Gaia e l’arte di essere se stessi

Uno spirito libero e un’artista che ci invita a riflettere sul ritmo della vita per prendersi il proprio tempo dalla frenesia della quotidianità, godendosi ogni singolo attimo: «Mentre tutto corre io rallento. Sento, sento quanta vita in un solo momento» canta Gaia in Estasi. Cresciuta in bilico tra il Brasile e l’Italia, i Paesi d’origine della madre e del padre, Gaia Gozzi continua il suo percorso costellato di successi, restando fedele a se stessa.

Venerdì 10 novembre 2023 esce il nuovo singolo Tokyo, scritto con Drast, che ne cura anche la produzione insieme a Golden Years. Il brano è un invito a lasciarsi andare, un biglietto di sola andata verso la libertà. Il coraggio di Gaia nel seguire strade non convenzionali e la sua musica densa di spiritualità rappresentano una vera fonte d’ispirazione per la nuova generazione. 

«È importante secondo me trovare il proprio ritmo e capire l’importanza di prendersi una pausa»

Gaia, parliamo del tuo ultimo viaggio in Amazzonia e del messaggio di seguire il ritmo della natura, andare più lenti… Sono tutti concetti molto attuali in una società frenetica come la nostra.

È importante secondo me trovare il proprio ritmo e capire l’importanza di prendersi una pausa. Non tutti possono permettersi di andare in Amazzonia; chiaramente lo consiglierei per ricentrarsi, ma non è stato semplicemente il viaggio ad aiutarmi. Grazie a quell’esperienza ho capito quanto internamente dovessi creare quel rapporto con me stessa per capire quando mi devo fermare, quando devo dire dei no. Questi ‘no’ sono fondamentali anche per la longevità nel mio progetto, per poter avere la consapevolezza del mio strumento e non sfruttarlo e terminarlo prima del dovuto. Secondo me abbiamo delle energie che ci vengono date alla nascita e non dobbiamo esaurirle tutte subito. Se pensiamo alla storia della musica e non solo, molti musicisti per il tipo di vita che conducono tendono all’eccesso. Io vorrei fare questo mestiere il più a lungo possibile.

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«Il mio modo di fluire nella vita è legato al mio sentire. Per me è quella la spiritualità: ascoltare il mio istinto, rendere sempre più intima, sincera e diretta la mia conversazione interna»

E, in effetti, nel mondo dello spettacolo è facile perdersi…

Sì, più ti viene dato e più possibilità hai di vedere migliaia di persone che cantano la tua musica, più evidentemente d’altra parte ti verrà tolto qualcosa: può essere la salute, le relazioni ecc… Quindi l’equilibrio è sempre stato uno dei miei obiettivi primari. Credo molto nel provare ad avere un approccio ‘sano’ a questo mestiere, anche se non ci sono stati così tanti esempi di questo tipo. Perché poi per ‘spaccare’ devi fare, esserci, starci dentro. Ho visto tante persone andare in depressione con facilità; anche io ho vissuto dei momenti di ‘down’ emotivo molto intensi. Per questo è importante trovare il proprio equilibrio in tutto.

Una caratteristica sicuramente peculiare nella tua musica è la presenza di una certa spiritualità.

Sì, sicuramente la spiritualità fa parte della mia vita in generale; sfocerà nella musica e straborderà anche in quella. Il mio modo di fluire nella vita è legato al mio sentire. Per me è quella la spiritualità: ascoltare il mio istinto, rendere sempre più intima, sincera e diretta la mia conversazione interna. Credo tantissimo nel fatto che ci sia una coscienza comune che ci guidi verso quello che dovremmo fare, essere ecc… Io sono sempre molto molto attenta nel cercare di fare qualcosa che il mio ‘higher self would do’. Quindi sì, non riuscirei a fluire nella vita e nella musica, che è il mio modo di esprimermi, senza un rapporto intimo con l’intangibile. Quindi lo metto nelle canzoni.

«La musica è sempre stata fondamentale per me e ho sempre pensato che mi avrebbe accompagnato durante la mia vita»

 Quando hai capito che la musica era la tua vocazione e che da lì si sarebbe tramutata anche in una professione?

La musica è sempre stata fondamentale per me e ho sempre pensato che mi avrebbe accompagnato durante la mia vita. Ero un po’ timorosa da piccola nel considerarla un ipotetico lavoro, perché ero molto, molto timida. Quindi andava totalmente in contrasto con la mia natura e sentivo che era un sogno così grande, magari non volevo intaccarlo. Nonostante i miei timori è andata bene, anche grazie al processo di scoperta di me stessa, al fatto di aver iniziato a viaggiare molto presto, tante esperienze che mi hanno fatto uscire dalla mia comfort zone. Sono stata un po’ all’università per vedere poi questa opzione come reale e percorribile.

Da piccola ho sempre cantato in casa, in bagno soprattutto, il mio palco principale. Mi mettevo davanti allo specchio e cantavo le canzoni delle mie artiste preferite. Poi facevo tantissima ricerca su YouTube, guardavo i live di chiunque; rimaneva una cosa tra me e me o tra me e la mia famiglia, che a un certo punto non ce la faceva più ad ascoltarmi (ride guardando la mamma Luciana, ndr). Poi sono andata a vivere in Germania a 15 anni e ho iniziato a cantare con dei miei amici in giro, a 17 sono andata negli Stati Uniti e lì, a scuola, facevo parte del coro. Ho avuto le mie prime battute da solista e così ho iniziato a sbloccare il rapporto con il pubblico e a sentirmi più a mio agio.

Qualche mese dopo essere tornata dagli Stati Uniti, mia madre e mia sorella mi hanno iscritta a
X Factor. Sono andata, ho firmato il mio primo contratto discografico e da lì è un po’ partito tutto. A tratti è stato un percorso un po’ lento (o equilibrato, voglio vederla così) con delle battute d’arresto e momenti dilatati, che però sono stati fondamentali. Ero in una fase di ricerca della mia identità, stavo cercando di introdurre tutte le mie culture nella musica, senza fare un pot-pourri troppo complesso, distante o meccanico. Stavo provando a individuare la mia cifra stilistica.
Quegli anni sono stati fondamentali, lo sono anche tutt’ora, perché mi hanno dato le basi di una libertà creativa che non avrei potuto sfiorare se mi avessero fatto uscire subito, “esplodere” e fatta lavorare con un certo tipo di percorso. È capitato che mi volessero far diventare un “progetto pop” abbastanza standard, lavorabile forse molto di più di quello che faccio adesso. Però, ritornando al concetto di spiritualità e al fatto di rimanere il più autentici possibili, credo sia davvero l’unico
modo per far funzionare il progetto a lungo termine. Sono contenta del percorso che ho avuto e che sto seguendo. 

Coat, puffer jacket and trousers Tommy Hilfiger, corset Maucerieffe, earcuffs Mam Originals, shoes stylist’s archive
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Tra l’Italia e il Brasile, quali sono gli elementi che ritrovi nel tuo carattere?

Il mio lato brasiliano è sicuramente quello più spirituale, mistico e in più amo ballare ovunque, cantare e fare festa. Questo è un mio lato decisamente brasiliano. Anche gli italiani sono molto festaioli a dire la verità. Sono entrambi luoghi estremamente passionali, quindi c’è un denominatore comune da questo punto di vista. Il mio lato italiano è quello un po’ più concreto. Non che il brasiliano non sia concreto: il Brasile è un museo a cielo aperto, è tutta natura, e la natura quando è così imponente forse ti rimette al tuo posto più facilmente. I ritmi sono più ‘easy’ e seguono tempi diversi.
In Italia, invece, soprattutto vivendo in una città come Milano, mi rendo conto che sono più portata a concretizzare, a mantenere il focus. C’è un lato di me anche molto determinato: se voglio una cosa la ottengo. Sono riuscita a trovare un equilibrio tra questi due elementi, tra una vita in mezzo alla natura, non solo lavoro, e i momenti in cui so che devo spingere ed essere completamente concentrata. Poi mangi bene in entrambi i posti (
ride, ndr). Forse sì, il mio lato più pratico è estremamente italiano. Dico così anche perché vedo mio padre, che è italiano, molto concreto e mia madre invece è più “fatina dei boschi”.

Forse dalla mamma hai preso il senso dello stile?

Sì, la mamma è una vera esteta. Il gusto, la moda, la creatività in generale mi affascinano; risvegliano un senso di bellezza che a me piace. Sono un segno votato al bello (sono una Bilancina) quindi amo l’armonia, la bellezza. Mamma sicuramente mi ha ‘viziata’ ed educata in questo senso perché i suoi archivi sono davvero una fonte di ispirazione. 

Spesso lavorate anche insieme…

Sì, abbiamo già lavorato molte volte insieme. Credo che adesso entrambe stiamo capendo meglio quali sono i nostri obiettivi, quindi abbiamo preso strade differenti. Poi ci capita di lavorare insieme, anzitutto per mantenere i rapporti puliti e sani, perché prima di essere colleghe sul lavoro dobbiamo essere madre e figlia. È stato molto bello condividere dei momenti di lavoro con lei. Non sempre è una cosa possibile soprattutto per il tipo di lavoro che facciamo. 

Top Animula Embroidery, necklace Mam Originals. Gaia
Top Animula Embroidery, necklace Mam Originals

«Penso che le intenzioni siano fondamentali in ogni contesto toccato nella nostra vita»

È bello che per te la moda, al di là dell’immagine, sia anche un messaggio.

Per me è soprattutto quello, ma perché penso che se fosse solo estetica, probabilmente mi sentirei male con me stessa e non riuscirei a conciliarlo con il mio modo di vedere le cose. Se invece c’è un messaggio o una motivazione dietro allora tutto acquisisce un’aura più magica. Lo vedi attraverso gli scatti, le persone si sentono meglio indossando qualcosa che è stato scelto per loro per farle sentire bene, magari gli abiti e il brand sono più in linea con il loro modo di pensare. Una serie di elementi rendono poi un servizio moda un lavoro magico. Non si tratta unicamente di rendere più belle e sexy le persone. Penso che le intenzioni siano fondamentali in ogni contesto toccato nella nostra vita. Tutto è politico: come ti atteggi, come ti senti davanti a una camera, come comunichi. Tutte queste cose, secondo me, vanno oltre la ‘mera’ moda.

Soprattutto dopo la pausa del Covid, è importante riprendere il legame con il pubblico

Sì, soprattutto per me, perché non ne ho mai avuto la possibilità. Sono uscita durante il Covid, quindi suonare live è una cosa che vorrei tanto fare e che accadrà nei prossimi mesi. E poi viaggiare. Ho voglia di andare in Brasile e suonare un po’ là. Questi sono i miei obiettivi per il prossimo periodo.

E quali i nuovi progetti in arrivo?

Sto scrivendo il nuovo disco e ho tanta voglia di suonare live. Vorrei fare tantissimi festival nel prossimo periodo perché sento che è un lato del mio lavoro che mi soddisfa molto, in cui potrei crescere e investire tanto. Inoltre, tra i nuovi progetti, presterò la mia voce alla brillante sognatrice Asha nel nuovo film di Natale Wish, il lungometraggio di Walt Disney Animation Studios, che rende omaggio all’eredità Disney (nelle sale italiane il 21 dicembre) proprio nell’anno in cui lo storico studio cinematografico celebra il suo 100° anniversario.

Fur coat and jumpsuit Missoni, Boots Giuseppe Zanotti, Nose chain Myril Jewels. Gaia
Fur coat and jumpsuit Missoni, Boots Giuseppe Zanotti, Nose chain Myril Jewels
T-shirt, hot pants and dress Dsquared2, boots Giuseppe Zanotti, headpiece Z.GRNJ by Giulia Del Bello, earrings Nove25
T-shirt, hot pants and dress Dsquared2, boots Giuseppe Zanotti, headpiece Z.GRNJ by Giulia Del Bello, earrings Nove25

Credits

Photographer Claudio Carpi

Stylist Simone Folli

Make-up Roberta Anzaldi – Charlotte Tilbury

Hair Francesco, Matteo – Contestarockhair

Stylist assistant Nadia Mistri, Claudia Maria Ialacci, Rebecca Callegaro, Isabella Ingravallo

Nasce NEXT GEN. The Cinema & Fashion Issue – MANINTOWN

In occasione del 10° anniversario di MANINTOWN, nato come magazine di lifestyle maschile nel 2013, abbiamo intrapreso un percorso che ha comportato diversi cambiamenti. In primis, già da alcuni anni il nostro focus editoriale si è spostato sul mondo dei talent di nuova generazione, soprattutto del cinema e della musica. Per questo da tre anni, durante la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, organizziamo il premio Next Generation Awards per promuovere concretamente i più promettenti nomi del cinema italiano.

Next Gen di MANINTOWN: un faro sul talento


Così le nostre Cover Stories sono dedicate a coloro che abbiamo premiato con il red carpet a Venezia: Lea Gavino, Fotinì Peluso, Mattia Carrano, Andrea Dodero e Sebastiano Pigazzi. E ancora, come special cover abbiamo Coco Rebecca Edogamhe, che, dopo i successi di Summertime, si sta facendo notare per il suo talento. Dall’Italia al mondo con un altro giovanissimo, il 20enne Wyatt Oleff, uno dei nuovi attori prodigio della scena statunitense, dopo i recenti successi della serie City on Fire, che vediamo come altra Cover Story

Per questa apertura sulle nuove generazioni, andando oltre l’idea di genere che MANINTOWN implica nel suo nome, abbiamo deciso di chiamare i nostri numeri cartacei da collezione “NEXT GEN”: nome che non solo evoca il nostro premio, ma sottolinea l’importanza dello scouting su cui scommettiamo da sempre.

NEXT GEN – powered by MANINTOWN – continua a uscire in Italia e all’estero (in due edizioni distinte in italiano e in inglese) due volte l’anno con un numero focalizzato sul Cinema e l’altro sulla Musica. Anche se non è certamente “new talent”, ci sembrava il momento di rendere uno speciale omaggio a Vinicio Marchioni, un grande interprete italiano, che è in uscita con due importanti produzioni. E la sua Cover Story è ambientata nello scenario unico dello storico Teatro della Pergola a Firenze.

Next Gen - MANINTOWN
Le nuove cover di NEXT GEN – MANINTOWN

Il nuovo Fashion Issue

Alle pagine sul tema Cinema si è aggiunto il nostro inserto “Fashion Issue”, curato per questo numero da Antonio Mancinelli, che ha sviluppato un tema – quello delle community – su cui ruotano diversi servizi moda e storie da leggere; si parte dai new dandy, passando dai creativi di colore nati in Italia, fino alla moda sostenibile.

Come scrive lo stesso Mancinelli: «Oggi, le comunità possono assumere varie forme: da piccoli quartieri affiatati a estese reti online che collegano individui in tutto il mondo e, indipendentemente dalle dimensioni o dalla portata, forniscono una piattaforma in cui gli individui possono impegnarsi, cooperare e prosperare insieme. Tramite questa singolare sinergia, apparenza e collegialità diventano veicoli di espressione politica e strumento di auto realizzazione che contribuiscono a promuovere l’ideale di una società più inclusiva, democratica e rispettosa».

E proprio nell’idea di lasciare un segno è la community degli attivisti individuati dalle Sorelle Toledo, che pensano a una moda “meaningful” e per questo hanno selezionato 10 influencer che, dedicando a una causa importante la loro vita, migliorano ogni giorno anche la nostra. Questi 10 personaggi usano i social per fare divulgazione e conquistare diritti per tutti. Fondano associazioni che mettono al centro il rispetto e l’unicità della persona, di qualunque genere, orientamento, provenienza e background.

Credono, ma soprattutto dimostrano con le azioni, giorno dopo giorno, che costruire è più potente che distruggere, che amare è più bello che odiare e che il momento giusto per realizzare un sogno è sempre adesso! Un progetto che, unitamente a tutte le storie di questo numero, mi auguro potrà ispirare tutte le generazioni e in particolare le Next Gen!

Vinicio Marchioni

MODALISBOA: DESIGNERS TO WATCH

Si è chiusa la 61esima edizione di MODALISBOA al Pátio da Galé nel cuore di Lisbona, che ha visto non solo diversi fashion show, ma anche presentazioni, una mostra e talk su diversi tematiche tra cui la circolarità nella moda. Il tema dell’edizione MODALISBOA À LA CARTE vuole essere un invito giocoso alimentato dall’atto della condivisione. La moda è pensata come un menu stagionale con più portate. Tra show, mostre e presentazioni, una degustazione di stili diversi dove la mise en place è organizzata da MODALISBOA, ma la creatività è servita dai diversi designer. Collezioni con visioni differenti rappresentano la nuova generazione del fashion design. Una riflessione sul presente e il futuro del suo territorio e, di conseguenza, sull’identità e sulle questioni sociali che stanno attualmente guidando la creazione.

La produzione delle collezioni è stata supportata dai diversi partner tessili di MODALISBOA: Calvelex, Fabrics4Fashion, RDD Textiles e Riopele. Tutti i designer hanno in comune la preoccupazione verso l’uso di processi produttivi a minor impatto ambientale possibile. Tanti new talent hanno utilizzato stampe realizzate con processi e fibre naturali, materiali riciclabili e stampe 3D. E ora non resta che presentare i designer di questa edizione da tenere d’occhio.

1. MODALISBOA presenta la sostenibilità di DuarteHajime

DuarteHajime è il brand con nuovo nome fondato da Ana Duarte (Lisbona, 1991), che dopo il contest Sangue Novo e diversi premi (nel 2021 ha vinto il C.L.A.S.S. Icon Award) si caratterizza per le stampe realizzate dalla stessa designer. DuarteHajime intende ridefinire il concetto di streetwear, focalizzandosi sulla sostenibilità tramite tessuti naturali e tecnologici. Hajime è una parola giapponese che significa “inizio”. Nelle arti marziali tradizionali giapponesi, come judo, karate, aikido e kendo, indica il comando verbale di “iniziare”.  Il brand nel 2023 ha iniziato un nuovo percorso (da Duarte in DuarteHajime) mantenendo la stessa visione, raccontando storie in un’ottica e stile urban, con attenzione alla qualità e materiali tutti Made in Portugal e sostenibili.

2. Filipe Cerejo e una nuova sensualità maschile

Filipe Cerejo ha iniziato il suo viaggio nella moda a Porto per poi trasferirsi a Londra, dove ha conseguito una laurea in Fashion Design presso la Middlesex University nel 2021. La sua collezione di laurea è stata esposta anche al British Fashion Council e da ShowStudio. Nel 2022 ha vinto il premio Polimoda all’interno di Sangue Novo, il concorso per giovani designer di ModaLisboa. Questo riconoscimento gli ha poi dato la possibilità di vincere un Master in Collection Design al Polimoda di Firenze. La sua visione nella progettazione vuole evocare un’idea di sensualità e di identità unica, offrendo una nuova prospettiva dell’abbigliamento maschile.

3. Constança Entrudo presenta a MODALISBOA una collezione dadaista

Constança Entrudo, una delle designer più sperimentali della Lisbon Fashion Week, ci ha fatto entrare nel suo studio nel cuore di Lisbona. La sua S/S 24 vuole fare porre l’accento sui pericoli del riscaldamento globale che ha cancellato l’esistenza dell’inverno. I capi della collezione sono progettati per riflettere questo drammatico cambiamento. Immagina un ufficio in cui gli abiti tradizionali e le camicie a righe in popeline sono sottoposti a strappi e tagli, e i loro frammenti intrecciati in canotte in jersey strappate, destrutturate. La designer lavora sul concetto di riappropriazione di oggetti scartati e riassemblati in modo casuale, come accade nell’arte Dadaista.

Così le stampe presenti in questa collezione derivano da fotografie di natura morta di oggetti di uso quotidiano, tra cui la giocosa giustapposizione di fiocchi di Natale con conchiglie e altri motivi di ispirazione marina. Oppure intricate sculture che ritraggono penne a sfera da ufficio intrecciate con fili. Queste sculture e fotografie di oggetti scartati suggeriscono gli scambi invisibili della vita quotidiana. Uno sguardo ironico e critico sulla cultura del consumo e sullo spreco.

4. Ivan Hunga Garcia strizza l’occhio alla Land Art

Sempre nel segno della sperimentazione, ricordiamo la moda come espressione creativa di Ivan Hunga Garcia. Il designer si sta facendo notare per la sua ricerca couture grazie al progetto Botanical Apparel, debuttato alla Lisboa Fashion Week (concorso Sangue Novo) nel marzo 2022. Il designer lavora sul concetto di incubazione di materiali tessili e Land Art che diventa abito, un omaggio al patrimonio ancestrale.

5. Lidija Kolovrat abbraccia la bellezza e l’inaspettato

Intersezioni tra arte, moda e cinema per Lidija Kolovrat con il brand KOLOVRAT, che definisce il suo linguaggio attraverso la decostruzione e la cultura urbana. Il marchio da sempre ha a cuore l’impatto delle sue creazioni, sia per l’ambiente – valorizzando la sostenibilità e l’upcycling – sia per i clienti. Kolovrat crede che l’abbigliamento rifletta il nostro mondo interiore, la nostra geometria sacra e il nostro linguaggio simbolico. «L’intuizione, la spiritualità e l’innovazione sono il modo per raggiungere l’unicità del pezzo che sarà co-creato per ognuno, in modo che ogni persona possa potenziarsi con il proprio vero sé e abbracciare il senso di bellezza e l’inaspettato», dichiara la stessa Lidija Kolovrat.

Arte e moda si incontrano nelle creazioni KOLOVRAT, firmate Lidija Kolovrat.
Arte e moda si incontrano nelle creazioni KOLOVRAT, ph. Manuel Scrima

Photographer: Manuel Scrima

Naomi: la prima mostra del V&A dedicata a una modella

Il Victoria & Albert Museum di Londra dimostra (ancora una volta) di essere uno delle poche realtà museali attente a raccontare la moda con un linguaggio e una narrativa contemporanea attraverso mostre pionieristiche. Non solo nella scelta di tematiche davvero originali, ma anche con le personali dedicate a figure non convenzionali come Anna Piaggi (con Fashion-ology), fino a quella dedicata a David Bowie, che è diventata una mostra permanente. Per la prima volta il V&A dedica a Naomi Campbell, una delle più iconiche modelle, una mostra (Naomi) che vuole celebrare i suoi 40 anni nella moda.

Naomi Campbell in passerella per Saint Laurent nel 1987
Naomi Campbell sfila per Yves Saint Laurent (Getty)

Tutto parte proprio dalle strade di Londra, circa 40 anni fa, quando Naomi fu notata da un’agente mentre camminava a Covent Garden all’età di 15 anni. Poco dopo Naomi entra nella storia come la prima modella nera a comparire sulla copertina di Vogue Paris a 18 anni. Insieme a Cindy Crawford, Helena Christensen, Claudia Schiffer, Carla Bruni è una delle 5 top model degli anni ’90 lanciate come fenomeno da Gianni Versace e che la stessa Donatella ha riunito a settembre 2017.

Il ritorno delle super modelle

Più che top: eterne. Cindy Crawford, Helena Christensen, Claudia Schiffer, Carla Bruni e Naomi Campbell insieme hanno cambiato il volto dell’industria, trasformando le indossatrici in dive ammirate, celebrate (e strapagate) al pari delle attrici di Hollywood. Anche se una generazione più giovane ha iniziato a calcare le passerelle, il fascino delle 5 top non arretra di un millimetro: lo dimostra la loro costante presenza nelle Fashion Week e una serie evento, Supermodels (Apple Tv) che ne ripercorre i passi.

Naomi, la mostra al V&A Museum

La retrospettiva su Naomi Campbell a Londra promette di essere una mostra unica nel suo genere. Vuole raccontate la straordinaria carriera della modella che ha collaborato con i più importanti designer e fotografi: saranno in mostra non solo i numerosi look indossati durante la sua lunga carriera, ma anche il suo impegno di attivista. Per tutti gli amanti della moda saranno circa 100 i look indossati dalla “pantera nera” in mostra, inclusi pezzi del suo guardaroba che spaziano dalle creazioni di Alexander McQueen, Azzedine Alaïa, Chanel, Dolce&Gabbana, Jean Paul Gaultier, John Galliano, Karl Lagerfeld, Virgil Abloh, Vivienne Westwood e molti altri, così come le immagini catturate da fotografi come Steven Meisel e Tim Walker.

Naomi Campbell negli anni 90 con un abito Versace
Naomi Campbell in Versace (Getty Images)

La mostra sarà curata da Sonnet Stanfill, Senior Curator moda al V&A, che ha dichiarato: «Naomi è riconosciuta in tutto il mondo come top model, attivista, filantropa e mente creativa, una delle personalità più prolifiche e influenti nella cultura contemporanea. Siamo lieti di lavorare con lei a questo progetto e di celebrare la sua carriera con il nostro pubblico».

I momenti cult della carriera di Naomi Campbell

Il fascino e l’influenza di Naomi Campbell vanno ben oltre la moda. Chiedete a chiunque, per strada, la prima modella che gli viene in mente: più di uno citerà proprio la Venere Nera. Questo perché nella sua carriera (lunghissima) ci ha regalato dei momenti da antologia. Perfino il debutto è stato dirompente: a 16 anni sale in passerella per Azzedine Alaïa (che considerava quasi un padre) e nel 1987 è apparsa per la prima volta sul Calendario Pirelli grazie a Terence Donovan. Nel 1993 calcò la passerella di Chanel scoprendo (per caso?) un seno, per poi mandare in visibilio il pubblico con il mini bikini logato. La sfilata più difficile, forse, è stata quella successiva alla morte di Gianni Versace, con una lacrima di commozione a Piazza di Spagna. Quando Kim Jones lasciò Louis Vuitton Naomi era lì, a tenergli la mano in passerella, insieme a Kate Moss.

Anche le più grandi, però, a volte inciampano: nel 1993, mentre camminava su platform vertiginosi viola acceso, Naomi Campbell cadde sulla passerella di Vivienne Westwood. Ma, senza fare un plissé, si rialzò e finì di sfilare con un aplomb tutto british. Gli inciampi metaforici, invece, li conosciamo tutti: nel 2007 tirò un cellulare contro la donna di servizio e per questo fu condannata a fare una settimana di lavori socialmente utili.

Ma qui si vede la statura della diva: anziché tenere un profilo basso sperando nell’oblio della stampa, si presentò ogni giorno con un nuovo outfit griffato, trasformando la sentenza in una straordinaria campagna PR. Gran finale: un abito di paillettes argento firmato Dolce&Gabbana. In molte, con scarso successo, hanno provato a citarla o imitarla: inclusa Kim Kardashian, criticata sui social per quei look “davvero troppo simili” a quelli della Venere Nera.

Naomi Campbell seleziona i look per la mostra al Victoria&Albert Museum a Londra
L’allestimento della mostra su Naomi Campbell (foto di Marco Bahler)

La mostra celebra l’impegno di Naomi contro il razzismo

La mostra su Naomi Campbell ospita non solo abiti e pezzi unici, che hanno fatto la storia della moda contemporanea, ma vuole anche mettere in luce il lavoro di Naomi come filantropa attraverso momenti come l’adesione alla Black Girls Coalition nel 1989 e la campagna per una maggiore diversità in passerella. È la prima volta che una modella è al centro di una mostra al V&A, ed elemento ancora più interessante è lo stesso coinvolgimento personale di Naomi Campbell al progetto. «Stiamo lavorando molto con lei per mettere in risalto la sua voce e la sua prospettiva – ha dichiarato la curatrice a Vogue Italia – questa non è una vera e propria retrospettiva, perché anche se si guarda indietro a 40 anni fa, lei è ancora così attiva, dalle campagne pubblicitarie alle passerelle».

La mostra Naomi aprirà al pubblico il 22 giugno 2024 e resterà aperta fino al 6 aprile 2025, un evento che saprà attirare l’attenzione di un pubblico davvero ampio, ben oltre i soli addetti ai lavori, una sfida importante per un museo dinamico come il V&A.

Sostenibilità e nuovi talenti: le sfide degli yatch Baglietto

Un cantiere sinonimo di storia e continua innovazione: questa è la filosofia degli yatch Baglietto. A partire dal suo fondatore, Pietro Baglietto, che decise di intraprendere la costruzione di piccoli scafi nel giardino della propria casa, nel lontano 1854. Da allora il marchio è sempre stato sinonimo di spirito creativo, genio tecnico, ingegnosità nella ricerca e sviluppo. Su questa linea continua la nuova Baglietto, nata alla fine del 2020 grazie alla fusione dei 2 brand nautici europei della famiglia Gavio (Baglietto e CCN) sotto la direzione del CEO, Diego Michele Deprati.


Un investimento di lungo termine importante da parte di Gavio, che conferma così la sua passione e immutato interesse per il settore nautico. Oggi Baglietto conta 90 dipendenti e 2 sedi produttive, a La Spezia e Carrara.

Uno degli yachts di Baglietto
Uno degli yacht di Baglietto, ph. Pietro Lucerni

Gli yatch Baglietto dalle sedi italiane alle rappresentanze estere

La sede di La Spezia si espande su una superficie di ca. 35.000mq. Un importante progetto costruttivo ha visto, negli anni, il rinnovamento dell’intero impianto produttivo con la costruzione di 3 nuovi capannoni per imbarcazioni fino a 65m e banchine attrezzate per ospitare navi fino a 70m. L’unità operativa di Carrara conta, invece, 2 aree di 5.000mq ciascuna con 8 capannoni totali, destinate alla costruzione delle imbarcazioni militari e di yacht fino a 50m.

Alle due sedi Italiane si affianca una filiale (Baglietto Americas), a Fort Lauderdale, in Florida, nata per presidiare uno dei mercati strategici dell’Azienda ed una di recente apertura commerciale in Australia (nella Gold Coast, a supporto delle aree di Australia e Nuova Zelanda) oltre che 2 nuove rappresentanze in Brasile e nella Repubblica Dominicana.

Baglietto, fedele al suo DNA, prosegue nello sviluppo della nuova gamma di yatch e imbarcazioni che ha l’obiettivo di confermare il marchio tra i brand all’avanguardia per stile, innovazione e tecnologia, nel rispetto della tradizione e dell’artigianalità.

Oltre a quattro linee, dalla più “tradizionale”, TLine in acciaio e alluminio, firmate Francesco Paszkowski Design (da più di vent’anni designer di riferimento del marchio del gabbiano) fino alle imbarcazioni veloci e performanti, si aggiunge la linea DOM, cruiser in alluminio di 41m disegnata dal designer Stefano Vafiadis. L‘ampia gamma offerta dal cantiere non limita, tuttavia, la scelta per gli amatori Baglietto che dedica una parte della sua produzione al su misura totalmente personalizzato.

L’impegno sostenibile di Baglietto: il sistema BZero

Bzero Working for an evolving future” è il nuovo progetto di Baglietto nell’ambito delle nuove energie sostenibili per il settore navale. Bzero, la prima B del sistema valoriale di Baglietto (che si aggiunge alle 8B: Bold, Boutique, Balance, Borderless, Brave, Background, Brilliant, Beauty), forse la più importante, segna infatti l’impegno forte e deciso del cantiere al raggiungimento delle zero emissioni.

Il progetto è un innovativo sistema che prevede l’implementazione di un modulo di produzione di idrogeno che, a partire dall’acqua di mare filtrata e deionizzata, e attraverso elettrolizzatori, produce idrogeno. Tali elettrolizzatori vengono alimentati da fonti rinnovabili al fine di produrre idrogeno di tipo “green”.
Dopo lunghe ricerche questo sistema viene realizzato su un prototipo che poi sarà installato e ottimizzato, sulle imbarcazioni Baglietto superiori ai 50m. Lo stesso prototipo sarà utilizzato per sviluppare le procedure di funzionamento, per ottimizzare gli aspetti tecnici e ottenere le opportune certificazioni navali necessarie per poter usare il sistema a bordo degli yacht, effettuando la ricarica di idrogeno nei serbatoi in autonomia o da fonte esterna.

Presentazione di BZero, ph. Pietro Lucerni
Presentazione di BZero, ph. Pietro Lucerni

Il progetto nelle parole di Diego Michele Deprati

La power station si inserisce, inoltre, in un sistema virtuoso andando a contribuire in parte anche al ciclo di produzione di energia del cantiere. «Il progetto Bzero – commenta Diego Michele Deprati, Amministratore Delegato Baglietto – conferma la visione pionieristica di Baglietto e il suo forte coinvolgimento per una nautica sempre più sostenibile e green e per essere parte attiva e proattiva dell’inevitabile processo di trasformazione energetica. La Power Station BZero è la nostra promessa mantenuta.

Da quasi 170 anni Baglietto è sinonimo di avanguardia, di innovazione tecnologica e progresso, e per questo ci siamo impegnati ad andare oltre e dare il nostro contributo nei confronti del nostro mare e dell’ambiente e di un tema, quello di una nautica che sia finalmente sostenibile e veramente green, per noi oggi imprescindibile. Nel 1874 Jules Verne scrisse: “L’acqua sarà un giorno un combustibile. L’idrogeno e l’ossigeno di cui è costituita, utilizzati isolatamente, offriranno una sorgente di calore e di luce inesauribile”. Oggi è il momento.

In Baglietto – prosegue Deprati – abbiamo istituito un dipartimento espressamente dedicato allo studio delle nuove tecnologie ecosostenibili, “Baglietto Energy” per studiare l’implementazione di fonti di energia alternative da applicare alla nautica. Il Progetto BZERO è un primo importante punto di partenza, ma anche la porta verso la grande sfida del futuro, una sfida di conoscenza, fatta di grande senso di responsabilità, umiltà, ambizione e determinazione, e rispetto per il mare. Elementi di cui ogni Baglietto è fatto».

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

I partner del progetto e il tema della sostenibilità

Insieme a Baglietto, capofila del progetto, partecipano 6 partner di rilevanza internazionale, tutte con team di progettazione e sviluppo basati in Italia: ARCO TECHNOLOGIES, BLUENERGY REVOLUTION, ENAPTER, H2BOAT e SIEMENS ENERGY oltre a RINA come ente certificatore in tutte le fasi di progetto.

Baglietto è da sempre attenta alle tematiche “green” attraverso lo studio e la predisposizione standard, nelle sue imbarcazioni, di motorizzazioni ibride con sistemi di propulsione ibrida parallela (che combina motori diesel tradizionali e motori elettrici consentendo diverse configurazioni e modalità di propulsione a seconda delle esigenze operative e di crociera).

Le diverse configurazioni offerte permettono, quindi, la scelta di una modalità di navigazione più efficiente per ridurre i consumi e l’impatto ambientale, oltre che massimizzare il comfort a bordo grazie alla riduzione del rumore e delle vibrazioni sia all’ancora, sia in crociera.

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

Officina Baglietto: la scuola per formare le nuove generazioni

In vista del 170esimo anniversario, che verrà celebrato nel 2024, Baglietto si prepara a lasciare un segno nel mondo del design, lanciando “Officina Baglietto“: un talent garden che mira a identificare, formare e specializzare giovani generazioni di creativi rispetto al mercato del lusso. Il progetto prevede 4 percorsi formativi dedicati alla moda, al gioiello, all’arredo, e ovviamente alla nautica.

Quattro sentieri in mondi tangenti e complementari alla nautica, che vedranno la collaborazione con illustri professionisti di settore. L’area moda nasce dalla collaborazione con Tiziana Fausti e 10 Corso Como, il settore product design è affidato a Nicholas Bewick, Architecture Art Director presso il celebre studio AMDL CIRCLE, il gioiello a Rosa Maria Villani – coordinatore e responsabile, della scuola dell’Arte e della Medaglia di Poligrafico e Zecca dello Stato. L’area nautica invece sarà diretta da Francesco Paszkowski, da oltre trent’anni designer di riferimento dei cantieri Baglietto.

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

Il progetto Officina Baglietto curato da YACademy

Il progetto, nella sua interezza, è curato da YACademy, accademia di design con base a Bologna, che si è qualificata fra i più prestigiosi istituti post-graduate internazionali. Le candidature al progetto si chiuderanno entro il mese di ottobre, e l’iniziativa inizierà da dicembre 2023; prima con un periodo di formazione dei giovani selezionati a La Spezia, per poi approdare presso le varie realtà partner (fra Milano, Roma e Firenze), per un percorso intensivo di progettazione orientato a declinare il marchio Baglietto nel mondo moda, design, arredo e nautica.

I migliori creativi avranno l’opportunità di essere valutati per dare seguito alle proprie idee attraverso percorsi di inserimento con il cantiere, ma anche collaborando con altri brand del lusso. Una scommessa sulle nuove generazioni per scrivere un nuovo capitolo dello storico cantiere navale.

Così conclude Tiziana Fausti, Presidente 10 Corso Como, referente dell’area fashion design di Officina Baglietto: «Ringrazio Baglietto Yachting e YACademy per aver invitato 10 Corso Como a collaborare ad un progetto capace di unire la moda con la nautica, attraverso un percorso focalizzato su competenze in grado di mostrare la nascita di una collezione moda, dallo stile al design, dall’immagine alla produzione, dal business al retail, per una reciproca condivisione di saperi».

Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni
Cantieri Baglietto, La Spezia, ph. Pietro Lucerni

Whatever It Takes: a Venezia 80 il documentario sulla Scuderia AlphaTauri

In occasione della 80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato in anteprima Whatever it Takes, il documentario sulla Scuderia AlphaTauri che ripercorre la storia della squadra faentina fin dalla sua prima apparizione in Formula 1 nel 2006. Nella cornice di Palazzina Grassi, con tanto di auto esposta sul Canal Grande, Federica Masolin, la popolare conduttrice della Formula 1 di Sky Italia, ha presentato il documentario insieme al Team Principal Franz Tost, figura trainante che ha messo insieme il team, il Direttore Tecnico Jody Egginton, il CEO Peter Bayer oltre agli altri membri protagonisti nel film tra cui il pilota Yuki Tsunoda e il regista Luca Curto.

Il documentario racconta i segreti del mondo delle corse

Oltre a ripercorrere i suoi 18 anni di attività, il lungometraggio si è posto come obiettivo quello di portare lo spettatore dietro le quinte della factory (che ha sede in Italia e nel Regno Unito), offrendo una rara visione di ciò che realmente occorre per poter competere nella categoria più prestigiosa dell’automobilismo sportivo.

L’arrivo degli ospiti alla premiere di Whatever it Takes

Il documentario – prodotto in collaborazione con Digital Lighthouse, Media Partner del Team, e diretto da Luca Curto – si sviluppa attraverso una serie di interviste ai piloti e a tutte le figure chiave della squadra che hanno creduto nel progetto e sono riusciti a trasformarlo in una solida realtà aziendale. E proprio tra i protagonisti del documentario, voce narrante che tiene le fila, è lo stesso Franz Tost, ex pilota austriaco e Team Leader che ha messo insieme la Scuderia puntando su molti giovani talenti, che a fine anno lascerà la squadra dopo 18 anni di carriera costellata di successi.

Una scena del documentario

Il pilota Yuki Tsunoda all’anteprima di Whatever it Takes


All’anteprima, altra figura rilevante è il giovane pilota Yuki Tsunoda che ha commentato dopo la proiezione: «E’ davvero impressionante vedere come lavora il team e capire tutto il lavoro che sta dietro le quinte, l’impressionante quantità di persone, tempo e tecnologie per le macchine… La mia passione per la corsa inizia prestissimo, grazie a papà che è meccanico; da sempre sognavo di diventare pilota di Formula1 quando in Giappone andavo a vedere le corse. Vedere il documentario è stato emozionante e soprattutto rievocare alcuni momenti salienti del recente passato, in particolare il 2021, che è stato il mio primo anno in Formula 1».

Yuki Tsunoda ospite della Scuderia AlphaTauri

E proprio il rapporto speciale che lega il pilota giapponese a Franz Tost si evince bene dal film, anche in momenti non facili e complessi. Così ricorda lo stesso Tsunoda: «Senza Franz Tost non sarei qui, a lui devo moltissimo sia umanamente, sia come pilota. Mi ha dato moltissimo tempo e fiducia, anche in momenti molto difficili, continuando a seguirmi e consigliandomi per raggiungere i miei obiettivi, ma senza pressione, facendomi trovare il ritmo giusto e la sintonia con la macchina. Così sono cresciuto nel tempo performando sempre meglio. Spero di renderlo orgoglioso con i miei risultati».

Whatever it Takes comunica bene tutta la dedizione, la passione, le gioie e i sacrifici di questo sport con i suoi regolamenti che cambiano e che determinano nuove sfide, la sofferenza delle sconfitte e l’impagabile esaltazione delle vittorie. Un film molto ben documentato (ci sono voluti quasi due anni di lavoro) che ha un ritmo incalzante, riuscendo ad appassionare anche chi non è esperto o appassionato di Formula 1.

La storia della scuderia AlphaTauri, una fucina di giovani talenti

Il documentario mostra la storia che parte dalle origini come Scuderia Toro Rosso, dal 2006 al 2019, erede della Minardi (di base a Faenza) dopo l’acquisto da parte dell’azienda austriaca Red Bull. Un percorso lungo, durante il quale la scuderia ha lanciato tanti giovani talenti in Formula 1: tra questi, anche molte stelle della F1 di oggi, tra cui Sebastian Vettel, Max Verstappen, Daniel Ricciardo o Carlos Sainz. Nella storia di AlphaTauri hanno collaborato quattro diversi motoristi – Cosworth, Ferrari, Renault e Honda – e ottenuto due vittorie (entrambe a Monza, nel 2008 come Toro Rosso e nel 2020 come AlphaTauri), un secondo posto (Brasile 2019) e due terzi posti (Germania 2019 e Azerbaijan 2021).

