Alle radici del talent factor: il successo globale di Luca Tommassini

«Ho sempre creduto nei sogni, e ho sempre creduto che per raggiungerli bisogna coltivarli costantemente, pensarci quasi in modo ossessivo»: è questo il mantra di sempre di Luca Tommassini. Ballerino e coreografo, attore, regista e direttore artistico, un artista a 360 gradi. Sopra le righe, dalla personalità travolgente, ha saputo conquistarsi uno spazio di primo piano attraverso creatività e grandissimo talento.

Il debutto avviene da giovanissimo nel 1987 in Festival di Pippo Baudo, poi il lavoro in moltissimi spettacoli, ballando con Lorella CuccariniHeather Parisi. Nel 1993 decide di trasferirsi in America, e la sua carriera ha una svolta clamorosa. Madonna lo sceglie come primo ballerino per il suo tour mondiale The Girlie Show, partecipa anche al video di Human Nature e al musical Evita. Da quel momento, tutte le star statunitensi lo cercano per i loro spettacoli. Balla con Diana Ross, PrinceWhitney Houston, Kylie Minogue e Janet Jackson. E riesce a realizzare un altro suo grande sogno: quello di ballare con colui che, sin da bambino, è stato il suo mito, il suo idolo, Michael Jackson, che nel 1997 lo chiama a ballare nel video di Blood on the Dance Floor.  Come coreografo ha collaborato inoltre con Geri Halliwell nel celebre video It’s Raining Men e in quello di Mi Chico Latino, curando poi la regia del videoclip di Ride it.

Nei primi anni Duemila rientra in Italia e lavora con Paola e Chiara, con Giorgia (della quale cura il restyling dell’immagine), torna a lavorare con l’amica Lorella Cuccarini e con Ambra Angiolini, Elisa, Marco Mengoni, Anna Tatangelo. Per dieci anni è coreografo dell’edizione italiana di X Factor, e nel 2018 è direttore artistico del serale di Amici.
La fine del 2020 segna l’inizio della collaborazione di Luca con Tim per la realizzazione del mega spot istituzionale, il più lungo della storia, in onda il 31 dicembre con l’inconfondibile voce di Mina, realizzando così uno dei sogni di sempre di Luca, collaborare con la più grande artista italiana di tutti i tempi.

A maggio 2021, cura la direzione artistica della performance della rappresentante di San Marino, Senhit, con il brano Adrenalina all’Eurovision Song Contest, di cui ha firmato anche la regia del video featuring Flo Rida, uno dei più grandi rapper americani. A giugno Luca firma la collezione We Are Dreamers in collaborazione con Dream Project Spa, con un progetto speciale a favore di Pangea ONLUS per supportare i sogni di mamme e bambini con la creazione di un laboratorio ludico pedagogico.

Manintown intervista Luca Tommassini

Nella tua lunga carriera hai lavorato con i pesi massimi dello star system internazionale (tra gli altri Michael Jackson, Prince, Madonna, Diana Ross) e nostrano, dalla Carrà a Claudio Baglioni, fra tutte c’è un’esperienza che ritieni particolarmente significativa, cui sei più legato perché ha rappresentato un punto di svolta?

Difficile dire quale esperienza sia stata la più significativa, ho avuto tanti punti di svolta: iniziare a lavorare in America, diventare il primo ballerino di Madonna, e ancora quando mi chiamò Michael Jackson. Se parliamo di danza, ognuno di questi eventi ha dato una spinta al mio successo e, nel tempo, il mio lavoro si è evoluto. Sono stato regista della pubblicità di Coca-Cola, ho lavorato in televisione dietro le quinte, come giudice in programmi televisivi italiani e stranieri. Tanti punti di svolta in diversi ambiti della mia carriera.

Si diceva delle numerose star con cui hai avuto occasione di collaborare, guardando invece al panorama odierno, chi pensi abbia le potenzialità per affermarsi ai massimi livelli, in Italia e non?

In ambito musicale certamente i Måneskin hanno aperto ancora di più la scena italiana al mercato internazionale, rendendola più interessante. Ancora, Mahmood, Madame, Blanco. Penso che in Italia si tende a essere critici verso i nuovi artisti, quelli che conquistano subito il successo ci rendono meno “stronzi” nel giudicarli.
In ambito cinema invece siamo sempre stati conosciuti e apprezzati e ora sempre di più, anche con le nuove generazioni di attori. Mi piace molto Luca Marinelli che sta avendo un grande successo mentre, tra i giovanissimi, Filippo Scotti nel film di Sorrentino.

Nel 2015 usciva per Mondadori il tuo libro – in parte autobiografico – Fattore T, in cui partivi dalla domanda su cosa sia il talento; la riproponiamo, cos’è secondo te il talento?

Il talento è un valore molto sfaccettato e ha diverse chiavi di lettura. C’è un talento naturale, innato, che riguarda l’arte (un dono di natura), però c’è anche un talento “imprenditoriale” che può compensare quello artistico. Essere famosi, quindi, non significa avere talento, oggi spesso è sufficiente vendersi bene per avere successo e costruire un personaggio su altre basi. I social, in particolare, contribuiscono a questo processo. Il talento è arte, diversamente sei solo una persona famosa.

Quali qualità deve possedere oggi un ballerino/a  e, in generale, un new talent della scena artistica musicale per emergere e affermarsi, professionalmente parlando?

Quando sono stato in America non c’erano ballerini italiani, oggi Los Angeles ne è piena. Questo significa che il livello tecnico si è globalizzato ed è diventato molto più alto, e anche che gli italiani hanno una marcia in più, pensiamo tra gli altri alle nostre eccellenze come Jacopo Tisci, che è stato primo ballerino del Bol’šoj di Mosca.
Se parliamo di un ballerino commerciale, invece, è importante che questo tipo di profilo conosca tantissimi stili e abbia alla base tanti anni di studio. Certo, non basta solo la tecnica, personalmente scelgo persone che si sentano libere mentre ballano, sappiano giocare, essere buffe senza paura di risultare ridicole. Bisogna essere un po’ attori a livello di struttura, non mi interessa il ballerino perfetto. Devi essere sveglio e calarti nella parte, altrimenti diventi poco interessante per il pubblico ma anche per te stesso.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Al momento i progetti più recenti sono lo show di Enrico Papi in cui ho il ruolo di direttore artistico, poi ho in corso anche la serie Le fate ignoranti di cui ho curato le coreografie. Ho appena finito di girare con i Manetti Bros. Diabolik 2, inoltre sto lavorando a tanti video musicali e numerosi progetti, al momento top secret. Saranno mesi intensi!

Nell’immagine in apertura, Luca Tommassini tra Álvaro Soler e Fedez

Dai film alla musica, un nuovo debutto per Sergio Ruggeri

Sergio Ruggeri testate
Pants Versace Jeans Couture, knit MRZ, sneakers Antonio Marras, earring Nove25

Sergio Ruggeri, romano, segni particolari: bellissimo, artista a 360 gradi. Lo abbiamo potuto apprezzare come attore in diverse serie tv (come Baby) e al cinema, ma ora siamo qui per conoscere il nuovo lato di Sergio, il più introspettivo, quello del cantautore. La passione per la musica c’è sempre stata, ora però ce la sta regalando canzone dopo canzone. La prima è stata Testate, poi Farmacie ed in ultima battuta Patatrac; fanno tutte parte di un EP che completerà il quadro, che ci presenterà in estate.

La sua attenzione e cura di livello cinematografico, invece, la possiamo vedere soprattutto nei video che accompagnano i tre brani, nei quali ci racconta tutto ciò che prova e ha provato, andando a scavare nel profondo delle relazioni tossiche, narrandole e mettendole a fuoco a modo suo.

Sergio Ruggeri farmacie
Shirt and leather pants Desa 1972, boots Bruno Bordese, jewelry Nove25

Un giorno di qualche mese fa, aprendo il tuo Instagram, si era azzerato tutto, come mai?

Avevo voglia di mettere in primo piano, e di far capire alla gente, che stavo lavorando a un progetto nuovo, qualcosa cui tengo tantissimo, ovvero le mie canzoni. Ho voluto concentrare l’attenzione delle persone che mi seguivano sul fatto che mi sto dedicando anima e cuore alla scrittura e alla musica.
Bisogna sempre azzerare per ripartire, il che non vuol dire che nella vita reale faccio solo questo, continuo a studiare e fare provini, però non ti nascondo che sto impiegando tantissimo tempo ed energie per completare l’album. Era un po’ come dire “Sergio è anche questo, ve lo sbatto in faccia, fatemi sapere cosa ne pensate”.

Da dove parte il tuo progetto musicale?

La verità è che ho sempre avuto dei pezzi che curavo da solo in camera, senza sapere come, però scrivevo e mi facevo le mie cose da solo. Poi due anni fa ho avuto la fortuna di conoscere il mio socio, Matteo Gasparini, che adesso è anche il mio produttore, da lì ho iniziato ad andare in studio e lavorarci seriamente. Comunque scrivo da sempre, non è una novità per me, anzi, io quando sono fermo a un semaforo prendo lo smartphone e segno qualcosa sulle note. Solitamente di notte sviluppo quello che ho pensato, elaboro una canzone. Di solito non ci impiego tantissimo, se sento che ci sto mettendo troppo vuol dire che c’è qualcosa che non va e lascio perdere.

Sergio Ruggeri Baby
Total look Antonio Marras, earring Nove25

Come ti sei avvicinato alla scrittura?

Le prime volte che andavo dallo psicologo, non avevo questa capacità di raccontarmi, quindi – tra virgolette – perdevo tempo, e lui allora mi aveva consigliato di scrivere tutto ciò che mi faceva stare bene o male, come fosse un compito in classe, e quando andavo da lui potevo leggerglielo a voce alta.

Cosa vuoi raccontare di te con la musica?

Racconto davvero tanto, soprattutto per chi non mi conosce, nel senso che son cose che trapelano quando sono in giro nella mia vita quotidiana. Da febbraio sono usciti tre brani, ora ne usciranno altrettanti.
Mi concentro soprattutto su quello che provo all’interno di un rapporto tossico, cioè quel tipo di amore che, anche quando arrivi alla consapevolezza che non ti fa stare bene, fai di tutto per non vedere, continui a sbatterci la testa e soffrire; a quel punto, vuol dire che si sono davvero innescate dinamiche tossiche. Due persone che sanno di non farsi bene non dovrebbero starsi vicino.

Parlami dei video che sono usciti insieme ai brani, piuttosto grafici e forti.

Se abbassi il volume sono tre cortometraggi, abbiamo puntato tantissimo sull’unire le due mie passioni, quella cinematografica e la musica. Nel terzo video hanno lavorato per me due attori bravissimi, Francesco Gheghi e Giulia Maenza, li ringrazio molto.
Nel video di Patatrac racconto proprio questo, il suicidio d’amore, si tratta però di due persone che, prima di uccidersi, fanno l’amore, consapevoli di non essere divisi anche se alla fine dovrebbero.

Mi avevi detto che volevi raccontare del tuo essere introverso...

Raccontare cose che non vengono raccontate: mi fa davvero piacere, credo sia questa la mia chiave di trasposizione. Ad esempio nel secondo video, Farmacie, abbiamo narrato un momento molto, molto intimo ed introverso di Sergio, nonché dell’uomo in generale; penso che la cosa peggiore che possa succedere a chi soffre per una relazione finita sia proprio masturbarsi sulla sua ex. Ditemi tutto insomma, ma non che sono banale.

Quindi scrivere è terapeutico?

Per me vedere un foglio pieno è un segno di riuscita, riesco a dirmi che ce l’ho fatta.

Sergio Ruggeri musica
Total look Iceberg X Kailand O. Morris
Sergio Ruggeri artista musica
Vest Di Liborio, cargo pants Antonio Marras, earring Nove25, leather bracelet stylist’s archive

Credits

Talent Sergio Ruggeri

Editor in Chief Federico Poletti

Text Fabrizio Imas

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Hair & make-up Laura Casato @simonebelliagency

Hair & make-up assistant Chiara Crescenzi @simonebelliagency

Location Novotel Roma Eur

Nell’immagine in apertura, Sergio Ruggeri indossa maglia MRZ, orecchino Nove25

Aka 7even, l’astro emergente dell’urban-pop italiano

Sette è un numero dai molteplici significati, particolarmente importante per il 21enne Luca Marzano alias Aka 7even, tra gli astri nascenti della scena urban-pop nostrana. Rimanda, infatti, a un episodio doloroso del suo passato, la settimana trascorsa all’ospedale in coma per un’encefalite, quando aveva sette anni, tramutato però in un elemento di forza e speranza: non a caso la sua autobiografia, uscita l’anno scorso, si intitola 7 vite. Un artista poliedrico insomma, che ha saputo convogliare la voglia di riscatto nella musica: ammesso nel 2020 alla fase finale di Amici, durante il talent show firma la prima hit, Mi manchi. Uscito dal programma, pubblica l’album che porta il suo nome d’arte e contiene il brano Loca, tormentone certificato triplo disco platino (vanta anche una versione in spagnolo).
Il 2021, d’altra parte, è un annus mirabilis per il cantautore: vince il premio “Best Italian Act” agli MTV Ema e viene selezionato per il Festival di Sanremo 2022, cui partecipa con Perfetta così.

