Taste porta in tavola bacche, erbe e fiori

Week end dedicato al food italiano d’eccellenza quello che sta per cominciare a Firenze. Sabato, infatti, alla stazione Leopolda aprirà le porte la 13esima edizione di “Taste – In viaggio con le diversità del gusto”. Quest’anno il tema della manifestazione, che vede la partecipazione di 400 aziende, sarà il “foraging” ovvero la nuova tendenza culinaria che porta in cucina le piante selvatiche. Alghe, erbe, arbusti, licheni, semi, resine, radici, saranno i protagonisti di Ring, incontri con esperti del settore, moderati dal Gastronauta Davide Paolini, che si tengono all’interno del teatro dell’Opera, e di una serie di eventi curati da Pitti Immagine in collaborazione con Wood*ing, Wild Food Lab, il laboratorio di ricerca animato da Valeria Mosca. Il cibo selvatico è un’importante risorsa alimentare e culturale a impatto quasi nullo sul pianeta.
Tra gli eventi dedicati al tema il talk, condotto dalla forager & chef Valeria Mosca, con lo chef Roberto Flore del laboratorio di ricerca Nordic Food Lab di Copenhagen, “La Geografia del Foraging -Dalle Alpi alle coste italiane fino agli habitat del nord Europa. Perché raccogliere oggi? Secondo quali dinamiche è giusto farlo?”. Sabato 10 marzo, dalle 15 alle 17, le Serre Torrigiani ospiteranno invece Miniforaging: uno speciale workshop con merenda dedicato ai bambini dai 5 ai 10 anni, a cura di Wood*ing. Per tutta la durata della manifestazione, che si chiuderà lunedì 12 marzo, nel piazzale tra la Stazione Leopolda e il Teatro dell’Opera, si terrà “Storie di bosco”, la mostra-installazione di Dispensa  magazine.
Alla fine del tour di degustazioni è possibile acquistare i prodotti al Taste Shop in Piazzale Gae Aulenti. La scorsa edizione il negozio ha presentato 2.180 prodotti, 43.000 pezzi in catalogo, e sono stati oltre 20.200 i pezzi venduti.

Gli orari di apertura:
sabato e domenica dalle 9.30 alle 19.30 e lunedì dalle 9.30 alle 16.30

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The winner is: Gin Collesi

Il Gin Collesi si attesta come migliore gin italiano 2018, secondo la prestigiosa classifica mondiale dei “World Gin Awards”. Dopo una valutazione in tre round, una giuria indipendente composta da esperti del settore, critici e giornalisti ha decretato i vincitori tra centinaia di gin analizzati, suddividendoli in 9 categorie. Tra questi, il Gin Collesi ha conquistato, appunto, il titolo di miglior gin per l’Italia in ben due categorie: “classic gin” (gin che hanno una base pulita con un sapore neutro, che permetta di esprimere al meglio gli aromi degli elementi botanici dove, però, il ginepro è sempre dominante) e “contemporary style” (gin dal profilo organolettico in cui il ginepro è ben riconoscibile insieme ad altri aromi, come note agrumate, speziate o floreali, che nella tradizione sono meno prominenti). «Quello dei World Gin Awards è un prestigioso riconoscimento internazionale che apporta un’ulteriore conferma della qualità del nostro prodotto – sottolinea Giuseppe Collesi, presidente di Tenute Collesi – e ne siamo ancor più orgogliosi considerando la rapidità con cui è arrivato il premio dal suo lancio, avvenuto nemmeno due anni fa». Interamente made in Italy, il Gin Collesi, è frutto di una lavorazione artigianale che nasce da ingredienti di prima qualità, che l’azienda coltiva nelle sue tenute (con sede nelle Marche, ad Apecchio). L’acqua purissima del Monte Nerone, gli orzi, le bacche di un ginepro tipico dell’Appennino, le visciole, una dolcissima ciliegia nativa delle Marche, insieme ad altri preziosi botanici (luppolo, rosa selvatica, guscio di noce, e scorze di arancio e di limone italiani) creano la ricetta del gin vincitore.

