A tu per tu con Cazwell, pioniere del “queer rap”

MANINTOWN parla – in esclusiva – di diritti civili, moda, creatività e tanto altro con Cazwell, superstar del “queer rap” capace di cogliere come pochi lo Zeitgeist, DJ, produttore e titolare di un marchio di abbigliamento.

Cazwell rapper
Cazwell

Sei un pioniere del queer rap, come si sta evolvendo in questo senso la scena americana, in particolare quella di Los Angeles?

Immagino nello stesso modo in cui avviene altrove, ho iniziato a dedicarmi all’hip hop quand’è nato internet, faccio musica da prima dell’avvento del web, ma penso che quest’ultimo abbia dato visibilità ad artisti di ogni provenienza, cultura e sottocultura.
Riguardo a Los Angeles, secondo me ci sono più persone coinvolte nel rap nella comunità queer, e vale lo stesso per San Francisco, Boston, New York, Miami, Atlanta… Penso che lo scenario stia cambiando ovunque in maniera più o meno identica, di pari passo col fatto che le persone queer si sentono più a loro agio nell’esprimersi.

“Anche se abbiamo prospettive diverse e scriviamo di cose diverse, possiamo connetterci al nostro dolore”

Sei stato però il primo a farlo, aprendo la strada a tante persone, come ci si sente a riguardo? Voglio dire, hai una voce importante e noto che spesso ti spendi anche con dichiarazioni politiche, per cause umanitarie o diritti civili. Il punto è: ritieni che la generazione attuale sia concentrata sulla moda e sul come apparire, o più sull’esprimere se stessa?

A mio parere ognuno è diverso, credo ci siano sempre stati artisti, queer e non, più orientati politicamente e altri concentrati sulle stesse cose, come le ragazze di città che parlano solo di soldi, moda, bottiglie da stappare e cose così. Dipende tutto dal singolo individuo. Ma anche se abbiamo prospettive diverse e scriviamo di cose diverse, possiamo connetterci al nostro dolore.
Ad ogni modo, è una domanda interessante, perché non sono convinto che le persone queer siano “obbligate” a trattare specifici argomenti, a differenza dei rapper etero dell’industria, sotto contratto con un’etichetta, che dovrebbe parlare di certi temi. In ogni caso, ci si aspettano determinate cose dalle tue canzoni quando sei nel sistema musicale rispetto a quando ne sei fuori, poi ovviamente ci sono più artisti queer nell’hip hop, estranei all’industria, che continuano a pubblicare musica da indipendenti, che hanno quindi maggiore libertà e possono rappare su qualsiasi argomento.

“Missy Elliot è stata una grande ispirazione, penso abbia definito un modello seguito da tanti creativi queer, me compreso”

Con quale artista famoso collaboreresti, e perché?

Beh, con Beyoncé, la adoro, se però dovessi indicare qualcuno che ha più senso per me, probabilmente sarebbe Missy Elliot, che è stata una grande ispirazione. Penso che abbia definito un modello, seguito da tanti creativi queer, me compreso, che ho usato la musica per parlare non necessariamente di sesso, droga o violenza, ma per divertirmi, è da lì che sono partito ogni volta.
Missy mi ha sempre ispirato, è all’avanguardia fin dagli inizi. Alla fine degli anni ’90 io cominciavo la mia carriera e lei aveva pubblicato il primo album, eppure era ancora incredibilmente creativa con musica e immagini, senza contare che al tempo era tutto gangsta rap, East Coast contro West Coast, persino le Salt-n-Pepa facevano cose del genere in quel periodo. Poi lei se n’è uscita con un’attitude e un suono completamente diversi, una cosa che ti ispira a colpire dove non ti vedono arrivare, a non avere paura di andare nella direzione in cui nessuno va. Perciò sì, dico Missy Elliot, penso faremmo una grande canzone insieme.

“Daddy Department mi ha instillato un senso di fratellanza con altri uomini gay della mia età, il che è decisamente salutare”

Puoi dirci qualcosa in più sul Dna del tuo brand Daddy Department?

Nel 2020 volevo avviare una nuova attività e occuparmi di abbigliamento, pensavo di rilanciare l’underwear Ice Cream Truck, che avevo proposto nel 2014 e aveva avuto parecchio successo. Realizzare biancheria intima, però, è complicato, inoltre il mio caro amico JC, con cui ho fatto un paio di canzoni, aveva un’idea per un marchio che voleva far decollare, Daddy Department, il suo intero Instagram si chiamava così. Continuava a chiedermi consigli su come procedere, a un certo punto gli ho detto: “Vuoi farlo insieme?”.
Così abbiamo iniziato, prendendoci un anno per mettere insieme tutte le idee, per poterci concentrare su ciò che volevamo fare e definire il Dna della label. Ci sono voluti tre mesi per trovare il font giusto, originale, volevamo qualcosa di neutro sotto il profilo del genere; lo slogan del brand è “abbigliamento unfashionable per persone unfashionable”, perciò volevamo fosse tutto semplice.
Lo abbiamo lanciato a febbraio, finora ha ottenuto ottimi riscontri e continuiamo a crescere. Adoro poter lavorare con i giovani, nella moda come nella musica. Rappresenta un’opportunità per avvicinarmi a persone della mia età e generazione, la percepisco come qualcosa che può aiutarmi anche rispetto all’idea di invecchiare.
In Daddy Department posso riversare la mia creatività senza metterci la faccia, ad esempio non devo fare gli addominali come per un videoclip, non devo assicurarmi di andare in palestra o eliminare i carboidrati.
Il marchio mi ha instillato un senso di fratellanza con altri uomini gay della mia età, il che è decisamente salutare.
Abbiamo appena lanciato le canottiere, presto arriveranno anche le camicie Daddy Beach. Daddydepartment.com vi cambierà la vita.

