Show, documentari, libri: Dimitri Cocciuti ci racconta il suo percorso tra tv e romanzi

Il percorso professionale di Dimitri Cocciuti, capoprogetto di Drag Race Italia (qui i suoi aneddoti, ricordi e “highlight” personali della prima stagione) è tanto ricco e prolifico quanto sfaccettato. Responsabile del dipartimento format e sviluppo della Ballandi Multimedia, ha cominciato a lavorare come autore televisivo nel 2006, quasi per caso, arrivando poi a collaborare con mostri sacri dello showbiz italiano, da Raffaella Carrà a Fiorello, passando per Piero Chiambretti, Enrica Bonaccorti, Paola Cortellesi, nonché a supervisionare progetti documentaristici di notevole successo, su tutti Artists in Love per Sky Arts, trasmesso in diversi paesi, dal Regno Unito all’Australia, oltre ovviamente all’Italia, dieci episodi che raccontano il rapporto tra giganti dell’arte del livello di Picasso, Modigliani, Fellini o Nureyev e le loro muse o compagne/i.



Da ultimo, è anche scrittore: il suo primo romanzo, Ogni cosa al suo posto, racconta delle difficoltà nel riconoscere e vivere appieno la propria omosessualità da parte del protagonista Giovanni; uscito nel 2017, ha scalato le classifiche di piattaforme come Kindle e Kobo, ed è stato seguito tre anni dopo da Vai quando vuoi.

Di tutto questo, e altro ancora, ci ha parlato direttamente Dimitri nella videointervista che trovate in questa pagina, concessa in esclusiva a Manintown, in cui ricorda momenti per lui particolarmente significativi e prova a tracciare le fila di una carriera divisa tra tv, documentari e scrittura, confidandoci gli obiettivi professionali non ancora realizzati.

Credits

Director – Federico Cianferoni

Production – ManInTown

Editor in Chief – Federico Poletti

Art Direction & Photography – Davide Musto

Interview by – Marco Marini

Special Thanks – Hotel Valadier Roma

“THE ALBUM”, DIARIO DI VIAGGIO DI MYTHERESA

MYTHERESA, il rivenditore online di lusso, lancia “The Album”, il libro dei sogni con i designer più rappresentativiUn diario di viaggio che ci porta nelle case dei designer più noti, l’incontro ravvicinato con una moda più vera e più forte. 


MYTHERESA, il rivenditore online di lusso, lancia “The Album”, il libro dei sogni con i designer più rappresentativi
Un diario di viaggio che ci porta nelle case dei designer più noti, l’incontro ravvicinato con una moda più vera e più forte. 

Si dice “Non tutto il male viene per nuocere” e forse questa maledetta pandemia ci ha fatto scendere un po’ tutti dal piedistallo. Ci ha umanizzati, ci ha fatto capire che la vita è un soffio, oggi la abitiamo e domani chissà; ci ha uniti nonostante le distanze, ci ha fatto riscoprire i veri affetti e i nostri più sinceri bisogni. E allora forse ricorderemo questo momento di vita come un dono prezioso, per chi ce l’ha fatta, per chi è riuscito a cambiare e per chi ha finalmente dato un senso alla propria esistenza. 

E’ l’impegno e l’attitudine che ha messo anche Mytheresa, il rivenditore online di lusso, realizzando un libro in cui anche le star scendono a noi dal cielo, si mettono in cucina e impastano anche loro, come hanno fatto Donatella Versace, Silvia Fendi, Gabriela Hearst, Olivier Rousteing, Lucie & Luke Meier. Ma sempre con grande eleganza, rivisitando i loro piatti preferiti grazie allo chef tristellato Pascal Barbot.

In “The Album” di Mytheresa vediamo i designer giocare con le loro famiglie negli spazi delle loro case, dove il motto è less is more, complice questa voglia di ritorno alla semplicità, all’unicità delle cose. Anche loro sognano di poter viaggiare presto, per tornare ai voli ispirazionali, alle scoperte di nuove culture, che sono poi il frutto delle grandi collezioni che raccoglie Mytheresa. 