Franz Tost commenta il documentario Whatever it Takes

Una scelta che ha pagato e che ha aperto la strada a due campioni del mondo come Sebastian Vettel e Max Verstappen, oltre che aver contribuito a portare sulla griglia di partenza del 2023 un quarto dei suoi ex piloti. In questa storia avvincente è stata fondamentale la determinazione di Franz Tost, Team Principal e padre spirituale della squadra, con i suoi ingegneri, i suoi giovani piloti e tutti i membri di uno staff ingaggiato nel lavoro di gruppo diviso tra la sede italiana e quella inglese.

Una scena del film Whatever it takes

Nell’idea originaria di Dietrich Mateschitz, questa scuderia secondaria doveva servire a formare i professionisti che poi sarebbero passati a Red Bull. Così con la guida di Franz Tost e un team di giovani promesse in diversi campi, dall’ingegneria alla modellistica, si sono formati futuri campioni come Sebastian Vettel, Daniel Ricciardo, Pierre Gassly, Carlos Sainz e ora Yuki Tsunoda.

Ha concluso Franz Tost: «È un film affascinante che offre un dettagliato sguardo dietro le quinte, esattamente quello che i fan della Formula 1 desiderano vedere, e il documentario lo fa in maniera impeccabile. Non si tratta solo dell’intensa attività della domenica di gara, ma anche di tutto il laborioso processo preparatorio, che spazia dall’aspetto tecnico alla gestione del marketing e delle relazioni con i media. Tutti questi elementi devono essere perfettamente coordinati per garantire un ottimo weekend di gara».

Arte, Design, Wine: la filosofia della Roseto Experience

Da un lifestyle cittadino alla vacanza, Roseto offre una serie di soluzioni abitative in grado di soddisfare le richieste più diverse grazie ai brand Roseto Prestige, Roseto Home e Roseto Experience.
Il primo, Roseto Prestige, propone immobili di prestigio nelle zone più esclusive di Milano, valorizzati grazie a un livello di servizi elevato e il coinvolgimento di professionisti nella progettazione architettonica. Roseto Home è il marchio di Roseto specializzato in affitti di qualità nell’hinterland milanese, che completa l’offerta immobiliare della società. A questi si è aggiunto di recente una nuova linea di business, Roseto Experience, un concept dedicato alle vacanze in località italiane esclusive, come Madonna di Campiglio, dove diventano protagonisti il design e la ricercatezza dell’ interior, oltre alla qualità dei numerosi servizi personalizzati e tailor made in base alle singole esigenze. Di questo ambizioso progetto e delle prossime iniziative nell’arte, ne abbiamo parlato con Rocco Alessandro Roggia, Amministratore Delegato di Roseto

Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio

«Roseto offre soluzioni di estrema ricercatezza perché curate nei minimi particolari per un soggiorno di relax»

Come nasce Roseto Experience?

Dopo esserci specializzati nel settore del lusso (Roseto Prestige) abbiamo deciso di allargarci con il ramo Experience, un tipo di servizio diverso, legato all’affitto breve di immobili nelle città o zone tipiche di lusso italiano. Siamo partiti da Madonna di Campiglio, grande centro sciistico, realtà che ha grande successo durante l’inverno, ma che funziona anche d’estate. Il Trentino è forse la regione italiana capace di offrire più soluzioni differenti tra laghi, campagne e montagne spettacolari, per ottenere il massimo del benessere rigenerante nel fisico e nella mente dai piaceri della natura.
Abbiamo acquistato due appartamenti e li abbiamo completamente costruiti da zero. I due nuovi immobili si trovano all’interno della residenza Campiglio WOOD, nel cuore della rinomata località di montagna incastonata nelle Dolomiti di Brenta. In questo scenario di rara bellezza naturalistica e paesaggistica, Roseto offre soluzioni di estrema ricercatezza perché curate nei minimi particolari per un soggiorno di relax, grazie anche ai numerosi servizi come un’ampia area wellness ad uso esclusivo degli ospiti e uno staff Hospitality per esaudire tutti i desideri e le richieste di coloro che trascorreranno le vacanze negli appartamenti Roseto Experience. Al centro di questa offerta è la grande attenzione al dettagli che possono sorprendere il cliente creando un’atmosfera speciale.
Offriamo servizi dedicati e di concierge che spaziano dalle attività previste e disponibili dei vari luoghi alla ristorazione, fino alle modalità di trasporto per arrivare e spostarsi in zona nel modo migliore.

Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio
Roseto Experience Madonna di Campiglio

«Stiamo lavorando con l’idea di rendere l’arte fruibile e aperta al pubblico tramite le mostre»

Come nasce il legame con l’arte contemporanea?

Nasce inizialmente come passione personale e familiare, già da anni seguiamo il mercato dell’arte contemporanea e ogni tanto acquistiamo alcune opere. Proprio grazie al progetto Roseto Experience abbiamo sentito l’esigenza di arredare le case e decorarle con dei quadri per riscaldare l’ambiente e renderlo unico. Da qui i nostri consulenti ci hanno incoraggiato a investire nell’arte per essere riconosciuti non solo per il nostro settore, che è quello dell’immobiliare, ma anche per promuovere un concetto di lifestyle caratterizzato oggi dall’arte cui si è legato bene anche il mondo del vino.
Stiamo lavorando con l’idea di rendere l’arte fruibile e aperta al pubblico tramite le mostre. Quindi abbiamo iniziato a comprare in modo più sistematico opere d’arte sia per dare identità ai nostri immobili, sia per alimentare questa visione organizzando mostre ed eventi. Da qui l’idea anche di utilizzare e a aprire i nostri spazi all’arte tramite progetti site specific.

Come scegliete gli artisti su sui lavorate per i diversi progetti?

Per la selezione delle opere d’arte lavoriamo insieme a un team di consulenti, che sono persone del settore molto competenti. Con loro abbiamo deciso di puntare su artisti emergenti e internazionali, che ancora non sono nomi troppo conosciuti. L’idea è di contribuire alla loro crescita sul mercato anche tramite le nostre attività e ci aspettiamo tra qualche anno abbiano sempre più successo e riconoscimento. Per noi è importante lavorare in modo organico facendo crescere gli artisti e il valore delle opere. Al momento ci concentriamo sull’arte contemporanea e Pop Art con focus su nomi emergenti. Siamo sempre attenti nell’osservare anche le tendenze nel design e nella moda e con il tempo arriveremo anche a espanderci su queste realtà per una visione sempre più lifestyle.

Opere di Lorenzo Marini
Opere di Lorenzo Marini

«A ottobre, in occasione della Milano Wine Week, vogliamo organizzare una nuova mostra d’arte con diversi artisti e curatori»

E quando sarà la prossima mostra?

A ottobre, in occasione della Milano Wine Week, vogliamo organizzare una nuova mostra d’arte con diversi artisti e curatori occupando i nostri spazi di Corso Garibaldi 95 (Roseto Design Square), dove abbiamo già organizzato la mostra di Lorenzo Marini. In quella settimana organizzeremo anche
diversi eventi nella nostra winery, invitando i nostri clienti per visitare la nostra mostra, ovviamente aperta anche al pubblico. Vogliamo far conoscere questi spazi che rappresentano un gioiello nascosto di Milano, un luogo importante a livello storico, dove sono ancora visibili i resti dell’antico chiostro che oggi diventa un percorso esperenziale.

Oltre all’arte, anche il vino…come si integra nel progetto?

La creazione di una vera e propria winery nasce come idea di servizio aggiuntivo per i nostri clienti, sempre nell’ottica di offrire una consulenza in linea con uno stile di vita dove il vino e l’arte sono tutti elementi di un bien vivre. Vogliamo essere per i nostri clienti dei veri punti di riferimento su diversi aspetti. La nostra cantina seleziona etichette prestigiose provenienti dalle migliori cantine italiane ed internazionali con l’obiettivo di proporre nuove cantine e realtà di nicchia.
Siamo partiti con aziende più consolidate per poi trovare e suggerire ai nostri clienti etichette nuove, che hanno una storia da raccontare. Spesso il mondo dell’immobiliare è ancora visto in modo molto statico e tradizionale. Per questo noi lavoriamo con un concetto di servizi e di esperienze, pur restando concentrati sul mondo dell’immobiliare con standard di case molti alti a livello progettuale (divisione ambienti, bagno in ogni stanza, domotica, illuminazione, sistemi di riscaldamento, tanto per citare alcuni aspetti) fino all’attenzione alla sostenibilità.

Rocco Alessandro Roggia, Amministratore Delegato di Roseto. 
Rocco Alessandro Roggia, Amministratore Delegato di Roseto

Storie di eccellenza pugliese: la cantina Vetrère

Una storia che affonda le proprie radici nel 1600, ai tempi del Barocco salentino di cui Taranto conserva testimonianze architettoniche di grande valore. Già un’antica mappa del ‘700 attesta la presenza di una affermata realtà agricola e vinicola nel terreno sul quale sorge oggi l’azienda agricola Vetrère. Per arrivare ai primi del Novecento, quando nel 1903, Serafina Troilo sposa Michele Ammazzalorsa, che lascia i suoi possedimenti al nipote Enrico Bruni, padre delle attuali proprietarie. Oggi l’azienda è guidata da Annamaria e Francesca e i figli Fanny, Enrica, Martina e Federico. Arrivata alla 5° generazione, la
filosofia di Vetrère guarda sempre più avanti, promuovendo strumenti e metodi all’avanguardia che strizzano l’occhio alla sostenibilità: un’attenzione all’innovazione che permette di conservare intatte le proprietà organolettiche dei prodotti, preservando l’identità profonda di questa azienda storica. Un aspetto importante per la cantina Vetrère è proprio la sostenibilità ambientale: l’azienda lavora in regime biologico e ha adottato i pannelli solari per sostenere il fabbisogno energetico.

Francesca Bruni, al timone dell’azienda agricola Vetrère

Come riassume la stessa Francesca Bruni: «Vetrère è un’azienda agricola che va ben oltre la produzione di vini, ma è un autentico presidio e realtà ambasciatrice del territorio. La sua filosofia si estende ben oltre i confini delle vigne, abbracciando l’ambiente, la qualità e la cultura. Questo spirito di eccellenza ha radici profonde, risalenti al lontano 1600, un’epoca in cui nel Salento fioriva lo stile barocco, lasciando dietro di sé testimonianze architettoniche di inestimabile valore.
La storia di Vetrère ha inizio grazie alla famiglia Troilo, come dimostra un’antica mappa del XVIII secolo. Questo terreno prezioso passò per matrimonio nelle mani di un uomo di rara sensibilità, Michele Ammazzalorsa, un autentico mecenate e collezionista d’arte che ha racchiuso nel suo Storico Palazzo a Bisceglie il meglio dell’arte secondo il gusto dell’epoca. Fu da lui che la nostra famiglia Bruni ereditò la cantina Vetrère e il gusto per il design, il quale si manifesta nella sofisticatezza e nell’originalità delle nostre etichette».

L'azienda della cantina Vetrère
L’azienda della cantina Vetrère

Lo storico Palazzo Ammazzalorsa nel cuore di Bisceglie

Un luogo storico Palazzo Ammazzalorsa (oggi diventato tutelato dal FAI – Fondo per l’ambiente italiano) si erge imponente sulle mura aragonesi del XVII secolo da cui domina il porto antico città di Bisceglie, un centro urbano a nord di Bari ancora oggi ben custodito.
Il palazzo è costituito da due livelli, divisi da una cornice marcapiano: un primo livello della facciata è caratterizzato da un bugnato rustico mentre una pietra tufacea caratterizza la facciata del piano soprastante. L’accesso è consentito grazie ad un portale in pietra chiuso da un portone in legno intagliato sovrastato da un balcone con balaustra in pietra. Palazzo Ammazzalorsa fu riportato alla piena attività da Enrico Bruni. Dal 2002 Annamaria e Francesca hanno ridato vita al nome con l’intento che Vetrère possa rappresentare a pieno la passione per il vino e per la terra. Un legame con il territorio
testimoniato anche attraverso la collaborazione con ceramisti di spicco del panorama Grottagliese che realizzano fantasiosi porta bottiglie di ceramica decorati con i colori della Puglia.

Vino della cantina Vetrère
Vino della Cantina Vetrère

La cantina Vetrère, il territorio e i vini speciali

La Cantina Vetrère si colloca tra il comune di Montemesola e Montelasi, terreno multiforme caratterizzato dalle non lontane e tipiche Murge tarantine, un complesso collinare nella provincia di Taranto in Puglia che digradano fino all’arco ionico tarantino, all’area della valle d’Itria e alla soglia messapica. Questa confluenza di territorio e clima è marcata nella sua particolare posizione, dalle influenze di due mari: lo Ionio e l’Adriatico. Ed è proprio questa complessa conformazione e composizione dei terreni che conferisci alla produzione vinicola di Vetrère una forte identità.
Le uve coltivate secondo la forma di allevamento a spalliera e cordone speronato sono le autoctone: Negroamaro, Primitivo e Malvasia per i rossi; Minutolo e l’internazionale Chardonnay per i bianchi. Il Minutolo è una varietà aromatica, coltivata in Puglia sin dal 1200, che dà al vino un carattere molto particolare. I vini Vetrère affondano le radici in quel Salento fatto di profumi, colori e di tradizione
antica. Una produzione che valorizza le potenzialità enologiche di questo territorio con grande determinazione e passione. I vini prodotti da varietà autoctone rappresentano l’incontro armonioso tra tradizione e innovazione. Tra questi, spicca il  “Crè” Riserva 2015 da uve Minutolo, un capolavoro enologico prodotto in soli 600 esemplari, in cui ogni etichetta è realizzata a mano. Un altro gioiello di alto design è il  “Minù” macerato di uve  di Minutolo, un vino ideato  dalla nuova generazione della famiglia. L’etichetta della selezione di Chardonnay “UMI” rappresenta invece un omaggio allo stile giapponese, evidenziando il costante desiderio di Vetrère di coniugare tradizione e raffinatezza artistica.

Minù, il vino della Cantina Vetrère
Minù, il vino della Cantina Vetrère

Moda e Territorio: “Méditerranée – Taranto e la Dolce vita”

Troppo spesso si associa a Taranto alla vicenda della Ilva con le sue ripercussioni sul territorio.
Proprio per far scoprire la città, torna la seconda edizione di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita, un format che vuole contribuire allo sviluppo economico e sociale della città, declinando il paradigma “Bellezza Sogno Passione Qualità”. Organizzato da Méditerranée, il format nasce da un’idea di Mario Rigo, stimato senior executive fashion advisor, e del famoso hair stilist Angelo Labriola, due tarantini che, dopo essersi affermati a livello nazionale, continuano il percorso iniziato l’anno scorso per realizzare il loro sogno: contribuire alla rinascita della città. Commenta Mario Rigo: «Vogliamo recuperare quel momento in cui Taranto nel passato era conosciuta per un senso dell’accoglienza e bellezza del territorio che oggi è mancata, ma che era innata anche nei locali o nel food, dove ad esempio lo storico mercato del pesce era un luogo conviviale e scenografico dove assaporare il pesce fresco in un contesto speciale. Con questa iniziativa vogliamo recuperare le migliori tradizioni artigianali e le eccellenze del territorio legate alla città per ridare un senso di dolce vita a Taranto che con la vicenda dell’Ilva ha perduto tanta bellezza». Cultura e territorio, creatività e stile italiano, sono questi i pilastri del format Méditerranée, nato dalla collaborazione tra i due co-founder che vede protagonista tutto ciò che attira Bellezza nel segno della Qualità. Fine ultimo è diffondere l’immagine di una Puglia più bella, in Italia e all’estero, attraverso eventi che ne esaltano la tradizione, la storia, la valorizzazione dei luoghi, l’arte artigiana, la creatività, la moda e lo stile inconfondibile.

Méditerranée - Taranto e la Dolce vita
L’rchestra ICO Magna Grecia durante Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

Le novità della seconda edizione di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

Così l’anno scorso la prima edizione di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita aveva trasformato il centro storico di Taranto in un laboratorio di soluzioni per rendere più vivibile la parte antica della città, anche organizzando in piazza Castello un evento fashion con la sfilata di abiti haute couture dello stilista Gianluca Saitto. Per questa edizione sono diverse le novità, come ci racconta Angelo Labriola: «Abbiamo aggiunto alla sfilata di Gianluca Saitto anche quella di Rossorame e il brand lusso haircare Shu Uemura: questo è stato un passo molto importante. Vogliamo inoltre portare avanti la creazione di una linea di prodotti firmati Méditerranée e stiamo lavorando a un profumo. Inoltre vista la presenza nel territorio di diversi artigiani e manifatture vogliamo offrire agli stilisti questo saper fare con l’obiettivo di creare collaborazioni moda e artigianalità locale.»
«Quest’anno l’evento conclusivo della seconda edizione sarà venerdì 15 dicembre presso il Circolo Ufficiali della Marina Militare, Méditerranée White Christmas, una cena di gala che darà voce a tutti i partner che ci hanno dato supporto e a tutte le persone e imprenditori che vogliono fare qualcosa per il territorio che possa avere una ricaduta anche sociale. Una serata speciale che esalterà le eccellenze del nostro territorio: donne, uomini e aziende impegnati della renaissance di Taranto, il rinascimento di una città in grado di proiettarsi sui palcoscenici nazionali e internazionali, forte di uno straordinario patrimonio storico, culturale e artistico, raccontato al mondo con una nuova narrazione in grado di valorizzare il suo cambiamento».

Il finale di Gianluca Saitto
Il finale della sfilata di Gianluca Saitto

La sfilata di Gianluca Saitto, Rossomare e Shu Uemura al Castello Aragonese

Gli eventi di questa seconda edizione hanno coinvolto l’iconico Castello Aragonese, scrigno di storia secolare e protagonista del rilancio turistico della città, che ha ospitato il fashion show Méditerranée e la grande Bellezza, una serata interamente dedicata alla moda nella sua massima espressione, impreziosita dalle note dell’Orchestra ICO Magna Grecia. Innamoratosi di Taranto, torna come special guest Gianluca Saitto, che presenta in anteprima la sua nuova collezione Primavera|Estate 2024 ispirata alla leggerezza, al movimento e al senso del colore del celebre dipinto La Primavera di Sandro Botticelli e in particolare alla figura di Zefiro. La nuova collezione, che sarà poi presenta a Milano Moda Donna a settembre, gioca da un lato sulle stampe floreali ripensate in modo astratto, dall’altro sulla forme più fluide degli abiti e dei completi nei colori del rosa intenso, giallo acido, glicine, fino ad arrivare agli abiti couture ricamati con cascate di petali e paillettes. A fare da contrappunto al mondo floreale sono i dettagli e giochi di geometrie nelle giacche, signature del designer, così come ai tessuti preziosi e fluttuanti si alternano quelli più strutturati e tecnici. Nasce un mix tra un daywear sofisticato e creazioni haute couture in cui le tradizioni del ricamo si valorizzano in un’ottica contemporanea.

I look prêt-à-porter, e l’alta moda di Saitto sono stati arricchiti con i gioielli dei brand più importanti (Crivelli, Vhernier, Pomellato) messi a disposizione da Angela Ripa Gioielli. Commentano Donato e Olivia Ripa, owners di Angela Ripa Gioielli: Abbiamo partecipato con grande orgoglio a questo evento credendo fermamente nell’enorme bellezza e potenzialità del territorio Tarantino. Con tutta la nostra passione abbiamo impreziosito una serata già magica e confidiamo di esserci riusciti regalando emozioni con i nostri gioielli che hanno valorizzato ulteriormente le creazioni moda».
Quest’anno. sulla passerella di Méditerranée e la grande Bellezza debuttano gli abiti di Rossorame, il brand indipendente di alta sartoria femminile, ideato e creato interamente in Italia: vitalità, creatività e sostenibilità di questo prestigioso marchio vengono soddisfatte attraverso un’incessante ricerca tecnica, stilistica e organizzativa. In questa edizione sposa Méditerranée e la grande Bellezza anche Shu Uemura, il brand che ha portato una rivoluzione nel mondo del hair-styling, creando nuovi standard di bellezza. A Taranto, grazie alla creatività di Angelo Labriola, Shu Uemura, ha mostrato le ultime tendenze del hair-styling, che celebrano la bellezza della donna in tutte le sue sfaccettature.

I look della sfilata di Gianluca Saitto
I look della sfilata di Gianluca Saitto
I look della sfilata di Gianluca Saitto
I look della sfilata di Gianluca Saitto

I supporter del progetto Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

Un’iniziativa ambiziosa che si è potuta sviluppare grazie a una cordata di imprenditori e istituzioni locali: main partner di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita 2023 sono Baux Cucine, Renexia e Banca Popolare Pugliese, fino ai diversi partner della manifestazione come la Camera di Commercio di Taranto, Jonian Dolphin Conservation, A.I.G.I. (Associazione Indotto AdI e General Industries) Taranto, Slow Food, Panacea, Vetrère, Orchestra ICO Magna Grecia, Andriani, Angela Ripa Gioielli e Boat Sharing.
Commenta Mariella Franchini, Responsabile Commerciale Baux Cucine: «Dopo più di trent’anni di esperienza nel settore dell’arredamento, nel 2014 parte il progetto BAUX, che si distingue per la ricerca e la selezione di materiali innovativi con una forte attenzione alla sostenibilità. Baux cucine ha scelto di sostenere Mediterranée e di valorizzare le eccellenze del territorio proprio perchè c’è un forte nesso tra moda e i valori fondanti di Baux. La sartorialità è un elemento specifico e distintivo di Baux: così come un abito viene pensato e scelto guardando all’estetica, ma anche al comfort di chi lo indosserà, anche una cucina Baux viene ideata, progettata e costruita seguendo i gusti, ma sopratuto lo stile di vita, le abitudini e le necessità di chi ne usufruirà. Allo stesso modo Baux pone particolare attenzione alla scelta dei materiali: per le cucine vengono impiegati solo materiali riciclabili ed ecosostenibili di altissima qualità, lavorando con processi e tecnologie all’avanguardia al fine di conferire il maggior comfort possibile a chi le vivrà ogni giorno. Il nostro obiettivo, sia con il nostro lavoro, sia con il supporto a Mediterranée, è raccontare le eccellenze di questo territorio e far vivere un’esperienza di benessere in casa, e facendo sentire chi ne usufruisce circondato dai comfort e inondato di raffinatezza e bellezza».

Angelo Labriola x Shu Uemura
La sfilata di Angelo Labriola x Shu Uemura

Raccconta Francesca Bruni di Vetrere: «Ho scelto di vivere qui nonostante tanti anni trascorsi a Bologna perchè innamorata della mia terra ed è per questo che ho colto con entusiasmo le idee di Mario e Angelo. Per troppo tempo Taranto è stata associata alla vicenda dell’ILVA. Non è facile perchè il sentimento dominante tra la gente è la sfiducia e l’ accettazione passiva di ciò che viene deciso dagli altri. E’ disarmante vedere le persone incredule davanti agli eventi che sono stati realizzati e sentire: “non sembra di essere a Taranto”. Ma come ogni cosa ci vuole un pò di incoscienza e grande impegno. Credo che sia il momento giusto per dare coraggio e, grazie alla nostra  passione,  trasformare il Tarantino in un laboratorio di opportunità e crescita».

Look di Rossorame
Un look della sfilata di Rossorame
Mariella Mirani
La giornalista Mariella Mirani

Nell’immagine d’apertura, un immagine di Méditerranée – Taranto e la Dolce vita

San Ginesio celebra la Festa della Pace

Un evento dedicato alla memoria e alla Pace come valore universale: torna a San Ginesio la 14esima edizione della Festa della Pace, un appuntamento estivo dedicato alla pace e alla cultura nipponica. Per questa edizione il programma prevede due momenti: il primo dalle 17.30 vede l’intervento delle maestre giapponesi con la sensei Eri per lo shodo (arte calligrafica) e Sachiko maestra di ikebana (arte del fiore reciso) e vestizione di kimono, fino alla presentazione del libro di Pedagogia nell’Arte Marziale con l’autore Fabrizio Leone. Poi la performance di Shorinji Kempo arte marziale a cura di Fabrizio Leone, pluricampione italiano, Davide De Rubeis e Ginevra Montanari.
Alla sera dalle 21.30 ci sarà la consegna delle 1000 Gru della pace, realizzate dai volontari di San Ginesio al sindaco Giuliano Ciabocco per la spedizione al parco della pace di Hiroshima. E tante performance di varie arti, con un concerto finale di musica spirituale armonica a 432 HZ con il polistrumentista Oscar Bonelli. Conclude Serenella Giorgetti, curatrice del progetto e founder di WABISABICULTURE: «Siamo arrivati alla 14esima edizione dove vogliamo commemorare in modo positivo un evento catastrofico e mostrare come il nostro territorio possa offrire esperienze ed energie inaspettate».

Consegna delle mille gru della festa della pace
Consegna delle mille gru

L’omaggio a Sedako Sasaki, la bambina diventata simbolo di pace

La Festa della Pace vuole lanciare un messaggio di positività attraverso la sensibilità giapponese di una bambina Sadako Sasaki diventata simbolo di pace nel mondo,  dove il dramma si trasforma in speranza, dove la fantasia e la creatività uniti all’intenzione possono essere il motore dei sogni. 
Sadako  fu tra le bimbe sopravvissute al giorno della esplosione della bomba atomica però si ammalò di una forma grave di leucemia. Quando seppe di essere ammalata, una sua amica cercò di incoraggiarla e le raccontò un’antica leggenda secondo cui, chi fosse riuscito a creare mille gru – uccello simbolo di lunga vita – con la tecnica dell’origami avrebbe potuto esprimere un desiderio.
La bambina è diventata un simbolo di speranza e pace nel mondo e l’evento vuole non solo rendere omaggio e ricordare la vicenda di Sadako, ma offrire nuovi spunti tramite l’organizzazione di workshop, laboratori creativi di origami, performance di ikebana e musica dal vivo.

Giardino zen
Giardino zen

Un ponte tra il Giappone e le marche: WABISABICULTURE, un luogo di pace dove ricaricarsi a San Ginesio

Un doppio ponte lega le Marche, e in particolare San Ginesio in provincia di Macerata,  al Giappone attraverso il centro culturale WABISABICULTURE, che ogni anno organizza la Festa della pace. 1000 gru per Hiroshima, evento gratuito e aperto al pubblico in collaborazione con il Comune di San Ginesio, che ancora oggi risente pesantemente della situazione post terremoto.
Aperto nel 2010 WABISABICULTURE oggi  ospita circa 1200 visitatori all’anno tra architetti, designer, artisti, musicisti, poeti, filosofi e giornalisti, nonché amanti del Giappone tradizionale e delle Arti Meditative, favorendo e promuovendo la cultura e il turismo giapponese con un ponte ideale Italia-Giappone. Una struttura unica in Italia e a livello europeo, che coniuga la bio architettura rurale marchigiana in pietra e mattoni con quella giapponese lignea con ampie travature e materiali naturali come i tatami di Kyoto.
WABISABICULTURE ha recentemente inaugurato Karesansui, il primo paesaggio roccioso giapponese in Italia: un progetto che conclude un percorso iniziato già 20 anni fa e che rappresenta un importante arricchimento dell’esperienza culturale e meditativa del Centro. Il centro, dove si può dormire e sperimentare lo stile di vita giapponese, offre anche la possibilità di meditare nel tempio arricchito di preziose statue e tanke (dipinti su tela che rappresentano immagini sacre strettamente legate al buddhismo tibetano), oppure di rilassarsi con il tradizionale Bagno Giapponese di purificazione del corpo e dello spirito in una vasca da bagno di hinoki.

Locandina 'Festa della Pace'
Locandina ‘Festa della Pace’

Migrazione: il nuovo progetto discografico di Carl Brave

Carl Brave col suo nuovo album Migrazione ci porta in viaggio tra i luoghi da lui visitati negli ultimi 2 anni a seguito della conclusione del progetto di Coraggio, l’album precedente, che in maniera opposta era nato dal periodo di chiusura del Covid. Tra le tante consapevolezze che il viaggio ha donato a Carl, c’è anche l’amore per la città dove è nato e cresciuto, Roma, che non è solamente parte del suo vissuto ma anche, con una nuova visione, parte del suo presente e futuro. Il rapporto di Carl Brave con la sua Roma è un legame d’amore profondo e viscerale, che ha deciso di celebrare con il brano Lieto fine. Carl Brave al secolo Carlo Luigi Coraggio, classe 1989, è un producer e cantante romano. Un personaggio poliedrico che con il suo stile sta tracciando nuove coordinate nella canzone pop italiana. Nel 2018 esordisce con il suo album solista Notti Brave.

I vari successi di Carl Brave dal 2018

L’album, pubblicato a maggio 2018, è entrato diretto al primo posto in classifica, restandoci per due settimane e conquistando il Doppio Disco di Platino. Molti sono stati gli artisti che hanno animato le Notti Brave di Carl, nelle quindici tracce dell’album troviamo, infatti, collaborazioni eccellenti come Fabri Fibra, Coez, Francesca Michelin, Emis Killa, Federica Abbate, Gemitaiz, Giorgio Poi, Pretty Solero, Frah Quintale, B e Ugo Borghetti. A ottobre 2020 esce il suo secondo disco di studio Coraggio. Nell’album 17 tracce che segnano un nuovo capitolo dell’eclettico percorso musicale dell’artista che ha saputo contaminare il pop, il cantautorato e il rap in uno stile unico, originale e subito riconoscibile. In Coraggio sono presenti anche 7 collaborazioni con Elodie, Mara Sattei, thasup, Ketama, Guè, Taxi B e Pretty Solero. Carl Brave ha già conquistato 40 Dischi di Platino e il suo canale Spotify conta 3 milioni di streams mensili. A settembre 2021 torna con Sotto Cassa un EP in cui l’artista sperimenta con produzioni elettroniche e collabora con Myss Keta, Gemitaiz, Pretty Solero e Ketama126.

Carl Brave
Carl Brave

Il legame con la sua città natale, Roma

Migrazione è “un piano sequenza sulla vita di Carl Brave con Roma sullo sfondo a fargli da scenografia” che è stato anticipato dal singolo Lieto fine, già presentato in anteprima sul palco di Piazza San Giovanni in occasione del Concertone del Primo Maggio. Un brano che accompagna l’ascoltatore dalle strade del Gianicolo fino alla curva sud dell’Olimpico e che fa respirare il mood fortemente romanocentrico di tutto l’album. Il rapporto di Carl Brave con la citta, le strade dei rioni, i quartieri, le luci e le ombre di Roma: tutto questo è Migrazione.

Cosa significa per te il viaggio?

Traggo l’ispirazione dai miei viaggi cercando di estrarne dei frammenti, come parole o elementi culturali, da inserire poi nei pezzi. Il viaggio oltre ad essere fisico è anche temporale, gli ascoltatori riusciranno infatti a ritrovare sia il Carl Brave dei progetti iniziali come Polaroid e Notti Brave sia una sua versione più attuale e cresciuta, anche musicalmente. 

Come è strutturato l’album?

L’album presenta 19 tracce, lunghezza che va contro le ultime tendenze che richiedono più singoli di minor durata, moda che tende a svilire il concetto di disco. I singoli di questo album sono Remember, una ballad che ci introduce nel nuovo progetto e Lieto Fine, pubblicato il 19 Maggio e cantato per la prima volta in anteprima al Concertone del Primo Maggio.

Carl Brave
Carl Brave

“Roma è come una madre, mi ha educato tra i suoi vicoli e sulle sponde del Tevere”

Che ruolo ha Roma in questo nuovo progetto?

Nonostante la grande importanza del viaggio, il ruolo principale è occupato sempre dalla mia città natale, Roma, di cui si trovano varie citazioni in tutte le tracce e a cui è dedicato l’intero album e in particolare la traccia Lieto Fine. Brano che riesce a unire all’essenza del viaggio l’importanza di trovare un punto fisso a cui tornare e chiamare casa. Il singolo ci accompagna per le strade e i vicoli del Gianicolo, lasciandoci assaporare l’atmosfera nostalgica tipica della città eterna.

Che significa per te Roma, quali i tuoi ricordi?

Roma è come una madre, mi ha educato tra i suoi vicoli e sulle sponde del Tevere. Sono nato all’isola Tiberina, il mio vissuto e gran parte della mia esperienza è legata a questa città e al suo fiume; tutti i ricordi più importanti della mia vita in un modo o nell’altro sono ricollegati alla città della lupa, prevalentemente a Trastevere, dove il tempo si allarga, dove la vecchia Roma e la nuova si incontrano e si abbracciano come 2 sconosciuti che accettano di vivere insieme, in un equilibrio che solo questa città riesce a darti. Ho anche avuto un momento di vita fuori, durante il periodo cestistico, giocando a basket come professionista e girando l’Italia col pullman delle squadre di cui facevo parte. Ma Roma
mancava, quindi sono tornato. Cerco di farmi trasportare da questa città giorno per giorno, apprezzandone la bellezza e facendomi cullare dal suo caos quotidiano, tra la nostalgia del mio passato, da quei giorni spensierati in piazza tra Peroni amici e motorini, al cercare di inquadrarmi in un futuro che mi vede sopra gli stessi identici sampietrini, ma cresciuto, e cercando sempre quell’ispirazione che mi ha fatto diventare quello che sono.

“Ho dedicato una canzone a Roma perché è ciò che respiro da sempre, perché non potrei non farlo”

Qual è il simbolo che rappresenta l’album?

A livello visivo l’album è rappresentato dal disegno di uno stormo di gabbiani, chiaro simbolo del viaggio, disegnato da me quando ero bambino e talmente importante che me lo sono tatuato. 

Come sarà strutturato il tour?

Il tour dell’album è partito il 23 giugno a Bologna e per le date questa volta ho preferito farne un numero maggiore, ma in luoghi più semplici, in modo da poter tornare alle origini ed essere continuamente stimolato. 

Possibili collaborazioni future?

Per quanto riguarda future possibili collaborazioni mi piacerebbe l’idea di Tananai che apprezzo per il suo eclettismo e che produce le proprie canzoni.

Tour Carl Brave

Contaminazioni arte e vino: la nuova opera di Elisabetta Benassi per l’Antinori Art Project

Il mondo del vino rivela straordinarie contaminazioni con l’arte e in alcuni casi, come quello della cantina Antinori nel Chianti Classico, è un legame davvero storico che in questo caso parte nel 1385 e lega la famiglia Antinori alla passione per le arti: pittura, scultura, architettura, e naturalmente, l’arte di saper trasformare i frutti della terra in grandi vini. Da oltre seicento anni, la famiglia Antinori ha legato il proprio nome all’eccellenza nell’arte del vino e alla migliore tradizione mecenatistica. Due ambiti apparentemente molto diversi, ma che in realtà̀ hanno spesso proceduto in parallelo: la famiglia ha spesso affidato all’arte il compito di raccontare i valori e la storia della loro casata, il cui stemma è anch’esso un’opera di pregio artistico, uscita agli inizi del ‘500 dalla bottega fiorentina dello scultore e ceramista Giovanni della Robbia.

Veduta aerea della Cantina Antinori
Veduta aerea della Cantina Antinori

L’Antinori Art Project

Una relazione di lunga durata la cui sintesi è la nuova cantina inaugurata nel 2012, una struttura scavata nelle terre del Chianti Classico, che raccoglie dipinti, ceramiche e antichi manoscritti e numerose opere site specific create per raccontare questo legame speciale tra mondo del vino e l’arte. Concepito dall’architetto Marco Casamonti, l’edificio affonda nelle profondità della collina ricoperta di vigne e si immerge letteralmente nella terra con le sue linee sinuose, una sorta di invito alla comunione con la natura.

Da qui è nato un vero e proprio progetto Antinori Art Project che muove dall’idea di creare una naturale prosecuzione dell’attività̀ di collezionismo che fa parte della tradizione della famiglia, indirizzandola però verso le arti e gli artisti coevi. Antinori Art Project è infatti, una piattaforma di interventi in ambito contemporaneo, realizzata in collaborazione con curatori affermati, che raccoglie sotto un’unica progettualità̀ coerente tutte quelle messe in campo in questo settore. In questo modo la cantina è diventata un punto di riferimento non solo per gli appassionati del vino ma anche dell’arte e di tutti quelli che amano il bien vivre.

La nuova opera site specific di Elisabetta Benassi

Tra le new entry è l’opera site specific di Elisabetta Benassi che è partita da un telegramma che il compositore Giacomo Puccini inviò al Marchese Piero Antinori nel 1910, in occasione della Prima dell’opera lirica La fanciulla del West alla Metropolitan Opera di New York. Per l’occasione, l’artista ha realizzato un tappeto – La fanciulla del West, 2023 – in cui viene trasposto proprio quel celebre telegramma che racconta dell’eccezionale successo avuto da Arturo Toscanini.

Il telegramma originale è custodito dalla famiglia, insieme a un corposo carteggio, a testimonianza di un’amicizia storica che vide intrecciarsi la storia di questa antica famiglia fiorentina a quella della cultura italiana. Non solo un’opera d’arte, ma anche una testimonianza di saper fare artigianale: il tappeto è stato infatti annodato a mano a Katmandu, città in cui Benassi è tornata a più riprese, un’idea che evoca anche il viaggio dell’artista che si fonde nel progetto.

Commenta la stessa artista: “Questo telegramma è un messaggio di amicizia e condivisione che racconta del trionfo di quest’opera lirica rappresentata a New York nel 1910. Questo telegramma è una sorta di macchina del tempo che unisce il passato al presente, un tappeto volante e un ponte che collega questi due momenti. Mi piace l’idea che questo documento diventasse un oggetto comune, un tappeto su quale anche camminare”.

Il percorso tra le opere d’arte della cantina Antinori

Un vero e proprio spazio museale integrato nel percorso di visita all’interno della cantina che ospita la storica collezione della famiglia che ha visto uno speciale programma di commissioni annuali, molte delle quali site-specific, rivolto a importanti artisti della scena artistica nazionale e internazionale.

Gli interventi hanno visto nel biennio 2012/2013, a cura di Chiara Parisi, il coinvolgimento di Yona Friedman, Rosa Barba e Jean-Baptiste Decavèle.

Nel 2014, con l’arrivo di Ilaria Bonacossa alla direzione artistica biennale del progetto, ha visto la partecipazione di Tomàs Saraceno che ha realizzato l’opera Biosphere 06, cluster of 3, installata nello spazio verticale dello scalone interno della cantina; successivamente nel 2015 la mostra Still Life Remix, dedicata all’intramontabile tema della natura morta, l’installazione dell’opera Clessidra dell’artista Giorgio Andreotta Calò; nel 2016 l’acquisizione dell’opera site-specific, Giant Fruit di Nicolas Party nell’ambito di Antinori Art Project; la commissione dell’opera Portal del Angel dello scultore Jorge Peris, un precario arco di trionfo realizzato attraverso la riappropriazione di materiali locali, come gli antichi orci di terracotta usati storicamente per conservare l’olio.

Nel 2017 è stata la volta di Stefano Arienti che, in dialogo profondo con la preziosa Lunetta Antinori, ovvero La Resurrezione di Cristo di Giovanni della Robbia risalente al XVI Secolo, ha realizzato Altorilievo: una rielaborazione della logica compositiva dell’opera del Della Robbia. Nel giugno 2019 la famiglia Antinori, ha presentato Untitled (Antinori), un nuovo importante progetto installativo site-specific, commissionato all’artista statunitense Sam Falls (San Diego, 1983).

FENDI Special Guest di Pitti Uomo 104

Un omaggio alle nuove generazioni del saper fare italiano

Un evento davvero unico quello di FENDI, che ha scelto di sfilare la collezione uomo Primavera Estate 2024 all’interno della Fendi Factory, il polo d’eccellenza della Maison recentemente inaugurata nel cuore della campagna toscana a Capannuccia (Bagno a Ripoli). Un invito per celebrare l’eccellenza del Made in Italy, che ospita il nuovo headquarter produttivo della maison.

Interni della Fendi Factory
Interni della Fendi Factory

Una full immersion nel saper fare dell’azienda dove gli ospiti hanno potuto vedere al lavoro le maestranze, che sono spesso “dietro alle quinte” ma alla base del successo del brand. E come ha sottolineato la stessa Silvia Venturini Fendi, Direttore Artistico Accessori e Uomo, che è uscita per il finale accompagnata dagli stessi artigiani:

Quando pensiamo agli artigiani si tende a immaginare siano persone anziane, mentre qui abbiamo tantissimi giovani ragazzi e ragazze appassionati a queste tradizioni e che rappresentano il presente e futuro del Made in Italy

Non a caso sono diversi i riferimenti nello show al concetto di artigianalità, dal grembiule, la tipica “divisa” da artigiano, che è stato ripensato come camicia e gonna con colletto all’americana di varie lunghezze su pantaloni sartoriali e pantaloncini da città, fino ai gioielli disegnati da Delfina Delettrez Fendi, direttore artistico della gioielleria, a forma di chiave dell’armadietto, piastrine con la scritta “Made in Fendi”.