Aka7even Mi manchi
Tank and trousers Yezael by Angelo Cruciani, jacket Christopher Raxxy, shoes Acupuncture

Tra le influenze che hanno inciso maggiormente sulla propria cifra musicale, Luca cita Bruno Mars, Justin Bieber, The Weeknd, ma in realtà la sua è una sigla personalissima, che concretizza in una musica definita «versatile, con forti influenze di sound americano a livello di topline e produzioni»), risultato dello «spaziare tra generi e stili diversi».

Tra pochi giorni, Aka 7even inaugurerà il tour estivo che lo porterà in varie città d’Italia e, dopo le tappe iniziali di Roma (3 giugno) Napoli (5-6) e Milano (9), proseguirà con quelle – tra le altre – di Gallipoli, Civitanova Marche, Santa Marinella, per concludersi il 23 agosto in Costa Smeralda, a Porto Cervo. Con l’occasione, presenterà dal vivo la nuova canzone Come la prima volta.

Loca Aka 7even
Total look Ferrari, shoes Lanvin

Cos’è per te il talento, come lo definiresti?

Penso sia un dono, una benedizione da mettere a frutto.

Com’è nata la passione per la musica? Quali sono le tue principali influenze, in questo senso?

La mia passione per la musica è nata da piccolo, all’età di 5 anni, quando ho iniziato a suonare la batteria, per passare poi a pianoforte, clarinetto e altri strumenti.
Le mie principali influenze sono Bruno Mars, Justin Bieber e The Weeknd.

Aka 7even tour 2022
Tank and trousers Yezael by Angelo Cruciani, necklace Radà

Il brano cui, per un motivo o per l’altro, sei più legato.

La distanza di un amore e Cambiare di Alex Baroni, sono i due brani con cui ho iniziato a cantare.

Come descriveresti la tua musica a chi non l’ha mai ascoltata?

Versatile, con forti influenze di sound americano a livello di topline e produzioni. Amo spaziare tra generi e stili diversi, senza fossilizzarmi sulle categorie.

Dove ti vedi tra qualche anno?

Mi vedo o meglio, aspiro a vedermi in giro per il mondo, a portare ovunque la mia musica. Il sogno è riempire gli stadi, duettando con artisti internazionali.

Aka7even Amici 2022
Total look Versace Jeans Couture, necklace Radà

Credits

Talent Aka 7even

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Filippo Thiella

Stylist Simone Folli

Photographer assistant Andrea Lenzi

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Cecilia Olmedi

Nell’immagine in apertura, Aka 7even indossa giacca Moschino

Giuseppe Futia, nuovo volto (internazionale) del cinema italiano

Occhi verdissimi e il physique du rôle del modello, l’attore 25enne Giuseppe Futia, dopo essersi affermato nel fashion world (con campagne per nomi del peso di Pepe Jeans, Kappa e Zalando), si è dedicato anche alla recitazione, volando a Los Angeles per frequentare la prestigiosa Stella Adler Academy.

L’occasione giusta («per certi versi è stato un miracolo», ricorda), il ruolo di Tommaso in Ancora più bello (2021), è arrivata proprio mentre era negli Usa.
Lo vedremo presto in Backstage – Dietro le quinte, pellicola su nove (aspiranti) partecipanti a uno spettacolo teatrale che, per guadagnarsi l’ingaggio, dovranno dar prova di notevoli abilità; la descrive come «un’esperienza intensa», che ha richiesto «due mesi passati a provare, ballando e cantando; una sorta di accademia lampo».

Tommaso Ancora più bello
Total look Federico Cina, shoes Bally

In Backstage – Dietro le quinte sei uno dei nove ragazzi che aspirano a partecipare allo show del Sistina, e per dimostrare di meritarsi uno dei posti disponibili dovranno sfoderare le proprie capacità nella danza, nel canto e nella recitazione. Come ti sei trovato rispetto a tali “perfomance”?

Sotto il profilo attoriale è stato un sogno e ho fatto subito gruppo con gli altri, anche perché abbiamo passato oltre due mesi a provare tutti i giorni, ballando e cantando, insieme al team del Sistina; una sorta di accademia lampo per prepararci alla riprese. Pensavo di cavarmela meglio col ballo, invece… Di sicuro, ne ho ricavato molto sudore e dolore, ma penso e spero di esser riuscito a tirare fuori qualcosa di buono. Sono felice, come pure il resto del cast, eravamo in ottime mani. Siamo fiduciosi, ansiosi di vedere il risultato finale.

Eri anche nel cast di Ancora più bello (ora su Netflix), cosa ricordi del tuo esordio cinematografico?

Per certi versi è stato un miracolo, al momento del provino mi trovavo in America, ho lasciato tutto per sostenerlo. Non scorderò mai il momento in cui mi hanno comunicato che ero stato scelto, ho pianto per una ventina di minuti.
Ricordavo, del primo film (Sul più bello, ndr), che non sembrava neppure italiano, era una teen comedy ma nient’affatto scontata; era un bel progetto insomma, per questo ero così emozionato. Sul set, alla fine, c’era un’atmosfera più che positiva, il gruppo era già affiatato e ho avvertito la voglia di stare insieme, divertendosi. Girare a Torino è stato bellissimo e ho conosciuto Loredana Bertè, cosa volere di più?

Tommaso ancora più bello attore
Total look Dsquared2

Nel 2017 ti sei trasferito oltreoceano per frequentare la Stella Adler Academy of Acting, a Los Angeles. Qual è stato il primo impatto con la capitale mondiale del cinema?

Sembrerà scontato, ma a colpirmi è stato innanzitutto il caldo. Vengo dalla Calabria, perciò con quel clima, i parchi enormi, Venice Beach, mi sono sentito a casa. Uomini, donne, tutti sono bellissimi e sognano di sfondare nel cinema, c’è un fermento palpabile.
Mi è rimasta impressa, su tutto, la convinzione generale che si può – e si deve – sempre migliorare, lo pensano pure i grandi attori, i professionisti affermati che insegnano all’accademia. Ho toccato con mano un tipo di umiltà, di voglia di fare che è espressione di una cultura diversa.

Qualche aneddoto o episodio da ricordare del periodo a L.A.? Qual è per te l’aspetto migliore e quello, se non peggiore, più problematico della metropoli californiana?

Un aneddoto riguarda l’incontro con Jon Voight, non so per quale motivo, fermandolo per una foto, l’ho chiamato “Antoine”. Lui è rimasto interdetto, ma per pietà ha acconsentito. Un addetto alla sorveglianza, assistendo alla scena, mi ha squadrato per poi dirmi “bella figura di m…”.
La parte migliore si ricollega a quanto dicevo prima, ci sono infinite opportunità, i ritmi sono forsennati ma le possibilità non mancano. Il rovescio della medaglia sta nel fatto che a Los Angeles è davvero facile sentirsi soli, per non parlare della competizione, esasperante. Le folle di senzatetto ricordano costantemente quanto possa essere duro e spietato, come ambiente.

Sei cresciuto con la compagnia LocriTeatro, hai sostenuto il provino per la scuola Paolo Grassi, recitato in parecchi spettacoli… Il teatro è sempre stato nelle tue corde? Cosa lo differenzia maggiormente dal cinema, a tuo parere?

LocriTeatro è stata una salvezza, venendo da un paesino rappresentava l’unica realtà dove, se volevi recitare, potevi combinare qualcosa. All’inizio ero scettico, però mi sono completamente ricreduto. La vicinanza del pubblico, la necessità di andare avanti qualsiasi cosa accada fanno del teatro una scuola impareggiabile.
La differenza principale rispetto a cinema e tv penso sia l’esigenza di seguire un ritmo preciso, di proseguire a ogni costo; ti dà un’adrenalina che, davanti la macchina da presa, devi invece costruirti da solo, trovandoti magari a rigirare quaranta volte la scena. Sul set bisogna impostare i propri tempi, il teatro al contrario ti forza alla coralità, e l’esperienza umana risulta più coinvolgente.

Da modello, hai sicuramente dimestichezza con outfit, dress code, tips e simili, come descriveresti il tuo stile? Opti per una specie di uniforme o preferisci variare?

Minimal chic, trovo mi si addica; prediligo il total black, la mia uniforme è quella, non vado pazzo per le cose stravaganti, sebbene ultimamente stia provando a osare un filo di più con gli accessori. Resto fedele, comunque, al look pulito.

Progetti per il futuro? Cosa ti auguri, come attore e persona?

Per il momento nulla di definito, in futuro mi piacerebbe lavorare il più possibile come attore, e mettermi alla prova, costantemente. Questo lavoro del resto è così, ti costringe a cambiare, sfidandoti, è proprio questo il bello.

Giuseppe Futia film
Total look Dsquared2
Ancora più bello film cast
Total look Dsquared2

Credits

Talent Giuseppe Futia

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistants Valentina Ciampaglia, Riccardo Albanese

Stylist assistant Chiara Polci

Grooming Eleonora Mantovani @simonebelliagency

Location Hotel American Palace Eur

Nell’immagine in apertura, Giuseppe Futia indossa maglia Federico Cina, pantaloni stylist’s archive

Baltimora, un talento in ascesa

Nello studio in cui si trova mentre facciamo l’intervista c’è una tastiera alle sue spalle. Edoardo si volta e improvvisa il riff di Baltimora per farmelo ascoltare: ha ventun anni, ma quel «riffetto», come lo chiama lui, ha già una lunga storia iniziata ai tempi del liceo e culminata sul palco del talent che l’ha lanciato. Come è andata lo sappiamo bene.

Prima scelta sorprendente: dopo la vittoria Edoardo ha preferito prendersi una piccola pausa, non di riflessione ma di produzione concentrata e intelligente, che ha portato all’uscita del suo primo EP: Marecittà. 7 brani autoprodotti, una serie di esperimenti coraggiosi che fanno già da manifesto. Il suo è quello di un sound sempre sperimentale e di un gusto internazionale per certi groove, tenendosi però saldo alle radici intime del cantautorato italiano.

Dai primi cd che gli regalava suo zio da bambino alle nottate passate a scrivere per sconfiggere il malessere e l’insonnia, poi quel boato al secondo live di X Factor («quando ho capito che forse dovevo smetterla di fustigarmi così tanto e pensare di non essere all’altezza»). Oggi Edoardo è un fiume in piena. Mi racconta il suo EP d’esordio e pensa già al prossimo che verrà, beata adrenalina in piena fase creativa:

«Devo togliermi la prospettiva che io sia un vincitore: ora devo far sapere al pubblico cos’è quello che faccio fino in fondo. Questa è la mia musica».

Baltimora artista
Total look Salvatore Ferragamo, earrings Radà

Marecittà è appena uscito, è il tuo vero debutto discografico. Sei in cortocircuito o tieni sotto controllo le emozioni?

Sai che per me l’uscita è la parte più semplice? Posso perfino fomentarmi di più, perché ormai è fatta. Il disco è finito, vai, facciamone altri! Però sto imparando a rallentare e a godermi il momento, questo sì.

Com’è convivere con un esordio discografico e insieme con le aspettative che ci sono dopo la vittoria a un talent come X Factor?

L’aspettativa del talent è proprio quello che ho cercato di evitare, ed è anche il motivo per cui siamo usciti così tardi con l’EP. Ovviamente a livello discografico sarebbe stato molto più giusto uscire subito e cercare di cavalcare l’onda della finale. Io però ho insistito per aspettare, perché credo che ogni cosa abbia bisogno del proprio tempo. X Factor è un programma che c’è sempre, l’anno prossimo ci sarà un nuovo vincitore. Quindi non è una cosa di cui si può campare tutta la vita, anzi, dura veramente poco. Ho cercato di non basarmi su questa grande cosa che mi è successa.

Qualcuno ti ha biasimato per esserti preso del tempo prima di lanciare l’EP, io invece ho apprezzato molto questo tuo non essere frettoloso bulimico in termini produttivi. Non era scontato, ma è stato difficile portare avanti questa idea?

È stata difficile come scelta personale, perché sapevo che sarebbe stata una grande occasione quella di pubblicare subito. Ma una volta espresso questo desiderio, avevo paura che comunque non contasse. E invece ho scoperto che la volontà dell’artista a volte conta, non ho dovuto insistere con nessuno.

Baltimora produttore
Sweater Alexander McQueen, trousers Maison Laponte, earring Radà, shoes Marsèll

Hai parlato di una produzione «senza pensieri». Cosa ha significato per te autoprodurti a vent’anni senza troppe regole né schemi?