Della sua Trivero, Alessandro Sartori evoca i paesaggi e omaggia le montagne, le valli, la campagna che hanno contrassegnato la visione del suo lavoro per Ermenegildo Zegna, di cui è direttore artistico. 

The Album” rimane un libro di grande stile, che racconta la moda nel modo più poetico e con una forza forse più profonda, cercando di mettere in luce il lavoro dei designer nonostante i limiti e le difficoltà del fashion world. I saggi che accompagnano queste meravigliose immagini sono degli scrittori Michael Hainey, Gabrielle Hamilton, Lola Ogunnaike e Carvel Wallace; le modelle dei paesaggi mozzafiato di Agave e Portogallo sono Marthe Achilles, Joaquim Arnell e Gloria Brefo. 

Diari di viaggio dove gli accessori di moda si mimetizzano come camaleonti, diventano un tutt’uno con la natura, si adeguano, come fa l’uomo per la sopravvivenza. 

E’ un viaggio intorno al mondo che racconta i più grandi rappresentanti di Mytheresa, una moda di lusso, con un cuore grande.

Il quinto numero di “The Album” con tema “Dream” uscirà oggi 16 aprile e sarà distribuito esclusivamente ai più stretti sostenitori di Mytheresa.

Stefano Cavada: la mia cucina Altoatesina

Stefano è un giovane altoatesino che in cucina ama utilizzare ingredienti tipici regionali per piatti tradizionali e moderni. Dopo gli studi in Italia e all’estero, oggi è uno youtuber, food influencer e anche cuoco televisivo. Nel suo ultimo libro “La mia cucina Altoatesina” ritroviamo l’amore per i luoghi del cuore ma anche studio e dedizione. Scopriamoli insieme a lui..

Quando hai realizzato che la passione per la cucina sarebbe diventata il tuo lavoro?

Alcuni anni fa, quando presi la decisione di dedicarmi alla mia passione per la cucina, mi augurai che un giorno potesse trasformarsi in un lavoro. È stato un passaggio graduale, all’inizio quasi inconscio, e poi ho iniziato a raccogliere i frutti dei progetti che avevo creato con le prime videoricette su youtube. In ogni caso ora è diventato un lavoro a tempo pieno e mi dedico a molti progetti digitali ed editoriali che mi appassionano ancora di più.

Da dove nasce l’ispirazione per i tuoi piatti?

La realizzazione dei miei piatti si contraddistingue per un forte legame con la tradizione altoatesina, quindi spesso parto proprio da quella. Poi a volte basta un viaggio o un piatto della tradizione italiana per trovare l’ispirazione per una nuova ricetta. 

Il tuo ingrediente preferito?

In assoluto il mio fedele compagno delle ricette è lo Speck dell’Alto Adige. Un prodotto di grande tradizione e che si caratterizza per il suo aroma leggermente affumicato e speziato. Nelle mie ricette ha sempre una grande presenza proprio perché riesce a dare una marcia in più anche ad un piatto semplicissimo.  

Quale è stato il processo creativo per la realizzazione del tuo libro?

Era da alcuni anni che desiderato realizzare il mio libro di cucina. Avevo già ben chiaro in mente come sarebbe stato strutturato e quali ricette mi sarebbe piaciuto inserire. Poi ho preso coraggio e ho contattato Athesia, la mia casa editrice, che ha subito accolto con grande entusiasmo il progetto e abbiamo iniziato a lavorarci fin da quel momento. È servito un anno intero per progettare il libro ed andare in stampa. Per me è stata un’avventura nuovissima che mi ha insegnato molto, perché in tutta sincerità non sapevo come si facesse un libro. Sono tuttavia molto contento del risultato e rispecchia in tutto e per tutto il progetto iniziale. 

Hai vissuto a Londra e Parigi, dove ci consiglieresti di mangiare assolutamente in queste città?