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Quanto è buono questo selfie

Preparate i vostri smartphone e iniziate a fotografare i piatti che vi piacciono di più. Potreste essere i prossimi vincitori di “Selfie Food – una foto, una ricetta”, una nuova rubrica di cucina che andrà in onda, a partire da lunedì 5 marzo, su La7d (canale 29 del digitale terrestre). Dal lunedì al venerdì alle 18.00 e la domenica alle 17.40 Stefano Cavada, giovane food blogger di Bolzano, che ha trasformato la sua passione per la cucina in professione, cercherà sui social la foto più invitante, per poi studiarne e realizzarne in cucina la giusta ricetta, ricreando il piatto raffigurato, fino al “selfie piatto” finale.  Ogni giorno Stefano sceglierà una foto tra le 3 inviate dai telespettatori e riprodurrà, il più fedelmente possibile il piatto, inventandone la ricetta. Nella puntata speciale di domenica saranno ricordati i 5 piatti presentati in settimana e sarà decretato il vincitore.  Durante il programma Cavada andrà alla ricerca dei segreti della grande cucina: la preparazione di un piatto partendo da un ingrediente principe, le migliori tecniche per equilibrare i sapori e gli odori, fino ai tempi di cottura. Giurata d’eccezione della prima puntata sarà la food writer Csaba dalla Zorza, mentre nelle puntate successive sarà l’autore della fotografia del piatto vincitore della settimana precedente a vestire i panni del giudice.

Con Filippo Sinisgalli il menù è da Oscar

cover_L’executive chef de Il Palato Italiano Filippo Sinisgalli e la sua brigata 

Coniglio arrostito con mela e funghi; millefoglie di capasanta, mango giallo e zenzero; cappelletto farcito di burrata, limone e parmigiano reggiano con bisque di gambero rosso; ma anche wafer di astice e crema di ceci di Spello. Queste alcune delle proposte che lo chef Filippo Sinisgalli ha inserito nel menù della Oscar Lounge. Un menù speciale con piatti unici che dall’antipasto al dolce uniscono Nord e Sud in un’unica notte di tradizione e sapori italiani. Così Filippo ha studiato una reginella al ragù come omaggio alla nostra grande Sofia Loren, passando per la Liguria con dei “mini” cappon magro e proponendo anche un piatto davvero semplice come “il panino alla mortadella” oltre a una rivisitazione delle “fettuccine all’Alfredo”. Così, nella notte più importante per tutto lo star system internazionale la sfida per l’eccellenza nel gusto e nel saper trasformare un racconto in un’esperienza unica è già stata vinta da “Il Palato Italiano”, che per la seconda volta cucinerà per la “Gbk Luxury Gift Lounge”, una location aperta nei due giorni che precedono la cerimonia e sono di avvicinamento per tutti i Vip che si trasferiscono a Los Angeles per la notte degli Oscar.

