendo a depositare parti di me non soltanto nella figura protagonista ma anche negli altri personaggi, come in una sorta di dialettica interiore. Per questo, anche Sissy (il personaggio di Dea Lanzaro) e quello di Fortunato Cerlino, il padre del protagonista, incarnano aspetti di me molto diversi tra loro: Sissy quello più arguto, giocoso e pazzerello, che vuole trovare le soluzioni alle difficoltà della vita attraverso il sorriso, il personaggio del padre, invece, quello più forte, coscienzioso, e imperturbabile.. Il classico Super-Io.
E poi c’è Mirella D’Angelo, last but not least, che ha in sé la chiave per aprire tutte le porte; la formula che dà un tocco ancora più magico alla storia.

Si potrebbe considerare Sissy come prodotto “autobiografico” o è il prodotto delle sue emozioni non necessariamente legate a una storia simile a quella che ha raccontato nel corto?

Sissy è sicuramente in linea con le storie che mi piace raccontare, che sento di dover mettere in forma filmica per una sorta di ispirazione divina, e che per forza di cose sono il riflesso di ciò che accade nella vita reale.
Bisogna stare attenti a non raccontare storie o girare film che parlino solo di noi stessi, come registi o autori, altrimenti si perde il contatto con il pubblico, e soprattutto la sua fiducia. È necessario, invece, cercare di capire cosa c’è in quelle storie che ci può accomunare agli altri e che può magari essere uno strumento a loro utile per comprendere se stessi e gli altri.
Per me il momento più bello è quando il pubblico in sala entra nella storia come se fosse la sua, e ne parla poi a modo proprio, dando spunti e riflessioni che anche l’autore stesso non aveva carpito inizialmente, almeno a livello conscio.
Sissy è certamente un tema che accomuna molti, in un modo o nell’altro, e questo mi rende molto fiero di aver raccontato questa storia, e felice di poterla condividere con il pubblico, che resta sempre il referente sommo.

Sul set di Sissy


Chi è veramente Sissy o che cosa rappresenta?

Posso rispondere solo in parte. Sissy è una figura astratta, una bambina che
irrompe nella vita del protagonista e lo fa rinascere. Rappresenta la vita, la gioia. Diciamo che è l’immagine dei nostri cari che, seppur non qui fisicamente, e seppur abbiano patito e sofferto tanto nella vita, spero abbiano finalmente potuto trovare, in qualche posto lontano, una loro felicità, una forma diversa, gioiosa.

Ho visto che Dea Lanzaro fa parte del cast del film. Come è stato averla come parte integrante del prodotto di cui è stata l’ispiratrice?

Dopo aver diretto attori magnifici, uno su tutti Ed Asner, purtroppo venuto a mancare lo scorso anno all’età di 91 anni – una vera e propria leggenda, vincitore di 5 Golden Globe e 7 Emmy Awards, era per me difficile trovare qualcosa che mi ispirasse in maniera altrettanto forte, in attesa del mio primo lungometraggio. E l’idea di Sissy è arrivata, appunto, grazie a Dea, come un fulmine a ciel sereno. Ispirato da qualcosa che sentivo dentro di me, ma catalizzato e illuminato dalla meravigliosa energia di questa bambina. E devo dire che non potevo immaginare niente e nessuno migliore di lei.


Like a Butterfly

Il suo personaggio ha lo stesso ruolo che ha avuto lei stessa nella sua vita?

In parte, sicuramente. Il tutto è potenziato e ampliato al massimo dalla figura che realmente Sissy – nome fittizio – incarna, figura che le dà una voce e un corpo immensamente più forti anche se già Dea è un tornado di suo. In questo caso, il personaggio che le ho scritto addosso assume dei connotati concreti ma al tempo stesso eterei, in un viaggio nello spazio, e nel tempo.

È evidente che il film contiene il tema della morte; lei che rapporto ha con questo argomento?