Per me entrare in studio significa sempre sorprendermi, cercando di fare qualcosa di divertente e nuovo che neanche io mi aspetto. Io faccio musica perché mi diverte, non perché devo liberarmi da grandi macigni o perché è l’unico modo che ho per esorcizzare cose. Semplicemente mi fa sentire vivo, mi fa sentire a mio agio. Quando capita che sto al pianoforte, faccio un giro e mi sembra che abbia già una sua direzione, allora cerco sempre di aiutare la canzone a raggiungere il suo massimo obiettivo.

Autoprodursi e rimanere obiettivi sul proprio lavoro: quanto è difficile?

Credo che all’inizio sia stato limitante lavorare da solo da qui dentro, dove mi vedi adesso, nello studio che ho in casa. Non cercavo ancora un pubblico, facevo musica per me e basta, quindi diventava anche frustrante. Adesso invece lo reputo un vantaggio, riuscire a fare tutto da solo ed avere una visione unica e precisa.

Baltimora cantante
Total Look Prada, necklace Maison Laponte

A me vengono in mente delle scelte che puoi aver fatto, ad esempio in McDonald’s, in Marecittà ma anche in Fumo… Mi racconti alcune libertà vincenti che ti sei preso?

Le tre che hai citato sono sicuramente le scelte più forti. Marecittà perché è un singolo con una struttura coraggiosa, fuori dagli schemi. Ha questa strofa che si ripete due volte e un ritornello che non esplode, eccetto una parte che non definirei drop ma un vero sfogo strumentale.
Cerco di non essere mai egocentrico con la mia voce, ci sono parti bellissime di canzoni senza voce. È una teoria che porto avanti e che cerco di rendere dominante: per me la voce non è lo strumento principale. In McDonald’s l’utilizzo dell’autotune in maniera forzata ed esagerata è frutto dello stesso pensiero, e ovviamente sono arrivati commenti tipo «ma no, tu non sei un tipo da autotune! Devi cantare con la tua voce.

E invece se sperimenti sei un tipo da tutto, anche da autotune. La paura di osare troppo e di mettere troppa carne al fuoco c’è stata?

Il punto è che io volevo presentarmi anche a chi non mi conosce, essendo il mio primo progetto discografico ufficiale. Ad esempio McDonald’s all’inizio non doveva essere nell’EP, perché forse era un po’ troppo arrivando da X Factor. Anche qui ho insistito per questo: appunto perché vengo da X Factor devo togliermi la prospettiva che io sia un vincitore. Ora devo far sapere al pubblico cos’è quello che faccio fino in fondo.

Baltimora canzone
Cape and pants Davii

Del brano Baltimora hai raccontato che il riff è nato anni fa e che per te è stato complicato poi scriverci sopra, perché eri troppo legato a quel giro lì. Qual è la storia?

È stato estremamente difficile perché ero davvero piccolo quando ho creato questo riffetto qua (Edoardo si gira, alle sue spalle ha una tastiera su cui attacca il famoso riff di Baltimora, nda). Avevo giusto quindici anni, prima liceo. Ero con un mio amico con cui ho sempre fatto musica, Leonardo, una persona incredibile a cui devo tantissimo. Mi ha sempre ispirato e stimolato molto, così all’epoca siamo impazziti insieme per questo giro. Avevo un pianoforte con una timbrica strana, ho registrato il riff con due microfoni appena comprati. Nella canzone è rimasto poi quel piano lì, quello di sei anni fa. Era una produzione che mi tenevo da anni, non riuscivo a scriverci niente sopra, è stata una bella evoluzione vederla crescere.

Quand’è che hai capito che bisognava e che si poteva farlo diventare un pezzo? O meglio, il pezzo…

Semplicemente l’ho sempre pensato. All’inizio mi piaceva troppo e mi sembrava che qualsiasi cosa provassi a scriverci andasse a peggiorarla. Poi crescendo ho capito che il fatto che fosse difficile avrebbe valorizzato ancora di più il risultato. Un giorno ho scritto questo testo e casualmente è nata la canzone che conosciamo oggi. È stato merito di una frase: «Vedo il cielo per aria e vaneggiano nuvole», mi piace moltissimo perché può voler dire un sacco di cose. Mi evocava l’immagine giusta.

Da una parte la tua visione produttiva ha un forte sguardo internazionale, dall’altra c’è sempre il racconto intimo di una realtà localizzata, e qui penso all’omaggio che fai ad Ancona e ai testi in cui ti metti a nudo. Credi che il contrasto tra sound e tematiche possa essere l’anima del tuo stile?

C’è tutta la volontà di ritrovarmi in un suono che mi appartenga. Sperimentare a livello di sound in maniera anche internazionale è parte della mia identità, ma d’altra parte sono legato a un cantautorato più intimo e romantico, appunto, più italiano. Diciamo che la mia è un’anima da produttore e amante del suono, ma anche da amante delle parole e delle melodie più semplici.

Baltimora disco
Total look Dolce & Gabbana, earrings Radà

Ti descrivono sempre con l’immagine retorica del personaggio «cresciuto a pane e musica». Ma qual era il pane e qual era la musica? Cosa ascoltavi da piccolo?

Da piccolo, quando non avevo un mio gusto personale ma assorbivo quello che ascoltava mio padre in macchina, ricordo su tutti Safari di Jovanotti. Un disco che è stato consumato nel nostro lettore cd. L’altro era Ali e radici, di Eros Ramazzotti. Questo finché mio zio non iniziò a regalarmi alcuni cd, era il rito di Babbo Pasquale, perché me li regalava sempre a Natale. Erano perlopiù raccolte di canzoni che lui masterizzava per me… in modo totalmente legale (ride, nda). Quindi magari c’era quest’unico cd che io ascoltavo per un anno intero, fino al Natale seguente. È stato il momento in cui ho scoperto i Beatles, Jannacci, Conte, Celentano, ma anche i Black Eyed Peas. Subito dopo ho avuto la fase Ed Sheeran e quella Fedez, fino ad espandermi e ascoltare di tutto.

Dalle contaminazioni a un’identità musicale personale, che si trasforma poi in proposta discografica: è un passaggio cruciale. Com’è stato il tuo?

Io credo che un ruolo fondamentale l’abbia giocato questo mio amico di cui ti ho parlato prima, Leonardo in arte Atarde, musicista e cantautore pazzesco. Ci siamo sempre stimolati molto, ma quando eravamo più piccoli lui era davvero più avanti di me. Viene da una famiglia di musicisti, ha sempre vissuto con strumenti in casa, suona un po’ di tutto. Ero così affascinato dalla sua musica, per me era qualcosa di nuovo che non avevo mai sentito. Osservandolo ho imparato come lui prendeva ispirazione da Khalid o magari dagli Alt-J, e li faceva suoi in una maniera totalmente originale. In effetti all’inizio l’ho proprio copiato (ride, nda), poi ho capito come fare mio tutto questo.

Sembra sempre facile parlare di malinconia che si trasforma in arte, ma non è che sia un sentimento semplice da gestire. Tu hai dovuto farci pace prima di metterla in musica?

Diciamo che associo la malinconia a quella botta allo stomaco che mi fa dire: adesso mi metto al pianoforte e faccio un pezzo. In questo senso è un sentimento positivo, ed è la sensazione più elaborata che possa esistere. Perché la tristezza, la felicità o l’allegria hanno una direzione precisa, ma la malinconia ha diversi strati. Lascia spazio a tanta immaginazione…

Baltimora X Factor
Total look Moschino, earrings Maison Laponte

Te lo ricordi quand’è che hai capito che poteva diventare produttiva?

Al liceo era un periodo in cui non seguivo molto la scuola, la notte non dormivo, era abbastanza difficile. Potevo solo scrivere testi. Quindi quella sensazione negativa del pensare al giorno dopo mi ha portato a dire: se devi star sveglio e fare lo stupido, almeno scrivi. Era un modo per cullarmi, e poi anche per riuscire ad addormentarmi. Scrivere, rileggere, sentirmi soddisfatto di quello che avevo creato mi dava un senso di completezza. Credo proprio di averlo capito così…

Sulla vittoria a X Factor ti hanno chiesto di tutto, ma tra vent’anni cosa pensi che ricorderai davvero di quel periodo?

Penso che ricorderò con emozione il secondo live. Ho cantato Parole di burro e il pubblico si è alzato in piedi. Ha applaudito per un minuto una performance che forse per me non era così incredibile.

Lo definiresti il tuo momento topico? La prima volta in cui hai capito di piacere alle persone?

Sì, è sicuramente quello. Lì ho capito che forse dovevo smetterla di fustigarmi così tanto e pensare di non essere all’altezza, perché se per così tante persone quello era stato un bel momento, forse potevo iniziare a godermelo di più anche io.

Il tuo primo EP lo chiudi cantando: «La vetta a cui punto qui dalla mia stanza / la mia età che avanza / Volevo solo parlarti un po’ di me». Ci pensi già al futuro o domandartelo così presto è una follia?

Di progetti ne ho mille, in questo momento sono un vulcano di idee. Forse troppe. Devo cercare di ridimensionarmi e restare concentrato sugli obiettivi imminenti: il tour, la preparazione dei live, scoprire cose nuove e collaborare con altri artisti. La verità? Io faccio musica dalla mattina alla sera, ho tantissime canzoni e non vedo l’ora di fare il prossimo disco. Per me potremmo pubblicarlo anche domani.

Credits

Talent Baltimora

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Davide Musto

Stylist Simone Folli

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Alessandro Joubert @simonebelliagency

Location TH Roma Carpegna Palace Hotel

Nell’immagine in apertura, Baltimora indossa total look Dolce & Gabbana, orecchini Radà

Il filo (in)visibile di Francesco Gheghi

Nato a Roma il 19 agosto 2002, Francesco Gheghi è una giovane promessa del cinema italiano che, in pochi anni, ha già lavorato con alcuni dei più famosi attori italiani, sempre in ruoli da protagonista.

Ha terminato le riprese del film di prossima uscita Piove e su Netflix è uscito Il filo invisibile dove interpreta Leone, figlio adolescente di due papà. A maggio sarà trasmessa sulla Rai la fiction A muso duro, la storia della prima paralimpiade disputata a Roma nel 1960, dove Francesco ha dovuto recitare nel ruolo di un atleta paraplegico. Ama lo sport: pratica nuoto, calcio, sci, ciclismo e arrampicata.

Mentre converso con lui, mi tornano in mente le parole di una vecchia canzone di Jovanotti, “sono un ragazzo fortunato perché mi hanno regalato un sogno…”. È Francesco Gheghi, giovane professionista con tanta voglia di crescere, imparare dai colleghi più grandi e più bravi, un ragazzo che ringrazia per il suo sogno che si sta avverando: «stare in tutte le scene».

Francesco Gheghi film
Jacket Antonio Marras, shirt Comeforbreakfast, rings stylist’s archive

«Ho iniziato a fare teatro alle elementari – racconta durante l’intervista – Il mio primo ruolo è stato San Francesco: non per meritocrazia, ma perché mi chiamavo Francesco. Lì ho scoperto che mi piaceva recitare. Mi sono diplomato lo scorso anno. È stata una soddisfazione. Avevo saltato tantissimi giorni di scuola perché ero sul set di due film, Il filo invisibile e Piove. Era una cosa alla quale mia madre teneva tanto. Per fortuna, grazie al Covid, l’esame si è svolto senza la prova scritta. Ho avuto un percorso scolastico travagliato. Ho iniziato con il liceo linguistico, ma non mi piaceva. Poi ho fatto il liceo scientifico sportivo, perché lo sport è un’altra passione. Non mi piaceva neanche quello. Mi sono iscritto al liceo delle scienze umane e le materie mi interessavano. Andavo anche bene».

Pensi di iscriverti all’Accademia di arte drammatica o di continuare con corsi singoli?

Mi piacerebbe, ma le accademie non ti permettono di lavorare. Me lo hanno sconsigliato. Continuerò la mia formazione con corsi di recitazione. E poi non voglio levare il posto a qualcuno che magari se lo merita e non ho avuto le opportunità che ho avuto io.

Il ruolo che ti ha impegnato di più?

Ogni ruolo che ho interpretato in questi anni pensavo fosse il ruolo più difficile, perché era un progetto nuovo. All’inizio pensavo fosse Mio fratello rincorre i dinosauri, perché è stato il mio primo film da protagonista. Avevo sedici anni. Poi, quando ho lavorato con Favino in PadreNostro. O con Francesco Scianna e Filippo Timi ne Il filo invisibile. Adesso ti dico Piove perché è un horror, un genere difficile che non si fa spesso. Un film impegnativo anche a livello fisico e mentale. Sono stati tutti ruoli difficili anche se per motivi diversi, ma grazie ai quali ho imparato tanto.

