Un viaggio tra ricerca e danza: Andrea Crescenzi e Domenico Di Cristo

La danza introspettiva di Andrea Crescenzi

Sin da piccolo coltiva la sua grande passione per la danza: Andrea Crescenzi ha trasformato ogni palcoscenico in un viaggio introspettivo, che vede protagonista la sua visione artistica. Dopo gli studi di danza classica e contemporanea e lavori importanti con il Teatro alla Scala, Crescenzi arriva alla coreografia, aprendo con il progetto Luce il Salone del Mobile. Il suo è un percorso ricco d’ispirazione, rilevanti esperienze professionali, un esempio per le nuove generazioni.

Quando hai capito che la passione per la danza si poteva trasformare anche in una professione?

Ho iniziato danza all’età di tre anni, a Potenza; poi ho cominciato a frequentare la scuola di ballo nel 2006, quando avevo dieci anni. In realtà non c’è stato un momento preciso in cui ho capito che sarebbe stata la mia professione, ho sempre un po’ saputo di voler fare il ballerino. Mi sono trasferito presto a Milano con l’idea di fare questo nella vita, e con il tempo ho incanalato l’arte della danza anche in altre forme. Adesso principalmente vorrei fare coreografia. 

«Sono una persona che ricerca sempre nuovi stimoli, per me George Balanchine è stato un grande innovatore»

A proposito dei tuoi primi momenti di formazione a Milano, puoi raccontarci di quel periodo e di come sei entrato nella compagnia del Teatro alla Scala?

Ho iniziato a lavorare con la compagnia nel 2014, dovevo ancora diplomarmi e la prima opera a cui ho preso parte è stata Romeo e Giulietta. In quel periodo ero molto preso dal diploma, una nuova esperienza con grandi professionisti. Ricordo Excelsior, a maggio 2015: quella è stata la prima volta in cui ho iniziato a lavorare come professionista con altri ballerini in scena. In generale, durante il mio primo anno all’interno della compagnia, ho cercato di capire come funzionasse il tutto, dopodiché adattarsi è diventato sempre più facile; ormai quell’ambiente era diventato casa mia. Il primo ricordo della mia vita milanese è quindi sicuramente Excelsior, sotto la direzione di Machar Vaziev.

E invece il tuo primo ruolo da solista?

Il mio primo ruolo da solista con la compagnia è stato nello Schiaccianoci di George Balanchine. L’ho sentito davvero mio e sono inoltre molto legato all’opera di Balanchine. Per me è stato un precursore della danza, che ha sviluppato una visione più complessa dello scenario classico, introducendo tantissimi elementi che erano considerati “non conformi” dal repertorio tradizionale. Sono una persona che ricerca sempre nuovi stimoli, quindi per me lui è stato un grande innovatore. Il periodo che mi ha impegnato nello Schiaccianoci è stato stupendo, mi sono sentito benissimo interpretando il mio ruolo in tutti i diversi momenti dell’opera. 

«Dico sempre che tutto quello che faccio nella mia vita è un processo, è tutto un crescere, non c’è una fine o un inizio»

Sei partito dalla danza classica per poi sfociare in quella contemporanea e nella coreografia…

Dico sempre che tutto quello che faccio nella mia vita è un processo, è tutto un crescere, non c’è una fine o un inizio. Via via sto cambiando, sto evolvendo, sono una persona che ricerca tanti stimoli. Quello che sono oggi magari non lo sarò tra cinque anni, quello che mi piace ora non mi piacerà tra cinque anni o magari sì, però è sempre una sorta di crescita.
Ho iniziato da bambino facendo danza classica, ma in maniera innata la danza contemporanea è sempre stata un po’ dentro di me. Fin da giovanissimo ho sentito il bisogno di muovermi in maniera libera. Al tempo stesso, però, ho sempre mostrato un approccio e un’autentica vocazione all’improvvisazione: mi piace tantissimo improvvisare, lo faccio anche in sala quando sono solo. Chiaramente, con il passare del tempo e dopo aver maturato un po’ di esperienza, questa mia passione si è evoluta ed è sfociate anche nel creare qualcosa per gli altri e nel progettare coreografie.

Parlando di coreografia, quali sono i progetti che hanno segnato il tuo percorso?

Come coreografo parto sempre da un’idea concettuale; non mi definisco un coreografo narrativo, ma mi baso molto sulle sensazioni e sul “feeling”. Sono una persona sensibile e cerco di rimettere nel mio lavoro quello che provo, sia verso ciò che mi circonda sia verso me stesso. 

Se penso a Luce, per l’apertura del Salone del Mobile, la tematica ruotava intorno alla luce che lasciamo dietro di noi nel tempo. Un’idea, questa, che si collega anche alla parte di Via Lattea intitolata Anima e Cuore, in cui, all’interno di una nebulosa, tre punti formano una fonte luminosa che continua a proiettare luce pur non esistendo più. Questi sono alcuni esempi di quei processi introspettivi che io cerco di trasmettere con la danza. 

Passo a due con Domenico Di Cristo

Nato a Villafranca di Verona, il ballerino Domenico Di Cristo ha un unico grande sogno: far sì che la sua prima passione, la danza, possa diventare una professione a tutti gli effetti. Diplomatosi nel 2015 presso la prestigiosa Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala, Domenico inizia a lavorare con il Czech National Ballet, sotto la direzione di Petr Zuska a cui segue Filip Barankiewicz. Ci rimane fino al 2017 per poi tornare in Italia, a Milano, la città che ha visto il suo talento nascere e consolidarsi. 

Ad oggi parte del corpo di ballo del più celebre teatro meneghino, Domenico Di Cristo ha preso parte a Sylvia di Manuel Legris, interpretando il ruolo di un Pastorello, ed è stato protagonista del passo a due in Giselle. Tra le sue esperienze più recenti, la consegna del premio Nazionale Sfera d’Oro per la Danza 2023 e la partecipazione a un lavoro firmato Andrea Crescenzi durante l’ultimo Gala Fracci alla Scala. Qui, insieme a Linda Giubelli e Navrin Turnbull, il ballerino è stato solista in Luce, su musica di Philipe Glass.

Questo e molto altro ci viene raccontato dallo stesso Domenico Di Cristo che con il teatro sente una profonda connessione, un legame da perfetto passo a due. 

Quando hai capito che la danza sarebbe diventata una professione, oltre che una passione?

L’ho capito probabilmente nell’ultimo anno di Accademia Teatro alla Scala, che è stato un momento molto delicato. In quel periodo ero concentrato nel finire gli studi e contestualmente a cercare lavoro. Mi trovavo lì, a un passo dall’entrare nel mondo professionale. Nell’ultima parte dell’anno ho iniziato ad andare alla ricerca di contratti di lavoro, a capire se ci fossero dei direttori interessati a iniziare un percorso con me. Quello è stato uno dei primi momenti in cui mi sono approcciato ad altri ballerini, pronto a mettermi in gioco dopo tanti anni di studi. E proprio lì ho capito l’importanza della strada che avevo intrapreso sin da piccolo e la necessità di vivere la danza non solo come una passione, ma anche lavorativamente.

Ti sei formato presso il Teatro alla Scala, dove poi, a seguito di una serie di esperienze oltreconfine, sei tornato come parte del corpo di ballo. Cosa hai imparato nel tuo periodo all’estero? 

Lasciare l’Italia a 18 anni è stato un po’ come lasciare casa, Verona, a 10, quando mi sono trasferito a Milano per iniziare la scuola di ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala. L’estero ha sicuramente tanto da offrire, sia a livello di arte, sia a livello umano. Credo di essere cresciuto tanto, ho imparato a farcela da solo, mettendomi a confronto con culture e tradizioni diverse. 

In seguito ho lasciato l’estero con il desiderio di tornare in Italia e stare un po’ più vicino alla mia famiglia. Inizialmente pensavo di far ritorno verso fine carriera, poi le cose sono andate in un modo diverso. Inoltre avevo voglia di rendere orgoglioso anche il pubblico italiano, il mio pubblico. Ho quindi ricominciato a ballare in Italia e sono contento che questo mio sogno si sia avverato.

«Probabilmente i momenti che ricordo con maggior piacere e gratitudine sono due: aver ballato le coreografie di George Balanchine all’inizio della mia carriera come solista e aver avuto l’occasione di lavorare direttamente con William Forsythe»

Quali maestri, sia classici sia contemporanei, del Teatro alla Scala pensi ti abbiano maggiormente influenzato nel tuo percorso come ballerino?

Sicuramente Hans van Manen, Natalia Horecna, Patrick de Bana, Philippe Kratz e McGregor. Ma ci sono sicuramente tanti momenti, tanti balletti che mi hanno formato, e mi stanno ancora formando, contribuendo a rendermi il ballerino che sono. Probabilmente i momenti che ricordo con maggior piacere e gratitudine sono due: aver ballato le coreografie di George Balanchine all’inizio della mia carriera come solista e aver avuto l’occasione di lavorare direttamente con William Forsythe. Mi sono divertito moltissimo e ho imparato a conoscere me stesso e quanto un ballerino possa spaziare divertendosi con il proprio corpo. 

Tra i tuoi ultimi progetti c’è quello con Andrea Crescenzi per il Museo Bagatti Valsecchi…

Quella organizzata al Museo Bagatti Valsecchi è stata una serata speciale con l’unione di più arti a supporto di una causa importante. Trattare un tema come l’Ucraina non è sicuramente facile, ma è stato giusto farlo. È stato meraviglioso ricevere delle composizioni musicali create apposta per l’evento; proprio da lì Andrea ha realizzato il passo a due in cui noi ballerini ci siamo esibiti. 

Tra sogni nel cassetto e prossime sfide, dove ti vedremo prossimamente? 

Parlando di sogni, il mio desiderio più grande è quello di poter ballare all’arena di Verona. E un ruolo che mi piacerebbe interpretare, e che guardo con ammirazione, è Romeo in Romeo e Giulietta. Mi sarebbe piaciuto moltissimo lavorare con Rudolf Nureyev; è venuto a mancare parecchi anni fa, quindi purtroppo non ho avuto questa possibilità. Tuttavia mi sono affiancato a vari insegnanti che hanno il diritto di portare in giro per il mondo le sue coreografie, ne ho ballate e interpretate diverse. 

Addio a Peggy Moffitt, la modella icona rivoluzionaria di stile e libertà femminile

Peggy Moffitt, una delle figure più emblematiche dello stile e dell’emancipazione degli anni Sessanta, si è spenta all’età di 87 anni a Beverly Hills, in California, dopo una lunga battaglia contro una malattia. Il suo nome è indissolubilmente legato alla moda di quel decennio, grazie non solo al suo lavoro come modella, ma soprattutto al suo ruolo di musa ispiratrice per il marito, il fotografo William Claxton, e per il visionario designer Rudi Gernreich, che la consacrò alla storia facendole indossare il controverso monokini.

Peggy Moffitt monokini
La modella Peggy Moffitt in uno scatto del 1964 di suo marito, William Claxton, con il costume da bagno monokini disegnato da Rudi Gernreich

Nel 1998, Carla Sozzani organizzò una mostra d’avanguardia che celebrava la triade creativa formata da Moffitt, Claxton e Gernreich. La mostra, accompagnata da una pubblicazione, esaltava la fusione tra la fotografia innovativa di Claxton, conosciuto per i suoi ritratti di musicisti jazz, e le audaci creazioni di Gernreich, reinterpretate con eleganza senza pari da Moffitt. La simbiosi tra la modella e i due artisti generò una serie di immagini iconiche che restano tra le più rappresentative di quel periodo di grande fermento creativo.

Carla Sozzani, riflettendo sul lascito di Moffitt, ha dichiarato sui social: «Peggy è stata molto più di una modella; è stata un faro di libertà ed emancipazione femminile, una musa inesauribile per il marito William Claxton e per il designer Rudy Gernreich. Il suo stile, il suo taglio di capelli distintivo e il suo make-up sono diventati simboli di un’epoca indimenticabile.»

peggy moffitt Pierre Cardin
Peggy Moffitt con un abito Pierre Cardin in uno scatto di William Claxton del 1965

Il mondo la ricorda soprattutto per uno scatto che ha segnato la storia: nel 1964, Peggy Moffitt posò per una fotografia in topless, indossando il monokini, un costume da bagno che all’epoca fece scandalo per la sua audace esposizione del seno. Realizzata dal marito William Claxton, la fotografia fece il giro del mondo, incarnando lo spirito di ribellione e il desiderio di libertà che caratterizzava il movimento femminile dell’epoca. In un contesto storico in cui le donne iniziavano a rivendicare con forza i propri diritti, quella foto divenne un potente simbolo di cambiamento.

Peggy Moffitt Rudi Gernreich
Peggy Moffitt con una creazione di Rudi Gernreich in uno scatto del 1968

Il look di Moffitt, però, non si limitava alla sola audacia del monokini. Il suo iconico taglio di capelli, noto come “Five point cut”, le fu realizzato all’inizio degli anni Sessanta dal celebre stilista Vidal Sassoon, e rifletteva le influenze del movimento Bauhaus. Questo haircut, moderno e geometrico, divenne talmente influente da essere adottato anche dalla stilista Mary Quant, un’altra icona di quel periodo. Non meno rivoluzionario fu il suo make-up, ispirato al teatro kabuki, che comprendeva ciglia finte e un eyeliner marcato, elementi che si inserivano perfettamente nelle tendenze grafiche dell’epoca.

La straordinaria parabola di Peggy Moffitt e il legame con Rudi Gernreich

Nata a Los Angeles, Peggy Moffitt intraprese la sua carriera nel mondo della moda a Parigi, sul finire degli anni Cinquanta. Tuttavia, prima di diventare una figura di spicco nel fashion system, Moffitt aveva studiato recitazione e danza, discipline che plasmarono profondamente il suo stile. La sua formazione artistica si rifletté in ogni aspetto del suo lavoro, in particolare nel suo modo di posare, caratterizzato da una fluidità e un’eleganza che la resero inconfondibile.

La sua vita professionale fu strettamente legata a quella di Rudi Gernreich, un designer di origine austriaca che, a soli 16 anni, emigrò negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo. Gernreich si distinse come uno dei creativi più innovativi e anticonformisti della sua epoca, spingendo i confini della moda con le sue idee rivoluzionarie. Fu il primo a utilizzare materiali come il vinile e le plastiche per creare abiti, e nel 1972 lanciò il “No-Bra“, un reggiseno privo di ganci che si indossava come un pullover. Peggy Moffitt non fu solo la sua modella preferita, ma anche la sua musa, incarnando alla perfezione lo spirito rivoluzionario delle sue creazioni.

Gernreich fu tra i primi a esplorare il concetto di moda unisex, mettendo in discussione le convenzioni di genere attraverso il design. Come egli stesso dichiarò nel 1970: «Il concetto di unisex è una dichiarazione totale sull’uguaglianza tra uomini e donne. Le diverse nature sessuali non hanno più bisogno di essere sostenute dalle differenze nell’abbigliamento. Unisex rivela la nostra comune umanità, senza nasconderla né confonderla.»

Peggy Moffitt Rudi Gernreich book
La cover del libro The Rudi Gernreich Book del 1991

L’eredità di Peggy Moffitt e Rudi Gernreich rimane ancora oggi un esempio straordinario di creatività e audacia, un testamento alla capacità dell’arte di sfidare e trasformare le convenzioni sociali. La loro collaborazione continua a essere fonte di ispirazione, ricordandoci quanto sia potente l’alleanza tra arte e libertà, in un’epoca in cui rompere con gli schemi precostituiti era tutt’altro che scontato.

Come Moffitt stessa dichiarò nel The Rudi Gernreich Book, descrivendo il legame che la univa al designer: «Senza Rudi non sarei stata una modella dotata e innovativa. Senza di me, lui non sarebbe stato un designer d’avanguardia geniale. È stato divertente, stimolante, una vera collaborazione, e sì, è stato amore.»

Tante “Voci” per ricordare Michela Murgia

E’ passato un anno dalla scomparsa il 10 agosto 2023 di Michela Murgia, scrittrice e attivista che resta un esempio di libero pensiero e lotta per i diritti. Sono stati davvero numerosi durante l’anno gli eventi, reading, spettacoli teatrali e celebrazioni che hanno alimentato il ricordo di Michela Murgia dal giorno della sua morte. Per questo abbiamo deciso di dedicare una Digital Cover a questa grande donna e attivista grazie alle parole e ai ricordi di Luca Ragazzi, suo grande amico, che l’aveva intervistata nel suo docufilm Dicktatorship – Fallo e basta! sullo stato del maschilismo in Italia a partire dalla rappresentazione mediatica e dal comune comportamento di uomini e donne nella vita di ogni giorno.
L’esempio di Michela e il suo sorriso è oggi visibile a Roma sulla facciata del Municipio grazie al grande murale di 100mq realizzato dall’artista Laika.

Michela Murgia
Il progetto Ricordatemi come vi pare

Le parole di Pietro Turano e Laika1954 sul progetto Ricordatemi come vi pare

Il progetto Ricordatemi come vi pare è nato dall’incontro fra Pietro Turano (vicepresidente Arcigay Roma) e l’artista Laika1954 e dal desiderio comune di omaggiare l’autrice e intellettuale Michela Murgia, scomparsa la scorsa estate, con un’opera pubblica nella sua città. «Tutta la città di Roma e la comunità queer di tutto il paese sono particolarmente legate a Michela Murgia, che oltre ad aver supportato le attività della nostra associazione ha portato avanti una fondamentale elaborazione sul queer, la genitorialità e le famiglie, la violenza di genere patriarcale e omotransfobica» dichiara Pietro Turano. «È stata in vita, ed è ancora per tutte e tutti, un riferimento insostituibile. Quest’opera non è un santino, ma un regalo alla comunità e alla città, per celebrare insieme una donna che ci ha donato strumenti e nuove lenti per leggere la nostra realtà e orientarci. La risposta agli attacchi strumentali della destra è partecipare all’inaugurazione», conclude Turano.
«Sapere che Michela Murgia faccia ancora tanto rumore mi riempie di gioia. Questo muro vuole essere un raggio di luce in questo momento storico buio, in cui si cerca di cancellare i progressi fatti in termini di diritti, di ostacolare ogni possibile passo avanti» ha dichiarato Laika. Il murale è stato sostenuto da Einaudi, Mondadori e Rizzoli, le case editrici con cui Murgia ha collaborato negli anni.

Voci di Michela Murgia, il nuovo podcast original RaiPlay sound
Voci di Michela Murgia, il nuovo podcast original RaiPlay sound

Nuove voci e progetti in ricordo di Michela Murgia

Dal 10 agosto è disponibile Voci di Michela Murgia, il nuovo podcast original RaiPlay sound realizzato attraverso i materiali audio dall’Archivio Rai. Una straordinaria raccolta di contenuti curati da Edoardo De Falchi tra interventi, racconti. Nel corso della sua carriera di scrittrice e attivista Murgia è stata presente nei programmi Rai con numerosi interventi. Dalla pubblicazione del suo primo libro, Il mondo deve sapere, del 2006, la sua voce si è fatta discorso pubblico, utilizzando per farsi sentire ogni canale possibile, dal blog con cui tutto è iniziato, alla letteratura, ai social, alla radio e alla televisione. 
Per restituire una parte di questo impegno sono stati raccolti e selezionati dagli archivi Rai molti dei suoi interventi, numerose interviste e persino racconti, proposti come letture ad alta voce.  Ad arricchire il podcast una serie di racconti brevi, di carattere onirico, questa volta letti da attori e attrici, sono stati trasmessi nella rubrica notturna di Battiti, Il sogno di mezzanotte (Radio3). 
Va ricordata, inoltre, la sua rubrica di recensioni letterarie, condotta per due anni, all’interno del programma Quante storie, con Corrado Augias (celebre anche per l’imitazione fatta da Virginia Raffaele). Chakra, il programma interamente condotto da Michela Murgia, fu invece interrotto dopo sei puntate.  Oltre alle numerose interviste, sono rilevanti anche altri interventi, come il monologo sulla paura, o la lettura e il commento del testo della giornalista cinese Xinran.

Dal podcast Splende e splenderà al terzo libro della serie Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe

Sempre in tema podcast quest’estate invece si potrà risentire la voce della scrittrice con il programma Splende e splenderà di Carolina Capria, autrice per la tv e scrittrice di libri per ragazzi, e Silvia Grasso, autrice e filosofa femminista, in esclusiva su Storytel in sei puntate. 
E proprio in questi giorni per continuare le riflessioni sul lascito intellettuale della Murgia il quotidiano Repubblica offre ai suoi lettori due libri della scrittrice sarda:  Tre ciotole, già in edicola, e dal 13 agosto la raccolta postuma Dare la vita. «A leggerli in sequenza non appaiono tanto come due opere separate quanto come un’unica, lunga conversazione dell’autrice con chi legge. L’impressione, leggendoli, è che alla Murgia non importasse davvero trovare una categorizzazione precisa per i suoi scritti – storia breve, romanzo, memoir, saggio – quanto piuttosto costruire delle forme, dei recipienti capaci di contenere il flusso del discorso che portava avanti» scrive la giornalista Lara Crinò.
Last but not least a ottobre 2024 per Mondadori uscirà il terzo e ultimo volume della serie Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe che Michela aveva progettato insieme a Chiara Tagliaferri, che uscirà con doppia firma e avrà tra i temi madre e corpo. Dal 2019, quando è nato quel progetto le “ragazze fuori dagli schemi” sono diventate un intrepido esercito fatto di donne ma anche di uomini che in quelle storie di libertà e coraggio si sono riconosciute.

Michela Murgia
Michela Murgia

DIETRO LE QUINTE DI “AMICI PER CASO” CON FILIPPO CONTRI

Amici per caso o per fato? Così potremmo sintetizzare la coinvolgente storia dal titolo Amici per caso, in sala da giovedì 25 luglio. Sotto la sapiente regia di Max Nardari, le strade di Pietro (Filippo Contri) e Omero (Filippo Tirabassi) si incontrano – e scontrano – dando vita a una narrazione tra il comico e il riflessivo. Nel film, a conquistare la scena sono due coinquilini diametralmente agli antipodi: da un lato troviamo Omero, ragazzo gay, serio e raffinato; dall’altro Pietro, tifoso sfegatato della Roma, un po’ rozzo e… omofobo. All’inizio evidente ostacolo alla loro convivenza, la diversità tra i protagonisti (e in particolare la repulsione di Pietro nei confronti dell’omosessualità di Omero) si trasformerà poi in un’amicizia profonda e sincera; un autentico percorso di scoperta reciproca verso il miglioramento.

Di questo e molto altro ci parla il co-protagonista Filippo Contri, che con il suo personaggio, Pietro, condivide la passione viscerale per i giallorossi. Dopo i successi La svolta e Vita da Carlo, produzione che gli ha letteralmente cambiato la vita, l’attore romano si mostra entusiasta del suo ruolo in Amici per caso. Pietro gli ha insegnato tanto, anzi tantissimo; da lui Contri ha appreso come «rischiamo ogni giorno di essere ignoranti e tante volte sarebbe meglio non esporsi quando non si ha un quadro chiaro delle cose».

Filippo Contri
Filippo Contri

Filippo Contri a proposito del suo personaggio in Amici per caso: «Pietro, a forza di sbagliare, impara e mette in pratica. Questo è uno degli aspetti che più si apprezzerà nel film»

Come è nata l’opportunità di questa commedia Amici per caso?

L’opportunità di Amici per caso è nata ovviamente con un provino, come tutte le altre: la casting director ha contattato la mia agente e io ho fatto il self tape. La cosa bella è che a differenza del solito, in cui i tempi sono lunghi, ho avuta la risposta nelle 24 ore subito successive, ottenendo un call-back con il regista. 

Con Max Nardari c’è stata subito un’intesa. Sono stato scritturato per il personaggio di Pietro il giorno stesso di una semifinale di Europa League: a meno di 10 minuti dal calcio d’inizio ero seduto di fronte a Max e alla casting director, che erano ignari di quanto anch’io fossi tifoso esattamente come Pietro.

Nel film, così come nella vita reale, sei un ultrà sfegatato… Cosa racconta di te il personaggio del film e cosa ti ha lasciato?

Nel film sono un tifoso sfegatato, esattamente come nella vita. La mia passione per la Roma ha a che fare con un forte coinvolgimento familiare. Non mi dimenticherei mai di un anniversario di fidanzamento per la Roma, al massimo lo festeggerei andando allo stadio con la mia “Lolly” (la mia fidanzata nella finzione del film).

Pietro mi ha insegnato che tutti, nonostante le proprie conoscenze, rischiamo ogni giorno di essere ignoranti e tante volte sarebbe meglio non esporsi quando non si ha un quadro chiaro delle cose (errore che ancora ogni tanto faccio). Pietro, per esempio, a forza di sbagliare, impara e mette in pratica. Questo è uno degli aspetti che più si apprezzerà nel film.

Quello di Amici per caso è un cast di giovani. Li conoscevi, vi frequentate anche fuori dal set, o sono nate nuove amicizie?

Giulia Schiavo a parte, non conoscevo nessuno se non di nome. Oggi, però, con alcuni colleghi è nata un’amicizia oltre che un principio di collaborazione artistica.

«Vita da Carlo non è stata solo un’esperienza importante, io credo mi abbia letteralmente cambiato la vita»

Raccontami del progetto La svolta.

La svolta è stato il mio primo progetto ed è arrivato dopo l’ennesimo call-back andato male. Anche in quell’occasione, l’interesse per me venne mostrato subito e in meno di una settimana mi sono aggiudicato il ruolo.

È stato tutto nuovo, sia il regista sia gli attori sono stati accoglienti e professionali. Lì ho preso le botte sul set per la prima volta e ho guidato la macchina sgommando, sempre per la prima volta. Sono tutt’ora fiero di aver fatto parte di quel progetto.

Un’altra produzione sicuramente importante che ti ha visto tra gli interpreti è Vita da Carlo. Cosa ti ha insegnato?

Vita da Carlo non è stata solo un’esperienza importante, io credo mi abbia letteralmente cambiato la vita. Rendermi conto di come effettivamente i sogni a volte si possano realizzare mi ha dato una fiducia incredibile in un momento di assoluto sconforto, mancanza di stimoli e di autostima. Devo tutto a questa serie. 

Vita da Carlo mi ha insegnato tantissimo perché mi ha messo in contatto con colleghi che stimo molto; bastava osservare uno di loro sul set o un operatore della troupe per imparare già qualcosa.

La mia fascinazione verso la così tanta professionalità e umanità di quel set è immensa. Lavorare lì mi faceva sentire a Disney World. Carlo Verdone mi ha insegnato la base, con Antonio Bannò mi confronto più volte con lunghe conversazioni, spesso telefoniche, perché lo stimo infinitamente e ha sempre qualcosa da regalarmi (un consiglio che possa essere professionale o privato o anche un sorriso). Valerio Vestoso, invece, mi ha insegnato ad agire con più libertà.

Filippo Contri
Filippo Contri

Talent to watch: Michael Maggi nel cast di “Those About to Die” con Anthony Hopkins

«Il mio obiettivo è sempre stato solo uno, recitare, a prescindere dal quando, come e dove». Queste le parole di Michael Maggi, attore originario di Milano, che esce in questi giorni con Those About to Die, film in cui è protagonista Anthony Hopkins. Con una personalità sfaccettata, costantemente divisa tra passione per il set e amore per la musica, il giovane ha collezionato una serie di importanti traguardi, dalla serie Sky Blocco 181 alla più recente produzione Another End. Michael guarda ora al futuro con entusiasmo e grande determinazione, pronto a immergersi in nuove e stimolanti esperienze lavorative tra piccolo e grande schermo.

Those About to Die
La nuova serie Those About to Die, disponibile su peacock da giovedì 18 luglio e su Prime Video da venerdì 19 luglio

Michael Maggi e gli esordi nella recitazione: «Capitale Umano è stata senza dubbio una bella esperienza, mi ha offerto la possibilità di capire come funzionasse un set»

Quali figure sono state determinanti nella tua formazione?

Sicuramente i due insegnanti che ho conosciuto appena approcciato il mondo della recitazione, all’età di 13 anni, sono stati un po’ i miei genitori artistici. Parlo di Roberto Fossati e Laura Butti; mi hanno proprio preso sotto la loro ala. La scuola di recitazione che frequentavo io era piccolissima, non certificata, non era un’accademia. E io ero il più giovane, ho iniziato a 13-14 anni e mi sembra di ricordare che il compagno più vicino a me anagraficamente ne avesse 26-28. Insomma, c’era un bel gap.

Da ragazzino sei stato notato per la prima volta in zona stazione Centrale, mentre facevi skate. Potresti raccontarci questo aneddoto?

Ero con alcuni amici. Avevo spudoratamente mentito ai miei genitori dicendo loro che avrei trascorso la giornata a casa di un mio compagno a studiare. Invece ero lì, in zona stazione Centrale, non esattamente uno scenario sicuro da frequentare (ride, ndr). Mi stavo destreggiando con lo skate e a un certo punto vengo fermato da una coppia di ragazzi sulla trentina. Mi spiegano di essere alla ricerca del protagonista per un loro videoclip musicale… e da lì tutto è cominciato. A dire il vero, all’inizio mio padre non era particolarmente entusiasta dell’idea, poi però – grazie alla sua compagna, la mamma che in effetti mi ha cresciuto – anche lui ha accettato questa mia scelta.

Nel corso della tua carriera hai anche lavorato con registi importanti, per esempio con Paolo Virzì in Capitale Umano. Che esperienza è stata?

Io lì facevo la comparsa. È stata senza dubbio una bella esperienza, mi ha offerto la possibilità di capire all’incirca come funzionasse un set. Tuttavia all’epoca stavo ancora muovendo i primissimi passi nel mondo della recitazione; i progetti lavorativi effettivi sono arrivati un po’ dopo.

«Recitare in Blocco 181 è stato un bel battesimo del fuoco»

La tua prima esperienza lavorativa vera e propria è stata Blocco 181?

Esatto, proprio quella. Blocco 181 è stata una delle prime grosse produzioni dopo Gomorra e quant’altro, sviluppata sul territorio milanese. Sky ha spinto molto su questa serie, un prodotto che ha ottenuto grande visibilità anche grazie agli attori interpreti. Andrea Dodero per citarne uno. Io interpretavo il ruolo di Oliver, che compare giusto per un episodio. Lui è un ragazzo con cui la sorella del protagonista ha una simil-relazione molto veloce, ma al tempo stesso abbastanza passionale. Recitare in Blocco 181 è stata un’esperienza stupenda, mi sono trovato benissimo sia con i ragazzi del cast, sia con la produzione. È stato un bel battesimo del fuoco diciamo (ride, ndr).

Un’altra importante esperienza che ti porti dietro è Io sono l’abisso, film del 2022 diretto da Donato Carrisi. Ce ne potresti parlare brevemente?

Lavorare in Io sono l’abisso è stato estremamente appagante; recitare sotto la direzione di Donato ha significato tanto per me. Lui è una persona molto tranquilla, molto pacata. Sul set sfoggia una grandissima serietà, da vero professionista. Al suo fianco ho percepito fin da subito un clima di grande lavoro e concentrazione, oltre che una confortante sensazione di posto sicuro, in cui è possibile provare e anche sbagliare. Quest’ultimo aspetto, personalmente, mi ha aiutato tantissimo.

Sul set interpretavo un personaggio abbastanza distante da me. Ho trovato veramente interessante il fatto di calarmi in un ruolo di questo tipo, è stata da un lato una sfida, dall’altro un’opportunità di crescita. Spesso, sperimentando un qualcosa di lontano da come siamo realmente, ci troviamo a scoprire aspetti di noi che magari nemmeno conoscevamo.

Michael Maggi
Michael Maggi

Michael Maggi a proposito di Those About to Die: «Il regista, Roland Emmerich, ha lavorato tanto non solo sul mio personaggio, ma su ogni personaggio coinvolto, conferendo a ciascuno una certa tridimensionalità»

Il 2023-24 sembra essere un anno estremamente importante per la tua carriera, ti vedremo in due grandi produzioni: Another End e Those About to Die, con il grande Anthony Hopkins. Come ti senti a riguardo?

Parlando della serie Those About to Die, posso dire di essere ancora abbastanza incredulo; aver recitato in un contesto simile è un qualcosa di indescrivibile. Riuscirò a metabolizzare il tutto solo quando vedrò gli episodi in televisione (ride, ndr). Poi io, come altri miei colleghi del cast, purtroppo non ho avuto l’onore di incontrare Sir Hopkins. Tuttavia, da quanto mi è stato raccontato, l’impressione che ho potuto costruirmi su di lui è davvero magnifica. Il tratto che più mi è stato riferito sulla sua persona, e che più mi ha colpito, è la grande umiltà e gentilezza (senza contare la sua impareggiabile professionalità ovviamente). È sempre bello vedere come anche grandi mostri sacri abbiano un lato così umano. Per noi attori solo il fatto di potersi confrontare con loro rappresenta un sogno.

Ci regaleresti qualche anticipazione riguardo il tuo personaggio?

Non voglio spoilerare troppo, però mi piacerebbe sottolineare un aspetto: il regista, Roland Emmerich, ha lavorato tanto non solo sul mio personaggio, ma su ogni personaggio coinvolto, conferendo a ciascuno una certa tridimensionalità. Sono tutti molto interessanti e per niente scontati.

Io mi calo nei panni di Rufus, un ragazzo dalle mille sfaccettature e molto distante da me. Manifesta di continuo una forte necessità di sopravvivenza che lo porta a intraprendere percorsi veramente inaspettati (e questo, secondo me, è il suo lato più intrigante).

In che modo hai preso parte al casting di questa produzione?

È successo tutto per caso a voler essere onesto. Dovevo fare un provino per un altro progetto in lingua e nel mentre la casting director Michela Forbicioni (che io non avevo mai visto) si avvicina a me domandandomi: “Come sei messo a memoria?”. “Fortunatamente abbastanza bene”, avevo risposto io. Lei mi chiede di preparare in cinque minuti una parte; una scena che, come poche altre, mi è poi rimasta impressa nel cuore. Mi sono dovuto calare nella toccante storia di due fratelli che si rivolgono l’ultimo addio, in quanto uno dei due sta per andare al patibolo. Una situazione carica di pathos in cui emergono anche cose mai dette prima. Dopo circa un mese di silenzio, mentre stavo girando le ultime scene di Another End con Piero Messina, la mia agente mi chiama comunicandomi di essere stato preso ai provini di Those About to Die. Ero contentissimo.

E poi, circa due, tre mesi dopo l’audizione, ho ricevuto la conferma definitiva: la parte era mia.

Michael Maggi
Michael Maggi

«Il mio obiettivo è sempre stato solo uno, recitare, a prescindere dal quando, come e dove»

Da qui in poi, sicuramente avrai diverse occasioni di visibilità anche a livello internazionale.

Il mio obiettivo è sempre stato solo uno, recitare, a prescindere dal quando, come e dove. Voglio accogliere veramente tutto quello che arriva, senza remore o filtri. Poi ovviamente il fatto di sapere l’inglese aiuta moltissimo. Fin dall’età di 12-13 anni mi è sempre piaciuto avvicinarmi a questa lingua. Ho un fratello maggiore incredibilmente appassionato di musica, straniera soprattutto. Ricordo che quando ero ragazzino mi divertivo a tradurre con Google Traduttore svariate canzoni dall’inglese all’italiano, per capire il loro vero significato. Questo a parte, penso che oggi masticare una o più lingue straniere sia fondamentale per poter essere competitivi nel mercato internazionale.

Quali differenze hai riscontrato confrontando tue esperienze lavorative in produzioni italiane e internazionali?

A livello logistico, innanzi tutto, le produzioni tra l’uno e l’altro contesto hanno proprio tempi diversi; in un caso stai sul set due, tre, quattro giorni, nell’altro anche più di un mese. Poi altra grande differenza è la somma di denaro investito (anche se sono convinto del fatto che un minor quantitativo di denaro non sia necessariamente un limite dal punto di vista qualitativo). Seppur in Italia il budget sia inferiore rispetto a quello disponibile in America, i nostri operatori dello spettacolo sono autentici maestri nell’inventarsi continuamente, sfruttando al meglio le proprie risorse per arrivare a risultati più che soddisfacenti. In questo noi italiani siamo insuperabili.

Those About to Die
Michael Maggi

Michael Maggi: «Intorno ai 16-17 anni sognavo di essere un po’ come James Dean, mio grande punto di riferimento nella recitazione»

Spostandoci su un altro progetto degno di nota nel tuo percorso, Another End, come hai vissuto l’esperienza sul set?

Another End è stata un’altra esperienza veramente fuori dal comune. Prima di iniziare a girare, mi aspettavo un set italiano; quando sono arrivato lì ho avuto invece la percezione di essere su un set internazionale. E qui ritorniamo a quella capacità, propria di noi italiani, di riuscire a tirare fuori il bello anche a partire da risorse limitate. Piero Messina, il regista, è stato in grado di creare un qualcosa di estremamente credibile, un film molto simile alle tanto amate produzioni futuristiche realizzate in America. Poi, ovviamente, il cast gioca un ruolo fondamentale nella riuscita di un buon progetto. Lavorare con Piero, seppur il mio personaggio fosse presente solo in alcuni momenti della pellicola, è stato molto costruttivo. Lui è veramente paziente, sul set c’era sempre grande possibilità di dialogo e un clima accogliente. Al tempo stesso, però, i ritmi erano serratissimi.

Quali figure, dal punto di vista artistico, hai guardato – o guardi tutt’ora – con una particolare ammirazione?

Posso affermare di essere cresciuto con Marlon Brando, James Dean e Montgomery Clift. Intorno ai 16-17 anni sognavo di essere un po’ come James Dean, mio grande punto di riferimento nella recitazione. Ancora adesso, rivedendo film come Gioventù bruciata, non riesco a capacitarmi del fatto che siano stati girati negli anni 50. Il lavoro di Brando, in particolare, mi sembra sempre attuale, super contemporaneo.

Those About to Die
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Alessio Vassallo, vent’anni di carriera tra piccolo e grande schermo

Classe 1983, l’attore Alessio Vassallo si sente palermitano fino al midollo («Addirittura penso in palermitano», dice lui ridendo). Nonostante i diversi anni trascorsi a Roma, dove vive ormai stabilmente, il suo cuore guarda sempre alla tanto amata Mondello e a quel calore che solo la Sicilia sa regalare. Con numerosi traguardi raggiunti e ben oltre quaranta produzioni come interprete, nel 2024 Vassallo festeggia vent’anni di carriera, celebrati di recente con il Nastro d’Argento.

Tra i progetti più importanti che hanno segnato il suo percorso, da ricordare è sicuramente Il giovane Montalbano, oltre che La vita rubata (2007), Gli anni spezzati (2014) e La stoccata vincente (2023). Ora l’attore è protagonista in quello che è stato definito “Un lungometraggio ironico e sofisticato”; “Un film surreale tanto quanto autentico”; “Una commedia come non ne avevamo da tempo”. Parliamo del nuovo film Indagine su una storia d’amore, al cinema da giovedì 18 luglio. Sotto la regia di Gianluca Maria Tavarelli, i due protagonisti, Barbara Giordano e Alessio Vassallo, interpretano due giovani attori siciliani legati da una storia d’amore di ben otto anni. Dopo una serie di alti e bassi – in primis un tradimento da parte di lui – i due si ritroveranno a riflettere sul loro vissuto insieme, acquisendo così nuove consapevolezze.

Alessio Vassallo
Alessio Vassallo

Alessio Vassallo a proposito di Indagine su una storia d’amore: «La forza del film sta proprio nel fatto di raccontare l’amore così come è diventato oggi»

Come è nato il progetto Indagine su una storia d’amore?

Il progetto nasce dall’amicizia con Gianluca Maria Tavarelli, il regista de Il giovane Montalbano, con cui ho lavorato per due stagioni. Il tutto ha avuto inizio con una serie di racconti, di confessioni che ci siamo fatti. Tra l’altro Gianluca aveva già diretto un film bellissimo, intitolato Un amore, e forse quello di cui si tratta in Indagine su una storia d’amore potrebbe essere considerato un amore 2.0. La forza del film sta proprio nel fatto di raccontare l’amore così come è diventato oggi.

Anni fa, quando internet e i social non esistevano, una volta conclusa una storia, la tua strada e quella dell’altra persona si separavano definitivamente. Oggi invece, volenti o nolenti, rimane sempre uno strascico; ti porterai sempre dietro un qualcosa di quell’ex fidanzato o fidanzata perché per forza di cose ti apparirà magari una sua story, magari una foto postata. Pur non vivendo più direttamente quella persona, la continuerai a vedere attraverso uno schermo. E questo è sicuramente un modo nuovo di avere a che fare con l’amore; i ragazzi di oggi forse ci sono abituati, noi no.

Poi si parla di precarietà, di questi giovani attori che fanno fatica a lavorare. Oggi la precarietà lavorativa viene sperimentata da tutte le nuove generazioni, soprattutto post università. Questa condizione poi si riflette inevitabilmente sulla realtà di coppia, si può parlare di una vera e propria precarietà sentimentale.

In ultimo, secondo me è interessante l’aspetto da reality show. I protagonisti sono convinti di potersi mostrare un po’ come succede oggi sui social, sfoggiando una vita che in realtà non appartiene loro. Tuttavia, forse per un fattore di ingenuità, forse perché si ritrovano schiacciati da un meccanismo che non conoscono, davanti alle telecamere si rivelano nella loro autenticità e lì si scatena il dramma.