La morte è un tema molto delicato, molto discusso, ma anche molto evitato. Come poi è comprensibile che sia. A volte penso che non sia nemmeno “reale”. Capitano quei momenti in cui ti sembra che una persona che non c’è più, in realtà ci sia, ancora, forse perché la sua anima è talmente forte, talmente presente, che sembra addirittura non essersene mai andata via.
Di certo, non c’è una formula per interfacciarsi alla morte, né un segreto per superarla quando accade. Non c’è per la vita, figuriamoci per la morte. Però, nei momenti più bui c’è bisogno di tanta forza, che a volte può essere trovata anche attraverso cose frivole e apparentemente di poco valore, ma che sono le uniche che riescono ad anestetizzare il dolore.
Nel film, è proprio grazie all’irruzione di una bambina magica che il protagonista riesce finalmente ad affrontare il suo dolore, diventato un vero e proprio torpore, e a risorgere.



Ha un messaggio che vuole portare a chi deve avere a che fare con la perdita di qualcuno?

Forse non lo definirei un messaggio, ma sicuramente con Sissy l’obiettivo è quello di restituire ad una persona cara – in questo caso quella di una mamma – la bellezza e la dignità che spesso la vita toglie, specialmente nel caso di alcune malattie terribili, cercando così una speranza, ma soprattutto convincendomi io stesso che possa esserci sempre una rinascita, una felicità oltre la sofferenza, che mi piace pensare le persone venute a mancare trovino da qualche parte, in qualche posto dell’universo, rinascendo in un’altra forma, quella più bella.

Crede che il suo film possa aiutare a superare la perdita di qualcuno caro?

Lo spero, fortemente. È, in fondo, il motivo per cui ho raccontato questa storia, al di là dell’ispirazione iniziale.
Ho già avuto molti segnali positivi in questo senso, e ciò mi rende davvero felice, e mi tocca profondamente. Certo, non vale sempre e non per tutti, ma appunto, dai feedback che ho ricevuto finora da parte di persone di diverse età e con diversi trascorsi, credo che la storia riesca ad arrivare al cuore dello spettatore. È forse grazie alla sua non presunzione e al suo approccio umano e innocente al tema della morte di una mamma, la figura più importante nella vita, l’origine di tutto; a quanto ho capito dalle riflessioni degli spettatori, la storia di Sissy sembra riuscire a toccare anche le anime delle persone che non sono passate attraverso quel dolore, e a farle empatizzare con questo tema, nella parte più delicata e fragile, e poi in quella più sognante.
Immaginare i nostri cari in un mondo altro, finalmente liberi e felici, che passano il loro tempo a giocare e a divertirsi, credo sia il più grande dono che possiamo fargli, per ringraziarli di tutto quello che ci hanno dato quando erano vivi. Non buttandoci giù e distruggendoci, come a volte accade come diretta conseguenza della loro morte, ma anzi, riprendendo per mano la nostra vita e facendo tesoro dei loro insegnamenti e del loro amore. Per farli vivere nuovamente, dentro di noi. Questo nel film accade in maniera indiretta, e indotta, ma accade e spero possa essere un catalizzatore e uno strumento per chi ancora non ci è riuscito o non sa come metabolizzare un evento di così grande delicatezza… E che possa trovare la forza di prendersi per mano e rinascere.

Ha paura a pensare alla piega che avrebbero preso gli eventi se non avesse incontrato Dea?