Quello più lontano da te?

A muso duro. Uscirà a maggio su Rai1 ed è la storia dei primi atleti paralimpici. Interpreto un ragazzo paraplegico che perde le gambe al lavoro. È stata una sfida perché, non essendo paraplegico, sono dovuto entrare in un mondo che mi era sconosciuto.

L’attore che ti preoccupava di più?

Forse Favino… temevo di deludere le aspettative. Ma con me sono stati tutti pazienti e generosi.

Francesco Gheghi Padre Nostro
Jacket Edmund Ooi, pants Ramzen, ankle boots and rings stylist’s archive

Inizi a studiare recitazione nel 2013 e dopo cinque anni, nel 2018, esce Io sono tempesta. Sempre protagonista, senza essere figlio d’arte. Hai un genio della lampada?

No, c’ho un culo clamoroso. Elio Germano, Marco Giallini, Marcello Fonte, Isabella Ragonese, Eleonora Danco, Francesco Scianna, Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi… Non capita a tutti.
Questo è un lavoro di fortuna. È inutile che ci raccontiamo altro. Devi essere bravo, ma anche fortunato. Devi trovarti al posto giusto al momento giusto e, quando l’occasione si presenta, devi anche essere il più forte. Allora trasformi quel momento in un’opportunità. Io ho giocato dieci anni a pallone. A quindici anni erano tutti alti 1 m 80 e io la metà. Salivano tutti di categoria, andavano nelle squadre forti, e io non avevo quelle possibilità perché ero più piccolo fisicamente. Nella recitazione questo problema non mi ha ostacolato. Lo stesso fisico, che era piccolo nel calcio, a scuola, nelle amicizie, con le ragazze, che era sempre non funzionale, nella recitazione è stato perfetto perché magari interpretavo un personaggio di tre anni più piccolo di me.

Con le ragazze hai recuperato… Ora hai la fila?

Sì ho la fila, ma c’è la numero uno che è la mia ragazza e quindi la fila si è smaterializzata, non c’è più.

Francesco Gheghi età
Jumpsuit Comeforbreakfast, rings stylist’s archive

Sempre alle prese con ruoli impegnativi. Cosa hai imparato?

Sono cresciuto prima del tempo. Entrare nel mondo del lavoro a quattordici anni, mi ha costretto a relazionarmi con un mondo di adulti. Il senso del lavoro, la dedizione e la professionalità sono tutte cose che ho appreso sul set e che mi hanno agevolato anche in altri ambiti della vita. Ma non ci sono solo le responsabilità, c’è anche il divertimento. Come mi diverto sul set non mi diverto da nessun’altra parte. È quello che amo fare. Amo la mia vita, la mia famiglia, gli amici, ma il set è tutto un altro mondo.

Così giovane, hai scartato in fretta le strade che non erano adatte a te e hai trovato subito quella in cui ti senti a tuo agio?

Sì, a quattordici anni, quando girai Io sono tempesta. Mi convocarono sul set la mattina presto. Elio Germano era già lì. Lo fissavo. Stavo con mamma, in disparte, e lo guardavo lavorare. Aspettavo, volevo entrare in campo. “Ora tocca me”. Niente. Arriva la pausa pranzo. Ricominciamo e ancora non toccava a me. Aspettavo e guardavo Elio. Era sempre sul set. Allora mi volto verso mia madre e faccio “ma’ io voglio fare come fa Elio. Voglio stare in tutte le scene”. Li ho davvero capito che era quello che volevo fare. Mi scalpitano le gambe quando sto là. Sul set mi sento a casa.

Non ho visto TikTok, ma…

Non lo guardare, è meglio… (ride, ndr)

Francesco Gheghi Mio fratello rincorre i dinosauri
Jacket Roberto Cavalli, rings stylist’s archive

Su Instagram posti poche foto e per lavoro. Non sei molto social?

No zero. TikTok è il mio lato più oscuro. Instagram lo uso per condividere le mie esperienze lavorative, foto di scena. TikTok era nato come un gioco durante la quarantena, con gli amici. Faccio un video e, se è divertente, lo posto.

La tua vita è stata stravolta dal lavoro di attore o riesci ancora a frequentare gli amici di sempre?

Riesco a fare tutte e due le cose, anche perché mia madre ha fatto in modo che il cinema non occupasse tutta la mia vita. Voleva che mi diplomassi. La definisco una tedesca. Giustamente voleva che andassi bene a scuola e lo faceva per il mio bene. Quando sei piccolo non lo capisci. Te ne rendi conto quando cresci.

La tua serata tipo?

Amici, fidanzata, cena, cinema. Feste se ci sono. Preferisco le feste in casa tra amici, mi piace giocare a carte o fare giochi di società. Non sono particolarmente festaiolo.

Francesco Gheghi fiction
Jacket Edmund Ooi, rings stylist’s archive

Per Netflix è appena uscito Il filo invisibile, dove sei figlio di due padri. Qual è la famiglia tipo tra i tuoi amici? È qualcosa che per la vostra generazione fa la differenza?

No. Per la mia generazione no, ma magari non è così per tutti. Comunque le cose stanno cambiando, nessuno si fa più problemi se uno ha due papà, due mamme o tre zii.
Basta che stai bene e sei amato: quella è la cosa più importante.

Si discute di diritti LGBTQ, identità di genere, gender fluid. Appartieni alla Gen Z. Vivete queste battaglie come un diritto da conquistare o la fluidità di genere per voi è un dato di fatto?

Noi partecipiamo a queste lotte proprio perché ci sia un cambiamento in quelle persone che non lo ritengono normale e che sono cresciute con altri tipi di valori.

In Parlamento si discute lo Ius scholae. Appartieni a una generazione cresciuta in una scuola multirazziale. Trovi normale che tuoi coetanei, cresciuti nel tuo quartiere, non siano cittadini italiani?

Io trovo anormale che ancora non lo siano. Trovo assurdo che ci siano persone che si fanno questi problemi. Se dici che siamo tutti fratelli e sorelle, perché poi ti fai un problema se diventano cittadini italiani? Trovo anormale che ancora se ne debba discutere.

I tuoi come vivono il tuo lavoro?

Sono sempre stati miei sostenitori. Se non fosse per mia madre e per mio padre non sarei quello che sono e non farei questo lavoro. Sono le persone più felici e più fiere di me. È grazie ai loro insegnamenti se cerco di fare sempre di più e sempre meglio.

Francesco Gheghi Favino
Blouse Comeforbreakfast, arnes and rings stylist’s archive

Credits

Talent Francesco Gheghi

Editor in Chief Federico Poletti

Text Alessia de Antoniis

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Grooming Eleonora Mantovani @simonebelliagency

Location NH Collection Roma Palazzo Cinquecento

Fulminacci, sognando il cantautorato

Su un pezzo di carta, un articolo o un muro. Potrei scriverlo ovunque: menomale che sei arrivato, caro il nostro Fulminacci. Con le sembianze di un fumetto e per certi versi anche la missione: quella di rendere l’ordinario almeno un po’ straordinario. Menomale che sei arrivato quando gli altri rischiavano di venirci a noia, quando dal cantautorato indie-pop emergevano perlopiù tentativi pigri e forse un po’ demoralizzati di replicare uno stile preciso, ma già sentito.

Poi ecco qualcosa di nuovo, di fresco e assolutamente versatile. Una rivelazione con il primo album, La Vita Veramente, e una conferma ancora più sorprendente con il secondo, Tante care cose. Mentre scrive e canta semplicemente di quel che conosce (il traffico, l’amore, i dubbi di chi è nato negli anni Novanta), lui la fa sembrare una grande festa. Introspettivo un attimo prima, piano e voce, e poi irresistibilmente dance, tra batterie e ritmica serrata. Mai pigro, mai prevedibile, sempre attento a non ripetersi troppo (lui questa la chiama «paranoia», e ben venga).

Filippo Uttinacci è qui da poco (nato nel 1997 ed esordiente nel 2019), ma potrei scriverlo su un muro, un articolo o un pezzo di carta: Fulminacci resterà.

Fulminacci indie
Total look Maison Laponte

Voglio leggerti i numeri del mio Spotify Wrapped 2021: io ho ascoltato musica più del 95% degli ascoltatori in Italia, 105 generi musicali e 1407 artisti diversi. Insomma, c’è di tutto. Ma indovina chi è l’artista che ho ascoltato di più?

Oddio, se me lo chiedi così mi viene da pensare a me, ma questo sarebbe un onore. Soprattutto considerando la consistenza dei tuoi ascolti!

Questo era, sì, per confessarti che sono una tua fan, ma anche per dirti che credo tu stia rappresentando davvero qualcosa di diverso, di cui si sentiva il bisogno. Oggi dove ti vedi posizionato nella scena musicale italiana?

Io ho sempre avuto difficoltà a decifrarlo e comprenderlo, però penso di fare quello che mi passa per la testa. Fondamentalmente nelle canzoni ci metto quello che mi capita nella vita, niente di più.

Ma per te rappresenta un obiettivo, quello di distinguerti?

In realtà l’obiettivo di distinguermi non c’era all’inizio, io non avevo neanche capito che sarei riuscito a fare questo lavoro. La verità è questa: ho scritto il primo disco senza sapere che poi l’avrei pubblicato, senza nessun tipo di pressione, di logica di mercato o di paragone artistico. Solo dopo aver scritto un po’ di canzoni mi sono reso conto di qualcosa: «Lo faccio ascoltare alla mia fidanzata e ai miei genitori, così mi dicono cosa ne pensano». Ed è andata bene perché loro ne pensavano bene.

Fulminacci canzoni
Shirt and trousers Paul Smith

A un certo punto però la vita da cantautore te la sei immaginata?

L’ho sempre sognata. Per me è una di quelle cose reali che si avvicinano di più all’essere un supereroe. Anche il fatto di avere un nome d’arte è un po’ come il costume di Spider-Man, l’ho presa in questo modo. Non a caso il mio nome, Fulminacci, è abbastanza fumettoso. Non è certo un gioco la fatica che si fa per scrivere o per fare le prove di un tour, ma quello che deve arrivare al pubblico è che ci stiamo divertendo. Quindi ho capito che di mestiere faccio quello che fa divertire la gente, e che non deve far trapelare quanto si sta impegnando.

Funziona, io mi diverto di brutto. Ma Filippo che musica ascoltava prima di diventare Fulminacci?

Come molti di noi, sono cresciuto con i viaggi in macchina e i miei genitori che mi facevano ascoltare la musica che piaceva a loro. Sono partito dai Beatles, che per me rimangono tipo la farina della musica pop contemporanea. Poi i cantautori italiani degli anni Settanta, e questa è una risposta tanto banale quanto vera. Battisti, De Gregori, Dalla, Venditti, fino alla scuola più moderna con Silvestri, Fabi e Gazzè. Ho sempre ascoltato artisti diversi, sono anche un fan di Fibra. Sul decennio Settanta però devo dire che sono ferratissimo, Supertramp, Electric Light Orchestra, Elton John…

Fulminacci cantante
Shirt and trousers Paul Smith

Una volta ti ho definito così: «Fulminacci ti piace perché ti ricorda tutto quello che ti piaceva già, ma torni ad ascoltarlo perché in fondo non ti ricorda nessuno». Ti ci ritrovi?
Che bello, è bellissimo. E lo prendo come un enorme complimento. Per risponderti, in effetti ho avuto modo di notare come la mia fan base sia piuttosto varia, forse dipende da quello che dici tu? Ai concerti le prime file sono piene di sedicenni, le seconde di ventisettenni, e poi si arriva fino all’età dei miei genitori che sono nati negli anni Sessanta.

La Vita Veramente, 2019: un album d’esordio da cui emergevano le influenze felici di Fabi o Silvestri (vedi Borghese in Borghese), ma allo stesso tempo il tuo tocco si sentiva subito forte in brani come Davanti a te Resistenza. Come trovi l’equilibrio tra gli elementi che ti ispirano e quelli che ti rendono unico?

Io credo che bisogna stare in un equilibrio dinamico, cercando di esplorare senza definirsi mai, per evitare di cadere da una parte o dall’altra. Penso che ognuno voglia essere riconosciuto per la propria identità, ma questa non è altro che il frutto di una serie di influenze che continuano ad arrivarti addosso. Vivere in questo settore significa cercare di stare in equilibrio, rischiare, ogni tanto fare anche qualcosa di comodo.

Fulminacci Santa Marinella
Shirt Paul Smith, shoes Marsèll

Dietro alla complessità dei tuoi brani individuo due punti forti: non sei mai pigro, ma fai sembrare semplice questa ricerca costante. In realtà quanto ci rifletti? Quanto stai lì a chiederti: «Qui rischio di sembrare un po’ troppo Silvestri, qui potrei sperimentare ancora di più»?