A Londra avevo seguito l’apertura del Sushi Samba, un ristorante al 38° piano della Heron Tower di Londra. Un posto in cui bisogna concedersi una buona cena con la vista sulla città. A Parigi sono stato di recente nel ristorante Bouillon Racine, un bellissimo ristorante dagli interni art nouveau e che offre un menù di cucina tipica francese, accompagnato da un buon “verre de vin” o un buon bicchiere di “bière blanche”,

Cosa non può mancare nella tua valigia quando viaggi?

Nella mia valigia non manca mai il costume da bagno, perché ,da appassionato nuotatore, se c’è modo di fare due bracciate, colgo sempre l’occasione.  Inoltre ho un comodissimo portabiancheria che mi permette di organizzare con facilità l’intimo e le calze senza che si spargano nella valigia.  

Il tuo luogo del cuore?

Caldaro, il paese in cui sono nato e cresciuto. Con la mia famiglia abitavamo in una casa monofamiliare circondata da un bellissimo giardino. Passavo dei pomeriggi interi a giocare in giardino, anche insieme ai miei cani, e vivevo mille avventure diverse ogni volta. Sono molto legato al periodo dell’infanzia che è stato molto felice.

Hai progetti o iniziative legate al prossimo Natale?

Da qui a Natale ci saranno ancora delle presentazioni del libro, (tra cui l’appuntamento al celebre Mercatino di Natale di Bolzano dove terrà uno show cooking, ndr). Inoltre tornerò con alcune video ricette natalizie proprio sul mio profilo Instagram, ovviamente dedicate al Natale altoatesino.

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Paolo Stella si racconta: MEET ME ALLA BOA

Ha appena pubblicato il suo libro “Meet me alla boa”, non solo un influencer ma un personaggio a tutto tondo, che debutta con il suo romanzo d’esordio.
Paolo Stella non smette di sorprenderci e noi lo avevamo già intervistato lo scorso gennaio.

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Un’allure audace e disinvolta, temperata da un sorriso timido e rilassato. Paolo Stella inizia gli studi di architettura per proseguire a Roma con la carriera di attore, prima di diventare uno dei maggiori influencer di moda e lifestyle da 260mila follower. La fondazione di Lampoon sancirà l’avvicinamento al mondo del fashion e della rete, che prenderà forma nel 2016, con la nascita della Grumble Creative, società di strategia per web marketing.

Come definiresti un influencer?
Chi non influenza le persone, ma è in grado di raccontare una storia attraverso le immagini, con un contenuto e una strategia creativa.

Quale sarà il social network del futuro?
Instagram. Per almeno altri 15 anni. È il migliore per fare brand awareness.

C’è un lato negativo della tua professione?
Sì, quello del venire costantemente giudicato e spesso in modo superficiale. Aggiungo, però, che ultimamente la situazione è rientrata, poiché sono passato a lavorare su contenuti meno legati a una visione estetica e più giocati sull’ironia.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
Non c’è niente di fake nel mio profilo. Con il tempo, ho capito quanto la gente che segue il web abbia un sesto senso molto sviluppato per ciò che è vero. Per questo, ogni volta unisco il lavoro al mio linguaggio, investendo quindi, su una forte personalizzazione.

Parliamo di età. Come immagini il tuo lavoro e quello degli influencer in generale in un futuro lontano?
Funzioneranno solo coloro con un solido punto di vista. Per quanto mi riguarda, fare creative direction è l’evoluzione stessa dell’influencer.

Conta più apparenza o sostanza?
Una bella faccia funziona sempre, ma solo per un periodo perché dopo stanca.

Quante ore impieghi per preparare i tuoi look?
Quattro minuti, se esageriamo! Non faccio quasi mai scatti solo di look, ma di lifestyle ed ho le idee molto chiare. Non voglio parlare dei brand, ma investire in un progetto creativo e creare una storia attorno a loro.

Quali app utilizzi per ritoccare le foto?
Snapseed ad esempio. In generale uso le app in modo compulsivo e mai i filtri di Instagram.