Il richiamo del paesaggio toscano nella collezione

Grande attenzione alle lavorazioni più sofisticate e ai colori che evocano il paesaggio toscano, uno strato di sfumature minerali dalla terra d’ombra bruciata e terracotta all’indaco profondo, al verde bosco con un importante uso di pigmenti vegetali come acacia, ginepro, henné e papavero. Ricami floreali, denim logato, camicie di lino spalmato e sete fluide, capispalla in tessuti sperimentali come il cappotto in shearling in maglia leggerissima. Altri effetti trompe l’oeil celebrano l’abilità dell’artigiano, da jacquard FF tono su tono e ricami floreali in cotone a un motivo a punto imbastitura a contrasto per la sera. Tutto
studiato nei minimi dettagli fino alla colonna sonora prodotta da Nico Vascellari e Rocco Rampino, che riproduce suoni ambientali campionati dalla fabbrica FENDI e dall’ambiente circostante. Uno show dal sapore internazionale, non solo per il casting, ma anche alla presenza di numerose celebrities internazionali come l’attore britannico, Hero Fiennes Tiffin, protaginista della serie Amazon Prime Video “After”, l’attore francese Louis Garrel, Nicholas Galitzine, Juyeon dei The Boy, Jeremy Pope fino a Massimiliano Caiazzo della serie Netflix “Mare Fuori”. Un grande evento che ha dimostrato come l’heritage e le migliori tradizioni possano convivere e rinnovarsi grazie alle nuove generazioni.

Silvia Venturini Fendi
Silvia Venturini Fendi, Direttore Artistico Accessori e Uomo di Fendi

MANINTOWN Pitti 104 Special Edition

Un’edizione speciale del magazine, in formato tabloid, dedicato al menswear che verrà, presentato alla 104esima edizione della kermesse fiorentina, con un ulteriore approfondimento sui talenti italiani black che – finalmente – trovano sempre più spazio nello showbiz nostrano – e non solo.

Cover

In occasione di Pitti Uomo e Milano Moda Uomo, MANINTOWN presenta l’edizione speciale tabloid – distribuita tra Firenze e Milano – che vuole raccontare le novità del menswear, offrendo qualche anteprima su temi che svilupperemo nel numero di ottobre.

La stagione inizia con Pitti Uomo 104, un’edizione ricca di progetti e special guest, tra cui Eli Russel Linnetz, creativo poliedrico che si è fatto notare con il suo brand ERL, già premiato con il Karl Lagerfeld Award nell’ambito del LVMH Prize 2022. E ancora il meglio della moda nordica con Scandinavian Manifesto, una delle più consolidate collaborazioni internazionali del salone fiorentino. Last but not least, la moda responsabile di S|Style, area di Pitti Immagine Uomo curata dalla giornalista Giorgia Cantarini, che porta avanti uno scouting dall’impronta fortemente inclusiva e internazionale, promuovendo il lavoro di designer emergenti che mettono al centro delle loro collezioni pratiche virtuose sotto il profilo etico e ambientale, senza rinunciare alla ricerca stilistica.

Altro focus importante del numero è l’anteprima curata da Antonio Mancinelli, che ritroveremo poi a ottobre, sui creativi afrodiscendenti nati in Italia, tra cui spiccano il fotografo Jon Bronxl, uno tra i nomi più interessanti della creatività della black community italiana. E vero motore per la promozione degli afrodiscendenti o delle persone BIPOC (Black Indigenous People of Colour) nella moda italiana è Michelle Francine Ngonmo, che ci ha raccontato il suo percorso fino al suo più recente progetto, i Black Carpet Fashion Award. Infine, una prima rassegna di attori, attrici e musicisti, nomi da tenere d’occhio, che stanno crescendo stagione dopo stagione. 

Terzo focus del tabloid è quello dedicato alle New Generations nel fashion&lifestyle business italiano. E’ il primo speciale di un progetto più ampio che vuole raccontare le ultime generazioni nell’imprenditoria italiana e di come le migliori tradizioni possano essere valorizzate e reinterpretate grazie alle nuove leve. Nascono così nuove sfide e business case che mostrano quanto sia eterogeno e dinamico il panorama del fashion&lifestyle italiano. Un viaggio nella moda (anche grazie all’editoriale Ode to Man), tra cultura, cinema e creatività tutta da scoprire.

Nell’immagine di apertura, la copertina del tabloid (ph. Jon Bronxl)

Casual con accenti pop: il vestire contemporaneo secondo KNT

I gemelli Walter e Mariano De Matteis, ultima generazione della famiglia Kiton, raccontano il loro brand KNT (Kiton New Textures).

Dopo una full immersion in azienda da giovanissimi, i gemelli De Matteis si mettono alla prova con un nuovo brand che già dal nome – KNT Kiton New Textures – punta tutto sulla ricerca tessile e materica declinata su capi più sportivi, informali e disinvolti. Il risultato è una linea dal sapore minimal, ma sempre attenta nei dettagli, che si arricchisce di effetti grafici e texture inedite. Un progetto in crescita che concilia il saper fare e le migliori tradizioni di Kiton con un approccio più sperimentale e innovativo.

“L’idea di KNT ci è venuta pensando al nostro stile di vita, che è simile a quello della nostra generazione”

Dal lancio di KNT nel 2018 ad oggi, qual è il vostro bilancio di questi primi anni? Come sta crescendo il vostro progetto?

Mariano: KNT sta per Kiton New Textures. È un percorso di ricerca che parte dal Dna di eccellenza, italianità e savoir faire di Kiton che, però, sentivamo la necessità di rendere più contemporaneo, vicino alla sensibilità e alle esigenze della nostra generazione. Siamo partiti dalla ricerca dei tessuti, realizzati nelle fabbriche di proprietà del marchio, li volevamo più flessibili, antipiega e abbiamo iniziato a lavorarli su telai tubolari, usati solitamente per le calze.

Walter: Dopo cinque anni e una pandemia, oggi pensiamo a tessuti più naturali, le collezioni si sono ampliate e abbiamo accolto un concept di sportswear, interpretato con quell’eleganza ed estrema qualità che fanno sì che le nostre collezioni siano apprezzate dai principali retailer internazionali.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

Come avete conciliato l’heritage e il saper fare che avete respirato in azienda con un approccio più innovativo e responsabile?

Mariano: Siamo cresciuti tra i tessuti, con l’idea di uno stile impeccabile e tradizionale, ma abbiamo iniziato a sentire la necessità di sviluppare un linguaggio più adatto alle nostre esigenze, senza dimenticare ovviamente le origini. La nostra famiglia ci ha insegnato il rispetto per i valori e la qualità, non abbiamo mai pensato fosse un peso, piuttosto un’opportunità. 

Walter: L’idea di KNT ci è venuta pensando al nostro stile di vita, che è simile a quello della nostra generazione. L’azienda ci ha sostenuto, dandoci l’opportunità di creare una collezione che riflettesse la nostra idea di maschile contemporaneo. Crediamo che qualità, italianità e tradizione siano i pilastri da cui partire. La nostra scommessa è innovare senza dimenticare da dove veniamo.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

“Qualità, italianità e tradizione sono i pilastri da cui partire, la scommessa è innovare senza dimenticare da dove veniamo”

Come lavorate insieme allo sviluppo delle collezioni? Quali le esperienze e incontri per voi più significative nel vostro percorso?

Mariano: Finora ci siamo dedicati entrambi alla collezione e alla ricerca, oltre che alla vendita e al posizionamento. Forse essere gemelli ci rende simbiotici, siamo abbastanza abituati a fare le cose insieme. Per entrambi l’arte è un mondo di riferimento, nei colori e nelle forme, amiamo molto quella contemporanea. E non posso non nominare, tra le figure di riferimento, mio zio, Ciro Paone, e mio padre, Totò De Matteis: per noi sono esempi nella vita e nel business, fin da quand’eravamo bambini.

Walter: (Sorride, ndr) è vero, lavoriamo sempre insieme sulla collezione. Il nostro lavoro è influenzato in primo luogo dalla nostra terra, la prossima collezione, che presenteremo al Pitti, è dedicata infatti all’isola di Procida. E poi dai nostri viaggi, gli Stati Uniti in primis, con il loro concetto di vestire casual, senza contare che l’arte pop è nata lì. Sono elementi fondamentali nella nostra interpretazione del vestire contemporaneo.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

Il vostro rapporto con Napoli e Milano, due città con anime diverse ma legate entrambe alla moda.

Mariano: Siamo orgogliosi della nostra napoletanità e vogliamo che questo traspaia nelle collezioni: per noi significa amare la vita, i colori, le passioni. Milano è la capitale italiana del business, abbiamo la fortuna di avere la nostra sede in un palazzo storico, nel cuore di Brera; ci piace l’internazionalità del capoluogo lombardo, la sua capacità di evolversi ed essere sensibile alle nuove tendenze.

Walter: Passiamo tanto tempo a Milano, per le campagne vendite e per gli appuntamenti più importanti, però appena possiamo, torniamo a Napoli. In effetti, è una città sempre più al centro della scena internazionale per il suo stile di vita. 

“Il nostro lavoro è influenzato in primo luogo dalla nostra terra, la prossima collezione, che presentiamo al Pitti, è dedicata infatti all’isola di Procida”

Quali i mercati di riferimento per la crescita del brand, tra retail fisico e online?  

Mariano: Senza dubbio gli Stati Uniti, la Cina e poi le grandi capitali internazionali: Londra, Parigi, Istanbul, Tokyo, Seoul. Crediamo nella qualità della carta stampata, collocandola in una visione olistica del comunicare che, oggi, non può prescindere da una forte componente digitale.

Walter: In questi anni abbiamo dato priorità alle nostre collezioni e alla crescita attraverso un posizionamento selettivo nei principali retailer in tutto il mondo, come Bergdorf Goodman, Neiman Marcus, Beymen a Istanbul.

Il nostro percorso digitale è solo agli inizi, partirà attraverso la creazione di un’immagine che rifletta il nostro stile e quello di una generazione maschile che condivide la nostra passione per lo stile e la tradizione ma si sente libera, appassionata, senza confini.

 KNT Kiton
KNT Spring/Summer 2024

Icona della dance e non solo: la musica di Gabry Ponte

Gabriele Ponte, in arte Gabry Ponte, è il dj e produttore che ha fatto ballare milioni di giovani in tutto il mondo, grazie a una serie di successi dai numeri impressionanti. Solo con gli Eiffel 65, ha venduto oltre 15 milioni di copie. Il pezzo del gruppo Blue (Da Ba Dee), nel 1998, è diventato un tormentone, entrando nella storia della dance, senza contare le importanti collaborazioni con David Guetta, Fabri Fibra e Jovanotti, per citarne solo alcune.

Tra i momenti più formativi nella sua carriera, l’artista ricorda di quando ha prodotto Blue all’età di 25 anni, un periodo in cui internet non era così accessibile e quello che succedeva nel resto del mondo non era a portata di mano come oggi. «Gli anni di tour in America – dice – mi hanno aperto gli occhi su uno scenario internazionale, musicale e artistico, che non avrei potuto conoscere e mi hanno insegnato a ragionare “out of the box”. Pensavo che tutto dipendesse dalla musica, non è così. La buona musica è un presupposto necessario, ma non sufficiente. Mi sono reso conto che gli artisti di successo, nella maggior parte dei casi, devono i loro risultati anche a una gestione molto attenta del brand e del management».

Gabry Ponte 2023
T-shirt and pants Ferrari, jacket Golden Goose, sneakers Hogan, ring Nove25

“Gli anni di tour in America mi hanno aperto gli occhi su uno scenario internazionale, musicale e artistico e mi hanno insegnato a ragionare ‘out of the box’”

Un percorso, il suo, diventato sinonimo di successo, tanto che Billboard lo ha riconosciuto come uno degli artisti più suonati al mondo: nella sua strada da solista, ha unito il sound elettronico alla tradizione musicale del nostro Paese.

E proprio sulla composizione dei brani, Ponte racconta: «I miei pezzi nascono nei modi più diversi, la musica elettronica è il genere che  più di tutti si presta ad essere contaminato. Noi viviamo di remix, di sample, quindi a volte ascolto un pezzo per radio o su Spotify, mi viene un’idea e mi metto ad abbozzarla. Altre volte nascono dalle writing session, ne faccio parecchie: ci si trova in studio e si scrivono canzoni, partendo da un beat o dal niente, iniziando a suonare il piano o la chitarra. Ti dico però dove finiscono tutti: dietro la console. Ogni fine settimana, quando suono, faccio i test: suono le bozze dei nuovi pezzi cui sto lavorando e sento la reazione del pubblico, mi affido totalmente a quella sensazione per decidere se portare avanti un brano oppure abbandonarlo».

Gabry Ponte musica
Total look Roberto Cavalli

Lo sguardo del dj e produttore non si ferma qui, continua con la ricerca di nuovi talenti e con la sperimentazione sui new media. Ha infatti riunito un team che opera a 360 gradi, lavorando su svariati fronti, dalla parte artistica, discografica ed editoriale, al booking, al management, una squadra appassionata ed efficiente che funziona come amplificatore delle potenzialità di ogni artista. «Ho messo insieme un gruppo di persone giovani e molto competenti che mi aiutassero a gestire le mie necessità, il passo successivo è stato condividere questi asset con altri dj/produttori. È una situazione win-win, in questo modo ho l’opportunità di lavorare a fianco di artisti più giovani, con visioni diverse dalla mia, ed è una crescita costante».

“Suono le bozze dei nuovi pezzi cui sto lavorando e sento la reazione del pubblico, mi affido totalmente a quella sensazione per decidere se portare avanti un brano oppure abbandonarlo”

E proprio nelle nuove frontiere del metaverso, Gabry Ponte ha debuttato da poco col suo primo dj set, su Avakin Life. « È stato un esperimento, non sapevo cosa aspettarmi, mi ha stupito la quantità di nuovi follower che mi ha permesso di raggiungere. Credo che sarà una realtà sempre più presente nel futuro della musica. TikTok è il miglior alleato per entrare in contatto coi new talent; il suo algoritmo conosce i tuoi interessi e ti indirizza a loro. Mi capita di guardare video di ragazzi giovanissimi, ancora senza tanto seguito, ma assai bravi a produrre o mixare; cerco di incontrarli, e se ci troviamo bene iniziamo a collaborare e fare musica insieme».

L’artista è un vero vulcano di idee,con la stessa voglia di sperimentare di sempre. Solo nel 2022 post-pandemico, infatti, si è esibito 76 volte in oltre 60 location sparse in sei stati, mentre nelle prossime settimane e mesi suonerà in diversi locali e festival cult in giro per l’Europa (tra le prossime date, quelle del 22 luglio per Parookaville 2023 all’aeroporto tedesco di Weeze, del 30 luglio al mitico Tomorrowland 2023, a Boom, Belgio, e del 10 agosto al Cavo Paradiso di Mykonos), in attesa del grande evento milanese del prossimo anno, che si terrà al Mediolanum Forum di Assago sabato 27 gennaio 2024.

Gabry Ponte disco
Suit and polo shirt Bonsai, gilet Manuel Ritz, sneakers Hogan, ring Nove25

Gabry Ponte dj
Suit Grifoni, shirt Roberto Cavalli, ring Nove25

Gabry Ponte concerto
Silver jacket Gaëlle Paris, sweatshirt and pants Neil Barrett, necklace Nove25

Credits

Talent Gabry Ponte

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Marco Bertani

Stylist Carlotta Borgogna

Grooming Mikaela Alleyson

Hair Florianna Cappucci

Digital Operator Marco Moretto

Nell’immagine in apertura, Gabry Ponte indossa giacca Alessandro Vigilante, polo Bonsai

Nina Zilli, ‘Innamorata’ della musica come il primo giorno

Cantautrice dalla formazione sui generis (ha studiato da soprano al conservatorio, è partita dalla musica anni ‘70 per esplorare poi la Motown, l’R&B, il soul, il pop rock dei primi Sixties, mescolando il tutto con la Giamaica e il suo amore per i grandi cantautori italiani alla Mina e Celentano) e sempre nelle posizioni apicali delle classifiche, fin dal singolo che le ha regalato la notorietà, 50mila (ft. Giuliano Palma), Nina Zilli è un tornado, una creativa poliedrica, vulcanica, che “inchioda” all’istante chi l’ascolta con le sue passioni e fantasie musicali.
Solo nell’ultimo anno, l’abbiamo vista mettersi alla prova col suo primo romanzo, L’ultimo di sette, sfornare una hit come MUNSTA e collaborare con artisti quali Danti per Vasco a San Siro e Inoki e DJ Shocca per Sorelle, per concludere il 2022 cimentandosi nella recitazione con La California, film di Cinzia Bomoll che ha ottenuto importanti riconoscimenti in tutto il mondo. Ad aprile, infine, è uscito il brano Innamorata (F____U!), accompagnato da un videoclip con un cast d’eccezione: Danti, Le Donatella, Katia Follesa, Articolo 31, Alvin.

Nina Zilli 2023
Costume by Sara Costantini, styling by Nina Zilli and Sara Costantini, headpiece design & fringe costume by Sara Costantini (made by Dglamour), shoes Haus of Honey (ph. Toni Thorimbert)

Ritratta, per la digital cover di MANINTOWN, dal maestro dell’obiettivo Toni Thorimbert, l’artista piacentina condivide col magazine alcune riflessioni sui progetti professionali più recenti, dall’ultimo singolo (un pezzo che «parla dell’insostenibile leggerezza dell’amore», spiega), al libro edito da Rizzoli, dall’esperienza sul set del suo esordio cinematografico al rapporto viscerale con l’arte delle sette note, di cui è «innamorata come il primo giorno, fortunatamente i suoi poteri magici su di me sono rimasti invariati».

“Certi aspetti non sono ancora diventati ‘lavoro’ e tento di scrivere il più naturalmente possibile, senza pensare a nulla” 

Un percorso musicale e artistico davvero ricco di successi il tuo, sei ancora Innamorata come il primo giorno?

Innamorata della musica sì, come il primo giorno, appunto, fortunatamente i suoi poteri magici su di me sono rimasti invariati. Fare musica come agli inizi, invece, è già più difficile: quando non si ha niente da perdere né un pubblico “reale”, è inevitabile scrivere più liberi da ogni tipo di congettura o ansia. Di sicuro, però, certi aspetti non sono ancora diventati “lavoro” e tento di scrivere il più naturalmente possibile, senza pensare a nulla. Metto le mani sul pianoforte o prendo la chitarra, suono e canticchio melodie, che forse diventeranno canzoni.

Il video di Innamorata (F____U!) è all’insegna dell’ironia, tra atmosfere retrò e la presenza di tanti amici. Cosa ti ha ispirato per questo nuovo singolo e per il videoclip?

L’ispirazione viene sempre dalla musica, il pezzo parla dell’insostenibile leggerezza dell’amore. «Innamorata senza sapere perché», magari della persona sulla carta più “sbagliata” per noi, senza poter farci nulla: è semplicemente successo. Anche Tenco cantava «mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare», e niente si può fare davanti a un sentimento così forte, se non decidere di lasciarci trasportare. Di qui l’idea della sposa sgangherata e del matrimonio rocambolesco, poche cose nella vita vanno come le abbiamo immaginate e volevo che questo tsunami amoroso si vedesse anche nel video. Il fatto che fossi incinta è stata la ciliegina sulla torta, non potevamo che essere contornati da grandi amici. In qualche modo per me e per Danti ha avuto un significato più profondo ed è stato davvero un bellissimo viaggio musicale e di vita, insieme a persone care.

“Ho un amore sconfinato per il cinema, mi ha fatto scoprire musiche fantastiche e influenzato in tutto”

Come è stata l’esperienza nel cinema col film La California, e comè nata questa opportunità?

Finalmente ho avuto il coraggio di dire sì al cinema. Ho un amore sconfinato per quest’arte, che mi ha anche fatto scoprire musiche fantastiche e influenzato in tutto, nel mio modo di essere, di scrivere e di pormi come cantante, compositrice e cantautrice. Per questo sono sempre stata restia, per non dire spaventata, all’idea di vestire i panni di qualcun altro e fare un lavoro che “non fosse il mio”. Con Cinzia (Bomoll, ndr) è avvenuto tutto in modo naturale, ho avuto una piccola parte in un film molto femminile e tutto emiliano, che parla di grandi sogni provinciali, la maggior parte dei quali infranti. Mi sono rivista in tanti personaggi, ho preso coraggio e compiuto questo piccolo passetto nel cinema… E mi è piaciuto tantissimo!

Nina Zilli canzoni 2023
Dress Act N°1, headpiece Dglamour designed by Sara Costantini (ph. Toni Thorimbert)

“Musica e parole sono due modi diversi di comunicare, ma si rincorrono e spesso l’uno suscita e risveglia l’altro”

Nel 2022 è uscito L’ultimo di sette, che messaggio volevi dare con il libro e che rapporto hai con la scrittura?

Fa parte della mia vita, da sempre. Ho iniziato il conservatorio a otto anni e a undici avevo già composto la prima canzone. Musica e parole sono due modi diversi di comunicare, ma si rincorrono e spesso l’uno suscita e risveglia l’altro. Il primo romanzo lo scrissi a diciott’anni, anche se il rock ‘n’ roll si era già impossessato di me e la musica mi fece accantonare le altre grandi passioni, la pittura, il disegno, il basket. Avevo in testa il libro da anni, lo iniziai tre anni prima di finirlo, è dovuta arrivare una pandemia che ci ha rinchiusi in casa, per avere il tempo per poterlo scrivere.
Il tempo è una risorsa così scarsa per la nostra società, il fatto che sia infinito costituisce un paradosso della “modernità”. Finalmente anch’io, con tutto quel tempo a disposizione e segregata in casa, ho potuto realizzare e portare a termine quello che credevo rimanesse ormai un film nella mia testa, il mio primo, vero romanzo.
Il messaggio è uno, forte e chiaro: nulla è a caos; se voleste scambiare la O e la S, il risultato non cambierebbe. È una riflessione su tutte quelle piccole cose di poco conto che, spesso involontariamente e senza nemmeno accorgercene, ci cambiano completamente la vita. Sono tante storie sospese che ne chiudono (o aprono) una sola, una grande storia d’amore, nata sotto il segno del “non sapere”, del “non controllo”, del “caos” o “destino” che dir si voglia, non sarò certo io a compiere questa scelta. Fatalisti o no, è così che va la vita, per tutti, e mi sono divertita a immaginare i meccanismi che la rendono così precisamente imprevedibile.

“Mi auguro che mia figlia possa essere una femmina fiera e libera, che insegua i propri sogni trasformandoli in progetti da realizzare, tangibili”

Quale le sfide più grandi in questo periodo, aspettando Anna Blue?

Le sfide sono numerose, tutte personali, e partono dal giorno uno della gravidanza: dal modificare le proprie abitudini al sentire il proprio corpo cambiare, fino ad arrivare a non riconoscerlo quasi più, man mano che ci si avvicina al parto. E poi c’è il pensiero al futuro e ci si sdoppia: da una parte penso a me, riuscirò ad essere una brava madre? Sarò in grado di darle tutto ciò che le serve? Dall’altra penso al futuro delle nuove generazioni e a quello del pianeta, sono molto preoccupata. I danni del cambiamento climatico sono sempre più evidenti, la situazione per i più giovani non è certamente incoraggiante.
Ho però una grande fiducia nelle nuove generazioni, starà a loro combattere per un cambiamento vero, per migliorare la società; spero, anche in questo senso, di riuscire ad aiutare mia figlia, a farle capire l’importanza degli esseri umani, dell’empatia, del sentirsi parte di un tutto, della nostra piccolezza e fragilità di fronte a Madre Natura e un sistema antichissimo, in equilibrio perfetto ma davvero precario. Mi auguro che possa essere una femmina fiera e libera, che insegua i propri sogni trasformandoli in progetti da realizzare, tangibili. Che possa avere tutta la mia forza e tutta quella delle grandi amazzoni, metropolitane e non, che mi hanno ispirato e hanno animato e cambiato la storia.

Dress Act N°1, earrings De Liguoro (styling Nina Zilli and Sara Costantini, ph. Toni Thorimbert)

Credits

Artist Nina Zilli

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Toni Thorimbert

Styling Nina Zilli e Sara Costantini

Nell’immagine in apertura, Nina Zilli indossa abito Act N°1, headpiece Dglamour designed by Sara Costantini (ph. Toni Thorimbert)

Dalla musica al cinema: il talento poliedrico di Levante

Cantautrice, performer, icona di stile, Levante è tornata sulle scene con l’album Opera Futura, oltre alle musiche per il film Romantiche, che segna il debutto alla regia di Pilar Fogliati. Donna di enorme talento, con la sua arte vuole lanciare un messaggio di speranza e bellezza.

Levante intervista
Total look Prada, jewels Damiani

Parlando di Opera Futura, da dove nasce e che significato ha questo colore verde?

Il colore nasce dal fatto che, nel 2020, quando pensavo che lo stop si sarebbe limitato a un paio di settimane, mi sono dedicata al mio nuovo disco, poi però i giorni di lockdown si sono moltiplicati e ho deciso di scrivere anche un libro. Non so perché abbia visualizzato il verde, è un colore che comunica speranza, probabilmente in quel momento ne avevamo tutti bisogno. Opera Futura ne è pieno, nel concetto, nella speranza che contiene, perciò l’ho dipinto tutto di verde, che rappresenta anche il futuro, la natura, elementi che rappresentano i temi focali dell’album. Poi c’è la maternità, la scoperta di una natura diversa in me, la speranza che c’è quasi in ogni canzone; è un po’ l’approccio che ho dovuto tenere in relazione alla nascita di Alma, perché io del domani non aveva mai parlato, sono una siciliana nostalgica, guardo spesso indietro, approcciare al futuro è stato davvero una novità, non l’avrei saputo immaginare; eppure, quando ti ritrovi con una creatura così piccola in braccio, realizzi di dover iniziare a immaginarlo e sperarlo, il futuro. E così è stato.

“I giovani sono molto più attenti e preparati di noi, sono molto fiduciosa”

Il cigno si lega a questo?

In realtà volevo un animale e, quando ho pensato alla copertina, mi sono imbattuta in una poesia di Emily Dickinson, La ‘Speranza’ è quella cosa piumata. Mi è venuto in mente il cigno, che in effetti può stare in terra, acqua o cielo. Mi piaceva il concetto di andare nel domani con un animale che vive in qualsiasi ambiente, un simbolo di bellezza e leggerezza. Quando l’hanno portato, ne avevo il terrore, nonostante fosse in realtà buonissimo, non si voleva far fotografare, spesso si nascondeva sotto il mio braccio, contorcendosi tutto. Ho dovuto prenderlo e tenerlo con la mano, infatti sulla cover tengo la testa del cigno in direzione sinistra e guardiamo verso quello che dovrebbe essere il futuro, una bella simbologia.

Levante intervista 2023
Total look Prada

La natura è un tema importante, oggi siamo molto più attenti all’ambiente…

Sì, non abbiamo altra scelta. Abbiamo esagerato negli anni precedenti, non ci siamo resi conto che stavamo distruggendo il pianeta. Ora per fortuna siamo tutti più consapevoli, ma è innegabile che continuiamo a produrre, in continuazione.

Parlando di moda consapevole, quanto è importante per le nuove generazioni?

I giovani sono molto più attenti e preparati di noi, per cui sono molto fiduciosa. Personalmente, ho una propensione naturale alla sostenibilità, perché mia sorella, più grande di me, andava spesso a comprare vestiti ai mercatini di Catania, dove c’erano bancarelle con capi anni ‘70 meravigliosi. Inoltre sono stata abituata al riutilizzo in quanto, da figlia minore, mettevo frequentemente la roba dei miei fratelli. È un’abitudine che applico tuttora, riusando e trasformando gli abiti. Penso sia un buon modo di approcciare la moda, evitando gli sprechi.

Levante 2023
Total look Prada, jewels Damiani

“Sono orgogliosa del lavoro svolto per Romantiche, ho scritto dalla prima all’ultima nota della colonna sonora”

Hai debuttato anche al cinema, con Romantiche. Com’è nato il progetto?

Pilar è stupenda, una sorella per me. Sono molto amica di Giovanni Veronesi, con cui ha scritto la sceneggiatura; un giorno mi ha chiamato dicendomi che dovevo assolutamente conoscere Pilar, perché ci saremmo piaciute tantissimo, e mi ha chiesto di lavorare alla colonna sonora. In quel periodo eravamo entrambe a Torino, quindi ci siamo incontrate. È scattata subito una grande sintonia e amicizia.
Finito di comporre la soundtrack, mi hanno chiesto di fare un cameo nel film, diventato più scene in cui interpreto me stessa. È stato divertente, sicuramente un esercizio di stile per Pilar, che dimostra le sue capacità trasformistiche diventando quattro persone diverse. Sono orgogliosa del lavoro svolto, ho scritto dalla prima all’ultima nota della colonna sonora e il brano portante, Leggera, è contenuto nel disco.

“Le persone creative non lo sono mai in modalità monocanale, credo che l’estro, a un certo punto, possa prendere direzioni diverse”

Il tuo è un talento versatile, anche nella scrittura, sia di canzoni che di libri…

Mi ripetevo fin da piccola di essere un’autrice che canta, non una cantautrice, perché la mia vera passione è la scrittura, ne sono innamorata. Poi, quando ho iniziato a scrivere canzoni, avevo bisogno di musicarle, quindi mi sono avvicinata alla chitarra e al pianoforte; ho sempre usato la musica come strumento per musicare le parole, mai il contrario.
Una passione che ho portato anche sui social, così gli editori si sono resi conto che scrivessi tanto e, nel 2017, ho pubblicato il primo romanzo Se non ti vedo non esisti, seguito nel 2018 da Questa è l’ultima volta che ti dimentico e nel 2021 da E questo cuore non mente.
Ho ben due progetti in preparazione per l’anno prossimo, ogni tanto trovo il tempo di scrivere un capitolo. Riesco a canalizzare il mio talento in forme differenti. Per molti artisti è così, ho visto di recente una mostra coi dipinti di Bob Dylan. Alla fine le persone creative non lo sono mai in modalità monocanale, credo veramente che l’estro, a un certo punto, possa prendere direzioni diverse.

“In Italia essere accomodante non è abbastanza, è come se bisognasse sempre rispondere a un modello stabilito da altri”

In tema di presenza delle donne nella musica, come vedi le figure femminili nel tuo mondo, pensando anche all’ultimo Sanremo?

Spesso partiamo da una posizione svantaggiata, si fanno grandi discorsi sulle donne ma il punto è che, se non c’è alla radice una presenza femminile importante, è ovvio che a Sanremo di 28 concorrenti solo otto siano donne. C’è una base che non viene supportata, le cantautrici, come le attrici, non sono sostenute, e il mainstream passa dalla tv.
Sono tra le pochissime a non aver partecipato a un programma che mi lanciasse, non ricordo neppure chi sia stata l’ultima artista a fare una gavetta alla Laura Pausini. La televisione ormai ha preso piede nel settore musicale, perché non ci sono luoghi o contesti in cui alle donne vengano date delle possibilità.
L’Italia è sicuramente un paese conservatore, temo che qui la figura femminile più accettata sia la meno disturbante in assoluto, quindi chi ha un ruolo poco rassicurante, come può essere il mio capello biondo, dopo anni di nero, o parlare di depressione post-parto, ma scendendo le scale dell’Ariston con le gambe in mostra, appare destabilizzante, perché non rientra nel tipo di donna accettata o accettabile. Essere accomodante non è abbastanza, è come se bisognasse sempre rispondere a un modello stabilito da altri.

Levante Opera Futura
Total look Dolce&Gabbana, jewels Damiani

Spesso si gioca sul cliché della sensualità…

Già negli anni della “liberazione”, penso a Mina o Raffaella Carrà, abbiamo visto donne sexy e libere. Sicuramente abbiamo quel tipo di libertà, eppure si tende a seguire, anche in quello, un filone piuttosto rassicurante.

“I giovani hanno bisogno di pochi consigli da parte nostra. Forse, visto il tempo frenetico che vivono, li inviterei a mantenere un contatto con la realtà”

Sei stata giudice in un contest, come vedi le nuove generazioni?

Sono più scaltre di noi, hanno avuto la possibilità di raggiungere l’altro capo del mondo col web. Quando ho approcciato per la prima volta internet, avevo 18 anni, ed era un luogo molto diverso, con pochi siti; oggi ci trovi di tutto, quindi loro possono arrivare a chiunque attraverso i canali digitali, e questo li rende decisamente più consapevoli, possono informarsi su qualsiasi cosa. Ovviamente sono mezzi pericolosi, potenzialmente una bomba, se però si ha talento e si cerca di canalizzarlo, di sfruttarlo al meglio, quella digitale è l’epoca più fortunata che si possa vivere.
I giovani hanno bisogno di pochi consigli da parte nostra. Forse, visto il tempo frenetico che vivono, li inviterei a mantenere un contatto con la realtà, col fatto che dopo le vette si scende e risale di continuo; probabilmente il pericolo più grande è che, cadendo da tali vette, possono farsi male, perché quando ci arrivi così velocemente è perché magari ti ci hanno portato, se invece ci fossi arrivato pian piano, facendoti i muscoli, avresti anche la forza per scendere. Vedo delle insidie per chi può meritatamente esplodere, ma poi non sa gestire una simile velocità di ascesa.

Credits

Talent Levante

Editor in Chief Federico Poletti 

Photographer Marta Marinotti @Aura Photo Agency 

Production Alessia Caliendo 

Stylist Lorenzo Oddo 

Ph. assistants Francesco Barrella, Juliette Buono 

Production assistants Sara Passaretti, Clementina Anzivino

Hair Grazia Cassanelli 

Make-up Valentina Raimondi 

Special thanks Il Piccolo Lab

Nell’immagine in apertura, Levante indossa trench Lardini, scarpe Sergio Rossi

Arte, natura, ironia: il design artistico di Marcantonio

Classe 1976, Marcantonio Raimondi Malerba è una delle figure più carismatiche nel panorama dell’interior design, il cui lavoro riesce a mettere in relazione uomo e natura. Il suo percorso corre sui doppi binari dell’arte e del design, che si incrociano e contaminano a vicenda.

Elementi fondamentali del linguaggio stilistico di Marcantonio sono l’ironia e la natura: due protagonisti del suo universo immaginifico popolato da creature fantastiche, oniriche, stravaganti e surreali. E proprio il rapporto tra l’uomo e la natura – uno dei temi ricorrenti nel suo lavoro – viene enfatizzato nelle sue opere, sia nelle grandi realizzazioni come le gigantesche giraffe della collezione She’s in Love but She doesn’t know it yet, sia nei piccoli oggetti come le celebri Monkey Lamp e Mouse Lamp, realizzate per Seletti.

Intervista a Marcantonio

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua visione e le nuove progettualità che saranno presentate al Salone del Mobile 2023.

Marcantonio Raimondi Malerba
Marcantonio (ph. Chico De Luigi)

Il tuo immaginario è legato al mondo animale e naturale. Com’è nata questa connessione profonda con la natura e quali sono, oggi, i pericoli causati dal non rispettare l’ambiente?

Fin dagli inizi della mia ricerca artistica mi attira riflettere sulla relazione che l’uomo ha con la natura (non è forse la tematica fondamentale della nostra esistenza?), quindi la relazione che ha con se stesso. Ritengo che la connessione più forte che un essere umano possa vivere sia, appunto, quella con la dimensione naturale; se accade questo, allora significa che si è anche in profondo contatto con ciò che ci circonda, con gli altri e noi stessi come massima espressione della natura, con le emozioni che quest’ultima è in grado di suscitare.

Ho sempre pensato che bellezza sia anche riconoscere, più ci lasciamo liberi di riconoscerci in ciò che incontriamo, più godiamo di questa connessione, e connessione è bellezza, è emozione.
Siamo animali sofisticati e, come le piante, siamo frutto di una grande madre che è la natura e della sua inarrivabile bellezza che, sempre più spesso, viene purtroppo deturpata e non curata. La società dovrebbe sicuramente comprendere e dare il giusto peso all’ambiente che ci circonda, prendendosene cura, dedicandogli l’attenzione che merita.

Marcantonio Masciarelli
Ad Naturam, Masciarelli, 2022 (ph. Barbarossa Studio)

Il cuore è un motivo centrale nella tua arte. Raccontaci come sono nati i lavori che ruotano intorno ad esso.

I cuori rientrano in un concetto molto più ampio, che abbraccia il mondo della natura: sono passione sospesa, sentimento in attesa. Le vene diventano arbusti e poi fiori, trasformando lo stato drammatico dell’impotenza in quello dell’espressione più alta, il sublime naturale.
Alcuni cuori, come ad esempio Love in Bloom, creato per Seletti, offrono la possibilità di mettere dei fiori al loro interno, così da far germogliare le vene, come se quest’organo fosse il bulbo da cui sbocciano i germogli, i sentimenti; vegetale e animale si fondono in un’appartenenza naturale, capace di riscaldare anche gli animi meno romantici.

La filosofia del kintsugi ricorre in diversi tuoi lavori. Cosa ti attrae di quest’antica pratica?

Kintsugi significa letteralmente “riparare con l’oro”, dando importanza alle rotture, amplificandole e arricchendole. Penso di avere una particolare attrazione per tutto ciò che è in grado di comunicare il tempo, inteso come tempo vissuto, storia.

Adoro gli oggetti che presentano una patina temporale o anche quelli nuovi, che possiedono però una forte identità, una forma che racconta il processo con cui sono stati realizzati. La storia che gli oggetti possono raccontare è la loro vita e credo che smontare, riassemblare sia nelle mie corde di creativo, è una cosa che ho sempre fatto.
Ricordo che da piccolo incollai i pezzi di un vaso rotto per gioco, immaginando di essere un archeologo… Credo non esista una metafora migliore per rappresentare il singolo individuo: l’uomo, come nella filosofia del kintsugi, è spesso frammentato, rotto in più pezzi; questi non devono essere un punto debole, bensì un punto di forza, in grado di arricchire ognuno di noi. Come le rotture dei vasi risultano impreziosite e tenute assieme dall’oro, la stessa cosa dovrebbe accadere per l’essere umano.

Marcantonio Sedie
Sedie con Germoglio, 2009  (ph. credits Marcantonio)

Al Salone del Mobile 2023 presenterai un nuovo progetto Window Lamp per Seletti, una finestra di luce dai toni onirici. Come è nato il progetto?

Window Lamp nasce da una visione: se immagino una casa visualizzo subito porte e finestre, le seconde sono gli occhi delle abitazioni, fanno entrare luce, illuminano le stanze. Una finestra con la vista di un bel cielo è un soggetto positivo e pop. Inoltre, le finestre possono essere messe dove desideriamo, creando una sorta di apertura sul mondo, senza alcun bisogno di un muratore né dei permessi del comune.

Il tuo design è spesso anche arte. Come fai convivere le due dimensioni espressive e quali opere rappresentano al meglio questa unione?

Sì, spesso le due categorie confluiscono l’una nell’altra, per questo mi risulta difficile spiegare quale sia stata l’evoluzione del mio lavoro. Ho sempre cercato di mettere anche in un piccolo oggetto la carica artistica che mi appartiene fin da quando ero piccolo. Mi sento un artista, dentro ho quel fuoco lì, quell’anima lì; e siccome adoro gli oggetti d’uso comune, applico il mio desiderio artistico a una lampada, una sedia, un portaombrelli… La volontà di trovare la magia, quel mondo immaginario, quell’accadimento, è la stessa che ho come artista.

Una delle opere che sicuramente rappresenta al meglio questo connubio è la linea Monkey Lamp: le scimmie ricordano molto gli uomini, per questo le ho spesso proposte anche nei miei lavori scultorei. Nella versione lampada, per Seletti, si intrufolano nelle nostre abitazioni: mi piace pensare che stiano rubando quelle lampadine, creando un rimando evolutivo, e che non siano affatto al nostro servizio, ma abbiano smontato qualche lampadario e gironzolino per casa indisturbate.

L’ironia attraversa come un filo conduttore tutte le tue opere, è anche una cifra del tuo carattere? Come la declini nei tuoi oggetti?

Assolutamente sì, l’ironia fa parte di me e delle mie opere: è una delle mie linee guida e mi toglie ogni dubbio, quando riguardo gli schizzi a convincermi davvero è sempre quello che mi fa sorridere; un po’ come accade nella letteratura o nel teatro attraverso l’utilizzo di espedienti narrativi, avviene la stessa cosa col design: l’unione dell’ironia al design e all’arte permette di conferire un ulteriore significato, un senso ludico che scatena la fantasia nella mente di chi osserva.

L’elemento ironico, nelle mie creazioni, potrebbe essere rappresentato dalla contrapposizione tra comodo e confortevole: ciò che è comodo risulta spesso funzionale, mentre il concetto di confortevole, quello in cui mi rivedo maggiormente, possiede una forte componente emozionale. La prima collaborazione con Seletti nel 2012, ad esempio, fu proprio la linea di mobili Sending Animals: la produzione s’ispirava alla relazione tra uomo e natura, mirando a un risultato semplice ma anche ironico, provvisto di una buona dose di tragicomico (nel caso in questione, è possibile che qualcuno abbia spedito degli animali?).

Marcantonio Qeeboo
Giraffe in Love, Qeeboo (ph. Marco Onofri)

Dove vorresti vedere una tua grande installazione, e quale messaggio vorresti lanciare attraverso essa?

Sicuramente mi piacerebbe vedere, in un museo o una galleria, Grande Anima. Rappresenta la realizzazione di un progetto nato nel 2011, disegnato prima delle scimmie, della giraffa e di tutto il resto. Quello che vediamo ora è una balena, lo scheletro di un cetaceo contenente luci, lampade; le luci sono accese, creano un volume luminoso, sono l’anima del grande animale.

Marcantonio Grande Anima
Grande Anima, 2023 (ph. Michele Vecchiotti)

Ma quest’essere, quindi, è vivo oppure no?