Tantissimo. Questo tipo di paranoia è all’ordine del giorno per me, su ogni fronte. Banalmente anche sui testi, ho paura sempre di farmi inserire all’interno di una categoria. Cosa che non riesco ad accettare. Le persone completamente decise mi affascinano molto, ho sempre voluto essere come loro da bambino. Ma poi mi sono chiesto: ma perché? Quelli che ti dicono: «No tranquillo, adesso non piove», che fanno poi quando in realtà piove? Allora io sono il re delle paranoie.

E per fortuna, aggiungo io. Con il secondo disco, Tante care cose, per me è successo qualcosa di grosso: dieci tracce una più forte dell’altra, una sorpresa continua che non si esaurisce dopo la novità del lancio del disco. Come hai fatto a infilarne una giusta dietro l’altra?

È stupendo sentirlo da te, perché io ti risponderei che ho semplicemente messo quello che piaceva a me tra tutte le canzoni che ho scritto. Per spiegarti, io ragiono così: se sono il primo a voler ascoltare un mio pezzo, allora va bene, perché esisterà per forza qualcun altro come me che vorrà ascoltarlo.

Ogni brano dell’album potrebbe essere anche un singolo, ma allo stesso tempo l’insieme è un viaggio perfetto. Il tuo management che ruolo gioca qui?

Su questo tema sono completamente grato e affidato alla mia etichetta. Il primo ascolto professionale esterno è sempre il loro. Io non lo so capire se un pezzo potrebbe essere un singolo, non sono un giudice lucido di quello che faccio.

Fulminacci stavo pensando a te
Shirt Alexander McQueen

Vediamo se la pensiamo allo stesso modo: ci sono dei pezzi tuoi che per me resteranno negli anni…

Io credo che a rimanere nel tempo sia quello che non segue le tendenze. Quindi ti direi, forse, i brani meno elettronici. Potrebbero rimanere Giovane da un po’ Le Biciclette, perché è una canzone nuda.

Le Biciclette credo sia una delle cose più belle che tu abbia scritto. Uno di quei brani che non fanno rimpiangere i vecchi repertori, per me su un podio insieme a Maledetto tempo di Franco 126.

Caspita se sono d’accordo su Maledetto tempo! Lo considero anche io un pezzo senza tempo, mi piace tanto che tu lo abbia accostato a Le Biciclette, che è il brano a cui forse sono più legato emotivamente insieme a Sembra quasi. Sono due canzoni che parlano della stessa persona ma in due momenti completamente diversi. Sono quelle in cui metto a nudo i miei sentimenti, e mi viene pure da piangere al concerto. Non so come fare mentre le faccio. È talmente una cosa mia che forse può diventare universale proprio per questo.

Che storia c’è dietro? Perché sono sicura che una bella storia c’è.

È il racconto di più fasi della stessa relazione, fin dal primo giorno in cui è iniziata. Con i suoi momenti di assenza, i periodi in cui sentivo la mancanza, e poi quelli di ricongiungimento con pizzichi di speranza. C’è dentro un po’ tutto quello che riguarda una storia d’amore. Pensa che ho iniziato a scriverla anni fa e l’ho finita poco prima di pubblicare il disco, è stata anche la prima canzone che ho scritto al pianoforte, che non è il mio strumento perché io suono la chitarra.

Fulminacci canzoni famose
T-shirt and sweatshirt Roberto Cavalli

Vedi che una bella storia c’era? Veniamo a pezzi come Tattica Canguro: il tuo gusto del ritmo crea dipendenza, te lo dico, dentro c’è un sound che ricorda la disco anni Novanta e poi diventa solo tuo. Non è che segretamente sei pure un ballerino?!

(Ride, ndr) In effetti quella di Tattica è una batteria disco, intesa alla vecchia maniera. È semi-vera, ma suona un groove che potrebbe essere completamente elettronico. L’aspetto ritmico per me è fondamentale, spesso penso prima al groove o alla metrica della canzone, e poi al testo. Credo fermamente nel fatto che le consonanti della nostra lingua siano utili come fossero delle percussioni, perché ci permettono di enfatizzare e accentare nel modo che vogliamo… Lettere come le T, le Z…

«Del fat-to che ti-amo / di brut-to”»…
(Gliela canto e giustamente ride, ndr) Esatto! E credo che questo sia il risvolto positivo di essere uno che pensa prima alle copertine e poi al libro che scrive. A scuola era vista come superficialità, ora per me significa decidere prima di tutto l’effetto che una canzone deve fare. Nel caso di Tattica avevo l’esigenza di scrivere un testo che esprimesse ritmicamente quello che mi serviva per il pezzo, quindi mi sono soffermato sul suono e ho iniziato a canticchiarci qualcosa, a partire dall’argomento del traffico. Da romano che vive in periferia per me è il quotidiano, io passo la vita in macchina e lì mi sfogo. La vita veramente è nata tutta in macchina durante uno sfogo nel traffico. È forse l’unico caso della mia vita in cui mi è venuta fuori tutta insieme una canzone, testo e musica in una volta sola. Ho iniziato a cantarla come fosse la canzone di qualcuno che conoscevo, è una magia che capita raramente.

Fulminacci brani
Shirt, gilet and trousers Maison Laponte, shoes Marsèll

Tu sai scrivere, ma sul serio. Che rapporto hai con la scrittura e quando hai capito di saper mettere in parole dei pensieri e delle emozioni?

È molto difficile rispondere perché nella vita, quando succedono le cose, non ti accorgi che stavano per succedere. Vieni travolto e ti scordi perché sei arrivato dove sei. Io fondamentalmente ho iniziato da bambino, hai presente quelle cose che scopri solo con l’ipnosi regressiva? (ride). Ricordo che effettivamente a dieci, dodici anni, scrivevo cose su dei fogli ma non sapevo cosa farci, però sentivo l’istinto di cantare quello che scrivevo. Una mattina avevo dedicato persino una canzone improvvisata al mio cane, che stava in giardino e mi fissava. È stata una delle mie prime esibizioni.

Finché non è arrivata anche la chitarra.

Sì, e mi sono concentrato su quello. Ma cantare era una cosa che mi bloccava ancora, mi vergognavo tantissimo. Ho acquistato fiducia canticchiando nella mia cameretta, sempre quando casa era vuota. Una delle prime canzoni che ho fatto e registrato è stata Una sera, mi aveva convinto e ho avuto l’esigenza di farla ascoltare. Poi è successo lo stesso con Resistenza.

«Tu che sei una e mi circondi»«C’è una specie di senso di vuoto, l’ho riempito coi film e le foto»«Anche se sembra di cadere, la parola di Dio e l’infinito ci basterà»: che effetto ti fanno le frasi che emozionano il tuo pubblico?

Domanda bellissima. Io non lo so, perché non riesco davvero a percepirmi. C’è un nesso tra le frasi che emozionano il pubblico e quelle che soddisfano me? Forse sono quelle facilissime da dire, poche parole ma che racchiudono più concetti. «Tu che sei una e mi circondi» è una frase di cui sono molto contento, perché è innanzi tutto vera, io lo penso. E poi esprime un senso di avvolgimento però usando il verbo «circondare», che potrebbe quasi far pensare ad un accerchiamento, se ci pensi lo leghiamo alla polizia. Quindi c’è una doppia situazione: sei in ostaggio di un sentimento bello. E che bello essere vittima di un sentimento.

Fulminacci canzoni famose
Shirt, gilet and trousers Maison Laponte, shoes Marsèll

Riesci a riascoltarle, le tue canzoni?

Ogni tanto sì. Mi emoziono quando sto su Spotify, ascolto le nuove uscite e poi di botto penso: «Vabbè, però pure io so’ uno di questi».

In Giovane da un po’ canti: «E grazie se avete lottato / Mi spiace se non ero nato». Sei nato negli anni Novanta, ma il disincanto non ti ha annichilito. Ci hanno sempre detto che non c’era più niente di nuovo da dire o fare, soprattutto nella musica. Invece?

È vero, la nostra generazione è stata martellata da questo concetto, ce lo hanno sempre detto. In realtà, tirando le somme, si vedrà che alla fine è capitato qualcosa di forte anche a noi. Il Covid, la crisi, assistere alla guerra in Europa. Noi siamo solo una delle tante generazioni, niente di più e niente di meno. Ma di certo nessuno può più dirci che siamo fortunati. Poi vabbè, se dovessi esprimere una preferenza, io avrei voluto vivere altri anni. Essere come De Gregori e Venditti, andare a sentire i Beatles in concerto da adolescente, fare gli anni Settanta a bomba…

Anche io, ma per fortuna te ne vai in giro in questi anni qua. Ci servivi.

Credits

Talent Fulminacci

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Milli Madeleine

Stylist Simone Folli

Photographer assistant Giacomo Gianfelici

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Alessandro Joubert @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, Fulminacci indossa total look Maison Laponte

Musica, arte e cultura: il talento incredibile di Ema Stokholma

Alta, esile, jeans e camicia, un paio di Converse nere. Arriva come una studentessa che torna a casa dall’università. Penso che il suo nome, Morwenn, le doni: ha il sapore delle antiche leggende celtiche e delle storie elfiche. Per tutti è Ema Stokholma, artista italo-francese ormai romana.
Si prende il suo spazio: una sigaretta nel giardino privato dell’agenzia che la segue, tra i vecchi edifici di Trastevere, in una giornata di aprile dove una timida primavera ancora non riesce a mandar via un inverno che sembra non voler finire.

Ha pubblicato lo scorso anno il suo primo libro Per il mio bene, edito da HarperCollins, dove ha raccontato la sua infanzia difficile e che le è valso il Premio Bancarella 2021. Lo ha scritto per aiutare altri giovani in difficoltà, per accendere una luce in quel tunnel che lei ha già attraversato. Vittoriosa.

Ema Stokholma libro
Dress Antonio Marras, jewelry Marco De Luca Gioielli, rhinestone net stylist’s archive

Quando illuminiamo la strada per un’altra persona, illuminiamo anche la nostra. Cosa hai visto di te scrivendolo?

Che devo lavorare sugli episodi raccontati nella parte finale del libro, come la morte di mia madre. Cerco sempre di tenere le emozioni lontane da me, soprattutto quelle troppo forti. Mentre scrivevo, ho cercato di mettere distanza tra me e alcuni episodi dolorosi. Non volevo un racconto drammatico: già la storia lo è. Ma ho visto i sentimenti non ancora elaborati.

Ema Stokholma musica
Dress Antonio Marras, jewelry Marco De Luca Gioielli, rhinestone net stylist’s archive

Per il mio bene. Siamo abituati a dire: “lo faccio per il tuo bene”. I soggetti maltrattanti dicono frasi come “non sono io che ti picchio, sei tu che me le levi dalle mani”. Addossano la colpa alla vittima mentre si dipingono caritatevoli…

Mia madre mi picchiava e diceva “lo faccio perché me lo stai chiedendo tu, hai bisogno di questo, io lo so perché sono tua madre e lo faccio per il tuo bene”. Ma quella cosa non ti fa bene. C’è un distacco tra il bene che vorresti avere e quello che ricevi. E quando sei bambino, non capisci più cosa è per il tuo bene. Da adolescente, poi, quando affronti un rapporto sentimentale, pensi che nel tuo bene ci debba essere anche la violenza, perché l’amore te lo hanno insegnato così. Se mi picchi per il mio bene, vuol dire che poi io devo andare a cercare questo tipo di rapporto. È difficile capire che quello non era per il tuo bene.
Sono scappata senza pensarci, per istinto di sopravvivenza. Se ci pensi non lo fai, perché subentra la razionalità, il senso di colpa, la paura di non farcela. E poi ti dicono sempre che nella vita devi affrontare le situazioni, che non devi scappare davanti alle difficoltà. Non è sempre vero: a volte, per affrontare le situazioni, devi vederle da lontano. Ho provato a scappare tante volte, dall’età di cinque anni, ma mi riportavano sempre lì, senza neanche chiedermi “perché sei scappata?”. Ci sono riuscita a quindici anni, quando ero in grado di nascondermi, di confondermi, e nessuno mi ha riportato a casa. A trent’anni sono entrata in analisi: era ora di mettere le mani nel mio passato.

Ora non ti troveresti coinvolta in una relazione tossica?

Sono io la persona tossica. Non cerco relazioni tossiche, non cerco un uomo, una donna, una persona, un’amicizia, che riproduca quello che ho già vissuto e che rifuggo. Sono io che devo gestire la mia violenza, i miei sentimenti, le mie mancanze, i miei vuoti. Per questo sono andata in analisi, perché ho capito che il problema non era che cercavo le persone sbagliate. Ho sempre avuto delle persone fantastiche al mio fianco, ma sono io la persona problematica della coppia. Lo ammetto.

C’è una grande amicizia nella tua vita, Andrea Delogu. Come vi siete incontrate?