«Tanti lavori mi hanno segnato, in particolare La stoccata vincente, una storia umana, oltre che professionale, incredibile»

Festeggi un gran bel traguardo, vent’anni sui set, tra serie tv, cinema e anche teatro. Quali sono le produzioni che hanno segnato momenti salienti del tuo percorso?

Quest’anno festeggio vent’anni di carriera, ho recitato in più di quaranta film. Diverse produzioni mi hanno segnato, anche all’inizio del mio percorso, quando avevo ventitré-ventiquattro anni; da La vita rubata a Gli anni spezzati. C’è un pre e post social, no? Pensandoci mi fa ridere il fatto che oggi il pre social non esista più (anche se nella mia esperienza è stato costellato da numerosi traguardi importanti).

L’incontro con Camilleri e con Il giovane Montalbano, La concessione del telefono ecc. sicuramente hanno rappresentato tanto per me. Sono stati progetti di successo, hanno riscosso una notevole popolarità. Avere l’opportunità di dar voce a produzione di questo tipo è stato un grandissimo privilegio.

Per quanto riguarda il teatro, invece, quest’anno mi occuperò di depressione, perché penso sia il male della nostra generazione.

Tanti lavori mi hanno segnato, in particolare La stoccata vincente, una storia umana, oltre che professionale, incredibile. Io mi allenavo al CONI con la felpa Italia, mi sentivo un campione olimpico, anche se non lo ero. È stata un’avventura surreale, di sacrificio. Io interpretavo un personaggio che realmente esiste (lo schermitore Paolo Pizzo) e che mi stava sempre accanto. Tra me e lui, quindi, c’era un confronto continuo.

Tra i vari ruoli in cui ti sei calato nel corso di questi anni, quale hai sentito più vicino a te e al tuo carattere?

Forse i ruoli legati a Camilleri. È difficile rispondere a questa domanda perché poi, di fatto, ogni attore si nasconde dietro al personaggio, come fosse una maschera.

Parlando invece di produzioni internazionali, I Medici per esempio, com’è stato lavorare in progetti non solo italiani?

È stata un’esperienza sicuramente costruttiva. La vera sfida consisteva soprattutto nel riuscire a lavorare con una lingua che non ti appartiene. Secondo me questo è molto più interessante perché pensi di meno.

Indagine su una storia d'amore
Alessio Vassallo

«Io sono legatissimo a Palermo, la mia terra. Addirittura penso in palermitano»

Che rapporto hai con Palermo? È una città che ancora senti tua oppure, giustamente, ti sei ormai naturalizzato a Roma?

Io sono legatissimo a Palermo, la mia terra. Addirittura penso in palermitano. Vivo da vent’anni a Roma, ma ogni volta che ho l’occasione torno sempre con piacere nella mia città, nella mia Mondello. Non c’è niente di meglio. Lavoro permettendo ovviamente, perché la mia è una professione che porta a stare fuori.

Sempre a proposito delle tue origini, c’è un tratto tipicamente palermitano (o siciliano comunque) che senti di portare dentro in modo particolare?

Senza dubbio ti direi il senso di accoglienza e il fatto di porsi sempre in ascolto degli altri.

Rispetto ai tuoi progetti futuri, con chi sogneresti di poter fare un film prossimamente? Oppure, c’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare?

Non ce n’è uno nello specifico. Io più che altro sono molto legato alle storie. Se c’è una storia interessante da raccontare, allora mi ci butto anima e corpo.

Durante le tue numerose esperienze sul set, ti è mai capitato di incontrare qualcuno che ha rappresentato un momento di svolta?

Durante questi anni ho avuto a che fare con diversi personaggi di un certo calibro. Ho incontrato più volte Andrea Camilleri: mettere in voce i suoi scritti, portarli in televisione, al cinema e anche a teatro è stato un vero onore. Poi sicuramente, come accennavo prima, un altro grande incontro è stato quello con Paolo Pizzo. Persone del genere, e storie come le loro, rimarranno per sempre impresse in me.

In linea generale, le storie vere (con i relativi personaggi) sono sempre quelle da cui mi sento maggiormente affascinato e che, più di altre, sanno trasmettermi qualcosa.

Indagine su una storia d'amore
Alessio Vassallo

Alessio Vassallo ai giovani attori della nuova generazione: «Continuare a studiare è indispensabile per il bene della propria carriera. È necessario rimettersi sempre in gioco, avere il coraggio anche di dire no ed essere versatili»

Guardando a un altro progetto che ti ha visto tra i suoi interpreti, la mini-serie Rai Marconi, come è stato lavorare al fianco del protagonista Stefano Accorsi e con gli attori più giovani, ad esempio Nicolas Maupas?

Conosco Nicolas da un bel po’, addirittura da prima dell’uscita di Mare fuori. In generale ho avuto modo di interfacciarmi con diversi attori della nuova generazione; Giacomo Giorgio, per esempio, che ha lavorato con me in Sopravvissuti.

La mini-serie Marconi è stata una bellissima esperienza, a mio avviso i set in costume sono i più entusiasmanti. Sembrava di essere entrati in una macchina del tempo per poi venir catapultati in un’altra epoca. Recitando in costume si ha la possibilità di sperimentare non solo vite ma anche secoli che non ci appartengono, che sono ormai passati. Io interpretavo il ruolo di un antagonista, un fascista. Quando ci si cala nei panni di un personaggio, sia esso buono o cattivo, è sempre fondamentale non giudicarlo per renderlo credibile. Bisogna tenere in considerazione il tipo di epoca in cui si è chiamati ad immedesimarsi (e quella fascista non è sicuramente stata un’epoca facile).

Con Stefano Accorsi mi sono trovato benissimo. È stato interessante, poi, lavorare sotto la regia di Lucio Pellegrini, che avevo già incontrato girando la serie Romanzo siciliano.

Cosa consiglieresti a un giovane che oggi ha il desiderio di intraprendere il percorso della recitazione?

Il mio consiglio spassionato è quello di leggere molto. La letteratura è fondamentale per questo mestiere. E poi bisogna rimanere legati alla motivazione reale per cui si è scelto e si continua a scegliere il lavoro di attore, non vedendolo unicamente come una via per apparire o per fare pubblicità. La recitazione implica tanto sacrificio, tanto studio e tanta dedizione; se uno di questi tre elementi viene a mancare allora non si parlerà più di arte ma di merchandising.

Continuare a studiare è indispensabile per il bene della propria carriera, un percorso lungo che potrà durare venti, trenta, trentacinque anni e oltre. Farsi travolgere dal successo momentaneo e fermarsi ad esso è molto pericoloso per l’attore; è necessario invece rimettersi in gioco, avere il coraggio anche di dire no ed essere versatili.

Indagine su una storia d'amore
Alessio Vassallo

Credits

Photographer: Alessandro Pensini

LUSSO SU MISURA: PROVASI E L’ARTE DELL’AUTENTICITÀ

Unicità è la parola chiave per entrare nel mondo di Provasi, azienda tutta italiana, nata nel 1970, che porta avanti una storia di passione e alta artigianalità. Proprio il saper fare, unito a una costante ricerca sui materiali più ricercati e una buona dose di creatività, ha reso il design Provasi sinonimo di prodotti unici, alta qualità e stile fortemente personalizzato. L’azienda è un vero gioiello del made in Italy, una realtà familiare con sede a Seregno, nella Brianza, riconoscibilissima grazie a creazioni senza tempo dall’inimitabile savoir-faire. Costantemente in grado di innovarsi senza però dimenticare le antiche basi della lavorazione artigianale, l’azienda è leader nel settore arredamento, mostrando uno spirito indipendente ed eclettico, da sempre vicino al mondo delle arti.

In Provasi, “autenticità” e “su misura” sono le parole d’ordine. Che si tratti di cabine armadio, cucine, accostamenti di tessuti o boiserie, poco importa: ogni progetto viene curato in ogni fase di realizzazione, puntando a un sapiente mix di estro creativo e know-how artigianale. Il tutto sotto il segno dell’ineguagliabile eccellenza 100% made in Italy, riconosciuta e apprezzata in ogni angolo del globo. Il risultato consiste in una serie di pezzi di vero artigianato artistico; pezzi unici, mai uguali l’uno con l’altro.

Capolavori senza tempo ma sempre attuali

In tal senso, come afferma Alessandro Massa, CEO di Provasi: «La vera ricchezza dell’azienda sta nei propri artigiani e in un modo peculiare di intendere il design come progetto artistico. I prodotti Provasi sono frutto del tempo, valore fondamentale rispetto alle persone che realizzano oggetti fatti a mano. E il tempo da dedicare all’arte è ciò che arricchisce gli uomini: per questo abbiamo chiamato l’installazione al Salone del Mobile The Time, un elogio al valore supremo del tempo».

E continua: «Attualmente ci stiamo spendendo molto sul tema del cosiddetto “new classic”, proponendo pezzi ispirati ai grandi classici. Negli ultimi tre anni, da quando mi trovo a guidare l’azienda, abbiamo affiancato alla tradizionale produzione di loose furniture la realizzazione di progetti a 360 gradi. Si ha così l’opportunità di sviluppare quello che è lo stile Provasi. Il nostro obiettivo primario consiste nel diventare punti di riferimento per qualsiasi lavoro che abbia in sé un desiderio di classicità senza tempo. Attraverso un’attenta organizzazione, siamo in grado di curare tutto; dalla progettazione all’installazione in una logica di total lifestyle d’interior».

Provasi
Suit Iceberg, earrings Giovanni Raspini

Ma qual è la missione principale perseguita dal marchio? Nonostante gli oltre cinquant’anni trascorsi dal momento della sua fondazione, la risposta continua a essere una e una sola, ovvero creare oggetti senza tempo, ma sempre attuali. «Provasi è un prodotto endless, un po’ un everlasting» prosegue il CEO. «Essendo anticiclico rispetto ai trend, è anche un qualcosa che si tramanda di padre in figlio. Un po’ come il vino, che diventa più importante una volta invecchiato».

Heritage, Signature e More: le collezioni di Provasi

E ora, dopo aver proposto una veloce panoramica riguardo l’azienda, è tempo di soffermarci sul vero cuore pulsante della realtà Provasi, quel meccanismo imprescindibile senza il quale nessuna creazione potrebbe vedere la luce. Parliamo degli artigiani, motore effettivo della produzione, che garantiscono la continuità della filiera. Destreggiandosi in uno sfaccettato lessico di forme, materiali, colori e tessuti, questi artisti del fatto a mano plasmano autentici capolavori, sfoggiando una straordinaria abilità nell’intaglio del legno, nello sviluppo dei tessuti, fino alla cura di ogni minimo dettaglio. Tali competenze, poi, si riscontrano in modo evidente all’interno di tre collezioni firmate Provasi, denominate rispettivamente Heritage, Signature e More.

Come suggerito dal nome stesso, la prima delle tre linee vuole puntare i riflettori sulla storia e tradizione di famiglia nella realizzazione artigianale di prodotti d’arredo. Qui a giocare un ruolo fondamentale è il fattore qualità, sempre al top di gamma, magistralmente coniugato con lo spirito classico alla base del marchio. La preziosa eredità di Provasi rivive in articoli dalle finiture ricercate, eleganti nelle forme e glamour nello stile.

Total look Iceberg, earrings Giovanni Raspini
Total look Iceberg, earrings Giovanni Raspini

Parlando invece della seconda collezione, la linea Signature include pezzi d’arredo armoniosi e simmetrici, che catturano a pieno la più autentica essenza Provasi. L’estetica tanto amata nel primo Novecento – quella Art Déco in particolar modo – trova spazio in mobili e non solo in una veste rivisitata, in linea con la contemporaneità. Nonostante quest’ultima reinterpretazione, irrinunciabile è l’eleganza senza tempo di ogni elemento, firma di Provasi e del suo know-how artigianale.

In ultimo, ma non per importanza, More è la linea più recente. Atmosfere insolite, a tratti surreali, si pongono al centro della collezione, mostrando una prospettiva d’arredo eclettica, di design e al tempo stesso confortevole. In questo caso, i prodotti presentano contaminazioni di stile uniche tra texture, linee e materiali. Il risultato? Una proposta squisitamente contemporanea, in perfetta armonia con le esigenze di oggi.

A prescindere dall’estetica di ciascuna singola collezione, Provasi risponde sempre alla medesima necessità; il volersi distinguere. E, rimanendo in tema, Alessandro Massa ha affermato: «Noi siamo l’antitesi della filiera industriale. Puntiamo moltissimo sul fattore unicità. Quando un cliente decide di affidarsi a noi per arredare casa, sa fin dal principio che non potrà esistere un progetto anche solo lontanamente simile. E questo è senza dubbio un vero lusso».

Credits

Stylist: Federica Mele

Make-up artist: Silvia Muñoz

Talent: Ludovica Cutuli

Photographer assistant: Agnese Barbarani

Location: Provasi

Special thanks to: Giorgia Musci

L’incontro tra le Arti: la filosofia della Lucca Fashion Weekend

Quando si pensa a Lucca il nostro pensiero vola da un lato verso l’arte antica, dall’altro al Lucca Comics & Games, la fiera internazionale dedicata al fumetto, all’animazione, ai giochi: due immaginari letteralmente agli antipodi che convivono in questo città ricca di cultura. Non molti però ricordano che Lucca non fu solo la prima città del mondo occidentale a raggiungere una produzione di tessuti di lusso in grado di competere a pieno titolo con le tradizionali stoffe orientali, ma grazie alla migrazione dei suoi mercanti e artigiani nel corso del XIV secolo ha offerto le conoscenze tecniche e organizzative per il decollo della lavorazione serica in altri centri italiani, ponendo le basi di quella che rimase per oltre cinque secoli, fino all’ inizio del Novecento, la principale industria della penisola destinata all’ esportazione. Non sorprende quindi che ripartendo dalla tradizione serica e dall’alta artigianalità si sia voluta riportare anche la moda grazie al progetto Lucca Fashion Weekend, evento dell’Amministrazione Comunale in collaborazione con l’associazione culturale POP, con la partecipazione della Camera di Commercio e le associazioni di categoria.

«Lucca è punto di incontro tra arti, un palcoscenico generoso che illumina e si accende nella condivisione di ideali»

Un’idea fortemente voluta e progettata da Paola Granucci, Assessore alle attività produttive, decoro urbano e innovazione che ha commentato: «Siamo felici per il secondo anno di promuovere una manifestazione a sostegno non solo delle eccellenze artigianali locali, ma che allarga lo sguardo oltre l’orizzonte regionale, accogliendo e avvicinando progetti e realtà accomunate dalla ricerca del bello e dal rispetto per la qualità. Lucca è punto di incontro tra arti, un palcoscenico generoso che illumina e si accende nella condivisione di ideali. La Lucca Fashion Weekend è una occasione straordinaria per far conoscere il territorio, le sue meravigliose realtà artigianali e commerciali, i suoi luoghi e i panorami incredibili, con l’obiettivo di tutelare la nostra tradizione ma con un occhio teso all’innovazione, alla ricerca e alla sperimentazione».
Una due giorni con un programma davvero ricco tra eventi, mostre, installazioni, happening e talk: tutta la manifestazione è stata aperta alla città, creando un incontro sinergico tra arte e gli spazi storici, per tracciare nuovi e innovativi percorsi esplorativi e definire un linguaggio locale che guarda al futuro in un continuo rimando tra valorizzazione del territorio e del saper fare. Tradizione artigianale e nuove visioni contemporanee sono le linee su cui è stata impostata la manifestazione, che giunta alla seconda edizione vuole essere crocevia e punto di incontro tra generazioni. Un buon esempio di come si può ripartire dalla storia per trovare un fil rouge e guardare al futuro.

Highlights dalla Lucca Fashion Weekend

La seconda edizione della manifestazione punta su 3 pilastri accomunati da innovazione e sostenibilità: LFW END, contenitore di presentazioni per giovani brand indipendenti, atelier e realtà artigianali locali e nazionali, e talk con magazine indipendenti; LFW EXP, destinato a mostre e installazioni diffuse tra le vie della città, arte e tessuto urbano in conversazione privilegiata; LFW OFF, a promozione iniziative ed eventi realizzati dalle attività commerciali, lungo le principali vie dello shopping animeranno le strade della città con presentazioni e aperture straordinarie.

Lucca Fashion Weekend
Il progetto Sotterranea

Sotterranea, il progetto che sostiene i brand indipendenti

Tra gli eventi da segnalare nella sezione LFW END, merita una menzione speciale SOTTERRANEA, concept espositivo a cura di Studio D, che vede i sotterranei della città accogliere giovani designer e realtà artigianali di prestigio con l’obiettivo di presentare brand indipendenti dallo spiccato senso estetico e vocazione alla ricerca. «Dare voce ai brand indipendenti ha da sempre rappresentato una priorità nel mio lavoro – ha spiegato Romina Toscano, a capo delle strategie comunicative di Studio D – e oggi, che il fenomeno talents ha raggiunto una maturità, definendolo non più come novità ma come realtà consolidata, si rischia di sminuire la portata di innovazione che la visione e la produzione di nicchia ha sullo scomparto moda nazionale. Con SOTTERRANEA vogliamo ribadire la necessità di scavare e di andare sotto la superficie di un prodotto, un invito a continuare a ricercare la singolarità, senza soccombere al fascino dei grandi nomi».
Così i sotterranei della città sono diventati una cornice privilegiata per presentare una prima selezione di eccellenza, in un contesto evocativo formidabile. Tra i brand indipendenti: Damiano Marini, Invaerso, Leight Studio, Maison Lamoureux, Maria Patrizia Marra per gli accessori; Saman Loira e Aza Lea per l’abbigliamento. Rovi Lucca, con la collezione Erbarium, è stato protagonista di un’installazione elegante e sofisticata nella cornice dell’Orto Botanico; Bottega Bernard con la collezione UNMUTE ha dato vita ad una passerella concettuale e contemporanea nei sotterranei del Baluardo San Regolo.

La mostra Barbie Show: La storia, la contemporaneità

Tra le mostre, oltre a quella di Antonio Canova e il Neoclassicismo a Lucca presso gli Spazi Ex Cavallerizza, dove le statue di Antonio Canova sono state messe in dialogo con gli abiti da sera di Roberto Capucci, ha suscitato interesse, nonostante un allestimento molto semplice, l’expo Barbie Show: La storia, la contemporaneità. Un percorso con modelli d’epoca davvero straordinari provenienti dalla collezione privata di Renata Frediana che ha commentato: «Nel 1959 fa il suo ingresso sul palcoscenico dello strabiliante mondo del giocattolo la stella di tutte le stelle: Barbie. Barbie si presenta con il suo ormai celeberrimo costume da bagno in tessuto di maglina a righe bianche e nere, svettante su un paio di sandali neri a punta aperta con vertiginosi tacchi a spillo, perfettamente in linea con il gusto di quegli anni. Ha lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo e ricciolini sulla fronte. Le labbra rosso fuoco fanno pendant con il colore delle unghie di mani e piedi. Immancabili gli occhialoni bianchi con lenti blu.» Nella confezione di ogni suo vestito è inserito un piccolo catalogo con le foto dei molti abiti e accessori che possiede, così da invitare le bambine a desiderarne sempre di nuovi.

Spazio all’artigianato con le mostre di Via del Fosso

Focus sulla riscoperta della seta e dell’artigianato con la riapertura di alcuni spazi storici su Via del Fosso che ha visto anche l’installazione site specific di Francesco Zavattari, che ha avvolto la storica via lucchese in una intrigata tela di fili di seta, animando antichi spazi dismessi in un percorso interattivo tra materia e luce. Sempre in Via del Fosso, spazio all’artigianato con la mostra laboratorio La via della seta e con Il Filaticcio lucchese, dove l’artigiana e tessitrice Laura de Cesare ha presentato una tessitura del filaticcio lucchese su un telaio a pedali, allestito con tessuto storico locale; in mostra anche le lavorazioni su telai dell’Associazione Tessiture Lucchesi. Ancora tessitura con la mostra presso il Museo
Nazionale Palazzo Mansi
dell’antico laboratorio di tessitura rustica Maria Niemack, cui spetta il merito di aver recuperato e valorizzato l’antica tecnica della tessitura rustica. Esposti antichi telai e strumenti otto-novecenteschi recuperati sul territorio insieme a un campionario delle varie tipologie di tessuto, passamanerie e galloni realizzati con questi strumenti.

Artisanal Crossroad e On The Road animano la città con i progetti tra le vie di Lucca

E sempre per conoscere meglio angoli e spazi inusuali della città è stato Artisanal Crossroad, progetto installativo diffuso che ha coinvolto brand indipendenti in altrettanti negozi e spazi iconici di Lucca: Maria Patrizia Marra Galliani Cristalli; Marzia di BiaseRenata Frediani Antiquario; Monte SharpMartinelli Luce; PippilùAntica Bottega di Prospero; SouldazeSpinelli Silvano Cornici & stampe fatte a mano; Villa TrentunoSorelle Carozzi. Atelier Ricci ha dato vita a un fashion show in collaborazione con ISI Machiavelli Istituto Civitali indirizzo moda, mentre Palazzo Tucci è stato protagonista di una live performance tra moda e beauty, design e musica per raccontare ancora una volta una selezione di eccellenze lucchesi. Ancora strade e vie storiche per ON THE ROAD, etichetta corale che racchiude una selezione di progetti speciali che hanno animato la città e le sue peculiari tipizzazioni. Come Via del Battistero, scenario di un progetto espositivo collettivo dedicato alle antiquariato. Tessuti antichi e opere d’arte sono stati i protagonisti di questa via, che celebra la maestria artigianale e la tradizione lucchese.

Dalla scena al microfono, il viaggio poliedrico di Matteo Paolillo

Conosciuto in primis come attore, poi musicista e ora anche autore con il suo primo romanzo 2045: la carriera di Matteo Paolillo, classe 1995, ha conosciuto un vero boom con la serie Mare Fuori, ma non si è fermata a questo. Matteo è un vero talento poliedrico che sta dimostrando come la sua arte possa evolversi in forme diverse.
Inizia prestissimo a recitare, a 13 anni, in una compagnia teatrale di Salerno, sua città natale, cui resta ancora oggi molto legato. Appena compiuti 18 anni decide di proseguire i suoi studi a Roma, al conservatorio teatrale di Gianni Diotajuti, per poi diplomarsi nel 2019 al prestigioso Centro Sperimentale di Cinematografia. Il suo nome esce allo scoperto con il debutto in tv nel 2016, ma il momento in cui raggiunge il successo è grazie alla prima stagione di Mare Fuori nel 2020. Sempre nel 2020 è in tv con Vivi e Lascia Vivere di Pappi Corsicato e al cinema con Famosa di Alessandra Mortelliti. 

Dalla colonna sonora di Mare Fuori fino al suo ultimo singolo Non ho voglia

Matteo non è solo un volto, ma è riconosciuto anche per la sua voce che interpreta la colonna sonora ’O mar for, un tormentone diventato doppio platino. Da questa passione per l’arte e la performance nasce anche la voglia di sperimentare con un progetto musicale da solista: il suo primo EP Edo, dove approfondisce il mondo del personaggio da lui interpretato nella serie. La carriera nella musica continua con il secondo singolo Origami all’alba, a cui segue, a maggio 2023, il suo primo album Come te.
Nel 2024 esce poi il suo nuovo EP Edo-Ultimo Atto e il singolo Non ho voglia, disponibile dal 31 maggio, prodotto da ADA/Warner Music Italy. il brano racconta il ricordo di un amore estivo, la malinconia dell’estate che è come una bolla dove si conoscono nuove persone che poi magari non rivedremo più. Ma insieme alla malinconia, c’è anche la voglia di ballare e di fare rumore.

Il talento di Matteo continua a trasformarsi con il suo primo romanzo dal ritmo cinematografico, edito da Solferino, che vuole innescare una riflessione profonda sull’alienazione emotiva dovuta all’overdose di realtà virtuale. 

Matteo Paolillo
Total look Versace

Matteo Paolillo racconta sul suo romanzo: «È stata una forma di scrittura nuova per me e mi ha permesso di raccontare ogni cosa nei dettagli»

Sei appena uscito con il tuo primo libro dal titolo 2045. Come è nato questo progetto e cosa ti ha portato alla scelta di un tema come la tecnologia e il pericolo di staccarsi dalle proprie emozioni?

Dalla pandemia in poi mi sono reso conto sempre di più di quanto il processo di alienazione dai sentimenti sia dilagato. Fenomeni come gli “hikikomori” o l’ansia sociale sono sempre più comuni, per non parlare di cose ben più gravi. Per questo ho sentito l’esigenza di raccontare una storia che facesse riflettere su questo tema. 

Come hai lavorato alla costruzione del romanzo? Ti senti vicino a qualcuno dei personaggi oppure il progetto è stato tutto frutto di una ricerca letteraria?

È stata una forma di scrittura nuova per me e mi ha permesso di raccontare ogni cosa nei dettagli. I personaggi principali sono nati anni fa nella mia testa. Volevo raccontare due storie contrapposte che in qualche modo si intrecciano. 

«La recitazione mi permette di avere un approccio più profondo nella scrittura delle canzoni. Viceversa, la musica aumenta la mia sensibilità e il mio ascolto in scena»

Sei un artista realmente versatile, dal cinema alla musica passando per la narrativa. Quando hai sentito che la musica sarebbe diventata una parte importante del tuo percorso?

La musica è sempre stata una parte fondamentale per la mia crescita artistica. È un allenamento per la sensibilità e l’immaginazione, uno sfogo creativo e liberatorio.

Come riesci a portare avanti musica e recitazione? E come si influenzano le due arti nel tuo lavoro?

Le due cose sono sempre più in simbiosi. Spesso quando sono in camerino sul set, in attesa della prossima scena, scrivo canzoni. Di solito, se non sto studiando recitazione, sono in studio a far musica. La recitazione mi permette di avere un approccio più profondo nella scrittura delle canzoni. Attraverso un processo di immedesimazione le sento sulla pelle. Viceversa, la musica aumenta la mia sensibilità e il mio ascolto in scena.

Come è stato avventurarsi nell’industria discografica?

L’industria musicale è molto diversa da quella cinematografica: principalmente per i ritmi di lavoro.  Tendenzialmente con un film o una serie resti per un mese o tanti mesi nello stesso posto. Con la musica invece sei sempre in giro tra studio, radio, concerti, ecc. Mi piace poter alternare la mia vita tra fasi più nomadi e fasi più sedentarie.

Devi molto a Mare Fuori. Quale messaggio, che condividi, la serie ha lanciato alle nuove generazioni?

Trovo che il messaggio principale sia: “Anche quando credi di non avere scelta, sei sempre in tempo per fare un cambio radicale nella tua vita”.

Matteo Paolillo: «Ho organizzato le cose in modo da poter far convivere la musica e la recitazione»

Ti abbiamo incontrato e ritratto nel 2021 quando il successo di Mare Fuori era proprio agli inizi. Come è cambiata la tua vita? 

Sono passati solo 3 anni eppure sembra un’altra vita. Sono cambiate molto le mie abitudini nella vita privata e anche il mio approccio al lavoro. Ho organizzato le cose in modo da poter far convivere la musica e la recitazione. Sicuramente andare come ospite a Sanremo nel 2023 e poi di nuovo quest’anno è stato un momento molto intenso. Ho da poco finito le riprese di un film per il cinema di Valentina De Amicis, dove ho interpretato un ruolo completamente diverso da Edoardo di Mare Fuori.

Matteo Paolillo
Total Look Ferragamo, Stilografica Meisterstück Montblanc

Qual è il tuo legame con Napoli? E il tuo posto del cuore?

Napoli è una città che mi ha accolto fin da subito e ho avuto modo di conoscerla in tutti suoi mille colori. Il mio posto del cuore resta sempre in qualche vicolo dei quartieri spagnoli, dove ho vissuto per quasi tutte le stagioni di Mare Fuori. Napoli è una città incredibile e la porterò sempre con me, ma Salerno è casa mia, il mio primo amore e lo sarà per sempre.

Matteo Paolillo
Total look Herno
 Total look Brioni

Credits

Photographer Erica Fava

Stylist Samanta Pardini

Videomaker Jacopo Tofani

Make Up Revlon

Hair American Crew

Postproduction Angela Arena

Photographer Assistant Carolina Smolec & Valeria Demofonti

Stylist Assistant Giulia Lacalamita

Location Contemporary Cluster

A Pitti Filati per scoprire le promesse del knitwear

Pitti Filati non solo si conferma un punto di riferimento per il settore con 142 aziende tra filature, maglifici e importanti player, ma vuole offrire spunti per la ricerca grazie a installazioni, showcase e momenti di formazione e approfondimento. Tra i must have da non perdere c’è la grande area tendenze Shield, il nuovo Spazio Ricerca di Pitti Filati, curato da Angelo Figus con Nicola Miller e Carrie Hollands.

In un mondo che gioca costantemente in attacco, viste le incertezze e imprevedibilità, il tema esplorato è quello del mettersi al riparo, del proteggersi facendo scudo (shield in inglese). La stagione invernale, di per sé introspettiva, genererà nuovi pensieri e idee al riparo dentro il proprio guscio, a distanza controllata dal caos esterno. Non un messaggio di chiusura ma di riflessione, verso una concezione del bello più intima e profonda.

All’ingresso di Pitti Filati – più precisamente al piano terra del Padiglione Centrale – si trova inoltre il progetto Color Room, che anticipa temi e colori dello Spazio Ricerca, in un’installazione a cura di Alessandro Moradei. E sempre grande spazio ai giovani, in particolare con due iniziative: da un lato il progetto Feel the Yarn® – Master Edition, dall’altro una sfilata speciale. Il primo è organizzato da CPF – Consorzio Promozione Filati ed è rivolto agli studenti specializzati in maglieria. La sfilata, invece, ha visto coinvolte le creazioni degli studenti di Accademia Costume & Moda (ACM) – Master di I Livello in Creative Knitwear Design, e Modateca Deanna. Qui, a dominare la scena sono stati dodici studenti, numerose filature e la collaborazione con i brand Antonio Marras, Blumarine e Max Mara Fashion Group.

Pitti Filati
Pitti Immagine Filati 95 – Chiusura della sfilata degli studenti di Accademia Costume & Moda e Modateca Deanna

La sfilata del Master in Creative Knitwear Design a Pitti Filati 2024

Pitti Immagine Filati 95 ha portato in passerella le creazioni degli allievi del Master di I Livello in Creative Knitwear Design di Accademia Costume & Moda (ACM), in collaborazione con Modateca Deanna. Un progetto perfettamente in equilibrio tra formazione e industria, in cui gli studenti del Master hanno avuto l’opportunità di produrre la loro collezione grazie alle numerose aziende del distretto manifatturiero italiano.

Quest’anno, a presentare le loro capsule collection sono stati: Miriam Bork, Costanza Brunelli, Domitilla Damiani, Manuel Fidalgo Salgado, Cecilia Franchitti. E poi ancora: Amanda Franzoni, Mia Skjaeret Hanssen, Marina Mendes, Linda Muffatti, Sakshi Oruganti, Rahul Pujar e Francesca Sargenti. Dodici studenti, dodici promettenti talenti, che hanno lavorato accanto a maglifici, filature e laboratori, sinonimi di eccellenza 100% Made in Italy.

Edizione dopo edizione, l’evento testimonia l’impegno e la dedizione di ACM e Modateca Deanna nella valorizzazione e promozione dei giovani e del nostro “saper fare” italiano, tra tecnologia, artigianalità, innovazione e creatività.

On show anche i vincitori degli Industry Project di quest’anno, che hanno visto la preziosa collaborazione dei brand Antonio Marras, Blumarine e Max Mara Fashion Group. In questo contesto gli studenti selezionati hanno mostrato progetti inediti con speciali Knitwear Capsule Collection, in linea con i brief ricevuti dalle Maison.

Pitti Filati
Shield, il nuovo Spazio Ricerca di Pitti Filati

Gli Industry Project e la performance diretta da Antonio Marras

Oltre alla sfilata, tre progetti con affermate aziende del fashion restano focalizzati sulla maglieria. Quello con Blumarine ha presentato una collection womenswear, in cui la studentessa Marina Mendes, attraverso una vasta ricerca nelle forme e nelle tecniche, rielabora l’heritage del brand in chiave contemporanea, con un approccio alla maglieria non convenzionale.

Il progetto Max Mara, realizzato della studentessa Costanza Brunelli, interpreta i codici del brand in maniera inedita, attraverso l’analisi della storia, della visione e dell’identità del Brand Max Mara, con particolare attenzione per lo sviluppo sperimentale della maglieria.

E infine l’industry project con Antonio Marras è stato presentato attraverso una speciale performance, realizzata sotto la direzione artistica di Antonio Marras, con le coreografie di Marco Angelilli e la speciale collaborazione di Gianluca Sbicca. Un momento estremamente poetico a chiusura della sfilata, dove ballerini e attori professionisti hanno interpretato i look realizzati dagli studenti del Master in Creative Knitwear Design. Ogni allievo ha creato, partendo da un vestito da sposa di recupero, uno specifico storytelling. Ciascun abito ha rappresentato la trama della storia di cui lo studente stesso diviene il protagonista assoluto, ed è il risultato di un lungo lavoro di progettazione, di ricerca e di customizzazione.

Ogni storia ha preso vita attraverso la visione creativa dei giovani talenti coinvolti e l’interpretazione degli attori e ballerini – che hanno indossato e “vissuto” ciascun singolo abito – ha messo in scena la storia personale di ognuno in una “pillola creativa”. Il risultato è stato una performance dai momenti e ispirazioni differenti; un quadro miscellaneo con abiti tutti diversi in termini di forme, fili e maglieria ad alto tasso emozionale. Una perfetta fusione tra knitwear design e mise en scene inaspettata, in cui l’una si è valorizzata con l’altra.

Performance realizzata sotto la direzione artistica di Antonio Marras, con le coreografie di Marco Angelilli e la speciale collaborazione di Gianluca Sbicca

Lo storytelling della performance

Dalle Costole di Edipo di Miriam Bork si ispira al film Notre Dames des Hormones e racconta la storia del rispetto delle diversità, attraverso la creazione di due sposi legati da corda di maglia, in perenne lotta con l’amore verso se stessi e verso l’altro.

Myrtha di Manuel Fidalgo Salgado si ispira al celebre balletto Giselle e allo spirito che abita i boschi, Myrtha, attraverso una forte connessione tra la mitologia e la danza classica. Rappresenta la passione del giovane designer, l’altra vita che avrebbe vissuto, se non avesse dovuto abbandonare la danza.

Racconti Quasi D’amore di Marina Mendes si concentra sulla maglieria concettuale ispirata alla leggenda delle nozze di pietra, mito radicato nella cultura della Croazia, terra natale della giovane designer. La leggenda viene tradotta attraverso un pezzo sculturale e teatrale. Una storia d’amore negata che trasforma la promessa sposa in pietra.

Broken Angel di Rahul Pujar racconta la frammentazione emotiva, attraverso la forza, la sicurezza, la resilienza e la consapevolezza di una rinascita, interpretata con un abito di “morbida corazza”.

Il Filo Del Destino di Cecilia Franchitti ripercorre gli errori e le difficoltá del passato, attraverso una specifica ricerca artistica. L’abito di fili ed intrecci, che sembrano casuali, rappresenta la trama di un futuro meraviglioso.

Fiorire di Costanza Brunelli racconta di un matrimonio che non avverrá mai, di una lunga storia d’amore che si interrompe all’improvviso. Dalle sue ferite nascono fiori, come una primavera che rinasce. Un abito che trasforma la sofferenza in speranza e bellezza.

Canto Dei Miei Natali di Amanda Franzoni riflette sul concetto del tempo, ispirandosi al celebre racconto Canto di Natale di Charles Dickens, e racconta dell’amore familiare e dei momenti in cui la giovane designer è stata più felice, avvolta nell’abbraccio della madre e dei rituali del Natale.

Frammenti D’amore di Domitilla Damiani prende spunto da una vecchia scatola piena di oggetti emozionali, tra cui ricordi, scritti, fotografie, cartoline e una semplice scatola di caramelle, di una donna che non smette mai di credere nell’amore. L’abito è un abbraccio alla vita ed è il risultato dei diversi matrimoni vissuti dalla protagonista della storia.

Delirio Amoroso di Linda Muffatti si ispira a L’Altra Veritá, Diario di una diversa, di Alda Merini. La sofferenza degli anni in manicomio trova rifugio nella poesia e nell’amore. L’abito è la rappresentazione tangibile di questo vissuto.

Aatma Samarpan di Sakshi Oruganti trae ispirazione dalla storia di Romeo e Giulietta e dalla guerriera indiana Jhansi ki Rani. Il capo è una combinazione meticolosa di elementi ritrovati nei costumi di Giulietta – nel film italiano realizzato da Franco Zeffirelli – e nei costumi del protagonista del film Manikarnika.

Il Volo Nuziale di Francesca Sargenti racconta la passione della designer per il rugby e la coesistenza tra questo mondo e quello del knitwear, una fusione dove le due sfere si valorizzano l’una con l’altra.

Dal pugilato a Mare Fuori: la sfida di Artem 

Due occhi azzurri intensi che ti lasciano intravedere purezza e coraggio, la vita di Artem è una vera avventura sin da piccolo; nasce in Ucraina nel 2000 per arrivare da bambino ad Afragola, nell’entroterra napoletano, reduce da una situazione famigliare difficile. Il suo percorso nel cinema inizia quasi per gioco, ma si consolida passo dopo passo fino al successo di Mare Fuori e all’ultima sfida di Pechino Express. Una storia personale quella di Artem, all’insegna dell’indagine interiore e di una grande determinazione, superando i propri limiti alla ricerca di un equilibrio. 

Artem
Total look Sandro

«Mi sono tuffato in questo mondo, nel buio, nel vuoto, e in questo vuoto ho trovato una salvezza e una ricerca interiore»

Quando hai iniziato a pensare che avresti fatto l’attore, o quantomeno che il cinema poteva essere una professione?

Quando ho capito che non è soltanto lavoro, ma è una cosa che sono capace di fare. Mi sono tuffato in questo mondo, nel buio, nel vuoto, e in questo vuoto ho trovato una salvezza e una ricerca interiore. 

E quanti anni avevi quando l’hai capito?

20 anni, durante il Covid. Era il periodo in cui ho lasciato i miei vecchi sogni alle spalle e si stavano aprendo nuove porte e orizzonti.

Da piccolo ti interessava già il cinema? Che passioni avevi?

Da piccolo mi piaceva solo combattere e sognavo di diventare campione del mondo di pugilato. Poi ho capito che ero potenzialmente capace di fare qualsiasi cosa nel momento in cui iniziavo a farla, partendo anche dalle piccole cose. Per esempio, quando lavoravo in autolavaggio, sul cantiere o in una fabbrica, mentre stavo in un posto, mentalmente visualizzavo e capivo cosa fare… ma come te lo spiego? (ride, ndr).

«Mi sforzo di essere la miglior versione di me stesso e di essere un esempio nel quotidiano»

Pensando anche oggi alla situazione dell’Ucraina, che ricordi hai del tuo Paese e delle tue radici?

Sono nato in un villaggio nell’Ucraina centrale. Della mia terra resta tutto, oltre al sangue, e a volte mi manca tantissimo. In questo periodo della mia vita sto sentendo tanta nostalgia e grande dolore per quello che sta succedendo. È passato molto tempo dall’ultima volta che sono stato lì, su quel campo di grano, su quella terra… Nel pensare a tutti i viaggi che mi sono fatto, mi ricordo il cielo dello Sri Lanka, quello del Vietnam. Li ho ben presenti, perché sono un uomo che guarda sempre il cielo. Oggi non riesco a ricordare il cielo dell’Ucraina.

E di Napoli cosa ti piace ancora oggi? Qual è la cosa che ti trattiene?

Gli amici (ride, ndr). Scherzi a parte, a Napoli si può fare davvero molto. È una città, un territorio dove ci sono un sacco di talenti.  Mi sforzo di essere la miglior versione di me stesso e di essere un esempio nel quotidiano. E questo cerco di raggiungerlo restando focalizzato sul posto. Come quando costruisci una casa, c’è un cantiere e tu vai a controllare i lavori. Devi capire cosa stai costruendo. Questo è il motivo che mi fa rimanere a Napoli. Il mio istinto corre verso l’oceano, spinto ad andare nel mondo, però c’è ancora tempo per tutto. E ci sarà il tempo per diventare una celebrità (sorride ancora, ndr).

«Mare Fuori è stata la mia prima vera esperienza professionale e una grande palestra anche di vita. È stata fondamentale come preparazione, perché grazie a questa serie ho scoperto le mie capacità artistiche»

Raccontami del tuo percorso prima di Mare Fuori

La Paranza dei Bambini è stato il mio primo lavoro nel cinema. Mi chiamarono a recitare in questo film di Claudio Giovannesi, basato sul libro di Roberto Saviano, che ha poi vinto un premio al Festival di Berlino e un riconoscimento ai Nastri d’Argento. È stata la mia prima esperienza, che avevo preso quasi come un gioco, anche se è stata importante. L’anno dopo è diventato un lavoro. Però non avevo ancora la consapevolezza, perché ero ancora un ragazzino del quartiere. Non ero ancora maturo. Col passare degli anni si prende consapevolezza di quali sono le cose essenziali della vita, diventando la persona che sei. Quello che sei a casa, lo sei anche nel mondo. È il mio motto. Lavorare su me stesso per poi tuffarsi nel mondo.