Non saprei. Sicuramente, come dicevo, è arrivata, ed è arrivata come per magia, con tutta la sua energia e la sua voglia di imparare il mestiere dell’attrice, e ha illuminato un momento per me molto delicato.
In realtà è quello che penso degli attori, che non sono sempre tutti giusti per tutti i ruoli e per tutti i film, ma che credo siano delle figure magiche, come degli angeli, presenti sulla terra per dare voce e ruolo a chi non ne ha; a volte perché non è più qui, altre perché non è ancora qui, o forse perché magari sono semplicemente personaggi immaginari, ma comunque incarnazione di pensieri e di emozioni più intime di un autore, della nostra anima.
Dea ha rappresentato sicuramente un momento molto forte, di rottura con una fase, e di inizio di un’altra, ispirando questa storia. E mi rende davvero felice di essere riuscito a cogliere tutto questo e di aver dato vita a Sissy, opera grazie alla quale mi sento un regista, e soprattutto una persona, migliore.
Il cinema ha anche questo di compito, quello di renderci migliori, più vicini agli altri e, in un certo senso, alla vita… Quella vera. Perché senza questo non c’è più sogno. Ed è invece proprio grazie al cinema, e ai bambini, che si può ritrovare la gioia di vivere, e la forza di andare avanti e di sognare.



Che significato ha il colore rosa utilizzato nel film e nell’intera campagna pubblicitaria?

Il rosa è un colore che amo molto, nelle sue più diverse sfumature. In termini fotografici, può essere un rosso chiaro, a volte con dentro un pizzico di arancio, oppure di blu, come nel caso di Sissy, progetto che nasce come un dialogo tra la nostra parte più intima, cupa e sofferente, rappresentata dal blu notte, dall’oscurità, e appunto il rosa, nella sua più ampia gamma di sfumature, che si prende la scena, fino a soggiogare il blu, e a riportare la vita.
Sissy è vestita di rosa, in una stanza che, in seguito al suo ingresso, da blu diventa rosa e rinasce. Grazie a Sissy, tutto il mondo del protagonista si colora di rosa, la realtà intorno a sé, le pareti, le tende. E il rosa, in realtà, rimane anche alla fine. Una botta di colore o, per dirlo alla romana, “una botta di vita”. Il rosa per me è un colore speciale perché mi rimanda a molti oggetti personali di mia mamma, alcuni dei quali presenti nella scenografia e nei costumi del film.
In realtà ho sempre con me qualcosa di lei, che mi accompagna nei momenti più importanti, ovviamente qualcosa di rosa.

Che rapporto c’è tra lei e Dea Lanzaro?

Con Dea ho un rapporto molto bello, profondo, viscerale. Nonostante lei sia una bambina di soli 7 anni, ha una grande capacità di empatizzare con gli altri, e di entrare in contatto con la profondità della emozioni e delle storie che le vengono raccontate. Sono rimasto stupito sin dall’inizio dalla sua particolarità, e in alcuni momenti ho avuto l’impressione che fosse addirittura un alieno, un angelo, catapultato da non so bene dove, fino a qui, sulla terra, un po’ come Sissy.
E sono orgogliosissimo di averla cresciuta come attrice e che abbia fatto il suo esordio diretta da me. Ricordo ancora l’emozione delle prime lezioni di recitazione, delle prime prove. E poi, finalmente, il primo ciak sul set. Era emozionatissima, e lo ero anche io. Non potevo immaginare niente di più magico. D’altronde, il cinema è magia, e cosa c’è di più magico della felicità dei bambini?!



‘Fuori!!!’, cinquant’anni di orgoglio, storia e amore

Una dichiarazione d’amore, un piccolo monumento alla cultura LGBTQ+.

Una bomba.

Così viene descritta l’inedita antologia dei primi 13 numeri di Fuori per celebrare il 50° anniversario della storica rivista di liberazione sessuale e orgoglio omosessuale Italiano.
Giovedì 20 gennaio Carlo Antonelli e Francesco U. Ragazzi hanno presentato Fuori!!! 1971-1974 , grazie all’ospitalità di Fondazione Feltrinelli e con l’aiuto dei collaboratori e sostenitori Levi’s e Fondazione Sandro Penna.

Acronimo di Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, FUORI nasce nel 1970 a Torino come gruppo omosessuale clandestino, uscendo allo scoperto nel 1971 come la prima associazione gay italiana. Espande i propri orizzonti entrando nelle edicole come rivista di liberazione sessuale nel 1972. Partendo da Torino, raggiunge un contesto nazionale, fino a creare anche un network internazionale attivo.