Per quanto riguarda i dolci si inizia con il Gianduiotto (rivestito di carta dorata) che nasce a Torino (e ricorda nel nome la maschera piemontese Gianduia) dalla pasticceria dei primi dell’Ottocento, un cioccolatino che è quasi un tentativo di contrapporsi alla pasticceria francese, allora fatta di elementi d’architettonica nomea e “struttura”. Due secoli fa la maestria italiana ricercava stupore e bellezza in un’eleganza semplice che poteva permettersi l’uso di materie “semplici” come burro, cioccolato e nocciole. Questo cioccolatino per Palato nasce da un esperimento di un cuoco di brigata, fondendo elementi tradizionali come il bicerin e la gianduia. «Sì perché i dolci devono farli i pasticceri – sottolinea Filippo – ma i cioccolatini e le ganache (i ripieni) devono farli i cuochi, perché osano fino al limite, provando e riprovando fino a che quel gusto che si è solo immaginato o sentito nella mente venga espresso in appieno». Segue poi la morbidezza del “Cremino ai 3 cioccolati” sarà una delle esperienze culinarie che accompagneranno le stelle di Hollywood. «È il cioccolatino italiano per antonomasia – sostiene Sinisgalli – perché mette d’accordo tutti gli amanti e integralisti del cacao (il nostro ha una componente di fondente 85%)». Ci saranno anche il “Cioccolato e Strega” e il “Cioccolato e Limoncello”, i più amati dallo chef, che li descrive così: «Unire un liquore e del cioccolato non è semplice, le prove e le arrabbiature che hanno portato alla realizzazione di questi due cioccolatini sono talmente tante che potrebbero fare da combustibile per un volo transoceanico. Nei confronti dello Strega, in particolare, ho una sorta timore reverenziale, forse perché mia nonna lo conservava per le grandi occasioni, era il liquore “buono” da offrire al medico, al prete e a pochissimi altri eletti. Sul Limoncello che dire, sono un uomo del Sud, ho il sole dentro; credetemi, essere inebriati dal profumo dei limoni della Costiera che io stesso seleziono, crearne un elisir profumato del colore del sole stesso, unirlo a un cioccolato finissimo del Madagascar al 70% è un’esperienza sicuramente da provare».

A tutti gli ospiti della Gbk Luxury Gift Lounge verrà omaggiato con un esclusivo “kit spaghetti”. Si tratta di una scatola contenente ingredienti selezionati di produttori e artigiani italiani.

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MAGIA IN CUCINA

Nella sua cucina ingredienti, utensili, pentole e piatti levitano, creando una magia che gli ha fatto guadagnare quasi 60mila follower su Instagram. «L’idea di fotografare oggetti sospesi – spiega Francesco Mattucci, ideatore di @kitchensuspensionnasce da una situazione assolutamente quotidiana, per ragioni di spazi, necessità, esigenze la cucina è il posto della casa che vivo di più. Guardandomi attorno ho pensato di creare un luogo dove gli oggetti che popolano la mia cucina possano “animarsi” in maniera insolita, quasi a giocare tra loro e quindi uno spazio dove il cibo non abbia più una rappresentazione classica, dove possa estraniarsi dai contesti nei quali viene normalmente immortalato, vivendo quasi una vita propria e, naturalmente, divertendosi». Per lui la svolta da creativo a influencer è stata quasi immediata. Prima la pubblicazione di una serie d’immagini nella home page di Repubblica e, pochi mesi dopo, l’intervista sul blog di Instagram, hanno portato al progetto grande visibilità in tempi ristretti. «Non mi ritrovo tanto nella definizione di “influencer” – continua Mattucci – non mi sento tale e non credo che le mie immagini possano invitare le persone all’acquisto di un prodotto, invece che un altro. Io credo che il progetto di @kitchensuspension funzioni, perché le immagini che lo compongono sono sempre in grado di sorprendere e bloccare per un secondo l’attenzione degli utenti che vi incappano. Questo è un profilo studiato ad hoc per l’online e in questo contesto funziona, il mio follower sa sempre cosa aspettarsi dalla prossima foto ma, in realtà, ne rimane ogni volta sorpreso». Ogni scatto di Francesco ha dietro un lavoro lungo e paziente, basti dire che per fotografare la coppa con il gelato sospeso in volo, ci sono voluti quasi due giorni di lavoro. «Non esiste un metodo per ottenere questi scatti – conclude – ogni immagine ha le sue caratteristiche e il sistema per sostenere gli oggetti che la compongono cambiano di volta in volta, il difficile sta proprio nel costruire set diversi per ogni scatto. È comunque fondamentale una massiccia dose di post-produzione per ottenere gli effetti voluti».