Il successo di Mare Fuori è arrivato in modo inaspettato…

Non mi aspettavo proprio niente da Mare Fuori. Credevo anzi sarebbe stata un’esperienza breve e che avrei dovuto chiudere quella porta. Invece non è stato così. Sono partito da non professionista e la serie è stata una bella scuola con un ruolo forte e sensibile allo stesso tempo. Non dobbiamo pensare troppo, dobbiamo agire avendo la consapevolezza che siamo forti in qualsiasi momento della nostra vita. È sempre possibile rialzarci. Mare Fuori è stata la mia prima vera esperienza professionale e una grande palestra anche di vita. È stata fondamentale come preparazione, perché grazie a questa serie ho scoperto le mie capacità artistiche. E poi sono grato a questo progetto e per il mio ruolo che sta andando verso la luce. Sta prendendo consapevolezza e sta maturando. E io questa cosa la percepisco, perché mi accorgo che anche che gli spettatori la percepiscono. 

Total look Tommy Hilfiger
Total look Tommy Hilfiger

«Molti di noi hanno paura di restare soli. Io non dico che bisogna esserlo, però a volte le circostanze della vita ci mettono in queste condizioni. E questa solitudine può essere importante e diventare un punto di forza per prendere la direzione giusta»

Grazie a Mare Fuori è nata una nuova generazione di talenti

Certo, per Napoli in primis è stata una svolta, ma anche per l’Italia in generale. Ci sono tantissimi giovani che stanno emergendo e con una propria visione.

Da Mare Fuori a Pechino Express, come è stato trovarti in questa avventura?

È stata un’esperienza. Quando mi hanno chiamato, per me è stata un’opportunità unica di staccare dal mondo, perché prima di tutto dovevamo stare due mesi, durante tutto il periodo di registrazione del programma, senza il telefono. Quando stai da solo con te stesso chi scopri? Te stesso. E capisci quali sono i tuoi pensieri. Molti di noi hanno paura di restare soli. Io non dico che bisogna esserlo, però a volte le circostanze della vita ci mettono in queste condizioni. E questa solitudine può essere importante e diventare un punto di forza per prendere la direzione giusta, anche nei momenti di ansia e paura che ci sono stati nel programma. 

Artem
Total look Tommy Hilfiger

Credits

Photographer Maddalena Petrosino

Stylist Valeria Papa

Make Up Artist & Hair Stylist Alessandro Joubert

Location Rome Cavalieri Waldorf Astoria

Stella Bossi, il connubio perfetto tra musica e stile

Lontane origini italiane, ma nata e cresciuta a Berlino, Stella Bossi non è solo la regina indiscussa della musica techno nella capitale tedesca, dove è dj resident e personaggio conosciuto per la sua eccentricità, ma è anche ascoltata e richiesta in tutto il mondo. La sua immagine forte e un po’ misteriosa – sempre caratterizzata da scuri occhiali da sole – ha conquistato un’audience internazionale anche tramite i social. Oltre al suo talento, Stella, con un’idea ben precisa di stile e femminilità decisa, è un personaggio poliedrico di cui sentiremo parlare ancora e ancora. Ad oggi non solo impegnata come DJ e producer, Stella sta per lanciare il suo primo brano dove sentiremo la sua voce. L’abbiamo incontrata e scattata proprio nella sua amata Berlino, dove ci ha svelato qualcosa in più…

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Quando hai capito che la musica sarebbe diventata la tua strada?

È difficile rispondere a questa domanda. Ascolto musica da quando ho avuto il mio primo Discman – sempre, tutto il giorno. Non ho mai smesso. Quando ero all’università, i miei compagni di stanza mi facevano notare che ascoltavo costantemente musica. A mia volta mi chiedevo perché loro non ascoltavano musica, visto che erano loro i musicisti. In seguito, ho iniziato a produrre e a fare la DJ insieme a uno dei miei coinquilini, e pian piano mi sono avvicinata all’industria musicale.

Come e dove ti sei formata per diventare DJ e che tipo di musica ami ascoltare nella tua vita quotidiana?

Durante i miei studi ad Amsterdam. Nel mio appartamento d’artista, tutti erano musicisti, così ho iniziato a fare la DJ. In pratica, ascolto tutti i tipi di musica. Non conosco limiti e sono sempre alla ricerca di nuovi brani, generi, ecc.

Stella Bossi
Biker jacket & body Just Cavalli, collant Wolford, sunglasses Balenciaga by Kering
Biker jacket & body Just Cavalli, collant Wolford, sunglasses Balenciaga by Kering
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Sei un’acclamata DJ e anche produttrice musicale. Parlaci dei tuoi nuovi progetti…

Di recente ho lavorato molto in studio per pubblicare nuova musica. In particolare un brano, a cui ho lavorato per più di tre anni, che mi sta molto a cuore. In questo singolo, la mia voce si sentirà per la prima volta. L’uscita è prevista a giugno. Sarà una cosa pazzesca!

Berlino è la capitale della musica techno e della cultura dei club. Come ti sembra la città?

Incredibile! Amo la sua energia, la musica e la gente. Berlino è la mia casa.

Quanto Berlino influenza la tua musica? E quali sono i tuoi luoghi preferiti in giro per questa città?

Frequento i club techno da quando avevo 15 anni, quindi direi che la scena dei club berlinesi mi ha sicuramente influenzata, non solo musicalmente parlando. I miei preferiti sono il Kit Kat Club e Sisyphos.

Stella bossi
Trench Max&Co., jewels Bernard Delettrez

Stai viaggiando in tutto il mondo. Hai dei ricordi speciali per quanto riguarda le città in cui sei stata e i tuoi vari DJ set?

Quando la musica e le persone si uniscono, allora si creano momenti speciali. Che sia con persone nude al Kit Kat Club di Berlino o con raver scatenati in Brasile, fino a Milano al party con Patrizia Pepe durante la Fashion Week… l’energia si crea ovunque, dando vita a momenti incredibilmente belli.

Quando viaggi, quali sono i tuoi capi essenziali e i tuoi must have?

Occhiali da sole, crema solare e cappello da sole. Io fuggo sempre dall’inverno (ride, ndr).

Stella Bossi
Total look Patrizia Pepe, sunglasses Gucci by Kering

Hai un’immagine molto forte anche sui social media. Qual è il tuo rapporto con la moda? E quanto il tuo look riflette la tua personalità?

Amo la moda. Da piccola, a scuola, dovevo indossare ogni giorno un copricapo diverso. Cappelli, berretti o sciarpe, purché fosse un copricapo nuovo. Quando abbiamo avuto il nostro primo computer a casa, i primi siti web che ho visitato erano tutti di moda. Ho sempre amato e vissuto la moda, che esprime al 100% la mia personalità. Il modo in cui mi sento si riflette molto nel modo in cui mi vesto. E mi piace trasmettere messaggi, talvolta forti, anche tramite i social.

Stella Bossi
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Stella Bossi
Total look Max&Co., shoes Hogan, jewels Bernard Delettrez
Stella Bossi
 Total look Patrizia Pepe, sunglasses Alaïa by Kering
Total look Patrizia Pepe, sunglasses Gucci by Kering
Total look Patrizia Pepe, sunglasses Gucci by Kering


Credits

Photographer Alexander Fischer

Stylist Stefania Sciortino

Make up artist & Hairstylist Darja Crainiucenco using Pat Mcgrath & Byredo

Videomaker Luciano doria

Photographer Assistant Jonas Siegmund

Stylist Assistant Chiara Carrubba

Make Up Artist & Hairstylist Assistant Kathrin Hieselmayr

Videomaker Assistant George Johnson

Location Klub Maison

Cinema nel DNA, la passione di Caterina De Angelis

Classe 2001, Caterina De Angelis somiglia davvero molto per il sorriso contagioso e l’autoironia alla mamma Margherita Buy. Dal papà, Renato De Angelis, noto chirurgo romano, ha ereditato l’amore per gli animali e in particolare per i cani. La sua passione l’ha portata prima in Inghilterra a studiare scienze cinematografiche all’Università di Exeter e poi all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. L’abbiamo già vista nella parte della figlia di Carlo Verdone in Vita da Carlo e in Volare, il film d’esordio alla regia della madre. Caterina ha ampiamente dimostrato il suo talento, superando la diffidenza di essere figlia d’arte; il suo percorso è un bell’esempio per tutti i giovani aspiranti attori, oltre che dimostrazione di come la passione possa trasformarsi in una professione grazie alle proprie capacità e alla perseveranza.

Caterina De Angelis
Top Maison Nencioni, pants Alessandro Vigilante, bag Borbonese, shoes stylist’s own

«Piano piano mi sono innamorata di questo mondo, che era sempre stato un po’ dietro l’angolo, ma che avevo sempre ignorato»

Raccontami la tua esperienza a Londra…

Inizialmente non volevo fare cinema in nessun modo, quindi mi sono iscritta all’Università di Exeter per studiare Letteratura Inglese, che è sempre stata una mia passione. Durante i corsi, però, ho iniziato a integrare materie inerenti al cinema e alla cinematografia. Piano piano mi sono innamorata di questo mondo, che era sempre stato un po’ dietro l’angolo, ma che avevo sempre ignorato. Senza avvertire i miei genitori, ho modificato il mio percorso di studi, focalizzandomi solo sul cinema, e mi sono laureata in cinematografia.

Con l’arrivo del Covid, non ho più voluto vivere a Exeter, una cittadina molto piccola, quindi mi sono trasferita a Londra per continuare l’università da remoto, spostandomi ogni tanto per frequentare le lezioni in presenza. Vivere a Londra è stata un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di seguire le mie passioni, dall’andare a musei e mostre fino al cinema.

Come è nata l’opportunità con Carlo Verdone?

È nata in maniera completamente casuale. Tutto è partito grazie a delle foto per una copertina con Vanity Fair, che poi è stata notata e da lì mi hanno chiamata per un cortometraggio. Da quel corto mi hanno visto Muccino e Verdone, che hanno pensato fosse interessante provinarmi per la serie, senza che, tra l’altro, sapessero minimamente chi io fossi. A un certo punto mi chiamò Laura Muccino, dicendomi: “Abbiamo visto il tuo cortometraggio, se vuoi venire a fare il provino, è aperto”. Durante il Covid ho quindi mandato il self-tape e ho iniziato a fare diversi provini quando alla fine mi hanno detto: “Guarda, ti facciamo incontrare Carlo”. Dopo l’ultimo provino su Skype con Carlo Verdone e Antonio Bannò, alla fine mi comunicano di avermi presa. È stata una grandissima emozione. E nel festeggiare dico a Carlo: “Ti ricordi di me?” E lui mi ha risposto, cito testualmente, “chi cazzo sei, no?“. Quando gli ho rivelato chi fossi, lui è rimasto di sasso, perché si ricordava di me, timida e silenziosa, quando avevo sei o sette anni. 

Total look Tod’s

«Questa esperienza è stata per me un disastro in senso positivo però, perché adesso ogni set in cui lavorerò sarà un incubo rispetto a “Vita da Carlo”»

Cosa ti ha lasciato questa esperienza che continua con successo da diverse stagioni?

Adesso abbiamo girato la terza stagione. Questa esperienza è stata per me un disastro in senso positivo però, perché adesso ogni set in cui lavorerò sarà un incubo rispetto a Vita da Carlo. Lì si è creato un senso di famiglia, che è una cosa banale da dire, ma è proprio vera. Abbiamo fatto trasferte, condiviso molto e lavorato. In tre anni siamo cresciuti insieme. Con gli attori si è creato un legame speciale. Con Carlo c’è una grandissima stima, ed è stato il mio maestro e una persona molto importante per me, colui che mi ha dato l’opportunità di iniziare a recitare. Un mestiere che spero di fare per tutta la vita. Si è creata questa situazione meravigliosa di cui sono terrorizzata, anche di arrivare alla fine di questo percorso.

Dalla paura di un inevitabile confronto con tua mamma (Margherita Buy) alla fine sei finita nel film con lei.

È stata una scelta che abbiamo preso insieme e di proposito, perché abbiamo pensato: “Tanto ne parleranno sempre, qualunque cosa facciamo…”. Poi, per fortuna, io ho avuto molte soddisfazioni iniziando questo lavoro, per cui anzi, le persone si sono dimostrate migliori di quello che pensavo. Non ho mai avuto grandi critiche, non ho mai avuto grandi no, è tutto andato abbastanza bene. Chi ha lavorato con me, penso si sia reso conto che sento vera passione ed è un lavoro che affronto con grande serietà. Visto che si trattava del suo primo film, perché privarci anche del divertimento di farlo insieme? Dato che era un’idea che avevamo avuto più o meno insieme e parlava di un tema che stavamo vivendo in quel momento, sarebbe stato sciocco non farlo, superando la paura del giudizio degli altri.

Total look Alexander Mcqueen, earrings Coin
Total look Alexander Mcqueen, earrings Coin

«È stato il traguardo più importante della mia carriera fino ad ora»

Avete superato un preconcetto. E il film è stato una sorpresa per tutti…

È stato molto bello perché ha fatto uscire un lato di mia madre e del suo carattere che non si era visto fino ad oggi. C’è anche una sorta di leggerezza nel film in cui lei parla di sé, che si auto prende in giro. È stato diverso e penso abbia sorpreso molti. 

L’Accademia è stata una grande scommessa per te, un luogo che hai sempre sognato di frequentare…

Per me è stato il traguardo più importante della mia carriera fino ad ora. Onestamente, è la cosa a cui tengo di più, e ha rappresentato la vera dimostrazione di poter fare questo lavoro. È un luogo dove abbandoni le costruzioni di questo mondo e a nessuno interessa di chi sei figlio o come sei fatto esteticamente. L’Accademia è un posto meritocratico, dove ottieni risultati in base a quanto lavori, studi e ti applichi. Per me è stato un grandissimo insegnamento di vita e lo è tuttora.

Total look Gucci
Total look Gucci

«Quando si sceglie questo lavoro è perché, secondo me, c’è qualcosa di primordiale dentro di te fin da piccolo, che poi si perde se non viene alimentato dalle persone giuste»

E nell’ambiente dell’Accademia quali sono le figure, ad esempio tra i docenti, che ti hanno influenzato?

Recentemente ho avuto un docente che per me è stato rivoluzionario: Roberto Romei. È un genio, una persona incredibile che ha lavorato tanto all’estero e ora lavora a Barcellona. È stata una grande figura di riferimento per me e per tutta la mia classe. Ci ha uniti tantissimo, creando un legame forte tra di noi e accendendo la voglia di fare questo mestiere. Quando si sceglie questo lavoro è perché, secondo me, c’è qualcosa di primordiale dentro di te fin da piccolo, che poi si perde se non viene alimentato dalle persone giuste. Lui è stato una persona giusta in questo: ci ha fatto tornare bambini con la voglia di tornare sul palco, vestirci come dei cretini e divertirci veramente tanto.

Quali sono i prossimi progetti su cui stai lavorando?

A breve inizio a girare un film con il regista e produttore Luca Lucini. È un progetto interessante dove avrò un ruolo di antagonista per cambiare…

Total look Blazé, shoes Casadei
Total look Blazé, shoes Casadei

Crediti team

Photographer Maddalena Petrosino

Stylist Valeria Papa

Make up artist & hair stylist Alessandro Joubert

Location Rome Cavalieri Waldorf Astoria

Il talento eclettico di Alessandro Egger

Da una carriera come modello alla televisione e cinema passando per la musica, Alessandro Egger è riuscito a coniugare le sue passioni, mantenendo la stessa spontaneità e voglia di approfondire. In concomitanza con l’uscita del suo nuovo film, Majonezë, abbiamo ripercorso con lui le tappe salienti del percorso che lo ha visto protagonista.

«La recitazione è stata per me una vera e propria chiamata. Poi nel tempo ho deciso di approfondire alcune passioni e ho sperimentato diverse sfaccettature, per esempio nel mondo della musica»

Dal modello all’attore, come riesci a tenere insieme tutte queste anime?

Sinceramente mi viene molto naturale. Non vado alla ricerca di situazioni diverse, sono cose che mi arrivano da un giorno all’altro e mi viene voglia di approfondire, soprattutto quelle nuove. Il cinema è stata la prima esperienza che ho voluto fare da piccolo; la recitazione è stata per me una vera e propria chiamata. Poi nel tempo ho deciso di approfondire alcune passioni e ho sperimentato diverse sfaccettature, per esempio nel mondo della musica. Nel mettermi alla prova come dj, è stata fondamentale la mia esperienza nell’ascoltare tanta musica, moltissimi pezzi diversi. Mi sono un po’ ingegnato e ho iniziato a dedicarmi al dj set.

E poi, quando avevo ventidue anni, è arrivata la moda. Non l’ho richiesta, l’ho accettata come qualcosa che ti capita di bello nella vita. Per me rappresentava una completa novità, non ne sapevo nulla e quindi mi sono buttato. Mi sono detto “Vediamo come va”, un po’ come in tutto quello che mi capita… come Instagram, creare contenuti e tante altre cose diverse a cui mi dedico che magari non c’entrano nulla l’una con l’altra.

Alessandro Egger a proposito di Majonezë, il nuovo film che lo vede protagonista: «Il mio personaggio, molto introspettivo ed emotivo, è serbo, proprio come me»

Nel cinema quali sono le esperienze che ti hanno fatto crescere e dato anche una spinta nella tua carriera?

Durante la pandemia, avendo molto tempo a disposizione, ho ripreso a leggere sceneggiature e a fare provini tramite dei self-tape. Ed è proprio in questo modo che mi hanno selezionato per una parte in House of Gucci. Un’esperienza incredibile stare sul set con Adam Driver e parlare con Ridley Scott. Anche se la mia non è stata una parte da protagonista, ero sul set con uno tra i migliori registi al mondo a dirigermi. La mia filosofia è sempre stata un po’ questa: non esiste un piccolo ruolo, ma un piccolo attore. Da ogni ruolo, anche se minuscolo, si può tirar fuori qualcosa di gigante. E così è stato per House of Gucci. Subito dopo ho preso parte in questa serie con Marco Bocci (il protagonista della narrazione), che è stato candidato agli Oscar. E poi è arrivato Majonezë che ho appena finito di girare, dove ho il mio primo ruolo da protagonista.

Jacket and pants Agolde
Jacket and pants Agolde

Questi progetti, uno dietro l’altro, sono stati molto importanti, ma per l’ultimo, essendo io in veste di protagonista, ho lavorato in modo profondo sulla costruzione del personaggio e il tutto mi ha cambiato tantissimo. Anche da un punto di vista estetico. Mi sono dovuto rasare i capelli: può sembrare una cosa minuscola, ma il fatto di cambiare totalmente look, da biondo platino a rasato, fa vedere tutto da un’altra prospettiva. Impari anche a essere molto più semplice.

Questo cambiamento mi ha un po’ fatto riabbracciare la mia essenza e mi ha fatto scoprire aspetti di semplicità che avevo dimenticato. In più il mio personaggio, molto introspettivo ed emotivo, è serbo, proprio come me. Questo ruolo è stato cercato in tutta Italia; la produzione inizialmente aveva già un protagonista che però è saltato a un mese di distanza dall’inizio delle riprese. Mi sono ritrovato a fare un casting internazionale, con lo stesso ufficio casting che mi aveva quasi preso per un ruolo grandissimo, poi caduto, con Anthony Hopkins.

Alessandro Egger
Total look Mordecai

È stata una casualità incredibile perché il casting stava cercando un serbo in tutta Italia. Ho da sempre voluto interpretare un ruolo nella mia lingua madre. Il mio personaggio è un ragazzo molto duro, abituato a essere forte, anche grazie alla sua imponenza fisica. Però, allo stesso tempo, si dimostra anche molto sensibile. Calarmi nei suoi panni mi ha permesso di fare un vero e proprio lavoro su me stesso, una sorta di auto-terapia, e la regista è stata in grado di tirare fuori tutta la mia essenza.

«Ci sono tante scene forti. C’è quella forte emotivamente; quella forte e privata, intima; quella forte e aggressiva con il mio miglior amico»

Qual è la scena del film che secondo te è più forte?

Ce ne sono tante e sono tutte forti in diversi aspetti. C’è quella forte emotivamente; quella forte e privata, intima; quella forte e aggressiva con il mio miglior amico; quella fortissima di rabbia interpersonale mia, dove sono io e basta. Tra le scene più intense, sicuramente c’è quella con la ragazza, anche se dura non tantissimo, perché la regista ha voluto concentrarsi non sull’atto fisico, ma sul dopo. La scena più forte in assoluto, però, penso sia quella con il mio miglior amico; un momento in cui si assiste a due uomini dalla stazza fisica imponente, tutti tatuati, proprio maschi.

Quanto tempo ti ha preso la produzione?

Ho girato due settimane. Era tutto serrato, con ritmi veramente molto forti. Mi sono dedicato alla preparazione del personaggio per altre due settimane, quindi un mese di full immersion. Nella serie invece il tutto si è svolto in sei mesi. Poi, dopo la serie, c’è stato Ballando con le stelle.

Alessandro Egger
Total look Laneus

Alessandro Egger: «Ci troviamo a interpretare talmente tanti ruoli, alla fine chi siamo veramente?»

E Ballando cosa ti ha lasciato?

Lì ho capito un po’ come funziona la tv live. Non è come la tv normale, è un’altra cosa. La tv dal vivo ti mette un certo tipo di pressione, che è molto amplificata. È stata una grande scuola e soprattutto ho imparato a ballare. Ho studiato con il mio corpo, che non è una cosa da poco, e ho via via conquistato una buona dose di confidenza. Per un attore è importante anche saper ballare; attraverso un’interpretazione, che io pensavo fosse quella giusta, sono riuscito a valorizzare le performance. Anche con delle piccole sfumature.

La sensibilità di un attore porta a voler a tutti i costi fare uno spettacolo: non si vuole solamente mostrare l’aspetto tecnico per portare a casa il voto. Quando mi esibivo, mi immedesimavo in una vera e propria rappresentazione teatrale. La volevo far bene a livello di costumi, interpretazione, ballo, passi… tutto insomma. Quello mi ha dato una botta nella vita privata, perché comunque non esisti più per cinque mesi. A posteriori, mi sono reso conto di essermi proprio teletrasportato in quell’esperienza. Poi un giorno mi sono svegliato e tutto è finito. Ti guardi intorno e vedi che il mondo è andato avanti. Tutti si sono fatti anche un’opinione di te che tu neanche ti immagini.

Alessandro Egger
Total look Boss

Subito dopo mi si è presentata un’altra importante occasione e sono andato a Sanremo. In seguito sono stato scelto per il programma di Serena Bortone Oggi è un altro giorno, fino a giugno. Poi c’è stata l’estate e ho iniziato a girare il film (e di mezzo c’era anche la moda)… Ci troviamo a interpretare talmente tanti ruoli, alla fine chi siamo veramente? Basta un tocco per cambiare tutto.

Come vedi il tuo futuro in questa alternanza tra cinema e musica?

Secondo me questa è un po’ la chiave per tenere tutto insieme. Fare un po’ tutto. Mantenere il cervello impegnato con diversi stimoli. Perché se no, se ti dedichi solamente a una cosa, diventi monotono.

Credits

Photographer: Riccardo Lancia

Stylist: Arianna Zanetti

Producer: Jessica Lovato

Videomaker: Valentina Gilardoni

Backstage video: Irene Vesentini

Make-up: Revlon

Hair: American Crew

Stylist assistants: Giulia Sangaletti, Martina Santesi

Videomaker assistant: Luca Zito

Location: Hotel Hilton Milan

ME Fashion Award: a Messina incoronati i vincitori della II edizione

Messina celebra la moda e una nuova generazione di talenti con il ME Fashion Award, un progetto arrivato alla seconda edizione, che vuole sostenere una nuova generazione di designer e alcune realtà a volte meno note che lavorano sul territorio e nell’innovazione. Il premio – ideato da Patrizia Casale, giornalista impegnata anche nella promozione dei grandi eventi – è stato organizzato con il Comune di Messina e con il patrocinio di Camera Nazionale della Moda Italiana, Camera di Commercio, Confartigianato e Sicindustria.

La serata evento si è tenuta al Palacultura ed è stata condotta da Jo Squillo che, insieme alle giornaliste televisive Mariella Milani e Paola Cacianti, ha ricordato lo stilista Roberto Cavalli, uno dei grandi nomi del Made In Italy recentemente scomparso.

Vincitori ME Fashion Award
ME Fashion Award, la premiazione dei vincitori

ME Fahion Award: riconoscimenti speciali ai vincitori Marco De Vincenzo, Cristian Boaro e Sara Sozzani Maino

E proprio nel segno di una nuova generazione di designer italiani è stato premiato Marco De Vincenzo. Messinese, Creative Director di Etro e Leather Goods Head Designer di Fendi, ha annunciato l’avvio di un progetto creativo che coinvolgerà la città di Messina. «Ho nel cuore una città che non è facile raccontare – ha affermato sul palco – sono qui per far capire che anche Messina può fare moda ad alti livelli».

Altro protagonista della new wave italiana ad essere premiato è stato Cristian Boaro, cresciuto nelle grandi firme quali Versace, Dolce & Gabbana, Gianfranco Ferrè. Con il suo brand CHB è stato precursore di una moda “fluida” in grado di ribaltare regole e consuetudini, vestendo tantissimi personaggi della musica e del cinema. Lo stesso Boaro è stato protagonista, insieme a Sara Sozzani Maino, di un workshop aperto ai giovani delle Accademie di Arte e Moda, che hanno potuto mostrare i propri portfoli.

E proprio per riconoscere il supporto a questa nuova generazione è stata premiata Sara Sozzani Maino, direttrice creativa della Fondazione Sozzani e International New Talent and Brands Ambassador di Camera Nazionale della Moda Italiana. Sozzani Maino ha anche partecipato a un bellissimo incontro con gli allievi del liceo artistico Basile di Messina, dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria e dell’IIS Jaci di Messina.

I vincitori Diego Dolcini, Mariella Milani e Balestra

Non sono poi mancati premi a personalità come Diego Dolcini, le cui scarpe sono state indossate da tante dive quali Julia Roberts, Charlize Theron, Monica Bellucci e Madonna. E nel campo della comunicazione, la scrittrice e critica di moda Mariella Milani è stata premiata con il ME Fashion Award alla carriera. Dopo aver raccontato qualche aneddoto tratto dal suo libro Fashion confidential, l’autrice ha rivolto un messaggio ai giovani con l’augurio che possano scrivere nuove pagine di moda e inventare nuovi stili.

Tra un premio e l’altro, si sono alternati diversi quadri moda tra i quali è spiccato il fashion show di Balestra. La direttrice creativa del marchio Sofia Bertolli Balestra ha presentato a Messina il nuovo percorso del brand, un omaggio a Renato Balestra, l’indimenticato couturier che ha contribuito all’affermazione del Made in Italy grazie al suo inimitabile “Blu Balestra”.

Un inno al sostenibile tra tessuti rivoluzionari e pezzi cruelty-free

Tema centrale anche quello della sostenibilità e dell’innovazione. A proposito, il ME Fashion Award ha premiato l’innovazione gentile di Miomojo, che produce accessori cruelty-free di lusso realizzati con materiali all’avanguardia. Ne è un esempio il rivoluzionario tessuto spalmato, creato dai sottoprodotti di arance, realizzato dalla startup siciliana Ohoskin; anch’essa insignita del riconoscimento con la rappresentanza di Claudia Pievani, Giuditta Cusuni per Miomojo ed Erika Antoci per Ohokin.

Il finale si è arricchito con le creazioni di alta moda ad opera del designer siciliano Giovanni Cannistrà che, oltre al ME Fashion Award, ha ricevuto anche il premio speciale Confartigianato Messina. ME Fashion Award anche a Luca Pollini, autore del libro dedicato ad Elio Fiorucci, l’uomo che liberò la moda; e a Beppe Angiolini, presidente onorario di CBI, la Camera Buyer Italia, che ha contribuito con la sua attività a lanciare in Italia e nel mondo tantissimi brand di successo. Un evento che, già alla seconda edizione, si è arricchito di nomi importanti; un premio che vuole riconoscere e valorizzare talentuosi designer e chi lavora per diffondere una cultura della moda sempre più responsabile.

Vincitori ME Fashion Award
Giovanni Cannistrà, tra i vincitori del progetto ME Fashion Award

MOSTRA DUCATI: TECNOLOGIA E ARTE SFRECCIANO AL FUORISALONE 2024

Tra eventi, installazioni e collaborazioni inedite, la settimana milanese dedicata alla cultura del design e alle sue molteplici sfere di contatto prosegue con successo. Molti gli appuntamenti irrinunciabili serviti da questa ventunesima edizione del Fuorisalone, uno scenario miscellaneo all’insegna di cultura, creatività e bellezza.

In occasione della Milano Design Week 2024, il prestigioso Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci ospita un’innovativa iniziativa che si muove tra passato, presente e futuro. Forma – Feelings designed by Ducati in Borgo Panigale, una mostra articolata in sette tappe, offre al pubblico un autentico viaggio nel percorso stilistico della Panigale V4, la punta di diamante della celebre casa motociclistica italiana.

Ducati Fuorisalone 2024
La mostra Forma – Feelings designed by Ducati in Borgo Panigale al Fuorisalone 2024

Attraverso questa esposizione, Ducati si propone di coinvolgere non solo gli appassionati del marchio, i ducatisti, ma anche un pubblico più ampio, con un progetto ambizioso, curato nei dettagli. Un’idea capace di narrare una storia quasi centenaria dove la passione incontra lo stile, incentrandosi su design e performance.

Al Fuorisalone 2024, un viaggio alla scoperta della moto Ducati

La Panigale V4, icona supersportiva della gamma di Borgo Panigale, è il fulcro di una narrazione dettagliata sul processo di sviluppo dei prodotti Ducati, oggetti del desiderio da generazioni. All’interno della mostra, vengono ripercorsi i passaggi salienti del suo iter di realizzazione; il tutto in un’ottica di puro dualismo tra tecnologia e bellezza, elementi fondamentali che contraddistinguono lo storico marchio bolognese.

«Ogni prodotto Ducati vede applicati diversi valori per noi assolutamente imprescindibili. Le nostre moto devono presentare un design essenziale, un corpo in cui ciascun elemento ricopre una funzione precisa. Poi altra caratteristica distintiva è l’autenticità; se per esempio una parte della moto è in color magnesio, allora quella parte dovrà essere realizzata in magnesio». Così spiega Stefano Tarabusi, Design Manager Ducati.

«Immancabili sono poi sensualità e sportività. Se il design è veramente efficace, allora, di fronte a una Ducati, la persona sentirà la necessità di toccarla. E questo è ben visibile soprattutto durante le fiere in cui esponiamo i nostri prodotti. Allo stesso tempo, l’azienda vede la corsa incisa nel proprio DNA: ogni moto, la Panigale in primis ma non solo, riporta elementi dal forte dinamismo, che rimandano immediatamente all’ambiente del circuito».

Come nasce una moto da corsa: le tappe del percorso espositivo Ducati

L’itinerario allestito presso il museo milanese si apre con uno spazio dedicato al “Brief”, un documento in cui si espongono concettualmente i vari parametri e caratteristiche che la moto dovrà presentare. A seguire si entra nel vivo del primo step del processo di sviluppo Ducati, una fase creativa in cui realizzare moodboard e condividere idee. Qui la moto non è ancora pienamente e concretamente visibile; l’obiettivo consiste nel mettere nero su bianco un concetto astratto, una sensazione che il prodotto dovrà poi restituire.

Si prosegue quindi nella visita, scoprendo la famosa casa motociclistica e le tappe successive che si nascondono dietro ogni suo veicolo. Spiega ancora Stefano Tarabusi: «A partire dai moodboard si passa poi al disegno dei bozzetti. All’interno della mostra, il visitatore ne potrà ammirare diversi, vere piccole opere d’arte. Questi non sono mai puramente astratti ma si sviluppano sempre a partire da una base tecnica ragionevole. Solo così sarà poi possibile tradurre quanto disegnato in realtà».

Panigale V4
Il modello iconico Panigale V4, protagonista della mostra

Nel vivo del processo di sviluppo stile Ducati, alla ricerca del design perfetto

Avvicinandosi alla conclusione dell’esposizione, le ultime tappe del processo di sviluppo stile includono la realizzazione di diversi modelli, utili a verificare proporzioni e design del veicolo. In primis si crea il cosiddetto “Clay Model”, un prototipo realizzato con un materiale simile all’argilla, duro a temperatura ambiente e malleabile se riscaldato. Ma perché questo step è così importante? Semplice: esso restituisce un’immagine precisa riguardo come apparirà il design della moto finita, sottolineando ogni minima linea, curvatura o spigolo.

Seguono il “Master Model”, realizzato in una particolare tonalità di grigio neutro che permette di capire come la luce incide sulla superficie della moto, e il “Clinic Model”, che solo apparentemente sembra un veicolo finito. Esso, infatti, realizzato con del materiale duro, vuole essere un prototipo di riferimento: la moto ultimata dovrà rispecchiare esattamente l’estetica di questo modello.

Ducati al Fuorisalone 2024
Ducati al Fuorisalone 2024

Al Fuorisalone 2024, Ducati celebra la sua vera essenza tra tecnologia e bellezza

Forma – Feelings designed by Ducati in Borgo Panigale rende omaggio non solo a un marchio famoso in tutto il mondo. L’obiettivo espositivo consiste infatti nel sottolineare come bellezza, arte e tecnologia possano coesistere in un medesimo progetto, dialogare reciprocamente e restituire un prodotto finale straordinario.  Ducati ne è l’esempio lampante, rimanendo da un lato strettamente ancorato al bello del Made in Italy, fatto di linee morbide e armoniose, dall’altro proiettato verso il futuro e l’innovazione continua.

«Crediamo che il nostro futuro come azienda sia fatto di un mix tra tecnologia e ricerca artistica, legata soprattutto al periodo rinascimentale», afferma l’amministratore delegato Ducati Claudio Domenicali. «Vogliamo mostrare il nostro attaccamento alla bellezza e all’arte, che di fatto è l’elemento distintivo delle marche del Made in Italy. E non a caso oggi ci troviamo nel Museo della Scienza dedicato a Leonardo, con l’intento di mettere in luce un dualismo preciso: quello tra arte e scienza che ben si allinea alla vision del brand Ducati».

Ducati al Fuorisalone 2024
Ducati al Fuorisalone 2024

Le nuove frontiere dell’hospitality: Daniele Lassalandra e l’hotel Valadier a Roma

Dall’Hotellerie alla ristorazione, come sta evolvendo il mondo dell’hospitality e cosa significa pensare oggi a una luxury experience? Ne abbiamo parlato con Daniele Lassalandra, imprenditore del settore, che nel suo Hotel Valadier ha da sempre puntato sulla qualità dei servizi e su un’ampia proposta alberghiera e ristorativa, cogliendo le giuste opportunità. Oggi l’hotel di famiglia nel cuore di Roma si è arricchito di due format speciali di ristorazione, confermando le intuizioni di Daniele, che sta conquistando la Capitale con le sue proposte non convenzionali e sempre ricercate.

L’imprenditore Daniele Lassalandra

Daniele Lassalandra parla del nuovo concetto di ospitalità all’Hotel Valadier: «Il cliente non vuole solo una location esclusiva o un piatto ben riuscito. Vuole essere accolto e non sentirsi un numero»

Parlando di settore dell’ospitalità oggi, a che punto siamo secondo te?

A mio parere stiamo un po’ tornando alle origini, all’ospitalità di una volta. È importante offrire a tutti i clienti, italiani e stranieri indistintamente, un’esperienza da ricordare. Il vero lusso oggi è il tempo e come esso viene investito. Pertanto occorre fornire un’ampia proposta alberghiera e ristorativa in un unico luogo, puntando sull’alta qualità dei servizi proposti e investendo su figure professionali qualificate.

Si parla molto di ristorazione all’interno di contesti alberghieri. Cosa pensi a riguardo?

La clientela ricerca sempre più strutture che siano all’interno di alberghi perché essi rappresentano una garanzia di qualità. In un unico luogo possono accedere a servizi superiori rispetto ai classici ristoranti su strada.

E parlando proprio di locali meravigliosi, di cui Roma pullula, ti chiedo: cosa rappresenta per te il lusso?

Attualmente il lusso sembra aver perso l’aspetto più interessante: il rapporto umano. Il cliente non vuole solo una location esclusiva o un piatto ben riuscito, equilibrato nei sapori ed esaltato dalla scelta della materia prima. Vuole essere accolto e non sentirsi un numero. Come puoi affermare di aver vissuto un’esperienza straordinaria se sei stato trattato come uno dei tanti? Il lavoro che io cerco di fare come imprenditore e titolare d’azienda è raccontare ai miei manager l’importanza del rapporto one to one con il cliente. È fondamentale costruire un dialogo continuo tra la struttura e gli ospiti perché le persone hanno sempre più bisogno di essere guidate e considerate. Questo è il lusso: la cura della persona.

«L’Hotel Valadier è un luogo divertente che stupisce con il cibo, la musica, le persone, la posizione e la vista su Roma»

Da quello che mi stai dicendo capisco che per te sia molto importante dare un’anima ai posti.

L’Hotel Valadier è fatto da persone che lavorano con passione ed è un luogo divertente che stupisce con il cibo, la musica, le persone, la posizione, la vista su Roma che si gode dai nostri rooftop. Se così non fosse saremmo qui a parlare semplicemente di un hotel come tanti altri. E noi non lo siamo.

L’Hotel Valadier è un hotel particolare infatti, impossibile annoiarsi qui…

La posizione strategica dell’hotel (tra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo) ci rende il punto di partenza ideale per scoprire Roma e le sue meraviglie. A caratterizzarci è la poliedricità delle proposte di intrattenimento e di ristorazione in un unico luogo. Dalle 10 alle 2 di notte, qui tutto può accadere. Il cliente può decidere di cenare su due rooftop attigui con due proposte diverse. Uno è l’Hi-Res, il secondo è Moon Asian Bar.

L’High Restaurant si caratterizza per lo stile contemporaneo del design e per una cucina che punta molto sul concetto di romanità reinterpretata dal nostro chef. Il menu si basa su un giusto bilanciamento di piatti di terra e di mare accompagnati dai cocktail della bar manager che firma anche la drink list di Moon Asian Bar. Parliamo dell’izakaya contemporaneo dell’Hotel Valadier, che promuove un nuovo concetto di fusion tra culture e sapori d’Oriente. Interessanti le proposte in carta come il nigiri con wagyu, tuna e gambero rosso; uramaki tonno, cavolo viola marinato o salmone con zest di arancia candita e polvere di campari; bao con astice o pulled fungo cardoncello; yakitori di polpo, maiale, pollo e melanzana.

Agli amanti del jazz è infine dedicato il Valentyne Restaurant & Club, un luogo senza tempo dall’incredibile fascino, con marmi pregiati, specchi, boiserie e parquet d’epoca. Qui si punta su un’offerta gastronomica di livello e originale. In cucina lo chef si diverte a creare interessanti piatti come tacos di astice e salumi stagionati di mare. Punto di forza del locale una signature cocktail list di gran livello e l’intrattenimento musicale di gruppi swing dal martedì alla domenica. A sorprendere il cliente, infine, la hall dell’albergo che di notte si trasforma in uno dei pianobar più conosciuti della Capitale. Piccolo per dimensione, ma di grande prestigio, il locale da più di vent’anni infiamma il pubblico con la musica live fino a notte inoltrata. Intorno al pianoforte le serate si animano e il divertimento è assicurato.

«Mangiare bene significa saper scegliere alimenti genuini ed etici nel pieno rispetto delle relazioni umane, della natura e della stagionalità dei prodotti»

Il 2024 è partito con una nuova attività ristorativa. Vuoi raccontarcela?

Ritengo che oggi la gente sia più consapevole di ciò che mangia perchè si documenta, legge, viaggia ed è curiosa di sapere cosa trova nel piatto, da dove viene un particolare ingrediente e chi è il produttore. Mangiare bene significa saper scegliere alimenti genuini ed etici nel pieno rispetto delle relazioni umane, della natura e della stagionalità dei prodotti.

A questo pubblico di appassionati di gastronomia è dedicato il Brillo, un progetto che punta ancor più sulla ricerca di prodotti locali e del territorio nazionale, offrendo la possibilità di acquistare gli ingredienti dei piatti degustati a pranzo o a cena direttamente dal banco e nell’angolo Goods. L’accurata selezione di formaggi e salumi provenienti da aziende agricole regionali e nazionali, i prodotti da forno realizzati internamente dialogano costantemente con la cucina del ristorante, che propone piatti tipici romani e della tradizione italiana.

A questo punto dell’intervista ti chiederei di darci una vera dichiarazione in stile Daniele Lassalandra. Come ti definiresti?

Mi reputo una persona con un modo di pensare non convenzionale. Intuito e conoscenza del proprio settore sono indispensabili per intercettare i bisogni del mercato. Ho imparato che, se qualcosa non funziona, bisogna avere il coraggio di modificarla senza legarsi orgogliosamente a un’idea.

Ready to party? Le proposte moda di Raffaello Network per le feste di Capodanno

Se siete in cerca di look per le feste di Capodanno e non solo, su Raffaello Network trovate oltre 150 designer, tra aziende Made in Italy e brand come Valentino, Gucci, Dsquared, Versace, Tod’s e Armani, insieme a importanti marchi internazionali come Dior, Paco Rabanne e Balmain, tanto per citarne alcuni.

Non solo collezioni delle ultime stagioni, ma anche una sezione outlet dove trovare abiti e accessori per lei e per lui a prezzi ridotti senza rinunciare alla tua marca preferita. Tra le sezioni aggiunte di recente è quella all’abbigliamento per bambini, che offre una vasta gamma di articoli nuovi per i più piccoli, oltre quelle dedicate all’intimo e ai costumi da bagno con un’ampia scelta di stili e sempre di alta qualità.