L’antologia si presenta con una grafica di grande impatto per ricordare l’importanza e il ruolo della storia omosessuale sia nella storia italiana che in quella internazionale.
Lo sfondo arancione acceso e l’icona della bomba ricordano il fuoco e le fiamme come metafore del “caos” e del rumore che le marce per i diritti civili hanno iniziato negli anni 70, con un’eredità che raggiunge i giorni nostri. Il colore arancione – ricordato come “il colore dei matti” – potrebbe essere una “frecciatina” alla psicoanalisi del tempo. Infatti gli studi para-scientifici, fino agli anni 70, consideravano l’omosessualità come “disturbo mentale”; è stata cancellata dal DSM (manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), solo il 17 maggio 1974, data che nel 2004 viene istituzionalizzata come giornata contro l’omobilesbotransfobia.


L’intera stesura del libro rappresenta il risultato di un processo semiotico volutamente ricco di riferimenti e metafore sottintese. Anche la sua dimensione ha un significato preciso; lungo 500 pagine e stampato in un formato di 38X29, il volume è costruito per essere un oggetto ingombrante e “fastidioso”, aggiunge Carlo Antonelli. È costruito come elemento tattile e percepibile delle lotte e dei sacrifici di persone che “hanno dato fastidio” per raggiungere i propri scopi.



Pensata come “coffee table book”, l’antologia vuole essere un elemento di arredo – e non di riempimento – nelle case di chi l’acquista. Un monumento, una statua, un “punto focale”, che porta con sé la consapevolezza di una storia lunga e sudata e uno sguardo speranzoso verso il futuro.
La raccolta è anche una bomba, come lo è stato Stonewall nel 1969 e come lo è stata FUORI nel 1970. Una bomba i cui “danni” hanno provocato cambiamenti impensabili nel sistema.



Fuori è nata e si è evoluta come una vera e propria storia d’amore che ha legato vari soggetti ed enti culturali con un valore comune: il rispetto.
Perché è di rispetto che si tratta e di rispetto si è sempre trattato. Il rispetto per la storia, il rispetto per gli altri, il rispetto per i sacrifici e il rispetto per se stessi e la propria identità.

Ed è il rispetto che ha richiamato anche i collaboratori di questo progetto. Levi’s, Feltrinelli, Fondazione Sandro Penna e Nero Edizioni sono stati soggetti attivi nel sostegno di  FUORI e in generale nella lotta per i diritti civili omosessuali.
Fin dal 1853 Levi Strauss & Co – ora conosciuto come Levi’s – sostiene ideali di inclusione, diversità e progresso, diffusi attraverso i suoi capi e alcune collezioni quali Pride e Unlabeled; con l’obiettivo di ispirare i propri clienti verso la libertà di espressione.


Ph. Courtesy Levi’s
Ph. Courtesy Levi’s

Nero è da sempre una casa editrice attratta da progetti provocatori e non convenzionali della cultura e letteratura contemporanea, mentre Fondazione Sandro Penna ha reso disponibili i propri archivi per la ricerca e – per la prima volta – la scannerizzazione e digitalizzazione delle pagine originali della rivista; infine Feltrinelli è stata l’ospite accogliente dell’evento.

La serata ha permesso di costruire un luogo socio-culturale aperto e basato su ideali comuni a tutti i presenti. Insieme alla presentazione di “Fuori!!!”, infatti, è stato possibile ascoltare anche l’intervento di Giorgio Bozzo rispetto al progetto del podcast Le Radici dell’orgoglio sui 50 anni della storia della comunità LGBTQ+ in Italia, creato appositamente per l’occasione.

L’evento è stato una celebrazione dell’amore e di un risultato importante che, si spera, sia solo l’inizio della legittimazione culturale della storia LGBTQ+ italiana.