“Quest’estate pubblicherò con la mia etichetta un album tipo compilation, una una sorta di greatest hits di Cazwell”

A cosa stai lavorando al momento?

Daddy Department occupa gran parte del mio tempo, ma quest’estate pubblicherò con la mia etichetta, Peace Bisquit, un album tipo compilation, una una sorta di greatest hits di Cazwell, versioni rimasterizzate dei brani, da I seen Beyoncé At Burger King ad All Over Your Face. Ci saranno anche uno o due inediti, inoltre per quest’estate ho in uscita un paio di singoli e, a ottobre, un EP dalle vibe diverse, quindi ho molto da fare. Senza contare che faccio il DJ sei volte a settimana.

Cazwell queer
Un ritratto di Cazwell

“Non potrò fermarmi finché non mi assicurerò che i miei fratelli e sorelle trans si sentano al sicuro”

Supporti qualche causa che ti sta particolarmente a cuore?

Sì, una per cui cerco di sfruttare tutta l’influenza che ho o l’attenzione che posso ricevere, quella per i diritti delle persone transgender, con tutto ciò stanno passando ora; ho devoluto i proventi della canzone Damn, I Look Good al Sylvia Rivera Law Project (SRLP), che li aiuta a risolvere le questioni con cui hanno a che fare col governo e la legge, ad esempio a cambiare legalmente nome o nella difesa in tribunale. Il Trans Defense Fund, questo il nome, si occupa di fornire “pacchetti di difesa” gratuiti alle donne trans, che comprendono taser, spray e tutto ciò di cui hanno bisogno per proteggersi, alla fine del video compare il link “Il taser nella mia borsa Telfar”.
Da uomo bianco gay mi sento obbligato a portare all’attenzione i problemi di questa comunità, specie perché mi sembra che molti nella mia stessa condizione non lo percepiscano più come un dovere; non generalizzo, ovvio, ma diverse persone della scena Lgbtq+ non necessariamente avvertono la spinta a difendere le persone trans, né comprendono che è tutto collegato, l’omofobia come la misoginia. E non potrò fermarmi finché non mi assicurerò che i miei fratelli e sorelle trans si sentano al sicuro.
In questo momento le donne trans sono bersaglio di tanta cattiveria, più che mai, dunque la percepisco come una nostra battaglia, dobbiamo lottare come se si trattasse di noi, perché si tratta di noi.

“Il video numero uno, secondo me, è Get My Money Back, un lavoro fatto con amore, una specie di Ice Cream Truck sotto steroidi”

Concludiamo nel modo più felice possibile: i tre video che ti piacciono di più.

Al terzo posto quello di Bad Bad Boys, in cui io e i miei amici impersonavamo una banda di lupi mannari. Lo adoro e ne sono orgoglioso, con quel trucco da effetti speciali.
Al secondo, direi quello di Loose Wrists con gli outfit di pizzo, un lavoro colmo di amore; il designer Hoza Rodriguez, un caro amico, mi ha sostenuto moltissimo, da sempre, perciò ho voluto che fosse lui a realizzare i capi in pizzo, che all’inizio dovevano essere semplicemente abiti color pastello, un richiamo a una pubblicità Versace degli anni ‘90 con diverse top model, Naomi Campbell, Christy Turlington, tutte con indosso pezzi sportivi in spugna, così mi sono detto “voglio farlo”; alla fine però non potevamo usare colori, solo il bianco, per niente sexy, finché mi è venuto in mente il pizzo: avevo il ricordo di un ragazzo che indossava un abito in questo materiale per il pride newyorchese. Hoza ha fatto tutto e ha pubblicato una foto dei look, notata subito da The Shade Room, Time e altri magazine.
Il video numero uno, però, è Get My Money Back, un altro lavoro fatto con amore, una specie di Ice Cream Truck sotto steroidi, con cinquanta ragazzi anziché sette, ispirato al film Fight Club, all’idea di un gruppo di uomini che vivono in uno spazio comune in cui hanno combattuto, vissuto e fatto tutto insieme.
Inoltre avevo visto un documentario del National Geographic sugli scimpanzé bonobo, in cui spiegava come siano le femmine a controllare le loro tribù, i maschi si rilassano e masturbano; ho pensato che dovremmo fare tutti come i bonobo, per cui ho inserito nella clip scimmie in camicie di flanella, cappelli e shorts, uno dei migliori video di sempre!

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