Raffaello Network
Left: shirt Saint Laurent, leggings Paco Rabanne, shoes Giorgia & Johns
Right: total look Balenciaga, shoes Mario Valentino

Raffaello Network: una storia di successo tutta italiana

Raffaello Network è stato uno dei primi online store creato 20 anni fa come negozio online specializzato in cravatte – che resta una categoria ancora oggi presente sul sito – a questa sezione è stata poi aggiunta tutta la parte di abbigliamento per uomo e donna prodotta da marchi di fascia alta.

Raffaello è diventato un importante contenitore moda, grazie alla collaborazione e integrazione con i più importanti multibrand italiani. Grazie a questa formula per l’epoca pionieristica e anni di grande successo, complice l’ascesa di altri importanti player, il sito e-commerce ha poi conosciuto momenti di crisi. Di recente per rilanciare questa storia di successo tutta italiana, che rappresenta un’importante vetrina per molti brand, il gruppo 2Leaders ha rilevato e gestisce oggi l’online store con l’obiettivo di rivitalizzarlo, garantendo la migliore e sicura esperienza di shopping online. 2Leaders è un’azienda leader nel mondo dei media barter, grazie a un pool di professionisti che vantano un’esperienza trentennale nel mondo dei media, del trading, della gestione del retail e della logistica. 2Leaders è il partner ideale per Raffaello Network che torna a lavorare oggi con un brand mix di alta qualità e servizi di consegna e assistenza garantiti.  

Credits

Photographer Salvatore Bocchetti – One Studio Milano 

Styling Dario Napasanda 

Make-up Artist Carla Curione

Models Irene Motto, Nicolò Montagner – special thanks Models Milano

Talenti italiani nel mondo: Sebastiano Pigazzi

Una formazione internazionale, classe 1996, Sebastiano Pigazzi è un volto che sta diventando sempre più noto grazie alla serie And just like that 2 con Sarah Jessica Parker dove interpreta il ruolo di Giuseppi, fidanzato di Anthony Marentino (Mario Cantone). Dopo esperienze importanti con registi come Luca Guadagnino, Sebastiano ha in uscita altre produzioni come la  quarta stagione di For All Mankind, serie di Apple TV+, in cui è presente in due episodi, e il primo film da protagonista dove interpreta il braccio destro di Al Capone nella Chicago degli anni Venti. Un talento con una carriera in ascesa da seguire, che abbiamo deciso di premiare con il NEXT GENERATION AWARD a Venezia. 

Partiamo dal momento in cui hai capito che, un po’ seguendo le orme del nonno Bud Spencer e del bisnonno, questo sarebbe diventato un lavoro, oltre che una passione. 

Forse lo sto ancora un po’ capendo, però direi al liceo quando ho recitato in una commedia di Shakespeare, Molto rumore per nulla. Da lì ho ricevuto molti complimenti; per un ragazzo così piccolo e insicuro è stata quella spinta per dire “ok forse potrei farcela”. E da lì purtroppo è iniziata questa lotta.

Ho letto che la tua famiglia ti dissuadeva…

Beh giustamente. Nessuna famiglia secondo me dovrebbe spingere il proprio figlio a fare l’attore. I miei genitori erano preoccupati per i no che avrei potuto ricevere… 

Dove hai studiato recitazione?

Un po’ al liceo e un po’ a New York, dove ho seguito diversi corsi e ho incontrato la mia maestra del cuore. Poi ho frequentato la Beverly Hills Playhouse a Los Angeles, un teatro e scuola di recitazione dove si sono formati numerosi attori. 

Quale è stato il tuo primo vero ruolo?

Il mio battesimo del fuoco è stato con Luca Guadagnino nella serie We Are Who We Are e poi un anno dopo è arrivato il film Time is up di Elisa Amoruso con Bella Thorne e Benjamin Mascolo. 

Sebastiano Pigazzi
Total look Emporio Armani

«Mi piace quando posso lavorare con questo mix di personaggi un po’ diversi l’uno dall’altro»

Nella serie di Guadagnino hai un ruolo non facilissimo con scene di nudo…

Sì, diciamo che è una di quelle esperienze che ti fanno capire quanto ami questo lavoro. Fai di tutto per ottenere un risultato, anche sacrificando le tue esigenze o il tuo modo di essere. Quindi è stato da una parte molto difficile, dall’altra parte si apre una porta per poterti liberare di tante paure.

Prima di And Just Like That ci sono state produzioni per te importanti?

Ho interpretato una parte in una serie Paramount, The Offer, che essenzialmente descrive come è stato girato Il Padrino. Poi ho fatto un mio cortometraggio, da regista e da attore. Ho poi girato altre cose che dovrebbero uscire tra poco, ma che sono state registrate prima di And Just Like That. Tra queste un film indipendente con un buon cast, anche lì con un ruolo da protagonista. 

Sei passato da ruoli drammatici a quelli più istrionici, come in And Just Like That.

Sì, è bello interpretare diversi ruoli. Non ho una preferenza, mi piace quando posso lavorare con questo mix di personaggi un po’ diversi l’uno dall’altro. 

C’è un personaggio in particolare non ancora sperimentato che ti piacerebbe interpretare?

Tanti, tantissimi. Forse mi piacerebbe molto interpretare Biff in Morte di un commesso viaggiatore. Oppure qualsiasi personaggio diverso da come sono io sarebbe sicuramente ben gradito. 

Come sei arrivato a And Just Like That

Nel modo più classico e semplice possibile, perché a volte capita così, con un self tape. É stata la prima volta in vita mia in cui ne è bastato solo uno. 

Total look Louis Vuitton, socks Intimissimi Uomo
Total look Louis Vuitton, socks Intimissimi Uomo

Nella serie il tuo personaggio è un poeta, quindi in un certo senso anche vicino a te e a un tuo lato un po’ nostalgico.

Sì, quando ero più piccolo scrivevo più poesie, perché ero un po’ melanconico. Oltre a questo, però, devo dire che tra me e il personaggio non ci sono tantissime somiglianze. È vero che lo si vede spesso per le strade di Roma, tuttavia non siamo simili sotto tanti punti di vista. 

In quel set, qual è stata la cosa più difficile che hai dovuto superare?

La cosa più difficile è stata non dirsi “oddio sono sul set con Sarah Jessica Parker e tutti gli altri”. Devi cercare di minimizzare un po’ il contesto. Se mi fermo a pensarci, ho sulle spalle una piccola parte di 25 anni di storia della televisione. 

Sarai presente anche nella nuova serie?

Non lo so ancora, ma ci spero.

Vivendo a Los Angeles hai vissuto in prima persona questo sciopero epocale, cosa ne pensi?

Sicuramente è una questione che va risolta, l’intelligenza artificiale è un problema grande. I soldi che prima arrivavano agli attori in America, ora sono molti meno a causa dello streaming. Quando cambia la tecnologia dovrebbe anche cambiare il contratto con cui si pagano gli attori e non solo. Lì si sente forse un po’ meno grazie a quei contratti stipulati con le produzioni più indipendenti.

Lo sciopero di attori e sceneggiatori di Hollywood dura è durato molti mesi, forse è il più lungo mai organizzato.

Sì, è iniziato intorno al 10 luglio. Anche gli scrittori hanno scioperato, circa da aprile/maggio. Questa situazione ha inoltre distrutto l’industria intorno agli Studios, basti pensare anche ai vari bar, ristoranti ecc. In un certo senso stiamo vivendo la stessa situazione di 10 anni fa quando c’era stato lo sciopero per i diritti sui DVD. Oggi la questione riguarda i diritti sullo streaming. 

Sebastiano Pigazzi
Total look Moncler X Pharrel Williams, shoes Hogan

In questi ultimi anni, grazie alle piattaforme di streaming, ci sono però state più produzioni e molte possibilità per voi giovani…

Sì, le piattaforme hanno dato tante possibilità ai giovani. Sicuramente, disponendo di molte possibilità economiche sono anche nella condizione di sperimentare e fare cose più interessanti. 

Quali serie e film ti hanno ispirato ed emozionato?

Non vedo moltissime serie, devo essere onesto, però anni fa ho seguito Black Mirror e mi è piaciuto moltissimo. L’ho trovato interessante. Per quanto riguarda i film, invece, ti direi Animali Notturni di Tom Ford, anche se è molto sottovalutato e nessuno ne parla mai, e Il Padre con Anthony Hopkins.

A proposito di moda, so che realizzi e customizzi giacche.

E’ un hobby per trascorrere il tempo. Cercavo una giacca classica, ma non noiosa, con un tocco un po’ più eccentrico. Non l’ho trovata e quindi me la sono fatta io; poi ne ho fatta un’altra, poi ne ho fatte venti. 

Quindi hai anche una certa manualità?

Purtroppo no, ma ho tre sarti qui a Roma che stanno lavorando giorno e notte.

Esiste un sito dove vendi queste giacche?

Ho un sito, ma non l’ho mai attivato. Ho anche pronte le foto, però non ho ancora mai messo in vendita nulla (ride).

Come si chiama questo sito, se si può svelare?

SEPUU. Ad un certo punto credo faremo un’asta con altri brand. In famiglia mi chiamano Sepuu, praticamente da quando sono nato, penso per lo scrittore cileno Luis Sepúlveda. È una sorta di ricordo d’infanzia.

Total look Alexander McQueen
Total look Alexander McQueen

 Diciamo che non sei ancora pronto per questo “coming-out modaiolo”.

 Esatto esatto…resto un timido in molte situazioni (ride).

Quali sono invece le passioni che coltivi tra l’Italia e Los Angeles?

Pratico tanto sport, il tennis, la pallacanestro, il nuoto (non a livello agonistico). Poi mi piace la cucina, scrivere e dirigere, quando ne ho l’opportunità. Ora dovrei dirigere un lavoro a teatro a Los Angeles. È uno spettacolo scritto da me per un brand di abbigliamento, che mi ha chiesto di realizzare un’opera breve di circa 25 minuti. Uscirà verso fine ottobre. 

Sei molto prolifico quindi, scrivi tanto…

Sì sono sempre in movimento anche con la testa, scrivo tanto ed è bellissimo quando tutti i progetti prendono forma. Se capitasse più spesso sarebbe ancora meglio.

Sebastiano Pigazzi
Total look Dolce & Gabbana

Credits

Editor in chief Federico Poletti

Photographer Davide Musto

Stylist Martina Antinori

Grooming Marta Ricci– Simone Belli Agency

Photographer assistant Cristina Proietti Panatta

Uno scrigno di meraviglie: a Firenze riapre il Museo della Moda e del Costume

Il Museo della Moda e del Costume di Firenze riapre le porte ai visitatori. Si è finalmente concluso un ciclo triennale di lavori che ha importato all’inaugurazione delle 12 nuove sale di Palazzo Pitti. All’interno, si snoda un viaggio nella storia della moda attraverso una selezione di 50 creazioni iconiche che hanno lasciato un’impronta indelebile.

Il percorso inizia con il suggestivo ‘mantello-kimono’ creato da Mariano Fortuny per Eleonora Duse, per poi attraversare la tunica ‘flapper’ degli anni Venti di Chanel, l’incantevole abito di paillettes indossato da Franca Florio e gli audaci abiti da sera di Elsa Schiaparelli. Il lusso regale delle creazioni di Emilio Schubert, celebre sarto delle dive degli anni Cinquanta, dialoga con le stravaganze geometriche del vestito di Patty Pravo ideato da Gianni Versace nei primi Ottanta.

Gli interni del Museo della Moda e del Costume
Gli interni del Museo della Moda e del Costume

Firenze è (ancora) capitale della moda

Con questa straordinaria riapertura Firenze riesce, ben prima di Milano, a rendere operativo e fruibile un Museo della Moda, un unicum nel panorama italiano. D’altra parte, l’atto fondante della moda italiana si deve proprio all’intuizione di Giovanni Battista Giorgini, che organizza nella Sala Bianca di Palazzo Pitti il 22 luglio 1952 la prima sfilata di moda italiana, pare quindi naturale che la sua moderna rappresentazione dovesse tornare a Firenze nello stesso Palazzo che l’ha vista nascere.

Milano, che ha visto la nascita del pret-a-porter ed è diventata la città della comunicazione, deve ancora capire al di là dei particolarismi dei singoli stilisti e maison, che strada prendere, ma il percorso appare ancora molto lungo e ricco di insidie.

La storia e la collezione del Museo della Moda e del Costume

La storia del Museo della Moda a Palazzo Pitti ha radici profonde. Fu inaugurato nel 1983 come Galleria del Costume grazie all’iniziativa di Kirsten Aschengreen Piacenti. Nel corso degli anni, la collezione ha visto una crescita esponenziale grazie a donazioni significative, tra cui quelle di Tirelli, Tornabuoni-Lineapiù, Emilio Pucci e Roberta di Camerino. In anni più recenti, con la nomina di Eike Schmidt alla guida delle Gallerie degli Uffizi, il museo ha ampliato la sua prospettiva, integrando collezioni maschili e abbracciando la contemporaneità grazie a donazioni del Centro di Firenze per la Moda Italiana e Pitti Immagine.

Nell’attuale percorso espositivo, curato da Vanessa Gavioli, curatrice del Museo della Moda, emergono anche creazioni più recenti, come il vestito dalle forme essenziali di Jean Paul Gaultier, reso celebre da Madonna, e la collezione di Gianfranco Ferré per Dior negli anni Novanta, che incanta con una sofisticata allure da sogno.

Gli interni del Museo della Moda e del Costume
L’allestimento nel Museo della Moda e del Costume

La curatrice ha commentato: «Per l’esposizione permanente la scelta curatoriale si è orientata sui capi più rilevanti della collezione; questi sono stati prima restaurati e poi interpretati attraverso il complesso processo di vestizione e di mise-en-scène, nelle sale della neoclassica Palazzina della Meridiana, grazie a un gruppo di lavoro altamente qualificato. Ne è risultato un percorso da sogno dove trionfano gli abiti da sera, ma non mancano capi da giorno e accessori».

Gli interni del Museo della Moda e del Costume
Gli interni del Museo della Moda e del Costume

L’evoluzione di stile di un’epoca

Non solo abiti: nel museo va anche in scena il gusto di un’epoca nel suo evolversi, come precisa il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: «I lavori negli ambienti delicatissimi di Palazzo Pitti hanno tempi di gestazione naturalmente lunghi anche per le ricerche che precedono ogni intervento, ma i risultati sono sempre stupefacenti, come quelli che ammiriamo oggi nel Museo della Moda e del Costume. Non sono solo gli abiti ad essere presentati, ma anche le sale restaurate e con una nuova illuminazione adatte alla presentazione e alla conservazione dei tessuti.

Gli interni del Museo della Moda e del Costume
Gli interni del Museo della Moda e del Costume

Le creazioni degli stilisti appaiono così non solo come testimonianza del gusto di un’epoca che ha visto straordinari cambiamenti, o come attestazioni del genio degli stilisti, ma anche come oggetti d’arte in sé, come sculture o dipinti di stoffa, pelle, perline, fili colorati, piume.

Per il fantastico lavoro che tutti possono ammirare a partire da oggi voglio ringraziare in modo particolare tutti i componenti del gruppo di lavoro curiatoriale che nel corso degli ultimi anni hanno contribuito a creare il nuovo concetto allestitivo e a selezionare i capi della prima rotazione, gli architetti e le restauratrici che, tutti insieme hanno consentito la realizzazione del nuovo allestimento».

Luciano De Crescenzo visto dal nipote Michelangelo: una fondazione in sua memoria

Non è da tutti crescere con un grande scrittore in casa, capace di spiegarti la mitologia greca o la visione filosofica di Socrate tra una partita di pallone e un gelato al parco. Michelangelo Porzio De Crescenzo, unico nipote del filosofo e saggista Luciano De Crescenzo, ha sempre avuto un rapporto speciale con suo nonno.

L’amore per la cultura ha spinto Michelangelo e i suoi genitori – Paola De Crescenzo e Raffaele Porzio – a fondare l’Associazione Culturale Luciano De Crescenzo. Un modo per onorare l’eredità intellettuale del nonno, ma anche per sostenere giovani scrittori. MANINTOWN ha intervistato Michelangelo Porzio, che ci ha regalato un ricordo personale e affettuoso del grande saggista.

Luciano De Crescenzo con il suo libro Così Parlò Bellavista
Luciano De Crescenzo con il suo libro Così Parlò Bellavista

«La cultura, l’amicizia e gli affetti erano per lui i beni primari e da essi, secondo lui, dipendono la nostra felicità e libertà»

Tuo nonno era un talento poliedrico (filosofo, scrittore, regista, attore): quale è stato il suo più grande insegnamento?

Insegnamenti ne ho ricevuti tantissimi, e ne continuo a ricevere altrettanti tramite la sua eredità intellettuale. La cultura, l’amicizia e gli affetti erano per lui i beni primari e da essi, secondo lui, dipendono la nostra felicità e libertà. Mi diceva sempre “Lo studio è la forma più gloriosa di gioco” , frase che da piccolo non capivo, infatti gli rispondevo: “Nonno veramente io preferisco giocare a pallone!”. In realtà per lui la cultura non era solo quello che si studia, ma l’osservazione di tutto ciò che ci circonda.

Tra i tanti ricordi e momenti passati insieme a lui, vuoi condividerne qualcuno? Un aneddoto cui sei particolarmente legato?

Se una coincidenza può essere considerata un aneddoto, direi Parigi. Vent’anni fa mio nonno mi portò in questa splendida città per presentare il suo libro Così parlò Bellavista tradotto in francese. Il caso ha voluto che, proprio recentemente, sono tornato a Parigi e precisamente al museo del Louvre, per la proiezione del film Così parlò Bellavista, certo ero senza di lui, ma mai lo sentito cosi vicino. Ricordare un aneddoto in particolare non è semplice perché anche stare in sua compagnia era sempre divertente e surreale, ne avrei talmente tanti da poter raccontare che potrei scriverci un libro.

Luciano De Crescenzo con il nipote Michelangelo

De Crescenzo era amato e seguito da tantissimi personaggi dello spettacolo. Saranno coinvolti nell’Associazione?

Assolutamente sì, ricordo i tanti natali festeggiati a casa di Marisa Laurito a Roma insieme a tutti i suoi amici storici con cui ha condiviso le sue più grandi passioni: una vera e propria famiglia. Sicuramente molti di loro faranno parte di questo progetto come Marisa Laurito, Renzo Arbore, Isabella Rossellini, Benedetto Casillo e tanti altri.

Luciano De Crescenzo in una foto d’epoca

Quale sarà la missione dell’Associazione Luciano De Crescenzo e quali saranno i primi progetti?

Mio nonno ha sempre avuto a cuore i ragazzi, ed un suo desiderio era quello di creare un premio per giovani scrittori. L’Associazione quindi ha tra i suoi primi progetti la messa in opera di questo suo sogno.

Il primo evento per il 2024 si realizzerà all’interno della nuova Mondadori nella galleria Umberto di Napoli il 18 Gennaio alle ore 18:00, dove verranno ricordati insieme a Marisa Laurito, Benedetto Casillo e tanti altri i 40 anni di Bellavista e coglieremo l’occasione per presentare pubblicamente il sito dedicato a Luciano uscito il 18 dicembre 2023.

Nel tempo sono previste altre iniziative tra cui la casa museo nella sua abitazione di Roma, la pubblicazione di alcuni testi inediti di Luciano, guide turistiche per le strade della Napoli di Bellavista ed eventi culturali legati in qualche modo al mondo di nonno.

Quale la particolarità del sito che state per lanciare?

Il nostro intento insieme all’agenzia di comunicazione Goodea di Josè Compagnone è stato quello rappresentare un viaggio nel suo mondo attraverso la selezione di materiali fotografici, video e testi originali. Un archivio e uno sguardo al futuro tra memorie, raccolte, spunti attuali e tanto altro.

Luciano De Crescenzo e Michelangelo De Crescenzo con i libri nello studio
Luciano De Crescenzo nel suo studio con Michelangelo

«Diceva che abitava a Napoli, in provincia di Roma: per lui Napoli non era una città ma uno stato d’animo»

Luciano De Crescenzo era fortemente legato a Napoli e Napoli a lui. Tu che rapporto hai con questa città? Cosa ti ispira e come la vedi evolvere? 

Quando chiedevano a mio nonno in che città abitasse, rispondeva: “Abito a Roma, in provincia di Napoli”. Un amore incondizionato che provava nei confronti della propria città e dei napoletani. Per lui Napoli non era una città ma uno stato d’animo. Ho un bellissimo rapporto con la mia città, come tante persone sono innamorato del suo fascino e anche della sua “lentezza” che apparentemente potrebbe sembrare un difetto, ma non lo è.

Anche se negli ultimi anni Napoli è migliorata tantissimo, mi sono accorto che nessuno riesce a cambiare la sua meravigliosa anima, perché è una città che sembra che la conosci, che l’hai capita, ma invece non è vero, e questo stimola un rapporto molto vivo tra me e la città.

Luciano De Crescenzo

Tra i suoi aforismi e frasi quale hai fatto tua e che ti descrive meglio?

“Tutti studiano come allungare la vita mentre invece bisognerebbe allargarla”, questa è la mia frase preferita a cui aggiungerei il concetto di “sospensione del giudizio”. Grazie a lui ho imparato a limitare il mio giudizio sulle persone e sulle cose, un giudizio frettoloso limita la conoscenza, la sospensione del giudizio allarga la vita!

Isabella Rossellini e Michelangelo De Crescenzi
Isabella Rossellini e Michelangelo De Crescenzo
Luciano e Michelangelo De Crescenzo
Luciano De Crescenzo con il nipote Michelangelo

Moda e Design: Missoni x SuonareStella

Missoni è uno di quei pochi brand moda da sempre riconosciuto e credibile nello sviluppare collezioni e complementi per la casa. Negli anni la Missoni home collection è cresciuta mantenendosi fedele al DNA della maison di cui completa l’immaginario. In anticipo sulle date più convenzionali del mondo interior, Missoni ha sviluppato un progetto ad hoc con l’hub creativo SuonareStella, l’appartamento milanese di Paolo Stella. Sotto la curatela di Alberto Caliri, direttore creativo della collezione Missoni home, la casa di Paolo Stella è stata arredata con sedute, tavolini e tessili Missoni: un modo inedito di presentare il lifestyle Missoni in un contesto reale e vissuto dallo stesso Paolo Stella e dal suo network di amici.

L’hub creativo SuonareStella
L’hub creativo SuonareStella

Tazzina e piattino che celebrano il rituale mattutino de “Il caffè del buongiorno”

L’hub creativo SuonareStella diventa lo strumento per veicolare un messaggio e trasformare l’arredo in convivialità. Sono questi gli elementi che segnano l’incontro tra Missoni, Paolo Stella e la sua rubrica quotidiana “Il caffè del buongiorno”, brevi istanti di relax e riflessione prima dell’inizio della giornata. Proprio da qui è partita la collaborazione per lo speciale set da caffè customizzato da Missoni per SuonareStella che definisce questo rituale mattutino; la tazzina da caffè e piattino, entrambi realizzati da
Compagnia Italiana del Cristallo, sono decorati dal nuovo motivo Nastri, svelato in un’elegante declinazione nera con bordature dorate. Il set è reso ancora più speciale dalla frase al centro del piattino che traduce perfettamente lo spirito che anima la collaborazione: “A chi ascolta con il cuore”, dedica firmata poi da una stella.

Missoni SuonareStella
Il set da caffè di Missoni in collaborazione con SuonareStella

Racconta lo stesso Paolo Stella: «La rubrica “Il caffè del buongiorno” è nata per caso. Ogni mattina ripostavo l’oroscopo di Antonio Capitani ma ad un certo punto non lo fece più. Mi resi conto che si era creato questo appuntamento giornaliero con i miei followers, quindi iniziai a dedicare a loro una tazzina di caffè con un pensiero. Queste Instagram stories venivano condivise da centinaia di account e da lì ho capito l’importanza di mantenere un appuntamento fisso mattutino, come un rituale». E prosegue: «Questa nuova collaborazione è per me importante perché, dopo le diverse collaborazioni con il design, questo è il primo brand moda con cui ho sviluppato un progetto design che spazia dalla carta da parati ai complementi di arredo».

Missoni SuonareStella
Il set da caffè di Missoni in collaborazione con SuonareStella

Il format SuonareStella

SuonareStella è un format originale ideato da Paolo Stella, che ha trasformato gli ambienti della sua casa milanese nel palcoscenico ideale per raccontare e vivere il design in maniera inedita. Gli oggetti d’arredo e i progetti dei brand italiani d’eccellenza escono dalla dimensione anonima dello showroom per
animarsi nella sua dimora, che diventa un hub creativo in cui prendono forma anche alcune capsule collection firmate dal creative director del progetto. Grazie a questo approccio più spontaneo, dove la dimensione fisica incontra la quotidianità e il digitale, Paolo Stellla è riuscito a rendere più reale e interessante il mondo dell’arredamento. Come lui stesso consiglia: «Ai marchi di design dico
raccontate la vita, non i mobili». In questo contesto dinamico sono nate le numerose collaborazioni con SuonareStella che spaziano da Boffi|DePadova, Molteni, Wall&decò (per le carte da parati), Malcusa (brand contemporaneo di tappeti) fino a Ginori 1735 con cui ha prodotto un’elegante linea di piatti e
accessori realizzata in preziosa porcellana dagli artigiani dell’antica manifattura.
Con SuonareStella il design scende dal piedistallo e viene vissuto e raccontato attraverso un coinvolgimento emozionale, diventando protagonista di una nuova esperienza dell’abitare in chiave contemporanea e pop.

L’hub creativo di Paolo Stella
L’hub creativo SuonareStella
Paolo Stella e Alberto Caliri
Paolo Stella e Alberto Caliri

Food & Cocktail: le proposte di Max Mariola per Fever-Tree

Un mix & match perfetto quello tra lo chef e youtuber Max Mariola, personaggio effervescente e fuori dagli schemi, e Fever-Tree, marchio mixer premium, lanciato nel 2005 a partire da una ricerca mirata delle migliori botaniche presenti sul mercato e che utilizza esclusivamente ingredienti naturali senza additivi né conservanti. Da loro incontro è nato non solo un evento di show cooking, ma anche una serie di proposte su come abbinare alcuni piatti e cocktail. 

I cocktail creati con le toniche Fever-Tree
I cocktail creati con le toniche Fever-Tree

Il menù proposto da Max Mariola

Nella suggestiva cornice sulle Alpi liguri, nella località di Prato Nevoso, a 2000 metri di altitudine lo chef Mariola ha mostrato come valorizzare l’abbinamento tra alcuni piatti e la rosa di toniche targate Fever-Tree. Un menù scandito in tre portate che si possono replicare anche a casa. In apertura, l’antipasto di sfoglia di pane con tagliatelle di calamari marinate allo zenzero è stato abbinato alle note floreali di pompelmo rosa della Pink Grapefruit Soda con l’amaro giapponese Yuntaku. A seguire, lo spaghettone burro, alici e arancia ha incontrato le essenze botaniche della Indian Tonic Water, a base del chinino del Ruanda e del Congo, e il Naturale Bitter ricavato da uve biologiche.
A chiudere, i bocconcini di nasello con maionese al lime hanno sposato i sentori citrici ed erbacei della Mediterranean Tonic Water, come timo, limone e rosmarino e il Gin Condesa Rosa, distillato messicano con frutti di cactus rosa e fiori d’arancio. E proprio nella preparazione dello spaghettone, saltando la pasta, ha fatto sentire al pubblico “the sound of love”, titolo tra l’altro del suo libro di ricette tutte preparate con grande ironia e passione.

«A Fever-Tree va anche il merito di aver aperto la mia mente all’abbinamento creativo di piatti e cocktail: ho iniziato a considerare il food pairing davvero stimolante»

Racconta Max Mariola: «Prima ancora della nostra partnership ho sempre apprezzato le toniche Fever-Tree perché sono prodotti in cui la qualità si percepisce. Condivido con il Brand la ricerca di ingredienti sempre buoni e genuini e ho intenzione di trasmetterla anche attraverso la cucina del mio nuovo ristorante a Milano, principalmente basata sulle verdure. Non a caso, a 50 km dalla città ho trovato una fattoria da cui rifornirmi così da poter portare la freschezza in tavola. A Fever-Tree va anche il merito di aver aperto la mia mente all’abbinamento creativo di piatti e cocktail: ho iniziato a considerare il food pairing davvero stimolante, soprattutto se orientato all’eccellenza!».

E proprio la ricerca di materie prime di qualità caratterizza anche l’atteso opening del nuovo ristorante milanese di Max Mariola in via San Marco 26, nel centralissimo quartiere di Brera, che aprirà le sue porte nel prossimo gennaio, ma che già da dicembre potrebbe essere operativo in modalità “soft opening”. Una nuova avventura che vedrà coinvolto Mariola in prima persona con la sua ricerca di genuinità e dove si potranno provare anche i cocktail preparati con le toniche Fever-Tree. 

Le toniche Fever-Tree
Le toniche Fever-Tree

Max Mariola brand ambassador di Fever-Tree

Come ha più volte raccontato lo stesso Mariola: Le toniche Fever-Tree sono talmente naturali e prive di dolcificanti artificiali che le posso dare anche a mio figlio. Una scoperta che mi ha ispirato nel creare inediti abbinamenti food e cocktail, tutti all’insegna della vera qualità. 

Da qui è nata una vera e propria partnership in cui Mariola è diventato brand ambassador di Fever-Tree. «Max è il volto perfetto per rappresentare alcuni nostri valori come la genuinità degli ingredienti e la ricerca dell’eccellenza – commenta Filippo Colombo, Country Manager di Fever-Tree – e siamo davvero orgogliosi di averlo a bordo. Il suo spirito coinvolgente, insieme alle abilità da showman e alla passione per il food & beverage, sono il match perfetto con i nostri obiettivi di brand awareness e siamo entusiasti di collaborare con lui per ampliare la visibilità mediatica della gamma di toniche Fever-Tree, puntando sempre più in alto».

Max Mariola Fever Tree
Max Mariola

Quello di Mariola è un percorso tutto in ascesa grazie alla suo mix di professionalità e immediatezza che lo ha reso popolare sui social. Inizia come docente nei corsi professionali di cucina e successivamente lavora come Executive Chef e supervisore del livello qualitativo dei ristoranti per il gruppo alberghiero Boscolo; Mariola è stato consulente per Aia e per il gruppo Veronesi, nonché chef de partie presso alcuni famosi ristoranti di Roma, Agata e Romeo e delle Marche, dove ha lavorato presso il Symposium di Cartogeto. E’ conduttore di  Gambero Rosso Channel e condivide la sua esperienza di Chef, le sue conoscenze e la sua passione per il cibo attraverso i social media (Youtube, Tik Tok, Instagram e Facebook).

 

Gaia e l’arte di essere se stessi

Uno spirito libero e un’artista che ci invita a riflettere sul ritmo della vita per prendersi il proprio tempo dalla frenesia della quotidianità, godendosi ogni singolo attimo: «Mentre tutto corre io rallento. Sento, sento quanta vita in un solo momento» canta Gaia in Estasi. Cresciuta in bilico tra il Brasile e l’Italia, i Paesi d’origine della madre e del padre, Gaia Gozzi continua il suo percorso costellato di successi, restando fedele a se stessa.

Venerdì 10 novembre 2023 esce il nuovo singolo Tokyo, scritto con Drast, che ne cura anche la produzione insieme a Golden Years. Il brano è un invito a lasciarsi andare, un biglietto di sola andata verso la libertà. Il coraggio di Gaia nel seguire strade non convenzionali e la sua musica densa di spiritualità rappresentano una vera fonte d’ispirazione per la nuova generazione. 

«È importante secondo me trovare il proprio ritmo e capire l’importanza di prendersi una pausa»

Gaia, parliamo del tuo ultimo viaggio in Amazzonia e del messaggio di seguire il ritmo della natura, andare più lenti… Sono tutti concetti molto attuali in una società frenetica come la nostra.

È importante secondo me trovare il proprio ritmo e capire l’importanza di prendersi una pausa. Non tutti possono permettersi di andare in Amazzonia; chiaramente lo consiglierei per ricentrarsi, ma non è stato semplicemente il viaggio ad aiutarmi. Grazie a quell’esperienza ho capito quanto internamente dovessi creare quel rapporto con me stessa per capire quando mi devo fermare, quando devo dire dei no. Questi ‘no’ sono fondamentali anche per la longevità nel mio progetto, per poter avere la consapevolezza del mio strumento e non sfruttarlo e terminarlo prima del dovuto. Secondo me abbiamo delle energie che ci vengono date alla nascita e non dobbiamo esaurirle tutte subito. Se pensiamo alla storia della musica e non solo, molti musicisti per il tipo di vita che conducono tendono all’eccesso. Io vorrei fare questo mestiere il più a lungo possibile.

 Total look Sportmax, earrings Nove25. Gaia
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«Il mio modo di fluire nella vita è legato al mio sentire. Per me è quella la spiritualità: ascoltare il mio istinto, rendere sempre più intima, sincera e diretta la mia conversazione interna»

E, in effetti, nel mondo dello spettacolo è facile perdersi…

Sì, più ti viene dato e più possibilità hai di vedere migliaia di persone che cantano la tua musica, più evidentemente d’altra parte ti verrà tolto qualcosa: può essere la salute, le relazioni ecc… Quindi l’equilibrio è sempre stato uno dei miei obiettivi primari. Credo molto nel provare ad avere un approccio ‘sano’ a questo mestiere, anche se non ci sono stati così tanti esempi di questo tipo. Perché poi per ‘spaccare’ devi fare, esserci, starci dentro. Ho visto tante persone andare in depressione con facilità; anche io ho vissuto dei momenti di ‘down’ emotivo molto intensi. Per questo è importante trovare il proprio equilibrio in tutto.

Una caratteristica sicuramente peculiare nella tua musica è la presenza di una certa spiritualità.

Sì, sicuramente la spiritualità fa parte della mia vita in generale; sfocerà nella musica e straborderà anche in quella. Il mio modo di fluire nella vita è legato al mio sentire. Per me è quella la spiritualità: ascoltare il mio istinto, rendere sempre più intima, sincera e diretta la mia conversazione interna. Credo tantissimo nel fatto che ci sia una coscienza comune che ci guidi verso quello che dovremmo fare, essere ecc… Io sono sempre molto molto attenta nel cercare di fare qualcosa che il mio ‘higher self would do’. Quindi sì, non riuscirei a fluire nella vita e nella musica, che è il mio modo di esprimermi, senza un rapporto intimo con l’intangibile. Quindi lo metto nelle canzoni.

«La musica è sempre stata fondamentale per me e ho sempre pensato che mi avrebbe accompagnato durante la mia vita»

 Quando hai capito che la musica era la tua vocazione e che da lì si sarebbe tramutata anche in una professione?

La musica è sempre stata fondamentale per me e ho sempre pensato che mi avrebbe accompagnato durante la mia vita. Ero un po’ timorosa da piccola nel considerarla un ipotetico lavoro, perché ero molto, molto timida. Quindi andava totalmente in contrasto con la mia natura e sentivo che era un sogno così grande, magari non volevo intaccarlo. Nonostante i miei timori è andata bene, anche grazie al processo di scoperta di me stessa, al fatto di aver iniziato a viaggiare molto presto, tante esperienze che mi hanno fatto uscire dalla mia comfort zone. Sono stata un po’ all’università per vedere poi questa opzione come reale e percorribile.

Da piccola ho sempre cantato in casa, in bagno soprattutto, il mio palco principale. Mi mettevo davanti allo specchio e cantavo le canzoni delle mie artiste preferite. Poi facevo tantissima ricerca su YouTube, guardavo i live di chiunque; rimaneva una cosa tra me e me o tra me e la mia famiglia, che a un certo punto non ce la faceva più ad ascoltarmi (ride guardando la mamma Luciana, ndr). Poi sono andata a vivere in Germania a 15 anni e ho iniziato a cantare con dei miei amici in giro, a 17 sono andata negli Stati Uniti e lì, a scuola, facevo parte del coro. Ho avuto le mie prime battute da solista e così ho iniziato a sbloccare il rapporto con il pubblico e a sentirmi più a mio agio.

Qualche mese dopo essere tornata dagli Stati Uniti, mia madre e mia sorella mi hanno iscritta a
X Factor. Sono andata, ho firmato il mio primo contratto discografico e da lì è un po’ partito tutto. A tratti è stato un percorso un po’ lento (o equilibrato, voglio vederla così) con delle battute d’arresto e momenti dilatati, che però sono stati fondamentali. Ero in una fase di ricerca della mia identità, stavo cercando di introdurre tutte le mie culture nella musica, senza fare un pot-pourri troppo complesso, distante o meccanico. Stavo provando a individuare la mia cifra stilistica.
Quegli anni sono stati fondamentali, lo sono anche tutt’ora, perché mi hanno dato le basi di una libertà creativa che non avrei potuto sfiorare se mi avessero fatto uscire subito, “esplodere” e fatta lavorare con un certo tipo di percorso. È capitato che mi volessero far diventare un “progetto pop” abbastanza standard, lavorabile forse molto di più di quello che faccio adesso. Però, ritornando al concetto di spiritualità e al fatto di rimanere il più autentici possibili, credo sia davvero l’unico
modo per far funzionare il progetto a lungo termine. Sono contenta del percorso che ho avuto e che sto seguendo. 

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Tra l’Italia e il Brasile, quali sono gli elementi che ritrovi nel tuo carattere?

Il mio lato brasiliano è sicuramente quello più spirituale, mistico e in più amo ballare ovunque, cantare e fare festa. Questo è un mio lato decisamente brasiliano. Anche gli italiani sono molto festaioli a dire la verità. Sono entrambi luoghi estremamente passionali, quindi c’è un denominatore comune da questo punto di vista. Il mio lato italiano è quello un po’ più concreto. Non che il brasiliano non sia concreto: il Brasile è un museo a cielo aperto, è tutta natura, e la natura quando è così imponente forse ti rimette al tuo posto più facilmente. I ritmi sono più ‘easy’ e seguono tempi diversi.
In Italia, invece, soprattutto vivendo in una città come Milano, mi rendo conto che sono più portata a concretizzare, a mantenere il focus. C’è un lato di me anche molto determinato: se voglio una cosa la ottengo. Sono riuscita a trovare un equilibrio tra questi due elementi, tra una vita in mezzo alla natura, non solo lavoro, e i momenti in cui so che devo spingere ed essere completamente concentrata. Poi mangi bene in entrambi i posti (
ride, ndr). Forse sì, il mio lato più pratico è estremamente italiano. Dico così anche perché vedo mio padre, che è italiano, molto concreto e mia madre invece è più “fatina dei boschi”.

Forse dalla mamma hai preso il senso dello stile?

Sì, la mamma è una vera esteta. Il gusto, la moda, la creatività in generale mi affascinano; risvegliano un senso di bellezza che a me piace. Sono un segno votato al bello (sono una Bilancina) quindi amo l’armonia, la bellezza. Mamma sicuramente mi ha ‘viziata’ ed educata in questo senso perché i suoi archivi sono davvero una fonte di ispirazione. 

Spesso lavorate anche insieme…

Sì, abbiamo già lavorato molte volte insieme. Credo che adesso entrambe stiamo capendo meglio quali sono i nostri obiettivi, quindi abbiamo preso strade differenti. Poi ci capita di lavorare insieme, anzitutto per mantenere i rapporti puliti e sani, perché prima di essere colleghe sul lavoro dobbiamo essere madre e figlia. È stato molto bello condividere dei momenti di lavoro con lei. Non sempre è una cosa possibile soprattutto per il tipo di lavoro che facciamo. 

Top Animula Embroidery, necklace Mam Originals. Gaia
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«Penso che le intenzioni siano fondamentali in ogni contesto toccato nella nostra vita»

È bello che per te la moda, al di là dell’immagine, sia anche un messaggio.

Per me è soprattutto quello, ma perché penso che se fosse solo estetica, probabilmente mi sentirei male con me stessa e non riuscirei a conciliarlo con il mio modo di vedere le cose. Se invece c’è un messaggio o una motivazione dietro allora tutto acquisisce un’aura più magica. Lo vedi attraverso gli scatti, le persone si sentono meglio indossando qualcosa che è stato scelto per loro per farle sentire bene, magari gli abiti e il brand sono più in linea con il loro modo di pensare. Una serie di elementi rendono poi un servizio moda un lavoro magico. Non si tratta unicamente di rendere più belle e sexy le persone. Penso che le intenzioni siano fondamentali in ogni contesto toccato nella nostra vita. Tutto è politico: come ti atteggi, come ti senti davanti a una camera, come comunichi. Tutte queste cose, secondo me, vanno oltre la ‘mera’ moda.

Soprattutto dopo la pausa del Covid, è importante riprendere il legame con il pubblico

Sì, soprattutto per me, perché non ne ho mai avuto la possibilità. Sono uscita durante il Covid, quindi suonare live è una cosa che vorrei tanto fare e che accadrà nei prossimi mesi. E poi viaggiare. Ho voglia di andare in Brasile e suonare un po’ là. Questi sono i miei obiettivi per il prossimo periodo.

E quali i nuovi progetti in arrivo?

Sto scrivendo il nuovo disco e ho tanta voglia di suonare live. Vorrei fare tantissimi festival nel prossimo periodo perché sento che è un lato del mio lavoro che mi soddisfa molto, in cui potrei crescere e investire tanto. Inoltre, tra i nuovi progetti, presterò la mia voce alla brillante sognatrice Asha nel nuovo film di Natale Wish, il lungometraggio di Walt Disney Animation Studios, che rende omaggio all’eredità Disney (nelle sale italiane il 21 dicembre) proprio nell’anno in cui lo storico studio cinematografico celebra il suo 100° anniversario.