Il messaggio che vorrei lanciare riprende, ancora una volta, il rapporto tra uomo e natura riflettendo, ovviamente, sulla condizione dei nostri oceani e ancor più profondamente sulla vita e la morte, sul potenziale della cura, dell’attenzione o, al contrario, su quello delle conseguenze dell’individualismo che genera la vita contemporanea. Mi piace molto questo gioco indefinito e agrodolce tra rappresentazione drammatica e visione magica. La balena è viva, vola, accesa da luci che appartengono al nostro mondo, le luci siamo noi,  dipende tutto da noi.

Il tuo rapporto col mondo del vino e del bien vivre in generale? Hai un vino preferito, legato a un ricordo o un territorio?

No, in questo senso non ho un vino preferito, amo cambiare e legarmi continuamente a nuovi sapori ed esperienze.

Ordinary Jungle, 2016  (ph. credits Marcantonio)

Marcantonio Ad Naturam
Ad Naturam, Masciarelli, 2022 (ph. Barbarossa Studio)

Nell’immagine in apertura, Marcantonio Raimondi Malerba con alcune sue opere (ph. Mikael d’Alessandro)

Think Print, l’arte di Pierre-Louis Mascia

Uno stile riconoscibile, costruito attraverso pattern e colori che definiscono le sue stampe. Pierre-Louis Mascia parte da una formazione come illustratore e fonda il suo marchio nel 2007, grazie al fortunato incontro con i fratelli Uliassi, proprietari della stamperia serica Achille Pinto di Como, con cui inizia a sviluppare una piccola collezione di sciarpe. Grazie a una crescita graduale ma costante, oggi è diventato un vero lifestyle brand che vede al centro le collezioni di abbigliamento uomo e donna e gli accessori, come pure le proposte per la casa. Tante declinazioni di uno stile che è rimasto  sempre fedele al suo DNA, grazie a un animo e approccio decisamente artistico. Da anni il designer francese è presente a Pitti Uomo con le sue presentazioni, che dimostrano la sua passione e naturale attenzione verso il mondo dell’interior. Per questa straordinaria storia di creatività che lo lega all’Italia, Pierre-Louis Mascia è stato scelto come Special Project di Pitti Uomo 103, protagonista di un evento speciale ambientato nelle sale di palazzo Antinori, aperto per l’occasione. Un progetto che coniuga natura, cultura, arte e moda e trova espressione nei tessuti realizzati da Achille Pinto, che proprio nel 2023 celebrerà i quindici anni di partnership con la griffe.

Pierre Louis Mascia 2023
Pierre-Louis Mascia – Casa Cabana (ph. @SGP)

“Mi sento più vicino alle belle arti che al fashion design”

Parlaci dell’incontro con Achille Pinto, imprenditore della seta con cui è nata quest’avventura.

Ero art director della fiera parigina Première Classe, all’epoca ben pochi brand lavoravano su scampoli e stampe. Essendo un illustratore di moda, pensavo di cambiare supporto, passando dal rettangolo di carta a quello di un foulard in seta. Ho provato dunque a contattare delle aziende francesi, che però non hanno mostrato alcun interesse rispetto allo sviluppo di nuove label. Poi ho incontrato Matteo Uliassi di Achille Pinto e abbiamo cominciato a lavorare insieme, in maniera naturale. Siamo partiti disegnando una piccola collezione di sciarpe e, quindici anni dopo, siamo una maison di livello globale.

Dai foulard all’abbigliamento fino all’interior, quali sono i momenti salienti, le tappe memorabili del tuo percorso creativo?

Si è sviluppato tutto in modo progressivo, costante. Nel 2016 ho avuto un incidente che ha cambiato la mia visione del mondo e, logicamente, la mia concezione della creatività. Nel 2018, abbiamo avuto l’opportunità di presentare la collezione Pierre-Louis Mascia Primavera/Estate 2019 con una sfilata a Shanghai; dopo questo, il team ha capito che il marchio avrebbe potuto funzionare.

Pierre-Louis Mascia collezione 2023
Pierre-Louis Mascia Fall/Winter 2023-24

Ti definisci più artista che stilista. Quali sono i tuoi riferimenti nel mondo dell’arte o, semplicemente, quali artisti segui, al di là delle ispirazioni per il brand che porta il tuo nome?

Mariano Fortuny, Serge Lutens, Romeo Gigli, Rei Kawakubo di Comme des Garçons, Yohji Yamamoto e gli stilisti giapponesi, in generale, mi ispirano tanto. Tuttavia, mi sento più vicino alle belle arti che al fashion design.

Quali sono le stampe e i colori diventati must have delle tue collezioni?

Non ci sono motivi o colori in particolare, mi piacciono tutti!

“Da Pierre-Louis Mascia cerchiamo di definire un interior in cui le persone si sentano a proprio agio”

Come è nata la passione per l’home décor? Il concept del tuo primo negozio a Milano?

Ho cercato di mettere a punto il concept pensandolo nella sua interezza. Quando creo una collezione, la immagino in uno spazio speciale, con un odore peculiare, una musica o dei suoni particolari. Progettando lo store di Milano, abbiamo cercato di seguire lo stesso ragionamento. Adoro gli atelier degli artisti, per questo apprezzo il lavoro di François Halard, che fotografa case e studi di molti di loro. Ad ogni modo, da Pierre-Louis Mascia cerchiamo di definire un interior in cui le persone si sentano a proprio agio. L’estetica della boutique, poi, s’ispira al mio atelier di Tolosa.

Pierre-Louis Mascia atelier
Pierre-Louis Mascia nel suo atelier

Hai sviluppato negli anni numerose collaborazioni con altri marchi, quali sono state le più significative, cosa ti hanno lasciato a livello personale?

La collaborazione col Palais Galliera, un lavoro decisamente interessante per me. Dall’incontro con Pascale Gorguet Ballesteros, curatrice del dipartimento “XVIII secolo” del museo, alla realizzazione dei singoli pezzi, è stato un progetto davvero gratificante, in termini di crescita sia professionale che personale.

Cosa vedremo a Pitti Uomo? Puoi dirci in anteprima su cosa verterà il progetto?

Presenteremo un evento chiamato Philocalie, ossia “amore per la bellezza”, collegato alle collezione Autunno/Inverno 2023/24, per il quale verrà creata un’installazione concettuale nel fiorentino palazzo Antinori. Si tratta di un progetto pensato per stupire gli ospiti, coinvolgendoli nella ricerca di una bellezza naturale, scevra da ogni tipo di artificio, da scoprire e vivere appieno.

Pierre Louis Mascia brand

Nell’immagine in apertura, Pierre-Louis Mascia – Casa Cabana (ph. @SGP)

Viaggi, crossfit e pasticceria: le passioni di Riccardo Erbini di Bake Off Italia

È arrivato alla decima edizione il popolare format Bake Off Italia, condotto da Benedetta Parodi, che vede come giudici Ernst Knam e Damiano Carrara, insieme alla new entry Tommaso Foglia. Tra i concorrenti di quest’anno abbiamo incontrato Riccardo Erbini, 32enne di Villanova del Sillaro (Lodi), che nella vita si divide tra l’essere un preparatore chimico farmaceutico e un istruttore di body building e fitness. In realtà Riccardo coltiva diverse passioni, tra cui il sogno di aprire una sua pasticceria con la mamma, che lo ha sostenuto nei momenti difficili. Una storia, la sua, che ci ha colpito per l’autenticità, oltre a rappresentare un bell’esempio per le nuove generazioni.

Riccardo Bake Off 2022
Riccardo Erbini

Comè nata la tua passione per lo sport? 

La mia passione per lo sport è nata tardi, quando avevo 22 anni; ero un ragazzo obeso che si continuava a lamentare con gli amici del proprio aspetto fisico, senza però fare nulla. Così proprio i miei amici, stanchi delle mie lamentele, mi hanno iscritto e portato di peso a una lezione di crossfit. Me ne sono innamorato da subito, da quel momento non sono più riuscito a smettere di allenarmi. È nata una tale passione che ho deciso di studiare il mondo del fitness e prendere degli attestati per poter lavorare in palestra, con l’idea di aiutare altri ragazzi come me, infelici del proprio aspetto fisico.

Cosa ti ha insegnato il crossfit? 

Il crossfit è stato il primo sport che ho sperimentato, devo ringraziare per questo un caro amico. Anche grazie a lui e alla passione che mette nel suo lavoro, è riuscito a farmi innamorare di questa disciplina. Mi ha insegnato a credere di più in me stesso, a darmi quell’autostima che non avevo e quel pizzico di competizione che, secondo me, nella vita serve sempre.

“Bake Off è un’esperienza unica. Ho avuto l’occasione di imparare tantissimo, riscoprendo un nuovo modo di fare pasticceria e, soprattutto, capendo quanta strada ho ancora da fare”

Tra le altre tue passioni c’è quella della moto…

La passione per la moto è nata intorno ai 14/15 anni, quando di nascosto rubavo le chiavi del motorino di mia sorella per fare dei giri per il paese. Poi quando ho avuto l’età giusta per guidare, mamma mi ha preso una moto naked dell’Aprilia, tutta nera. Era bellissima, il mio gioiellino. All’età di 21 anni ho preso la patente per le moto, anche se ero consapevole di non avere le possibilità economiche, visto che dovevo aiutare mia mamma con le spese di casa. La prima vera moto l’ho comprata circa 4 anni fa, una Kawasaki Z650, una naked come quella di quando ero piccolo; un modello molto tranquillo per chi è alle prime armi, ma che ti regala belle soddisfazione ed emozioni. Tra i viaggi su due ruote è stato memorabile quello sul lago d’Iseo. Siamo partiti da Lodi e abbiamo fatto Il giro del lago in giornata. Devastante, ma allo stesso tempo emozionante.

Bake Off Italia 2022 concorrenti
Riccardo Erbini in una puntata del programma

I viaggi che ti hanno maggiormente ispirato ed emozionato. 

Ho iniziato a viaggiare quando ho conosciuto il mio attuale compagno, da quel momento non abbiamo più smesso. Insieme cerchiamo sempre nuove città da visitare. Tra i viaggi più emozionanti cito quelli in due grandi capitali europee: Barcellona e Parigi. Della prima mi sono innamorato appena atterrato perché mi ha fatto sentire subito a casa. E poi la capitale francese, città che ho visitato in occasione del nostro anniversario, mi ha affascinato per la sua bellezza, la sua storia, i suoi musei e per la magnifica pasticceria. 

Le città che vorresti visitare prossimamente e che consigli di non perdere? 

Nel futuro spero di visitare New York e Singapore. Un weekend a Barcellona vale sempre la pena.

Bake Off Italia Riccardo

“Mi piacerebbe aprire una pasticceria, così da trasmettere tutta la mia passione attraverso i dolci. E poi vorrei tenere dei corsi di formazione agli aspiranti pasticceri in giro per il mondo”

Comè nata la passione per la pasticceria? 

La passione per la pasticceria mi è stato tramandata da mamma, cuoca e pasticcera amatoriale da quando era ragazza. Mi ha insegnato alcune basi della pasticceria e molti dei dolci tradizionali pugliesi, tipo le cartellate al miele e i taralli dolci al vino.

Come sei finito a Bake Off Italia

Sono sempre stato un appassionato di quella trasmissione; il mio compagno e i miei amici continuavano a ripetermi “che buono questo dolce, perché non provi a partecipare a Bake Off?”. Quindi ho voluto ascoltare il loro consiglio, provando a mettermi in gioco per far assaggiare le miei torte a dei professionisti.

Bake Off Italia 2022

Cosa ti ha lasciato questesperienza? 

Bake Off è un’esperienza unica che non dimenticherò mai! Qualsiasi pasticcere amatoriale dovrebbe provare a farla. Ho avuto l’occasione di imparare tantissimo grazie ai giudici, riscoprendo un nuovo modo di fare pasticceria e, soprattutto, capendo quanta strada ho ancora da fare.

Hai tante passioni, come vedi il tuo futuro?

Al momento sento ancora tanti i dubbi e le incertezze. Spero di riuscire a fare chiarezza il prima possibile, per poter seguire a pieno i miei sogni, che al momento vedo difficili da realizzare. Prima di tutto mi piacerebbe aprire una pasticceria, così da trasmettere tutta la mia passione attraverso i dolci. E poi vorrei tenere dei corsi di formazione agli aspiranti pasticceri in giro per il mondo. 

Bake Off decima stagione

Bake Off 10

Nell’immagine in apertura, Riccardo Erbini durante una puntata di Bake Off Italia

Il vino tra comunicazione e arte. A tu per tu con il sommelier e gastronomo Andrea Amadei

Abbiamo incontrato Andrea Amadei, esperto capace di raccontare il mondo del vino tramite i media più diversi, dalla tv ai social.

Come hai coltivato e fatto crescere la passione per il vino?

È nata da bambino, all’inizio era rivolta al cibo, mi affascinava per la sua potenzialità di rappresentare un potente veicolo d’amore, o per come mangiare i piatti tipici di un luogo fosse un’esperienza imperdibile per comprenderne la cultura di posti mai visti. Con l’età ho cominciato a legare questi concetti anche al vino, mi piaceva capire perché un’etichetta si producesse in un dato territorio e fosse impossibile replicarla altrove.
Una spinta me l’ha data la facoltà di scienze gastronomiche dell’università di Parma, il resto l’hanno fatto la lettura di Vino al vino di Soldati e la conoscenza dei docenti della Fondazione Italiana Sommelier, con cui a Decanter, su Rai Radio 2, abbiamo realizzati i podcast di Sommelier ma non troppo, il corso per imparare l’argomento senza troppi giri di bicchiere. Ho iniziato ad assaggiare un vino ogni volta diverso, chiedendomi in continuazione cosa lo differenziasse da tutti gli altri. È stato fondamentale per riuscire a parlare in radio, ogni giorno, di una specifica etichetta. Per sviluppare e sistematizzare le mie conoscenze, infine, ho frequentato il corso della Fondazione Italiana Sommelier.

“L’enologia si presta bene al paragone, dovremmo insistere su questo”

Come sta cambiando la comunicazione in materia nell’era dei social?

Siamo in una fase di sperimentazione, abbiamo capito che la comunicazione è stata finora troppo elitaria e impostata, a tratti incomprensibile, respingente. Il vino è cultura, certo, ma anche natura, emozione, convivialità, quotidianità, e come tale dovrebbe arrivare alla gente. C’è un potenziale pubblico che ancora beve rinunciando a comprendere cos’abbia nel bicchiere, non perché non gli interessi, piuttosto non ne viene coinvolto né affascinato.

Sui social network si trova di tutto, c’è chi fa copia e incolla dai vari siti e chi invece prova a semplificare il più possibile i concetti, per svecchiare la comunicazione e renderla breve, divertente. Sono queste le figure che riscontrano il maggior seguito, ma sono ancora poche, spesso hanno poca autorevolezza. Anche la fusione con altri campi emozionali sta premiando, l’accostamento di vino e arte funziona, bisogna però stare attenti a non diventare troppo cerebrali. Secondo me avrà successo chi, con un’adeguata preparazione alle spalle, riuscirà a descrivere i vini in maniera affabile e sintetica, avvicinandoli ad ambiti eterogenei. L’enologia si presta bene al paragone, dovremmo insistere su questo.

“Ogni vino ha una storia diversa, non si può ricorrere a uno schema preimpostato per tutti”

Lavori in questo settore usando media diversi, come riesci a raccontare il vino in tv e in radio?

Uno dei primi incontri che ho fatto, appena ho cominciato a lavorare a Decanter, è stato con un famoso critico enologico che, con fare supponente, mi aveva detto che era inutile raccontare il vino alla radio perché l’ascoltatore, non potendo assaggiarlo, non era in grado di provare sul palato ciò di cui si parlava. All’inizio ci sono rimasto male, poi ho imparato a non dare importanza a quelle parole, figlie di una comunicazione ingessata ed escludente, la stessa che elenca una serie infinita di sentori e profumi e, nove volte su dieci, fa sentire l’interlocutore un analfabeta sensoriale, quando le sensazioni olfattive sono legate all’allenamento e alla personale memoria gustativa di ciascuno.
Ogni vino ha una storia diversa, con tratti più o meno interessanti, non si può ricorrere a uno schema preimpostato per tutti. Alcune etichette vanno raccontare attraverso aneddoti storici, per altre sono più importanti il clima o il terreno o la vicinanza di un lago, altre ancora preferisco raccontarle seguendo la storia dei produttori; di tutte cerco di capire cosa le renda uniche, cercando di trasmettere quel preciso contenuto. Solo il punto di partenza è uguale per tutte, l’abbinamento col cibo. Tutti noi sappiamo che sapore ha una bistecca alla fiorentina, quasi nessuno però, tra i non addetti ai lavori, conosce il gusto del Brunello di Montalcino. Dunque parto da ciò che è presente nella memoria sensoriale di ognuno e poi inizio ad occuparmi di quale caratteristica del vino in questione si “incastra” perfettamente con quella del cibo. È anche un modo per fornire un’occasione di consumo, un consiglio utile.

Andrea Amadei
Andrea Amadei

“Mai avere preconcetti, col vino”

Il luogo comune più diffuso sul vino e un aneddoto curioso in tal senso.

Il pesce vuole il vino bianco, la carne il rosso: non è così. Ci sono piatti di pesce cucinati col pomodoro che pretendono il rosso, certo, non un Barolo o Super Tuscan, ma in Italia abbiamo tutta una serie di vitigni che ne producono di leggeri, freschi e poco astringenti; si sposano bene con zuppe di pesce, polpi alla Luciana o triglie alla livornese, penso ad esempio al Rossese di Dolceacqua, al Piedirosso della Campania, alla Schiava altoatesina, all’Ottavianello di Ostuni e così via.

Anche la carne a volte riserva sorprese, una volta, in una storica enoteca romana dov’ero a pranzo, avevano preparato la frittata all’amatriciana con pecorino, pomodoro e guanciale. Ho pensato di andare sul sicuro ordinando un Pinot Nero, che però spariva completamente di fronte al forte sapore della portata, allora ne ho approfittato per colmare una lacuna, provando a combattere un pregiudizio. Ho ordinato un Asolo Prosecco Docg Extra Dry che, come indicano gli ultimi due termini della denominazione, ha un residuo zuccherino leggermente più alto del normale, senza però risultare dolce al palato; una caratteristica che conferisce rotondità e “potenza” al vino, e si è rivelata la chiave di riuscita per l’abbinamento. In quell’istante ho rivalutato una categoria enologica che fino ad allora avevo guardato con diffidenza ed evitato di approfondire. Mai avere preconcetti, col vino.

“Lo scopo del corretto abbinamento è quello di pulire perfettamente la bocca dopo il sorso”

Il tuo consiglio su come abbinare cibo e vino?

Un ottimo punto di partenza è l’abbinamento cromatico, carni scure e portate a base di pomodoro vogliono vini rossi, carni chiare e piatti a base di carboidrati dei bianchi; sembrerà semplicistico, ma funziona quasi sempre. Poi si può ragionare sull’abbinamento territoriale: nel caso di una pietanza tipica, probabilmente nello stesso luogo da cui proviene la ricetta si produce anche un vino che potrà abbinarvisi bene. Esempi noti sono le trofie al pesto col Pigato, gli arrosticini col Montepulciano d’Abruzzo, il maialetto sardo con il Vermentino isolano, o – meno scontati – le olive col Marsala e il gorgonzola col Moscato di Scanzo, colpi di fulmine imprevedibili che vi lasceranno di stucco.
Sta comunque tutto nella curiosità, nel semplice “provare”, ricordando che lo scopo del corretto abbinamento è quello di pulire perfettamente la bocca dopo il sorso, rinnovando ogni boccone come fosse il primo. In sostanza, vino e cibo devono quasi “annullarsi” a vicenda, il sapore di uno non deve mai prevalere sull’altro. Altra regola aurea: la portata non deve mai essere più dolce del vino, quindi scordatevi il panettone con lo spumante secco, se avete voglia di una bollicina fresca stappate un passito o un buon Moscato d’Asti.

Andrea Amadei Rai
Ph. dal profilo IG di Andrea Amadei, @andreaamadei80sete

“Vino e cibo devono quasi ‘annullarsi’ a vicenda, il sapore di uno non deve mai prevalere sull’altro”

Un territorio a cui sei particolarmente legato e da conoscere?

È davvero difficile scegliere. Potremmo parlare della Valtellina o della Costiera Amalfitana, o magari di Carema o Lipari, ma credo che alla fine ti racconterò di quella zona d’Italia dove il Friuli bacia la Slovenia. Fra le provincie di Udine e Gorizia, in pochi chilometri quadrati, si concentra una miriade di tipologie di vini, vitigni autoctoni e vignaioli veraci. Si passa dai bianchi muscolosi e profumati ai vini macerati, ai rossi beverini e a quelli più strutturati che escono a dieci anni dalla vendemmia, fino ad alcuni dei passiti più prestigiosi al mondo.

Così si possono trovare Pinot Grigio ramati, Schioppettino, Pignolo e Picolit, tanto per citarne alcuni. Il Picolit è l’orgoglio del posto, deve il suo prestigio a un difetto genetico che lo porta a perdere più della metà dei suoi fiori a fine primavera; solo i boccioli rimasti sulla pianta si trasformeranno in acini, pochi dunque, che però sanno concentrare tutti gli zuccheri e i profumi, dando vita a un vino dolce estremamente ricco e leggiadro.
La presenza contemporanea di vento costante, vicinanza al mare e abbondanza di minerali nel terreno porta le viti a crescere verdi e rigogliose, con grappoli pronti ad essere spremuti per creare vini longevi e di gran classe. Il tutto a un prezzo spesso molto abbordabile.

“Il vino è la sintesi di una storia, di un luogo e di un tempo in grado di elevare gli spiriti, proiettando l’animo altrove”

Raccontaci del tuo prossimo progetto che vede dialogare arte e vino.

Dal 30 novembre al Museo Bagatti Valsecchi di Milano si terrà à un ciclo d’incontri per approfondire i maggiori punti di contatto tra i due mondi. Ogni sera condurremo gli ospiti in un percorso multisensoriale che sposerà vino e pittura, con l’esposizione di 50 dipinti della collezione privata Gastaldi Rotelli, molti dei quali ritraggono scene conviviali. Il curatore della mostra, Antonio D’Amico, ne racconterà la storia, io proporrò tre vini in degustazione, indagando le più disparate collaborazioni instaurate dalle cantine odierne col settore delle arti figurative.

Abbiamo stretto accordi di partnership con tre importanti realtà nostrane, Rocca di Frassinello (che ci consentirà di parlare di Renzo Piano e David LaChapelle), Donnafugata (che ci mostrerà la nuova collaborazione con Dolce&Gabbana) e Altemasi. Dopotutto il vino, per noi italiani, è la sintesi di una storia, di un luogo e di un tempo in grado di elevare gli spiriti, proiettando l’animo altrove; se non è un’opera d’arte questa…

Andrea Amadei vini
Ph. dal profilo IG di Andrea Amadei, @andreaamadei80sete

Nell’immagine in apertura, un ritratto di Andrea Amadei

Marcantonio, l’ironia come valore aggiunto del design

Le regole auree del design (fissate da massime come la celebre “la forma segue la funzione” sullivaniana, o la triade spazio-luce-ordine di Le Corbusier) di rado – per non dire mai – contemplano un quid scherzoso, che smussi un po’ la seriosità in cui incappano regolarmente marchi storici e autori di grido. La proverbiale eccezione alla regola ha un nome e un cognome: Marcantonio Raimondi Malerba, conosciuto più semplicemente come Marcantonio. Nato a Massa Lombarda nel 1976, creativo eterodosso, il suo approccio alla materia si risolve in un coacervo fantasioso che miscela senza soluzione di continuità surrealismo, dadaismo, arte classica, la diade uomo-natura e una (immancabile) verve spiritosa.

Marcantonio Raimondi Malerba design
Un ritratto di Marcantonio Raimondi Malerba

L’affinità elettiva con un altro outsider dalla visione “pop”, Seletti (per cui firmerà collezioni best-seller, dalle Monkey Lamp alle porcellane Kintsugi), lo introduce al fior fiore della progettazione, nomi del calibro di Mogg, Qeeboo, altreforme®, Slamp, Scarlet Splendour, Natuzzi. Tra i suoi fan insospettabili, Giorgio Armani, che pure è il sommo sacerdote del verbo riduzionista: Uri, riproduzione a grandezza naturale di un gorilla in resina, troneggia nella casa milanese dello stilista, l’anno scorso è comparso addirittura sulla passerella autunno/inverno 2021-22 della linea ammiraglia.

In occasione del party di lancio della fashion issue Youth Babilonia, Manintown ha avuto l’opportunità di rivolgere qualche domanda a uno dei protagonisti più istrionici del design italico, presente all’evento a Palazzo San Niccolò con alcune novità della serie a quattro mani con Slide, tra poltrone dalla silhouette curvata, che riproducono la sagoma del coccodrillo (Kroko), e totem di matrice tribal (Threebù).

Sei nato in provincia di Ravenna e hai studiato lì, venendo a contatto con l’arte locale, le cromie dei mosaici… Quali influenze artistiche ti hanno formato?

Sicuramente l’arte antica, intesa come classica. Faccio affidamento su referenze antiche nelle tonalità, nei volumi… Studiando mosaico, ho potuto trattare smalti dai colori pieni, brillanti, e i marmi, che mi hanno avvicinato alla pietra. Ho capito così che, per ottenere risultati, è fondamentale mettere insieme numerose discipline. Per una scultura, ad esempio, c’è bisogno di competenze di disegno, analisi delle proporzioni, della conoscenza di materiali come ferro, creta, gomme siliconiche.

Al design sei arrivato per vie traverse…

Sono sempre stato incuriosito dall’arte, che raffina l’uomo, lo pone dinanzi a interrogativi che lo spingono a sfruttare tutte le risorse a disposizione per provare a capire ciò che ha di fronte, l’eleganza intrinseca dell’opera; l’arte ci mostra quanto un’idea possa essere elegante. Al tempo stesso, adoro gli oggetti quotidiani che si trovano nei mercatini, ci educano in quanto trasmettono un certo modo di fare le cose. Confesso che girare per i marché aux puces, per me, è quasi come visitare un museo.
Seguendo queste passioni, ho creato una commistione personale tra arte e design che mi ha consentito di ritagliarmi una fetta di mercato, portando nel secondo la prima, pezzi scultorei nello specifico, quindi illustrativi, narrativi, anche, poiché nel momento in cui degli animali vengono inseriti nell’ambito della funzionalità, con ogni probabilità avranno una storia da raccontare.

Ti aspettavi il successo ottenuto dai complementi d’arredo per Seletti, come la linea Love in Bloom o le lampade Monkey, divenute dei tormentoni?

È stata una fantastica sorpresa, ne sono davvero felice; ha dell’incredibile quel che è successo, a me quelle creazioni piacevano, ma non mi aspettavo certo che si guadagnassero un tale seguito. Tuttavia quando si ragiona su concetti lontani dalle tendenze, se si ha la fortuna di azzeccare quello giusto, sarà immune allo scorrere del tempo, non avrà insomma una data di scadenza, potrebbe funzionare ora come tra dieci anni.

Marcantonio collezione design

Ti sei avventurato anche in aree naturalistiche, penso alle installazioni site-specific del Parco nazionale d’Abruzzo, nel 2018. Secondo te viene percepita correttamente la necessità della relazione con la natura? Quant’è importante ritrovarla?

La ritengo indispensabile, personalmente parto da un presupposto basilare: nel momento stesso in cui ci distacchiamo da essa, ci alieniamo. L’uomo è la massima espressione della natura, avrebbe tutte le sensibilità e doti per goderne appieno, entrando in totale armonia col mondo che lo circonda. Se riuscissimo a far ciò, ne guadagnerebbe anche il trattamento che riserviamo ai nostri simili e agli animali, vivremmo in una società migliore. Poi non si può non rispettare la natura perché, banalmente, non perdona, ne siamo testimoni; eppure si continua a contaminare l’ambiente, distruggere, procedere spediti come se nulla fosse.

Le aziende sono realmente coinvolte nell’impegno verso l’ecoresponsabilità, a tuo parere?

Indubbiamente possono fare la differenza, anzitutto sul piano culturale: se si immettono sul mercato oggi prodotti di un certo tipo, si creerà una cultura sul tema domani. Per dire, se tutti gli oggetti in plastica venissero assemblati in bioplastica, avremmo risolto un problema enorme. È necessaria inoltre una sensibilizzazione sull’argomento, cerco sempre di evocare la natura, magari non con materiali eco al 100%; è un discorso complicato, ricorda un po’ la disputa sulla pelliccia sostenibile, quale lo è davvero, quella vera o l’alternativa sintetica?
La questione della plastica, comunque, non riguarda tanto il pezzo di design in sé, che dura teoricamente una vita e finisce poi nei circuiti dell’antiquariato, quanto le collezioni usa e getta, il packaging… Da consumatori e produttori abbiamo enormi responsabilità, questo è sicuro.

Com’è nata la collaborazione con Slide?

Lavorando con Persico, industria bergamasca di stampi che rifornisce tutta una serie di aziende, tra cui Slide. Mi hanno presentato Marco (Colonna Romano, amministratore delegato, ndr), abbiamo chiacchierato ed è venuto fuori un comune entusiasmo per l’Africa, per l’arte tribale, così ho deciso di sottoporgli delle idee. Sono molto soddisfatto del risultato, i pezzi della collezione sono piaciuti, Kroko secondo me ha tutte le potenzialità per trasformarsi in un’icona.

Marcantonio designer collezione
Marcantonio con un totem Threebù, parte della collezione disegnata per Slide

Altre partnership in vista di cui puoi anticipare qualcosa?

Sto stringendo un proficuo sodalizio professionale con Natuzzi, per il recente Fuorisalone mi ha commissionato l’installazione per lo showroom di via Durini, con i germogli giganti. Con Seletti lavoro costantemente ormai da tempo, ci sono poi le collaborazioni con Qeeboo, Mogg… Ho intenzione di portarle avanti tutte, ciascun marchio è un universo a sé.

Co-lab con la moda, invece?

È stata appena presentata la capsule Imperfectum con Pianegonda, una collezione completa tra anelli maschili e femminili, chevalier, orecchini, bracciali… S’ispira alla tecnica giapponese del Kintsugi, con sezioni e finiture saldate utilizzando l’oro, devo dire che è stato interessante. Nonostante vesta sempre basic, la moda mi affascina. Sono settori che si somigliano, trovo giusto ci siano connessioni frequenti.

Credi che la comunicazione del design, coi social, sia cambiata in profondità?

Basti considerare Instagram, che permette agli studenti che magari debbono ancora finire l’accademia di cominciare a lavorare con produttori e gallerie. È diventato tutto più organico, fluido, nel mare magnum dei social si può incappare in qualunque cosa, ognuno può avere pari opportunità. Il design, per giunta, sta abbracciando sempre di più l’emozionalità, con un numero crescente di persone, non addette ai lavori, che lo seguono perché ne restano colpite.

Quale messaggio del tuo lavorio vorresti fosse percepito distintamente dal pubblico?

Mi piacerebbe strappare un sorriso a chi, nel momento in cui osserva un mio oggetto, si trova a rifletterci su, l’ironia è un valore aggiunto; non nascondo, però, che mi appassionano parecchio le sfide tecniche, per cui mi sono dedicato a progetti più complessi e scultorei che non la contemplano, non potrò cercarla sempre, mi evolvo, come tutti.

Luoghi che ritieni particolarmente ispiranti, dove  ti rechi per ricaricare la tua creatività?

Quelli dove c’è meno, di tutto, Sardegna, Puglia, Indonesia, Sud-Est asiatico… Ovunque ci siano acqua, rami, legno, non ho bisogno d’altro, svuoto la mente e le intuizioni arrivano da sole. Milano dà una carica pazzesca, mi accoglie ogni volta a braccia aperte, ma è piena di input già rielaborati, non riesco a reperire informazioni originali perché, in qualche modo, sono già “semilavorate”. In certi posti sperduti nei quali il tempo s’è fermato, al contrario, si può rintracciare la storia nelle cose, anche in un semplice sasso.

Marcantonio design poltrona

Text by Federico Poletti, Marco Marini

Tananai, il fenomeno musicale della new generation

Dopo la partecipazione a Sanremo, Tananai, nome d’arte di Alberto Cotta Ramusino, ha conquistato il pubblico diventando uno degli artisti più di tendenza e seguito dai giovani. Dopo il Festival, il suo singolo Sesso occasionale è stato certificato disco di platino.

Tananai Instagram
Total look Alexander McQueen

Nato nel 1995 a Milano, Alberto è stato sempre appassionato, fin da adolescente, di musica elettronica, e si è dedicato da subito alla produzione musicale, pubblicando nel 2017 il primo album intitolato To Discover and Forget, utilizzando lo pseudonimo Not For Us. Presto inizia a esplorare vari generi musicali e a scrivere anche in italiano, pur occupandosi ancora principalmente di produzione.
Nel 2019 emerge come vero e proprio cantautore con il nuovo nome d’arte Tananai, e nel 2020 fa uscire il suo primo EP intitolato Piccoli Boati. Ci racconta lo stesso Alberto: “Il primo EP è nato dalla voglia di raccontare quello che mi succedeva nella vita, perché reputo che la quotidianità sia particolarissima a modo suo per chiunque. Quindi ho cercato di trasporre le mie giornate e storie d’amore, le mie delusioni e momenti in cui ero preso bene all’interno della musica che facevo. Venendo da un passato di produttore per la musica elettronica, dovevo imparare a scrivere e disimparare a produrre. Ho parlato di quello che conoscevo: la mia quotidianità”.

Nel 2021 la sua carriera prende una nuova piega con il singolo BABY GODDAMN, che arriva anche ad essere certificato disco di platino, con cui è ora in vetta alla classifica Top50 di Spotify Italia. Nello stesso anno arriva a collaborare con artisti come Fedez e Jovanotti, partecipando a Sanremo Giovani con la canzone Esagerata, grazie alla quale rientra nel podio dei vincitori.

Il 2022 si apre con la partecipazione al 72° Festival di Sanremo in cui presenta Sesso occasionale, un brano carico di ironia e positività. La partecipazione al Festival – nonostante le diverse critiche – gli restituisce grande visibilità, tanto che pochi giorni dopo la fine della competizione il singolo entra nella Top 10 tra i brani più ascoltati di Spotify Italia e anche BABY GODDAMN scala le classifiche, fino alle primissime posizioni della Top 50. Ci confessa Alberto: “‘Sesso occasionale’ è nata in maniera molto naturale durante una sessione in studio. È saltata fuori come continuazione di ‘Esagerata’- il pezzo di Sanremo Giovani, ci ha coinvolti da subito e abbiamo lavorato fino alla scadenza per mandarla. Non sapevo cosa aspettarmi dopo Sanremo. Sono andato a ruota libera perché pensavo solo a dare energie positive e al fatto di tornare a cantare sul palco davanti a un vero pubblico”.

Un successo che continua anche nel suo primo tour italiano che in poco tempo è finito sold out in molte date. “Il mio sogno nel cassetto lo sto realizzando, ovvero suonare dal vivo davanti a più persone possibili. E finalmente dopo tanti momenti di stop vedo che sta per succedere… Questo mi riempie di entusiasmo”.

Tananai social
Total look Gucci
Tananai Alberto
Total look Valentino, sunglasses Versace, shoes GCDS

Scoprite qui la videointervista completa a Tananai, realizzata in esclusiva per Manintown durante lo shooting per una delle sei cover dell’issue Hot child in the city.

Credits

Talent Tananai

Editor in Chief Federico Poletti

Text Federico Poletti

Photographer Leandro Manuel Emede

Stylist Nick Cerioni

Stylist assistants Michele Potenza, Salvatore Pezzella, Noemi Managò

Make-up & hair Mara De Marco

Nell’immagine in apertura, per Tananai total look Alexander McQueen

I look e le tendenze hair secondo il nostro Beauty Editor Claudio Furini

Un percorso nella moda in cui ha avuto l’opportunità di fare esperienze professionali altamente formative dal punto di vista tecnico e creativo al tempo stesso. Claudio Furini, oggi, vanta una fruttuosa e lunga collaborazione con le più importanti  realtà del fashion a livello internazionale e oggi ci racconta come nasce la sua passione per l’hairstyling e il beauty, svelandoci in tempo per le festività i trend da seguire e i look di alcuni personaggi.

Com’è nata la tua passione per hair&make up e beauty in generale?

La mia passione è nata con mia mamma. Era una donna dalla cura e dall’aspetto impeccabile, capelli con un taglio long bob biondo miele, pelle molto chiara, indossava sempre rossetto rosso e mascara, unghie nude e ballerina di Chanel. Io ero sempre affascinato quando la accompagnavo nei suoi momenti dedicati al beauty.

Quali consideri i tuoi maestri e le persone che sono state fondamentali nel tuo percorso?

All’ inizio della mia carriera, è stata fondamentale la mia insegnante della scuola di acconciatori. Sognavo già il mondo del fashion, lei ha compreso questa mia passione insegnandomi tanti segreti del mestiere.

La tendenza hair per lui e per lei e i personaggi che meglio la rappresentano?

In questi ultimi anni abbiamo assistito a diverse tendenze: capelli con onde con taglio lungo, corto, frangia con ogni taglio e colore. In questa immagine possiamo vedere Francesca Rocco all’evento di Natale per Dior, abbiamo realizzato un look glamour con onde lunghe e morbide, dando un effetto sofisticato ed elegante.



Parlando di tendenze hair uomo, troviamo il modello Marco Bellotti. Abbiamo studiato un look versatile, sia per il giorno durante il lavoro che per la sera nei momenti di svago; in entrambi i casi, il capello è diventato un accessorio da cambiare a seconda della serata, dell’evento o dell’umore. In fondo, il bello è potersi divertire con la propria immagine.



Il modello romano Edoardo Sebastianelli è il perfetto esempio di come un taglio maschile leggermente lungo, ma ben calibrato sia una soluzione molto cool e interessante, che permette cambi strategici di look. Strutturati per essere più corti nella parte inferiore ma non rasati, i capelli hanno in questo caso nella parte superiore maggiore corpo, che rende la chioma morbida e scompigliata. Ma ci vuole poco per trasformarla: basta una pasta modellante per spostarla completamente all’indietro e creare un effetto elegantissimo, che può essere più o meno “rigido” a seconda dell’occasione.



Il classico look easy-chic: così potremmo definire lo stile dell’influencer Francesca Rocco, che sa come esaltare al massimo i suoi lunghi capelli castani in maniera contemporanea ed elegante. Infatti, sceglie un taglio medio-lungo pari ed esattamente come vogliono i trend, la chioma ha un colore pieno, senza schiariture né variazioni di colore, ma è luminoso e tridimensionale. Un hairstyle versatile che Francesca porta con la riga centrale, perfetto sia con una piega liscia da tutti i giorni, che mossa per un look più particolare e raffinato.

L’ispirazione è sicuramente anni ’90, ma l’applicazione è totalmente moderna: il look del modello Marco Bellotti è una delle proposte più cool di stagione. Il capello ben sfumato è lasciato più lungo nella parte superiore, dove può essere libero e spettinato, oppure disciplinato per un effetto più elegante e in un certo senso vintage. Una versatilità che lo rende perfetto sia per coprire leggermente la fronte oppure per lasciarla completamente libera, il tutto senza sforzo. Un taglio perfetto per chi ha i capelli mossi e cerca qualcosa che sappia esaltare le onde ma che sia anche facile da gestire. E che in un attimo passi dal casual allo chic.

Last but not least un personaggio affascinante e un po’ misterioso, tra bellezza e talento: Nima Benati è più che una fotografa, un vero talento e un’ispirazione, oltre a essere una delle media personality più seguite. Nata nel 1992 a Bologna, è decisamente eclettica: sa stare sia davanti che dietro l’obiettivo con grande naturalezza, protagonista o fotografa che firma campagne, sempre mantenendo il suo stile unico.



Il suo nome ha ormai da tempo valicato i confini ed è una star internazionale. Nima è una vera e propria diva e il suo hair look riflette alla perfezione questo suo ruolo: i suoi capelli sono lunghissimi e ondulati, degni di una sirena, che porta tagliati pari e con la riga centrale per lasciare il suo bellissimo viso completamente scoperto. Naturalmente mora, ha scelto di schiarire la chioma in maniera graduale partendo alcuni centimetri dopo le radici per ottenere un effetto più morbido, ideale per esaltare le lunghezze. Il risultato è un look sofisticato, elegante e che rappresenta al massimo la sua femminilità, con la quale ama giocare e sperimentare. Non è raro vederla con acconciature dal sapore vintage, che la rendono ancora più glamour.

Hai lavorato con tanti personaggi, raccontaci qualche aneddoto curioso

Tempo fa ero stato chiamato per un lavoro con un personaggio internazionale talmente importante che non potevano dirmi chi fosse fino al mio arrivo in hotel nel centro di Roma. Ero molto teso e poco prima di salire nella sua suite mi dissero: “Signor Furini, la signora Charlotte Casiraghi la sta aspettando”. Ero molto emozionato, nel momento in cui mi aprì la porta, tutta la mia ansia scomparve, poiché la sua gentilezza ed eleganza mi avevano subito messo a mio agio.

Quali sono i personaggi con cui vorresti lavorare nel futuro?