Era il 2009. Io facevo la cubista e lei la vocalist. Un giorno ho detto: non voglio più fare la cubista. Guadagnavo bene, ma non vedevo un futuro. Ho cominciato a fare la dj, dal nulla, ma era quello che volevo. Così ho conosciuto Andrea. Insieme, abbiamo cominciato a lavorare nelle discoteche più sperdute delle province italiane. Non è stato un colpo di fulmine. Prima un incontro, poi lentamente ci siamo aperte e abbiamo capito di avere bisogno l’una dell’altra.
Io sono cresciuta nella violenza e nella solitudine, solo con mia madre e mio fratello. Lei in un ambiente violento, ma con tantissime persone, in una comunità dove erano tutti zii, fratelli, dove i bambini erano di tutti. Questo ci rende completamente diverse. Però è l’unica persona che davvero mi capisce e io capisco lei. C’è una forte empatia tra noi e ci siamo compensate.

Ema Stokholma Andrea Delogu
Lace dress Antonio Marras, jewelry Pomellato, shoes Giuseppe Zanotti

Cosa cerchi in un rapporto di coppia?

Una persona tranquilla. Ho una personalità conflittuale. C’è una parte di me che va sempre verso la luce e un’altra che deve ancora superare vecchi meccanismi. Dico sempre: “vado in analisi e non voglio far fare a te questo lavoro. Ma, se mi ami, devi prendere il pacchetto completo. Sappi però che io faccio di tutto per migliorarmi”. Lo faccio per stare bene con me stessa. Non è l’altra persona che mi deve salvare e non do la colpa dei miei problemi agli altri.

Sei riuscita a evitare disturbi alimentari e dipendenze?

Non posso dire di non esserci cascata. L’alimentazione era un problema già quando vivevo con mia madre. A scuola mangiavo dai piatti di tutti perché avevo fame, ma a casa non ci riuscivo. L’inappetenza è rimasta, ma mi impongo di mangiare cose sane per il mio bene.

Il tuo Instagram è un’esposizione permanente dei tuoi quadri. Come ti sei avvicinata alla pittura?

Sono fiera del mio Instagram. Fin da bambina mia madre mi ci trascinava per musei e di questo le sono grata. Mi è rimasta la passione.

Riproduci fedelmente le foto, tranne i tatuaggi…

Non mi piacciono più neanche su di me. Alcuni li sto cancellando e vorrei toglierli tutti. Il problema dei tatuaggi è che quel disegno dopo dieci anni o venti non ti rappresenta più.

Ema Stokholma madre
Feather detail dress Antonio Grimaldi

Il legame con tuo padre?

Avevamo rapporti sporadici. Passavano mesi o anni tra una visita e l’altra. Diceva “torno tra tre mesi” e poi non tornava mai. C’era già una distanza fisica, ma sono stata costretta a mettere una distanza affettiva, anche se con difficoltà. Non puoi vivere sempre in attesa. L’assenza la gestisci, ma quando una persona torna, va via e ti promette di tornare e poi sparisce di nuovo, è una tortura.
Credo sia sommerso dai sensi di colpa, ma non cambia. Il senso di colpa è come una palude: ogni giorno ci affondi sempre più. Invece dovresti dire “da adesso in poi cambio”. Per questo è difficile recuperare il rapporto.

Non sei schiava del perdono…

Non lo concepisco. Se sbaglio lo ammetto. Non ha senso chiedere perdono: io non sono inferiore per aver sbagliato e tu non sei superiore perché mi perdoni. Mia madre non mi ha mai chiesto scusa. Non posso perdonare una madre che fa del male ai suoi figli, ma posso comprenderla, capire le sue mancanze, la solitudine, la follia.
Quando si soffre troppo si rischia di impazzire. Se non sei circondata da persone che ti vogliono bene, che ti aiutano, che sono positive, è difficile. Mia madre era sola. Non voglio perdonarla, ma posso comprenderla. Se continui ad odiare per quello che ti hanno fatto, non vai avanti.
Ricordo benissimo il giorno che mi sono liberata dal rancore e ho provato empatia per mia madre: mi sono sentita in pace con il mondo.

Ema Stokholma modella
Dress and shoes Antonio Marras

“Non si è mai al sicuro in nessun posto”. Il libro inizia così. Ora che hai una casa tua, c’è un posto dove ti senti al sicuro?

Ora sì! Fin da piccola non mi sentivo sicura da nessuna parte. Quando andavo dagli assistenti sociali, non raccontavo cosa succedeva: facevo scena muta perché non ero sicura, non mi fidavo. Sapevo che mi avrebbero riportata a casa e, se avessero detto a mia madre che avevo parlato, per me sarebbe stata la fine. Nessuno mi ha mai detto “siamo qui per aiutarti, dimmi cosa succede”. Nessuno mi ha fatto sentire al sicuro, per raccontare, per aiutare me, mia madre e mio fratello. Già quando ho preso quel treno per l’Italia mi sentivo meglio. Ora mi sento al sicuro dove sto perché mi sento al sicuro con le persone che ho accanto.

Com’è la tua famiglia?

È figa. L’ho scelta io. Mio fratello è un’estensione di me e poi c’è Andrea (Delogu), ci sono altri amici, le persone che mi aiutano a fare il mio lavoro, che condividono con me le cose belle. Sono contenta.
Sono stata brava a scegliermi le persone che fanno parte della mia vita, sono loro la mia famiglia.

Ema Stokholma canzone
Dress Di Liborio, ring Marco De Luca Gioielli, sandals Giuseppe Zanotti

Giorni fa eri sul palco a Bologna per il concerto di Save the children per l’Ucraina. La musica non ferma la guerra, ma avete lanciato un messaggio, anche a chi questa guerra la sta negando.

È stato potente vedere tutte quelle persone cantare insieme e abbracciarsi.
La gente nega tutto. Ce ne siamo accorti in questi anni. Sai perché ho scritto il libro? Perché un giorno, su Facebook, ho letto un post su un bambino morto in casa sul divano, con il collo spezzato dal compagno della madre. Se è successo, è perché i vicini hanno sentito urla per mesi e non hanno fatto nulla. Neanche le maestre a scuola. Le persone negano perché non vogliono capire cosa succede.
Quando sono arrivata in Italia, mi chiedevano “perché non parli più con tua madre?”. Io dicevo “perché mia madre mi picchiava”. E mi rispondevano “però la mamma è sempre la mamma”. Sì, ma se la mamma è Hitler, perché devo chiamarla e dirle ti voglio bene? Le persone non vogliono vedere le tragedie che accadono dall’altra parte del mondo, come nella casa accanto. Ma se non vedi, non puoi agire e non aiuti nessuno. E allora qui che ci stai a fare?

Ema Stokholma dj set
Suit Gianluca Saitto, jewelry Marco De Luca Gioielli, sandals Giuseppe Zanotti
Ema Stokholma artist
Jacket and earrings Krizia

Credits

Talent Ema Stokholma

Editor in Chief Federico Poletti

Text Alessia de Antoniis

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Michele Vitale

Stylist assistant Federica Mele

Hair Alessandro Rocchi @simonebelliagency

Make-up Giulia Luciani @simonebelliagency

Location TH Roma – Carpegna Palace Hotel

Nell’immagine in apertura, Ema Stokholma indossa un abito Antonio Marras

Il successo di Highsnob, immerso nella scena rap

Michele Matera, in arte Highsnob, 37 anni, originario di Avellino ma spezzino d’adozione, è tra gli artisti più affermati sulla scena rap italiana. Con alle spalle un passato turbolento, nel 2013, assieme al rapper Samuel Heron, fonda il duo Bushwaka; dal sodalizio nasce Pandamonium, disco pubblicato dall’etichetta Newtopia.
Dopo questo esperimento, l’artista intraprende la carriera da solista e a giugno 2015 pubblica il suo primo singolo, Harley Quinn (disco d’oro), in cui fonde la trap con le sonorità del rap classico. Anticipato dal singolo Wannabe, che vede la partecipazione di Junior Cally, il  primo album in studio Bipopular arriva nell’estate 2018. Nel 2019, 23 coltellate viene certificato disco d’oro dalla FIMI, nel 2020 è invece l’ora dei singoli Wannabe vol. 3 e Per odiarti non ho tempo. Nel 2022, Highsnob debutta al Festival di Sanremo in coppia con la cantautrice Hu, con Abbi cura di te, brano dedicato alla fine di un amore, in cui si mescolano pop, rap ed elettronica.

Highsnob discografia
Total look Hermès
Highsnob rap
Jacket Diesel, T-shirt Kangra

Credits

Talent Highsnob

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Filippo Thiella

Stylist Davide Pizzotti

Photographer assistant Andrea Lenzi

Stylist assistant Gianluca Sacchetti

Grooming: Ricky Morandin/W-MManagement

Nell’immagine in apertura, Highsnob indossa suit Vivienne Westwood, T-shirt Kangra, shoes Salvatore Ferragamo, sunglasses Tom Ford

Carisma e talento: l’ascesa di Giacomo Ferrara

Classe 1990, origini abruzzesi, Giacomo Ferrara è tra gli attori più talentuosi e carismatici della sua generazione. Si è fatto conoscere – e amare – dal pubblico nei panni del malavitoso Alberto “Spadino” Anacleti, tra i protagonisti del film Suburra e, soprattutto, dell’omonimo serial; un personaggio che, afferma, «porterò sempre con me, è entrato nella cultura pop italiana, lo vedo da ciò che mi scrivono le persone, riversando su di me l’affetto provato per lui». Prima della popolarità con la serie Netflix («una parentesi bellissima del mio percorso, iniziata nel 2015 e terminata l’anno scorso»), aveva già avuto modo di mostrare le proprie capacità col ruolo di Angelo de Il permesso – 48 ore fuori, valsogli il premio Guglielmo Biraghi ai Nastri d’argento del 2017.

Giacomo Ferrara Instagram
Total look 424

Ha preso parte inoltre alla pellicola dal côté fiabesco Guarda in alto (dove il suo Teco vive avventure surreali sui tetti di Roma), al fantasy Non mi uccidere, alla miniserie Sky Alfredino – Una storia italiana e, da ultimo, a Ghiaccio, esordio cinematografico del cantautore Fabrizio Moro (in tandem con Alessio De Leonardis), in cui è un giovane che, nel pugilato, cerca il riscatto da una vita a dir poco travagliata; nelle sue parole, «una storia d’amore in cui interpreto Giorgio, un ragazzo estremamente introverso, che finisce per cacciarsi in situazioni difficili. Entra così in gioco l’allenatore Massimo (Vinicio Marchioni, straordinario compagno d’avventura), che prova a riportarlo, attraverso lo sport, su una strada migliore». Per prepararsi alla parte, ad ogni modo, ha dovuto affrontare un duro training in quanto «la sfida era far risultare credibili le scene di boxe, perciò ci siamo sottoposti a sessioni davvero impegnative; mi allenavo nove volte a settimana, ho dovuto mettere su massa muscolare, seguire una dieta ferrea»

Opere e generi diversi, nei quali spiccano le sue interpretazioni spesso “estreme”, viscerali, dal citato Spadino (criminale borderline, lacerato da sentimenti contrastanti, diviso tra una quotidianità di violenza e sopraffazione, una sessualità repressa e l’ossessione di rivalersi su una famiglia che lo considera una testa calda, da tenere ai margini) allo stravagante Ago, il tossicodipendente dalla chioma rosa amico del protagonista di Non mi uccidere.
A Giacomo, del resto, «piace lavorare in toto su un ruolo, immedesimarmici completamente», nonostante tenga a precisare che «a prescindere da quanto sia carismatico, appariscente o “strano” il personaggio, è fondamentale trovare storie che abbiano un motivo per essere raccontate, che arrivino dritte al cuore, proprio come Ghiaccio».

Giacomo Ferrara filmografia
Total look Dior

La nostra intervista con Giacomo Ferrara

Parlaci del tuo ultimo film, Ghiaccio.

Più che un film sul pugilato è una storia d’amore in cui interpreto Giorgio, un ragazzo estremamente introverso, che finisce per cacciarsi in situazioni difficili. Entra così in gioco l’allenatore Massimo (Vinicio Marchioni, uno straordinario compagno d’avventura), che prova a riportarlo, attraverso lo sport, su una strada migliore.
La parte più difficile è stata la preparazione fisica, la sfida era far risultare credibili le scene di boxe, perciò ci siamo sottoposti a sessioni davvero impegnative; con Giovanni De Carolis, ex campione del mondo, mi allenavo nove volte a settimana, ho dovuto mettere su massa muscolare, seguire una dieta ferrea. In tutto ciò, tra me e Vinicio si è creato un rapporto molto bello, lo stesso che c’è sullo schermo. Un lavoro intenso, complesso, duro, costellato di sfide, come quelli che piacciono a me insomma.