Fur coat and jumpsuit Missoni, Boots Giuseppe Zanotti, Nose chain Myril Jewels. Gaia
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T-shirt, hot pants and dress Dsquared2, boots Giuseppe Zanotti, headpiece Z.GRNJ by Giulia Del Bello, earrings Nove25
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Credits

Photographer Claudio Carpi

Stylist Simone Folli

Make-up Roberta Anzaldi – Charlotte Tilbury

Hair Francesco, Matteo – Contestarockhair

Stylist assistant Nadia Mistri, Claudia Maria Ialacci, Rebecca Callegaro, Isabella Ingravallo

Nasce NEXT GEN. The Cinema & Fashion Issue – MANINTOWN

In occasione del 10° anniversario di MANINTOWN, nato come magazine di lifestyle maschile nel 2013, abbiamo intrapreso un percorso che ha comportato diversi cambiamenti. In primis, già da alcuni anni il nostro focus editoriale si è spostato sul mondo dei talent di nuova generazione, soprattutto del cinema e della musica. Per questo da tre anni, durante la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, organizziamo il premio Next Generation Awards per promuovere concretamente i più promettenti nomi del cinema italiano.

Next Gen di MANINTOWN: un faro sul talento


Così le nostre Cover Stories sono dedicate a coloro che abbiamo premiato con il red carpet a Venezia: Lea Gavino, Fotinì Peluso, Mattia Carrano, Andrea Dodero e Sebastiano Pigazzi. E ancora, come special cover abbiamo Coco Rebecca Edogamhe, che, dopo i successi di Summertime, si sta facendo notare per il suo talento. Dall’Italia al mondo con un altro giovanissimo, il 20enne Wyatt Oleff, uno dei nuovi attori prodigio della scena statunitense, dopo i recenti successi della serie City on Fire, che vediamo come altra Cover Story

Per questa apertura sulle nuove generazioni, andando oltre l’idea di genere che MANINTOWN implica nel suo nome, abbiamo deciso di chiamare i nostri numeri cartacei da collezione “NEXT GEN”: nome che non solo evoca il nostro premio, ma sottolinea l’importanza dello scouting su cui scommettiamo da sempre.

NEXT GEN – powered by MANINTOWN – continua a uscire in Italia e all’estero (in due edizioni distinte in italiano e in inglese) due volte l’anno con un numero focalizzato sul Cinema e l’altro sulla Musica. Anche se non è certamente “new talent”, ci sembrava il momento di rendere uno speciale omaggio a Vinicio Marchioni, un grande interprete italiano, che è in uscita con due importanti produzioni. E la sua Cover Story è ambientata nello scenario unico dello storico Teatro della Pergola a Firenze.

Next Gen - MANINTOWN
Le nuove cover di NEXT GEN – MANINTOWN

Il nuovo Fashion Issue

Alle pagine sul tema Cinema si è aggiunto il nostro inserto “Fashion Issue”, curato per questo numero da Antonio Mancinelli, che ha sviluppato un tema – quello delle community – su cui ruotano diversi servizi moda e storie da leggere; si parte dai new dandy, passando dai creativi di colore nati in Italia, fino alla moda sostenibile.

Come scrive lo stesso Mancinelli: «Oggi, le comunità possono assumere varie forme: da piccoli quartieri affiatati a estese reti online che collegano individui in tutto il mondo e, indipendentemente dalle dimensioni o dalla portata, forniscono una piattaforma in cui gli individui possono impegnarsi, cooperare e prosperare insieme. Tramite questa singolare sinergia, apparenza e collegialità diventano veicoli di espressione politica e strumento di auto realizzazione che contribuiscono a promuovere l’ideale di una società più inclusiva, democratica e rispettosa».

E proprio nell’idea di lasciare un segno è la community degli attivisti individuati dalle Sorelle Toledo, che pensano a una moda “meaningful” e per questo hanno selezionato 10 influencer che, dedicando a una causa importante la loro vita, migliorano ogni giorno anche la nostra. Questi 10 personaggi usano i social per fare divulgazione e conquistare diritti per tutti. Fondano associazioni che mettono al centro il rispetto e l’unicità della persona, di qualunque genere, orientamento, provenienza e background.

Credono, ma soprattutto dimostrano con le azioni, giorno dopo giorno, che costruire è più potente che distruggere, che amare è più bello che odiare e che il momento giusto per realizzare un sogno è sempre adesso! Un progetto che, unitamente a tutte le storie di questo numero, mi auguro potrà ispirare tutte le generazioni e in particolare le Next Gen!

Vinicio Marchioni

MODALISBOA: DESIGNERS TO WATCH

Si è chiusa la 61esima edizione di MODALISBOA al Pátio da Galé nel cuore di Lisbona, che ha visto non solo diversi fashion show, ma anche presentazioni, una mostra e talk su diversi tematiche tra cui la circolarità nella moda. Il tema dell’edizione MODALISBOA À LA CARTE vuole essere un invito giocoso alimentato dall’atto della condivisione. La moda è pensata come un menu stagionale con più portate. Tra show, mostre e presentazioni, una degustazione di stili diversi dove la mise en place è organizzata da MODALISBOA, ma la creatività è servita dai diversi designer. Collezioni con visioni differenti rappresentano la nuova generazione del fashion design. Una riflessione sul presente e il futuro del suo territorio e, di conseguenza, sull’identità e sulle questioni sociali che stanno attualmente guidando la creazione.

La produzione delle collezioni è stata supportata dai diversi partner tessili di MODALISBOA: Calvelex, Fabrics4Fashion, RDD Textiles e Riopele. Tutti i designer hanno in comune la preoccupazione verso l’uso di processi produttivi a minor impatto ambientale possibile. Tanti new talent hanno utilizzato stampe realizzate con processi e fibre naturali, materiali riciclabili e stampe 3D. E ora non resta che presentare i designer di questa edizione da tenere d’occhio.

1. MODALISBOA presenta la sostenibilità di DuarteHajime

DuarteHajime è il brand con nuovo nome fondato da Ana Duarte (Lisbona, 1991), che dopo il contest Sangue Novo e diversi premi (nel 2021 ha vinto il C.L.A.S.S. Icon Award) si caratterizza per le stampe realizzate dalla stessa designer. DuarteHajime intende ridefinire il concetto di streetwear, focalizzandosi sulla sostenibilità tramite tessuti naturali e tecnologici. Hajime è una parola giapponese che significa “inizio”. Nelle arti marziali tradizionali giapponesi, come judo, karate, aikido e kendo, indica il comando verbale di “iniziare”.  Il brand nel 2023 ha iniziato un nuovo percorso (da Duarte in DuarteHajime) mantenendo la stessa visione, raccontando storie in un’ottica e stile urban, con attenzione alla qualità e materiali tutti Made in Portugal e sostenibili.

2. Filipe Cerejo e una nuova sensualità maschile

Filipe Cerejo ha iniziato il suo viaggio nella moda a Porto per poi trasferirsi a Londra, dove ha conseguito una laurea in Fashion Design presso la Middlesex University nel 2021. La sua collezione di laurea è stata esposta anche al British Fashion Council e da ShowStudio. Nel 2022 ha vinto il premio Polimoda all’interno di Sangue Novo, il concorso per giovani designer di ModaLisboa. Questo riconoscimento gli ha poi dato la possibilità di vincere un Master in Collection Design al Polimoda di Firenze. La sua visione nella progettazione vuole evocare un’idea di sensualità e di identità unica, offrendo una nuova prospettiva dell’abbigliamento maschile.

3. Constança Entrudo presenta a MODALISBOA una collezione dadaista

Constança Entrudo, una delle designer più sperimentali della Lisbon Fashion Week, ci ha fatto entrare nel suo studio nel cuore di Lisbona. La sua S/S 24 vuole fare porre l’accento sui pericoli del riscaldamento globale che ha cancellato l’esistenza dell’inverno. I capi della collezione sono progettati per riflettere questo drammatico cambiamento. Immagina un ufficio in cui gli abiti tradizionali e le camicie a righe in popeline sono sottoposti a strappi e tagli, e i loro frammenti intrecciati in canotte in jersey strappate, destrutturate. La designer lavora sul concetto di riappropriazione di oggetti scartati e riassemblati in modo casuale, come accade nell’arte Dadaista.

Così le stampe presenti in questa collezione derivano da fotografie di natura morta di oggetti di uso quotidiano, tra cui la giocosa giustapposizione di fiocchi di Natale con conchiglie e altri motivi di ispirazione marina. Oppure intricate sculture che ritraggono penne a sfera da ufficio intrecciate con fili. Queste sculture e fotografie di oggetti scartati suggeriscono gli scambi invisibili della vita quotidiana. Uno sguardo ironico e critico sulla cultura del consumo e sullo spreco.

4. Ivan Hunga Garcia strizza l’occhio alla Land Art

Sempre nel segno della sperimentazione, ricordiamo la moda come espressione creativa di Ivan Hunga Garcia. Il designer si sta facendo notare per la sua ricerca couture grazie al progetto Botanical Apparel, debuttato alla Lisboa Fashion Week (concorso Sangue Novo) nel marzo 2022. Il designer lavora sul concetto di incubazione di materiali tessili e Land Art che diventa abito, un omaggio al patrimonio ancestrale.

5. Lidija Kolovrat abbraccia la bellezza e l’inaspettato

Intersezioni tra arte, moda e cinema per Lidija Kolovrat con il brand KOLOVRAT, che definisce il suo linguaggio attraverso la decostruzione e la cultura urbana. Il marchio da sempre ha a cuore l’impatto delle sue creazioni, sia per l’ambiente – valorizzando la sostenibilità e l’upcycling – sia per i clienti. Kolovrat crede che l’abbigliamento rifletta il nostro mondo interiore, la nostra geometria sacra e il nostro linguaggio simbolico. «L’intuizione, la spiritualità e l’innovazione sono il modo per raggiungere l’unicità del pezzo che sarà co-creato per ognuno, in modo che ogni persona possa potenziarsi con il proprio vero sé e abbracciare il senso di bellezza e l’inaspettato», dichiara la stessa Lidija Kolovrat.

Arte e moda si incontrano nelle creazioni KOLOVRAT, firmate Lidija Kolovrat.
Arte e moda si incontrano nelle creazioni KOLOVRAT, ph. Manuel Scrima

Photographer: Manuel Scrima

Naomi: la prima mostra del V&A dedicata a una modella

Il Victoria & Albert Museum di Londra dimostra (ancora una volta) di essere uno delle poche realtà museali attente a raccontare la moda con un linguaggio e una narrativa contemporanea attraverso mostre pionieristiche. Non solo nella scelta di tematiche davvero originali, ma anche con le personali dedicate a figure non convenzionali come Anna Piaggi (con Fashion-ology), fino a quella dedicata a David Bowie, che è diventata una mostra permanente. Per la prima volta il V&A dedica a Naomi Campbell, una delle più iconiche modelle, una mostra (Naomi) che vuole celebrare i suoi 40 anni nella moda.

Naomi Campbell in passerella per Saint Laurent nel 1987
Naomi Campbell sfila per Yves Saint Laurent (Getty)

Tutto parte proprio dalle strade di Londra, circa 40 anni fa, quando Naomi fu notata da un’agente mentre camminava a Covent Garden all’età di 15 anni. Poco dopo Naomi entra nella storia come la prima modella nera a comparire sulla copertina di Vogue Paris a 18 anni. Insieme a Cindy Crawford, Helena Christensen, Claudia Schiffer, Carla Bruni è una delle 5 top model degli anni ’90 lanciate come fenomeno da Gianni Versace e che la stessa Donatella ha riunito a settembre 2017.

Il ritorno delle super modelle

Più che top: eterne. Cindy Crawford, Helena Christensen, Claudia Schiffer, Carla Bruni e Naomi Campbell insieme hanno cambiato il volto dell’industria, trasformando le indossatrici in dive ammirate, celebrate (e strapagate) al pari delle attrici di Hollywood. Anche se una generazione più giovane ha iniziato a calcare le passerelle, il fascino delle 5 top non arretra di un millimetro: lo dimostra la loro costante presenza nelle Fashion Week e una serie evento, Supermodels (Apple Tv) che ne ripercorre i passi.

Naomi, la mostra al V&A Museum

La retrospettiva su Naomi Campbell a Londra promette di essere una mostra unica nel suo genere. Vuole raccontate la straordinaria carriera della modella che ha collaborato con i più importanti designer e fotografi: saranno in mostra non solo i numerosi look indossati durante la sua lunga carriera, ma anche il suo impegno di attivista. Per tutti gli amanti della moda saranno circa 100 i look indossati dalla “pantera nera” in mostra, inclusi pezzi del suo guardaroba che spaziano dalle creazioni di Alexander McQueen, Azzedine Alaïa, Chanel, Dolce&Gabbana, Jean Paul Gaultier, John Galliano, Karl Lagerfeld, Virgil Abloh, Vivienne Westwood e molti altri, così come le immagini catturate da fotografi come Steven Meisel e Tim Walker.

Naomi Campbell negli anni 90 con un abito Versace
Naomi Campbell in Versace (Getty Images)

La mostra sarà curata da Sonnet Stanfill, Senior Curator moda al V&A, che ha dichiarato: «Naomi è riconosciuta in tutto il mondo come top model, attivista, filantropa e mente creativa, una delle personalità più prolifiche e influenti nella cultura contemporanea. Siamo lieti di lavorare con lei a questo progetto e di celebrare la sua carriera con il nostro pubblico».

I momenti cult della carriera di Naomi Campbell

Il fascino e l’influenza di Naomi Campbell vanno ben oltre la moda. Chiedete a chiunque, per strada, la prima modella che gli viene in mente: più di uno citerà proprio la Venere Nera. Questo perché nella sua carriera (lunghissima) ci ha regalato dei momenti da antologia. Perfino il debutto è stato dirompente: a 16 anni sale in passerella per Azzedine Alaïa (che considerava quasi un padre) e nel 1987 è apparsa per la prima volta sul Calendario Pirelli grazie a Terence Donovan. Nel 1993 calcò la passerella di Chanel scoprendo (per caso?) un seno, per poi mandare in visibilio il pubblico con il mini bikini logato. La sfilata più difficile, forse, è stata quella successiva alla morte di Gianni Versace, con una lacrima di commozione a Piazza di Spagna. Quando Kim Jones lasciò Louis Vuitton Naomi era lì, a tenergli la mano in passerella, insieme a Kate Moss.

Anche le più grandi, però, a volte inciampano: nel 1993, mentre camminava su platform vertiginosi viola acceso, Naomi Campbell cadde sulla passerella di Vivienne Westwood. Ma, senza fare un plissé, si rialzò e finì di sfilare con un aplomb tutto british. Gli inciampi metaforici, invece, li conosciamo tutti: nel 2007 tirò un cellulare contro la donna di servizio e per questo fu condannata a fare una settimana di lavori socialmente utili.

Ma qui si vede la statura della diva: anziché tenere un profilo basso sperando nell’oblio della stampa, si presentò ogni giorno con un nuovo outfit griffato, trasformando la sentenza in una straordinaria campagna PR. Gran finale: un abito di paillettes argento firmato Dolce&Gabbana. In molte, con scarso successo, hanno provato a citarla o imitarla: inclusa Kim Kardashian, criticata sui social per quei look “davvero troppo simili” a quelli della Venere Nera.

Naomi Campbell seleziona i look per la mostra al Victoria&Albert Museum a Londra
L’allestimento della mostra su Naomi Campbell (foto di Marco Bahler)

La mostra celebra l’impegno di Naomi contro il razzismo

La mostra su Naomi Campbell ospita non solo abiti e pezzi unici, che hanno fatto la storia della moda contemporanea, ma vuole anche mettere in luce il lavoro di Naomi come filantropa attraverso momenti come l’adesione alla Black Girls Coalition nel 1989 e la campagna per una maggiore diversità in passerella. È la prima volta che una modella è al centro di una mostra al V&A, ed elemento ancora più interessante è lo stesso coinvolgimento personale di Naomi Campbell al progetto. «Stiamo lavorando molto con lei per mettere in risalto la sua voce e la sua prospettiva – ha dichiarato la curatrice a Vogue Italia – questa non è una vera e propria retrospettiva, perché anche se si guarda indietro a 40 anni fa, lei è ancora così attiva, dalle campagne pubblicitarie alle passerelle».

La mostra Naomi aprirà al pubblico il 22 giugno 2024 e resterà aperta fino al 6 aprile 2025, un evento che saprà attirare l’attenzione di un pubblico davvero ampio, ben oltre i soli addetti ai lavori, una sfida importante per un museo dinamico come il V&A.

Sostenibilità e nuovi talenti: le sfide degli yatch Baglietto

Un cantiere sinonimo di storia e continua innovazione: questa è la filosofia degli yatch Baglietto. A partire dal suo fondatore, Pietro Baglietto, che decise di intraprendere la costruzione di piccoli scafi nel giardino della propria casa, nel lontano 1854. Da allora il marchio è sempre stato sinonimo di spirito creativo, genio tecnico, ingegnosità nella ricerca e sviluppo. Su questa linea continua la nuova Baglietto, nata alla fine del 2020 grazie alla fusione dei 2 brand nautici europei della famiglia Gavio (Baglietto e CCN) sotto la direzione del CEO, Diego Michele Deprati.


Un investimento di lungo termine importante da parte di Gavio, che conferma così la sua passione e immutato interesse per il settore nautico. Oggi Baglietto conta 90 dipendenti e 2 sedi produttive, a La Spezia e Carrara.

Uno degli yachts di Baglietto
Uno degli yacht di Baglietto, ph. Pietro Lucerni

Gli yatch Baglietto dalle sedi italiane alle rappresentanze estere

La sede di La Spezia si espande su una superficie di ca. 35.000mq. Un importante progetto costruttivo ha visto, negli anni, il rinnovamento dell’intero impianto produttivo con la costruzione di 3 nuovi capannoni per imbarcazioni fino a 65m e banchine attrezzate per ospitare navi fino a 70m. L’unità operativa di Carrara conta, invece, 2 aree di 5.000mq ciascuna con 8 capannoni totali, destinate alla costruzione delle imbarcazioni militari e di yacht fino a 50m.

Alle due sedi Italiane si affianca una filiale (Baglietto Americas), a Fort Lauderdale, in Florida, nata per presidiare uno dei mercati strategici dell’Azienda ed una di recente apertura commerciale in Australia (nella Gold Coast, a supporto delle aree di Australia e Nuova Zelanda) oltre che 2 nuove rappresentanze in Brasile e nella Repubblica Dominicana.

Baglietto, fedele al suo DNA, prosegue nello sviluppo della nuova gamma di yatch e imbarcazioni che ha l’obiettivo di confermare il marchio tra i brand all’avanguardia per stile, innovazione e tecnologia, nel rispetto della tradizione e dell’artigianalità.

Oltre a quattro linee, dalla più “tradizionale”, TLine in acciaio e alluminio, firmate Francesco Paszkowski Design (da più di vent’anni designer di riferimento del marchio del gabbiano) fino alle imbarcazioni veloci e performanti, si aggiunge la linea DOM, cruiser in alluminio di 41m disegnata dal designer Stefano Vafiadis. L‘ampia gamma offerta dal cantiere non limita, tuttavia, la scelta per gli amatori Baglietto che dedica una parte della sua produzione al su misura totalmente personalizzato.

L’impegno sostenibile di Baglietto: il sistema BZero

Bzero Working for an evolving future” è il nuovo progetto di Baglietto nell’ambito delle nuove energie sostenibili per il settore navale. Bzero, la prima B del sistema valoriale di Baglietto (che si aggiunge alle 8B: Bold, Boutique, Balance, Borderless, Brave, Background, Brilliant, Beauty), forse la più importante, segna infatti l’impegno forte e deciso del cantiere al raggiungimento delle zero emissioni.

Il progetto è un innovativo sistema che prevede l’implementazione di un modulo di produzione di idrogeno che, a partire dall’acqua di mare filtrata e deionizzata, e attraverso elettrolizzatori, produce idrogeno. Tali elettrolizzatori vengono alimentati da fonti rinnovabili al fine di produrre idrogeno di tipo “green”.
Dopo lunghe ricerche questo sistema viene realizzato su un prototipo che poi sarà installato e ottimizzato, sulle imbarcazioni Baglietto superiori ai 50m. Lo stesso prototipo sarà utilizzato per sviluppare le procedure di funzionamento, per ottimizzare gli aspetti tecnici e ottenere le opportune certificazioni navali necessarie per poter usare il sistema a bordo degli yacht, effettuando la ricarica di idrogeno nei serbatoi in autonomia o da fonte esterna.

Presentazione di BZero, ph. Pietro Lucerni
Presentazione di BZero, ph. Pietro Lucerni

Il progetto nelle parole di Diego Michele Deprati

La power station si inserisce, inoltre, in un sistema virtuoso andando a contribuire in parte anche al ciclo di produzione di energia del cantiere. «Il progetto Bzero – commenta Diego Michele Deprati, Amministratore Delegato Baglietto – conferma la visione pionieristica di Baglietto e il suo forte coinvolgimento per una nautica sempre più sostenibile e green e per essere parte attiva e proattiva dell’inevitabile processo di trasformazione energetica. La Power Station BZero è la nostra promessa mantenuta.

Da quasi 170 anni Baglietto è sinonimo di avanguardia, di innovazione tecnologica e progresso, e per questo ci siamo impegnati ad andare oltre e dare il nostro contributo nei confronti del nostro mare e dell’ambiente e di un tema, quello di una nautica che sia finalmente sostenibile e veramente green, per noi oggi imprescindibile. Nel 1874 Jules Verne scrisse: “L’acqua sarà un giorno un combustibile. L’idrogeno e l’ossigeno di cui è costituita, utilizzati isolatamente, offriranno una sorgente di calore e di luce inesauribile”. Oggi è il momento.

In Baglietto – prosegue Deprati – abbiamo istituito un dipartimento espressamente dedicato allo studio delle nuove tecnologie ecosostenibili, “Baglietto Energy” per studiare l’implementazione di fonti di energia alternative da applicare alla nautica. Il Progetto BZERO è un primo importante punto di partenza, ma anche la porta verso la grande sfida del futuro, una sfida di conoscenza, fatta di grande senso di responsabilità, umiltà, ambizione e determinazione, e rispetto per il mare. Elementi di cui ogni Baglietto è fatto».

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

I partner del progetto e il tema della sostenibilità

Insieme a Baglietto, capofila del progetto, partecipano 6 partner di rilevanza internazionale, tutte con team di progettazione e sviluppo basati in Italia: ARCO TECHNOLOGIES, BLUENERGY REVOLUTION, ENAPTER, H2BOAT e SIEMENS ENERGY oltre a RINA come ente certificatore in tutte le fasi di progetto.

Baglietto è da sempre attenta alle tematiche “green” attraverso lo studio e la predisposizione standard, nelle sue imbarcazioni, di motorizzazioni ibride con sistemi di propulsione ibrida parallela (che combina motori diesel tradizionali e motori elettrici consentendo diverse configurazioni e modalità di propulsione a seconda delle esigenze operative e di crociera).

Le diverse configurazioni offerte permettono, quindi, la scelta di una modalità di navigazione più efficiente per ridurre i consumi e l’impatto ambientale, oltre che massimizzare il comfort a bordo grazie alla riduzione del rumore e delle vibrazioni sia all’ancora, sia in crociera.

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

Officina Baglietto: la scuola per formare le nuove generazioni

In vista del 170esimo anniversario, che verrà celebrato nel 2024, Baglietto si prepara a lasciare un segno nel mondo del design, lanciando “Officina Baglietto“: un talent garden che mira a identificare, formare e specializzare giovani generazioni di creativi rispetto al mercato del lusso. Il progetto prevede 4 percorsi formativi dedicati alla moda, al gioiello, all’arredo, e ovviamente alla nautica.

Quattro sentieri in mondi tangenti e complementari alla nautica, che vedranno la collaborazione con illustri professionisti di settore. L’area moda nasce dalla collaborazione con Tiziana Fausti e 10 Corso Como, il settore product design è affidato a Nicholas Bewick, Architecture Art Director presso il celebre studio AMDL CIRCLE, il gioiello a Rosa Maria Villani – coordinatore e responsabile, della scuola dell’Arte e della Medaglia di Poligrafico e Zecca dello Stato. L’area nautica invece sarà diretta da Francesco Paszkowski, da oltre trent’anni designer di riferimento dei cantieri Baglietto.

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

Il progetto Officina Baglietto curato da YACademy

Il progetto, nella sua interezza, è curato da YACademy, accademia di design con base a Bologna, che si è qualificata fra i più prestigiosi istituti post-graduate internazionali. Le candidature al progetto si chiuderanno entro il mese di ottobre, e l’iniziativa inizierà da dicembre 2023; prima con un periodo di formazione dei giovani selezionati a La Spezia, per poi approdare presso le varie realtà partner (fra Milano, Roma e Firenze), per un percorso intensivo di progettazione orientato a declinare il marchio Baglietto nel mondo moda, design, arredo e nautica.

I migliori creativi avranno l’opportunità di essere valutati per dare seguito alle proprie idee attraverso percorsi di inserimento con il cantiere, ma anche collaborando con altri brand del lusso. Una scommessa sulle nuove generazioni per scrivere un nuovo capitolo dello storico cantiere navale.

Così conclude Tiziana Fausti, Presidente 10 Corso Como, referente dell’area fashion design di Officina Baglietto: «Ringrazio Baglietto Yachting e YACademy per aver invitato 10 Corso Como a collaborare ad un progetto capace di unire la moda con la nautica, attraverso un percorso focalizzato su competenze in grado di mostrare la nascita di una collezione moda, dallo stile al design, dall’immagine alla produzione, dal business al retail, per una reciproca condivisione di saperi».

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

Whatever It Takes: a Venezia 80 il documentario sulla Scuderia AlphaTauri

In occasione della 80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato in anteprima Whatever it Takes, il documentario sulla Scuderia AlphaTauri che ripercorre la storia della squadra faentina fin dalla sua prima apparizione in Formula 1 nel 2006. Nella cornice di Palazzina Grassi, con tanto di auto esposta sul Canal Grande, Federica Masolin, la popolare conduttrice della Formula 1 di Sky Italia, ha presentato il documentario insieme al Team Principal Franz Tost, figura trainante che ha messo insieme il team, il Direttore Tecnico Jody Egginton, il CEO Peter Bayer oltre agli altri membri protagonisti nel film tra cui il pilota Yuki Tsunoda e il regista Luca Curto.

Il documentario racconta i segreti del mondo delle corse

Oltre a ripercorrere i suoi 18 anni di attività, il lungometraggio si è posto come obiettivo quello di portare lo spettatore dietro le quinte della factory (che ha sede in Italia e nel Regno Unito), offrendo una rara visione di ciò che realmente occorre per poter competere nella categoria più prestigiosa dell’automobilismo sportivo.

L’arrivo degli ospiti alla premiere di Whatever it Takes

Il documentario – prodotto in collaborazione con Digital Lighthouse, Media Partner del Team, e diretto da Luca Curto – si sviluppa attraverso una serie di interviste ai piloti e a tutte le figure chiave della squadra che hanno creduto nel progetto e sono riusciti a trasformarlo in una solida realtà aziendale. E proprio tra i protagonisti del documentario, voce narrante che tiene le fila, è lo stesso Franz Tost, ex pilota austriaco e Team Leader che ha messo insieme la Scuderia puntando su molti giovani talenti, che a fine anno lascerà la squadra dopo 18 anni di carriera costellata di successi.

Una scena del documentario

Il pilota Yuki Tsunoda all’anteprima di Whatever it Takes


All’anteprima, altra figura rilevante è il giovane pilota Yuki Tsunoda che ha commentato dopo la proiezione: «E’ davvero impressionante vedere come lavora il team e capire tutto il lavoro che sta dietro le quinte, l’impressionante quantità di persone, tempo e tecnologie per le macchine… La mia passione per la corsa inizia prestissimo, grazie a papà che è meccanico; da sempre sognavo di diventare pilota di Formula1 quando in Giappone andavo a vedere le corse. Vedere il documentario è stato emozionante e soprattutto rievocare alcuni momenti salienti del recente passato, in particolare il 2021, che è stato il mio primo anno in Formula 1».

Yuki Tsunoda ospite della Scuderia AlphaTauri

E proprio il rapporto speciale che lega il pilota giapponese a Franz Tost si evince bene dal film, anche in momenti non facili e complessi. Così ricorda lo stesso Tsunoda: «Senza Franz Tost non sarei qui, a lui devo moltissimo sia umanamente, sia come pilota. Mi ha dato moltissimo tempo e fiducia, anche in momenti molto difficili, continuando a seguirmi e consigliandomi per raggiungere i miei obiettivi, ma senza pressione, facendomi trovare il ritmo giusto e la sintonia con la macchina. Così sono cresciuto nel tempo performando sempre meglio. Spero di renderlo orgoglioso con i miei risultati».

Whatever it Takes comunica bene tutta la dedizione, la passione, le gioie e i sacrifici di questo sport con i suoi regolamenti che cambiano e che determinano nuove sfide, la sofferenza delle sconfitte e l’impagabile esaltazione delle vittorie. Un film molto ben documentato (ci sono voluti quasi due anni di lavoro) che ha un ritmo incalzante, riuscendo ad appassionare anche chi non è esperto o appassionato di Formula 1.

La storia della scuderia AlphaTauri, una fucina di giovani talenti

Il documentario mostra la storia che parte dalle origini come Scuderia Toro Rosso, dal 2006 al 2019, erede della Minardi (di base a Faenza) dopo l’acquisto da parte dell’azienda austriaca Red Bull. Un percorso lungo, durante il quale la scuderia ha lanciato tanti giovani talenti in Formula 1: tra questi, anche molte stelle della F1 di oggi, tra cui Sebastian Vettel, Max Verstappen, Daniel Ricciardo o Carlos Sainz. Nella storia di AlphaTauri hanno collaborato quattro diversi motoristi – Cosworth, Ferrari, Renault e Honda – e ottenuto due vittorie (entrambe a Monza, nel 2008 come Toro Rosso e nel 2020 come AlphaTauri), un secondo posto (Brasile 2019) e due terzi posti (Germania 2019 e Azerbaijan 2021).

Franz Tost commenta il documentario Whatever it Takes

Una scelta che ha pagato e che ha aperto la strada a due campioni del mondo come Sebastian Vettel e Max Verstappen, oltre che aver contribuito a portare sulla griglia di partenza del 2023 un quarto dei suoi ex piloti. In questa storia avvincente è stata fondamentale la determinazione di Franz Tost, Team Principal e padre spirituale della squadra, con i suoi ingegneri, i suoi giovani piloti e tutti i membri di uno staff ingaggiato nel lavoro di gruppo diviso tra la sede italiana e quella inglese.

Una scena del film Whatever it takes

Nell’idea originaria di Dietrich Mateschitz, questa scuderia secondaria doveva servire a formare i professionisti che poi sarebbero passati a Red Bull. Così con la guida di Franz Tost e un team di giovani promesse in diversi campi, dall’ingegneria alla modellistica, si sono formati futuri campioni come Sebastian Vettel, Daniel Ricciardo, Pierre Gassly, Carlos Sainz e ora Yuki Tsunoda.

Ha concluso Franz Tost: «È un film affascinante che offre un dettagliato sguardo dietro le quinte, esattamente quello che i fan della Formula 1 desiderano vedere, e il documentario lo fa in maniera impeccabile. Non si tratta solo dell’intensa attività della domenica di gara, ma anche di tutto il laborioso processo preparatorio, che spazia dall’aspetto tecnico alla gestione del marketing e delle relazioni con i media. Tutti questi elementi devono essere perfettamente coordinati per garantire un ottimo weekend di gara».

Arte, Design, Wine: la filosofia della Roseto Experience

Da un lifestyle cittadino alla vacanza, Roseto offre una serie di soluzioni abitative in grado di soddisfare le richieste più diverse grazie ai brand Roseto Prestige, Roseto Home e Roseto Experience.
Il primo, Roseto Prestige, propone immobili di prestigio nelle zone più esclusive di Milano, valorizzati grazie a un livello di servizi elevato e il coinvolgimento di professionisti nella progettazione architettonica. Roseto Home è il marchio di Roseto specializzato in affitti di qualità nell’hinterland milanese, che completa l’offerta immobiliare della società. A questi si è aggiunto di recente una nuova linea di business, Roseto Experience, un concept dedicato alle vacanze in località italiane esclusive, come Madonna di Campiglio, dove diventano protagonisti il design e la ricercatezza dell’ interior, oltre alla qualità dei numerosi servizi personalizzati e tailor made in base alle singole esigenze. Di questo ambizioso progetto e delle prossime iniziative nell’arte, ne abbiamo parlato con Rocco Alessandro Roggia, Amministratore Delegato di Roseto

Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio

«Roseto offre soluzioni di estrema ricercatezza perché curate nei minimi particolari per un soggiorno di relax»

Come nasce Roseto Experience?

Dopo esserci specializzati nel settore del lusso (Roseto Prestige) abbiamo deciso di allargarci con il ramo Experience, un tipo di servizio diverso, legato all’affitto breve di immobili nelle città o zone tipiche di lusso italiano. Siamo partiti da Madonna di Campiglio, grande centro sciistico, realtà che ha grande successo durante l’inverno, ma che funziona anche d’estate. Il Trentino è forse la regione italiana capace di offrire più soluzioni differenti tra laghi, campagne e montagne spettacolari, per ottenere il massimo del benessere rigenerante nel fisico e nella mente dai piaceri della natura.
Abbiamo acquistato due appartamenti e li abbiamo completamente costruiti da zero. I due nuovi immobili si trovano all’interno della residenza Campiglio WOOD, nel cuore della rinomata località di montagna incastonata nelle Dolomiti di Brenta. In questo scenario di rara bellezza naturalistica e paesaggistica, Roseto offre soluzioni di estrema ricercatezza perché curate nei minimi particolari per un soggiorno di relax, grazie anche ai numerosi servizi come un’ampia area wellness ad uso esclusivo degli ospiti e uno staff Hospitality per esaudire tutti i desideri e le richieste di coloro che trascorreranno le vacanze negli appartamenti Roseto Experience. Al centro di questa offerta è la grande attenzione al dettagli che possono sorprendere il cliente creando un’atmosfera speciale.
Offriamo servizi dedicati e di concierge che spaziano dalle attività previste e disponibili dei vari luoghi alla ristorazione, fino alle modalità di trasporto per arrivare e spostarsi in zona nel modo migliore.

Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio

«Stiamo lavorando con l’idea di rendere l’arte fruibile e aperta al pubblico tramite le mostre»

Come nasce il legame con l’arte contemporanea?

Nasce inizialmente come passione personale e familiare, già da anni seguiamo il mercato dell’arte contemporanea e ogni tanto acquistiamo alcune opere. Proprio grazie al progetto Roseto Experience abbiamo sentito l’esigenza di arredare le case e decorarle con dei quadri per riscaldare l’ambiente e renderlo unico. Da qui i nostri consulenti ci hanno incoraggiato a investire nell’arte per essere riconosciuti non solo per il nostro settore, che è quello dell’immobiliare, ma anche per promuovere un concetto di lifestyle caratterizzato oggi dall’arte cui si è legato bene anche il mondo del vino.
Stiamo lavorando con l’idea di rendere l’arte fruibile e aperta al pubblico tramite le mostre. Quindi abbiamo iniziato a comprare in modo più sistematico opere d’arte sia per dare identità ai nostri immobili, sia per alimentare questa visione organizzando mostre ed eventi. Da qui l’idea anche di utilizzare e a aprire i nostri spazi all’arte tramite progetti site specific.

Come scegliete gli artisti su sui lavorate per i diversi progetti?

Per la selezione delle opere d’arte lavoriamo insieme a un team di consulenti, che sono persone del settore molto competenti. Con loro abbiamo deciso di puntare su artisti emergenti e internazionali, che ancora non sono nomi troppo conosciuti. L’idea è di contribuire alla loro crescita sul mercato anche tramite le nostre attività e ci aspettiamo tra qualche anno abbiano sempre più successo e riconoscimento. Per noi è importante lavorare in modo organico facendo crescere gli artisti e il valore delle opere. Al momento ci concentriamo sull’arte contemporanea e Pop Art con focus su nomi emergenti. Siamo sempre attenti nell’osservare anche le tendenze nel design e nella moda e con il tempo arriveremo anche a espanderci su queste realtà per una visione sempre più lifestyle.

Opere di Lorenzo Marini
Opere di Lorenzo Marini

«A ottobre, in occasione della Milano Wine Week, vogliamo organizzare una nuova mostra d’arte con diversi artisti e curatori»

E quando sarà la prossima mostra?

A ottobre, in occasione della Milano Wine Week, vogliamo organizzare una nuova mostra d’arte con diversi artisti e curatori occupando i nostri spazi di Corso Garibaldi 95 (Roseto Design Square), dove abbiamo già organizzato la mostra di Lorenzo Marini. In quella settimana organizzeremo anche
diversi eventi nella nostra winery, invitando i nostri clienti per visitare la nostra mostra, ovviamente aperta anche al pubblico. Vogliamo far conoscere questi spazi che rappresentano un gioiello nascosto di Milano, un luogo importante a livello storico, dove sono ancora visibili i resti dell’antico chiostro che oggi diventa un percorso esperenziale.

Oltre all’arte, anche il vino…come si integra nel progetto?

La creazione di una vera e propria winery nasce come idea di servizio aggiuntivo per i nostri clienti, sempre nell’ottica di offrire una consulenza in linea con uno stile di vita dove il vino e l’arte sono tutti elementi di un bien vivre. Vogliamo essere per i nostri clienti dei veri punti di riferimento su diversi aspetti. La nostra cantina seleziona etichette prestigiose provenienti dalle migliori cantine italiane ed internazionali con l’obiettivo di proporre nuove cantine e realtà di nicchia.
Siamo partiti con aziende più consolidate per poi trovare e suggerire ai nostri clienti etichette nuove, che hanno una storia da raccontare. Spesso il mondo dell’immobiliare è ancora visto in modo molto statico e tradizionale. Per questo noi lavoriamo con un concetto di servizi e di esperienze, pur restando concentrati sul mondo dell’immobiliare con standard di case molti alti a livello progettuale (divisione ambienti, bagno in ogni stanza, domotica, illuminazione, sistemi di riscaldamento, tanto per citare alcuni aspetti) fino all’attenzione alla sostenibilità.

Rocco Alessandro Roggia, Amministratore Delegato di Roseto. 
Rocco Alessandro Roggia, Amministratore Delegato di Roseto

Storie di eccellenza pugliese: la cantina Vetrère

Una storia che affonda le proprie radici nel 1600, ai tempi del Barocco salentino di cui Taranto conserva testimonianze architettoniche di grande valore. Già un’antica mappa del ‘700 attesta la presenza di una affermata realtà agricola e vinicola nel terreno sul quale sorge oggi l’azienda agricola Vetrère. Per arrivare ai primi del Novecento, quando nel 1903, Serafina Troilo sposa Michele Ammazzalorsa, che lascia i suoi possedimenti al nipote Enrico Bruni, padre delle attuali proprietarie. Oggi l’azienda è guidata da Annamaria e Francesca e i figli Fanny, Enrica, Martina e Federico. Arrivata alla 5° generazione, la
filosofia di Vetrère guarda sempre più avanti, promuovendo strumenti e metodi all’avanguardia che strizzano l’occhio alla sostenibilità: un’attenzione all’innovazione che permette di conservare intatte le proprietà organolettiche dei prodotti, preservando l’identità profonda di questa azienda storica. Un aspetto importante per la cantina Vetrère è proprio la sostenibilità ambientale: l’azienda lavora in regime biologico e ha adottato i pannelli solari per sostenere il fabbisogno energetico.

Francesca Bruni, al timone dell’azienda agricola Vetrère

Come riassume la stessa Francesca Bruni: «Vetrère è un’azienda agricola che va ben oltre la produzione di vini, ma è un autentico presidio e realtà ambasciatrice del territorio. La sua filosofia si estende ben oltre i confini delle vigne, abbracciando l’ambiente, la qualità e la cultura. Questo spirito di eccellenza ha radici profonde, risalenti al lontano 1600, un’epoca in cui nel Salento fioriva lo stile barocco, lasciando dietro di sé testimonianze architettoniche di inestimabile valore.
La storia di Vetrère ha inizio grazie alla famiglia Troilo, come dimostra un’antica mappa del XVIII secolo. Questo terreno prezioso passò per matrimonio nelle mani di un uomo di rara sensibilità, Michele Ammazzalorsa, un autentico mecenate e collezionista d’arte che ha racchiuso nel suo Storico Palazzo a Bisceglie il meglio dell’arte secondo il gusto dell’epoca. Fu da lui che la nostra famiglia Bruni ereditò la cantina Vetrère e il gusto per il design, il quale si manifesta nella sofisticatezza e nell’originalità delle nostre etichette».

L'azienda della cantina Vetrère
L’azienda della cantina Vetrère

Lo storico Palazzo Ammazzalorsa nel cuore di Bisceglie

Un luogo storico Palazzo Ammazzalorsa (oggi diventato tutelato dal FAI – Fondo per l’ambiente italiano) si erge imponente sulle mura aragonesi del XVII secolo da cui domina il porto antico città di Bisceglie, un centro urbano a nord di Bari ancora oggi ben custodito.
Il palazzo è costituito da due livelli, divisi da una cornice marcapiano: un primo livello della facciata è caratterizzato da un bugnato rustico mentre una pietra tufacea caratterizza la facciata del piano soprastante. L’accesso è consentito grazie ad un portale in pietra chiuso da un portone in legno intagliato sovrastato da un balcone con balaustra in pietra. Palazzo Ammazzalorsa fu riportato alla piena attività da Enrico Bruni. Dal 2002 Annamaria e Francesca hanno ridato vita al nome con l’intento che Vetrère possa rappresentare a pieno la passione per il vino e per la terra. Un legame con il territorio
testimoniato anche attraverso la collaborazione con ceramisti di spicco del panorama Grottagliese che realizzano fantasiosi porta bottiglie di ceramica decorati con i colori della Puglia.