Nel corso della mia carriera, mi piacerebbe molto poter lavorare con nomi della musica italiana come Baby K, Annalisa, Marco Mengoni, Mahmood e Gaia; sarebbe interessante realizzare videoclip musicali dove vi è la possibilità di creare look molto creativi.

Claudio Furini IG: @claudio_furini_

Passione a ritmo di danza: il percorso di Alessio La Padula

Un corpo statuario temprato da una disciplina, la danza, che richiede una dedizione fisica e mentale  pressoché assoluta, oltre a una miriade di tatuaggi: questi i tratti che caratterizzano Alessio La Padula, visto attraverso l’obiettivo di Davide Musto. Nato a Eboli 25 anni fa, lascia casa quand’è ancora un adolescente per inseguire il sogno di diventare ballerino, cominciando presto a ottenere riscontri importanti; viene selezionato 14enne dal Russian Ballet College di Genova per poi diplomarsi al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica e Danza di Lione.


Tornato nel nostro Paese, non smette più di danzare, e il trampolino di lancio definitivo è rappresentato da Amici: partecipa da concorrente al popolare talent Mediaset nel 2016 e, tre anni dopo, entra a far parte del corpo di ballo del programma.

L’innegabile talento, assieme a un look decisamente strong che contrasta con le pose, i gesti e le movenze armoniose di chi ha consacrato la propria vita all’arte di Tersicore permettono ad Alessio di collezionare ruoli di spessore, collaborando con direttori creativi e coreografi del livello di Luca Tommassini e Giuliano Peparini, dividendosi tra il palco di Amici, videoclip (tra i più recenti quello del singolo Venere e Marte di Takagi & Ketra, Marco Mengoni e Frah Quintale), concerti (è stato in tour con Alessandra Amoroso) e spettacoli teatrali, come l’acclamato musical Romeo e Giulietta – Ama e cambia il mondo, del 2018.

Tra i suoi sogni per il futuro è quello di diventare un coreografo, mentre per quanto riguarda le sue passioni, Alessio ama l’arte contemporanea (dipinge e si diletta anche con i tatuaggi), i viaggi e, soprattutto, perdersi in montagna con la moto.


Nell’editoriale in black&white in esclusiva per MANINTOWN lo vediamo interpretare con la sua esuberanza istrionica, camicie, blazer e pantaloni sartoriali tutti firmati Dsquared2.

Photographer: Davide Musto

Styling: Francesco Mautone

Make up: Noemi Auetasc

Hair: Alessandro Firenze

Location: NHOW Milano

Total Look Dsquared

I designer portoghesi da conoscere

MODALISBOA festeggia 30 anni di creatività interrogandosi sul proprio futuro



Il Portogallo si conferma un Paese ricco di tradizioni e importanti manifatture, ma anche fucina di una nuova generazione di designer portoghesi che lavorano sull’innovazione sostenibile. Proprio questo 2021 ModaLisboa ha festeggiato 30 anni di attività a sostegno della creatività portoghese. E lo ha fatto con un calendario in presenza su 4 giorni con 34 designer e 21 presentazioni divisi tra due location l’Estufa Fria magnifico orto botanico e il Capitólio.



Proprio pensando agli importanti cambiamenti nel fashion system di questi ultimi due anni la campagna di ModaLisboa, guardando al proprio passato, si interroga sul presente e futuro con la domanda: and now what?  (e adesso?). Una domanda profonda, che lascia poco spazio alle risposte, ma che d’altra parte lascia tanto spazio per la libertà, specialmente quella espressiva.


Constança Entrudo

Questo senso di libertà e voglia di sperimentare si coglie specialmente nelle nuove generazione che hanno partecipato al contest Sangue Novo che hanno visto partecipare: AMOR DE LA CALLE , ANVI, CAROLINA COSTA, FILIPE CEREJO, IVAN HUNGA GARCIA,  MARIA CLARA,  MARIA CURADO, REIMÃO, SOUSA e VEEHANA.



Tra i designer da tenere d’occhio che giocano su sostenibilità, sperimentazione tessile e colori è Duarte, designer con un’anima da illustratrice, che ha fondato le sue collezioni sulle sue grafiche esclusive. Il suo streetwear pieno di energia e la capacità  di unire allo storytelling uno story-making virtuoso la rendono uno dei nomi più interessanti della moda portoghese.



La sua collezione ‘Reef’, richiama l’attenzione sull’emergenza legata alla barriera corallina al largo dell’Australia, ad alto rischio di sbiancamento, rappresentando gli esemplari marini – attraverso le sue grafiche stilizzate – su parka, tute e varsity jacket. Ovviamente prodotti con filati tecnici come il neoprene, ricavate dal riciclo di plastiche e cotoni riciclati.



Sempre nel segno della sperimentazione materica e sostenibile è il lavoro di Constança Entrudo, fino a tutta una nuova generazione di nomi che fanno della moda genderless il loro baluardo come Cravo Studios, Filipe Augusto, Fora de Jogo, João Magalhães, Luís Carvalho e Ricardo Andrez. Nomi che da Lisbona stanno gradualmente facendosi conoscere anche nel resto dell’Europa e che speriamo riescano a farsi conoscere anche nelle altre fashion capital.


Cover: Constança Entrudo

Ugly but cool: Mariano Franzetti

Sulla contaminazione arte-moda si potrebbe scrivere un intero libro, partendo da grandi maestri come la Felt Suit di Joseph Beuys alle opere di Flavio Lucchini; gli esempi potrebbero essere tantissimi, fino ad arrivare a tempi più recenti in cui, soprattutto la moda, ha guardato all’arte. In un momento storico in cui è radicalmente evoluto il concetto di bellezza e di identità.



Il lavoro di Mariano Franzetti, artista e creativo eclettico di origini argentine, ha ripensato all’estetica dell’ugly (il brutto) in chiave ironica, per trasformarla in qualcosa di contemporaneo e cool. Dopo gli iniziali studi di architettura, Mariano si trasferisce a Buenos Aires per dedicarsi completamente alla sua passione, la pittura, che coltiva fin da piccolo, studiando i pittori rinascimentali e l’arte in generale.



Si trasferisce poi in Italia nelle Marche, iniziando subito a lavorare come artista in collaborazione con un laboratorio di architettura e interior design. Dopo essersi trasferito a Milano, sviluppa ulteriormente la sua carriera di artista e direttore creativo. Sin dagli esordi, le sue opere si caratterizzano per la ricerca cromatica, i toni brillanti e audaci, le immagini e i motivi grotteschi. Un universo costituito da fantasie apparentemente giocose, narrative stravaganti, atmosfere inusuali, che lasciano un segno sui fruitori, suscitando emozioni e stati d’animo differenti. Incuriosito dall’essere umano, dalle sue vicende e della sue svariate sfaccettature, all’interno delle sue opere si trovano spesso personaggi eccentrici, “diversi”, deformati, non solo per l’abbigliamento modaiolo e le sembianze, ma anche per lo stile di vita e la personalità.



Scoolture, dipinti e arazzi: la mostra a Bologna “PUTTY TOYS TRICKY, LORO”

Mariano Franzetti ha presentato a Bologna i giorni scorsi per la prima volta il suo nuovo lavoro artistico, che sviluppa il tema dell’Ugly but Cool tramite media diversi, dalle scoolture (come le definisce lui), gli arazzi, fino ai dipinti. Il tutto all’interno della cornice rococò di Palazzo Hercolani di Bologna, all’interno degli spazi di Zefyro e Silaw Tax & Legal, merchant holding indipendente fondata da Alessandro Tempera, che ha supportato il progetto. Questa mostra segna un importante sviluppo nel suo percorso creativo, che senza rinunciare alla dimensione pittorica e neofigurativa, si declina ora verso una tridimensionalità materica ricca di contrasti. Protagonisti assoluti di questa nuova mostra sono una strana e grottesca community di personaggi che indossano abiti iconici di importanti maison della moda, come Saint Laurent, Celine, Prada, Bottega Veneta, tanto per citarne solo alcune.



Inizialmente, queste piccole sculture in stucco erano state pensate per sostituire i modelli nell’impossibilità di realizzare servizi fotografici per la moda durante il lockdown del 2020 e hanno colmato le giornate dell’artista. Si sono nel tempo moltiplicate, trasformandosi in personaggi grotteschi, dai volti deformi con pochi capelli colorati e arruffati, ma dai look super cool. In modo spontaneo è nata un’intera generazione di questi personaggi che esplorano il dualismo costante tra realtà e voglia di apparire. Quella di Mariano è la ricerca di una bellezza non canonica come quella imposta dalla moda; da questa idea nascono questi Beautiful Loser, che riflettono bene le contraddizioni della realtà che ci circonda. Così spiega lo stesso Franzetti: “I personaggi di Putty Toys Tricky riflettono bene i contrasti del nostro tempo. Sono brutti ma cool o forse troppo cool ma brutti? Una strana e deforme comunità di individui che, pur indossando abiti delle più prestigiose griffe di moda, si atteggiano in posizioni anomale, parlano un linguaggio incomprensibile, muovendosi in modo strano e bizzarro. Ma è proprio nella loro diversità e nella loro distanza che questi personaggi vivono e comunicano.” Queste “scoolture” di improbabili fashion victims, vanno poi a comporre dei veri e propri tableaux vivant, scene che rimandano a note iconografie sacre o alla cantiche della Divina Commedia. Un’attrazione verso l’arte sacra che l’artista ha tratto dal suo retaggio e formazione in Italia, durante i quali ha visitato in modo capillare le chiese e abbazie tra le Marche, l’Umbria e l’Emilia Romagna.


I

Milano, Arte e Motori: le contaminazioni creative di Paolo Troilo

Un passato come art director e un presente-futuro da artista indipendente: questo in estrema sintesi il percorso di Paolo Troilo, che ha recentemente inaugurato la mostra “Troilo-Milano solo andata”, curata da Luca Beatrice a Palazzo Serbelloni. Come ben osserva lo stesso Beatrice: “Troppo spesso siamo abituati a chiedere, pretendere, preoccupandoci poco di dare in cambio di restituire. Paolo da Milano ha avuto e ha dato tanto, mi ha ricordato l’unicità di questo posto dove sei in mezzo alla vita e poi ti chiudi in studio senza vedere nessuno per giorni. Mi ha raccontato che i quadri esposti a Palazzo Serbelloni è come fossero cresciuti insieme a chi ha poi scelto di acquistarli. Ripresentandoli al pubblico, Paolo ci sta dicendo qualcosa come “grazie a questa città che sono diventato grande, questo è il risultato del mio lavoro, ve lo affido”.



Così, in modo del tutto imprevisto, le opere monocromatiche dell’artista– spesso di formati monumentali – entrano in dialogo con gli spazi iper decorati di Palazzo Serbelloni, creando un cortocircuito creativo. Differenti soggetti che hanno in comune la rappresentazione del corpo umano maschile in continua evoluzione tra sacro e profano, oltre alla speciale tecnica di fingerpainting, o “iperrealismo con le dita”, tecnica che ha reso Paolo un artista ben riconoscibile, unitamente alla scelta dei soggetti. Fil rouge tra le opere e protagonista della mostra è proprio Milano, città che ha accolto Troilo nel 1997 e lo ha reso un pubblicitario noto a livello internazionale, fino a renderlo un artista. Oltre alle opere è stata anche esposta nel cortile di Palazzo Serbelloni uno speciale modello Lamborghini Huracán EVO interpretata dall’artista. Si chiama  “Minotauro” e riprende il mito del corpo di uomo e toro raccontanti in un dipinto e trasposti sulla carrozzeria di una Lamborghini Huracán Evo. Attraverso le sembianze di un corpo maschile riprodotto per mano di Troilo con l’uso dei polpastrelli, l’opera è l’espressione della dinamicità, della potenza e delle emozioni che l’artista ha provato alla guida della Huracán Evo, la super sportiva di Sant’Agata Bolognese. Il tributo dell’artista alla Huracán Evo celebra la fusione tra l’uomo raccontato dalla sua pittura, il toro simbolo di Lamborghini e il concetto di mito espresso nello slancio soprannaturale, quasi animalesco, che la figura maschile dipinta sulle fiancate è in grado di sprigionare. Il cuore dell’opera è incentrata sulla fantasia del conflitto tra uomo e toro, il segno zodiacale del suo fondatore.



Conclude Christian Mastro, Direttore Marketing di Automobili Lamborghini: “Per me è stato ispirante incontrare Paolo Troilo e la sua espressività pittorica. In Azienda siamo abituati all’arte e al modo in cui questa da sempre permea le nostre automobili. Tuttavia, quando il nostro prodotto e le emozioni che questo sa dare incontrano la sensibilità di un artista come Troilo, nasce qualcosa di diverso ed eccezionalmente unico come l’opera Minotauro, di cui siamo orgogliosi”.



Il tempo. Io sono innamorato della lentezza, e l’ho sempre difesa considerandola un ingranaggio cardine del piacere, della cultura, della bellezza, del successo. Ma capita che ci siano degli incontri che ti cambiano.” ha affermato Paolo Troilo, creatore dell’opera. “Incontrare la Lamborghini Huracán EVO e provarla mi ha suggerito che esistono anche cose capaci di sprigionare le stesse energie con l’accelerazione, con la velocità, con lo scatto.  Così ho sentito il rumore del vento che aumenta mentre lo spazio si accorcia e il tempo si deforma: ho sentito un vento liquido e l’ho usato per dipingere sulla musa stessa, ispiratrice di queste emozioni – la Huracán –  il mio Minotauro”.

Nugnes celebra 100 anni fra tradizione e innovazione

Ben pochi retailer possono vantare un heritage ultradecennale come quello di Nugnes 1920; il multibrand tranese, nei giorni scorsi, ha tagliato il traguardo dei cento anni tondi di attività regalando una nuova veste allo store, che si presenta ora come uno spazio di oltre 1000 mq distribuiti su due livelli, con 18 vetrine affacciate sul centralissimo corso Vittorio Emanuele.
Una storia centenaria dunque, che affonda le sue radici negli anni ‘20 del secolo scorso, quando Giuseppe Nugnes aprì l’omonima sartoria nel cuore della perla dell’Adriatico, com’è soprannominata la cittadina pugliese.
Se già nel 1956 era stata inaugurata la boutique maschile, divenuta rapidamente un place to be per la clientela locale, e a cui seguì nel 1989 quella femminile, sarà la terza generazione a porre le basi per l’espansione dell’impresa familiare che, pur rimanendo saldamente radicata nel proprio luogo di nascita, è cresciuta col tempo fino a imporsi come un punto di riferimento nell’ambito del fashion e luxury retail, imperniata, oggi come allora, su tre cardini, ossia eclettismo, amore per il territorio e spirito avanguardista, dal respiro internazionale; la mission primaria è rimasta la stessa di allora: instaurare un rapporto speciale con i clienti, che rispecchi unicità e personalità degli stessi.


Ph. by Paola Pansini

Oggi l’intento, spiega il titolare Beppe (nipote del fondatore), è «portare avanti un concetto che ci appartiene da sempre, essere commercianti con l’animo del sarto devoto alla clientela». È proprio questa filosofia ad aver permesso all’insegna di distinguersi nell’affollatissimo panorama fashion, interpretando al meglio il ruolo di ambasciatore, di curatore quasi della moltitudine di marchi trattati, 250 in tutto, tra griffe simbolo della moda con la M maiuscola (tra le altre Prada, Valentino, Bottega Veneta, Saint Laurent, Givenchy, Balenciaga) e brand dal gusto contemporary quali Golden Goose, Ami, Nanushka o Sunnei, nomi cult dello streetwear (da Off-White a Palm Angels) e designer avantgarde del calibro di Maison Margiela, Sacai e Marni.

L’anniversario ha rappresentato l’occasione per svelare un retail concept innovativo che, pur implementando i principi ormai fondamentali dell’omnicanalità, invita i visitatori a riscoprire il piacere dell’esperienza d’acquisto in presenza. Ad accogliere le novità non poteva che essere la sede di Palazzo Pugliese, felice espressione dello stile delle dimore nobiliari meridionali di fine XIX secolo, svettante a mo’ di fortezza sul bianco accecante che domina l’orizzonte di Trani. A seguito di una progressiva acquisizione degli spazi e della meticolosa ristrutturazione, seguita dallo stesso Nugnes in tandem con lo studio Dini Cataldi, si presenta ora come un multimarca raffinato e accogliente, riflesso ideale dei valori che contraddistinguono l’azienda.


Beppe Nugnes, ph. by Paola Pansini

Progettato per restituire l’impressione di una sorta di salon raccolto e discreto, il negozio riunisce i tre satelliti di Nugnes, ovvero il salotto bespoke, l’area dedicata ai globetrotter contemporanei e il reparto donna. Mentre il primo, pensato come una reinterpretazione intimista dei club per gentiluomini d’antan, è caratterizzato da cromie ricche e brunite, nel secondo l’eleganza dinamica e cosmopolita degli articoli esposti viene declinata nel décor ricorrendo alle tonalità del bianco e nero. A sottolineare la poliedricità della selezione di capi e accessori, un mix di arredi retrò da club berlinese e capolavori del design nostrano firmati Cassina e Osvaldo Borsani.
Il piano superiore, riservato al womenswear, è suddiviso in una serie di stanze dalle differenti personalità, arredate con divani vintage o realizzati appositamente per lo store. Qui l’opulenza degli affreschi originali risulta temperata dai rivestimenti in tessuto retroilluminato delle pareti, che creano giochi di trasparenze. È ancora Nugnes a rivelare come l’obiettivo del rinnovamento fosse «tirare fuori l’anima dell’impresa, l’inventiva unita alla profondità di pensiero che ci contraddistingue. Abbiamo trasferito tutto ciò nel nuovo shop, con i suoi ambienti diversi che, tuttavia, si integrano tra loro in modo omogeneo».



Ph. by Paola Pansini

Nel celebrare l’opening con una serata ad hoc, Nugnes ha chiamato a raccolta creativi dalle competenze eterogenee, dall’architetto Filippo Dini all’art director Susanna Cucco allo stylist Adonis Kentros, artefici di un evento immersivo in grado di trasmettere la cifra eclettica e sperimentale del retailer pugliese, culminato nel cocktail dînatoire animato dal parterre cosmopolita di amici del marchio.
È stato perciò ideato un set-up sui generis che ha coinvolto tutti i prodotti in esposizione e perfino otto vetrine del palazzo, avvolte in una tela bianca chiusa dallo spago, rimando ai primi passi in azienda di Beppe Nugnes che, ancora ragazzino, si occupava dei pacchi per i tessuti da conservare. Le dieci vetrine rimanenti, invece, sono state protagoniste di allestimenti ad effetto, così da raccontare l’identità della boutique. A sorprendere gli ospiti, infine, l’ultimo coup de théâtre in forma di installazione dal sapore artsy, un cubo specchiato che custodiva all’interno 50 outfit delle collezioni Autunno/Inverno 2021 in vendita, ulteriore dimostrazione di come la commistione tra sperimentalismo e shopping experience d’eccezione, curata fin nei minimi dettagli, sia la vera forza di Nugnes.



Ph. by Paola Pansini

Sergio Fiorentino, artista che traduce in dipinti e opere sui generis le suggestioni della “sua” Noto

Per l’artista 48enne Sergio Fiorentino, catanese ma ormai trapiantato a Noto, proprio la cittadina del Siracusano ha rappresentato un punto di svolta fondamentale, uno spartiacque nel suo percorso lavorativo ed esistenziale: innamoratosi della culla del Barocco, un unicuum irripetibile quanto a luci, colori, ispirazioni e sensazioni, vi si è trasferito in pianta stabile, adibendo ad atelier uno spazio ricavato nel refettorio di un convento del XVIII secolo. Ha dunque ripreso a dipingere, una passione messa da parte dopo gli studi all’accademia di Design e Comunicazione Visiva Abadir per dedicarsi alla vendita (e restauro) di oggetti di design, riversando nei quadri una visione che potrebbe definirsi classicamente contemporanea, definita da ritratti, volti e figure rese in pennellate veloci e decise nei toni del blu, rosso, bruno e bianco, manipolate poi attraverso graffi, abrasioni e tamponature che donano un’aria evanescente all’insieme, accentuando la sensazione di silente immobilità, di sospensione che caratterizza le tele.

Gli artwork di Fiorentino, esposti nelle collezioni permanenti di diversi musei (inclusi il MacS e la Fondazione La Verde La Malfa della sua città natale), sono stati inclusi in numerose fiere di settore e mostre ospitate da varie istituzioni museali, dai Musei Civici agli Eremitani, a Padova, alla galleria romana RvB Arts, dalla Fondazione Mazzullo di Taormina alla Palm Beach Art Fair americana.
Lo abbiamo incontrato nella sua casa-studio di Noto, nel pieno centro della cittadina Patrimonio Unesco dal 2002, colma di opere terminate o work in progress, manifestazioni di un estro creativo a tutto tondo che trova applicazione anche in mobili e oggetti che sfuggono alle classificazioni. 



Quando e come hai iniziato a dipingere?

«Dopo gli studi in restauro e, successivamente, pittura all’accademia Abadir, a Catania, la mia passione si è trasformata in lavoro, con l’apertura di una piccola galleria in città dove vendevo – e restauravo, anche – oggetti di design del Novecento, dal futurismo agli anni ‘60. Dieci anni fa, giunto a Noto per caso, me ne sono innamorato, ritrovandomi così da un giorno all’altro a cambiare vita; ho chiuso il negozio, che pure andava assai bene, e ho ricominciato a dipingere. La prima mostra è arrivata con Vincenzo Medica, nonostante siano passati anni mi sembra ancora un sogno, è un’enorme fortuna poter trasformare ciò che si ama in lavoro, in vita tout court».

Da Catania a Noto, le persone continuano a raggiungerti e il tuo atelier è diventato un place to be locale…

«In effetti dal mio studio è passata tanta gente, d’altronde il luogo, all’interno dell’ex refettorio di un convento del Settecento, è meraviglioso. Pur essendo separate solo da un’ora di strada, Catania e Noto secondo me non potrebbero essere più diverse: la prima è tutta nera, lavica, sovrastata da un vulcano attivo, pervasa da una grande energia, tutto un altro mondo rispetto alla seconda, completamente bianca, sospesa, metafisica».

L’atmosfera di Noto, con la luce, il cielo, i colori unici nel loro genere, ha influenzato il tuo lavoro?

«Senz’altro, è qui che ho ripreso a dipingere, un simile contesto non può che essere presente, a iniziare dal blu, che nella mia idea è una sorta di liquido amniotico in cui iniziano a formarsi le figure; la mia pittura è legata visivamente al cielo di Noto, l’incarnato dei volti ricorda invece gli intonaci, le pietre, i muri dei palazzi, con tutte le screpolature e i segni del tempo, per non parlare dell’energia sospesa che si avverte, soprattutto d’inverno».


Con quali tecniche intervieni sui dipinti?

«Di solito realizzo volti o corpi in blu (sfumatura presente in tutti i miei lavori, anche quando non è subito visibile), quindi dipingo a olio l’incarnato e, quando il colore è ancora fresco, lo graffio, fino quasi a sfaldarlo, in modo da far emergere il fondo, come avviene nella serie dei ritratti con piante dove, dopo la prima stesura, sono intervenuto rimuovendo la materia e facendo venir fuori le foglie».

Oppure nella serie dei corpi…

«Esatto, ho fatto lo stesso nei dipinti sui tuffatori, figure in blu che risultano sospese, immobili, senza un punto di partenza né di arrivo, come fossero cristallizzate per sempre nella dimensione del quadro».

A cos’altro stai lavorando attualmente?

«A una serie di arredi in materiali tipici delle arti decorative siciliane del Settecento, in particolare del Trapanese, che vanta una tradizione straordinaria con maestranze che, già all’epoca, utilizzavano argento, ottone, corallo o lapislazzulo. Sto lavorando ad esempio a un mobile con le aguglie, un link ai dipinti dei sognatori con i pesci: si tratta di tirature limitate, nove pezzi unici diversi uno dall’altro. Ci sono poi due mobili con fili sottilissimi che percorrono una lastra di ottone, riempiti da polvere di lapislazzuli nei toni del blu oppure da polvere di corallo rossa.
Tra i lavori in corso d’opera c’è anche una creazione in rame sbalzato, nata dall’incontro casuale con un bravissimo artigiano che ho visto in azione, esponente della terza generazione di una famiglia di pupari; insieme abbiamo realizzato questa specie di scultura, di totem a due moduli. In passato ho invece realizzato delle ceramiche ispirate ai miei temi ricorrenti, come quello dei tuffatori».


Quali sono i tuoi artisti o designer di riferimento?

«Ce ne sono tanti, da Ico Parisi e Gio Ponti a un un pittore come Antonio Donghi (esponente di spicco del realismo magico, ndr), quest’ultimo mi emoziona per la capacità di ritrarre figure di vita quotidiana come se fossero “imbalsamate”, bloccate nel tempo; mi ricorda la tradizione siciliana dei bambinelli o delle statue di cartapesta, è come se le ponesse all’interno di una campana di vetro, fermandole per sempre, per certi versi provo anch’io a fissare un istante, come nei tuffi, che siamo abituati a vedere come un’immagine in movimento e nei miei quadri diventano, invece, una frazione di secondo eternamente sospesa.

Amo ciò che è antico, mi piace creare opere che abbiano un linguaggio attuale e al contempo legate al passato, vale anche per i dipinti, in cui i volti sono di persone realmente esistenti, che per vari motivi hanno per me un significato; inserendoli nella tela cerco tuttavia di estrarli dalla dimensione spazio-temporale, infatti non ci sono mai riferimenti a luoghi o tempi, in alcuni casi neppure al sesso, tanto che alcuni soggetti potrebbero essere maschili o femminili, come se provenissero da un altro pianeta».

Come descriveresti il tuo stile?

«Quando dipingo mi sforzo di essere quanto più possibile essenziale, sia a livello di immaginario sia di resa cromatica: di base utilizzo quattro colori, bianco per la luce, una sfumatura bruna per le ombre e due cromie opposte, rosso (che nella mia visione è l’anima, lo spirito) e blu, che rappresenta la carne, la materi

Scopri di più sull’artista Sergio Fiorentino

https://sergiofiorentino.it/About

Ph. Davide Musto

I gioielli aristocratici di Sergio Antonini

Nata a Milano nel 1919 come prestigiosa azienda di diamanti e pietre preziose, Antonini diventa immediatamente un “must have” della sofisticata aristocrazia milanese e italiana, e nel tempo riconosciuto come marchio di alta gioielleria. Attualmente si posiziona come un marchio di nicchia, esprime un lusso ricercato e mai ostentato, tramite l’estrema artigianalità di ogni sua creazione e la ricerca nell’utilizzo dei materiali delle pietre migliori. 

Sergio Antonini, oggi interprete della storia del marchio e attualmente direttore creativo del brand, ci racconta del suo lavoro all’interno dell’azienda.


Sergio Antonini, l’art director della gioielleria milanese

Raccontaci il tuo processo creativo, dalla prima ispirazione allo sviluppo dell’idea…

Il processo creativo è frutto di una ricerca e di un confronto, solitamente parto da un tema, da un soggetto, da un determinato periodo storico o una forma e dopodichè con il team approfondiamo la ricerca selezionando immagini o forme attinenti, per poi lentamente far emergere quello che è più congruo alla ricerca iniziale e più in sintonia con lo stile Antonini e con i nostri valori.

Come riesci a far convivere heritage e innovazione nella maison?

L’heritage per noi è un fil rouge relativo alle nostre forme al nostro stile, mentre l’innovazione sta nella ricerca sulle finiture, sulle superfici, sui materiali, che in tante collezioni abbiamo voluto esplorare ottenendo effetti inconsueti che sono diventati identificativi di Antonini (l’oro bianco naturale satinato per la collezione Matera, la superficie effetto lava per la collezione Etna, o la martellatura per la collezione Aurea).



Come lavori sulla linea haute couture rispetto alla gioielleria ready to wear?

Sono entrambi mondi affascinanti ed estremamente diversi dal punto di vista di realizzazione, di know-how, di materiali (pietre e finiture) e di lavorazioni con “processi/procedure” completamente diverse. La tempistica dei one-of-a-kind della collezione Extraordinaire non segue dei tempi prestabiliti e si presta a delle varianti in corso d’opera, spesso anche per incontrare il gusto del cliente finale che a volte commissiona il gioiello in base ad qualcosa che gli era piaciuto della stessa collezione. Per i ready to wear invece, i gioielli vengono studiati e preventivati tutti in 3D e, dopo aver valutato e calibrato pesi e volumi tramite i prototipi in resina, parte l’industrializzazione dell’oggetto che a questo punto ha una vita propria e anche le tempistiche di realizzazione sono state definite a monte.

Come hai affrontato la boa dell’Anniversario dei 100 anni? Scegli 3 pezzi o momenti della maison che siano evocativi del passato, present e futuro.

Per il nostro centenario abbiamo voluto investire in ciò che sappiamo fare meglio, ovvero disegnare gioielli. Abbiamo deciso quindi di realizzare una collezione iconica partendo dalle forme di quella disegnata per il novantesimo, quindi un segno esplorato per un precedente anniversario ma con dei nuovi valori quali l’oro giallo lucido come materiale principale / di riferimento, una straordinaria indossabilità, e la peculiarità dell’utilizzo di diamanti bianchi tutti rigorosamente F color. Pezzi/momenti da ricordare: “der Konigin in Der Nacht” che ha vinto il “Diamond award” nel 1996, capsula pezzi unici “Mosaic” anelli Extraordinaire, e alcuni gioielli rodiati in nero èer la nuova collezione Anniversary100 (foto credit: Avi Meroz).  


Due anelli della collezione Mosaic Extraordinaire di Sergio Antonini Gioielli

Come è nata la tua passione per l’arte e quali gli artisti che prediligi? Come l’arte contamina la tua visione creativa?

Milano in cui vivo e lavoro è sempre stata grande fonte di ispirazione, dall’arte al design, dalla musica, all’architettura. In particolare mi sono appassionato all’arte moderna e contemporanea e ultimamente il mio interesse è indirizzato ad artiste donne che rispetto ai loro coetanei hanno sempre avuto meno spazio e rilievo, pur realizzando lavori di grande spessore semantico, ad esempio Carla Accardi, Dadamaino, Joana Escoval, Monica Bonvicini. Milano, e le arti in generale, contamina, sviluppa, enfatizza, sottolinea e suggestiona la visione creativa per me come per tutti.

Con Palazzo Borromeo e il progetto con Miart hai iniziato un importante dialogo con la città e di mecenatismo…ce lo racconti e come evolverà nel futuro?

Tutto è cominciato grazie al rapporto di intesa LCA che ci ha fatto pensare di valorizzare ancora di più i bellissimi spazi del nostro showroom a Palazzo Borromeo. Poi con la collaborazione di APICE e AXA abbiamo esordito in occasione di Miart 2016 con la prima mostra site specific realizzata da Letizia Cariello rappresentata da Galleria Massimo Minini; un altro bellissimo lavoro è stato quello di Michele Guido rappresentato dalla galleria Lia Rumma. L’appuntamento di Miart è rivolto ad un pubblico internazionale più esteso, un database specifico di appassionati di arte, e siamo sempre lieti di presentare artisti unicamente italiani. Durante l’anno organizziamo in collaborazione con altre gallerie appuntamenti più ristretti per presentare lavori selezionati. Infine nel mese di novembre un evento dedicato al gioiello che coinvolge i clienti dello showroom. Pensiamo che queste attività potranno continuare ma sicuramente con eventi più intimi e visite private per i nostri clienti per una fruizione più personale delle opere.


Il chiostro di Palazzo Borromeo a Milano, sede dello Showroom Antonini

Sergio Antonini non solo direttore creativo ma uomo e Cultore del Buon vivere. Ci racconti qualcosa? Che artista vorresti facesse il tuo ritratto e come lo immagini?

Nell’arte non amo il figurativo, prediligo l’astratto tramite il quale gli artisti riescono a rappresentare le loro tensioni interne. Quindi non penso che vorrei un ritratto da un artista mentre amo moltissimo grandissimi fotografi/artisti quali Mimmo Jodice o Armin Linke rappresentati dalla Galleria Vistamare.

Come evolverà la gioielleria e il lusso post Covid-19?

Questa bruttissima esperienza sicuramente ci farà riconsiderare le relazioni con le persone, specialmente con i nostri cari e l’intimità della vita domestica. Per un po’ di tempo probabilmente non sarà più possibile viaggiare e forse cercheremo una gratificazione premiandoci con qualcosa che rimane negli anni e potrebbe appunto essere un gioiello. Credo anche che nella scala dei valori che ci influenzerà nella scelta di un gioiello, non daremo importanza solo all’aspetto economico (o di investimento) del prodotto ma piuttosto alla qualità della manifattura, al contenuto di design differente, alla produzione italiana, alla possibilità di indossarlo tutti i giorni e di viverlo in modo più intimo. Stiamo molto riscoprendo e riflettendo su ciò che ci circonda, una volta tutto ciò che arrivava dall’estero era cool, ora finalmente stiamo valorizzando la filiera dei prodotti/esperienze made in italy, dagli alimentari alle vacanze.

Estate italiana: alla scoperta di Siena inedita

Visto il periodo complesso per gli spostamenti e i viaggi limitati, gli italiani hanno riscoperto le tantissime bellezze disseminate lungo lo stivale. Anche questa estate sarà per molti versi molto italiana e se le coste sono letteralmente prese d’assalto, vogliamo augurarci che le destinazioni artistiche non siano del tutto trascurate. Proprio per stimolare un turismo più attento e responsabile, l’amministrazione comunale di Siena ha creato un progetto composto da 9 itinerari inediti per scoprire i volti nascosti della città. Un totale di 81 percorsi che possono soddisfare le esigenze più diverse: dalla cultura al food fino al benessere, passando per i luoghi della fede. Gli itinerari si possono trovare sul sito Terre di Siena, un vero motore di ricerca culturale e uno strumento importante per organizzare il proprio soggiorno a Siena.
Nel cuore della Toscana, Siena con le sue mura medievali mostra intatte le sue bellezze storico artistiche, un patrimonio degno delle più̀ grandi capitali europee, che va conosciuto anche tramite i retroscena storici, attraverso associazioni, accademie e circoli privati che da secoli perseguono obiettivi di tutela delle grandi tradizioni italiane in ambito letterario, storico, artistico e scientifico.
La città del Palio, con le sue 17 contrade, raccoglie e tramanda nel vivere quotidiano la cultura popolare di una città che non si esaurisce nei passaggi generazionali anzi ne trae maggiore vitalità̀. La bellezza di Siena – immortalata in opere d’arte di Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti o nelle architetture di Piazza del Campo – può essere scoperta anche tramite una serie di realtà meno conosciute, dimore storiche come l’Accademia Chigiana, i Rozzi o il circolo degli Uniti, senza dimenticare l’Accademia delle Scienze di Siena, detta anche dei Fisiocritici, per finire con i salotti letterari tardo settecenteschi come quello di casa Regoli Mocenni. E proprio centri di fama internazionale come l’Accademia musicale Chigiana o Accademie culturali come quella dei Rozzi rigenerano il rapporto tra Siena e le comunità̀ internazionali, proiettando l’immagine della città oltre ai suoi simboli più conosciuti.
Qui un veloce e personale itinerario di luoghi da non perdere in questo tour senese, guidato ma non troppo.

Partiamo da dove dormire: sicuramente il centro della città offre diversi hotel storici, ma l’esperienza immersive tra le vigne al DIEVOLE WINE RESORT è davvero indimenticabile. Immerso nel verde lussureggiante di uno degli angoli più̀ incantevoli della Toscana, il Resort di Dievole è situato a Vagliagli, a soli 12 Km da Siena, in posizione privilegiata tra le colline del Chianti Classico, i Monti
del Chianti e le Crete Senesi che da lontano guardano il Monte Amiata, oltre ad essere a breve distanza dalle località̀ toscane di maggior interesse storico artistico quali appunto Siena, Firenze o San Gimignano. Il cuore del resort è la Villa Padronale, realizzata nel XVIII secolo, circondata da giardini all’italiana e alberi secolari che, insieme agli altri edifici del piccolo borgo e la chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, rappresenta la massima espressione dell’ospitalità̀ d’autore del Chianti Classico. Tra i punti di forza della struttura: due infinity pool panoramiche e la cantina con esclusivo wine club dove è possibile degustare e acquistare vini e oli toscani D.O.P, senza
tralasciare la cucina toscana tradizionale che strizza l’occhio al gourmet. Un mix tra tradizione e ricerca, che si ritrova anche nella produzione dei vini eleganti e freschi, le cui radici affondano nella terra dei vitigni da cui nascono per arrampicarsi sulle solide mura delle cantine per dare vita a etichette importanti. Da sperimentare con compagni di viaggio amanti del bien vivre e del vino!



Siena inedita e segreta: alcune tappe da non perdere


Archivio di Stato di Siena e le Biccherne


Un luogo magico dove il tempo è sospeso e che conserva circa 60 000 pergamene, le delibere e gli statuti della Repubblica, i carteggi e gli atti delle amministrazioni giudiziaria, finanziaria (la piccole opere d’arte dette Tavolette di Biccherna). La tavolette di Biccherna sono, o per lo meno erano all’inizio della loro storia, le copertine dei registri di amministrazione della più importante e antica magistratura finanziaria del Comune di Siena, la Biccherna appunto. Su queste copertine gli ufficiali di Biccherna dal 1257 cominciarono a far realizzare delle pitture. Le tavolette furono commissionate in seguito anche da altre magistrature del Comune di Siena: la Gabella, il
Concistoro, la Camera del Comune, l’amministrazione dei Casseri e delle Fortezze, nonché da diversi enti cittadini: l’Ospedale Santa Maria della Scala, l’Opera Metropolitana, la Compagnia di S. Giovanni Battista della Morte. All’interno dell’archivio è l’esposizione complete delle Biccherne, che vede coinvolti artisti importanti come Ambrogio Lorenzetti, Paolo di Giovanni Fei, Giovanni di
Paolo, Sano di Pietro, Francesco di Giorgio, Francesco Vanni, Ventura Salimbeni, Francesco Rustici detto “il Rustichino”. Un piccolo tesoro da scoprire.



Teatro e Musica: Accademia e Teatri dei Rozzi – Accademia Musicale Chigiana


Il Teatro dei Rozzi fu inaugurato nel 1817, con una grandiosa festa da ballo riservata ai Soci dell’ omonima Accademia culturale. La prima opera rappresentata fu L’Agnese di Fitzenry di Ferdinando Paer ed in breve divenne uno dei principali teatri di prosa italiani.
Nel 1873 venne deciso un nuovo rifacimento del Teatro. In questa nuova veste il Teatro dei Rozzi restò aperto fino al 1945, anno in cui venne dichiarato inagibile a causa dei danni riportati durante la seconda guerra mondiale.
Il Teatro dei Rozzi è stato riaperto al pubblico, completamente restaurato, il 29 maggio 1998, a seguito di una convenzione con il Comune di Siena

L’ Accademia Musicale Chigiana è una delle più prestigiose istituzioni musicali italiane.
Nata nel 1932 per volontà del Conte Guido Chigi Saracini, l’Accademia rappresenta da quasi un secolo uno dei crocevia più importanti perla formazione e la crescita artistica dei nuovi talenti musicali. Sede dell’Accademia è Palazzo Chigi Saracini che conserva uno dei tesori artistici più importanti della città di Siena. La raccolta è composta da pitture, sculture, mobili e suppellettili di vario genere, collezionati nel tempo dal Conte e dai suoi avi secondo il gusto dell’epoca. Si ritrovano dipinti di Bernardo Strozzi, Giorgio Vasari, Stefano di Giovanni detto “il Sassetta”, Francesco di Giorgio Martini, Domenico di Pace detto “il Beccafumi”, Giovanni Antonio Bazzi detto
“il Sodoma”, Marco Pino, Andrea del Brescianino, Francesco Vanni, Alessandro Casolani, Rutilio. Manetti, Bernardino Mei, e di molti altri artisti italiani e stranieri che trovano posto nella preziosa quadreria e nei salotti riccamente arredati del Palazzo, accanto a urne etrusche, bronzetti e preziosi lampadari di cristallo. Nel chiostro il ristorante-bar merita una tappa per un aperitivo.



Percorsi nel verde: Orto Botanico e Orto de’ Pecci


Siena è una città immersa nella natura anche dentro alle mura. Per tutti gli appassionati due green spot da vedere: l’Orto botanico e il cuore verde dell’Orto de’ Pecci. Il percorso all’interno dell’Orto botanico si sviluppa su due livelli tra le terrazze con le piante officinali, per proseguire con le piante indigene della Toscana centro-meridionale. Cuore dell’orto è l’antica serra di fine Ottocento con le specie tropicali, mentre “il podere”, area che si estende fino alle mura è coltivato con viti e olivi, in un contesto che conserva l’aspetto paesaggistico della città. Nella parte alta del podere è stato realizzato un giardino roccioso mentre, più a valle è stato ricostruito un felceto.
Con maggiore predisposizione turistica è l’Orto de’ Pecci, un enorme polmone verde nel cuore della città. In passato era inglobato nelle proprietà dell’Ospedale Psichiatrico: i ricoverati coltivavano i campi e gli orti per il fabbisogno di verdura, frutta e animali da cortile dell’Ospedale.
Oggi l’Orto è gestito dalla Cooperativa sociale La Proposta fondata con lo scopo di inserire nelle proprie attività produttive soggetti svantaggiati che provengono dal disagio psichiatrico e da altre situazioni di marginalità sociale. Si occupa, infatti, in primo luogo della conservazione, cura e gestione del parco verde dell’Orto de’ Pecci che ospita anche un ristorante e bar. Ideale come pausa di relax mentre si visita la città, un luogo unico con vista panoramica nel quale è ricostruito anche un antico orto urbano medievale.