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Un cuoco in tv

Simone Rugiati già 13 anni orsono spignattava davanti ai fornelli, insegnando a una platea, che ancora non aveva dimestichezza con stelle e piatti d’autore, come fare il soffritto perfetto. «Io – dice Simone – vado in televisione per far cucinare le persone a casa loro. Il resto è show. Far vedere al grande pubblico come si realizza il piatto di uno chef stellato è un puro esercizio di stile, che serve solo a portare gente nei ristoranti. Infatti, per replicare certe ricette non solo ci vuole un’abilità che si acquisisce con anni di lavoro e di studio, ma sono necessarie materie prime di non facile reperibilità». Sui social, invece, ha iniziato da poco, ma ha già ottenuto un grande successo (quasi 300mila follower su Instagram e oltre 500mila su Facebook) tanto da essere, ormai, considerato un influencer. «Sono stato uno degli ultimi nel mio settore ad avere il profilo sui social network e li avevo aperti per farmi conoscere meglio da chi mi seguiva in televisione. Col tempo, mi sono strutturato e ora ho un’agenzia che mi affianca. Per me i social sono un grande bacino dove intercettare le necessità del pubblico, ma anche testare i prodotti nati dalle mie collaborazioni o interagire con chi mi segue. Molte volte porto in trasmissione proprio i temi che mi vengono suggeriti dai mei follower». A completare la vita professionale di Simone manca ormai solo un ristorante. «Molti investitori – conclude Rugiati – mi chiedono di aprire un ristorante, ma devo ancora crescere e poi nella vita non si possono fare troppe cose contemporaneamente. Uno chef, a mio parere, deve stare in cucina e io adesso ho altre priorità». Intanto Simone sta costruendo la filiera che, in futuro servirà il suo ristorante. Infatti, Foodloft (la factory house di Rugiati) è fra i partner di “Coltivatori di Emozioni”, la piattaforma che vuole avvicinare il consumatore alle attività agricole rendendolo partecipe del ciclo produttivo, “adottando” un coltivo a scelta tra ulivi, filari per il vino, arnie e frumento. Altro obiettivo di Coltivatori di Emozioni è il recupero e la valorizzazione dei terreni incolti che, a oggi, si trovano in Puglia, Sicilia, Calabria, Molise, Marche, Lombardia, Toscana, Piemonte e Veneto.

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In viaggio per gusto

Il museo aziendale dedicato alla famosa Guinness; la cantina con il look rifatto da una grande archistar; il museo a Bordeaux con ingressi da capogiro; il mercato coperto rivoluzionario queste le nuove mete che il viaggiatore italiano affianca alla visita di musei e monumenti. I dati rilevano come il fenomeno del turismo enogastronomico sia in netta crescita, dal 21% del 2016 al 30% dello scorso anno. Inoltre, se rimane in patria, la meta preferita del viaggiatore gourmet italiano è la Toscana, ma si riscontra anche un forte interesse per il Sud, in primis Sicilia e Puglia. Molte regioni hanno un potenziale inespresso e non vengono percepite come mete enogastronomiche rilevanti, nonostante siano ricche di eccellenze. Lombardia, Piemonte e Veneto, per esempio, vantano un’offerta che in termini numerici si colloca immediatamente dietro alla Toscana. Queste due delle principali evidenze che emergono dal primo rapporto sul turismo enogastronomico italiano, studio che traccia un quadro sul settore e delinea le tendenze di un segmento in forte crescita in tutto il mondo. «Questo lavoro – spiega Roberta Garibaldi, esperta a livello internazionale di turismo enogastronomico, coordinatrice dell’Osservatorio e promotrice della ricerca – mette a fuoco un trend in forte ascesa. Risulta sempre più evidente come la gastromania stia condizionando la scelta dei viaggi. Troviamo un rafforzamento su ogni fronte: ora gli italiani si muovono anche per cercare esperienze legate al cibo e al vino. Un atteggiamento sempre più simile a quello di molti stranieri». Chiude il rapporto una sezione con il profilo del turista enogastronomico internazionale, la situazione nei principali Paesi del mondo e best pratice estere. In relazione a questa nuova forma di turismo nasce una domanda crescente di servizi, che va soddisfatta di più e meglio. La ricezione turistica, anche attraverso l’apertura delle strutture produttive ai visitatori, può diventare uno strumento essenziale per avvicinare produttori e consumatori, oltre che essere una voce di reddito aggiuntiva.