Vino della cantina Vetrère
Vino della Cantina Vetrère

La cantina Vetrère, il territorio e i vini speciali

La Cantina Vetrère si colloca tra il comune di Montemesola e Montelasi, terreno multiforme caratterizzato dalle non lontane e tipiche Murge tarantine, un complesso collinare nella provincia di Taranto in Puglia che digradano fino all’arco ionico tarantino, all’area della valle d’Itria e alla soglia messapica. Questa confluenza di territorio e clima è marcata nella sua particolare posizione, dalle influenze di due mari: lo Ionio e l’Adriatico. Ed è proprio questa complessa conformazione e composizione dei terreni che conferisci alla produzione vinicola di Vetrère una forte identità.
Le uve coltivate secondo la forma di allevamento a spalliera e cordone speronato sono le autoctone: Negroamaro, Primitivo e Malvasia per i rossi; Minutolo e l’internazionale Chardonnay per i bianchi. Il Minutolo è una varietà aromatica, coltivata in Puglia sin dal 1200, che dà al vino un carattere molto particolare. I vini Vetrère affondano le radici in quel Salento fatto di profumi, colori e di tradizione
antica. Una produzione che valorizza le potenzialità enologiche di questo territorio con grande determinazione e passione. I vini prodotti da varietà autoctone rappresentano l’incontro armonioso tra tradizione e innovazione. Tra questi, spicca il  “Crè” Riserva 2015 da uve Minutolo, un capolavoro enologico prodotto in soli 600 esemplari, in cui ogni etichetta è realizzata a mano. Un altro gioiello di alto design è il  “Minù” macerato di uve  di Minutolo, un vino ideato  dalla nuova generazione della famiglia. L’etichetta della selezione di Chardonnay “UMI” rappresenta invece un omaggio allo stile giapponese, evidenziando il costante desiderio di Vetrère di coniugare tradizione e raffinatezza artistica.

Minù, il vino della Cantina Vetrère
Minù, il vino della Cantina Vetrère

Moda e Territorio: “Méditerranée – Taranto e la Dolce vita”

Troppo spesso si associa a Taranto alla vicenda della Ilva con le sue ripercussioni sul territorio.
Proprio per far scoprire la città, torna la seconda edizione di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita, un format che vuole contribuire allo sviluppo economico e sociale della città, declinando il paradigma “Bellezza Sogno Passione Qualità”. Organizzato da Méditerranée, il format nasce da un’idea di Mario Rigo, stimato senior executive fashion advisor, e del famoso hair stilist Angelo Labriola, due tarantini che, dopo essersi affermati a livello nazionale, continuano il percorso iniziato l’anno scorso per realizzare il loro sogno: contribuire alla rinascita della città. Commenta Mario Rigo: «Vogliamo recuperare quel momento in cui Taranto nel passato era conosciuta per un senso dell’accoglienza e bellezza del territorio che oggi è mancata, ma che era innata anche nei locali o nel food, dove ad esempio lo storico mercato del pesce era un luogo conviviale e scenografico dove assaporare il pesce fresco in un contesto speciale. Con questa iniziativa vogliamo recuperare le migliori tradizioni artigianali e le eccellenze del territorio legate alla città per ridare un senso di dolce vita a Taranto che con la vicenda dell’Ilva ha perduto tanta bellezza». Cultura e territorio, creatività e stile italiano, sono questi i pilastri del format Méditerranée, nato dalla collaborazione tra i due co-founder che vede protagonista tutto ciò che attira Bellezza nel segno della Qualità. Fine ultimo è diffondere l’immagine di una Puglia più bella, in Italia e all’estero, attraverso eventi che ne esaltano la tradizione, la storia, la valorizzazione dei luoghi, l’arte artigiana, la creatività, la moda e lo stile inconfondibile.

Méditerranée - Taranto e la Dolce vita
L’rchestra ICO Magna Grecia durante Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

Le novità della seconda edizione di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

Così l’anno scorso la prima edizione di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita aveva trasformato il centro storico di Taranto in un laboratorio di soluzioni per rendere più vivibile la parte antica della città, anche organizzando in piazza Castello un evento fashion con la sfilata di abiti haute couture dello stilista Gianluca Saitto. Per questa edizione sono diverse le novità, come ci racconta Angelo Labriola: «Abbiamo aggiunto alla sfilata di Gianluca Saitto anche quella di Rossorame e il brand lusso haircare Shu Uemura: questo è stato un passo molto importante. Vogliamo inoltre portare avanti la creazione di una linea di prodotti firmati Méditerranée e stiamo lavorando a un profumo. Inoltre vista la presenza nel territorio di diversi artigiani e manifatture vogliamo offrire agli stilisti questo saper fare con l’obiettivo di creare collaborazioni moda e artigianalità locale.»
«Quest’anno l’evento conclusivo della seconda edizione sarà venerdì 15 dicembre presso il Circolo Ufficiali della Marina Militare, Méditerranée White Christmas, una cena di gala che darà voce a tutti i partner che ci hanno dato supporto e a tutte le persone e imprenditori che vogliono fare qualcosa per il territorio che possa avere una ricaduta anche sociale. Una serata speciale che esalterà le eccellenze del nostro territorio: donne, uomini e aziende impegnati della renaissance di Taranto, il rinascimento di una città in grado di proiettarsi sui palcoscenici nazionali e internazionali, forte di uno straordinario patrimonio storico, culturale e artistico, raccontato al mondo con una nuova narrazione in grado di valorizzare il suo cambiamento».

Il finale di Gianluca Saitto
Il finale della sfilata di Gianluca Saitto

La sfilata di Gianluca Saitto, Rossomare e Shu Uemura al Castello Aragonese

Gli eventi di questa seconda edizione hanno coinvolto l’iconico Castello Aragonese, scrigno di storia secolare e protagonista del rilancio turistico della città, che ha ospitato il fashion show Méditerranée e la grande Bellezza, una serata interamente dedicata alla moda nella sua massima espressione, impreziosita dalle note dell’Orchestra ICO Magna Grecia. Innamoratosi di Taranto, torna come special guest Gianluca Saitto, che presenta in anteprima la sua nuova collezione Primavera|Estate 2024 ispirata alla leggerezza, al movimento e al senso del colore del celebre dipinto La Primavera di Sandro Botticelli e in particolare alla figura di Zefiro. La nuova collezione, che sarà poi presenta a Milano Moda Donna a settembre, gioca da un lato sulle stampe floreali ripensate in modo astratto, dall’altro sulla forme più fluide degli abiti e dei completi nei colori del rosa intenso, giallo acido, glicine, fino ad arrivare agli abiti couture ricamati con cascate di petali e paillettes. A fare da contrappunto al mondo floreale sono i dettagli e giochi di geometrie nelle giacche, signature del designer, così come ai tessuti preziosi e fluttuanti si alternano quelli più strutturati e tecnici. Nasce un mix tra un daywear sofisticato e creazioni haute couture in cui le tradizioni del ricamo si valorizzano in un’ottica contemporanea.

I look prêt-à-porter, e l’alta moda di Saitto sono stati arricchiti con i gioielli dei brand più importanti (Crivelli, Vhernier, Pomellato) messi a disposizione da Angela Ripa Gioielli. Commentano Donato e Olivia Ripa, owners di Angela Ripa Gioielli: Abbiamo partecipato con grande orgoglio a questo evento credendo fermamente nell’enorme bellezza e potenzialità del territorio Tarantino. Con tutta la nostra passione abbiamo impreziosito una serata già magica e confidiamo di esserci riusciti regalando emozioni con i nostri gioielli che hanno valorizzato ulteriormente le creazioni moda».
Quest’anno. sulla passerella di Méditerranée e la grande Bellezza debuttano gli abiti di Rossorame, il brand indipendente di alta sartoria femminile, ideato e creato interamente in Italia: vitalità, creatività e sostenibilità di questo prestigioso marchio vengono soddisfatte attraverso un’incessante ricerca tecnica, stilistica e organizzativa. In questa edizione sposa Méditerranée e la grande Bellezza anche Shu Uemura, il brand che ha portato una rivoluzione nel mondo del hair-styling, creando nuovi standard di bellezza. A Taranto, grazie alla creatività di Angelo Labriola, Shu Uemura, ha mostrato le ultime tendenze del hair-styling, che celebrano la bellezza della donna in tutte le sue sfaccettature.

I look della sfilata di Gianluca Saitto
I look della sfilata di Gianluca Saitto
I look della sfilata di Gianluca Saitto
I look della sfilata di Gianluca Saitto

I supporter del progetto Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

Un’iniziativa ambiziosa che si è potuta sviluppare grazie a una cordata di imprenditori e istituzioni locali: main partner di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita 2023 sono Baux Cucine, Renexia e Banca Popolare Pugliese, fino ai diversi partner della manifestazione come la Camera di Commercio di Taranto, Jonian Dolphin Conservation, A.I.G.I. (Associazione Indotto AdI e General Industries) Taranto, Slow Food, Panacea, Vetrère, Orchestra ICO Magna Grecia, Andriani, Angela Ripa Gioielli e Boat Sharing.
Commenta Mariella Franchini, Responsabile Commerciale Baux Cucine: «Dopo più di trent’anni di esperienza nel settore dell’arredamento, nel 2014 parte il progetto BAUX, che si distingue per la ricerca e la selezione di materiali innovativi con una forte attenzione alla sostenibilità. Baux cucine ha scelto di sostenere Mediterranée e di valorizzare le eccellenze del territorio proprio perchè c’è un forte nesso tra moda e i valori fondanti di Baux. La sartorialità è un elemento specifico e distintivo di Baux: così come un abito viene pensato e scelto guardando all’estetica, ma anche al comfort di chi lo indosserà, anche una cucina Baux viene ideata, progettata e costruita seguendo i gusti, ma sopratuto lo stile di vita, le abitudini e le necessità di chi ne usufruirà. Allo stesso modo Baux pone particolare attenzione alla scelta dei materiali: per le cucine vengono impiegati solo materiali riciclabili ed ecosostenibili di altissima qualità, lavorando con processi e tecnologie all’avanguardia al fine di conferire il maggior comfort possibile a chi le vivrà ogni giorno. Il nostro obiettivo, sia con il nostro lavoro, sia con il supporto a Mediterranée, è raccontare le eccellenze di questo territorio e far vivere un’esperienza di benessere in casa, e facendo sentire chi ne usufruisce circondato dai comfort e inondato di raffinatezza e bellezza».

Angelo Labriola x Shu Uemura
La sfilata di Angelo Labriola x Shu Uemura

Raccconta Francesca Bruni di Vetrere: «Ho scelto di vivere qui nonostante tanti anni trascorsi a Bologna perchè innamorata della mia terra ed è per questo che ho colto con entusiasmo le idee di Mario e Angelo. Per troppo tempo Taranto è stata associata alla vicenda dell’ILVA. Non è facile perchè il sentimento dominante tra la gente è la sfiducia e l’ accettazione passiva di ciò che viene deciso dagli altri. E’ disarmante vedere le persone incredule davanti agli eventi che sono stati realizzati e sentire: “non sembra di essere a Taranto”. Ma come ogni cosa ci vuole un pò di incoscienza e grande impegno. Credo che sia il momento giusto per dare coraggio e, grazie alla nostra  passione,  trasformare il Tarantino in un laboratorio di opportunità e crescita».

Look di Rossorame
Un look della sfilata di Rossorame
Mariella Mirani
La giornalista Mariella Mirani

Nell’immagine d’apertura, un immagine di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

San Ginesio celebra la Festa della Pace

Un evento dedicato alla memoria e alla Pace come valore universale: torna a San Ginesio la 14esima edizione della Festa della Pace, un appuntamento estivo dedicato alla pace e alla cultura nipponica. Per questa edizione il programma prevede due momenti: il primo dalle 17.30 vede l’intervento delle maestre giapponesi con la sensei Eri per lo shodo (arte calligrafica) e Sachiko maestra di ikebana (arte del fiore reciso) e vestizione di kimono, fino alla presentazione del libro di Pedagogia nell’Arte Marziale con l’autore Fabrizio Leone. Poi la performance di Shorinji Kempo arte marziale a cura di Fabrizio Leone, pluricampione italiano, Davide De Rubeis e Ginevra Montanari.
Alla sera dalle 21.30 ci sarà la consegna delle 1000 Gru della pace, realizzate dai volontari di San Ginesio al sindaco Giuliano Ciabocco per la spedizione al parco della pace di Hiroshima. E tante performance di varie arti, con un concerto finale di musica spirituale armonica a 432 HZ con il polistrumentista Oscar Bonelli. Conclude Serenella Giorgetti, curatrice del progetto e founder di WABISABICULTURE: «Siamo arrivati alla 14esima edizione dove vogliamo commemorare in modo positivo un evento catastrofico e mostrare come il nostro territorio possa offrire esperienze ed energie inaspettate».

Consegna delle mille gru della festa della pace
Consegna delle mille gru

L’omaggio a Sedako Sasaki, la bambina diventata simbolo di pace

La Festa della Pace vuole lanciare un messaggio di positività attraverso la sensibilità giapponese di una bambina Sadako Sasaki diventata simbolo di pace nel mondo,  dove il dramma si trasforma in speranza, dove la fantasia e la creatività uniti all’intenzione possono essere il motore dei sogni. 
Sadako  fu tra le bimbe sopravvissute al giorno della esplosione della bomba atomica però si ammalò di una forma grave di leucemia. Quando seppe di essere ammalata, una sua amica cercò di incoraggiarla e le raccontò un’antica leggenda secondo cui, chi fosse riuscito a creare mille gru – uccello simbolo di lunga vita – con la tecnica dell’origami avrebbe potuto esprimere un desiderio.
La bambina è diventata un simbolo di speranza e pace nel mondo e l’evento vuole non solo rendere omaggio e ricordare la vicenda di Sadako, ma offrire nuovi spunti tramite l’organizzazione di workshop, laboratori creativi di origami, performance di ikebana e musica dal vivo.

Giardino zen
Giardino zen

Un ponte tra il Giappone e le marche: WABISABICULTURE, un luogo di pace dove ricaricarsi a San Ginesio

Un doppio ponte lega le Marche, e in particolare San Ginesio in provincia di Macerata,  al Giappone attraverso il centro culturale WABISABICULTURE, che ogni anno organizza la Festa della pace. 1000 gru per Hiroshima, evento gratuito e aperto al pubblico in collaborazione con il Comune di San Ginesio, che ancora oggi risente pesantemente della situazione post terremoto.
Aperto nel 2010 WABISABICULTURE oggi  ospita circa 1200 visitatori all’anno tra architetti, designer, artisti, musicisti, poeti, filosofi e giornalisti, nonché amanti del Giappone tradizionale e delle Arti Meditative, favorendo e promuovendo la cultura e il turismo giapponese con un ponte ideale Italia-Giappone. Una struttura unica in Italia e a livello europeo, che coniuga la bio architettura rurale marchigiana in pietra e mattoni con quella giapponese lignea con ampie travature e materiali naturali come i tatami di Kyoto.
WABISABICULTURE ha recentemente inaugurato Karesansui, il primo paesaggio roccioso giapponese in Italia: un progetto che conclude un percorso iniziato già 20 anni fa e che rappresenta un importante arricchimento dell’esperienza culturale e meditativa del Centro. Il centro, dove si può dormire e sperimentare lo stile di vita giapponese, offre anche la possibilità di meditare nel tempio arricchito di preziose statue e tanke (dipinti su tela che rappresentano immagini sacre strettamente legate al buddhismo tibetano), oppure di rilassarsi con il tradizionale Bagno Giapponese di purificazione del corpo e dello spirito in una vasca da bagno di hinoki.

Locandina 'Festa della Pace'
Locandina ‘Festa della Pace’

Migrazione: il nuovo progetto discografico di Carl Brave

Carl Brave col suo nuovo album Migrazione ci porta in viaggio tra i luoghi da lui visitati negli ultimi 2 anni a seguito della conclusione del progetto di Coraggio, l’album precedente, che in maniera opposta era nato dal periodo di chiusura del Covid. Tra le tante consapevolezze che il viaggio ha donato a Carl, c’è anche l’amore per la città dove è nato e cresciuto, Roma, che non è solamente parte del suo vissuto ma anche, con una nuova visione, parte del suo presente e futuro. Il rapporto di Carl Brave con la sua Roma è un legame d’amore profondo e viscerale, che ha deciso di celebrare con il brano Lieto fine. Carl Brave al secolo Carlo Luigi Coraggio, classe 1989, è un producer e cantante romano. Un personaggio poliedrico che con il suo stile sta tracciando nuove coordinate nella canzone pop italiana. Nel 2018 esordisce con il suo album solista Notti Brave.

I vari successi di Carl Brave dal 2018

L’album, pubblicato a maggio 2018, è entrato diretto al primo posto in classifica, restandoci per due settimane e conquistando il Doppio Disco di Platino. Molti sono stati gli artisti che hanno animato le Notti Brave di Carl, nelle quindici tracce dell’album troviamo, infatti, collaborazioni eccellenti come Fabri Fibra, Coez, Francesca Michelin, Emis Killa, Federica Abbate, Gemitaiz, Giorgio Poi, Pretty Solero, Frah Quintale, B e Ugo Borghetti. A ottobre 2020 esce il suo secondo disco di studio Coraggio. Nell’album 17 tracce che segnano un nuovo capitolo dell’eclettico percorso musicale dell’artista che ha saputo contaminare il pop, il cantautorato e il rap in uno stile unico, originale e subito riconoscibile. In Coraggio sono presenti anche 7 collaborazioni con Elodie, Mara Sattei, thasup, Ketama, Guè, Taxi B e Pretty Solero. Carl Brave ha già conquistato 40 Dischi di Platino e il suo canale Spotify conta 3 milioni di streams mensili. A settembre 2021 torna con Sotto Cassa un EP in cui l’artista sperimenta con produzioni elettroniche e collabora con Myss Keta, Gemitaiz, Pretty Solero e Ketama126.

Carl Brave
Carl Brave

Il legame con la sua città natale, Roma

Migrazione è “un piano sequenza sulla vita di Carl Brave con Roma sullo sfondo a fargli da scenografia” che è stato anticipato dal singolo Lieto fine, già presentato in anteprima sul palco di Piazza San Giovanni in occasione del Concertone del Primo Maggio. Un brano che accompagna l’ascoltatore dalle strade del Gianicolo fino alla curva sud dell’Olimpico e che fa respirare il mood fortemente romanocentrico di tutto l’album. Il rapporto di Carl Brave con la citta, le strade dei rioni, i quartieri, le luci e le ombre di Roma: tutto questo è Migrazione.

Cosa significa per te il viaggio?

Traggo l’ispirazione dai miei viaggi cercando di estrarne dei frammenti, come parole o elementi culturali, da inserire poi nei pezzi. Il viaggio oltre ad essere fisico è anche temporale, gli ascoltatori riusciranno infatti a ritrovare sia il Carl Brave dei progetti iniziali come Polaroid e Notti Brave sia una sua versione più attuale e cresciuta, anche musicalmente. 

Come è strutturato l’album?

L’album presenta 19 tracce, lunghezza che va contro le ultime tendenze che richiedono più singoli di minor durata, moda che tende a svilire il concetto di disco. I singoli di questo album sono Remember, una ballad che ci introduce nel nuovo progetto e Lieto Fine, pubblicato il 19 Maggio e cantato per la prima volta in anteprima al Concertone del Primo Maggio.

Carl Brave
Carl Brave

“Roma è come una madre, mi ha educato tra i suoi vicoli e sulle sponde del Tevere”

Che ruolo ha Roma in questo nuovo progetto?

Nonostante la grande importanza del viaggio, il ruolo principale è occupato sempre dalla mia città natale, Roma, di cui si trovano varie citazioni in tutte le tracce e a cui è dedicato l’intero album e in particolare la traccia Lieto Fine. Brano che riesce a unire all’essenza del viaggio l’importanza di trovare un punto fisso a cui tornare e chiamare casa. Il singolo ci accompagna per le strade e i vicoli del Gianicolo, lasciandoci assaporare l’atmosfera nostalgica tipica della città eterna.

Che significa per te Roma, quali i tuoi ricordi?

Roma è come una madre, mi ha educato tra i suoi vicoli e sulle sponde del Tevere. Sono nato all’isola Tiberina, il mio vissuto e gran parte della mia esperienza è legata a questa città e al suo fiume; tutti i ricordi più importanti della mia vita in un modo o nell’altro sono ricollegati alla città della lupa, prevalentemente a Trastevere, dove il tempo si allarga, dove la vecchia Roma e la nuova si incontrano e si abbracciano come 2 sconosciuti che accettano di vivere insieme, in un equilibrio che solo questa città riesce a darti. Ho anche avuto un momento di vita fuori, durante il periodo cestistico, giocando a basket come professionista e girando l’Italia col pullman delle squadre di cui facevo parte. Ma Roma
mancava, quindi sono tornato. Cerco di farmi trasportare da questa città giorno per giorno, apprezzandone la bellezza e facendomi cullare dal suo caos quotidiano, tra la nostalgia del mio passato, da quei giorni spensierati in piazza tra Peroni amici e motorini, al cercare di inquadrarmi in un futuro che mi vede sopra gli stessi identici sampietrini, ma cresciuto, e cercando sempre quell’ispirazione che mi ha fatto diventare quello che sono.

“Ho dedicato una canzone a Roma perché è ciò che respiro da sempre, perché non potrei non farlo”

Qual è il simbolo che rappresenta l’album?

A livello visivo l’album è rappresentato dal disegno di uno stormo di gabbiani, chiaro simbolo del viaggio, disegnato da me quando ero bambino e talmente importante che me lo sono tatuato. 

Come sarà strutturato il tour?

Il tour dell’album è partito il 23 giugno a Bologna e per le date questa volta ho preferito farne un numero maggiore, ma in luoghi più semplici, in modo da poter tornare alle origini ed essere continuamente stimolato. 

Possibili collaborazioni future?

Per quanto riguarda future possibili collaborazioni mi piacerebbe l’idea di Tananai che apprezzo per il suo eclettismo e che produce le proprie canzoni.

Tour Carl Brave

Contaminazioni arte e vino: la nuova opera di Elisabetta Benassi per l’Antinori Art Project

Il mondo del vino rivela straordinarie contaminazioni con l’arte e in alcuni casi, come quello della cantina Antinori nel Chianti Classico, è un legame davvero storico che in questo caso parte nel 1385 e lega la famiglia Antinori alla passione per le arti: pittura, scultura, architettura, e naturalmente, l’arte di saper trasformare i frutti della terra in grandi vini. Da oltre seicento anni, la famiglia Antinori ha legato il proprio nome all’eccellenza nell’arte del vino e alla migliore tradizione mecenatistica. Due ambiti apparentemente molto diversi, ma che in realtà̀ hanno spesso proceduto in parallelo: la famiglia ha spesso affidato all’arte il compito di raccontare i valori e la storia della loro casata, il cui stemma è anch’esso un’opera di pregio artistico, uscita agli inizi del ‘500 dalla bottega fiorentina dello scultore e ceramista Giovanni della Robbia.

Veduta aerea della Cantina Antinori
Veduta aerea della Cantina Antinori

L’Antinori Art Project

Una relazione di lunga durata la cui sintesi è la nuova cantina inaugurata nel 2012, una struttura scavata nelle terre del Chianti Classico, che raccoglie dipinti, ceramiche e antichi manoscritti e numerose opere site specific create per raccontare questo legame speciale tra mondo del vino e l’arte. Concepito dall’architetto Marco Casamonti, l’edificio affonda nelle profondità della collina ricoperta di vigne e si immerge letteralmente nella terra con le sue linee sinuose, una sorta di invito alla comunione con la natura.

Da qui è nato un vero e proprio progetto Antinori Art Project che muove dall’idea di creare una naturale prosecuzione dell’attività̀ di collezionismo che fa parte della tradizione della famiglia, indirizzandola però verso le arti e gli artisti coevi. Antinori Art Project è infatti, una piattaforma di interventi in ambito contemporaneo, realizzata in collaborazione con curatori affermati, che raccoglie sotto un’unica progettualità̀ coerente tutte quelle messe in campo in questo settore. In questo modo la cantina è diventata un punto di riferimento non solo per gli appassionati del vino ma anche dell’arte e di tutti quelli che amano il bien vivre.

La nuova opera site specific di Elisabetta Benassi

Tra le new entry è l’opera site specific di Elisabetta Benassi che è partita da un telegramma che il compositore Giacomo Puccini inviò al Marchese Piero Antinori nel 1910, in occasione della Prima dell’opera lirica La fanciulla del West alla Metropolitan Opera di New York. Per l’occasione, l’artista ha realizzato un tappeto – La fanciulla del West, 2023 – in cui viene trasposto proprio quel celebre telegramma che racconta dell’eccezionale successo avuto da Arturo Toscanini.

Il telegramma originale è custodito dalla famiglia, insieme a un corposo carteggio, a testimonianza di un’amicizia storica che vide intrecciarsi la storia di questa antica famiglia fiorentina a quella della cultura italiana. Non solo un’opera d’arte, ma anche una testimonianza di saper fare artigianale: il tappeto è stato infatti annodato a mano a Katmandu, città in cui Benassi è tornata a più riprese, un’idea che evoca anche il viaggio dell’artista che si fonde nel progetto.

Commenta la stessa artista: “Questo telegramma è un messaggio di amicizia e condivisione che racconta del trionfo di quest’opera lirica rappresentata a New York nel 1910. Questo telegramma è una sorta di macchina del tempo che unisce il passato al presente, un tappeto volante e un ponte che collega questi due momenti. Mi piace l’idea che questo documento diventasse un oggetto comune, un tappeto su quale anche camminare”.

Il percorso tra le opere d’arte della cantina Antinori

Un vero e proprio spazio museale integrato nel percorso di visita all’interno della cantina che ospita la storica collezione della famiglia che ha visto uno speciale programma di commissioni annuali, molte delle quali site-specific, rivolto a importanti artisti della scena artistica nazionale e internazionale.

Gli interventi hanno visto nel biennio 2012/2013, a cura di Chiara Parisi, il coinvolgimento di Yona Friedman, Rosa Barba e Jean-Baptiste Decavèle.

Nel 2014, con l’arrivo di Ilaria Bonacossa alla direzione artistica biennale del progetto, ha visto la partecipazione di Tomàs Saraceno che ha realizzato l’opera Biosphere 06, cluster of 3, installata nello spazio verticale dello scalone interno della cantina; successivamente nel 2015 la mostra Still Life Remix, dedicata all’intramontabile tema della natura morta, l’installazione dell’opera Clessidra dell’artista Giorgio Andreotta Calò; nel 2016 l’acquisizione dell’opera site-specific, Giant Fruit di Nicolas Party nell’ambito di Antinori Art Project; la commissione dell’opera Portal del Angel dello scultore Jorge Peris, un precario arco di trionfo realizzato attraverso la riappropriazione di materiali locali, come gli antichi orci di terracotta usati storicamente per conservare l’olio.

Nel 2017 è stata la volta di Stefano Arienti che, in dialogo profondo con la preziosa Lunetta Antinori, ovvero La Resurrezione di Cristo di Giovanni della Robbia risalente al XVI Secolo, ha realizzato Altorilievo: una rielaborazione della logica compositiva dell’opera del Della Robbia. Nel giugno 2019 la famiglia Antinori, ha presentato Untitled (Antinori), un nuovo importante progetto installativo site-specific, commissionato all’artista statunitense Sam Falls (San Diego, 1983).

FENDI Special Guest di Pitti Uomo 104

Un omaggio alle nuove generazioni del saper fare italiano

Un evento davvero unico quello di FENDI, che ha scelto di sfilare la collezione uomo Primavera Estate 2024 all’interno della Fendi Factory, il polo d’eccellenza della Maison recentemente inaugurata nel cuore della campagna toscana a Capannuccia (Bagno a Ripoli). Un invito per celebrare l’eccellenza del Made in Italy, che ospita il nuovo headquarter produttivo della maison.

Interni della Fendi Factory
Interni della Fendi Factory

Una full immersion nel saper fare dell’azienda dove gli ospiti hanno potuto vedere al lavoro le maestranze, che sono spesso “dietro alle quinte” ma alla base del successo del brand. E come ha sottolineato la stessa Silvia Venturini Fendi, Direttore Artistico Accessori e Uomo, che è uscita per il finale accompagnata dagli stessi artigiani:

Quando pensiamo agli artigiani si tende a immaginare siano persone anziane, mentre qui abbiamo tantissimi giovani ragazzi e ragazze appassionati a queste tradizioni e che rappresentano il presente e futuro del Made in Italy

Non a caso sono diversi i riferimenti nello show al concetto di artigianalità, dal grembiule, la tipica “divisa” da artigiano, che è stato ripensato come camicia e gonna con colletto all’americana di varie lunghezze su pantaloni sartoriali e pantaloncini da città, fino ai gioielli disegnati da Delfina Delettrez Fendi, direttore artistico della gioielleria, a forma di chiave dell’armadietto, piastrine con la scritta “Made in Fendi”.

Il richiamo del paesaggio toscano nella collezione

Grande attenzione alle lavorazioni più sofisticate e ai colori che evocano il paesaggio toscano, uno strato di sfumature minerali dalla terra d’ombra bruciata e terracotta all’indaco profondo, al verde bosco con un importante uso di pigmenti vegetali come acacia, ginepro, henné e papavero. Ricami floreali, denim logato, camicie di lino spalmato e sete fluide, capispalla in tessuti sperimentali come il cappotto in shearling in maglia leggerissima. Altri effetti trompe l’oeil celebrano l’abilità dell’artigiano, da jacquard FF tono su tono e ricami floreali in cotone a un motivo a punto imbastitura a contrasto per la sera. Tutto
studiato nei minimi dettagli fino alla colonna sonora prodotta da Nico Vascellari e Rocco Rampino, che riproduce suoni ambientali campionati dalla fabbrica FENDI e dall’ambiente circostante. Uno show dal sapore internazionale, non solo per il casting, ma anche alla presenza di numerose celebrities internazionali come l’attore britannico, Hero Fiennes Tiffin, protaginista della serie Amazon Prime Video “After”, l’attore francese Louis Garrel, Nicholas Galitzine, Juyeon dei The Boy, Jeremy Pope fino a Massimiliano Caiazzo della serie Netflix “Mare Fuori”. Un grande evento che ha dimostrato come l’heritage e le migliori tradizioni possano convivere e rinnovarsi grazie alle nuove generazioni.

Silvia Venturini Fendi
Silvia Venturini Fendi, Direttore Artistico Accessori e Uomo di Fendi

MANINTOWN Pitti 104 Special Edition

Un’edizione speciale del magazine, in formato tabloid, dedicato al menswear che verrà, presentato alla 104esima edizione della kermesse fiorentina, con un ulteriore approfondimento sui talenti italiani black che – finalmente – trovano sempre più spazio nello showbiz nostrano – e non solo.

Cover

In occasione di Pitti Uomo e Milano Moda Uomo, MANINTOWN presenta l’edizione speciale tabloid – distribuita tra Firenze e Milano – che vuole raccontare le novità del menswear, offrendo qualche anteprima su temi che svilupperemo nel numero di ottobre.

La stagione inizia con Pitti Uomo 104, un’edizione ricca di progetti e special guest, tra cui Eli Russel Linnetz, creativo poliedrico che si è fatto notare con il suo brand ERL, già premiato con il Karl Lagerfeld Award nell’ambito del LVMH Prize 2022. E ancora il meglio della moda nordica con Scandinavian Manifesto, una delle più consolidate collaborazioni internazionali del salone fiorentino. Last but not least, la moda responsabile di S|Style, area di Pitti Immagine Uomo curata dalla giornalista Giorgia Cantarini, che porta avanti uno scouting dall’impronta fortemente inclusiva e internazionale, promuovendo il lavoro di designer emergenti che mettono al centro delle loro collezioni pratiche virtuose sotto il profilo etico e ambientale, senza rinunciare alla ricerca stilistica.

Altro focus importante del numero è l’anteprima curata da Antonio Mancinelli, che ritroveremo poi a ottobre, sui creativi afrodiscendenti nati in Italia, tra cui spiccano il fotografo Jon Bronxl, uno tra i nomi più interessanti della creatività della black community italiana. E vero motore per la promozione degli afrodiscendenti o delle persone BIPOC (Black Indigenous People of Colour) nella moda italiana è Michelle Francine Ngonmo, che ci ha raccontato il suo percorso fino al suo più recente progetto, i Black Carpet Fashion Award. Infine, una prima rassegna di attori, attrici e musicisti, nomi da tenere d’occhio, che stanno crescendo stagione dopo stagione. 

Terzo focus del tabloid è quello dedicato alle New Generations nel fashion&lifestyle business italiano. E’ il primo speciale di un progetto più ampio che vuole raccontare le ultime generazioni nell’imprenditoria italiana e di come le migliori tradizioni possano essere valorizzate e reinterpretate grazie alle nuove leve. Nascono così nuove sfide e business case che mostrano quanto sia eterogeno e dinamico il panorama del fashion&lifestyle italiano. Un viaggio nella moda (anche grazie all’editoriale Ode to Man), tra cultura, cinema e creatività tutta da scoprire.

Nell’immagine di apertura, la copertina del tabloid (ph. Jon Bronxl)

Casual con accenti pop: il vestire contemporaneo secondo KNT

I gemelli Walter e Mariano De Matteis, ultima generazione della famiglia Kiton, raccontano il loro brand KNT (Kiton New Textures).

Dopo una full immersion in azienda da giovanissimi, i gemelli De Matteis si mettono alla prova con un nuovo brand che già dal nome – KNT Kiton New Textures – punta tutto sulla ricerca tessile e materica declinata su capi più sportivi, informali e disinvolti. Il risultato è una linea dal sapore minimal, ma sempre attenta nei dettagli, che si arricchisce di effetti grafici e texture inedite. Un progetto in crescita che concilia il saper fare e le migliori tradizioni di Kiton con un approccio più sperimentale e innovativo.

“L’idea di KNT ci è venuta pensando al nostro stile di vita, che è simile a quello della nostra generazione”

Dal lancio di KNT nel 2018 ad oggi, qual è il vostro bilancio di questi primi anni? Come sta crescendo il vostro progetto?

Mariano: KNT sta per Kiton New Textures. È un percorso di ricerca che parte dal Dna di eccellenza, italianità e savoir faire di Kiton che, però, sentivamo la necessità di rendere più contemporaneo, vicino alla sensibilità e alle esigenze della nostra generazione. Siamo partiti dalla ricerca dei tessuti, realizzati nelle fabbriche di proprietà del marchio, li volevamo più flessibili, antipiega e abbiamo iniziato a lavorarli su telai tubolari, usati solitamente per le calze.

Walter: Dopo cinque anni e una pandemia, oggi pensiamo a tessuti più naturali, le collezioni si sono ampliate e abbiamo accolto un concept di sportswear, interpretato con quell’eleganza ed estrema qualità che fanno sì che le nostre collezioni siano apprezzate dai principali retailer internazionali.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

Come avete conciliato l’heritage e il saper fare che avete respirato in azienda con un approccio più innovativo e responsabile?

Mariano: Siamo cresciuti tra i tessuti, con l’idea di uno stile impeccabile e tradizionale, ma abbiamo iniziato a sentire la necessità di sviluppare un linguaggio più adatto alle nostre esigenze, senza dimenticare ovviamente le origini. La nostra famiglia ci ha insegnato il rispetto per i valori e la qualità, non abbiamo mai pensato fosse un peso, piuttosto un’opportunità. 

Walter: L’idea di KNT ci è venuta pensando al nostro stile di vita, che è simile a quello della nostra generazione. L’azienda ci ha sostenuto, dandoci l’opportunità di creare una collezione che riflettesse la nostra idea di maschile contemporaneo. Crediamo che qualità, italianità e tradizione siano i pilastri da cui partire. La nostra scommessa è innovare senza dimenticare da dove veniamo.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

“Qualità, italianità e tradizione sono i pilastri da cui partire, la scommessa è innovare senza dimenticare da dove veniamo”

Come lavorate insieme allo sviluppo delle collezioni? Quali le esperienze e incontri per voi più significative nel vostro percorso?

Mariano: Finora ci siamo dedicati entrambi alla collezione e alla ricerca, oltre che alla vendita e al posizionamento. Forse essere gemelli ci rende simbiotici, siamo abbastanza abituati a fare le cose insieme. Per entrambi l’arte è un mondo di riferimento, nei colori e nelle forme, amiamo molto quella contemporanea. E non posso non nominare, tra le figure di riferimento, mio zio, Ciro Paone, e mio padre, Totò De Matteis: per noi sono esempi nella vita e nel business, fin da quand’eravamo bambini.

Walter: (Sorride, ndr) è vero, lavoriamo sempre insieme sulla collezione. Il nostro lavoro è influenzato in primo luogo dalla nostra terra, la prossima collezione, che presenteremo al Pitti, è dedicata infatti all’isola di Procida. E poi dai nostri viaggi, gli Stati Uniti in primis, con il loro concetto di vestire casual, senza contare che l’arte pop è nata lì. Sono elementi fondamentali nella nostra interpretazione del vestire contemporaneo.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

Il vostro rapporto con Napoli e Milano, due città con anime diverse ma legate entrambe alla moda.

Mariano: Siamo orgogliosi della nostra napoletanità e vogliamo che questo traspaia nelle collezioni: per noi significa amare la vita, i colori, le passioni. Milano è la capitale italiana del business, abbiamo la fortuna di avere la nostra sede in un palazzo storico, nel cuore di Brera; ci piace l’internazionalità del capoluogo lombardo, la sua capacità di evolversi ed essere sensibile alle nuove tendenze.

Walter: Passiamo tanto tempo a Milano, per le campagne vendite e per gli appuntamenti più importanti, però appena possiamo, torniamo a Napoli. In effetti, è una città sempre più al centro della scena internazionale per il suo stile di vita. 

“Il nostro lavoro è influenzato in primo luogo dalla nostra terra, la prossima collezione, che presentiamo al Pitti, è dedicata infatti all’isola di Procida”

Quali i mercati di riferimento per la crescita del brand, tra retail fisico e online?  

Mariano: Senza dubbio gli Stati Uniti, la Cina e poi le grandi capitali internazionali: Londra, Parigi, Istanbul, Tokyo, Seoul. Crediamo nella qualità della carta stampata, collocandola in una visione olistica del comunicare che, oggi, non può prescindere da una forte componente digitale.

Walter: In questi anni abbiamo dato priorità alle nostre collezioni e alla crescita attraverso un posizionamento selettivo nei principali retailer in tutto il mondo, come Bergdorf Goodman, Neiman Marcus, Beymen a Istanbul.

Il nostro percorso digitale è solo agli inizi, partirà attraverso la creazione di un’immagine che rifletta il nostro stile e quello di una generazione maschile che condivide la nostra passione per lo stile e la tradizione ma si sente libera, appassionata, senza confini.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

Icona della dance e non solo: la musica di Gabry Ponte

Gabriele Ponte, in arte Gabry Ponte, è il dj e produttore che ha fatto ballare milioni di giovani in tutto il mondo, grazie a una serie di successi dai numeri impressionanti. Solo con gli Eiffel 65, ha venduto oltre 15 milioni di copie. Il pezzo del gruppo Blue (Da Ba Dee), nel 1998, è diventato un tormentone, entrando nella storia della dance, senza contare le importanti collaborazioni con David Guetta, Fabri Fibra e Jovanotti, per citarne solo alcune.

Tra i momenti più formativi nella sua carriera, l’artista ricorda di quando ha prodotto Blue all’età di 25 anni, un periodo in cui internet non era così accessibile e quello che succedeva nel resto del mondo non era a portata di mano come oggi. «Gli anni di tour in America – dice – mi hanno aperto gli occhi su uno scenario internazionale, musicale e artistico, che non avrei potuto conoscere e mi hanno insegnato a ragionare “out of the box”. Pensavo che tutto dipendesse dalla musica, non è così. La buona musica è un presupposto necessario, ma non sufficiente. Mi sono reso conto che gli artisti di successo, nella maggior parte dei casi, devono i loro risultati anche a una gestione molto attenta del brand e del management».

Gabry Ponte 2023
T-shirt and pants Ferrari, jacket Golden Goose, sneakers Hogan, ring Nove25

“Gli anni di tour in America mi hanno aperto gli occhi su uno scenario internazionale, musicale e artistico e mi hanno insegnato a ragionare ‘out of the box’”

Un percorso, il suo, diventato sinonimo di successo, tanto che Billboard lo ha riconosciuto come uno degli artisti più suonati al mondo: nella sua strada da solista, ha unito il sound elettronico alla tradizione musicale del nostro Paese.

E proprio sulla composizione dei brani, Ponte racconta: «I miei pezzi nascono nei modi più diversi, la musica elettronica è il genere che  più di tutti si presta ad essere contaminato. Noi viviamo di remix, di sample, quindi a volte ascolto un pezzo per radio o su Spotify, mi viene un’idea e mi metto ad abbozzarla. Altre volte nascono dalle writing session, ne faccio parecchie: ci si trova in studio e si scrivono canzoni, partendo da un beat o dal niente, iniziando a suonare il piano o la chitarra. Ti dico però dove finiscono tutti: dietro la console. Ogni fine settimana, quando suono, faccio i test: suono le bozze dei nuovi pezzi cui sto lavorando e sento la reazione del pubblico, mi affido totalmente a quella sensazione per decidere se portare avanti un brano oppure abbandonarlo».