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“Senza riserve”, di Raffaele Pappadà

“Senza riserve” (Musicaos Editore), il romanzo del giovane e talentuoso telecronista sportivo Raffaele Pappadà (Mediaset Premium), comincia dove iniziano e finiscono tutte le partite di calcio, dalle finali di Champions agli incontri settimanali di calcio a cinque: in uno spogliatoio. È lì che Thomas, al termine di un allenamento, cerca di fare un bilancio di quella che, al momento, è la sua esistenza. Un giovane, poco più che ragazzo, con alle spalle una storia d’amore fallita, da cui è nato un figlio bellissimo e un futuro tutto da giocare, sul campo, a forza di parate. Già, perché Thomas è l’ultimo uomo, il portiere, il calciatore che nel bene e nel male decide le sorti di ogni incontro calcistico.
Se un attaccante sbaglia, dopo un minuto ha occasione di rifarsi, i tifosi se ne dimenticheranno, avranno memoria corta, se sbaglia un portiere il suo errore è lì, sotto gli occhi di tutti, ci vorranno gli sforzi di altri dieci giocatori, bravura e un pizzico di fortuna, per recuperare o ribaltare il risultato. La particolare stagione della vita che Thomas si trova a vivere coincide con una stagione altrettanto particolare, quella della sua squadra, il Lecce, che è in Serie A, e vive un anno magico di scontri al vertice con le squadre più blasonate del paese, e soprattutto gioca i suoi incontri davanti al suo amato pubblico, al Via del Mare, stadio che compare anche nella copertina del libro. La vicenda di Thomas è raccontata in modo incalzante, sia dentro che fuori il campo da gioco, alternando le vittorie e le sconfitte di uno sportivo alle vicende di vita e sentimentali di un ragazzo che cerca la propria strada nel mondo, nell’amore, da sottolineare nuovamente il fatto che si tratta di un romanzo di esordio, perché l’autore dimostra già di conoscere bene i meccanismi del racconto, e sa tenere alta l’attesa e la concentrazione del lettore, alternando rapidamente i capitoli, quarantaquattro, quasi quanto un ideale “primo tempo”, di un incontro che, solo alla fine, rivelerà il suo risultato.
Non ci importa sapere, prima di immergerci in questa lettura avvincente, se si tratterà di una vittoria o una sconfitta, anche perché, come dice l’autore, “il calcio è una metafora della vita, più di altri sport, proprio per questo motivo: perché ammette il pareggio, e a volte esistono pareggi più significativi di certe vittorie”. Bella anche la musica, che fa sottofondo al testo, accompagnando il lettore nei viaggi e negli incontri di Thomas, in una terra, il Salento, che impariamo ad apprezzare anche dal punto di vista sportivo. Una nota che impreziosisce questo romanzo, infatti, è l’ispirazione diretta dell’autore, nata anche essa sui campi di gioco e nelle redazioni sportive, prima salentine (Telerama) e poi milanesi, la storia di Thomas è infatti liberamente ispirata alle vicende di Massimiliano Benassi, che ha militato nel Lecce negli anni 2010-2013 e 2015-2016, con 66 presenze. La sua storia sportiva è stata la traccia che ha ispirato e motivato l’autore, facendo nascere questo romanzo e fornendo i giusti elementi di corrispondenza e veridicità, anche nella finzione della storia inventata, non è un caso se al termine del romanzo è ospitato proprio il portiere, Massimiliano Benassi, con un’intervista, corredata da fotografie e ritagli di giornale, a testimonianza che la realtà può ispirare un buon romanzo e, allo stesso tempo, una bella storia può richiamare alla memoria, con passione, episodi sportivi di sicuro interesse.