Il percorso delle botteghe storiche


Siena è anche sinonimo di artigianalità che coinvolge diverse attività storiche che si tramandano
da generazioni come le farmacie, pelletterie, fucine di fabbri che conservano il fascino dei secoli passati e in molti casi la storia di famiglie che per generazioni si sono prodigate per far sopravvivere la propria attività. Arredi antichi, insegne, conservate a volte anche da attività che sono cambiate nel tempo, ma che hanno intuito il valore della memoria.
Le botteghe rimaste sono infatti testimonianza della storia, della cultura e della tradizione imprenditoriale senese, monumenti vivi della Siena del passato.

ESPLORA IL PERCORSO DELLE BOTTEGHE STORICHE

Dove mangiare: Osteria le Logge, un vero crocevia tra gastronomia e cultura internazionale


Come spesso accade in Toscana, la proposta enogastronomica è talmente ricca che difficilmente si può restare delusi. Tantissimi gli indirizzi ma questo vanta il perfetto mix tra rispetto della tradizione e innovazione gastronomica. Il ristorante Osteria le Logge nasce dalla passione per l’enogastronomia che ha unito indissolubilmente Gianni Brunelli e la sua compagna di vita, Laura. Nel 1977, i due decisero di profondere tutte le loro energie nell’apertura di questo ristorante a due passi dalla Piazza del Campo. L’atmosfera resta quella tipicamente da osteria che è stata per anni la sede della drogheria Barblan & Riacci, di cui Gianni, peraltro, non ha voluto cambiare molto, facendo convivere l’atmosfera tradizionale della bottega con la sperimentazione e la ricerca della qualità arricchita da nuove proposte più innovative. Un ristorante che è diventato vero luogo di ritrovo con vocazione cosmopolita per intellettuali, politici, artisti, gastronomi e semplici visitatori.



Artisti milanesi under 30: Marco Vignati

Si è inaugurata lo scorso 28 maggio, nelle sale nobili di Palazzo Cusani, la mostra Tramestio, a cura di Michael Camisa e Sophia Radici. I protagonisti sono tre artisti milanesi under 30: Davide Ausenda (1994), Alice Capelli (1997) e Marco Vignati (1994). L’immaginario collettivo ha subito un cambiamento: la pandemia di COVID-19 ha costretto una riprogrammazione quotidiana delle nostre azioni generali, vincolate all’interno delle proprie abitazioni per diversi mesi. Le generazioni Millennials e Post-Millennials hanno visto i propri sogni spegnersi ulteriormente a causa dell’obbligo a rimanere fermi, nonostante la loro mente non lo sia mai stata. L’ambiente domestico è diventato
così sia prigione, sia officina creativa: ricordi, ambizioni, perplessità si sono mischiati tra loro. La mostra è una risposta al ribaltamento epocale che ogni individuo ha vissuto e che continua a vivere. Le alterazioni hanno colpito la dimensione spaziale, nella quale pubblico e privato sono diventati un tutt’uno all’interno di un tempo sospeso nel quale abbiamo udito un costante rumore di fondo: il tramestio.

Scopriamo qualcosa in più attraverso un dialogo con uno dei protagonisti, Marco Vignati, che ci racconta della mostra e del suo percorso.

Raccontami il tuo percorso e come sei approdato all’arte e alla fotografia

Credo che tutto sia nato molto presto, fin da piccolo. Parlando però concretamente già dall’inizio delle superiori ho capito che avrei voluto fare tutt’altro. Durante quei cinque anni mi sono approcciato quasi casualmente alla fotografia e da lì ho capito che avrei voluto continuare il mio percorso all’interno di essa. Diplomato, ho frequentato il corso di arti visive/fotografia presso L’Istituto Europeo di Design di Milano durante il quale ho iniziato a collaborare come assistente per alcuni fotografi, dalla moda allo still-life. Ho continuato dopo la laurea triennale a lavorare come fotografo di moda e still-life. Nonostante il mio corso fosse incentrato sulla fotografia di moda, il mio interesse per la si è sempre mosso verso l’utilizzo semantico dei principi costitutivi del mezzo stesso. Una ricerca che utilizza l’immagine fotografica, ma che è assolutamente distante dalla “fotografia” in quanto prende forma attraverso installazioni.


Cosa significa per te Tramestio?

Credo sia ciò che sia successo (e sta ancora succedendo) a Palazzo Cusani. Tre artisti e due curatori tutti under trenta, Un palazzo storico nel cuore di Milano. È stata un’opportunità meravigliosa e ci siamo subito adoperati per creare contenuti che fossero da un lato qualcosa che scuotesse, dall’altro che riuscissero a coesistere con il circostante. Per me è stata la prima vera occasione per mettere in mostra il mio lavoro. Chiaramente un onore.



Il tuo lavoro è a metà strada tra l’installazione e la fotografia, come è nato questo approccio?

Il mio interesse appunto fin dall’inizio dello IED si è subito spostato verso l’utilizzo della fotografia in maniera performativa/installativa. Questo sono riuscito ad unirlo a piccoli lavori di “artigianato” che ho sempre fatto, fin da piccolo, nel laboratorio di mio nonno. Ho preso molti spunti che riguardavano la mia infanzia e crescita e li ho uniti a quello che desidero raccontare ora.



Il tuo rapporto con la memoria e il tempo, tra recupero e negazione

Il discorso della memoria legato al tempo chiaramente passato mi ha sempre affascinato, un interesse quasi ancestrale. Il fatto che poi abbia portato avanti la strada della fotografia sicuramente ha fatto coincidere questi due aspetti che in qualche modo parlano della stessa cosa ma sono anche all’opposto. Da un lato l’immagine fissa ciò che è appena successo, dall’altro nel momento stesso in cui avviene inizia il suo processo di storicizzazione che impone il trascorso temporale. In un certo senso, attraverso l’installazione 002 (lo “scrigno”), ho fatto in modo che ogni fruitore possa contribuire al cambiamento costante di un’immagine fotografica. In questo senso il tempo diventa a sua volta parte costituente di quell’immagine, strettamente legato a ciò che volevo comunicare con l’immagine inserita all’interno dell’opera stessa.



Quali i tuoi materiali preferiti per le installazioni e che significato hanno per te?

Ferro, cemento e legno sono materiali che ho sempre usato e visto usare durante le estati e le vacanze invernali nel laboratorio del nonno. Mi è sempre piaciuto poter essere in grado di modellare e creare oggetti con le mie mani, potrei dire che è stato un passaggio scontato. Le installazioni presenti vedono come protagonisti effettivamente questi materiali che ho usato in realtà più per appesantire le strutture e quindi parlare la stessa lingua rispetto al concept dell’opera. Pensiero e ricordo pesante nel personale, e pesante concretamente già solo come immagine.

I social media contribuiscono a comunicare anche l’ arte e il tuo lavoro? Memoria o dispersione?

Ho provato a comunicare questo tramite social, ma ho riscontrato davvero poco seguito. Posso aver sbagliato la modalità così come può essere che il mezzo stesso non sia fatto per questo tipo di dinamica. I social chiaramente li uso, li apprezzo e ne capisco il valore ma non sono un grande fan.



Sogni e progetti imminenti…

Per il futuro credo semplicemente che tutto ciò che è stato realizzato quest’anno sia la base di un percorso. Non è che il primo passo in fondo. La prima vera mostra. Da qui a fine anno ci saranno altre novità, nuove mostre e collaborazioni con altri mondi creativi.

SCOPRI DI PIU’ SULL’ARTISTA

Il Design artistico secondo Francesco Maria Messina

Un percorso internazionale quello di Francesco Maria Messina che dall’originaria Pisa, cresce a Parigi e si forma professionalmente tra Francia, Stati Uniti, Africa e Mauritius. Per lui il punto d’inizio è sempre rappresentato da una storia, un tema o anche un reportage, da declinare non in modo astratto, bensì concretamente in oggetti, installazioni e complementi d’arredo che riescono a raccontare una storia. Nelle sue creazioni convoglia spunti relativi alla società, all’attualità, all’evolversi di usi e costumi del mondo contemporaneo, filtrandole attraverso un approccio sui generis al design, frutto di numerose esperienze internazionali e di una formazione umanistica.Nel suo corpus lavorativo si stagliano le opere realizzate durante il soggiorno mauriziano, cinque collezioni per un totale di venticinque pezzi sviluppati nell’arco di soli sei mesi, che restituiscono le suggestioni della natura dell’isola africana. Per quanto riguarda invece i suoi lavori in progress, Messina intende evidenziare, con la sua pratica al confine tra design e scultura, argomenti di grande rilievo quali lo scioglimento dei ghiacciai, il riscaldamento globale, l’erosione delle coste e il riciclo della plastica finita nelle spiagge. Le creazioni di Francesco, sorprendenti e mai convenzionali, si presentano come esempi eclettici di functional art, realizzati in edizioni rigorosamente limitate e imitando la natura, da cui il creativo trae costantemente ispirazione.



Sebbene sia un architetto-urbanista, influenzato durante il percorso di studi in Francia dall’esempio dei suoi maestri (ossia l’archistar Odile Decq e Matteo Cainer), Messina porta avanti fin dall’inizio un modus operandi che vede nell’idea forte, nel concept un elemento centrale e ineludibile, da sviluppare poi in corso d’opera, che si tratti di progetti d’architettura (per esempio musei o edifici) oppure di design. Riallacciandosi alla propria formazione classica e usando quasi esclusivamente materie prime naturali, crea oggetti scultorei che stupiscono per l’originalità delle forme e i forti contrasti materici, contraddistinti dall’impiego di insoliti materiali d’eccellenza, unici e quasi mai riproducibili.
Lui stesso sottolinea come la ricerca, in questo senso, sia funzionale a mantenere la coerenza dell’idea iniziale: così, ad esempio, “nel caso dell’ultima collezione ispirata allo scioglimento dei ghiacci polari ho impiegato mesi per trovare il marmo/cristallo giusto che meglio rispondesse alle mie necessità, trovando nell’alabastro il compromesso perfetto”.

Dopo tredici anni all’estero, è tornato in Italia dove, nel giugno 2020, ha fondato FMM Design Studio in Toscana, suo luogo d’origine e fonte d’ispirazione impareggiabile, nonché meta ideale per scovare i migliori artigiani e materiali unici al mondo, tra cui il marmo di Carrara e l’alabastro di Volterra. Oggi le sue creazioni trovano posto nella prestigiosa Galleria Rossana Orlandi (a Milano e Porto Cervo) e nelle sedi di Parigi e Cannes della Galerie des Lyons.

È proprio Francesco Maria Messina a illustrare nel dettaglio le sue esperienze e progetti passati e presenti e tanto altro ancora.


“Ile Maurice ” low table
basalt stone and bespoke glass
110x155x60
ph by Stefano Pasqualetti
by Cypraea

Iniziamo dalla tua formazione, vuoi parlarcene?

«Ho studiato a Parigi, mi sono trasferito quando avevo sedici anni per seguire mia madre, quindi ho finito lì il liceo per iniziare poi l’università, studiando con Odile Decq all’École spéciale d’architecture, storica istituzione parigina. Rispetto al classico percorso di studi in architettura italiano, quello francese presenta una vena artistica e creativa piuttosto che scientifica o strutturale, e ho avuto la fortuna di relazionarmi con professori provenienti da paesi come Stati Uniti, Spagna e tanti altri, che hanno sempre cercato di trasmettere l’importanza di avere un concept, di partire da un’idea forte che non fosse un semplice esercizio formale, di concentrarsi su una riflessione, un’analisi, una ricerca e cercare di rispettarla in corso d’opera. Dunque mi sono formato come architetto e, dopo la laurea triennale a Parigi, ho fatto un’esperienza di sei mesi in America, a New Orleans, con un progetto di social housing nato dopo il disastro dell’uragano Katrina, quindi sono tornato in Francia e la direttrice Decq ha proposto a me ed altri sei studenti di partecipare alla realizzazione della sua nuova scuola di Lione; così sono partito per la città, dove sono rimasto oltre due anni, preparando allo stesso tempo la tesi del master.
Tutto questo per dire che la mia formazione è quella canonica dell’architetto, finché nel 2017 sono partito per il Camerun, lavorando come project manager assistant per uno studio italiano che supervisionava i lavori di uno stadio per la Coppa d’Africa. Mi mancava la possibilità di esprimermi creativamente, poi quasi per caso sono stato contattato da un’azienda mauriziana che cercava un architetto-designer per lanciare una linea di design di lusso da esportare all’estero; perciò mi sono trasferito a Mauritius, trovandomi decisamente bene (tanto da rimanerci due anni e mezzo) e cominciando un percorso nel settore per me inedito del design. Mi è stato chiesto per la prima volta di occuparmi di mobili, mi sono confrontato con questo mondo ed è nato un amore, privo degli ostacoli legati all’architettura odierna (tempistiche lunghe, modifiche ecc.), che mi dava la possibilità di mantenere la stessa creatività ed approccio concettuale esprimendoli, però, nell’arco di poche settimane, perché dallo sketch iniziale al modello finale volendo possono bastare tre giorni; l’ideale per me che sono molto attivo, voglio tutto e subito, avere la possibilità di accedere all’atelier di turno e chiedere un prototipo per la fine della giornata è stato fantastico, ho liberato tutta l’energia creativa e in nove mesi ho realizzato venticinque pezzi, prendendo spunto ovviamente da Mauritius per collezioni ispirate ai vari aspetti dell’isola, dalle spiagge e la barriera corallina alle parti meno conosciute del luogo (foreste, roccia, legno ecc.)».


Ile aux Fouquets free standing mirror-light
basalt stone and bespoke mirror
ph by Stefano Pasqualetti
by Cypraea
 

Parli della linea Cypraea giusto? Nel tuo lavoro ricorre l’elemento naturale…

«Sì assolutamente, la natura è stata – e rimane – la mia prima fonte d’ispirazione, ma con Cypraea volevo raccontare qualcosa che non fosse solo una celebrazione del mare per cui è famosa Mauritius; ci sono certamente dei pezzi che lo fanno, come la libreria ispirata ai coralli con la sua struttura organica in sabbia, però ho impostato un percorso diverso, puntando al mercato internazionale dei vari brand. Ci siamo resi conto, tuttavia, di aver realizzato prodotti di nicchia, dal design esclusivo sia in termini di forme che di materiali, e così siamo finiti nel mondo delle gallerie d’arte, tanto che dal voler partecipare al Salone del Mobile (l’obiettivo primario dell’azienda) siamo approdati al Fuorisalone, alla galleria Rossana Orlandi, a Parigi, Londra ecc., occupando una nicchia assai esclusiva ma anche più “alta” a livello di clientela e immagine.

Rossana Orlandi ci ha scoperto praticamente per caso: a Milano facevamo quasi un porta a porta per cercare showrooom ed esporre al Salone, è stato cruciale l’incontro con Andrea Galimberti della galleria milanese Il Piccolo, che trovando incredibili le nostre proposte e non potendo esporci di persona, ha chiamato davanti a noi la Orlandi; l’abbiamo incontrata il giorno seguente, ha voluto l’intera collezione e così è partito tutto.

Credo che il mio lavoro, alla fine, consista in una sorta di functional art, sono pezzi di design che, al tempo stesso, mostrano un côté scultoreo, opere con una funzione insomma. Il cabinet, ad esempio, è funzionale in quanto contenitore, però ha una forma, un tipo di materiale che somiglia a una scultura, lo stesso vale per il tavolino o la libreria.

Aggiungo, da ultimo, che parteciperò alla prossima Venice Design Biennial, purtroppo a causa della pandemia non ci saranno molti eventi, ma rimane una vetrina per il design parallela a quella di architettura, con nomi d’eccezione. Mi presenterò alla manifestazione con due pezzi inediti: un coffee table chiamato Iceberg, realizzato interamente in alabastro e vetro, e uno specchio nei medesimi materiali; sono ispirati entrambi allo scioglimento dei ghiacci, quindi due creazioni di denuncia se vogliamo, ed è proprio ciò sui cui volevo puntare l’attenzione, lo specchio è da terra, con la base in alabastro, e ha la forma di un iceberg alla deriva che proprio recentemente si è sciolto, frantumandosi in mille pezzi».


“Aqua” shelf 
Sand and acrylic ( 3 modules , tot dims :2100 x 3600 )
ph by Eric Lee  
by Cypraea


Questo dei ghiacciai è un tema decisamente attuale, Ludovico Einaudi tempo fa ha eseguito una performance al pianoforte al Polo Nord. Pensi che l’arte debba avere anche una funzione di denuncia e di impegno sociale?

«Lo credo anch’io, con Cypraea infatti avevamo deciso di riservare una percentuale dei profitti alla Mauritian Wildlife Foundation e a un altro ente ambientale, in questo senso non ho ancora preso accordi a titolo personale, però mi piacerebbe prendere parte a delle iniziative che abbiano un risvolto pratico».


“Rochester” cabinet.
solid wengè, solid brass, premium leather
53x155x95
ph by Stefano Pasqualetti
by Cypraea

Quali i progetti per il futuro e il prossimo Salone del Mobile?

«Il Fuorisalone in qualche modo verrà probabilmente organizzato e dunque sì, mi piacerebbe provare a fare qualcosa, magari con Rossana Orlandi. Ad ora di confermato ci sarebbe, a settembre, un evento della Paris Design Week curato da François Epin, uno dei principali curatori francesi di design e arte contemporanea, in una bella cornice qual è la Cornette de Saint Cyr, hôtel particulier nel XVII arrondissement, e che avrà una bella curatela di artisti, se tutto procede come previsto dovrei partecipare con un pezzo dedicato, ancora una volta, alla questione dei ghiacciai. A giugno, inoltre, dovrebbe arrivare un altro evento in Sicilia, a Noto, non so ancora precisamente su quali temi (con ogni probabilità sarà incentrato sui quattro elementi naturali), una collettiva di 3-4 artisti in cui sarò anche io. Si tratta di una bella iniziativa perché la location è quella di Palazzo Nicolaci, un edificio patrimonio Unesco con saloni gattopardeschi, semplicemente meraviglioso».



Da Roma a Hollywood: il percorso di Alan Cappelli Goetz

Ph: Davide Musto

Styling: Vincenzo Parisi, Alfredo Fabrizio

Hair and make up: Cosimo Bellomo

Special thanks: Lorenzo Esposito

Location: La casa di Ganesh, Roma

Da Anversa a Roma, passando da Hollywood: questo è il percorso di Alan Cappelli Goetz, attore diventato un volto noto delle fiction Rai ma anche in alcuni importanti produzioni americane. La sua carriera è tutt’ora in ascesa e lo dimostra il fatto che lo abbiamo potuto vedere interpretare personaggi sempre più importanti nelle fiction e nelle serie TV in onda negli ultimi anni. Oggi, ci racconta della sua ultima produzione internazionale: The Poison Rose, un thriller in cui interpreta John Travolta da giovane.


Pantalone Etro, maglia ricamata Maison Laponte

Partiamo dal tuo ultimo film in uscita The Poison Rose, un thriller in cui interpreti John Travolta da giovane. Come è stato confrontarsi con grandi attori in questa produzione? Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Purtroppo o per fortuna per me i grandi attori sono rimasti a Hollywood e la parte italiana del film è stata girata integralemnte nel Lazio da noi italiani. Ti assicuro che anche solo l’idea di sapere che lo stesso Travolta visionava il materiale e lo approvava (essendo lui anche uno dei produttori del film) mi metteva abbastanza ansia ed emozione. Ci siamo poi incontrati al festival del Cinema di Roma.

Quali le scene di The Poison Rose per te più difficili? Come è stato lavorare con Alice Pagani (di cui ti innamori nel film) ?

Lavorare con Alice è stata una bella esperienza. E’ una grande attrice ed una professionista, ci siamo aiutati tanto, specialmente nelle scene di intimità e penso che alla fine il risultato si veda. Nonostante il mio personaggio (John Travolta da giovane) sia duro e riflessivo, mentre giravamo le scene, dentro mi sentivo sciolto dall’intima connessione che si era creata. 



Cosa puoi dirci invece del tuo ruolo ne “La Fuggitiva” ora in onda su Rai 1?

In questa serie interpreto un banchiere svizzero, ma non voglio anticipare troppo perchè ho un ruolo chiave nella riuscita dell’impresa dei due protagonisti (Vittoria Puccini e Eugenio Mastandea). Carlo Carlei, che è il regista di questa serie ( e precedentemente di altre serie in cui ho lavorato come i Bastardi di Pizzofalcone e Il Confine) mi ha voluto fortemente e ha proprio pensato a me per questo personaggio. Pensa che la colonna sonora presente ne “il Confine” compare anche in una scena andata in onda la scorsa settimana ne la Fuggitiva.

Raccontaci il tuo percorso fino ad oggi. Come è nata la tua passione per il cinema e teatro?

Ho da sempre desiderato fare questo mestiere. E’ come se non si scegliesse davvero, la passione esiste dentro da sempre, va solo ascoltata, e questa cosa vale per tutti i mestieri del mondo, secondo me. Sono arrivato a Roma a 19 anni, un passaggio ad Amici, poi lo studio matto e disperatissimo al centro sperimentale di cinematografia, dove sono stato notato da Francesco Vedovati, (forse il casting italiano più conosciutio all’estero) che mi ha lanciato nello spot della Tim diretto da Muccino. Da li è cominciato tutto. Tante serie e film, anche internazionali. Alcuni dei progetti che porto più nel cuore sono sicuramente Il principe abusivo, Tutti Pazzi per Amore, I Medici, Il confine diretto da Carlo Carlei e anche Crossing Lines.



Della tua città natale Anversa che ricordi hai? E’ considerata la patria della moda concettuale e dell’arte…tu che rapporti hai mantenuto con le tue origini belga?

Purtroppo non ci vado spesso quanto vorrei, ma amo molto le mie origini. penso sia una fortuna crescere contaminati da idee e culture diverse specialmente in questi tempi dove anche la politica vede l’aumento di forze nazionaliste di vecchio stampo, mi sento fortunato a non aver alcun dubbio al riguardo. Più siamo mischiati, contaminati, incrociati, meglio è.

Un personaggio tra quelli che hai interpretato a cui sei particolarmente legato?

Franz- de “Il Confine” (visibile anche su raiplay). Un ragazzo che esattamente come me è attraversato da due culture, quella italiana e quella austriaca, in questo caso il tutto condito in salsa 1914, prima guerra mondiale. Una storia d’amore in due direzioni, una fraterna e una romantica. Un ruolo che non dimenticherò mai anche grazie alle incredibili location nel Carso (dove hanno ricostruito le trincee) e per la verità della storia che raccontavamo. Vivere anche se solo sul set i drammi dei soldati 18enni mandati al massacro sul confine è qualcosa che ti lascia un grande senso di gratitudine verso la vita che vivi e di responsabilità na farne del mio meglio.

Con quali registi ti piacerebbe lavorare in futuro?

Uno su tutti, lo ripeto da anni, chissà che non gli arrivi prima o poi la pulce nelle orecchie, Xavier Dolan. L’ho anche incontrato a Parigi, ma non ho avuto il coraggio di propormi per un suo film…



Parlando di serie invece, una che stai apprezzando in questo periodo?

Sarà banale ma sto riguardando per la seconda volta tutto The Crown. 

Sei vegetariano e ambientalista, quali i tuoi progetti?

Cerco di divulgare il più possibile temi importanti e che possono veramente fare la differenza attraverso i social. Penso che sia responsabilità di tutte le persone con un seguito più o meno folto di sensibilizzare il mondo verso valori a loro vicini, oltre che usarli come autocompiacimento. Purtroppo in molti casi questo non accade e allora ci provo io a compensare. Battaglie contro l’abuso di alimenti di origine animale, la plastica, il fast fashion e contro chi non rispetta i diritti umani. Ci metto dentro un pò tutto quello in cui credo. Ma diciamo che il focus principale sono gli allevamenti intensivi e il modo brutale in cui è prodotta la carne oggi nel 90% dei casi. Questo disastro oltre che eticamente inaccettabile è anche un problema per la nostra salute e guarda un pò, anche per l’ambiente. Bisogna fare un piccolo sforzo e rivedere le nostre diete verso alimenti di base vegetale e limitare il consumo di proteine animali. E’ un imperativo che la scienza ci chiede, e anche L’OMS. Non vedo come sia possibile pensare che sia dietrologia o “propaganda” vegana. Non c’è nemmeno bisogno di essere vegani, per l’ambiente già una riduzione di 2-3 unità al mese è un passo avanti importante. Ognuno deve fare quel che può, l’importante è che faccia qualcosa. Non basta chiudere l’acqua del rubinetto quando ci laviamo i denti, pensa che un solo hamburger richiede per essere prodotto l’equivalente di due mesi di docce. Capisci perchè ce l’ho con la carne??

Oggi per te anche la moda deve essere ripensata in chiave sostenibile?

La moda o fa questa scelta o è destinata a finire come le pellicce nuove, nel dimenticatoio delle nuove generazioni e negli armadi di clienti show off ancorati a concetti del passato. Per fortuna tante aziende (come il gruppo VF) stanno facendo seri passi in avanti con l’utilizzo di nylon rigenerati, scarpe con suole eco-sostenibili ecc…


Total look Etro

Sei su Clubhouse, cosa ne pensi di questo nuovo social e come lo utilizzi?

Mi piace molto, ma non so se diventerò un abituè… Vedremo! Intanto mi sono iscritto subito alle stanze sulla sostenibilità!

I capi essenziali nel tuo armadio?

Maglietta bianca, jeans chiari e scuri, camicie anni Ottanta. 

Se potessi partire domani dove andresti?

In Giappone a finire di esplorare il sud del paese e le sue coste tropicali.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Innamorato, immerso nella natura, circondato dagli amici migliori. Non troppo distante da come mi trovo ora a dire il vero…

Jayred: da Youtube al mondo della musica

Ph: Davide Musto

Video: Vincenzo Traettino

Video Art Direction: Federico Poletti

Styling: Filippo Solinas

Special thanks to One Shot Agency


Un passato da Youtuber, performer e infine l’entrata a gamba tesa nel mondo della musica, vera e principale passione di Lorenzo Paggi, in arte Jayred.

⁠Classe 1997, con Roma nel cuore ma residente a Milano, lo abbiamo intervistato all’interno di @chillhouseita, in cui Lorenzo risiede momentaneamente come guest. La scelta della location non è casuale: se la Chill House è un crocevia di percorsi e carriere differenti, il punto di unione è la creatività, la capacità di pensare fuori dagli schemi e soprattutto la voglia di mettersi in gioco. E Lorenzo ne ha da vendere.

Lo stile skate punk che lo ha accompagnato mentre muoveva i suoi primi passi nel mondo del web ha lasciato spazio ad una ricerca più profonda di sé stesso, tra influenze punk e pop punk e sperimentazioni originali e inedite il percorso di Jared nel mondo della musica è partito con il botto: ‘14‘, singolo d’esordio, conta oltre 8 milioni di ascolti su Spotify. 


Da poco è uscito un nuovo singolo, Dipendenza, che ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo successo: il suo percorso nel mondo della musica è appena iniziato.


Faces: Tancredi Galli

Video: Vincenzo Traettino

Art Direction: Federico Poletti

Styling: Filippo Solinas

Total look: Gucci

In cover: Ph Jacopo Gentilini

Special thanks One Shot Agency


Web star, artista, attore e creativo a 365 gradi. Tancredi Galli in arte Sightanc è uno dei talent più versatili del panorama Italiano.
Vi ricordate di lui? Lo abbiamo visto lo scorso autunno sfilare sul tappeto rosso del festival del cinema di Roma in occasione della prima di “Cosa Sarà”, pellicola diretta da Francesco Bruni dove Tancredi ha recitato al fianco di Kim Rossi Stuart.
Questa volta lo abbiamo incontrato all’interno di @chillhouseita, progetto tutto italiano che vede coinvolti alcuni tra i creators più influenti della GenZ, e tra un TikTok e una diretta su Twitch, Tancredi coltiva la sua passione per l’arte dipingendo quadri che hanno mandato in tilt internet.



Faces: il maestro tatuatore Alex De Pase

Alex De Pase è uno dei maestri più quotati, specializzato nel tatuaggio realistico e nella ritrattistica. Inizia a tatuare per caso, da ragazzino infatti aveva la passione del disegno e in mano pochi rudimentali attrezzi del mestiere, ma anche un destino segnato: diventare non solo uno dei maggiori esponenti del tatuaggio realistico nel mondo, ma far entrare un percorso di studi dedicato al tatuaggio in una istituzione accademica. Tra gli ultimi progetti anche la creazione di una linea di sneaker di lusso di cui ci svela di più nella nostra conversazione.

Com’è nata la tua passione per il tatuaggio e la ritrattistica?

La mia passione per il tatuaggio è nata molti anni fa nel 1990, quando conobbi una persona piuttosto eccentrica e molto tatuata, che a sua volta tatuava, e che poi sarebbe diventata per me un mentore. Parliamo di anni in cui essere tatuati dava ancora molto scalpore e ti etichettava immediatamente come una persona poco raccomandabile, figuriamoci poi l’alone di mistero che aleggiava su chi i tatuaggi li faceva. Io ero un quattordicenne decisamente ribelle che andava controcorrente e al tempo stesso ero fortemente appassionato di disegno. Da questa amicizia è iniziata la mia avventura nel mondo del tatuaggio e non mi sono mai più fermato.



Mi sono accorto che nell’eseguire i primi ritratti provavo un’emozione enorme, dare vita a qualcosa di simile sulla pelle mi coinvolgeva in maniera assoluta. Da lì ho iniziato a dedicarmi esclusivamente a quello mettendomi come obiettivo di diventare tra i più conosciuti tatuatori al mondo per la ritrattistica a colori. La gratificazione che senti e il trasporto che hai quando fai qualcosa che realmente ti nasce da dentro è impagabile e al tempo stesso ti consente di raggiungere risultati davvero importanti.

Quali sono stati gli step fondamentali nella tua carriera?

Gli step fondamentali sono stati diversi in diversi momenti. Il primo è stato quando appunto ho deciso di dedicarmi alla ritrattistica a colori, decisione che ha segnato e dato il via alla mia. Poi un altro momento importante è stato quando sono stato inserito dal giornale storico del settore, la rivista americana “TATTOO”, tra i 10 migliori tatuatori al mondo. Questo mi ha dato una grande notorietà e l’anno successivo un’altra nota rivista del settore, “REBEL INK”, mi ha inserito nella lista dei 25 tatuatori più ricercati al mondo. Poi sarebbero davvero tanti i momenti significativi della mia carriera ma forse quello più importante è arrivato qualche anno fa quando il museo Macro di Roma mi ha conferito il titolo di artista contemporaneo, cosa del tutto inaspettata per il mondo del tatuaggio e da lì poi l’esposizione dei miei tatuaggi al museo M9 di Venezia. Infine, non ultimo, quello di realizzare una linea di sneakers luxury.



Com’è nato il progetto di calzature?

Tra le mie passioni c’è sempre stata anche quella per la moda e in particolare per le sneakers. Per diletto creavo dei progetti che raffiguravano proprio delle calzature tra l’elegante e lo sportivo. Cercavo di immaginare come avrei potuto dar seguito alla mia creatività e a come i miei tatuaggi potessero essere visti anche in altri ambiti e in particolare quello della moda. Quindi nei disegni che preparavo inserivo i tatuaggi che avevo fatto. Un giorno li mostrai al mio amico Kardif e insieme abbiamo deciso di concretizzare questo progetto, creando una linea di luxury footwear.



Quali sono i tuoi punti di riferimento nel mondo creativo?

Non posso dire di aver mai avuto dei punti di riferimento ai quali ispirarmi per stimolare la mia creatività, la creatività secondo me è frutto della tanta curiosità, della voglia di rimanere affascinati davanti alla bellezza, davanti a qualcosa che è percepito come diverso. La curiosità secondo me è una fonte inesauribile di creatività, io sono sempre stato incuriosito da tutto e alimentando la mia curiosità sono poi arrivato a un mio modo personale di essere creativo.



Che personaggi vorresti portassero le tue sneaker e i tuoi tattoo?

Immagino che le nostre sneakers siano perfette per chi ama l’arte e il luxury, ma non sente il bisogno di esibirlo o di ostentarlo. Una persona dall’essenza estrosa e che ama la peculiarità dei dettagli, così come l’appeal strong del nostro stile.

Natura e arte: i gioielli di Arlo Haisek

Arlo Haisek è un designer di gioielli e micro sculture cresciuto nel Chianti e poi formatosi a Firenze dove frequenta l’Istituto d’Arte, facendo esperienza in diversi laboratori orafi a Pontevecchio per poi lanciare il proprio marchio e atelier in via dei Bardi a Firenze. Grazie alla passione per i minerali, per le pietre dure e all’esperienza nel taglio fatta a Jaipur, realizza pezzi unici con pietre e materiali non sempre ordinari ma capaci di avvicinarci a quell’emisfero fatto di sensazioni e ricordi ancestrali che tali materiali possono far emergere in chi li indossa. Trae ispirazione dalla natura, che rappresenta anche un importante valore da difendere. Un’estetica che privilegia l’irregolarità dei materiali che contribuiscono a rendere l’oggetto unico e speciale.




Raccontaci il tuo percorso e come è nata la tua realtà

Ho sempre creato sculture e altri oggetti con frammenti di legno, ingranaggi, ma unire il metallo era un’alchimia sconosciuta. Quando si presentò l’occasione di scegliere il mio percorso scolastico ho pensato che avrei potuto realizzare il sogno di costruirmi una bicicletta. Così mi sono iscritto alla sezione di oreficeria all’Istituto d’arte di Firenze per imparare la tecnica della saldatura. La mia è stata una lunga gavetta nei laboratori di Pontevecchio, guidato sempre da una grande determinazione nel proseguire il mio percorso nonostante le difficoltà. Ho iniziato a collaborare con aziende di moda come creatore di fibbie, oggetti grazie ai quali si creò interesse verso le mie lavorazioni, arrivando così ad essere selezionato come modellista di gioielli per le sfilate. In seguito, pur lavorando con importanti maison, ho deciso di mettermi in gioco e ho lanciato il mio brand.




Come si porta avanti la tradizione restando al passo con i tempi?
Porto avanti la tradizione della tecnica antica della cera persa, utilizzandola con uno stile contemporaneo. Oggi la società impone di utilizzare macchine moderne in 3D, portando però a produzioni dozzinali. Il mio intento è di valorizzare il fatto a mano. L’economia di oggi si basa su manufatti creati con macchinari a controllo numerico e a mio parere molto più freddi, dove si perdono i particolari e l’essenza di un tipico prodotto artigianale.




Quali i tuoi pezzi iconici che caratterizzano il tuo marchio e come sono nati?


I miei pezzi iconici sono gli anelli e i bracciali che fanno parte della collezione Fusion, nata alla fine degli anni novanta/inizio anni duemila. Sono caratterizzati da colature primordiali che riportano alle trasformazioni delle superfici naturali date dall’eruzione dei vulcani. Altra collezione cui tengo molto si chiama Wood, che equivale a un grido d’allarme per la natura, essendo parte fragile e vittima di guerre, inquinamento e della distruzione dell’uomo. Questa linea è nata montando frammenti di legno, come se fossero preziosi più dei diamanti.

Raccontaci delle tue ispirazioni e processo creativo

Spesso tutto parte da una gemma, da una pietra. La mia ricerca si nutre nel vedere le fasi che la pietra attraversa, dalla terra al taglio. Studio la valorizzazione di gemme che presentano inclusioni per sottolineare l’unicità della natura, il bello del diverso e
dell’irregolare. Per me la simmetria è simbolo di freddezza. Il mio processo creativo nasce, oltre che dall’osservazione dei miei miti e maestri dell’arte, da ispirazioni naturalistiche, da ciò che vedo tutti i giorni partendo dalla campagna ai centri storici medievali. Esprimo quello che assorbo dalle visioni quotidiane.

Quali le tecniche artigianali che sono parte del tuo heritage e utilizzi ancora oggi?

La tecnica artigianale che prediligo e di cui sono maestro è la cera persa. Sono stato scelto per tenere un corso alla Scuola Lorenzo de Medici e per trasmettere ai giovani questa tecnica preziosa. Questa è la materia che la professoressa Piera Bellini dell’Istituto d’Arte di
Firenze mi ha fatto amare e che caratterizza le mie creazioni.




I progetti per il futuro e che strategie stai sviluppando per superare questo momento?

Di sicuro sono concentrato verso una continua crescita per rendere i miei gioielli e le sculture sempre più importanti. La mia strategia è di essere sempre più visibile e presente nei
paesi da dove provengono i miei clienti più consolidati. Vorrei far conoscere ad un pubblico sempre più vasto il mio lavoro. Per questo è importante potenziare l’online, i social e altri canali, ovviamente portando sempre avanti le collaborazioni con grandi negozi di moda.



Barbera Sandro & Figli: calzature d’eccellenza da oltre 50 anni

Il laboratorio Barbera Sandro & Figli nasce 53 anni fa a Biella, comune dalla lunga e gloriosa tradizione nel settore tessile, dove Sandro Barbera, con il supporto cruciale della moglie Luciana, apre un’omonima “bottega”, passando ben presto dalla riparazione alla produzione in proprio di scarpe.
L’obiettivo è chiaro e ambizioso: proporre a una platea di intenditori calzature in pelle della miglior qualità possibile, realizzate rigorosamente a mano, impiegando pellami di pregio e seguendo alla lettera i dettami della tradizione artigianale locale.

Queste peculiarità sono state mantenute dai figli del fondatore Stefano e Andrea, subentrati al padre e decisi a perpetuarne il lavoro, scrivendo nuovi capitoli di una storia pluridecennale che, proprio in occasione del 50esimo anniversario, si è arricchita del riconoscimento di Eccellenza Artigiana, conferito dalla regione Piemonte, al quale sono seguiti il premio Eccellenze Italiane e quello di Artigiano del Cuore.



Ogni modello dell’azienda è totalmente – e orgogliosamente – made in Italy, unico e personalizzabile su richiesta del cliente, al quale Barbera si impegna a consegnare una scarpa pensata per durare, in equilibrio tra raffinatezza timeless e stile contemporaneo, dai materiali preziosi (anch’essi di provenienza 100% italiana), nobilitata da colorazioni e procedimenti ad hoc come la tintura a mano o la lavorazione stone wax.
L’offerta è ampia sia per l’uomo che per la donna, e comprende i classici intramontabili (derby, francesine, mocassini, ecc.) affiancati da modelli più moderni e attenti al gusto odierno.

Abbiamo parlato di tutto ciò, ripercorrendo il percorso del laboratorio di famiglia, con Andrea Barbera.

Può raccontarci com’è nata l’azienda Barbera Sandro & Figli e il suo percorso fino ad oggi?

«Barbera Sandro & Figli è una bottega artigianale che, da oltre mezzo secolo, realizza calzature di qualità, lavorandole rigorosamente a mano e utilizzando solo i migliori materiali italiani.
Il laboratorio è stato avviato nel 1968 dai nostri genitori Sandro e Luciana, cui nel tempo siamo subentrati io e mio fratello Stefano. Proseguire l’attività di famiglia è stato per entrambi un percorso spontaneo, che ha iniziato a delinearsi apprendendo i segreti del mestiere da nostro padre e, più di tutto, lasciandoci contagiare dalla sua passione nel creare con le proprie mani accessori unici, in grado di esprimere tutta la qualità e bellezza del fatto a mano italiano».



Com’è possibile proseguire una tradizione pur restando al passo con i tempi?

«Per quanto ci riguarda, fare scarpe a mano va oltre la “semplice” creazione di calzature eleganti, significa infatti anche ricercare di continuo lavorazioni e materiali innovativi, che garantiscano sempre il massimo comfort. Per raggiungere questo traguardo sono stati necessari anni di studio, esperienza sul campo e un costante aggiornamento a livello di ultime novità del mercato.
Non abbiamo trascurato neppure l’aspetto green, ad esempio ricorrendo per le nostre iconiche Wooly alla lana Merino, sostenibile per definizione, oppure alla gomma eco-friendly per le suole.



È stato poi fondamentale il settore digitale, su cui abbiamo puntato molto, per farci conoscere di più e mantenere un canale diretto con i clienti, vicini o lontani che fossero. Siamo presenti sui social con i nostri account su Facebook, YouTube e Instagram, e abbiamo naturalmente un sito web completo di e-store, così da essere sempre raggiungibili e avere l’opportunità di raccontarci a un pubblico online».


Quali sono i modelli iconici del brand?

«Uno dei modelli più apprezzati è senz’altro la sneaker unisex Wooly, sviluppata insieme al team di Reda Active: è un omaggio al nostro territorio (il biellese, ndr) celebre per i tessuti pregevoli, perciò abbiamo scelto una lana Merino neozelandese – un filato dalle eccezionali proprietà termiche, indossabile dunque in ogni stagione; è una scarpa adatta a uno stile casual come all’abbinamento con il completo spezzato.



Per celebrare il 50esimo anniversario abbiamo lanciato invece le Barberine, belgian loafers esclusive declinate in vitello, suede e altri tessuti; presentano una costruzione Flex, perciò uniscono il massimo della comodità a uno stile raffinato, di gran tendenza.