Gabry Ponte musica
Total look Roberto Cavalli

Lo sguardo del dj e produttore non si ferma qui, continua con la ricerca di nuovi talenti e con la sperimentazione sui new media. Ha infatti riunito un team che opera a 360 gradi, lavorando su svariati fronti, dalla parte artistica, discografica ed editoriale, al booking, al management, una squadra appassionata ed efficiente che funziona come amplificatore delle potenzialità di ogni artista. «Ho messo insieme un gruppo di persone giovani e molto competenti che mi aiutassero a gestire le mie necessità, il passo successivo è stato condividere questi asset con altri dj/produttori. È una situazione win-win, in questo modo ho l’opportunità di lavorare a fianco di artisti più giovani, con visioni diverse dalla mia, ed è una crescita costante».

“Suono le bozze dei nuovi pezzi cui sto lavorando e sento la reazione del pubblico, mi affido totalmente a quella sensazione per decidere se portare avanti un brano oppure abbandonarlo”

E proprio nelle nuove frontiere del metaverso, Gabry Ponte ha debuttato da poco col suo primo dj set, su Avakin Life. « È stato un esperimento, non sapevo cosa aspettarmi, mi ha stupito la quantità di nuovi follower che mi ha permesso di raggiungere. Credo che sarà una realtà sempre più presente nel futuro della musica. TikTok è il miglior alleato per entrare in contatto coi new talent; il suo algoritmo conosce i tuoi interessi e ti indirizza a loro. Mi capita di guardare video di ragazzi giovanissimi, ancora senza tanto seguito, ma assai bravi a produrre o mixare; cerco di incontrarli, e se ci troviamo bene iniziamo a collaborare e fare musica insieme».

L’artista è un vero vulcano di idee,con la stessa voglia di sperimentare di sempre. Solo nel 2022 post-pandemico, infatti, si è esibito 76 volte in oltre 60 location sparse in sei stati, mentre nelle prossime settimane e mesi suonerà in diversi locali e festival cult in giro per l’Europa (tra le prossime date, quelle del 22 luglio per Parookaville 2023 all’aeroporto tedesco di Weeze, del 30 luglio al mitico Tomorrowland 2023, a Boom, Belgio, e del 10 agosto al Cavo Paradiso di Mykonos), in attesa del grande evento milanese del prossimo anno, che si terrà al Mediolanum Forum di Assago sabato 27 gennaio 2024.

Gabry Ponte disco
Suit and polo shirt Bonsai, gilet Manuel Ritz, sneakers Hogan, ring Nove25

Gabry Ponte dj
Suit Grifoni, shirt Roberto Cavalli, ring Nove25

Gabry Ponte concerto
Silver jacket Gaëlle Paris, sweatshirt and pants Neil Barrett, necklace Nove25

Credits

Talent Gabry Ponte

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Marco Bertani

Stylist Carlotta Borgogna

Grooming Mikaela Alleyson

Hair Florianna Cappucci

Digital Operator Marco Moretto

Nell’immagine in apertura, Gabry Ponte indossa giacca Alessandro Vigilante, polo Bonsai

Nina Zilli, ‘Innamorata’ della musica come il primo giorno

Cantautrice dalla formazione sui generis (ha studiato da soprano al conservatorio, è partita dalla musica anni ‘70 per esplorare poi la Motown, l’R&B, il soul, il pop rock dei primi Sixties, mescolando il tutto con la Giamaica e il suo amore per i grandi cantautori italiani alla Mina e Celentano) e sempre nelle posizioni apicali delle classifiche, fin dal singolo che le ha regalato la notorietà, 50mila (ft. Giuliano Palma), Nina Zilli è un tornado, una creativa poliedrica, vulcanica, che “inchioda” all’istante chi l’ascolta con le sue passioni e fantasie musicali.
Solo nell’ultimo anno, l’abbiamo vista mettersi alla prova col suo primo romanzo, L’ultimo di sette, sfornare una hit come MUNSTA e collaborare con artisti quali Danti per Vasco a San Siro e Inoki e DJ Shocca per Sorelle, per concludere il 2022 cimentandosi nella recitazione con La California, film di Cinzia Bomoll che ha ottenuto importanti riconoscimenti in tutto il mondo. Ad aprile, infine, è uscito il brano Innamorata (F____U!), accompagnato da un videoclip con un cast d’eccezione: Danti, Le Donatella, Katia Follesa, Articolo 31, Alvin.

Nina Zilli 2023
Costume by Sara Costantini, styling by Nina Zilli and Sara Costantini, headpiece design & fringe costume by Sara Costantini (made by Dglamour), shoes Haus of Honey (ph. Toni Thorimbert)

Ritratta, per la digital cover di MANINTOWN, dal maestro dell’obiettivo Toni Thorimbert, l’artista piacentina condivide col magazine alcune riflessioni sui progetti professionali più recenti, dall’ultimo singolo (un pezzo che «parla dell’insostenibile leggerezza dell’amore», spiega), al libro edito da Rizzoli, dall’esperienza sul set del suo esordio cinematografico al rapporto viscerale con l’arte delle sette note, di cui è «innamorata come il primo giorno, fortunatamente i suoi poteri magici su di me sono rimasti invariati».

“Certi aspetti non sono ancora diventati ‘lavoro’ e tento di scrivere il più naturalmente possibile, senza pensare a nulla” 

Un percorso musicale e artistico davvero ricco di successi il tuo, sei ancora Innamorata come il primo giorno?

Innamorata della musica sì, come il primo giorno, appunto, fortunatamente i suoi poteri magici su di me sono rimasti invariati. Fare musica come agli inizi, invece, è già più difficile: quando non si ha niente da perdere né un pubblico “reale”, è inevitabile scrivere più liberi da ogni tipo di congettura o ansia. Di sicuro, però, certi aspetti non sono ancora diventati “lavoro” e tento di scrivere il più naturalmente possibile, senza pensare a nulla. Metto le mani sul pianoforte o prendo la chitarra, suono e canticchio melodie, che forse diventeranno canzoni.

Il video di Innamorata (F____U!) è all’insegna dell’ironia, tra atmosfere retrò e la presenza di tanti amici. Cosa ti ha ispirato per questo nuovo singolo e per il videoclip?

L’ispirazione viene sempre dalla musica, il pezzo parla dell’insostenibile leggerezza dell’amore. «Innamorata senza sapere perché», magari della persona sulla carta più “sbagliata” per noi, senza poter farci nulla: è semplicemente successo. Anche Tenco cantava «mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare», e niente si può fare davanti a un sentimento così forte, se non decidere di lasciarci trasportare. Di qui l’idea della sposa sgangherata e del matrimonio rocambolesco, poche cose nella vita vanno come le abbiamo immaginate e volevo che questo tsunami amoroso si vedesse anche nel video. Il fatto che fossi incinta è stata la ciliegina sulla torta, non potevamo che essere contornati da grandi amici. In qualche modo per me e per Danti ha avuto un significato più profondo ed è stato davvero un bellissimo viaggio musicale e di vita, insieme a persone care.

“Ho un amore sconfinato per il cinema, mi ha fatto scoprire musiche fantastiche e influenzato in tutto”

Come è stata l’esperienza nel cinema col film La California, e comè nata questa opportunità?

Finalmente ho avuto il coraggio di dire sì al cinema. Ho un amore sconfinato per quest’arte, che mi ha anche fatto scoprire musiche fantastiche e influenzato in tutto, nel mio modo di essere, di scrivere e di pormi come cantante, compositrice e cantautrice. Per questo sono sempre stata restia, per non dire spaventata, all’idea di vestire i panni di qualcun altro e fare un lavoro che “non fosse il mio”. Con Cinzia (Bomoll, ndr) è avvenuto tutto in modo naturale, ho avuto una piccola parte in un film molto femminile e tutto emiliano, che parla di grandi sogni provinciali, la maggior parte dei quali infranti. Mi sono rivista in tanti personaggi, ho preso coraggio e compiuto questo piccolo passetto nel cinema… E mi è piaciuto tantissimo!

Nina Zilli canzoni 2023
Dress Act N°1, headpiece Dglamour designed by Sara Costantini (ph. Toni Thorimbert)

“Musica e parole sono due modi diversi di comunicare, ma si rincorrono e spesso l’uno suscita e risveglia l’altro”

Nel 2022 è uscito L’ultimo di sette, che messaggio volevi dare con il libro e che rapporto hai con la scrittura?

Fa parte della mia vita, da sempre. Ho iniziato il conservatorio a otto anni e a undici avevo già composto la prima canzone. Musica e parole sono due modi diversi di comunicare, ma si rincorrono e spesso l’uno suscita e risveglia l’altro. Il primo romanzo lo scrissi a diciott’anni, anche se il rock ‘n’ roll si era già impossessato di me e la musica mi fece accantonare le altre grandi passioni, la pittura, il disegno, il basket. Avevo in testa il libro da anni, lo iniziai tre anni prima di finirlo, è dovuta arrivare una pandemia che ci ha rinchiusi in casa, per avere il tempo per poterlo scrivere.
Il tempo è una risorsa così scarsa per la nostra società, il fatto che sia infinito costituisce un paradosso della “modernità”. Finalmente anch’io, con tutto quel tempo a disposizione e segregata in casa, ho potuto realizzare e portare a termine quello che credevo rimanesse ormai un film nella mia testa, il mio primo, vero romanzo.
Il messaggio è uno, forte e chiaro: nulla è a caos; se voleste scambiare la O e la S, il risultato non cambierebbe. È una riflessione su tutte quelle piccole cose di poco conto che, spesso involontariamente e senza nemmeno accorgercene, ci cambiano completamente la vita. Sono tante storie sospese che ne chiudono (o aprono) una sola, una grande storia d’amore, nata sotto il segno del “non sapere”, del “non controllo”, del “caos” o “destino” che dir si voglia, non sarò certo io a compiere questa scelta. Fatalisti o no, è così che va la vita, per tutti, e mi sono divertita a immaginare i meccanismi che la rendono così precisamente imprevedibile.

“Mi auguro che mia figlia possa essere una femmina fiera e libera, che insegua i propri sogni trasformandoli in progetti da realizzare, tangibili”

Quale le sfide più grandi in questo periodo, aspettando Anna Blue?

Le sfide sono numerose, tutte personali, e partono dal giorno uno della gravidanza: dal modificare le proprie abitudini al sentire il proprio corpo cambiare, fino ad arrivare a non riconoscerlo quasi più, man mano che ci si avvicina al parto. E poi c’è il pensiero al futuro e ci si sdoppia: da una parte penso a me, riuscirò ad essere una brava madre? Sarò in grado di darle tutto ciò che le serve? Dall’altra penso al futuro delle nuove generazioni e a quello del pianeta, sono molto preoccupata. I danni del cambiamento climatico sono sempre più evidenti, la situazione per i più giovani non è certamente incoraggiante.
Ho però una grande fiducia nelle nuove generazioni, starà a loro combattere per un cambiamento vero, per migliorare la società; spero, anche in questo senso, di riuscire ad aiutare mia figlia, a farle capire l’importanza degli esseri umani, dell’empatia, del sentirsi parte di un tutto, della nostra piccolezza e fragilità di fronte a Madre Natura e un sistema antichissimo, in equilibrio perfetto ma davvero precario. Mi auguro che possa essere una femmina fiera e libera, che insegua i propri sogni trasformandoli in progetti da realizzare, tangibili. Che possa avere tutta la mia forza e tutta quella delle grandi amazzoni, metropolitane e non, che mi hanno ispirato e hanno animato e cambiato la storia.

Dress Act N°1, earrings De Liguoro (styling Nina Zilli and Sara Costantini, ph. Toni Thorimbert)

Credits

Artist Nina Zilli

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Toni Thorimbert

Styling Nina Zilli e Sara Costantini

Nell’immagine in apertura, Nina Zilli indossa abito Act N°1, headpiece Dglamour designed by Sara Costantini (ph. Toni Thorimbert)

Dalla musica al cinema: il talento poliedrico di Levante

Cantautrice, performer, icona di stile, Levante è tornata sulle scene con l’album Opera Futura, oltre alle musiche per il film Romantiche, che segna il debutto alla regia di Pilar Fogliati. Donna di enorme talento, con la sua arte vuole lanciare un messaggio di speranza e bellezza.

Levante intervista
Total look Prada, jewels Damiani

Parlando di Opera Futura, da dove nasce e che significato ha questo colore verde?

Il colore nasce dal fatto che, nel 2020, quando pensavo che lo stop si sarebbe limitato a un paio di settimane, mi sono dedicata al mio nuovo disco, poi però i giorni di lockdown si sono moltiplicati e ho deciso di scrivere anche un libro. Non so perché abbia visualizzato il verde, è un colore che comunica speranza, probabilmente in quel momento ne avevamo tutti bisogno. Opera Futura ne è pieno, nel concetto, nella speranza che contiene, perciò l’ho dipinto tutto di verde, che rappresenta anche il futuro, la natura, elementi che rappresentano i temi focali dell’album. Poi c’è la maternità, la scoperta di una natura diversa in me, la speranza che c’è quasi in ogni canzone; è un po’ l’approccio che ho dovuto tenere in relazione alla nascita di Alma, perché io del domani non aveva mai parlato, sono una siciliana nostalgica, guardo spesso indietro, approcciare al futuro è stato davvero una novità, non l’avrei saputo immaginare; eppure, quando ti ritrovi con una creatura così piccola in braccio, realizzi di dover iniziare a immaginarlo e sperarlo, il futuro. E così è stato.

“I giovani sono molto più attenti e preparati di noi, sono molto fiduciosa”

Il cigno si lega a questo?

In realtà volevo un animale e, quando ho pensato alla copertina, mi sono imbattuta in una poesia di Emily Dickinson, La ‘Speranza’ è quella cosa piumata. Mi è venuto in mente il cigno, che in effetti può stare in terra, acqua o cielo. Mi piaceva il concetto di andare nel domani con un animale che vive in qualsiasi ambiente, un simbolo di bellezza e leggerezza. Quando l’hanno portato, ne avevo il terrore, nonostante fosse in realtà buonissimo, non si voleva far fotografare, spesso si nascondeva sotto il mio braccio, contorcendosi tutto. Ho dovuto prenderlo e tenerlo con la mano, infatti sulla cover tengo la testa del cigno in direzione sinistra e guardiamo verso quello che dovrebbe essere il futuro, una bella simbologia.

Levante intervista 2023
Total look Prada

La natura è un tema importante, oggi siamo molto più attenti all’ambiente…

Sì, non abbiamo altra scelta. Abbiamo esagerato negli anni precedenti, non ci siamo resi conto che stavamo distruggendo il pianeta. Ora per fortuna siamo tutti più consapevoli, ma è innegabile che continuiamo a produrre, in continuazione.

Parlando di moda consapevole, quanto è importante per le nuove generazioni?

I giovani sono molto più attenti e preparati di noi, per cui sono molto fiduciosa. Personalmente, ho una propensione naturale alla sostenibilità, perché mia sorella, più grande di me, andava spesso a comprare vestiti ai mercatini di Catania, dove c’erano bancarelle con capi anni ‘70 meravigliosi. Inoltre sono stata abituata al riutilizzo in quanto, da figlia minore, mettevo frequentemente la roba dei miei fratelli. È un’abitudine che applico tuttora, riusando e trasformando gli abiti. Penso sia un buon modo di approcciare la moda, evitando gli sprechi.

Levante 2023
Total look Prada, jewels Damiani

“Sono orgogliosa del lavoro svolto per Romantiche, ho scritto dalla prima all’ultima nota della colonna sonora”

Hai debuttato anche al cinema, con Romantiche. Com’è nato il progetto?

Pilar è stupenda, una sorella per me. Sono molto amica di Giovanni Veronesi, con cui ha scritto la sceneggiatura; un giorno mi ha chiamato dicendomi che dovevo assolutamente conoscere Pilar, perché ci saremmo piaciute tantissimo, e mi ha chiesto di lavorare alla colonna sonora. In quel periodo eravamo entrambe a Torino, quindi ci siamo incontrate. È scattata subito una grande sintonia e amicizia.
Finito di comporre la soundtrack, mi hanno chiesto di fare un cameo nel film, diventato più scene in cui interpreto me stessa. È stato divertente, sicuramente un esercizio di stile per Pilar, che dimostra le sue capacità trasformistiche diventando quattro persone diverse. Sono orgogliosa del lavoro svolto, ho scritto dalla prima all’ultima nota della colonna sonora e il brano portante, Leggera, è contenuto nel disco.

“Le persone creative non lo sono mai in modalità monocanale, credo che l’estro, a un certo punto, possa prendere direzioni diverse”

Il tuo è un talento versatile, anche nella scrittura, sia di canzoni che di libri…

Mi ripetevo fin da piccola di essere un’autrice che canta, non una cantautrice, perché la mia vera passione è la scrittura, ne sono innamorata. Poi, quando ho iniziato a scrivere canzoni, avevo bisogno di musicarle, quindi mi sono avvicinata alla chitarra e al pianoforte; ho sempre usato la musica come strumento per musicare le parole, mai il contrario.
Una passione che ho portato anche sui social, così gli editori si sono resi conto che scrivessi tanto e, nel 2017, ho pubblicato il primo romanzo Se non ti vedo non esisti, seguito nel 2018 da Questa è l’ultima volta che ti dimentico e nel 2021 da E questo cuore non mente.
Ho ben due progetti in preparazione per l’anno prossimo, ogni tanto trovo il tempo di scrivere un capitolo. Riesco a canalizzare il mio talento in forme differenti. Per molti artisti è così, ho visto di recente una mostra coi dipinti di Bob Dylan. Alla fine le persone creative non lo sono mai in modalità monocanale, credo veramente che l’estro, a un certo punto, possa prendere direzioni diverse.

“In Italia essere accomodante non è abbastanza, è come se bisognasse sempre rispondere a un modello stabilito da altri”

In tema di presenza delle donne nella musica, come vedi le figure femminili nel tuo mondo, pensando anche all’ultimo Sanremo?

Spesso partiamo da una posizione svantaggiata, si fanno grandi discorsi sulle donne ma il punto è che, se non c’è alla radice una presenza femminile importante, è ovvio che a Sanremo di 28 concorrenti solo otto siano donne. C’è una base che non viene supportata, le cantautrici, come le attrici, non sono sostenute, e il mainstream passa dalla tv.
Sono tra le pochissime a non aver partecipato a un programma che mi lanciasse, non ricordo neppure chi sia stata l’ultima artista a fare una gavetta alla Laura Pausini. La televisione ormai ha preso piede nel settore musicale, perché non ci sono luoghi o contesti in cui alle donne vengano date delle possibilità.
L’Italia è sicuramente un paese conservatore, temo che qui la figura femminile più accettata sia la meno disturbante in assoluto, quindi chi ha un ruolo poco rassicurante, come può essere il mio capello biondo, dopo anni di nero, o parlare di depressione post-parto, ma scendendo le scale dell’Ariston con le gambe in mostra, appare destabilizzante, perché non rientra nel tipo di donna accettata o accettabile. Essere accomodante non è abbastanza, è come se bisognasse sempre rispondere a un modello stabilito da altri.

Levante Opera Futura
Total look Dolce&Gabbana, jewels Damiani

Spesso si gioca sul cliché della sensualità…

Già negli anni della “liberazione”, penso a Mina o Raffaella Carrà, abbiamo visto donne sexy e libere. Sicuramente abbiamo quel tipo di libertà, eppure si tende a seguire, anche in quello, un filone piuttosto rassicurante.

“I giovani hanno bisogno di pochi consigli da parte nostra. Forse, visto il tempo frenetico che vivono, li inviterei a mantenere un contatto con la realtà”

Sei stata giudice in un contest, come vedi le nuove generazioni?

Sono più scaltre di noi, hanno avuto la possibilità di raggiungere l’altro capo del mondo col web. Quando ho approcciato per la prima volta internet, avevo 18 anni, ed era un luogo molto diverso, con pochi siti; oggi ci trovi di tutto, quindi loro possono arrivare a chiunque attraverso i canali digitali, e questo li rende decisamente più consapevoli, possono informarsi su qualsiasi cosa. Ovviamente sono mezzi pericolosi, potenzialmente una bomba, se però si ha talento e si cerca di canalizzarlo, di sfruttarlo al meglio, quella digitale è l’epoca più fortunata che si possa vivere.
I giovani hanno bisogno di pochi consigli da parte nostra. Forse, visto il tempo frenetico che vivono, li inviterei a mantenere un contatto con la realtà, col fatto che dopo le vette si scende e risale di continuo; probabilmente il pericolo più grande è che, cadendo da tali vette, possono farsi male, perché quando ci arrivi così velocemente è perché magari ti ci hanno portato, se invece ci fossi arrivato pian piano, facendoti i muscoli, avresti anche la forza per scendere. Vedo delle insidie per chi può meritatamente esplodere, ma poi non sa gestire una simile velocità di ascesa.

Credits

Talent Levante

Editor in Chief Federico Poletti 

Photographer Marta Marinotti @Aura Photo Agency 

Production Alessia Caliendo 

Stylist Lorenzo Oddo 

Ph. assistants Francesco Barrella, Juliette Buono 

Production assistants Sara Passaretti, Clementina Anzivino

Hair Grazia Cassanelli 

Make-up Valentina Raimondi 

Special thanks Il Piccolo Lab

Nell’immagine in apertura, Levante indossa trench Lardini, scarpe Sergio Rossi

Arte, natura, ironia: il design artistico di Marcantonio

Classe 1976, Marcantonio Raimondi Malerba è una delle figure più carismatiche nel panorama dell’interior design, il cui lavoro riesce a mettere in relazione uomo e natura. Il suo percorso corre sui doppi binari dell’arte e del design, che si incrociano e contaminano a vicenda.

Elementi fondamentali del linguaggio stilistico di Marcantonio sono l’ironia e la natura: due protagonisti del suo universo immaginifico popolato da creature fantastiche, oniriche, stravaganti e surreali. E proprio il rapporto tra l’uomo e la natura – uno dei temi ricorrenti nel suo lavoro – viene enfatizzato nelle sue opere, sia nelle grandi realizzazioni come le gigantesche giraffe della collezione She’s in Love but She doesn’t know it yet, sia nei piccoli oggetti come le celebri Monkey Lamp e Mouse Lamp, realizzate per Seletti.

Intervista a Marcantonio

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua visione e le nuove progettualità che saranno presentate al Salone del Mobile 2023.

Marcantonio Raimondi Malerba
Marcantonio (ph. Chico De Luigi)

Il tuo immaginario è legato al mondo animale e naturale. Com’è nata questa connessione profonda con la natura e quali sono, oggi, i pericoli causati dal non rispettare l’ambiente?

Fin dagli inizi della mia ricerca artistica mi attira riflettere sulla relazione che l’uomo ha con la natura (non è forse la tematica fondamentale della nostra esistenza?), quindi la relazione che ha con se stesso. Ritengo che la connessione più forte che un essere umano possa vivere sia, appunto, quella con la dimensione naturale; se accade questo, allora significa che si è anche in profondo contatto con ciò che ci circonda, con gli altri e noi stessi come massima espressione della natura, con le emozioni che quest’ultima è in grado di suscitare.

Ho sempre pensato che bellezza sia anche riconoscere, più ci lasciamo liberi di riconoscerci in ciò che incontriamo, più godiamo di questa connessione, e connessione è bellezza, è emozione.
Siamo animali sofisticati e, come le piante, siamo frutto di una grande madre che è la natura e della sua inarrivabile bellezza che, sempre più spesso, viene purtroppo deturpata e non curata. La società dovrebbe sicuramente comprendere e dare il giusto peso all’ambiente che ci circonda, prendendosene cura, dedicandogli l’attenzione che merita.

Marcantonio Masciarelli
Ad Naturam, Masciarelli, 2022 (ph. Barbarossa Studio)

Il cuore è un motivo centrale nella tua arte. Raccontaci come sono nati i lavori che ruotano intorno ad esso.

I cuori rientrano in un concetto molto più ampio, che abbraccia il mondo della natura: sono passione sospesa, sentimento in attesa. Le vene diventano arbusti e poi fiori, trasformando lo stato drammatico dell’impotenza in quello dell’espressione più alta, il sublime naturale.
Alcuni cuori, come ad esempio Love in Bloom, creato per Seletti, offrono la possibilità di mettere dei fiori al loro interno, così da far germogliare le vene, come se quest’organo fosse il bulbo da cui sbocciano i germogli, i sentimenti; vegetale e animale si fondono in un’appartenenza naturale, capace di riscaldare anche gli animi meno romantici.

La filosofia del kintsugi ricorre in diversi tuoi lavori. Cosa ti attrae di quest’antica pratica?

Kintsugi significa letteralmente “riparare con l’oro”, dando importanza alle rotture, amplificandole e arricchendole. Penso di avere una particolare attrazione per tutto ciò che è in grado di comunicare il tempo, inteso come tempo vissuto, storia.

Adoro gli oggetti che presentano una patina temporale o anche quelli nuovi, che possiedono però una forte identità, una forma che racconta il processo con cui sono stati realizzati. La storia che gli oggetti possono raccontare è la loro vita e credo che smontare, riassemblare sia nelle mie corde di creativo, è una cosa che ho sempre fatto.
Ricordo che da piccolo incollai i pezzi di un vaso rotto per gioco, immaginando di essere un archeologo… Credo non esista una metafora migliore per rappresentare il singolo individuo: l’uomo, come nella filosofia del kintsugi, è spesso frammentato, rotto in più pezzi; questi non devono essere un punto debole, bensì un punto di forza, in grado di arricchire ognuno di noi. Come le rotture dei vasi risultano impreziosite e tenute assieme dall’oro, la stessa cosa dovrebbe accadere per l’essere umano.

Marcantonio Sedie
Sedie con Germoglio, 2009  (ph. credits Marcantonio)

Al Salone del Mobile 2023 presenterai un nuovo progetto Window Lamp per Seletti, una finestra di luce dai toni onirici. Come è nato il progetto?

Window Lamp nasce da una visione: se immagino una casa visualizzo subito porte e finestre, le seconde sono gli occhi delle abitazioni, fanno entrare luce, illuminano le stanze. Una finestra con la vista di un bel cielo è un soggetto positivo e pop. Inoltre, le finestre possono essere messe dove desideriamo, creando una sorta di apertura sul mondo, senza alcun bisogno di un muratore né dei permessi del comune.

Il tuo design è spesso anche arte. Come fai convivere le due dimensioni espressive e quali opere rappresentano al meglio questa unione?

Sì, spesso le due categorie confluiscono l’una nell’altra, per questo mi risulta difficile spiegare quale sia stata l’evoluzione del mio lavoro. Ho sempre cercato di mettere anche in un piccolo oggetto la carica artistica che mi appartiene fin da quando ero piccolo. Mi sento un artista, dentro ho quel fuoco lì, quell’anima lì; e siccome adoro gli oggetti d’uso comune, applico il mio desiderio artistico a una lampada, una sedia, un portaombrelli… La volontà di trovare la magia, quel mondo immaginario, quell’accadimento, è la stessa che ho come artista.

Una delle opere che sicuramente rappresenta al meglio questo connubio è la linea Monkey Lamp: le scimmie ricordano molto gli uomini, per questo le ho spesso proposte anche nei miei lavori scultorei. Nella versione lampada, per Seletti, si intrufolano nelle nostre abitazioni: mi piace pensare che stiano rubando quelle lampadine, creando un rimando evolutivo, e che non siano affatto al nostro servizio, ma abbiano smontato qualche lampadario e gironzolino per casa indisturbate.

L’ironia attraversa come un filo conduttore tutte le tue opere, è anche una cifra del tuo carattere? Come la declini nei tuoi oggetti?

Assolutamente sì, l’ironia fa parte di me e delle mie opere: è una delle mie linee guida e mi toglie ogni dubbio, quando riguardo gli schizzi a convincermi davvero è sempre quello che mi fa sorridere; un po’ come accade nella letteratura o nel teatro attraverso l’utilizzo di espedienti narrativi, avviene la stessa cosa col design: l’unione dell’ironia al design e all’arte permette di conferire un ulteriore significato, un senso ludico che scatena la fantasia nella mente di chi osserva.

L’elemento ironico, nelle mie creazioni, potrebbe essere rappresentato dalla contrapposizione tra comodo e confortevole: ciò che è comodo risulta spesso funzionale, mentre il concetto di confortevole, quello in cui mi rivedo maggiormente, possiede una forte componente emozionale. La prima collaborazione con Seletti nel 2012, ad esempio, fu proprio la linea di mobili Sending Animals: la produzione s’ispirava alla relazione tra uomo e natura, mirando a un risultato semplice ma anche ironico, provvisto di una buona dose di tragicomico (nel caso in questione, è possibile che qualcuno abbia spedito degli animali?).

Marcantonio Qeeboo
Giraffe in Love, Qeeboo (ph. Marco Onofri)

Dove vorresti vedere una tua grande installazione, e quale messaggio vorresti lanciare attraverso essa?

Sicuramente mi piacerebbe vedere, in un museo o una galleria, Grande Anima. Rappresenta la realizzazione di un progetto nato nel 2011, disegnato prima delle scimmie, della giraffa e di tutto il resto. Quello che vediamo ora è una balena, lo scheletro di un cetaceo contenente luci, lampade; le luci sono accese, creano un volume luminoso, sono l’anima del grande animale.

Marcantonio Grande Anima
Grande Anima, 2023 (ph. Michele Vecchiotti)

Ma quest’essere, quindi, è vivo oppure no?

Il messaggio che vorrei lanciare riprende, ancora una volta, il rapporto tra uomo e natura riflettendo, ovviamente, sulla condizione dei nostri oceani e ancor più profondamente sulla vita e la morte, sul potenziale della cura, dell’attenzione o, al contrario, su quello delle conseguenze dell’individualismo che genera la vita contemporanea. Mi piace molto questo gioco indefinito e agrodolce tra rappresentazione drammatica e visione magica. La balena è viva, vola, accesa da luci che appartengono al nostro mondo, le luci siamo noi,  dipende tutto da noi.

Il tuo rapporto col mondo del vino e del bien vivre in generale? Hai un vino preferito, legato a un ricordo o un territorio?

No, in questo senso non ho un vino preferito, amo cambiare e legarmi continuamente a nuovi sapori ed esperienze.

Ordinary Jungle, 2016  (ph. credits Marcantonio)

Marcantonio Ad Naturam
Ad Naturam, Masciarelli, 2022 (ph. Barbarossa Studio)

Nell’immagine in apertura, Marcantonio Raimondi Malerba con alcune sue opere (ph. Mikael d’Alessandro)

Think Print, l’arte di Pierre-Louis Mascia

Uno stile riconoscibile, costruito attraverso pattern e colori che definiscono le sue stampe. Pierre-Louis Mascia parte da una formazione come illustratore e fonda il suo marchio nel 2007, grazie al fortunato incontro con i fratelli Uliassi, proprietari della stamperia serica Achille Pinto di Como, con cui inizia a sviluppare una piccola collezione di sciarpe. Grazie a una crescita graduale ma costante, oggi è diventato un vero lifestyle brand che vede al centro le collezioni di abbigliamento uomo e donna e gli accessori, come pure le proposte per la casa. Tante declinazioni di uno stile che è rimasto  sempre fedele al suo DNA, grazie a un animo e approccio decisamente artistico. Da anni il designer francese è presente a Pitti Uomo con le sue presentazioni, che dimostrano la sua passione e naturale attenzione verso il mondo dell’interior. Per questa straordinaria storia di creatività che lo lega all’Italia, Pierre-Louis Mascia è stato scelto come Special Project di Pitti Uomo 103, protagonista di un evento speciale ambientato nelle sale di palazzo Antinori, aperto per l’occasione. Un progetto che coniuga natura, cultura, arte e moda e trova espressione nei tessuti realizzati da Achille Pinto, che proprio nel 2023 celebrerà i quindici anni di partnership con la griffe.

Pierre Louis Mascia 2023
Pierre-Louis Mascia – Casa Cabana (ph. @SGP)

“Mi sento più vicino alle belle arti che al fashion design”

Parlaci dell’incontro con Achille Pinto, imprenditore della seta con cui è nata quest’avventura.

Ero art director della fiera parigina Première Classe, all’epoca ben pochi brand lavoravano su scampoli e stampe. Essendo un illustratore di moda, pensavo di cambiare supporto, passando dal rettangolo di carta a quello di un foulard in seta. Ho provato dunque a contattare delle aziende francesi, che però non hanno mostrato alcun interesse rispetto allo sviluppo di nuove label. Poi ho incontrato Matteo Uliassi di Achille Pinto e abbiamo cominciato a lavorare insieme, in maniera naturale. Siamo partiti disegnando una piccola collezione di sciarpe e, quindici anni dopo, siamo una maison di livello globale.

Dai foulard all’abbigliamento fino all’interior, quali sono i momenti salienti, le tappe memorabili del tuo percorso creativo?

Si è sviluppato tutto in modo progressivo, costante. Nel 2016 ho avuto un incidente che ha cambiato la mia visione del mondo e, logicamente, la mia concezione della creatività. Nel 2018, abbiamo avuto l’opportunità di presentare la collezione Pierre-Louis Mascia Primavera/Estate 2019 con una sfilata a Shanghai; dopo questo, il team ha capito che il marchio avrebbe potuto funzionare.

Pierre-Louis Mascia collezione 2023
Pierre-Louis Mascia Fall/Winter 2023-24

Ti definisci più artista che stilista. Quali sono i tuoi riferimenti nel mondo dell’arte o, semplicemente, quali artisti segui, al di là delle ispirazioni per il brand che porta il tuo nome?

Mariano Fortuny, Serge Lutens, Romeo Gigli, Rei Kawakubo di Comme des Garçons, Yohji Yamamoto e gli stilisti giapponesi, in generale, mi ispirano tanto. Tuttavia, mi sento più vicino alle belle arti che al fashion design.

Quali sono le stampe e i colori diventati must have delle tue collezioni?

Non ci sono motivi o colori in particolare, mi piacciono tutti!

“Da Pierre-Louis Mascia cerchiamo di definire un interior in cui le persone si sentano a proprio agio”

Come è nata la passione per l’home décor? Il concept del tuo primo negozio a Milano?

Ho cercato di mettere a punto il concept pensandolo nella sua interezza. Quando creo una collezione, la immagino in uno spazio speciale, con un odore peculiare, una musica o dei suoni particolari. Progettando lo store di Milano, abbiamo cercato di seguire lo stesso ragionamento. Adoro gli atelier degli artisti, per questo apprezzo il lavoro di François Halard, che fotografa case e studi di molti di loro. Ad ogni modo, da Pierre-Louis Mascia cerchiamo di definire un interior in cui le persone si sentano a proprio agio. L’estetica della boutique, poi, s’ispira al mio atelier di Tolosa.

Pierre-Louis Mascia atelier
Pierre-Louis Mascia nel suo atelier

Hai sviluppato negli anni numerose collaborazioni con altri marchi, quali sono state le più significative, cosa ti hanno lasciato a livello personale?

La collaborazione col Palais Galliera, un lavoro decisamente interessante per me. Dall’incontro con Pascale Gorguet Ballesteros, curatrice del dipartimento “XVIII secolo” del museo, alla realizzazione dei singoli pezzi, è stato un progetto davvero gratificante, in termini di crescita sia professionale che personale.

Cosa vedremo a Pitti Uomo? Puoi dirci in anteprima su cosa verterà il progetto?

Presenteremo un evento chiamato Philocalie, ossia “amore per la bellezza”, collegato alle collezione Autunno/Inverno 2023/24, per il quale verrà creata un’installazione concettuale nel fiorentino palazzo Antinori. Si tratta di un progetto pensato per stupire gli ospiti, coinvolgendoli nella ricerca di una bellezza naturale, scevra da ogni tipo di artificio, da scoprire e vivere appieno.

Pierre Louis Mascia brand

Nell’immagine in apertura, Pierre-Louis Mascia – Casa Cabana (ph. @SGP)

Viaggi, crossfit e pasticceria: le passioni di Riccardo Erbini di Bake Off Italia

È arrivato alla decima edizione il popolare format Bake Off Italia, condotto da Benedetta Parodi, che vede come giudici Ernst Knam e Damiano Carrara, insieme alla new entry Tommaso Foglia. Tra i concorrenti di quest’anno abbiamo incontrato Riccardo Erbini, 32enne di Villanova del Sillaro (Lodi), che nella vita si divide tra l’essere un preparatore chimico farmaceutico e un istruttore di body building e fitness. In realtà Riccardo coltiva diverse passioni, tra cui il sogno di aprire una sua pasticceria con la mamma, che lo ha sostenuto nei momenti difficili. Una storia, la sua, che ci ha colpito per l’autenticità, oltre a rappresentare un bell’esempio per le nuove generazioni.

Riccardo Bake Off 2022
Riccardo Erbini

Comè nata la tua passione per lo sport? 

La mia passione per lo sport è nata tardi, quando avevo 22 anni; ero un ragazzo obeso che si continuava a lamentare con gli amici del proprio aspetto fisico, senza però fare nulla. Così proprio i miei amici, stanchi delle mie lamentele, mi hanno iscritto e portato di peso a una lezione di crossfit. Me ne sono innamorato da subito, da quel momento non sono più riuscito a smettere di allenarmi. È nata una tale passione che ho deciso di studiare il mondo del fitness e prendere degli attestati per poter lavorare in palestra, con l’idea di aiutare altri ragazzi come me, infelici del proprio aspetto fisico.

Cosa ti ha insegnato il crossfit? 

Il crossfit è stato il primo sport che ho sperimentato, devo ringraziare per questo un caro amico. Anche grazie a lui e alla passione che mette nel suo lavoro, è riuscito a farmi innamorare di questa disciplina. Mi ha insegnato a credere di più in me stesso, a darmi quell’autostima che non avevo e quel pizzico di competizione che, secondo me, nella vita serve sempre.

“Bake Off è un’esperienza unica. Ho avuto l’occasione di imparare tantissimo, riscoprendo un nuovo modo di fare pasticceria e, soprattutto, capendo quanta strada ho ancora da fare”

Tra le altre tue passioni c’è quella della moto…

La passione per la moto è nata intorno ai 14/15 anni, quando di nascosto rubavo le chiavi del motorino di mia sorella per fare dei giri per il paese. Poi quando ho avuto l’età giusta per guidare, mamma mi ha preso una moto naked dell’Aprilia, tutta nera. Era bellissima, il mio gioiellino. All’età di 21 anni ho preso la patente per le moto, anche se ero consapevole di non avere le possibilità economiche, visto che dovevo aiutare mia mamma con le spese di casa. La prima vera moto l’ho comprata circa 4 anni fa, una Kawasaki Z650, una naked come quella di quando ero piccolo; un modello molto tranquillo per chi è alle prime armi, ma che ti regala belle soddisfazione ed emozioni. Tra i viaggi su due ruote è stato memorabile quello sul lago d’Iseo. Siamo partiti da Lodi e abbiamo fatto Il giro del lago in giornata. Devastante, ma allo stesso tempo emozionante.

Bake Off Italia 2022 concorrenti
Riccardo Erbini in una puntata del programma

I viaggi che ti hanno maggiormente ispirato ed emozionato. 

Ho iniziato a viaggiare quando ho conosciuto il mio attuale compagno, da quel momento non abbiamo più smesso. Insieme cerchiamo sempre nuove città da visitare. Tra i viaggi più emozionanti cito quelli in due grandi capitali europee: Barcellona e Parigi. Della prima mi sono innamorato appena atterrato perché mi ha fatto sentire subito a casa. E poi la capitale francese, città che ho visitato in occasione del nostro anniversario, mi ha affascinato per la sua bellezza, la sua storia, i suoi musei e per la magnifica pasticceria. 

Le città che vorresti visitare prossimamente e che consigli di non perdere? 

Nel futuro spero di visitare New York e Singapore. Un weekend a Barcellona vale sempre la pena.

Bake Off Italia Riccardo

“Mi piacerebbe aprire una pasticceria, così da trasmettere tutta la mia passione attraverso i dolci. E poi vorrei tenere dei corsi di formazione agli aspiranti pasticceri in giro per il mondo”

Comè nata la passione per la pasticceria? 

La passione per la pasticceria mi è stato tramandata da mamma, cuoca e pasticcera amatoriale da quando era ragazza. Mi ha insegnato alcune basi della pasticceria e molti dei dolci tradizionali pugliesi, tipo le cartellate al miele e i taralli dolci al vino.

Come sei finito a Bake Off Italia

Sono sempre stato un appassionato di quella trasmissione; il mio compagno e i miei amici continuavano a ripetermi “che buono questo dolce, perché non provi a partecipare a Bake Off?”. Quindi ho voluto ascoltare il loro consiglio, provando a mettermi in gioco per far assaggiare le miei torte a dei professionisti.

Bake Off Italia 2022

Cosa ti ha lasciato questesperienza? 

Bake Off è un’esperienza unica che non dimenticherò mai! Qualsiasi pasticcere amatoriale dovrebbe provare a farla. Ho avuto l’occasione di imparare tantissimo grazie ai giudici, riscoprendo un nuovo modo di fare pasticceria e, soprattutto, capendo quanta strada ho ancora da fare.

Hai tante passioni, come vedi il tuo futuro?