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Eleganza al maschile. Un libro ne spiega i significati

“Gli abiti parlano, dicono chi siamo e, talvolta, chi vorremmo essere”. Questo lucido inciso di Giuseppe Ceccarelli spiega esattamente il perché del viaggio intrapreso dal giornalista di moda e costume nel fashion system maschile, attraverso la nitida analisi delle sue icone e iconografie, classiche e moderne. E il volume Eleganza al maschile. 20 intramontabili icone dello stile, edito da White Star, ne è la summa. Nel libro, corredato da splendide tavole fotografiche, il giornalista traccia il racconto del saper vestire attraverso alcuni capi che, nel corso degli anni, sono diventati imprescindibili nel guardaroba per lui, fino a diventarne iconici. Dal trench di Humprey Bogart alla T-shirt bianca di Marlon Brando – giusto per citare due tra i più radicati nell’immaginario collettivo – passando per l’abito tre pezzi, per i gemelli e gli accessori, Ceccarelli segue, con precisione entomologica, ognuno di questi capi nel proprio percorso di vita, con l’aiuto del cinema e dei suoi divi, dei sarti e della loro arte, della moda e della sua potenza comunicativa. MANINTOWN l’ha intervistato per voi, “perché vestirsi è una cosa seria. Soprattutto per l’uomo”.

Come è nata l’dea del libro?

In realtà mi è stata proposta dalla stessa casa editrice, che stava cercando un giornalista di moda maschile per la stesura di questo testo e, tramite passaparola, sono arrivati a me. Comunque l’idea, che poi insieme è stata sviluppata, nasce dal fatto che comunemente la moda uomo non si presta a trattazioni “leggere”, ma è sempre legata all’idea di leggi rigorose e immodificabili, di uno status cristallizzato nel passato. Pur essendo questo in parte vero e con un grande valore stilistico e culturale, abbiamo cercato di dare a questo mondo, cioè al guardaroba maschile, un taglio più legato al costume, al cinema, all’evoluzione della cultura popolare dalla fine dell’Ottocento a oggi, anche per sottolineare un passaggio fondamentale nell’abbigliamento uomo, cioè una certa “deregulation”, diffusasi negli ultimi decenni, che è ormai strutturale nella concezione del vestirsi, ma che convive ancora con la tradizione fortemente salda.

Cosa significa per te eleganza?

Sembrerò antiquato, ma trovo fondamentale – soprattutto in questo momento storico e soprattutto in relazione a temi come l’eleganza, lo stile e la moda – riportare tutto ad un livello zero di significato e ripartire dall’etimologia delle parole, i cui significati ormai spesso subiamo. Nella moda c’è una confusione quasi inestricabile su cosa queste parole indichino. Eleganza viene dal latino eligere che significa “scegliere” e per me l’eleganza è proprio questo: saper scegliere ciò che corrisponde alla rappresentazione che ognuno di noi ha di se stesso, identificare l’atto comunicativo che sta dietro al gesto del vestire e realizzarlo. Quella che comunemente e ormai secondo me banalmente, viene indicata come attitudine naturale è proprio la sovrapposizione perfetta del pensiero di sé e della sua rappresentazione. Tendo ad eliminare, come dico nella prefazione, qualsiasi sovrastruttura percettiva e connotazione stilistica, perché trovo che intendere l’eleganza come un insieme di regole, diremo tecniche, non ha senso, non più per lo meno. Io sono molto legato alla tradizione, ma credo che sinceramente, come osservatore e analista di questo mondo, sia necessario essere onesti e evidenziare che le regole del vestire evolvono, e lo sono molto in questi ultimi 30 anni, e quindi lo è anche l’idea di eleganza. Anche se questo cambiamento può non piacere. L’eleganza in senso moderno è ciò che siamo, indipendentemente da ciò che questo può essere. Siamo ancora vittime di una concezione di eleganza e di vestire legata agli anni ’50 in cui queste parole erano sinonimo di ordine e equilibrio. Ciò non è più così oggi e forse è un bene che non lo sia. Una cosa sono le regole e una struttura di riferimento, altra cosa è una generica dittatura del gusto che opprime la nostra libertà di eligere chi siamo a dispetto delle stesse regole.

Quali sono gli errori più comuni nella moda maschile?

Gli errori più comuni sono dati dal fatto che non si conosce la sintassi stilistica che presiede a certo abbigliamento. Le regole dell’abbigliamento formale sono molto articolate quindi la nostra conoscenza è parziale, ricevuta da una tradizione orale spesso lacunosa o da patetici programmi televisivi o dai giornali, che semplificano per non essere noiosi. Comunque direi che di errore si può parlare solo nell’abbigliamento formale e i più comuni sono: scelta errata della cravatta e del nodo; tessuti non adatti al modello del suit e all’occasione; scelta sbagliata delle scarpe.