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La Francia conquista la Coppa del mondo di Gelateria

Quest’anno la Coppa del mondo di gelateria è andata alla Francia e con questo risultato i cugini d’Oltralpe raggiungono la Nazionale italiana, nell’albo d’oro delle coppe vinte. Infatti, delle 8 edizioni sin qui disputate, 4 sono andate in Francia e 4 sono rimaste in Italia. Sul podio, al secondo posto, la Spagna e al terzo l’Australia. La premiazione è avvenuta in occasione del 39esimo Sigep conclusosi ieri alla Fiera di Rimini. Le 12 le nazioni in gara, per 4 giorni, si sono sfidate in otto prove: vaschetta di gelato decorata, coppa decorata, mystery box, torta artistica gelato, alta cucina entrée, pezzi artistici e snack di gelato, oltre al gran buffet finale dove sono stati presentati tutti gli elaborati. Alla Coppa del Mondo della Gelateria 2018 hanno partecipato anche Argentina, Brasile, Corea, Giappone, Marocco, Polonia, Svizzera, Ucraina e Usa. Complessivamente, 60 concorrenti, con la giuria formata dai 12 team manager delle squadre, dal presidente del comitato mondiale d’onore Pier Paolo Magni, accompagnato da Eliseo Tonti, tra i fondatori della Coppa, e dal vicepresidente del comitato mondiale d’onore, il marocchino Kamal Rahal Essoulami. La Coppa del mondo della gelateria è una competizione biennale organizzata da Sigep e Gelato e Cultura e tornerà nel 2020, con alcune novità. Tutte le squadre partecipanti dovranno scaturire da selezioni nei singoli Paesi. Già ora accade, ma è stato definito come requisito vincolante per l’iscrizione. Inoltre, la squadra vincitrice non sarà più esclusa dall’edizione seguente, motivo per cui quest’anno l’Italia non era in gara. La selezione italiana per la Coppa 2020 scaturirà a gennaio 2019, nel corso del 40esimo Sigep, in programma dal 19 al 23 gennaio, alla fine della competizione Sigep Gelato d’Oro. Oltre ad altre norme squisitamente tecniche, gli organizzatori della Coppa del Mondo della Gelateria si sono impegnati anche a dar corpo alla proposta rivolta all’inaugurazione di Sigep al ministro Dario Franceschini, ossia quella di rendere il gelato artigianale patrimonio dell’umanità.

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Di cuore e di coraggio, un libro per conoscere Antonia Klugmann

È la prima donna a entrare nella cucina più famosa d’Italia e, per fare da giurata a MasterChef, Antonia Klugmann ha dovuto lasciare il suo ristorante stellato L’Argine, a Vencò, in provincia di Gorizia. Conosciuta dai gourmet di tutto il mondo, apre le pagine della sua vita anche al grande pubblico, con il libro “Di cuore e di coraggio” (edito da Giunti), partendo dagli elementi cui tiene di più e senza mai dimenticarsi che il cuore della cucina è, prima di tutto, quello di chi si mette ai fornelli. La sua storia ha inizio con il desiderio di libertà, che l’ha spinta a lasciare l’università per inseguire il sogno di diventare una chef, mettendo in luce una determinazione e una creatività senza limiti, che l’hanno portata a ricevere la stella Michelin a pochi mesi dall’apertura dell’Argine. Gli ingredienti attorno ai quali nasce ogni suo piatto sono il frutto del territorio dolce e aspro che ha imparato a conoscere quando, a seguito di un grave incidente automobilistico, rimane ferma per quasi un anno. Per fare rieducazione inizia a camminare tanto in campagna, dove scopre i fiori, le erbe spontanee, le bacche che entrano a pieno titolo nella sua cucina. Così, il cervo si accompagna alle foglie di cavolo dell’orto e alla brovada (rape macerate nelle vinacce e poi cotte in pentola), gli spätzle al tarassaco e prezzemolo sono conditi con midollo e aceto di Sirk (prodotto da uve intere nella vicina Cormons) e per chiudere il sorbetto è di abete e more.