Da ultime, certamente non per importanza, le Multicolor: sono le calzature con cui ci siamo fatti conoscere ovunque, una gamma di stringate maschili interamente rifinite e tinte a mano; offrono un’ampia possibilità di personalizzazione, perché ciascun cliente può scegliere la sfumatura di ogni elemento che compone la tomaia».



Quali sono le tecniche artigianali che definiscono il vostro heritage e vengono tuttora utilizzate?

«Facciamo ampio ricorso alla tecnica Black Flex cui si accennava prima: si tratta di una lavorazione esclusiva che accentua la morbidezza della calzatura, donandole così un aspetto peculiare e, soprattutto, un’elevata flessibilità.

Un’altra tecnica che è parte integrante del nostro heritage, utilizzata tuttora in alcuni modelli, è quella della tintura a mano, capace di arricchire la scarpa con sfumature di colore irripetibili.



Va menzionata, infine, la procedura stone washed che, come suggerito dal nome, prevede il “lavaggio” con pietre delle calzature, per conferirgli una patina vintage e ammorbidirne la pelle, ottenendo così una texture unica, attuale e dagli accenti grintosi».

Quali sono i progetti per il futuro e quali, invece, le strategie che state mettendo in atto per superare questa fase di difficoltà?

«In questo periodo puntiamo molto sull’online e continuiamo a investire nella comunicazione digitale, implementando inoltre servizi innovativi per soddisfare le richieste ed esigenze della nostra clientela, ad esempio il Virtual Shop, ossia la possibilità, attraverso la prenotazione di una videochiamata su WhatsApp, di entrare virtualmente nel laboratorio ed essere consigliati riguardo numeri e stili delle calzature.



Il rapporto diretto con le persone è certamente uno degli aspetti che amiamo maggiormente del nostro lavoro, crediamo però che, anche a distanza e con tutte le difficoltà del caso, relazionarsi con gli altri sia più importante che mai, sia per noi che per i nostri clienti».

LORENZO ZURZOLO CHILDREN OF THE REVOLUTION

Art Direction: Federico Poletti

Ph: Davide Musto

Styling: Stefania Sciortino

Video Director: Federico Cianferoni

Testo: Marco Marini

Grooming: Sandy Giuffrida per Simone Belli Agency

Special thanks: Mediterraneo al MAXXI

Music: Post Nebbia


È Lorenzo Zurzolo – uno dei new talent più promettenti del cinema italiano che, a soli vent’anni, ha già all’attivo ruoli in titoli di grande successo quali ‘Baby’‘Sotto il sole di Riccione’ ‘Compromessi sposi’ – il protagonista degli scatti realizzati da Davide Musto e pubblicati su Man In Town.
L’attore romano si fa qui interprete dell’estetica flamboyant, a tutto colore di Gucci, indossando pantaloni, maglie, completi e accessori dall’allure seventies, nei quali l’estetica squisitamente retrò del periodo si unisce agli stilemi della maison fiorentina, dall’iconico logo GG al nastro Web.
Tra blazer dagli ampi revers a lancia, completi svasati, borse di grande formato, boots ornati dal morsetto e cromie brillanti alternate a nuance pastello, si fanno notare le fantasie floreali tratte dagli archivi di Ken Scott, marchio celebre proprio per le stampe variopinte ispirate al mondo animale e vegetale, oggi di proprietà di Mantero Seta. Così i motivi ideati dal “giardiniere della moda” animano le texture dei capi, espressione di uno stile caleidoscopico, libero da qualsiasi timore o condizionamento. 




Giacca, gilet e pantaloni in lana blu con dettaglio etichetta, camicia in cotone rigata, stivaletti in pelle bordeaux.


Food tips: una ricetta gluten free

Filippo Cini (@filippocinireal), una laurea in economia aziendale appesa al muro e un’impastatrice sulla dispensa, si divide tra la gestione dell’azienda nel settore automotive e la realizzazione di ricette. Ama la pasticceria e la fotografia.

Il suo approccio, per quanto riguarda il food, parte dal concetto di “cucina dei ricordi”, cercando di far evolvere su un piano creativo e attuale il sapore della tradizione, anche perché il profumo di un piatto deve esaltarne il ricordo sensoriale ed emozionale.

Nel suo percorso di food blogger ha partecipato a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche, collaborando inoltre ad alcuni eventi di show cooking.
Adora le spezie, la cucina sensoriale e il cioccolato, sua grande passione! I dettagli, com’è noto, fanno la differenza, ma anche una nota speziata, pur sembrando a volte stonata, può portare ad un piatto gustoso, esaltandone in modo esponenziale la materia prima.

Sostiene di non ricercare la perfezione, bensì l’effetto ‘wow’, fedele al suo mantra «make it sweet: se tutto va storto fatti una torta al cioccolato!».

Per Man in Town ha pensato alla famosa cecina ligure (la base della ricetta è dunque una crespella fatta con farina di ceci), a come poterla declinare in modo nuovo, moderno eppure dal fascino retrò.



Un piatto gluten free e veggie per venire incontro a tutte le esigenze, leggero e dal sapore autunnale.

La farina di ceci è naturalmente senza glutine, molto proteica, ottenuta dalla macinazione dei ceci secchi; è un alimento salutare e la troviamo in numerosi piatti. La zucca, invece, è un ortaggio molto versatile quanto a usi in cucina, amico delle diete poiché il suo apporto calorico è di sole 18 Kcal per 100 grammi. Ricca di vitamina A, è fonte di potassio, fosforo, magnesio e ferro; notevole anche la percentuale di vitamina C e del gruppo B.
La parte “grassa” della ricetta è rappresentata dall’avocado, che apporta una buona dose proteica, e dalla maionese veg, che presenta la nota aromatica e cromatica della curcuma.

Un piatto che può essere una portata unica oppure un antipasto se “vestito” da finger food; per renderlo più light possiamo sostituire la maionese con una marinatura di olio, peperoncino e limone.

Ricetta per 2 persone

Per la crespella:
80 g di farina di ceci
5 g di bicarbonato

160 ml di acqua
1 cucchiaino di olio evo


Per il ripieno:
100 g di zucca
1/2 avocado maturo

sale

Per la maionese veg alla curcuma:

50 g di latte di soia

1 cucchiaino di curcuma

100 g di olio di semi
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di succo di limone

Insalata:
sedano rapa

spinaci freschi

melagrana

olio evo, sale e pepe

Procedimento:
Preparate le crespelle di farina di ceci setacciando la farina di ceci con il bicarbonato; aggiungete l’acqua e l’olio evo, mescolate bene con una frusta e lasciate riposare qualche minuto. Scaldate bene una padella, ungetela con l’olio e cuocete le crespelle da entrambi i lati. Proseguite fino al termine dell’impasto e lasciatele freddare. Ricavate, con l’aiuto di un coppapasta, 6 crespelle.



Su una placca da forno foderata con carta forno mettete ben distanziata la zucca tagliata a quadratini, irroratela con olio evo e salate. Cuocete a 180 gradi in forno statico per 15/20 minuti.



Pulite l’avocado, tagliatelo a dadini ed irroratelo con succo di limone.

Preparate la maionese inserendo in un bicchiere alto il latte di soia, la curcuma e un pizzico di sale, mescolate con l’aiuto di un frullatore ad immersione, aggiungete a filo l’olio di semi continuando a miscelare. Aggiungete il succo del limone filtrato e continuate a mescolare; il succo aiuterà ad addensare la vostra maionese. Riponete la maionese in frigo per farla riposare.

Componete il vostro piatto andando ad alternare gli strati di crespella a quelli di maionese veg, zucca e avocado, come se fosse un millefoglie.



Servite le crespelle con un’insalata fatta con spinaci freschi, melagrana e fili di sedano rapa, il tutto condito con olio evo, sale e pepe.

Continuate a seguire le ricette di Filippo sul suo profilo @filippocinireal !

Stile a ritmo di musica. Parola di Susanna Ausoni

Stylist milanese con il pallino del vintage, Susanna Ausoni ha iniziato la carriera come look maker. Il suo percorso nella moda è iniziato quasi casualmente, grazie a un outfit collegiale indossato al lavoro nel negozio Fiorucci in centro, notato da Paola Maugeri. Da lì in poi si è dedicata allo styling e alla consulenza d’immagine, diventando negli anni Duemila responsabile dello stile di MTV Italia e collaborando con diversi brand, aziende ed etichette discografiche alla realizzazione di campagne pubblicitarie, spot e progetti legati alla comunicazione.
Ha curato lo stile di numerose personalità d’eccezione del mondo dello spettacolo (Michelle Hunziker, Daria Bignardi, Victoria Cabello, Virginia Raffaele solo per fare qualche nome) e musicale, unendo così due delle sue principali passioni, moda e musica, appunto. L’elenco dei cantanti da lei seguiti comprende Carmen Consoli, Mahmood, Nek e Dolcenera, e nell’ultima edizione del Festival di Sanremo ha firmato gli outfit di Francesco Gabbani e Le Vibrazioni.



Abbiamo parlato di tutto ciò, e anche di altro, nell’intervista che potete leggere di seguito.

Come è nata la tua passione per la moda e come ci sei arrivata?

La mia passione per la moda credo sia sempre stata nell’aria. Un gene che viene non so da dove o chi, forse dalle crinoline delle gonne anni ‘50 ereditate da mia nonna Gioconda, oppure dalla pittura, mia grande passione. La cosa più bella rimane l’emozione che continuo a provare ogni qualvolta mi trovi a maneggiare certi look, avendo la possibilità di toccarli con le mie mani. Mi emoziona molto entrare in contatto con la creatività altrui, mescolare le immagini fondendole con la personalità dell’indossatore o con ciò che viene indossato, magari perché sono sempre stata interessata alle contaminazioni, agli incontri; è così che svolgo il mio lavoro. 



Come sono arrivata nel mondo della moda, non saprei… Diciamo che è stato lui ad arrivare a me, attraverso altre forme creative. Direi quindi in un modo del tutto casuale.


Oltre alla moda, nella tua vita è da sempre protagonista la musica. Raccontaci del tuo lavoro e
delle tue esperienze a MTV Networks.

La mia è una lunga storia d’amore con la musica. Ho iniziato a svolgere questo lavoro facendo televisione musicale e videoclip. Se è vero che attraiamo ciò che desideriamo profondamente, io ho sempre amato la musica, di tutti i generi, dall’hardcore punk alla classica. Non mi sono mai limitata ad ascoltarla, l’ho osservata usando sin dall’inizio la vista, un senso non richiesto.
Mi sono sempre piaciute le differenze e le diverse immagini rappresentate dai generi musicali, ho ampliato questi contesti spontanei affiancandoli alle proposte fashion.

Quando lavoro con un musicista parto da lì, ascolto il suo progetto musicale, ma non mi limito al sentire, lo guardo.

MTV è stata la miglior scuola formativa che avessi potuto desiderare. Si respirava nei corridoi l’aria di una cultura visiva che non aveva confini geografici, molto cosmopolita.

Ho capito da subito che sarebbe stato il miglior contesto per inserire contenuti di moda, che spesso fanno fatica a passare attraverso la televisione, e così ho fatto. È stato un esercizio di stile durato oltre dieci anni, di cui serbo un ricordo indelebile.



Nella pratica lavorativa non avevamo nessun vincolo redazionale, nessun imposizione dagli sponsor, il contrario di quanto succede ora con gli influencer. Usavamo quello che ritenevamo fosse più innovativo. Mischiavamo, trasformavamo, costruivamo, passando da Chanel alle ragazze di Prato che customizzavano i Levi’s facendone gonnelloni hippie, alle t-shirt vintage con appeso il cartellino con nome e foto di chi le aveva indossate prima.

Di MTV Networks ho molti ricordi. Sono stati anni, per la televisione non generalista, irripetibili. Un team lavorativo che ha generato figure professionali di alto profilo, giovani di grande talento, molti dei quali sono diventati ora professionisti affermati, come Nicolò Cerioni o Lorenzo Posocco.

Ho capito solo dopo cosa volesse dire lavorare in tv, lasciando il microcosmo in cui mi muovevo.

Ho imparato che ci sono tante figure professionali che intervengono sulla decisione del look durante la fase di produzione televisiva, aspetto con il quale non mi ero quasi mai confrontata prima. Da MTV non esistevano gli autori, noi avevamo figure come i producer.

Ora che è finita posso dire che quell’esperienza ha rappresentato, per me, la scoperta di un universo professionale e televisivo nuovo, con regole che ignoravo e ho imparato ad ascoltare, trasformando il tutto in un mio personale dialogo visivo.

Raccontaci qualche aneddoto o esperienza che ti hanno influenzato a livello professionale e personale.

Quanto agli aneddoti più recenti: lo scorso anno ho vestito, per il palco dell’Ariston, la band ospite più anziana, a livello anagrafico e di percorso artistico, del Festival di Sanremo, I Ricchi e Poveri, e contemporaneamente la più giovane dei big ospiti, la meravigliosa Francesca Michielin. Nel mezzo, le potenti Vibrazioni ed il sorriso e il talento di Francesco Gabbani. Un mix interessante, direi.



Quali sono i designer che hanno influito sulla tua visione e ti hanno ispirato nel lavoro?

I designer che hanno influenzato il mio percorso creativo sono tanti: Riccardo Tisci per la sua genialità, il coraggio, la sensibilità; sicuramente Margiela, la sua sperimentazione; Coco Chanel per la sua storia personale, per il suo “caricare” l’outfit e poi togliere, vedendo da lontano chi vestiva.

Trovo ispirazione anche in quello che non mi piace personalmente, che non indosserei, e apprezzo moltissimo chi contamina il suo lavoro con altre forme d’arte.


Sempre in tema di musica, hai portato sul palco dell
Ariston di Sanremo tante novità. Come hai lavorato per rinnovare il festival più seguito dagli italiani?

Se devo riportare la cosa più rischiosa o per me innovativa che abbiamo fatto è stata quella con Alessandro (Mahmood, ndr): portare sul palco dell’Ariston, in prima serata su Rai 1, il volto di ‘Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino’, facendogli indossare una t-shirt di Raf Simons che la ritraeva. Un film generazionale e musicale iconico. Un pugno nello stomaco forte. Due generazioni a confronto: lui è parte di una nuova, bellissima, multietnica e moderna; lei di quella berlinese separata dal muro degli anni ‘80, con David Bowie-Ziggy Stardust come colonna sonora. Il vecchio ed il nuovo, lì insieme.

Il Festival di Sanremo è la festa della musica più stimolante che ci sia nel nostro Paese.



Ho iniziato molti anni fa, con la leggerezza di una creativa giovane e piena di entusiasmo. Non ho mai sentito il peso di quel palcoscenico, dato dall’importanza, la storia e il valore che rappresenta.

Ho permesso il bicolor nei capelli e vestito di oro e pizzi, quando sarebbe stata una passeggiata optare per un bell’abito nero lungo. Ho cercato di diventare la cassa di risonanza di chi avevo di fronte, in una chiave molto personale, perlomeno con un tentativo di originalità. Non mi sono mai trovata a mio agio nel percorrere la strada più facile.


Segui personaggi maschili come Mahmood. Che percorso di stile hai costruito con lui? Quale look ricordi tra i suoi più forti?

Ho un particolare curioso su Mahmood: non dovevo seguirlo a Sanremo l’anno della sua vittoria, nonostante l’abbia preparato per buona parte dei suoi lavori, incluso il Sanremo Giovani di qualche anno prima.


In quel momento stavo già lavorando a un progetto ambizioso, la conduzione di Virginia Raffaele, ed ero concentrata sullo styling del mio caro amico Nek.

Vedere poi Mahmood presentarsi come un “bambolotto”, con il look di Rick Owens e i pantaloni a ventaglio che gli avevo scelto per la serata, mi ha commosso un po’.
Vederlo vincere è stata un’emozione grande.

Cerco sempre di dare un messaggio che non sovrasti la musica, che, per un musicista e il suo pubblico, è il centro di tutto.

Tra i personaggi femminili, invece, quello che ha rappresentato per te una sfida, a cui ti senti particolarmente legata?

Tra i personaggi femminili che ho la fortuna di vestire ci sono donne molto diverse, di grande talento e sensibilità. Ho portato sul palco di Sanremo con Virginia Raffaele creatori di moda come Schiaparelli, in omaggio alla stilista che veniva definita da Coco «quell’artista italiana che fa vestiti».


La sua prima collezione, risalente al 1938, si chiamava Circus;è dal circo che proviene Virginia, mi sembrava un’immagine ed un racconto bellissimo da proporre. Giambattista Valli, il giovane Lorenzo Serafini, il maestoso Giorgio Armani l’hanno accompagnata ogni serata in questa rappresentazione nella cornice prestigiosa del Festival.

Non è stata la prima volta che ho vestito la conduttrice sul palco dell’Ariston: l’avevo fatto tanti anni prima con Victoria Cabello in Miu Miu, una capsule collection creata per lei appositamente da Miuccia Prada.

Hai anche aperto un vintage store a Milano, come è nato questo progetto?

Uno degli ultimi progetti, certo non per importanza, è Myroom Vintage Shop, appunto la mia stanza.

La mia passione per il vintage, gli accessori, gli oggetti… Il mio caos di colori e bellissimi vestiti che non mi appartengono, ma sono di chi se li accaparra.

Una boutique di ricerca, il mio luogo di partenza e d’arrivo.
Di qui passano tutti e buttano la testa dentro, anche per un semplice ciao.

Ci puoi trovare un pezzo degli anni ‘70, una Chanel o una nuova Prada, disposti sui cavalletti originali della pittrice Felicita Frai, famosa per le donne dipinte con corone di fiori nei capelli e per aver affrescato a mano una sala da ballo della storica nave italiana Andrea Doria.

Nel suo ex studio, che ora è la mia casa, c’è un oblò sulla parete del salotto.


Quali
sono le tue prossime avventure professionali e i sogni nel cassetto?

Le prossime avventure professionali le racconterò appena terminate.

Per me un progetto esiste solo quando lo porto a compimento e lo consegno nelle mani, e negli occhi, di qualcun altro. I miei cassetti contenenti sogni sono aperti… E hanno occhi su tutto il mondo fuori e dentro di me. Fintantoché sarà così, rimarrò nel giro. Quando saranno chiusi, mi rintanerò nella mia stanza per cercare altre forme creative dai mille colori.

Trap game: il nuovo libro di Andrea Bertolucci

Nato all’alba degli anni ’90, Andrea Bertolucci è un giornalista e scrittore esperto di cultura giovanile e si occupa di trap fin da quando questa ha mosso i suoi primi passi nel nostro Paese.
La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali, con le quali tuttora collabora. Per Hoepli è appena uscito il suo libro “TRAP GAME. I sei comandamenti del nuovo hip hop”, che vede la partecipazione di alcuni fra i principali artisti sulla scena italiana. 



Raccontami della tua passione per la musica trap

Arrivare a raccontare la mia passione per la trap è impossibile senza prima raccontare quella per l’hip hop, che nasce quasi per caso, da ragazzino. Avevo quindici anni e nessun interesse per il rap: suonavo la batteria in una band punk, erano gli anni dei Green Day e dei Blink-182, degli Offspring e dei Linkin Park. La svolta è avvenuta nel 2006, anno dell’unico concerto di Jay-Z in Italia. Non ci volevo proprio andare, ma un’amica dell’epoca mi ci ha trascinato, quasi a forza. Eravamo vicinissimi, sotto al palco percepivo le vibrazioni newyorkesi di Mr. Carter: erano gli anni del “Black Album”, delle collaborazioni con Kanye West, della New York “Empire State Of Mind”. Sono rimasto letteralmente folgorato da quel live, durato quasi tre ore, e da lì ho iniziato ad appassionarmi a questa musica e a questa cultura. Crescendo poi ho iniziato a frequentare la scena di Milano – la città in cui vivo – dove dal 2010 hanno iniziato a svilupparsi le vite e le carriere di quelli che oggi sono i principali artisti trap italiani, alcuni dei quali sono diventati anche miei amici. Artisti che oggi riempiono i palazzetti, li ho visti soltanto sei anni fa con 50 persone sotto al palco. 



Come è nata l’idea del libro?

Ho iniziato a pensarci dopo la tragedia di Corinaldo, che aveva scosso l’Italia e portato la trap agli onori delle cronache. In quel momento, è iniziato un processo mediatico che non ha precedenti e si protrae tutt’oggi, in cui la colpa di qualsiasi problema o incomprensione generazionale è da attribuire alla trap. Magari la trap avesse tutte queste responsabilità: sarebbe anche molto più semplice risolverle!
Ecco che allora ho iniziato a lavorare su un libro che potesse far incontrare l’amore che tanti giovanissimi hanno per questa cultura, con la necessità dei loro genitori di capirci di più. E devo dire dai molti messaggi che mi arrivano su Instagram, di esserci riuscito. Proprio pochi giorni fa mi ha scritto una mamma per dirmi che grazie a “TRAP GAME” aveva trascorso del tempo per leggerlo assieme a suo figlio e aveva abbattuto molte incomprensioni generazionali. Cercare di capire una cultura complessa come questa, che ovviamente porta al suo interno profonde contraddizioni e cicatrici, è il primo passo per poterla anche criticare. 



Le 5 cose da sapere sulla musica trap?

Per capire innanzi tutto gli eccessi e le provocazioni che porta con sé questa cultura, occorre sapere che è profondamente legata ad un senso di riscatto, di redenzione verso una vita che prima non ha concesso niente se non povertà e preoccupazioni. 

Un altro trait d’union che collega molti artisti trap, è la totale indifferenza – che spesso si trasforma in provocante irriconoscenza – nei confronti della vecchia scena hip hop: alcuni di loro durante le interviste fanno addirittura finta di non conoscere i nomi portanti della old school.

Tutti gli artisti trap hanno un profondo legame con il blocco, che non a caso è anche uno dei “sei comandamenti” del mio libro. In questo senso, c’è invece un filo rosso che lega questa alla scena precedente: il legame territoriale è sempre stato essenziale e unisce oggi tutti i quartieri e le periferie del mondo che trovano negli artisti trap i propri rappresentanti territoriali.



Rappresentare un territorio o una scena, significa anche scontrarsi con gli altri per mantenerne alto il nome. Ecco che nascono i dissing, litigi che possono assumere di volta in volta forme diverse (dalle barre di una canzone fino alle Instagram stories) e che vedono gli artisti (e non solo) uno contro l’altro.
Infine, la quinta e ultima cosa da sapere è che la sostanza prediletta dalla cultura trap è la coloratissima – ma non per questo meno dannosa – lean, chiamata anche purple drank per via del colore viola. Si tratta una miscela ottenuta combinando sciroppo per la tosse a base di codeina insieme a una bevanda gassata, generalmente Sprite e la cui diffusione maggiore coincide con il boom dei social network, che ne fanno uno dei tanti ingredienti dell’ostentazione, al pari di una giacca di Vuitton o dell’ultimo modello di Lamborghini. 

Come è nato e si è sviluppato questo fenomeno?

La musica trap è nata ad Atlanta in un momento imprecisato all’inizio degli anni 2000 all’interno delle “trap houses”, delle case – molto spesso abbandonate – presenti nei sobborghi delle metropoli americane, nelle quali veniva prodotta, venduta e consumata ogni tipo di droga. L’ascesa di popolarità di questo genere ha coinciso però con l’ascesa dell’organizzazione criminale della Black Mafia Family, nota per le spese considerevoli e uno stile di vita esagerato. La BMF ha tentato di ripulire una buona parte dei proventi guadagnati dal traffico di sostanze, lanciandosi nel business della musica hip-hop e avviando la BMF Entertainment. Oltre al beneficio di riciclare i soldi, la musica trap era anche lo strumento narrativo e propagandistico di questa organizzazione: i primi trapper sono veri e propri aedi dei trafficanti e degli spacciatori. Bisognerà aspettare però i primi lavori di T.I. e Gucci Mane – fra il 2003 e il 2005 – per una diffusione più ampia di questa musica, fino agli anni ’10 del nuovo millennio in cui molti produttori iniziano a mescolare le sonorità trap con note decisamente più EDM, contribuendo alla sua diffusione a livello mainstream. 



Parlaci dei temi più frequenti e dei tuoi brani preferiti

I temi più frequenti sono proprio quelli che nel libro ho definito “i sei comandamenti”, dedicando un capitolo ciascuno. I soldi, da cui passa buona parte della voglia di riscatto di questa cultura, il blocco, di cui abbiamo parlato poco fa, lo stile, che si può declinare in tante sfumature differenti. Ma anche – ovviamente – le sostanze, che accompagnano la trap lungo la sua storia, le donne, uno dei temi su cui viene maggiormente criticata e la lingua, che indubbiamente sta contribuendo a trasformare. L’evoluzione di questi ultimi anni ha portato la trap a non essere più un unico blocco, ma ad avere molte sfumature differenti. Personalmente, amo molto artisti come Travis Scott, che stanno reinventando lo stile giorno dopo giorno, ma anche buona parte della scena francese, dai decani PNL – unici artisti ad aver girato un videoclip nel punto più alto della Tour Eiffel – fino ai più giovani MHD e Moha La Squale.



Come hai selezionato i musicisti?

Erano tutti perfetti portavoce dei rispettivi comandamenti, per un motivo o per l’altro. Con alcuni è nato casualmente, con altri eravamo già amici prima di lavorare al libro, con altri lo siamo diventati grazie a “TRAP GAME”. Quello che li unisce è l’appartenenza alla scena italiana e ovviamente una profonda consapevolezza della propria arte, che ha permesso di scrivere assieme i vari capitoli. Diversa è la storia delle prefazioni, che sono ben due. La prima è affidata ad Emis Killa, che non ha bisogno di presentazioni. Volevo uno dei padri dell’hip hop in Italia, che dicesse la sua e guardasse anche un po’ dall’alto questi giovani trapper. L’altra è una vera chicca per gli appassionati, ed è firmata da TM88, uno dei maggiori produttori al mondo e tra gli inventori del sound trap. Posso dire che è davvero un grande onore per me, non smetterò mai di ringraziare il mio amico Will Dzombak (manager di Wiz Khalifa e di molti altri artisti americani) per questo regalo.



Musica trap e moda: come dialogano questi mondi? L’identikit fashion del trapper…

Una delle più evidenti cesure tra la vecchia scena e quella nuova si gioca proprio sul terreno della moda, che assume anche in questo caso un carattere maggiore di ostentazione e provocazione. I comuni baggy jeans che indossavano i rapper negli anni ’90,si trasformano in costosi e attillati Amiri che cadono sopra sneakers sempre diverse e customizzate, linee firmate spesso in partnership con gli stessi artisti. Le t-shirt si riempiono con loghi di brand sempre più attigui all’alta moda e questi ultimi iniziano a strizzare maggiormente l’occhio agli artisti, portandoli a sfilare, uno dopo l’altro, in passerella e contribuendo alla nascita dello “streetwear di lusso”. 



Se oggi ci stupiamo e talvolta indigniamo di fronte a foto che ritraggono centinaia di ragazzi che passano la notte in fila per “coppare” un paio di Yeezy o di NikeXOffWhite, oppure di fronte ai video YouTube nei quali troviamo dei giovanissimi hypebeast intenti a mostrare il valore del proprio outfit, troviamo la risposta proprio nella trap e nei suoi protagonisti. Stessi brand, stesse movenze, stessa ricerca dell’esclusività all’interno di un mercato che tende a uniformare.

La playlist che consigli per avvicinarsi a questo genere?

Cinque canzoni americane e cinque italiane, per degustare entrambe le scene. In America piantiamo le basi con Gucci Mane e T.I., i due “padri fondatori”, per poi spostarci su vere e proprie hit che hanno fatto la storia, come “XO Tour Llif3” di Lil Uzi Vert (prodotta fra l’altro da TM88, che ha scritto la prefazione di “TRAP GAME”) “Sicko Mode” di Travis Scott e “Bad and Boujee” dei Migos. Venendo all’Italia, ho inserito “Cioccolata” di Maruego, che considero il primo brano trap prodotto nel nostro Paese e “Cavallini” della Dark Polo Gang feat. Sfera Ebbasta, che segue a ruota. Per finire, la mia canzone preferita di Sfera – “BRNBQ” – e due hit italiane: “Tesla” di Capo Plaza con Drefgold e Sfera, e la versione remixata da Achille Lauro e Gemitaiz del brano di Quentin40, “Thoiry”. 



Manintown incontra One Shot Agency e i suoi giovani talenti

Oneshot agency è una realtà italiana che opera nel settore del management e della comunicazione digital. Nel suo portfolio vanta nomi noti nel panorama social (soprattutto Tik Tok e Instagram) come Elisa Maino, Marta Losito, Paola Di Benedetto e il giovanissimo Tancredi Galli.

Nell’intervista i tre fondatori Eugenio Scotto, Benedetta Balestri e Matteo Maffucci ci raccontano il loro background svelandoci i nuovi progetti social in partenza nei prossimi mesi a cominciare da Chill House, un reality-format di successo con origini USA, che coinvolgerà i creator più famosi d’Italia.

Come è nato il progetto Chill House e chi sono i protagonisti?

M: Il progetto Chill House è un talent show contemporaneo in cui i protagonisti sono influencer con numeri da capogiro, che si trasferiscono in una scenografia da sogno, una villa dove vivere e creare contenuti. Abbiamo replicato lo stesso meccanismo della Hype House americana: gli influencer che abbiamo selezionato sono i Q4 (Tancredi Galli, Gianmarco Rottaro, Diego Lazzari e Lele Giaccari), Valerio Mazzei e Zoe Massenti, e la villa si trova a pochi chilometri da Milano. Nel contesto della villa i ragazzi faranno experience di ogni genere: lezioni di inglese, sport, lezioni di pianoforte, recitazione e molto altro, oltre alla creazione di contenuti insieme sui profili della casa. Stima di numeri aggregati: oltre 13,5 milioni di utenti su Instagram e oltre 25 mln su Tik Tok. E’ un progetto molto ambizioso ma già in ascesa, a un mese dal lancio i profili della casa hanno raggiunto 165mila follower su Instagram e 400mila su TikTok: un incubatore perfetto per aziende di qualsiasi categoria merceologica.

Come la moda si sta avvicinando ai nuovi social media come TikTok?

B: Tik Tok è uno strumento imprescindibile per raggiungere un nuovo target, quello della Gen Z, cioè i consumatori del domani, e sempre più aziende della moda hanno deciso di inserire la piattaforma nelle loro social media strategies. Se prima la piattaforma era dominata da brand del Fast Fashion, nel corso dell’ultimo anno aziende come Prada, Gucci, Burberry, Celine, hanno inaugurato i loro canali social sulla piattaforma, con contenuti costruiti ad hoc per Tik Tok. Molti brand hanno deciso anche di coinvolgere TikTokers per il lancio dei profili o per attività specifiche: ad esempio, si sono rivolti a noi brand come Dolce e Gabbana, che ha ospitato i nostri Tik Tokers in front row alla scorsa Fashion Week o Etro, per il lancio della collezione Toys natalizia 2020.

Quali le strategie secondo voi vincenti per moda e lifestyle con i new media?

M: Una strategia vincente deve rispettare i canoni e il linguaggio propri della piattaforma su cui si sviluppa. Quindi sono giusti i contenuti patinati e molto curati per Instagram, dove vince un feed molto curato, mentre su Tik Tok bisogna lasciar spazio alla creatività utilizzando le features della piattaforma. La prima regola comunque rimane selezionare talent che rappresentino completamente i valori e l’immaginario del brand. Una volta selezionati gli influencer da coinvolgere, bisogna concentrarsi sullo sviluppo di uno storytelling che integri il brand nella storia e nella vita dei creators. 

Gli ultimi talent che avete scoperto?

E: Oggi raccogliamo i frutti di quello che abbiamo seminato nei primi tre anni di vita della nostra azienda. Elisa Maino, Valeria Vedovatti, Gordon, sono gli esempi più lampanti del nostro lavoro. Ultimamente stiamo cercando di cercare target e profili diversi: ad esempio Gaia Sabbatini, atleta delle Fiamme Azzurre, o le 4Calamano, un gruppo di quattro sorelle che su Tik Tok cantano, oppure Ludovica Nasti che è una giovanissima attrice.

Raccontateci il vostro background professionale e perché avete deciso di aprire One Shot Agency?

E: Abbiamo background e storie molto diverse e probabilmente questo è il nostro punto di forza, che ci ha permesso di ottenere risultati così ottimi in soli tre anni. Io lavoro come talent scout da oltre dieci anni, ho scoperto talenti come Frank Matano, Francesco Sole, oltre a Elisa Maino. Matteo oltre alla sua carriera da artista (fa parte del duo musicale Zero Assoluto), ha prodotto programmi televisivi, è appassionato di street art e ha lavorato come speaker e autore di numerosi programmi. Benedetta ci mette in riga, ha una laurea in Economia che fin da giovanissima ha applicato in televisione (RSI), e nel mondo degli eventi e della musica, lavorando per un’etichetta musicale che distribuisce il festival di musica elettronica Tomorrowland. Quando ci siamo incontrati, circa quattro anni fa, è stato tutto molto naturale e immediato. 

Cosa differenzia la vostra agenzia da altre digital agency?

B: Il nostro team è costituito da persone che provengono da realtà diverse tra di loro, con un bagaglio di esperienze nel settore televisivo, radiofonico, musicale e degli eventi. L’età media del gruppo è di 30 anni, siamo Millenials e il nostro linguaggio è a cavallo tra due generazioni che faticano a parlarsi. Il nostro compito è interpretare le richieste e necessità delle aziende e facilitare il dialogo con le nuove generazioni. La nostra carta vincente però è il rapporto che costruiamo con i talent, la familiarità che si respira nei nostri uffici e il lavoro attento che viene fatto su ogni singolo talento. Siamo come una sartoria: i talent arrivano e noi gli cuciamo addosso il vestito perfetto.

A lezione di yoga con Vincenzo Lamberti

Abbiamo incontrato Vincenzo Lamberti (@vvvinsss) yoga teacher presso [hohm] street yoga Milano. Da sempre interessato al movimento in ogni sua forma e alla cura ed il benessere del corpo, Vincenzo decide di abbandonare il mondo della moda in cui lavora per dieci anni come designer, prima diventando prima personal trainer, per poi trovare nell’insegnamento dello yoga il percorso che meglio si adattava alle sue naturali predisposizioni: “ho così potuto fondere la passione per il corpo in movimento a quella per le filosofie orientali, a cui già da tempo mi dedicavo attraverso lo studio”.

La scuola in cu insegna è stata fondata da Marco Migliavacca e Giovanna De Paulis, e le sedi milanesi sono due, una in viale Tunisia 38 e l’altra in via Solari 19.
Da oltre 10 anni il centro si dedica allo studio e all’insegnamento dello yoga in modo a-dogmatico, con un’offerta che spazia dal vinyasa allo yin e al restorative, e rivolge la sua attenzione tanto agli aspetti sottili e tradizionali della disciplina, fra cui il pranayama, quanto a una più moderna ricerca, come l’introduzione in Italia del metodo Katonah yoga.
La scuola affianca in calendario classi multilivello a percorsi pensati appositamente per i principianti, e di recente si è aperta anche a persone con disabilità o semplici difficoltà motorie, proponendo lezioni di yoga adattivo.
Per completare la ricerca di chi vuole approfondire lo studio dello yoga e portare la propria pratica a un nuovo livello di consapevolezza, [hohm] street yoga organizza inoltre formazioni, ritiri e laboratori con insegnanti italiani e internazionali.


Vincenzo Lamberti posizione yoga ponte
Vincenzo Lamberti posizione yoga
Vincenzo Lamberti posa

Come è nata la tua passione per lo yoga? Raccontaci il tuo percorso.

L’interesse per le filosofie orientali e la meditazione, unitamente ad un’istintiva esigenza di esprimermi attraverso il corpo ed il movimento, mi hanno portato per la prima volta a sperimentare la pratica dello yoga, che inizialmente era però circoscritta a ritagli di tempo che difficilmente riuscivo a riservarmi, in quanto assorbito dai ritmi lavorativi particolarmente intensi. Solo quando ho trovato il coraggio di lasciare la mia precedente attività lavorativa e mettere così in discussione quelle che fino ad allora erano state le mie certezze, fonte in realtà anche di insofferenza e blocchi, ho avuto modo di approfondire il mio rapporto con la pratica, scoprendo in essa uno strumento di conoscenza della nostra più profonda essenza e un potente stimolo al cambiamento.

Quale tipo di yoga pratichi e quali sono i benefici di questa disciplina?

L’approccio metodologico che prediligo è quello del Vinyasa Krama, che consiste nel creare una struttura ordinata e graduale di posture o asana che si inseriscono in una sequenza dinamica, in cui ogni movimento è connesso e supportato in primis dal respiro, ma anche da altri elementi quali visualizzazioni, meditazioni, bandha, mudra ecc. Il tutto infatti concorre a focalizzare l’attenzione su ciò che si sta facendo nel momento presente, rendendo così il corpo più consapevole dei propri movimenti nello spazio e la mente sempre meno in balia di pensieri che possano proiettarla nel futuro o tenerla ancorata al passato. Oltre ai benefici fisici in termini di flessibilità, resistenza e qualità del respiro, la pratica diviene così una sorta di meditazione dinamica che ci aiuta ad allenare la nostra concentrazione e a liberare la mente da ansie e stress.

Quanto è importante la respirazione e come si pratica correttamente?

Fondamentale è l’utilizzo corretto del respiro durante la pratica; alle sue fasi infatti coordiniamo le diverse tipologie di movimento ed è inoltre considerato un punto di connessione tra corpo e mente: come il nostro sistema corpo-mente e le emozioni che si generano in esso in base agli stimoli esterni possono influenzare il nostro respiro rendendolo più agitato o calmo, allo stesso modo attraverso il controllo consapevole del respiro (pranayama) possiamo modificare tutto il nostro sistema. Oltre ad essere la nostra principale guida durante la pratica per mantenere il giusto raccoglimento, il pranayama stimola profonde trasformazioni fisiologiche, rende più limpida la mente, portandoci gradualmente a modificare i nostri schemi abituali, ed amplia la nostra capacità respiratoria rinforzando così la nostra salute.

Un tuo consiglio per avvicinare una persona a questo mondo?

Se dovessi dare un consiglio per far si che una persona si avvicini a questo mondo direi semplicemente di lanciarsi e provare, in quanto solo l’esperienza diretta può dare una chiara idea di quanto si possa essere in sintonia o meno con questo tipo di pratica. Consiglierei inoltre di provare anche diversi tipi di insegnanti e metodi, in quando ciascuno può avere qualcosa di diverso da offrire ed ogni allievo si sentirà più a suo agio in determinate modalità piuttosto che in altre.

Nuove frontiere del benessere: SHA Wellness Clinic celebra 12 anni

Un’esperienza che cambia la vita: questo il motto di SHA Wellness Clinic, realtà riconosciuta a livello internazionale, che quest’anno compie l’importante traguardo dei 12 anni. Qui la salute è intesa come stato ottimale di benessere fisico, mentale e spirituale, in armonia con l’ambiente e con una ritrovata vitalità. Non a caso la stessa clinica si trova in una vera oasi naturale tra montagne e mare, vicino alla baia di Altea (nella regione di Valencia e vicino ad Alicante) che si affaccia sul Mar Mediterraneo e sul Parco Naturale della Sierra Helada, riserva marina di straordinaria bellezza.


Quello di SHA è un metodo davvero all’avanguardia in cui si utilizzano strumenti evoluti per diagnosi e rilevazioni bioenergetiche al fine di capire e prevenire i meccanismi di invecchiamento. Una sintesi tra medicina occidentale e orientale, tra discipline antichissime (come l’agopuntura) e ultimi ritrovati della medicina anti-aging, rigenerativa, bioenergetica, fino ai trattamenti estetici più innovativi. Vera forza di SHA è il team di specialisti nelle diverse discipline che guardano però alla persona in modo olistico e non specialistico. L’assunto di partenza è che lo stile di vita e l’alimentazione, insieme alla genetica, danno forma alla nostra salute e al nostro benessere. Il Metodo SHA integra le terapie naturali più efficaci con un’alimentazione altamente terapeutica, senza trascurare gli ultimi progressi della medicina occidentale, in particolare della medicina genetica. La fusione coordinata e controllata di queste discipline aumenta in modo significativo l’impatto positivo che ciascuna di esse avrebbe individualmente.

E per garantire il massimo risultato per ogni ospite è sviluppato un piano terapeutico personalizzato, che include terapie naturali e mediche, insieme a un menu pensato ad hoc dal ristorante SHAMADI. Sono ben 14 i programmi sanitari proposti, ognuno dei quali può soddisfare le esigenze e gli obiettivi personali di ogni singolo cliente. A SHA si può sperimentare lo shiatsu, l’agopuntura, la riflessologia fino alla crioterapia, che riattiva metabolismo e sistema immunitario. Alle pratiche di mindfulness e pranayama può seguire una seduta di neuro-feedback e stimolazione cognitiva con macchinari futuristici frutto delle ricerche di Harward per mantenere giovane anche la mente. Si valutano i livelli di stress, le capacità cognitive, la memoria, ma anche la capacità di gestione dell’ansia, con relativi esercizi per migliorarli. In questa clinica si riesce a ritrovare la connessione fra corpo e mente per migliorare la qualità di vita. E soprattutto si riesce a capire come portare tutto questo nella propria vita quotidiana al rientro a casa!