Come hai scelto le 20 icone del guardaroba maschile?

Nella prefazione dico che “Icona” significa “raccogliere su di se le istanze di un momento storico e renderle universali”. Questo è stato il parametro principe per la scelta dei capi. In questo senso il cinema, ad esempio, ha molto aiutato questo processo di iconizzazione, perché ha trasportato semplici capi di abbigliamento, come la T-shirt bianca, in un universo di significati sociali e culturali inaspettati. Allo stesso tempo, però la grammatica forte e complessa delle regole vestimentarie che discendono dall’aristocrazia inglese fanno di alcuni capi, come le scarpe o il tre pezzi, degli oggetti di rappresentanza socio-culturale formidabili, che li trasformano in icone direi così ante litteram. Con queste idee ho proceduto alla selezione dei 20 elementi per me più rappresentativi. Per parlare di loro, ma allo stesso tempo di come è cambiata la percezione dell’uomo in relazione al vestirsi.

Quale tra i capi è quello che si è rinnovato maggiormente e quello più conservativo?

Il più conservativo è probabilmente la cravatta anche se, come racconto, ci sono stati dei tentativi interessanti di aggiornamento anche da brand storici come Hermès. Mentre il più innovativo è sicuramente la sneakers, che ha un Dna fortemente votato al futuro e all’innovazione tecnologica.

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Il libro dell’estate: Il gentiluomo senza cappello di Mario Dell’Oglio

Copertina del ibro il Gentiluomo senza cappello

“Se si vuole essere anarchici bisogna conoscere le regole” parola di Mario Dell’Oglio, presidente della Camera dei Buyer italiana, autore del bel libro ‘Il gentiluomo senza cappello’ pubblicato da Edizioni Leima, nonché titolare di alcuni dei più bei negozi d’abbigliamento di Palermo. Nel suo libro, nato da una conferenza del 2012 si rivela testimone acuto di una raffinata sicilianità nella ricerca del look perfetto in quanto espressivo di un vero e proprio modo di essere. “Gli uomini indulgono al culto della divisa: per questo in un’ampia parte del mio libro tendo a demolirne il cliché cercando di dimostrare che chi si adagia sugli allori e non cambia mai la sua immagine perché rispondente a certi canoni diventa databile e quindi datato”, prosegue l’autore.
Gli abiti quindi possono avvicinarci ai nostri desideri, sono la nostra proiezione nel futuro e sono una dinamica concreta per scardinare le nostre abitudini. In queste pagine non si troveranno consigli, ma un vero e proprio metodo da acquisire per migliorare con divertimento, il gioco sottile del confronto con noi stessi davanti allo specchio, l’immagine profonda di noi. Ma quanto c’è di spirito siciliano nell’eleganza del gentleman ideale descritto in questo libro anche se il suo autore viaggia moltissimo per lavoro e ha una vocazione cosmopolita? “Sicuramente un vero siciliano provvede ad attuare l’allineamento fra l’abbigliamento e la consapevolezza di sé che è anche sinonimo di una certa fierezza”. L’autore, gentile e garbato ma anche easygoing, si compiace inoltre del favore riscosso dal suo libro presso il pubblico femminile che ha gradito e spesso condiziona le scelte in tema di stile del proprio partner. “Parlo di un gentleman senza cappello perché mi rivolgo ai signori di oggi, sempre connessi che portano il cappello distrattamente e hanno perso quella cultura del cappello che si cambiava anche più volte al giorno in funzione dell’abito che si indossava ed era realizzato per lo più su misura”. Da segnalare la tavola sinottica sulle scelte di stile sviluppata in termini di formalità/informalità che vanno contaminati per poter raccontare un look che abbia profondi addentellati con il proprio gusto e quindi la propria interiorità, perché definisca il nostro più profondo carattere.

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