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Rinaldini: la pasticceria italiana in tutto il mondo

Con un investimento di 6 milioni di euro, la Rinaldini Pastry Spa è il più grande progetto industriale e finanziario italiano legato al mondo della pasticceria. Nato dall’incontro fra Roberto Rinaldini, pluricampione mondiale di pasticceria e di gelateria, e Micaela Dionigi, presidente del Gruppo Società Gas Rimini, il progetto ha un business plan che prevede la creazione di un laboratorio produttivo a Rimini di quasi 4mila metri quadrati, l’apertura di oltre 30 punti vendita in tutto il mondo, l’assunzione di 250 persone e il raggiungimento, entro il 2022 di un fatturato di 25 milioni di euro. «Il sociale – ricorda Dionigi – ci ha fatto incontrare e per alcuni anni abbiamo portato avanti un progetto a sostegno dell’oncoematologia pediatrica. Nel conoscerci ho apprezzato il talento e le idee innovative del Maestro Rinaldini ed è stato per me naturale convergere in un progetto comune che ci ha trovato in sintonia. In pochi mesi, grazie anche al contributo del nostro consulente strategico Mario Esposito, siamo riusciti a definire un piano industriale che mi ha pienamente convinto».
Il primo Rinaldini Shop aprirà a Milano in marzo in via Santa Margherita, a ridosso della Scala, e vedrà la nascita di una nuova collezione di torte dedicata ai momenti storici del tempio della musica. Seguirà poi Roma (con ben 2 aperture entrambe nel centro storico) e poi Rimini e un Mall del lusso ancora top secret. Fuori dall’Italia è già previsto lo sbarco a Londra e Parigi. «È la naturale evoluzione della mia attività – spiega il Maestro –  avevo bisogno di una società strutturata che mi permettesse di raggiungere le mete che mi sono prefissato. La priorità era e resta quella di offrire ai clienti un prodotto di qualità superiore con il valore aggiunto della mia ricerca creativa». Nei Rinaldini Shop non ci saranno solo le dolcezze iconiche del Maestro (Venere Nera, MacaRol, ChocoColor, GramBelline e così via) ma anche il salato e una serie di proposte vegetariane e vegane. Il tutto preparato nel laboratorio riminese che servirà tutti i punti vendita. «Apriremo alla ristorazione – conclude Rinaldini – con un menù del territorio romagnolo che vedrà in carta piadine, passatelli, strozzapreti, tortellini e lasagne».

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Arcane Cane Crush medaglia d’oro allo ShowRum Tasting di Roma

Il rum Arcane Cane Crush, è stato nominato Best in Class per la categoria Agricole (il distillato non viene prodotto dalla melassa, sottoprodotto della lavorazione della canna da zucchero, ma dal vesou, puro succo di canna non sottoposto all’estrazione dello zucchero) Style Unaged all’ultima ShowRum Tasting Competition di Roma, la più grande rassegna dedicata al rum in Italia. Arcane Cane Crush è un rum molto aromatico, fruttato e morbido con una ricchezza di aromi sottili e freschi che gli ha fatto ottenere, dalla giuria di 18 esperti, il premio più prestigioso che un rum possa ottenere in Italia. Prodotto a Mauritius, il rum Arcane è ottenuto dalla distillazione di succo di canna puro, che offre una ricchezza incredibile di aromi sottili. Inoltre Arcane rivoluziona il classico rum bianco, che di solito è meno aromatizzato,  trasformandolo invece in un rum molto aromatico, fruttato e morbido con vasto bouquet di aromi, delicati e freschi. Questo avviene grazie a due diverse distillazioni, la prima a Mauritius in appositi contenitori e la seconda a Cognac, in Francia, nei più classici piccoli alambicchi. Ed è proprio negli alambicchi, che Arcane tira fuori il suo aroma unico e il caratteristico colore purissimo e scintillante.