Questa è la filosofia di SHA: trasformare le vite delle persone. E questo è stato il punto di partenza per Alfredo Bataller Parietti, Founder di SHA,  che soffriva lui stesso di problemi di salute. Dopo aver ricevuto una diagnosi preoccupante, ha avuto la fortuna di conoscere un medico esperto in nutrizione e terapie naturali, che gli ha permesso di ritrovare la sua salute attraverso il potere curativo di un’alimentazione sana combinata a delle terapie naturali. Così ha deciso di condividere questa preziosa conoscenza, avviando un progetto unico nel suo genere, insieme alla sua famiglia. E’ nato un vero e proprio metodo SHA che fonde le antiche discipline con le più recenti scoperte della medicina occidentale, grazie alla supervisione di esperti di fama internazionale, come Michio Kushi, considerato il padre della macrobiotica, che nel 1995 è stato anche nominato Presidente dell’Organizzazione Mondiale di Medicina Naturale. Racconta lo stesso Bataller Parietti, Presidente e Fondatore di SHA: Ho deciso di combinare le più efficaci terapie occidentali e orientali insieme a uno speciale tipo di alimentazione sana e ricca di energia all’interno di un’ambiente sostenibile e confortevole. E sono riuscito anche a inglobare in tutto questo le più recenti scoperte della medicina. Questa utopia è SHA, che non solo ha ricevuto oltre 60 prestigiosi riconoscimenti grazie a un team incredibile di professionisti, ma ha soprattutto cambiato la vita di oltre 50.000 persone”.



Il metodo si basa su 8 aree principali: alimentazione sana, terapie naturali, medicina preventiva e rigenerativa, dermoestetica avanzata, stimolazione cognitiva e salute emotiva, benessere ed equilibrio interiore, fitness e apprendimento di nuove abitudini sane attraverso la Healthy Living Academy. Tutti questi fattori combinati consentono di migliorare e aumentare la salute fisica, mentale e spirituale con un approccio olistico e integrativo. Il detox parte dal cibo con il ristorante SHAMADI all’interno di SHA e The Chef’s Studio, dove si studiano piatti gourmet  che eliminano carboidrati raffinati, zuccheri, proteine e latticini a favore di ingredienti stagionali e biologici, dai cereali non raffinati (avena, miglio, riso integrale) legumi, soia, tofu, verdure e molte alghe, blu, brune e rosse, dal Giappone e dai Mari del Nord, nuova frontiera proteica vegetale, nonché oggetto di studio della nutrigenomica in tema di cibi che favoriscono la longevità. SHAMADI propone una cucina fusion in equilibrio fra tradizioni del mediterraneo e quelle orientali. Per ogni ospite viene inoltre studiato un piano personalizzato sulla base dello screening medico e degli obiettivi che si vogliono raggiungere. L’idea non è solo che gli ospiti acquisiscano nuove abitudini nutrizionali, ma anche che imparino a godere pienamente e consapevolmente del cibo per proseguire poi a casa questo stile di vita.

E in questi momenti dove si parla tanto di cura delle malattie, SHA vuole prendersi cura della salute attraverso la prevenzione. Da qui l’importanza che la clinica attribuisce alla medicina preventiva e il motivo per cui sin dall’inizio SHA ha concentrato gli sforzi sulla ricerca delle migliori tecnologie e terapie per rafforzare il sistema immunitario. Un sistema immunitario forte è fondamentale per combattere i virus. In questo senso SHA ha creato un programma specifico incentrato sul rafforzamento del sistema immunitario, per ripristinare e stimolare le difese naturali del nostro corpo al fine di combattere efficacemente qualsiasi aggressione esterna. E sempre in questo filone è l’area Healthy Aging & Preventive Medicine che vuole rallentare il processo di degenerazione cellulare e riattivare il potenziale di salute di ogni persona. Altro fiore all’occhiello della clinica è tutta la parte neurologica guidata dal Dott. Bruno Ribeiro in cui si possono combattere anche i più gravi stati di stress e ansia, massimizzare le nostre capacità cognitive e promuovere le nostre forze intellettuali. “Si parte con una valutazione cognitiva iniziale e alcuni test, come il neurofeedback, per capire il livello di stress, il quadro generale e l’andamento delle onde del cervello per sondare cosa non funziona e cosa andrebbe modificato. Grazie a tecnologie co-sviluppate dalla NASA e dalla Harvard Medical School, come la Photobiomodulation e Transcranal Current Stimulation (TCS) siamo in grado di ottenere risultati importanti sia nello stimolare specifiche aree e funzioni del cervello per migliorare performance fisiche e mentali, sia di alleviare malattie e patologie, come nei casi di Alzheimer e Parkinson” raccconta il neurologo Dott. Ribeiro.  SHA non è la solita SPA (dove pure non mancano i numerosi trattamenti viso e corpo), ma una destinazione dove ritrovare e imparare a coltivare la salute fisica ed emotiva.

Creative Class: talking with Simon Foxton

Classe 1961, Simon Foxton è considerato uno dei creativi e stylist più influenti e visionari del panorama internazionale.  Dopo essersi laureato in fashion design al Central Saint Martins nel lontano 1983 e aver lanciato il suo marchio Bazooka, ha iniziato a lavorare per il magazine i-D e successivamente ha intrapreso una lunga collaborazione con Nick Knight, diventando poi direttore artistico del magazine.  Foxton è riuscito nel mescolare e far convergere in modo sperimentale l’abbigliamento sportivo, il tailoring, lo streetwear fino al fetish.  La sua estetica ha contribuito a delineare un nuovo immaginario e stile maschile.  In occasione dell’uscita del libro dedicato a Stone Island lo abbiamo intervistato parlando del suo percorso e delle prospettive future per la moda.

Qual’è stato il tuo percorso di studi e come hai scoperto la tua passione per la fotografia e la moda?

Simon Foxton:  Ho frequentato la Central Saint Martins School of Art tra il 1979 e il 1983 che ha rappresentato un periodo molto bello e intenso.  È stato il momento migliore nel quale essere giovane e frequentare una scuola d’arte, soprattutto a Londra!  Non credo di essere stato uno studente particolarmente diligente, ma mi sono fatto molti amici e con molti di essi sono ancora oggi particolarmente legato.  C’era molto da divertirsi, andavamo nelle discoteche e alle feste, è stato davvero fantastico.  Poi, mi è sempre piaciuto leggere attentamente le riviste e amavo le immagini, ma non avevo mai pensato di crearne di nuove.  Solo dopo aver lasciato l’università e aver iniziato a disegnare, mi sono reso conto di quanto fosse difficile e richiedesse tempo.  Successivamente, una mia cara amica, Caryn Franklin all’epoca Fashion Director di i-D, mi chiese se fossi interessato a fare un po’ di styling per il magazine.  Così ho provato e mi sono subito reso conto che sembrava la cosa adatta per me.  Mi è piaciuta la sua immediatezza.  C’era un’idea, c’erano i vestiti, li fotografavo ed era tutto immediato!  Basta con le ordinazioni di tessuti, i rapporti con I sarti, le consegne nei negozi, ecc.  Era una tale seccatura… Ho sempre preferito la via più semplice.

Vieni considerato come uno dei principali creatori di immagini della moda maschile.  Dove hai visto maggiori cambiamenti in questi ultimi anni?

Non sono certo di aver mai creato realmente “fashion looks”.  Sono un creatore di immagini da un po’ di tempo ormai, ma è solo perché sono in giro da molto tempo e non sono ancora deceduto.  Spesso mi viene posta questa domanda e non sono mai sicuro di come rispondere.  Credo che il più grande cambiamento sia la dimensione e la portata dell’industria della moda.  C’è un’enorme ricchezza investita in questo ambito che è diventato un ambiente di lavoro molto più rischioso.  All’inizio le cose erano molto più rilassate.  Quando facevo le riprese per le riviste, i crediti erano più un suggerimento che una necessità.  Siamo stati lasciati da soli a creare ciò che volevamo, non c’erano direttori artistici o dipartimenti commerciali a interferire.  È solo recentemente che mi sono reso conto di quanto sono stato fortunato a crescere fotografando in quel tipo di cultura.  Naturalmente non tutto era fantastico e alcuni dei lavori erano  auto-referenziati, ma il bello era che potevamo sperimentare e anche fallire.  Il fallimento è una parte cruciale del processo creativo.  Purtroppo questo non è più permesso in un mondo dove la moda si caratterizza con cospicui investimenti, forti competizioni e  e rigide organizzazioni.

Hai iniziato con la rivista i-D nel 1984.  Raccontaci alcune storie particolari sul tuo lavoro di allora e su come questa esperienza ha plasmato la tua vita professionale e privata.

Non credo di avere storie particolari da raccontare.  Non sono una persona particolarmente pazza o drammatica.  Penso che l’impatto più evidente sulla mia vita personale e professionale venga dalle persone che ho incontrato per lavoro.  Da quando ho incontrato e lavorato con Nick Knight subito dall’inizio, a quando ho chiesto a Edward Enninful di fare da modello per me e poi di diventare il mio assistente.  Allo stesso modo, ho fatto un casting per strada con Steve McQueen per un servizio fotografico su i-D e siamo diventati molto amici.  Inoltre, grazie ad un incontro con il fotografo Jason Evans, che stava facendo uno stage con Nick Knight, ho iniziato a lavorare insieme a lui a partire dal  1990.  Non posso dimenticare tutti gli altri meravigliosi assistenti che ho avuto nel corso degli anni, come Jonathan Kaye (ora a The Gentlewoman) o Elgar Johnson (a GQ Style), o Nick Griffiths con il quale ho ancora l’attività creativa &SON.  Ho lavorato con la meravigliosa Penny Martin di Showstudio che ora è l’editore di The Gentlewoman.  Sono ancora tutti amici molto cari e persone estremamente importanti nella mia vita.

Potresti selezionare 5 foto dalla tua home di Instagram che sono particolarmente importanti e significative per te e spiegarci il motivo?

Nick Knight -i-D magazine , 1986

Uno scatto davvero memorabile.  Lo abbiamo scattato di notte, girando fra le vie attorno a vecchi magazzini vicino al Tower Bridge.  Era completamente deserto, abbandonato.  Ora sono stati trasformati in veri e propri appartamenti e spazi di lavoro che costano milioni di sterline.  Il fuoco di fronte ai ragazzi, in realtá, è stato realizzato grazie a me che passavo davanti con un grande rastrello di metallo, avvolto in un pezzo di carta ed incendiato.  

Questo invece fa parte di uno shooting che io e Jason abbiamo scattato e che abbiamo chiamato “Strictly.”  L’abbiamo scattata fra stradine periferiche attorno a casa mia ad Ealing.  Al tempo, il modello era Edward e mi ha aiutato molto con il casting.  È stato molto divertente scattarlo e anche il feedback è stato positivo.

Jason Evans , i-D magazine 1991 .  Model – Edward Enninful .

Ben Dunbar-Brunton , i-D magazine 2009 

Ho sempre amato questo scatto del modello Dominique Hollington che ho fatto con Ben.  Molto semplice ma allo stesso tempo di grande effetto.  

Questa è la scena di un film che io e Nick abbiamo fatto per la mostra retrospettiva di Walter van Beirendonck’s ad Anversa.  Ho avuto accesso all’intero archivio di Walter e mi ha permesso di mixare le sue collezioni per creare dei look grintosi.  È stato davvero molto divertente.  

Questa é una sorta di foto del backstage che ho scattato in un set che Nick Knight ed io abbiamo chiamato Frillaz!  Ho vestito questi ragazzi dall’aspetto piuttosto duro con degli abiti a balze che ho trovato online, da un sito fetish per bambini adulti.  Li avevo preavvisati riguardo alle immagini che avrei voluto scattare, ma ero comunque piuttosto nervoso della reazione che avrebbero potuto avere.  Tuttavia, hanno reagito positivamente ed è stato fantastico.

Hai lavorato con una mente veramente creativa come Nick Knight.  Chi sono i fotografi/persone creative più stimolanti per te?

Nick Knight lo trovo ancora molto stimolante.  È molto creativo e una persona molto entusiasmante con cui lavorare.  Lavorare con Nick ti fa sentire sempre in mani sicure.  In un modo diverso, Jason Evans è un fotografo estremamente stimolante perché si interroga sulle cose, ti fa mettere in discussione te stesso.  Non in modo arrogante, piuttosto in un modo costruttivo per creare qualcosa di totalmente nuovo.  Infine, ho sempre ammirato il lavoro di Jean-Paul Goude e devo dire che amo le sue creazioni.

Com’è stato lavorare alla mostra “When you’re a boy”?

 Beh, è stata un’idea di Penny Martin.  L’ha curata e ha fatto tutto il duro lavoro per mettere insieme la mostra.  E’ stato molto emozionante avere una mostra dedicata esclusivamente al mio lavoro alla Photographer’s Gallery.  Non mi è piaciuto essere al centro dell’attenzione nelle serate di apertura, ecc.  Sono piuttosto inutile in tutte queste cose e preferisco stare più sullo sfondo.  Tuttavia, una volta che la mostra è stata allestita e ha preso vita, mi sono divertito molto anche io nel vederla, quasi come se guardassi il lavoro di qualcun altro.

Come sta cambiando il tuo lavoro durante questa pandemia globale?

Sto continuando a lavorare con Stone Island, ma siccome sono considerato nella categoria ad alto rischio mi sto auto-isolando.  Per questa ragione sto facendo la mia consulenza tramite la piattaforma Zoom, che è stata una manna dal cielo.  L’anno scorso ho rinunciato agli shooting per gli editoriali e al mio lavoro di insegnamento. 

Che tipo di relazione hai con i social network?

Sono spesso su Facebook solo per vedere cosa fanno gli amici o per guardare video insensati.  Sembra che Facebook sia ormai popolato solo da vecchi strambi  come me.  Non credo che i giovani lo usino più.  Instagram è divertente, ma anche in questo caso è piuttosto insensato.  Mi piace pubblicare le foto che scatto quando vedo qualcosa di notevole o bello, altrimenti non mi preoccupo.  Tutte quelle foto di cibo, o di bambini…  Datemi un po’ di tregua! 

 Ho usato Tumblr per anni e mi è piaciuto moltissimo, ma poi l’hanno rovinato con la loro posizione puritana antiporno che ha eliminato qualsiasi cosa anche solo vagamente spinta.  Ho chiuso il mio account e da allora non l’ho più usato.  Ho trasferito alcune immagini sul mio profilo Instagram “foxtonscrapbooks”, ma non è la stessa cosa ad essere sinceri.  Twitter lo uso per le notizie, questo è tutto.  Io non twitto.  Non ho mai avuto a che fare con tutto ciò in realtà.  Per quanto riguarda gli altri social reputo che siano per bambini e  quindi non mi interesso di loro.

Come hai lavorato al libro di Stone Island? E quale è stata la sfida nella realizzazione del libro?

Io e il mio partner di lavoro Nick Griffiths abbiamo lavorato con Stone Island per gli ultimi 12-13 anni.  Ci occupiamo della regia, del casting e delle riprese di tutte le campagne e di altre immagini fotografiche.  Nick realizza molte delle immagini in movimento per le loro piattaforme online.  Ci consultiamo anche con il team di design per dare un contributo alle collezioni, e siamo coinvolti in molti altri aspetti del marchio.  Sabina Rivetti di Stone Island mi ha contattato un paio di anni fa con l’idea di fare un libro.  Credo che all’epoca avesse già l’editore Eugene Rabkin e Rizzoli come publisher.  Il mio ruolo come direttore artistico era proprio quello di guidare il lavoro e fare in modo che rimanesse fedele al “linguaggio” di Stone Island.  Deve essere moderno, reale e con stile quasi industriale.  Niente di troppo appariscente o troppo progettato.  Ho scelto Rory McCartney come designer per il libro, perché abbiamo lavorato con lui all’ultimo, “Stone Island, Archivio” e in questo modo ha capito bene l’estetica di tutto il progetto.  Abbiamo passato molto tempo a cercare tra le masse di immagini per trovare foto che si sperava fossero interessanti e informative, ma che non erano già state utilizzate in altre pubblicazioni.  Abbiamo avuto l’assistenza di una meravigliosa ricercatrice fotografica, Sarah Cleaver, che ha fatto un lavoro straordinario.  Credo che la sfida principale sia stata quella di mantenere il linguaggio visivo pulito e spassionato del marchio, ma di produrre un libro che fosse interessante da vedere.  Speriamo di esserci riusciti.

Ci dica qualcosa sui suoi progetti futuri…  le piace ancora lavorare nella moda?

Al momento con il modo in cui va il mondo non ho fatto grandi progetti.  Prendo ogni giorno come viene.  Mi piace ancora molto lavorare con Stone Island, è un’azienda fantastica per cui lavorare, ma ad essere onesti, mi sono piuttosto disinnamorato della moda e delle riviste.  Ho smesso di girare editoriali di moda perché trovo i parametri che le riviste fissano e l’aderenza ai crediti che impongono sono troppo soffocanti.  Forse sto diventando troppo vecchio per tutto questo.  Vediamo cosa succede!

La sostenibilità secondo Matteo Ward

Parliamo di nuovi scenari sostenibili legati al settore del fashion con Matteo Ward, co-fondatore del brand responsabile Wråd e art director della sezione di White dedicata ai progetti green. Nell’intervista ci racconta il suo percorso e la visione per il futuro.“Siamo nel mezzo di una rivoluzione sistemica che va ben oltre aspetti come il cotone organico o il nylon riciclato. Oggi il prodotto deve avere uno scopo e offrire un servizio».  



Raccontaci come è iniziata la passione per la sostenibilità? 

Mentre lavoravo in Abercrombie, il ruolo che ricoprivo mi ha portato ad intraprendere un percorso di scoperta della verità circa il reale costo dell’industria di cui facevo parte. I dati sono spaventosi: per produrre una maglietta occorrono fino a 2.700 litri di acqua, per la tintura e finissaggio dei capi possono essere utilizzate tra le 1.600 e 2.000 sostanze chimiche dannose per la nostra salute e gli ecosistemi. E ancora, pensare che più della metà dei nostri capi contiene polyestere e che questi, acquistati e consumati ad un tasso sempre più elevato, possono impiegare fino a 200 anni per essere smaltiti o ragionare attentamente sull’impatto sociale della produzione tessile. La scoperta di tutti questi fattori e molti altri hanno contribuito a far crescere in me la voglia di mettere in discussione lo status quo. Decido quindi di licenziarmi e di investire la mia liquidazione per dar vita ad un progetto con un impatto sociale e ambientale, educativo in primis. Non potevo più accettare di contribuire involontariamente a rendere l’industria della moda una delle più inquinanti al mondo. Quindi assieme a Victor Santiago e poi Silvia Giovanardi diamo vita a WRÅD ispirare il mercato a manifestare valori sociali e ambientali attraverso prodotti tangibili al fine di catalizzare il cambiamento. 

C’era e c’è ancora, un’enorme asimmetria informativa rispetto al vero costo della moda. Questa è stata la vera motivazione ad abbandonare la mia zona di confort per dedicarmi a trovare soluzioni finalizzate a generare consapevolezza attraverso il design, l’educazione e la comunicazione. 



Quale è il tuo approccio a questo mondo? 

Bisogna lavorare con approccio e visione sistemica, ragionare a compartimenti stagni nel campo dello sviluppo sostenibile è rischioso e potenzialmente controproducente. Dobbiamo tenere a mente che tutto ciò che produciamo nel campo tessile (anche se fatto con materie prime naturali considerate responsabili) ruba comunque risorse naturali necessarie per rispondere alle reali esigenze di una popolazione in aumento. Non possiamo continuare a rubare acqua a persone e paesi in crisi di risorse per produrre milioni di tonnellate di vestiti di cui nessuno ha reale bisogno. 

Noi lavoriamo su tre fronti: educazione, innovazione e design. Ogni business unit è sinergica alle altre e lavoriamo per ispirare il pubblico a voler seguire modelli di consumo più responsabile e al tempo stesso per mettere sul mercato progetti e processi innovativi, smart e responsabili, in risposta alle rinnovate esigenze dell’umanità. Il prodotto deve essere ri-allineato con i veri bisogni delle persone, salute in primis – e il sistema deve passare da uno stato di individualismo lineare, che sta distruggendo l’ambiente e le persone, ad una nuova forma di collaborazione circolare. 

Quali le figure di riferimento che sono state di ispirazione? 

A livello lavorativo Susanna Martucci, founder & CEO di Alisea e Perpetua. È stato il nostro primo investitore, con lei abbiamo fatto una partnership che ci ha portato a inventare una nuova forma di tintura che recupera la polvere di grafite scartata dai processi di lavorazione industriale. 



I tuoi prodotti più significativi e innovativi? 

Nel 2016 ha preso appunto forma la partnership con Susanna Martucci di Alisea che ci ha messo a disposizione la sua esperienza nel campo dell’economia circolare per portare innovazione nelle filiere tessili. Frutto di questa sinergia è G_pwdr technology, un processo innovativo di tintura con grafite riciclata, oggi brevettato. Una tecnologia che ci ha consentito di giustificare la creazione di nuovo prodotto in un mondo che di certo non ha bisogno di altre t-shirt e jeans in quanto ci rendiamo subito contro che attraverso la tecnologia g_pwdr anche una semplice maglietta poteva diventare molto di più – un reale servizio. G_pwdr technology consente infatti di ridurre il consumo d’acqua in fase di tintura del 90% e di eliminare l’utilizzo di pigmenti chimici riciclando il sottoprodotto inevitabile della produzione di elettrodi in grafite. Un processo unico, ispirato da una tradizione di tintura minerale che affonda le sue radici nell’antica Roma, che WRÅD ha riscoperto e re- immaginato grazie agli abitanti di Monterosso Calabro che per secoli si sono tramandati oralmente questa pratica. Questa scoperta consente la creazione di GRAPHI-TEE endorsed by Perpetua. La prima t-shirt che recupera 20 grammi di grafite altrimenti destinata alla discarica. 

Come sta evolvendo il mondo della sostenibilità? 

C’è molta più attenzione da parte del mercato (Gen Z in primis) anche se il value-action gap, la distanza cioè tra chi manifesta la volontà di volere prodotti responsabili e di adottare uno stile di vita piu smart e chi poi effettivamente mette in atto questi principi, è ancora alto a causa di barriere di diverse tipo che dobbiamo abbattere. 

Ci sono vere rivoluzioni in corso nella filiera tessile, anche con diverse eccellenze italiane, che stanno mettendo a punto processi innovativi per ridurre sempre piu il consumo e deturpazione di risorse naturali fondamentali per l’umanità.
Persiste però il problema che se i brand e il sistema pensano che basti fare uno switch a modelli produttivi più responsabili per potersi definire “sostenibili” senza cambiare il loro modello di business allora non vedo evoluzioni sul fronte dello sviluppo sostenibile. Crescita incrementale e idea di profitto che non considera il capitale umano e quello naturale nell’equazione non sono compatibili con il concetto di sostenibilità. Fondamentali diventano i servizi e le tecnologie funzionali a rendere anche il prodotto tessile un servizio, riducendo cosi significativamente la sovra-produzione, in un sistema che deve riportare il rispetto per la salute dell’uomo e di tutte le specie viventi al centro. 

A day with Diego Thomas

In giro per Roma con l’architetto e giudice di Cortesie per gli ospiti

Diego Thomas in posa
Diego Thomas posa
Diego Thomas con la cravatta
Diego Thomas giacca blu
Diego Thomas camicia bianca

Foto 1: Total look Gucci

Foto 2: Camicia Gucci e Impermeabile e jeans Ferragamo

Foto 3: Total look Gucci

Foto 4: Camicia Gucci e Impermeabile e jeans Ferragamo

Foto 5: Camicia Shirtstudio, Pants Fila


A Roma – città dove vive e lavora –  abbiamo incontrato Diego Thomas, l’architetto che ha appena finito di girare la nuova serie di Cortesie per gli ospiti. Tra il serio e il faceto abbiamo fatto un giro per la capitale alla scoperta dei suoi luoghi del cuore.

Ecco i posti dove potrete incontrare Diego e il suo cane Paco passeggiando per la capitale.

Fare jogging al Circo Massimo e sentirsi l’atleta  più acclamato della Roma imperiale

Chiacchierare sotto le stelle seduto sugli scalini di una delle tante scalette di trastevere, poi su altre, poi su altre, poi su altre…

Illudersi di fare tutta la pista ciclabile lungo il Tevere da nord fino al mare e rinunciarci per un gelato vicino al grande raccordo anulare

Prendere il sole cullati dallo scroscio delle cascatelle del Tevere sugli argini dell’Isola Tiberina

Fare un giro di vernissage nelle gallerie tra via Giulia e via dei Coronari per essere aggiornati dai galleristi sugli ultimi pettegolezzi nell’arte

Andare alla ricerca del capo vintage che proprio mancava nel guardaroba per i negozietti del rione monti e tornare a casa vestiti da hippy

Andare a prendere un caffè in piazzetta la domenica e incontrare talmente tante persone che la domenica è già finita

Armarsi di metro in tasca e girare in tutti i mercatini e robivecchi a cercare il mobile dalle dimensioni perfette

Avventurarsi in un piccolo tracking nella foresta nelle zone selvagge di villa Ada o villa Pamphili, poi aperitivo fashion in centro

Innamorarsi per i negozi di antiquariato e modernariato di pezzi che non sai dove mettere ma “vabbè intanto li prendo”

Accendere una candela in qualche intima chiesetta nascosta tra le vecchie case, in quelle grandi e famose la candelina si confonderebbe con le altre

Essere catapultati in giappone nel giardino zen dell’orto botanico

Rinvigorirsi davanti all’imponenza del Foro di Augusto: non avevano l’elettricità, internet e neanche instagram ma erano forti

Scegliere una via, assegnare a ogni palazzo una data di costruzione, calcolare la media matematica, la mediana, frullare bene in una matrice e giocare il risultato al lotto

Lanciare i legnetti al mio bassotto Paco su una  spiaggia deserta in un’assolata giornata di primavera, a volte li riporta.

Passare incolumi tra il dominio dei principi Orsini e dei Colonna elencando tutte le differenze tra quelli di Roma Nord e quelli di Roma sud, rivali fin dal quattrocento e per quanti secoli ancora?

Crediti foto:

Talent: Diego Thomas

Fotografo: Manuel Scrima

Location: Hotel Valadier – Roma

Grooming: Francesca Bova

Special thanks: Sonia Rondini

One day with Antonio Nunziata

Classe 1998, Antonio Nunziata è un talent che ha iniziato a lavorare nella moda dal 2015. Dopo aver collaborato con numerose aziende di abbigliamento, a seguito delle ultime vicende legate al periodo del lockdown, lo vediamo protagonista di numerosi progetti legati al turismo e alla valorizzazione delle bellezze nel nostro paese. Lo abbiamo incontrato e ritratto a Roma, città in cui vive e lavora spostandosi dalla sua amata Napoli.

Foto: Manuel Scrima

Styling: Vincenzo Parisi


Racconta il tuo percorso, di studi e lavorativo..

All’età di 15 anni ho iniziato a scattare le mie prime campagne a Napoli come modello. La prima mi fu proposta da un amico che lavorava per una piccola azienda nel Vesuviano. Mi chiese di scattare qualche foto per un’azienda di moda e questa è stata la mia prima campagna. Da lì ho anche girato qualche spot pubblicitario in tv e ho aperto la mia pagina Instagram su cui condividevo gli scatti che via via realizzavo. 

Contemporaneamente frequentavo il Liceo Scientifico e dopo il diploma, a 19 anni, mi sono trasferito a Milano. Avevo una gran voglia di mettermi in gioco e fare un’esperienza di vita lontano da casa, anche per misurarmi con le sfide di un mondo adulto e diverso da quello in cui sono cresciuto; un’occasione per crescere e cogliere le opportunità di una metropoli super dinamica e complessa. Lì ho avuto le mie prime esperienze lavorative anche in altri settori. 

Come sei arrivato al mondo influencer e social?

Ho impiegato del tempo per capire le potenzialità che avevo in mano. Durante la mia permanenza a Milano continuavo a curare il mondo “social” parallelamente al mio lavoro, dove ho potuto conoscere e frequentare tante persone e da lì sono nate grandi amicizie. In quel periodo mi sono reso conto anche cosa non mi piacesse di questo mondo fatto di luci e scatti. Mi ci sono ritrovato dentro, ma non era nei miei piani. Al liceo pensavo di fare il modello, influenzato da quelle prime opportunità di lavoro, crescendo poi mi son accorto che non era ciò che volevo.

Quali sono le passioni che coltivi o che vorresti avere tempo di seguire?

Più di ogni altra cosa amo viaggiare. Infatti è ciò su cui sto focalizzando il mio profilo Instagram ultimamente. Durante questo periodo di crisi sanitaria, sociale ed economica, si è molto parlato di opportunità e di strategie per rimettere in moto il Paese. Il turismo è stato sicuramente uno dei settori più colpito in Italia e nel mondo. Abbiamo la fortuna di possedere circa il 70% dell’intero patrimonio artistico e culturale e tutto questo va valorizzato. 

Viaggiando ho imparato ad apprezzare le incredibili bellezze e ricchezze del nostro territorio. Tengo molto a cuore il Paese in cui sono nato, in particolare la Campania, Napoli e tutti i tesori che abbiamo, un motivo di orgoglio per il mondo intero. E’ iniziata così la voglia di promuovere collaborazioni per la promozione del turismo. Provo a dare fiducia ai miei follower incoraggiandoli a tornare a viaggiare in Italia, muoversi, scoprire le bellezza e l’offerta eno-gastronomica che è presente in tutto il territorio nazionale. Ogni viaggio che sto facendo è una scoperta sorprendente anche per me, quindi non faccio altro che riportare quelle che sono le mie impressioni ed esperienze, sperando di poter dare nel mio piccolo un contributo al turismo italiano, possibilmente responsabile ed ecosostenibile. Altre mie passioni sono il nuoto e il fitness che spero di riprendere in modo costante appena sarò più stabile e naturalmente la fotografia.

La tua giornata tipo?

Sono un tipo abbastanza mattiniero. Sveglia alle 8, ricca colazione, check delle notizie principali sui giornali online e subito palestra o nuoto. Verso pranzo rispondo alle mail e poi in base agli impegni mi organizzo la giornata. In ogni caso non amo la routine. 

La tua playlist – le tue 5 canzoni del momento?

Vienimi (a ballare) – Aiello , Erykah Badu – On & On, Bimbi per strada – Fedez, Chega –  Gaia, Savage Love – Jason Derulo.

I tuoi posti del cuore dove torni a ricaricarti o cui sei particolarmente legato?

Senza dubbio, la costiera amalfitana! E’ il posto dove stacco i pensieri , spengo il cellulare e passo ore e ore a passeggiare e osservare il paesaggio. 

Che stile hai? Cosa non manca nella tua valigia quando viaggi? 

Come è possibile capire dal mio profilo, ho uno stile abbastanza casual. Alcune volte passo a quello più elegante. In ogni caso la parola d’ordine è: camicie. Non mancano mai nel mio armadio e in valigia. Sono quasi ossessionato, ne ho di tutti i tipi. Monocromatiche, a righe, floreali, cotone, lino, seta etc. Proprio non posso farne a meno. 

Il tuo rapporto con la moda?

Sto imparando a conoscerla. E’ un mondo tanto straordinario quanto complesso che va studiato e conosciuto prima ancora che utilizzato per scopi commerciali. Personalmente non ho gusti “estremi” o eccentrici e difficilmente mi lascio condizionare dai trend del momento. Per certo posso dire che se è italiana è meglio. E non lo dico per solo campanilismo. Sono consapevole che il Made in Italy sta vivendo un periodo di fragilità, assediato dalla competizione manifatturiera di altre aree del mondo che però non garantiscono le nostre stesse performance e qualità. E’ qui che ci giochiamo la partita. In un mondo globalizzato è difficile anche per noi influencer poter collaborare, non dico solo, ma soprattutto con marchi italiani. Ultimamente una sartoria pugliese mi ha spedito una giacca di lino superlativa per qualità e bellezza. Un prodotto tipicamente artigianale, motivo di orgoglio per chi come noi non dovrebbe solo limitarsi a indossare un indumento per scattare, ma anche capirne la storia, il lavoro e la creatività che ci sono dietro a quel capo. Mi piacerebbe che i marchi italiani, soprattutto i piccoli, conoscessero meglio il “mercato dei talent” e noi viceversa il mondo dell’artigianato e della sartoria italiana per far crescere insieme questo mercato con maggior consapevolezza e qualità. 

Cosa vuoi fare da grande? E progetti per il futuro..

Ho intenzione di studiare recitazione, vorrei fare l’attore. È uno dei miei prossimi obiettivi. 

CREDITS:

Talent: Antonio Nunziata @antonionunziata

Fotografo: Manuel Scrima @manuelscrima

Styling: Vincenzo Parisi @vincent_parisi

Grooming: Francesca Bova @francesca_bova_

The new Italian wave: Rocco Fasano

Il successo di Skam Italia continua a raccogliere consensi di critica e una community di fan molto forte, così come quello dei giovani e talentuosi interpreti che danno vita ai suoi amati personaggi. In esclusiva per MANINTOWN, abbiamo incontrato Rocco Fasano, uno dei protagonisti che nella serie interpreta il personaggio di Niccolò Fares, un personaggio che ha segnato un momento importante nel percorso dello stesso attore.

Hai avuto sin da piccolo una formazione musicale…

Mi sono avvicinato alla musica molto presto. Mio padre mi ha spinto a fare un corso propedeutico musicale quando avevo 5 anni e da lì l’anno successivo ho iniziato a studiare pianoforte con un’insegnante e mi sono iscritto al conservatorio a 9 anni che ho finito 12 anni dopo.

La musica la vivi ancora, ti eserciti?

La esercito ma più in forma di passione privata; in realtà è sempre stato un po’ così, anche se l’ho studiata in maniera completa. Forse un po’ per timidezza, non mi è mai piaciuto esibirmi davanti a tante persone, mi ha messo sempre un po’ di ansia. Quella del concerto per esempio e quella del set sono molto diverse come situazioni e le vivo diversamente. 

Raccontami il tuo debutto…

Avvenne nel 2014 con un film indipendente in lingua inglese con una distribuzione molto di nicchia. E’ stata la mia primissima esperienza e da lì, anno dopo anno ho sempre cercato di continuare con la mia passione e fare un passo in più rispetto all’anno precedente.

Di questa prima esperienza cosa ti ricordi? 

Il set mi sembrava un luogo astruso, pieno di attrezzatura tecnica: la prima esperienza fa sempre un po’ paura, ti mette in soggezione. Però alla fine ero molto focalizzato, col regista abbiamo fatto un bel lavoro di cui sono ancora oggi contento. 

Dopo quello cosa è successo?

Ho continuato a fare provini e ho fatto una piccola serie per Fox e poi per Sky dal titolo ‘Hundred to Go’ sempre in inglese. Quando posso cerco di lavorare anche in inglese perché mi piace molto. 

Leggevo che parli diverse lingue, dialetti anche?

Dialetti sicuramente, in repertorio come dialetti italiani ho dal milanese al siciliano, napoletano, romano, cadenze che sento abbastanza mie. In inglese ho lavorato col britannico e con l’americano, poi parlo un pochino di francese.

Come è arrivato Skam Italia?

Con un classico provino tramite il mio manager: ho portato una mia idea di personaggio e poi il regista mi ha detto “sarei interessato che tu portassi fuori invece una forma di dolcezza”. Io non conoscevo il progetto al tempo, avevo portato un personaggio un po’ più fighetto e invece abbiamo lavorato su vulnerabilità e dolcezza e da li è nato il personaggio.

Un personaggio molto complesso, visto che non te l’aspettavi. Come ti sei preparato a un ruolo così?

Quando ho letto la sceneggiatura e il disturbo borderline di personalità e l’omosessualità ho fatto ricerche soprattutto sul disturbo borderline. Questi pazienti sono estremamente sensibili e vivono la loro emotività come se ci fosse un’enorme lente di ingrandimento di fronte. Anche la comunicazione e le piccole cose per loro non sono banali; ogni piccola sfida emotiva può diventare una grande sfida. Oltre a questo aspetto c’era quello della paura dell’abbandono, dell’incertezza e delle fasi depressive. Le ricerche poi le ho dovute coniugare con script e sceneggiatura e capire dove si potevano fare uscire questi aspetti, coadiuvato da una direzione oculata.

Quanto ti rispecchi in questo personaggio, in questi lati un po’ oscuri e un po’ fragili?

Tanto! Lavorare su Niccolò è stato importante perché ho dovuto raggiungere quella parte recondita e molto vulnerabile di me stesso, portandola fuori con scioltezza e con tante persone attorno. Il set è un ambiente paradossale, devi cercare di accedere a quelle zone di te stesso magari anche nascoste rapportandoti con altri personaggi. Questa è stata la sfida che poi è parte del lavoro. Questo mi ha fatto riscoprire quel lato di me stesso e me l’ha fatto amare molto di più. Prima tendevo ad accantonare e superare vulnerabilità e fragilità, Niccolò me le ha fatte riscoprire come fonte di ricchezza enorme. 

La serie è importante perché ha un messaggio per i giovani, di essere se stessi..

Di essere se stessi al massimo possibile perché nell’essere te stesso, chiunque tu sia e nei limiti di non fare del male all’altro non c’è nessuna colpa. Questo deve passare come messaggio. Ad esempio la relazione omosessuale che c’è nella seconda serie viene normalizzata del tutto. Questo era l’intento del regista, non pesare sull’aspetto drammatico, ma mostrare gli aspetti normali che esistono nella nostra società, molto semplicemente fra due persone che si amano.

Ti aspettavi un successo così grande visto che alla fine questa serie conquista veramente persone con punti di vista diversi.

Skam ha creato un precedente nella serialità italiana. Dopo la quarta stagione si chiude un primo ciclo di serie teen in Italia. Io non me lo aspettavo quando sono entrato nel cast. Era un bellissimo progetto e scritto molto bene ma non potevo prevedere l’eco e la risonanza che avrebbe avuto e che abbiamo accolto con grande entusiasmo.

La tua vita quotidiana come è cambiata?

È cambiata tanto sia dal punto di vista pratico e pragmatico perché vieni riconosciuto per strada, non si sfugge agli incontri casuali che sono sempre delle gioie. Il fandom di Skam Italia poi è molto educato e pieno di energia. Ti viene davvero voglia di interagire con loro.

Invece con la moda? Come è iniziata la tua carriera di modello?

È iniziata leggermente più tardi della recitazione e per caso. Io stavo a Monti e una fotografa che poi è diventata una mia carissima amica mi ha fermato facendomi notare il mio particolare un profilo greco e mi ha voluto scattare. E da lì molto inconsapevolmente è iniziata questa carriera parallela che ho coltivato, ma la mia passione primaria rimane la recitazione. 

Un sogno nel cassetto che speri di realizzare prossimamente?

Sicuramente continuare a far parte di progetti belli, non è una cosa scontata perché di cose se ne fanno veramente tante e anche in Italia ci sono tantissimi nuovi investimenti in questo settore. La mia speranza è di continuare sul filone di Skam in termini qualitativi e di fare sempre meglio. 

Manintown x Gucci

Photography: Davide Musto @davide_musto

Talent: Rocco Fasano @rocco_fasano

Art Direction & Styling: Giorgia Cantarini @giorgiacantarini Styling Assistant: Giorgia Musci @mushiland

Grooming: Francesca Bova @francesca_bova_

Location: Villa Egeria – Appia Antica

Production: Manintown @manintownofficial 

Video: Marlon Rueberg @marlonrueberg

Camera Operator: Jacopo Lupinella @jacopolupinellaph

Special Thanks: Rocco Panetta @houstonisback

Ganesh Poggi Madarena @andune

Sonia Rondini @sonia_rondini

The new Italian Wave: Ludovico Tersigni

Ludovico Tersigni è tra i giovani talentuosi, che sono parte di una nuova generazione italiana che sta riscuotendo grande successo, anche grazie a Netflix. Il suo successo è stato decretato da due serie tra le più amate e seguite non solo dai teen, come come Skam Italia e Summertime. Carattere riservato e  poco incline ai social, lo abbiamo incontrato a Roma, dove in esclusiva per MANINTOWN ha anche indossato i panni di un dandy, protagonista di una notte romana anni Trenta nel servizio che scoprite qui.



Come è nata la tua passione per il cinema?

È nata prima la passione per il teatro e la musica (amo suonare la chitarra) e poi sono arrivato al cinema. Ho iniziato sin dalle elementari con le prime recite a scuola e ho poi continuato alle medie e superiori a coltivare questa passione a livello amatoriale. 

Quando ti sei detto voglio fare l’attore? 

Non l’ho ancora detto io. È stata una cosa fluida e ho tentato di cogliere le opportunità. Il primo film  Arance e martello l’ho fatto con Diego Bianchi e quel provino è stata la mia occasione. Sono stato preso per il ruolo e poi il film è andato a Venezia; lì ho incontrato Vittorio Pistoia, che mi ha chiesto se volessi entrare nella loro agenzia per fare una prova e ho accettato, anche se dovevo ancora laurearmi. La laurea non l’ha più vista nessuno ma in compenso ho fatto tante cose, ho preso tanti provini e ho continuato negli anni successivi con ruoli molto formativi. È stato un percorso a tratti difficile, per esempio il film ‘Slam. Tutto per una ragazza’ con Andrea Modaioli è stato lungo e complicato. C’è stato bisogno di un allenamento perché il protagonista è uno skater e ho dovuto raggiungere un buon livello in poco tempo. È uno sport che comporta infortuni ed è rischioso. Quindi farlo con l’idea che non ti dovevi fare male è stata una bella sfida.