Al momento sento ancora tanti i dubbi e le incertezze. Spero di riuscire a fare chiarezza il prima possibile, per poter seguire a pieno i miei sogni, che al momento vedo difficili da realizzare. Prima di tutto mi piacerebbe aprire una pasticceria, così da trasmettere tutta la mia passione attraverso i dolci. E poi vorrei tenere dei corsi di formazione agli aspiranti pasticceri in giro per il mondo. 

Bake Off decima stagione

Bake Off 10

Nell’immagine in apertura, Riccardo Erbini durante una puntata di Bake Off Italia

Il vino tra comunicazione e arte. A tu per tu con il sommelier e gastronomo Andrea Amadei

Abbiamo incontrato Andrea Amadei, esperto capace di raccontare il mondo del vino tramite i media più diversi, dalla tv ai social.

Come hai coltivato e fatto crescere la passione per il vino?

È nata da bambino, all’inizio era rivolta al cibo, mi affascinava per la sua potenzialità di rappresentare un potente veicolo d’amore, o per come mangiare i piatti tipici di un luogo fosse un’esperienza imperdibile per comprenderne la cultura di posti mai visti. Con l’età ho cominciato a legare questi concetti anche al vino, mi piaceva capire perché un’etichetta si producesse in un dato territorio e fosse impossibile replicarla altrove.
Una spinta me l’ha data la facoltà di scienze gastronomiche dell’università di Parma, il resto l’hanno fatto la lettura di Vino al vino di Soldati e la conoscenza dei docenti della Fondazione Italiana Sommelier, con cui a Decanter, su Rai Radio 2, abbiamo realizzati i podcast di Sommelier ma non troppo, il corso per imparare l’argomento senza troppi giri di bicchiere. Ho iniziato ad assaggiare un vino ogni volta diverso, chiedendomi in continuazione cosa lo differenziasse da tutti gli altri. È stato fondamentale per riuscire a parlare in radio, ogni giorno, di una specifica etichetta. Per sviluppare e sistematizzare le mie conoscenze, infine, ho frequentato il corso della Fondazione Italiana Sommelier.

“L’enologia si presta bene al paragone, dovremmo insistere su questo”

Come sta cambiando la comunicazione in materia nell’era dei social?

Siamo in una fase di sperimentazione, abbiamo capito che la comunicazione è stata finora troppo elitaria e impostata, a tratti incomprensibile, respingente. Il vino è cultura, certo, ma anche natura, emozione, convivialità, quotidianità, e come tale dovrebbe arrivare alla gente. C’è un potenziale pubblico che ancora beve rinunciando a comprendere cos’abbia nel bicchiere, non perché non gli interessi, piuttosto non ne viene coinvolto né affascinato.

Sui social network si trova di tutto, c’è chi fa copia e incolla dai vari siti e chi invece prova a semplificare il più possibile i concetti, per svecchiare la comunicazione e renderla breve, divertente. Sono queste le figure che riscontrano il maggior seguito, ma sono ancora poche, spesso hanno poca autorevolezza. Anche la fusione con altri campi emozionali sta premiando, l’accostamento di vino e arte funziona, bisogna però stare attenti a non diventare troppo cerebrali. Secondo me avrà successo chi, con un’adeguata preparazione alle spalle, riuscirà a descrivere i vini in maniera affabile e sintetica, avvicinandoli ad ambiti eterogenei. L’enologia si presta bene al paragone, dovremmo insistere su questo.

“Ogni vino ha una storia diversa, non si può ricorrere a uno schema preimpostato per tutti”

Lavori in questo settore usando media diversi, come riesci a raccontare il vino in tv e in radio?

Uno dei primi incontri che ho fatto, appena ho cominciato a lavorare a Decanter, è stato con un famoso critico enologico che, con fare supponente, mi aveva detto che era inutile raccontare il vino alla radio perché l’ascoltatore, non potendo assaggiarlo, non era in grado di provare sul palato ciò di cui si parlava. All’inizio ci sono rimasto male, poi ho imparato a non dare importanza a quelle parole, figlie di una comunicazione ingessata ed escludente, la stessa che elenca una serie infinita di sentori e profumi e, nove volte su dieci, fa sentire l’interlocutore un analfabeta sensoriale, quando le sensazioni olfattive sono legate all’allenamento e alla personale memoria gustativa di ciascuno.
Ogni vino ha una storia diversa, con tratti più o meno interessanti, non si può ricorrere a uno schema preimpostato per tutti. Alcune etichette vanno raccontare attraverso aneddoti storici, per altre sono più importanti il clima o il terreno o la vicinanza di un lago, altre ancora preferisco raccontarle seguendo la storia dei produttori; di tutte cerco di capire cosa le renda uniche, cercando di trasmettere quel preciso contenuto. Solo il punto di partenza è uguale per tutte, l’abbinamento col cibo. Tutti noi sappiamo che sapore ha una bistecca alla fiorentina, quasi nessuno però, tra i non addetti ai lavori, conosce il gusto del Brunello di Montalcino. Dunque parto da ciò che è presente nella memoria sensoriale di ognuno e poi inizio ad occuparmi di quale caratteristica del vino in questione si “incastra” perfettamente con quella del cibo. È anche un modo per fornire un’occasione di consumo, un consiglio utile.

Andrea Amadei
Andrea Amadei

“Mai avere preconcetti, col vino”

Il luogo comune più diffuso sul vino e un aneddoto curioso in tal senso.

Il pesce vuole il vino bianco, la carne il rosso: non è così. Ci sono piatti di pesce cucinati col pomodoro che pretendono il rosso, certo, non un Barolo o Super Tuscan, ma in Italia abbiamo tutta una serie di vitigni che ne producono di leggeri, freschi e poco astringenti; si sposano bene con zuppe di pesce, polpi alla Luciana o triglie alla livornese, penso ad esempio al Rossese di Dolceacqua, al Piedirosso della Campania, alla Schiava altoatesina, all’Ottavianello di Ostuni e così via.

Anche la carne a volte riserva sorprese, una volta, in una storica enoteca romana dov’ero a pranzo, avevano preparato la frittata all’amatriciana con pecorino, pomodoro e guanciale. Ho pensato di andare sul sicuro ordinando un Pinot Nero, che però spariva completamente di fronte al forte sapore della portata, allora ne ho approfittato per colmare una lacuna, provando a combattere un pregiudizio. Ho ordinato un Asolo Prosecco Docg Extra Dry che, come indicano gli ultimi due termini della denominazione, ha un residuo zuccherino leggermente più alto del normale, senza però risultare dolce al palato; una caratteristica che conferisce rotondità e “potenza” al vino, e si è rivelata la chiave di riuscita per l’abbinamento. In quell’istante ho rivalutato una categoria enologica che fino ad allora avevo guardato con diffidenza ed evitato di approfondire. Mai avere preconcetti, col vino.

“Lo scopo del corretto abbinamento è quello di pulire perfettamente la bocca dopo il sorso”

Il tuo consiglio su come abbinare cibo e vino?

Un ottimo punto di partenza è l’abbinamento cromatico, carni scure e portate a base di pomodoro vogliono vini rossi, carni chiare e piatti a base di carboidrati dei bianchi; sembrerà semplicistico, ma funziona quasi sempre. Poi si può ragionare sull’abbinamento territoriale: nel caso di una pietanza tipica, probabilmente nello stesso luogo da cui proviene la ricetta si produce anche un vino che potrà abbinarvisi bene. Esempi noti sono le trofie al pesto col Pigato, gli arrosticini col Montepulciano d’Abruzzo, il maialetto sardo con il Vermentino isolano, o – meno scontati – le olive col Marsala e il gorgonzola col Moscato di Scanzo, colpi di fulmine imprevedibili che vi lasceranno di stucco.
Sta comunque tutto nella curiosità, nel semplice “provare”, ricordando che lo scopo del corretto abbinamento è quello di pulire perfettamente la bocca dopo il sorso, rinnovando ogni boccone come fosse il primo. In sostanza, vino e cibo devono quasi “annullarsi” a vicenda, il sapore di uno non deve mai prevalere sull’altro. Altra regola aurea: la portata non deve mai essere più dolce del vino, quindi scordatevi il panettone con lo spumante secco, se avete voglia di una bollicina fresca stappate un passito o un buon Moscato d’Asti.

Andrea Amadei Rai
Ph. dal profilo IG di Andrea Amadei, @andreaamadei80sete

“Vino e cibo devono quasi ‘annullarsi’ a vicenda, il sapore di uno non deve mai prevalere sull’altro”

Un territorio a cui sei particolarmente legato e da conoscere?

È davvero difficile scegliere. Potremmo parlare della Valtellina o della Costiera Amalfitana, o magari di Carema o Lipari, ma credo che alla fine ti racconterò di quella zona d’Italia dove il Friuli bacia la Slovenia. Fra le provincie di Udine e Gorizia, in pochi chilometri quadrati, si concentra una miriade di tipologie di vini, vitigni autoctoni e vignaioli veraci. Si passa dai bianchi muscolosi e profumati ai vini macerati, ai rossi beverini e a quelli più strutturati che escono a dieci anni dalla vendemmia, fino ad alcuni dei passiti più prestigiosi al mondo.

Così si possono trovare Pinot Grigio ramati, Schioppettino, Pignolo e Picolit, tanto per citarne alcuni. Il Picolit è l’orgoglio del posto, deve il suo prestigio a un difetto genetico che lo porta a perdere più della metà dei suoi fiori a fine primavera; solo i boccioli rimasti sulla pianta si trasformeranno in acini, pochi dunque, che però sanno concentrare tutti gli zuccheri e i profumi, dando vita a un vino dolce estremamente ricco e leggiadro.
La presenza contemporanea di vento costante, vicinanza al mare e abbondanza di minerali nel terreno porta le viti a crescere verdi e rigogliose, con grappoli pronti ad essere spremuti per creare vini longevi e di gran classe. Il tutto a un prezzo spesso molto abbordabile.

“Il vino è la sintesi di una storia, di un luogo e di un tempo in grado di elevare gli spiriti, proiettando l’animo altrove”

Raccontaci del tuo prossimo progetto che vede dialogare arte e vino.

Dal 30 novembre al Museo Bagatti Valsecchi di Milano si terrà à un ciclo d’incontri per approfondire i maggiori punti di contatto tra i due mondi. Ogni sera condurremo gli ospiti in un percorso multisensoriale che sposerà vino e pittura, con l’esposizione di 50 dipinti della collezione privata Gastaldi Rotelli, molti dei quali ritraggono scene conviviali. Il curatore della mostra, Antonio D’Amico, ne racconterà la storia, io proporrò tre vini in degustazione, indagando le più disparate collaborazioni instaurate dalle cantine odierne col settore delle arti figurative.

Abbiamo stretto accordi di partnership con tre importanti realtà nostrane, Rocca di Frassinello (che ci consentirà di parlare di Renzo Piano e David LaChapelle), Donnafugata (che ci mostrerà la nuova collaborazione con Dolce&Gabbana) e Altemasi. Dopotutto il vino, per noi italiani, è la sintesi di una storia, di un luogo e di un tempo in grado di elevare gli spiriti, proiettando l’animo altrove; se non è un’opera d’arte questa…

Andrea Amadei vini
Ph. dal profilo IG di Andrea Amadei, @andreaamadei80sete

Nell’immagine in apertura, un ritratto di Andrea Amadei

Marcantonio, l’ironia come valore aggiunto del design

Le regole auree del design (fissate da massime come la celebre “la forma segue la funzione” sullivaniana, o la triade spazio-luce-ordine di Le Corbusier) di rado – per non dire mai – contemplano un quid scherzoso, che smussi un po’ la seriosità in cui incappano regolarmente marchi storici e autori di grido. La proverbiale eccezione alla regola ha un nome e un cognome: Marcantonio Raimondi Malerba, conosciuto più semplicemente come Marcantonio. Nato a Massa Lombarda nel 1976, creativo eterodosso, il suo approccio alla materia si risolve in un coacervo fantasioso che miscela senza soluzione di continuità surrealismo, dadaismo, arte classica, la diade uomo-natura e una (immancabile) verve spiritosa.

Marcantonio Raimondi Malerba design
Un ritratto di Marcantonio Raimondi Malerba

L’affinità elettiva con un altro outsider dalla visione “pop”, Seletti (per cui firmerà collezioni best-seller, dalle Monkey Lamp alle porcellane Kintsugi), lo introduce al fior fiore della progettazione, nomi del calibro di Mogg, Qeeboo, altreforme®, Slamp, Scarlet Splendour, Natuzzi. Tra i suoi fan insospettabili, Giorgio Armani, che pure è il sommo sacerdote del verbo riduzionista: Uri, riproduzione a grandezza naturale di un gorilla in resina, troneggia nella casa milanese dello stilista, l’anno scorso è comparso addirittura sulla passerella autunno/inverno 2021-22 della linea ammiraglia.

In occasione del party di lancio della fashion issue Youth Babilonia, Manintown ha avuto l’opportunità di rivolgere qualche domanda a uno dei protagonisti più istrionici del design italico, presente all’evento a Palazzo San Niccolò con alcune novità della serie a quattro mani con Slide, tra poltrone dalla silhouette curvata, che riproducono la sagoma del coccodrillo (Kroko), e totem di matrice tribal (Threebù).

Sei nato in provincia di Ravenna e hai studiato lì, venendo a contatto con l’arte locale, le cromie dei mosaici… Quali influenze artistiche ti hanno formato?

Sicuramente l’arte antica, intesa come classica. Faccio affidamento su referenze antiche nelle tonalità, nei volumi… Studiando mosaico, ho potuto trattare smalti dai colori pieni, brillanti, e i marmi, che mi hanno avvicinato alla pietra. Ho capito così che, per ottenere risultati, è fondamentale mettere insieme numerose discipline. Per una scultura, ad esempio, c’è bisogno di competenze di disegno, analisi delle proporzioni, della conoscenza di materiali come ferro, creta, gomme siliconiche.

Al design sei arrivato per vie traverse…

Sono sempre stato incuriosito dall’arte, che raffina l’uomo, lo pone dinanzi a interrogativi che lo spingono a sfruttare tutte le risorse a disposizione per provare a capire ciò che ha di fronte, l’eleganza intrinseca dell’opera; l’arte ci mostra quanto un’idea possa essere elegante. Al tempo stesso, adoro gli oggetti quotidiani che si trovano nei mercatini, ci educano in quanto trasmettono un certo modo di fare le cose. Confesso che girare per i marché aux puces, per me, è quasi come visitare un museo.
Seguendo queste passioni, ho creato una commistione personale tra arte e design che mi ha consentito di ritagliarmi una fetta di mercato, portando nel secondo la prima, pezzi scultorei nello specifico, quindi illustrativi, narrativi, anche, poiché nel momento in cui degli animali vengono inseriti nell’ambito della funzionalità, con ogni probabilità avranno una storia da raccontare.

Ti aspettavi il successo ottenuto dai complementi d’arredo per Seletti, come la linea Love in Bloom o le lampade Monkey, divenute dei tormentoni?

È stata una fantastica sorpresa, ne sono davvero felice; ha dell’incredibile quel che è successo, a me quelle creazioni piacevano, ma non mi aspettavo certo che si guadagnassero un tale seguito. Tuttavia quando si ragiona su concetti lontani dalle tendenze, se si ha la fortuna di azzeccare quello giusto, sarà immune allo scorrere del tempo, non avrà insomma una data di scadenza, potrebbe funzionare ora come tra dieci anni.

Marcantonio collezione design

Ti sei avventurato anche in aree naturalistiche, penso alle installazioni site-specific del Parco nazionale d’Abruzzo, nel 2018. Secondo te viene percepita correttamente la necessità della relazione con la natura? Quant’è importante ritrovarla?

La ritengo indispensabile, personalmente parto da un presupposto basilare: nel momento stesso in cui ci distacchiamo da essa, ci alieniamo. L’uomo è la massima espressione della natura, avrebbe tutte le sensibilità e doti per goderne appieno, entrando in totale armonia col mondo che lo circonda. Se riuscissimo a far ciò, ne guadagnerebbe anche il trattamento che riserviamo ai nostri simili e agli animali, vivremmo in una società migliore. Poi non si può non rispettare la natura perché, banalmente, non perdona, ne siamo testimoni; eppure si continua a contaminare l’ambiente, distruggere, procedere spediti come se nulla fosse.

Le aziende sono realmente coinvolte nell’impegno verso l’ecoresponsabilità, a tuo parere?

Indubbiamente possono fare la differenza, anzitutto sul piano culturale: se si immettono sul mercato oggi prodotti di un certo tipo, si creerà una cultura sul tema domani. Per dire, se tutti gli oggetti in plastica venissero assemblati in bioplastica, avremmo risolto un problema enorme. È necessaria inoltre una sensibilizzazione sull’argomento, cerco sempre di evocare la natura, magari non con materiali eco al 100%; è un discorso complicato, ricorda un po’ la disputa sulla pelliccia sostenibile, quale lo è davvero, quella vera o l’alternativa sintetica?
La questione della plastica, comunque, non riguarda tanto il pezzo di design in sé, che dura teoricamente una vita e finisce poi nei circuiti dell’antiquariato, quanto le collezioni usa e getta, il packaging… Da consumatori e produttori abbiamo enormi responsabilità, questo è sicuro.

Com’è nata la collaborazione con Slide?

Lavorando con Persico, industria bergamasca di stampi che rifornisce tutta una serie di aziende, tra cui Slide. Mi hanno presentato Marco (Colonna Romano, amministratore delegato, ndr), abbiamo chiacchierato ed è venuto fuori un comune entusiasmo per l’Africa, per l’arte tribale, così ho deciso di sottoporgli delle idee. Sono molto soddisfatto del risultato, i pezzi della collezione sono piaciuti, Kroko secondo me ha tutte le potenzialità per trasformarsi in un’icona.

Marcantonio designer collezione
Marcantonio con un totem Threebù, parte della collezione disegnata per Slide

Altre partnership in vista di cui puoi anticipare qualcosa?

Sto stringendo un proficuo sodalizio professionale con Natuzzi, per il recente Fuorisalone mi ha commissionato l’installazione per lo showroom di via Durini, con i germogli giganti. Con Seletti lavoro costantemente ormai da tempo, ci sono poi le collaborazioni con Qeeboo, Mogg… Ho intenzione di portarle avanti tutte, ciascun marchio è un universo a sé.

Co-lab con la moda, invece?

È stata appena presentata la capsule Imperfectum con Pianegonda, una collezione completa tra anelli maschili e femminili, chevalier, orecchini, bracciali… S’ispira alla tecnica giapponese del Kintsugi, con sezioni e finiture saldate utilizzando l’oro, devo dire che è stato interessante. Nonostante vesta sempre basic, la moda mi affascina. Sono settori che si somigliano, trovo giusto ci siano connessioni frequenti.

Credi che la comunicazione del design, coi social, sia cambiata in profondità?

Basti considerare Instagram, che permette agli studenti che magari debbono ancora finire l’accademia di cominciare a lavorare con produttori e gallerie. È diventato tutto più organico, fluido, nel mare magnum dei social si può incappare in qualunque cosa, ognuno può avere pari opportunità. Il design, per giunta, sta abbracciando sempre di più l’emozionalità, con un numero crescente di persone, non addette ai lavori, che lo seguono perché ne restano colpite.

Quale messaggio del tuo lavorio vorresti fosse percepito distintamente dal pubblico?

Mi piacerebbe strappare un sorriso a chi, nel momento in cui osserva un mio oggetto, si trova a rifletterci su, l’ironia è un valore aggiunto; non nascondo, però, che mi appassionano parecchio le sfide tecniche, per cui mi sono dedicato a progetti più complessi e scultorei che non la contemplano, non potrò cercarla sempre, mi evolvo, come tutti.

Luoghi che ritieni particolarmente ispiranti, dove  ti rechi per ricaricare la tua creatività?

Quelli dove c’è meno, di tutto, Sardegna, Puglia, Indonesia, Sud-Est asiatico… Ovunque ci siano acqua, rami, legno, non ho bisogno d’altro, svuoto la mente e le intuizioni arrivano da sole. Milano dà una carica pazzesca, mi accoglie ogni volta a braccia aperte, ma è piena di input già rielaborati, non riesco a reperire informazioni originali perché, in qualche modo, sono già “semilavorate”. In certi posti sperduti nei quali il tempo s’è fermato, al contrario, si può rintracciare la storia nelle cose, anche in un semplice sasso.

Marcantonio design poltrona

Text by Federico Poletti, Marco Marini

Tananai, il fenomeno musicale della new generation

Dopo la partecipazione a Sanremo, Tananai, nome d’arte di Alberto Cotta Ramusino, ha conquistato il pubblico diventando uno degli artisti più di tendenza e seguito dai giovani. Dopo il Festival, il suo singolo Sesso occasionale è stato certificato disco di platino.

Tananai Instagram
Total look Alexander McQueen

Nato nel 1995 a Milano, Alberto è stato sempre appassionato, fin da adolescente, di musica elettronica, e si è dedicato da subito alla produzione musicale, pubblicando nel 2017 il primo album intitolato To Discover and Forget, utilizzando lo pseudonimo Not For Us. Presto inizia a esplorare vari generi musicali e a scrivere anche in italiano, pur occupandosi ancora principalmente di produzione.
Nel 2019 emerge come vero e proprio cantautore con il nuovo nome d’arte Tananai, e nel 2020 fa uscire il suo primo EP intitolato Piccoli Boati. Ci racconta lo stesso Alberto: “Il primo EP è nato dalla voglia di raccontare quello che mi succedeva nella vita, perché reputo che la quotidianità sia particolarissima a modo suo per chiunque. Quindi ho cercato di trasporre le mie giornate e storie d’amore, le mie delusioni e momenti in cui ero preso bene all’interno della musica che facevo. Venendo da un passato di produttore per la musica elettronica, dovevo imparare a scrivere e disimparare a produrre. Ho parlato di quello che conoscevo: la mia quotidianità”.

Nel 2021 la sua carriera prende una nuova piega con il singolo BABY GODDAMN, che arriva anche ad essere certificato disco di platino, con cui è ora in vetta alla classifica Top50 di Spotify Italia. Nello stesso anno arriva a collaborare con artisti come Fedez e Jovanotti, partecipando a Sanremo Giovani con la canzone Esagerata, grazie alla quale rientra nel podio dei vincitori.

Il 2022 si apre con la partecipazione al 72° Festival di Sanremo in cui presenta Sesso occasionale, un brano carico di ironia e positività. La partecipazione al Festival – nonostante le diverse critiche – gli restituisce grande visibilità, tanto che pochi giorni dopo la fine della competizione il singolo entra nella Top 10 tra i brani più ascoltati di Spotify Italia e anche BABY GODDAMN scala le classifiche, fino alle primissime posizioni della Top 50. Ci confessa Alberto: “‘Sesso occasionale’ è nata in maniera molto naturale durante una sessione in studio. È saltata fuori come continuazione di ‘Esagerata’- il pezzo di Sanremo Giovani, ci ha coinvolti da subito e abbiamo lavorato fino alla scadenza per mandarla. Non sapevo cosa aspettarmi dopo Sanremo. Sono andato a ruota libera perché pensavo solo a dare energie positive e al fatto di tornare a cantare sul palco davanti a un vero pubblico”.

Un successo che continua anche nel suo primo tour italiano che in poco tempo è finito sold out in molte date. “Il mio sogno nel cassetto lo sto realizzando, ovvero suonare dal vivo davanti a più persone possibili. E finalmente dopo tanti momenti di stop vedo che sta per succedere… Questo mi riempie di entusiasmo”.

Tananai social
Total look Gucci
Tananai Alberto
Total look Valentino, sunglasses Versace, shoes GCDS

Scoprite qui la videointervista completa a Tananai, realizzata in esclusiva per Manintown durante lo shooting per una delle sei cover dell’issue Hot child in the city.

Credits

Talent Tananai

Editor in Chief Federico Poletti

Text Federico Poletti

Photographer Leandro Manuel Emede

Stylist Nick Cerioni

Stylist assistants Michele Potenza, Salvatore Pezzella, Noemi Managò

Make-up & hair Mara De Marco

Nell’immagine in apertura, per Tananai total look Alexander McQueen

I look e le tendenze hair secondo il nostro Beauty Editor Claudio Furini

Un percorso nella moda in cui ha avuto l’opportunità di fare esperienze professionali altamente formative dal punto di vista tecnico e creativo al tempo stesso. Claudio Furini, oggi, vanta una fruttuosa e lunga collaborazione con le più importanti  realtà del fashion a livello internazionale e oggi ci racconta come nasce la sua passione per l’hairstyling e il beauty, svelandoci in tempo per le festività i trend da seguire e i look di alcuni personaggi.

Com’è nata la tua passione per hair&make up e beauty in generale?

La mia passione è nata con mia mamma. Era una donna dalla cura e dall’aspetto impeccabile, capelli con un taglio long bob biondo miele, pelle molto chiara, indossava sempre rossetto rosso e mascara, unghie nude e ballerina di Chanel. Io ero sempre affascinato quando la accompagnavo nei suoi momenti dedicati al beauty.

Quali consideri i tuoi maestri e le persone che sono state fondamentali nel tuo percorso?

All’ inizio della mia carriera, è stata fondamentale la mia insegnante della scuola di acconciatori. Sognavo già il mondo del fashion, lei ha compreso questa mia passione insegnandomi tanti segreti del mestiere.

La tendenza hair per lui e per lei e i personaggi che meglio la rappresentano?

In questi ultimi anni abbiamo assistito a diverse tendenze: capelli con onde con taglio lungo, corto, frangia con ogni taglio e colore. In questa immagine possiamo vedere Francesca Rocco all’evento di Natale per Dior, abbiamo realizzato un look glamour con onde lunghe e morbide, dando un effetto sofisticato ed elegante.



Parlando di tendenze hair uomo, troviamo il modello Marco Bellotti. Abbiamo studiato un look versatile, sia per il giorno durante il lavoro che per la sera nei momenti di svago; in entrambi i casi, il capello è diventato un accessorio da cambiare a seconda della serata, dell’evento o dell’umore. In fondo, il bello è potersi divertire con la propria immagine.



Il modello romano Edoardo Sebastianelli è il perfetto esempio di come un taglio maschile leggermente lungo, ma ben calibrato sia una soluzione molto cool e interessante, che permette cambi strategici di look. Strutturati per essere più corti nella parte inferiore ma non rasati, i capelli hanno in questo caso nella parte superiore maggiore corpo, che rende la chioma morbida e scompigliata. Ma ci vuole poco per trasformarla: basta una pasta modellante per spostarla completamente all’indietro e creare un effetto elegantissimo, che può essere più o meno “rigido” a seconda dell’occasione.



Il classico look easy-chic: così potremmo definire lo stile dell’influencer Francesca Rocco, che sa come esaltare al massimo i suoi lunghi capelli castani in maniera contemporanea ed elegante. Infatti, sceglie un taglio medio-lungo pari ed esattamente come vogliono i trend, la chioma ha un colore pieno, senza schiariture né variazioni di colore, ma è luminoso e tridimensionale. Un hairstyle versatile che Francesca porta con la riga centrale, perfetto sia con una piega liscia da tutti i giorni, che mossa per un look più particolare e raffinato.

L’ispirazione è sicuramente anni ’90, ma l’applicazione è totalmente moderna: il look del modello Marco Bellotti è una delle proposte più cool di stagione. Il capello ben sfumato è lasciato più lungo nella parte superiore, dove può essere libero e spettinato, oppure disciplinato per un effetto più elegante e in un certo senso vintage. Una versatilità che lo rende perfetto sia per coprire leggermente la fronte oppure per lasciarla completamente libera, il tutto senza sforzo. Un taglio perfetto per chi ha i capelli mossi e cerca qualcosa che sappia esaltare le onde ma che sia anche facile da gestire. E che in un attimo passi dal casual allo chic.

Last but not least un personaggio affascinante e un po’ misterioso, tra bellezza e talento: Nima Benati è più che una fotografa, un vero talento e un’ispirazione, oltre a essere una delle media personality più seguite. Nata nel 1992 a Bologna, è decisamente eclettica: sa stare sia davanti che dietro l’obiettivo con grande naturalezza, protagonista o fotografa che firma campagne, sempre mantenendo il suo stile unico.



Il suo nome ha ormai da tempo valicato i confini ed è una star internazionale. Nima è una vera e propria diva e il suo hair look riflette alla perfezione questo suo ruolo: i suoi capelli sono lunghissimi e ondulati, degni di una sirena, che porta tagliati pari e con la riga centrale per lasciare il suo bellissimo viso completamente scoperto. Naturalmente mora, ha scelto di schiarire la chioma in maniera graduale partendo alcuni centimetri dopo le radici per ottenere un effetto più morbido, ideale per esaltare le lunghezze. Il risultato è un look sofisticato, elegante e che rappresenta al massimo la sua femminilità, con la quale ama giocare e sperimentare. Non è raro vederla con acconciature dal sapore vintage, che la rendono ancora più glamour.

Hai lavorato con tanti personaggi, raccontaci qualche aneddoto curioso

Tempo fa ero stato chiamato per un lavoro con un personaggio internazionale talmente importante che non potevano dirmi chi fosse fino al mio arrivo in hotel nel centro di Roma. Ero molto teso e poco prima di salire nella sua suite mi dissero: “Signor Furini, la signora Charlotte Casiraghi la sta aspettando”. Ero molto emozionato, nel momento in cui mi aprì la porta, tutta la mia ansia scomparve, poiché la sua gentilezza ed eleganza mi avevano subito messo a mio agio.

Quali sono i personaggi con cui vorresti lavorare nel futuro?

Nel corso della mia carriera, mi piacerebbe molto poter lavorare con nomi della musica italiana come Baby K, Annalisa, Marco Mengoni, Mahmood e Gaia; sarebbe interessante realizzare videoclip musicali dove vi è la possibilità di creare look molto creativi.

Claudio Furini IG: @claudio_furini_

Passione a ritmo di danza: il percorso di Alessio La Padula

Un corpo statuario temprato da una disciplina, la danza, che richiede una dedizione fisica e mentale  pressoché assoluta, oltre a una miriade di tatuaggi: questi i tratti che caratterizzano Alessio La Padula, visto attraverso l’obiettivo di Davide Musto. Nato a Eboli 25 anni fa, lascia casa quand’è ancora un adolescente per inseguire il sogno di diventare ballerino, cominciando presto a ottenere riscontri importanti; viene selezionato 14enne dal Russian Ballet College di Genova per poi diplomarsi al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica e Danza di Lione.


Tornato nel nostro Paese, non smette più di danzare, e il trampolino di lancio definitivo è rappresentato da Amici: partecipa da concorrente al popolare talent Mediaset nel 2016 e, tre anni dopo, entra a far parte del corpo di ballo del programma.

L’innegabile talento, assieme a un look decisamente strong che contrasta con le pose, i gesti e le movenze armoniose di chi ha consacrato la propria vita all’arte di Tersicore permettono ad Alessio di collezionare ruoli di spessore, collaborando con direttori creativi e coreografi del livello di Luca Tommassini e Giuliano Peparini, dividendosi tra il palco di Amici, videoclip (tra i più recenti quello del singolo Venere e Marte di Takagi & Ketra, Marco Mengoni e Frah Quintale), concerti (è stato in tour con Alessandra Amoroso) e spettacoli teatrali, come l’acclamato musical Romeo e Giulietta – Ama e cambia il mondo, del 2018.

Tra i suoi sogni per il futuro è quello di diventare un coreografo, mentre per quanto riguarda le sue passioni, Alessio ama l’arte contemporanea (dipinge e si diletta anche con i tatuaggi), i viaggi e, soprattutto, perdersi in montagna con la moto.


Nell’editoriale in black&white in esclusiva per MANINTOWN lo vediamo interpretare con la sua esuberanza istrionica, camicie, blazer e pantaloni sartoriali tutti firmati Dsquared2.

Photographer: Davide Musto

Styling: Francesco Mautone

Make up: Noemi Auetasc

Hair: Alessandro Firenze

Location: NHOW Milano

Total Look Dsquared

I designer portoghesi da conoscere

MODALISBOA festeggia 30 anni di creatività interrogandosi sul proprio futuro



Il Portogallo si conferma un Paese ricco di tradizioni e importanti manifatture, ma anche fucina di una nuova generazione di designer portoghesi che lavorano sull’innovazione sostenibile. Proprio questo 2021 ModaLisboa ha festeggiato 30 anni di attività a sostegno della creatività portoghese. E lo ha fatto con un calendario in presenza su 4 giorni con 34 designer e 21 presentazioni divisi tra due location l’Estufa Fria magnifico orto botanico e il Capitólio.



Proprio pensando agli importanti cambiamenti nel fashion system di questi ultimi due anni la campagna di ModaLisboa, guardando al proprio passato, si interroga sul presente e futuro con la domanda: and now what?  (e adesso?). Una domanda profonda, che lascia poco spazio alle risposte, ma che d’altra parte lascia tanto spazio per la libertà, specialmente quella espressiva.


Constança Entrudo

Questo senso di libertà e voglia di sperimentare si coglie specialmente nelle nuove generazione che hanno partecipato al contest Sangue Novo che hanno visto partecipare: AMOR DE LA CALLE , ANVI, CAROLINA COSTA, FILIPE CEREJO, IVAN HUNGA GARCIA,  MARIA CLARA,  MARIA CURADO, REIMÃO, SOUSA e VEEHANA.



Tra i designer da tenere d’occhio che giocano su sostenibilità, sperimentazione tessile e colori è Duarte, designer con un’anima da illustratrice, che ha fondato le sue collezioni sulle sue grafiche esclusive. Il suo streetwear pieno di energia e la capacità  di unire allo storytelling uno story-making virtuoso la rendono uno dei nomi più interessanti della moda portoghese.



La sua collezione ‘Reef’, richiama l’attenzione sull’emergenza legata alla barriera corallina al largo dell’Australia, ad alto rischio di sbiancamento, rappresentando gli esemplari marini – attraverso le sue grafiche stilizzate – su parka, tute e varsity jacket. Ovviamente prodotti con filati tecnici come il neoprene, ricavate dal riciclo di plastiche e cotoni riciclati.



Sempre nel segno della sperimentazione materica e sostenibile è il lavoro di Constança Entrudo, fino a tutta una nuova generazione di nomi che fanno della moda genderless il loro baluardo come Cravo Studios, Filipe Augusto, Fora de Jogo, João Magalhães, Luís Carvalho e Ricardo Andrez. Nomi che da Lisbona stanno gradualmente facendosi conoscere anche nel resto dell’Europa e che speriamo riescano a farsi conoscere anche nelle altre fashion capital.


Cover: Constança Entrudo

Ugly but cool: Mariano Franzetti

Sulla contaminazione arte-moda si potrebbe scrivere un intero libro, partendo da grandi maestri come la Felt Suit di Joseph Beuys alle opere di Flavio Lucchini; gli esempi potrebbero essere tantissimi, fino ad arrivare a tempi più recenti in cui, soprattutto la moda, ha guardato all’arte. In un momento storico in cui è radicalmente evoluto il concetto di bellezza e di identità.



Il lavoro di Mariano Franzetti, artista e creativo eclettico di origini argentine, ha ripensato all’estetica dell’ugly (il brutto) in chiave ironica, per trasformarla in qualcosa di contemporaneo e cool. Dopo gli iniziali studi di architettura, Mariano si trasferisce a Buenos Aires per dedicarsi completamente alla sua passione, la pittura, che coltiva fin da piccolo, studiando i pittori rinascimentali e l’arte in generale.



Si trasferisce poi in Italia nelle Marche, iniziando subito a lavorare come artista in collaborazione con un laboratorio di architettura e interior design. Dopo essersi trasferito a Milano, sviluppa ulteriormente la sua carriera di artista e direttore creativo. Sin dagli esordi, le sue opere si caratterizzano per la ricerca cromatica, i toni brillanti e audaci, le immagini e i motivi grotteschi. Un universo costituito da fantasie apparentemente giocose, narrative stravaganti, atmosfere inusuali, che lasciano un segno sui fruitori, suscitando emozioni e stati d’animo differenti. Incuriosito dall’essere umano, dalle sue vicende e della sue svariate sfaccettature, all’interno delle sue opere si trovano spesso personaggi eccentrici, “diversi”, deformati, non solo per l’abbigliamento modaiolo e le sembianze, ma anche per lo stile di vita e la personalità.



Scoolture, dipinti e arazzi: la mostra a Bologna “PUTTY TOYS TRICKY, LORO”

Mariano Franzetti ha presentato a Bologna i giorni scorsi per la prima volta il suo nuovo lavoro artistico, che sviluppa il tema dell’Ugly but Cool tramite media diversi, dalle scoolture (come le definisce lui), gli arazzi, fino ai dipinti. Il tutto all’interno della cornice rococò di Palazzo Hercolani di Bologna, all’interno degli spazi di Zefyro e Silaw Tax & Legal, merchant holding indipendente fondata da Alessandro Tempera, che ha supportato il progetto. Questa mostra segna un importante sviluppo nel suo percorso creativo, che senza rinunciare alla dimensione pittorica e neofigurativa, si declina ora verso una tridimensionalità materica ricca di contrasti. Protagonisti assoluti di questa nuova mostra sono una strana e grottesca community di personaggi che indossano abiti iconici di importanti maison della moda, come Saint Laurent, Celine, Prada, Bottega Veneta, tanto per citarne solo alcune.



Inizialmente, queste piccole sculture in stucco erano state pensate per sostituire i modelli nell’impossibilità di realizzare servizi fotografici per la moda durante il lockdown del 2020 e hanno colmato le giornate dell’artista. Si sono nel tempo moltiplicate, trasformandosi in personaggi grotteschi, dai volti deformi con pochi capelli colorati e arruffati, ma dai look super cool. In modo spontaneo è nata un’intera generazione di questi personaggi che esplorano il dualismo costante tra realtà e voglia di apparire. Quella di Mariano è la ricerca di una bellezza non canonica come quella imposta dalla moda; da questa idea nascono questi Beautiful Loser, che riflettono bene le contraddizioni della realtà che ci circonda. Così spiega lo stesso Franzetti: “I personaggi di Putty Toys Tricky riflettono bene i contrasti del nostro tempo. Sono brutti ma cool o forse troppo cool ma brutti? Una strana e deforme comunità di individui che, pur indossando abiti delle più prestigiose griffe di moda, si atteggiano in posizioni anomale, parlano un linguaggio incomprensibile, muovendosi in modo strano e bizzarro. Ma è proprio nella loro diversità e nella loro distanza che questi personaggi vivono e comunicano.” Queste “scoolture” di improbabili fashion victims, vanno poi a comporre dei veri e propri tableaux vivant, scene che rimandano a note iconografie sacre o alla cantiche della Divina Commedia. Un’attrazione verso l’arte sacra che l’artista ha tratto dal suo retaggio e formazione in Italia, durante i quali ha visitato in modo capillare le chiese e abbazie tra le Marche, l’Umbria e l’Emilia Romagna.


I

Milano, Arte e Motori: le contaminazioni creative di Paolo Troilo

Un passato come art director e un presente-futuro da artista indipendente: questo in estrema sintesi il percorso di Paolo Troilo, che ha recentemente inaugurato la mostra “Troilo-Milano solo andata”, curata da Luca Beatrice a Palazzo Serbelloni. Come ben osserva lo stesso Beatrice: “Troppo spesso siamo abituati a chiedere, pretendere, preoccupandoci poco di dare in cambio di restituire. Paolo da Milano ha avuto e ha dato tanto, mi ha ricordato l’unicità di questo posto dove sei in mezzo alla vita e poi ti chiudi in studio senza vedere nessuno per giorni. Mi ha raccontato che i quadri esposti a Palazzo Serbelloni è come fossero cresciuti insieme a chi ha poi scelto di acquistarli. Ripresentandoli al pubblico, Paolo ci sta dicendo qualcosa come “grazie a questa città che sono diventato grande, questo è il risultato del mio lavoro, ve lo affido”.



Così, in modo del tutto imprevisto, le opere monocromatiche dell’artista– spesso di formati monumentali – entrano in dialogo con gli spazi iper decorati di Palazzo Serbelloni, creando un cortocircuito creativo. Differenti soggetti che hanno in comune la rappresentazione del corpo umano maschile in continua evoluzione tra sacro e profano, oltre alla speciale tecnica di fingerpainting, o “iperrealismo con le dita”, tecnica che ha reso Paolo un artista ben riconoscibile, unitamente alla scelta dei soggetti. Fil rouge tra le opere e protagonista della mostra è proprio Milano, città che ha accolto Troilo nel 1997 e lo ha reso un pubblicitario noto a livello internazionale, fino a renderlo un artista. Oltre alle opere è stata anche esposta nel cortile di Palazzo Serbelloni uno speciale modello Lamborghini Huracán EVO interpretata dall’artista. Si chiama  “Minotauro” e riprende il mito del corpo di uomo e toro raccontanti in un dipinto e trasposti sulla carrozzeria di una Lamborghini Huracán Evo. Attraverso le sembianze di un corpo maschile riprodotto per mano di Troilo con l’uso dei polpastrelli, l’opera è l’espressione della dinamicità, della potenza e delle emozioni che l’artista ha provato alla guida della Huracán Evo, la super sportiva di Sant’Agata Bolognese. Il tributo dell’artista alla Huracán Evo celebra la fusione tra l’uomo raccontato dalla sua pittura, il toro simbolo di Lamborghini e il concetto di mito espresso nello slancio soprannaturale, quasi animalesco, che la figura maschile dipinta sulle fiancate è in grado di sprigionare. Il cuore dell’opera è incentrata sulla fantasia del conflitto tra uomo e toro, il segno zodiacale del suo fondatore.