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Selinunte brinda con Mandrarossa

Selinunte – il parco archeologico greco più grande d’Europa, situato sulla costa sud-occidentale della Sicilia, a Castelvetrano, in provincia di Trapani – ha finalmente un sistema di illuminazione degno della sua importanza. Settesoli che, con i suoi 2mila viticoltori per 6000 ettari di superficie vitata è la più grande cantina vitivinicola europea, ha avviato il progetto “Settesoli per Selinunte”, prevedendo per ogni bottiglia di vino venduta, che 10 centesimi vengano destinati a interventi per la conservazione e la fruizione del sito. il consumatore può partecipare anche in maniera più attiva, facendo una donazione e usufruendo, così, dei benefici dell’Art Bonus. «Il progetto – spiega Vito Varvaro, presidente di Cantine Settesoli – è partito nel 2016. A oggi abbiamo raccolto oltre 200mila euro. L’obiettivo è arrivare a 500mila euro per i restauri e lanciare quindi il sito di Selinunte e il territorio come meta obbligata per i turisti che visitano la Sicilia». Settesoli lavora sulla tradizione anche in cantina. Infatti, insieme al Consorzio di Tutela della DOC Sicilia, si sta impegnando nella ricerca delle varietà di uve più antiche e rappresentative dell’Isola.
Photo by Antonio Lori
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Nuovo direttore generale per The Coca-Cola Company

È Kees-Jan de Vries il nuovo direttore generale di The Coca-Cola Company per l’Europa Centrale e l’Italia. La sua sede operativa sarà a Milano, da dove opererà per Italia, Albania, Austria, Svizzera, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Laureato in economia presso la Business School di Amsterdam, Kees-Jan de Vries vanta una notevole esperienza internazionale in ambito marketing e commerciale, con 23 anni di esperienza nel Sistema Coca-Cola. Infatti, ha iniziato la propria carriera nel 1994, in Coca-Cola Enterprises, l’allora imbottigliatore per l’Olanda. Passato in The Coca-Cola Company nel 2006, de Vries ha ricoperto il ruolo di Global Account Director di Coca-Cola fino al 2010, gestendo il portafoglio internazionale dei clienti retail. È poi stato nominato direttore generale della business unit Nordics fino al 2015, quando è stato posto alla guida dei mercati di Austria, Svizzera, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia.

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La pizza napoletana è patrimonio dell’umanità

L’altra sera, a consolare Napoli dall’uscita della sua squadra di calcio dalla Champions League, ci ha pensato un altro simbolo della città partenopea. Infatti “L’arte del pizzaiolo napoletano”, dopo 8 anni di negoziati internazionali, è stata inserita fra i patrimoni immateriali dell’umanità. A Jeju, in Corea del Sud, con voto unanime del Comitato di Governo dell’Unesco, è stato riconosciuto che la creatività alimentare della comunità napoletana è unica al mondo. Per l’Unesco, si legge nella decisione finale, “il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale”.
L’ “impresa pizza” genera in Italia, secondo i dati dell’Accademia Pizzaioli, un business di 12miliardi di euro e impiega almeno 100mila i lavoratori fissi, ai quali se ne aggiungono altri 50mila nel fine settimana.
Ogni giorno solo in Italia, si legge in una nota di Coldiretti, si sfornano circa 5milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio, dove si lavorano in termini di ingredienti durante tutto l’anno 200milioni di chili di farina, 225milioni di chili di mozzarella, 30milioni di chili di olio di oliva e 260milioni di chili di salsa di pomodoro.
L’amore per la pizza trova il suo apice negli Stati Uniti che, con 13 chili a testa l’anno, guidano la classifica mondiale. Gli italiani sono invece i primi in Europa con 7,6 chili l’anno seguiti da spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci che, con 3,3 chili di pizza pro capite annui, chiudono questa classifica.

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