Giacomo Ferrara Ghiaccio
Shirt Gucci

Com’è stato impersonare un personaggio come Spadino, penetrato in profondità nell’immaginario del pubblico?

Suburra è stata una parentesi significativa del mio percorso, iniziata nel 2015 con il film di Stefano Sollima e terminata l’anno scorso. Porterò sempre nel cuore Spadino, è entrato nella cultura pop italiana, come la serie d’altra parte, lo vedo da ciò che mi scrivono le persone, da come riversano su di me l’affetto provato per lui. Doveva finire però, com’è naturale, subito dopo ho lavorato a un progetto dopo l’altro, sono felice della piega che sta prendendo la mia carriera.

Giacomo Ferrara film pugile
Suit Çanaku

Che rapporto si è creato col resto del cast di Suburra?

Spesso sui set si creano dinamiche destinate a finire una volta conclusa la produzione, ci sono invece dei casi, com’è stato per Ghiaccio o, appunto, con il cast di Suburra, nei quali si instaurano rapporti che vanno talmente oltre il lavoro in senso stretto, da restare poi per sempre. Con Alessandro (Borghi, ndr) Eduardo (Valdarnini), Filippo (Nigro) e gli altri, per quanto non ci si senta tutti i giorni, ogni volta che ci rivediamo è come se non ci fossimo mai persi di vista.

Giacomo Ferrara e Vinicio Marchioni
Total look Valentino

Hai interpretato spesso personaggi dall’aspetto e modi appariscenti (Spadino, appunto, Teco di Guarda in alto, Ago di Non mi uccidere…), preferisci i ruoli molto “fisici”, che richiedano (anche) trasformazioni radicali?

Mi piace lavorare in toto su un ruolo, immedesimarmici completamente; a prescindere da quanto sia carismatico, appariscente o “strano” il personaggio, comunque, è fondamentale trovare storie che abbiano un motivo per essere raccontate, proprio come quella di Ghiaccio. È un film semplice che però arriva dritto al cuore, perché si fa portatore di sentimenti e messaggi se vogliamo popolari, eppure importantissimi in quest’epoca post-pandemica, segnata da tecnologie che ci spingono ad alienarci sempre di più, mentre l’arte nasce con tutt’altri scopi, per ispirarci e farci sognare.

Immagina di doverti raccontare a qualcuno che non ti abbia mai sentito nominare: chi è Giacomo Ferrara, professionalmente e umanamente?

Sicuramente partirei dalle mie origini, dai valori che la mia famiglia ha cercato di trasmettermi (lavoro, sacrificio, sudarsi le conquiste), spingendomi a diventare cocciuto, determinato. Ci tengo a dare il meglio, provo costantemente a superare i miei limiti, nella vita come sul set.
In fondo, credo che Giacomo sia semplicemente un ragazzo che ha sempre sognato in grande e, pian piano, sta riuscendo a realizzare ciò che sognava.

Giacomo Ferrara Instagram
Total look Andrea Pompilio
Giacomo Ferrara intervista
Shirt Magliano, shoes Giuseppe Zanotti, pants stylist’s archive

Credits

Talent Giacomo Ferrara

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Chiara Polci

Hair Alessandro Rocchi @simonebelliagency

Make-up Charlotte Hardy @simonebelliagency

Location Coho Loft Roma

Nell’immagine in apertura, Giacomo Ferrara indossa total look 424

Tananai, il fenomeno musicale della new generation

Dopo la partecipazione a Sanremo, Tananai, nome d’arte di Alberto Cotta Ramusino, ha conquistato il pubblico diventando uno degli artisti più di tendenza e seguito dai giovani. Dopo il Festival, il suo singolo Sesso occasionale è stato certificato disco di platino.

Tananai Instagram
Total look Alexander McQueen

Nato nel 1995 a Milano, Alberto è stato sempre appassionato, fin da adolescente, di musica elettronica, e si è dedicato da subito alla produzione musicale, pubblicando nel 2017 il primo album intitolato To Discover and Forget, utilizzando lo pseudonimo Not For Us. Presto inizia a esplorare vari generi musicali e a scrivere anche in italiano, pur occupandosi ancora principalmente di produzione.
Nel 2019 emerge come vero e proprio cantautore con il nuovo nome d’arte Tananai, e nel 2020 fa uscire il suo primo EP intitolato Piccoli Boati. Ci racconta lo stesso Alberto: “Il primo EP è nato dalla voglia di raccontare quello che mi succedeva nella vita, perché reputo che la quotidianità sia particolarissima a modo suo per chiunque. Quindi ho cercato di trasporre le mie giornate e storie d’amore, le mie delusioni e momenti in cui ero preso bene all’interno della musica che facevo. Venendo da un passato di produttore per la musica elettronica, dovevo imparare a scrivere e disimparare a produrre. Ho parlato di quello che conoscevo: la mia quotidianità”.

Nel 2021 la sua carriera prende una nuova piega con il singolo BABY GODDAMN, che arriva anche ad essere certificato disco di platino, con cui è ora in vetta alla classifica Top50 di Spotify Italia. Nello stesso anno arriva a collaborare con artisti come Fedez e Jovanotti, partecipando a Sanremo Giovani con la canzone Esagerata, grazie alla quale rientra nel podio dei vincitori.

Il 2022 si apre con la partecipazione al 72° Festival di Sanremo in cui presenta Sesso occasionale, un brano carico di ironia e positività. La partecipazione al Festival – nonostante le diverse critiche – gli restituisce grande visibilità, tanto che pochi giorni dopo la fine della competizione il singolo entra nella Top 10 tra i brani più ascoltati di Spotify Italia e anche BABY GODDAMN scala le classifiche, fino alle primissime posizioni della Top 50. Ci confessa Alberto: “‘Sesso occasionale’ è nata in maniera molto naturale durante una sessione in studio. È saltata fuori come continuazione di ‘Esagerata’- il pezzo di Sanremo Giovani, ci ha coinvolti da subito e abbiamo lavorato fino alla scadenza per mandarla. Non sapevo cosa aspettarmi dopo Sanremo. Sono andato a ruota libera perché pensavo solo a dare energie positive e al fatto di tornare a cantare sul palco davanti a un vero pubblico”.

Un successo che continua anche nel suo primo tour italiano che in poco tempo è finito sold out in molte date. “Il mio sogno nel cassetto lo sto realizzando, ovvero suonare dal vivo davanti a più persone possibili. E finalmente dopo tanti momenti di stop vedo che sta per succedere… Questo mi riempie di entusiasmo”.

Tananai social
Total look Gucci
Tananai Alberto
Total look Valentino, sunglasses Versace, shoes GCDS

Scoprite qui la videointervista completa a Tananai, realizzata in esclusiva per Manintown durante lo shooting per una delle sei cover dell’issue Hot child in the city.

Credits

Talent Tananai

Editor in Chief Federico Poletti

Text Federico Poletti

Photographer Leandro Manuel Emede

Stylist Nick Cerioni

Stylist assistants Michele Potenza, Salvatore Pezzella, Noemi Managò

Make-up & hair Mara De Marco

Nell’immagine in apertura, per Tananai total look Alexander McQueen

I diversi volti di Gianluca Ginoble

Enfant prodige di origini abruzzesi, Gianluca Ginoble è noto soprattutto come uno dei tre cantanti lirici de Il Volo. Ha iniziato a cantare ad appena tre anni, a 14 ha partecipato a un talent show dove ha incontrato Piero Barone e Ignazio Boschetto, con cui ha fondato di lì a breve il suddetto trio musicale.

Il Volo Gianluca Ginoble baritono
Jacket The Nick, pants FBMT, hat Lorenzo Seghezzi, jewelry Vitaly

Baritono, la voce profonda, delicata ha subito permesso a Gianluca di distinguersi, facendogli guadagnare un grande seguito sui social media, dove condivide con i fan momenti della propria vita quotidiana.
Fa parte tuttora del gruppo, che si sta preparando per un tour mondiale fra Stati Uniti e Canada.

Il Volo Gianluca
Shirt Saint Laurent from Antonioli.eu, jewelry Vitaly
Gianluca Ginoble lirica
Gianluca Ginoble moda
Total look Saint Laurent from Antonioli.eu, jewelry Vitaly, shoes Sonora
Gianluca Ginoble social
Jacket Alessandro Vigilante, jewelry Vitaly
Gianluca Ginoble songs
Vintage suit, stylist’s archive
Ganluca Ginoble cantante del Volo
Total look Ardusse
Gianluca Ginoble del Volo
Shirt Saint Laurent from Antonioli.eu, jewelry Vitaly

Credits

Talent Gianluca Ginoble

Photographer Leandro Manuel Emede

Styling Nick Cerioni

Stylist assistants Michele Potenza, Salvatore Pezzella, Noemi Managò

Make-up & hair Mara De Marco

L’empowerment femminile del nuovo cinema italiano: Maria Chiara Giannetta e Matilde Gioli

Dresses Giorgio Armani

Maria Chiara Giannetta e Matilde Gioli, due attrici al massimo splendore della loro carriera che, nella stagione 2021/2022, si sono fatte notare come super protagoniste.
La prima nelle vesti di Blanca, serie che ha sbancato lo share targata Rai1, e a ruota con la sua co-conduzione nella serata del venerdì del Festival di Sanremo, al fianco di Amadeus, dove ha brillato per eleganza e simpatia. Al momento è impegnata nelle riprese di Don Matteo, dove ha rincontrato il suo partner in Doc – Nelle tue mani, Luca Argentero. La seconda, anche lei protagonista del medical drama in onda su Rai1 (per il quale parliamo di numeri record di ascolto, oltre il 30% di media), è ora al cinema con la nuova commedia di Fausto Brizzi Bla Bla Baby; d’altronde, che fosse bellissima e con la battuta sempre pronta, lo sapevamo già.

Due donne forti che si raccontano, Nord e Sud, l’Italia nelle sue mille sfumature, sempre con l’ironia giusta, accomunate da una grande passione per la natura e in particolare l’equitazione. Ad avvicinarle a questo sport, infatti, è stato proprio il loro mestiere.

Maria Chiara Giannetta attrice
Headpiece The Beatriz, dress Philosophy di Lorenzo Serafini

Cosa avete pensato la prima volta che vi siete viste? (Il primo incontro live è stato proprio sul set di ManInTown per lo shooting che vedete qui, con un grande fil rouge, ovvero il loro ufficio stampa, Valentina Palumbo, nda)

Maria Chiara: All’inizio sono sempre parecchio timida, ma proprio per la stima professionale che provo nei suoi confronti ritrovarci lì è stato un momento molto forte.

Matilde: Gli shooting fotografici per come siamo fatte entrambe sono dei momenti decisamente intimi, ti sono tutti intorno per giudicarti, e il braccio è troppo grosso, il vestito cade male, insomma ti senti sola; invece vivere quel momento tipo “carciofo messo li” con Maria Chiara è stato un bonding moment, ci ha unite.
Devo dire che mi ha davvero colpita quando l’ho vista sul palco di Sanremo: a parte l’eleganza, che non sempre si riesce a esprimere in quella manifestazione, ha dimostrato di avere una grande forza, qualità che io non ho in certi momenti.

Matilde Gioli bellissima
Maria Chiara: jacket, shirt and skirt Dior, boots Bruno Bordese; Matilde: shirt, dress and rings Dior, boots Bruno Bordese

Nonostante siate due ragazze con idee ben chiare e la testa sulle spalle (ce lo diranno dopo), vi abbiamo sempre viste in serie di successo in ruoli molto forti, che hanno spinto gli spettatori a seguirvi nelle rispettive avventure e noi del magazine a scegliervi per la copertina di questo numero. Come ci si sente a essere le donne del momento?

MC: Restiamo con i piedi per terra, senza forzature. Amiamo il nostro lavoro, poi nella vita privata ho la necessità di scrivere, leggere e vedere il mio film quotidiano, ci viviamo il momento mentre lavoriamo e poi siamo solamente Matilde e Maria Chiara.
Sono cosciente, però, del fatto che il riconoscimento non ce lo diamo da sole, spetta ovviamente al pubblico.

M: Su questo noi siamo simili, non vuol dire che ci sia un carattere giusto o sbagliato, però c’è chi fa questo mestiere e cerca di essere acclamato e desiderato in ogni momento, perché ovviamente gli fa piacere, sente il bisogno un certo tipo di adrenalina. Io e lei magari ci gasiamo per altre cose, ma non per il sentirci dire che siamo le donne del momento.

Matilde Gioli film
Headpiece Pasquale Bonfilio Hats, top and shorts Givenchy, rings and bracelet Etrusca Gioielli, rings (left hand) Givenchy

Che cosa vi ha stupite di più di questa stagione 2021/22?

MC: Personalmente è arrivato tutto insieme, come una valanga, mi ha proprio stupito il modo consequenziale con cui si sono succeduti gli eventi e la loro velocità, prima Blanca e a ruota Sanremo 2022.

M: Mantengo sempre un forte distacco dal mio lavoro, e nel lungo termine mi rendo conto che sto crescendo, di aver ricevuto numerose soddisfazioni in questi due anni così difficili, in cui tanti colleghi di enorme talento hanno invece faticato.
Voglio essere sempre pronta all’eventualità che un giorno magari non interesserò più; potrebbe succedere, prima di fare l’attrice svolgevo un lavoro diverso, quindi potrei tornare indietro senza sentirmi sbagliata.

Matilde Gioli stile
Matilde: hat STM Hats, maxi gilet COS; Maria Chiara: dress GRK

C’è un ruolo che non avete ancora interpretato e vorreste fare?

MC: Personalmente vorrei interpretare un personaggio negativo. Quello che voglio dire è che di solito le donne sono cattive oppure stronze (o, aggiunge la Gioli, tr**e, nda), invece il racconto del lato oscuro di un personaggio femminile è più raro. Bisogna sempre chiedersi quale sia il fine che giustifica i mezzi, dunque nel caso sia una stronza: perché? Insomma, avere la possibilità di esplorare tutte le sfumature.

M: Ci sono tantissimi ruoli in cui potrebbe spaziare la tv italiana, Maria Chiara ha avuto la fortuna di essere protagonista assoluta di una serie crime con un personaggio non vedente, abbastanza unico, raro da vedere. È stato bello vedere la costruzione di un personaggio come Blanca.

Maria Chiara Giannetta Sanremo abiti
Maria Chiara: dress Gianluca Saitto; Matilde: dress Amen, shoes Le Silla

C’è mai stato un momento o una situazione in cui vi siete chieste “chi me l’ha fatto fare?”

M: In realtà questa sensazione può esserci stata, ogni set è però una situazione diversa; quindi, anche l’armonia con tutte le persone che ti circondano cambia.
A me è sempre andata piuttosto bene, poi mi è capitato di confrontarmi con colleghi più grandi; pendi dalle loro labbra perché vuoi e sai di poter imparare e, invece, viene fuori un divismo totalmente fuori luogo, e ti deludono.

MC: Però allo stesso tempo situazioni del genere ti motivano, perché capisci che non vuoi essere così e ti viene da dirlo agli amici: “se vedi che mi comporto così dimmelo eh!”. Bisogna rimanere se stessi, consapevolmente, perché davanti a noi c’è sempre un essere umano da rispettare.
All’inizio del mio lavoro, quando per ovvie ragioni non potevo padroneggiare nulla, mi è capitato eccome di chiedermi chi me lo avesse fatto fare. La cosa più difficile è resistere, sono una fan del crederci, e più ci credi, ne sei consapevole, più si avvicina l’obiettivo. Nel nostro mestiere il precariato è il nuovo posto fisso.

Matilde Gioli modella
Maria Chiara: headpiece Ilariusss, top and pants Etro, choker Casa Bruni Bossio, necklaces Barbara Biffoli, shoes Le Silla; Matilde: headpiece The Beatriz, bra Wolford, skirt and belt Michael Kors, ring Casa Bruni Bossio, shoes Mario Valentino

Siete anche accomunate dal “girl power”, come si diceva negli anni ‘90, cosa mi dite a proposito?

MC: Siamo entrambe fan di altre colleghe, abbiamo superato il periodo delle dive dove dovevi avvelenare la protagonista per avere il ruolo, in quanto eri solo una sostituta.
Noi parliamo dei lavori, ci confrontiamo, ci diamo consigli e poi sappiamo che se ci scelgono, come dice Matilde, dipende dai gusti altrui. Senza contare che siamo tutte uniche.
Nella nostra generazione c’è realmente voglia di cambiare, di farlo anche sulla carta, come dimostrano le nuove associazioni nate per dare un po’ più di dignità a questo mestiere.

M: Quando un ufficio stampa condivide due talent per lo stesso progetto è regola che non si parli davanti all’altro di dettagli lavorativi, per una questione di riservatezza e rispetto. Nel caso di questo shooting era talmente tanta la serenità che ci accomunava, che si saltava da un discorso all’altro, senza filtri, è stato bellissimo proprio perché raro. Te lo dico senza retorica né dietrologie.

Matilde Gioli Maria Chiara Giannetta
Matilde: headpiece Ilariusss, dress Max Mara; Maria Chiara: headpiece Pasquale Bonfilio Hats, dress Max Mara

Chi dice più parolacce? (Rispondono all’unisono: tutte e due!, nda)

M: Arrivo da un’educazione borghese, quando ero piccola anche la parola casino era bandita. Così, andata via di casa, sono stata avvolta da un delirio e mi sono liberata, mangiando anche tutte le merendine che mi erano state proibite.

MC: Per me vale la stessa cosa, i miei genitori sono stati bravissimi, però a casa non si parlava dialetto (pugliese) né si dicevano parolacce. Soprattutto mio padre, da amante della buona cucina sana, non mi aveva mai fatto avvicinare a un cordon bleu.
Finale della storia: quando sono andata a vivere da sola ho riempito il freezer di schifezze e ho iniziato a dire parolacce come se non ci fosse un domani, o quasi. È tipico della “castrazione al contrario” fare poi quello che ti pare.

Matilde Gioli serie tv
Hat Pasquale Bonfilio Hats, dress Atelier Angela Bellomo
Maria Chiara Giannetta Blanca
Hat Pasquale Bonfilio Hats, bodysuit Amina Muaddi x Wolford, necklace Etrusca Gioielli

Credits

Talent Maria Chiara Giannetta & Matilde Gioli

Photographer Davide Musto

Fashion editor Valentina Serra

Text Fabrizio Imas

Ph. assistants Valentina Ciampaglia, Giacomo Gianfelici

Fashion editor assistant Federica Picciau

Hair stylist Alessandro Rocchi @simonebelliagency

Make-up Giulia Luciani @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, per Maria Chiara Giannetta e Matilde Gioli: total look Giorgio Armani

Greg Tarzan Davis e il suo momento magico con ‘Top Gun: Maverick’

Greg Tarzan Davis sta vivendo quello che solitamente viene definito il momento d’oro, tutto ciò che aveva sognato e non sapeva potesse realizzarsi, ecco sta succedendo proprio adesso.
Dal 25 maggio potremo vedere l’attore al cinema, coprotagonista con Tom Cruise nel sequel più atteso di sempre, Top Gun: Maverick, che dopo tanti rinvii a causa della pandemia finalmente sarà visibile al pubblico sul grande schermo.
Ma non basta, sarà infatti anche in Mission: Impossible 7 nel 2023, nel frattempo è entrato a far parte di una delle più serie tv più amate, Grey’s Anatomy, giunta alla sua diciottesima stagione.

Greg Tarzan Davis age
Ph. by Kelly Balch

Come prima cosa devi dirmi come hai scelto il tuo soprannome, Tarzan.

Quando ero piccolo avevo i capelli lunghi, ero veramente terribile e mi arrampicavo ovunque; quindi, la mia famiglia ha iniziato a chiamarmi così, poi quando ho iniziato a lavorare e utilizzare i social, ho pensato che Greg sarebbe stato davvero troppo noioso, nessuno se lo sarebbe ricordato. Allora ho detto a mia madre che lo avrei cambiato e, siccome lei non era per niente felice, ho pensato di utilizzarlo come secondo nome. Ora sto procedendo legalmente per essere Greg Tarzan Davis.

Come hai iniziato a recitare?

La verità è che qualcosa che ho sempre voluto fare, guardavo Will Smith e Tom Cruise e mi dicevo “caspita, questo è quello che vorrei fare da grande”.
All’inizio però, quando provavo a fare magari una scuola di recitazione o inserirmi in una compagnia teatrale, la risposta era sempre negativa, quindi ero piuttosto scoraggiato; ho pensato perciò di focalizzarmi sullo sport, che invece andava benissimo. All’ultimo anno di college mi son sentito dire di seguire il mio sogno, del resto se non lo fai quando sei giovane quando ti ricapita?
Mi sono detto che, se fosse andata male, sarei potuto tornare a insegnare o fare qualsiasi altra cosa. Per fortuna a quanto pare non ho fallito, qualcosa di veramente buono sta succedendo nella mia vita.

Come ci si sente ad essere coprotagonista in un film come Top Gun: Maverick?

È assolutamente incredibile, mi sono trasferito a Los Angeles nel 2017 e dopo dieci mesi, nel 2018, ho iniziato a girare, e prima di questo non avevo mai fatto più di due giorni consecutivi sul set.
Posso dire che è tutto ciò che avevo immaginato pensando di lavorare a una super produzione come questa, e anche di più.

Quanto tempo avete impiegato a girarlo?

In tutto credo abbiamo lavorato dieci mesi, inclusi training e scene che abbiamo dovuto girare due volte perché alla prima c’era qualcosa che non andava; poi non ho mai utilizzato stunt, proprio come ci ha insegnato Tom Cruise, spingendoci anche dove non avremmo creduto di arrivare.

Greg Tarzan Davis Grey's Anatomy
Ph. by Kelly Balch

Dimmi la verità, quante volte è stata rimandata l’uscita del film?

Oh, mio Dio! Dunque, doveva uscire nel 2019, poi hanno scelto di posticipare, non so se realmente si possa considerare la prima volta, l’inizio è stato quello. Quindi è arrivata la pandemia e avevano pensato a giugno 2020, poi dicembre, insomma alla fine è stato rimandato ben cinque volte, ora ci siamo quasi, il 25 maggio è dietro l’angolo.
Credo che possa essere anche il film giusto per riportare il pubblico al cinema, per far capire che le sale di proiezione non sono morte. La raccomandazione di Tarzan è: “alzatevi dalla poltrona e uscite per andare al cinema!”.
I blockbuster usciti nell’ultimo periodo sono tutti basati su supereroi, invece il nostro riprende la vita reale, con personaggi a cui tutti possono relazionarsi.

Com’è stato lavorare con Mr. Tom Cruise?

È stato meraviglioso, meglio di qualsiasi masterclass, non c’è niente e nessuno che possa insegnarti tutto ciò che ho imparato da Tom Cruise. La sua generosità e disponibilità ci hanno portato quasi a saper guidare un jet da soli per davvero, non male direi.

Greg Tarzan Davis Top Gun
Ph. by Kelly Balch
Greg Tarzan Davis Instagram
Ph. by Kelly Balch

Credits

Talent Greg Tarzan Davis

Photographer Kelly Balch

Press office Portrait PR in collaboration with MPunto Comunicazione

‘Summertime’, la stagione finale

Possiamo dire che Summertime, Baby e Skam sono state le serie teen “apriporta” di Netflix per l’Italia; quello adolescenziale era ancora un pubblico da sperimentare, che, come si era dimostrato in altri paesi, è sicuramente il più attento e sensibile alle novità.
Il successo per gli attori del cast, infatti, come nel caso di Ludovico Tersigni, è stato strabiliante, al punto di vederlo conduttore anche con sua sorpresa di X Factor 15.

Summertime stagione finale

Lo stile musicale della serie, tra successi del passato e nuovi talenti italiani

Come tutte le belle storie anche Summertime giunge alla sua conclusione, e lo fa contraddistinguendosi con le note di Scossa di Sangiovanni, brano inedito del cantautore vicentino, in anteprima nel trailer.
L’artista, che dopo la partecipazione a Sanremo 2022 continua a dare voce alla sua generazione, al desiderio di amore e spensieratezza, sarà anche presente nella serie tv nei panni di se stesso.

Sangiovanni Summertime
Sangiovanni in una scena di Summertime (ph. Francesco Berardinelli, © Netflix)

Si conferma inoltre l’originale stile musicale di Summertime, che pure in questa stagione finale mescola indimenticabili successi come Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli, Pedro di Raffaella Carrà e Luglio di Riccardo Del Turco con alcuni tra i più amati artisti del panorama musicale italiano contemporaneo come Blanco, Madame, Achille Lauro, Franco126, gli Psicologi, Tananai, Bartolini e Ariete, presenti anche nella colonna sonora della seconda stagione.

Summertime 3, trama e new entry del cast

Un’altra estate è finalmente arrivata sulla Riviera romagnola: Summer sembra pronta a vivere la stagione con la spensieratezza che non ha mai avuto, Dario riceve una proposta che non può lasciarsi scappare, Sofia ritorna con la paura di essere ormai un’estranea per i suoi amici, Ale è in preda a profondi sensi di colpa.

Summer, Ale, Dario, Sofia, Edo e Blue faranno un ulteriore passo in avanti verso la scoperta di se stessi, dei propri sogni e aspirazioni. La loro amicizia, oltre all’arrivo di nuove persone all’interno del gruppo, li porterà a capire qualcosa di importante di sé e del proprio futuro.
In questo loro percorso di crescita, oltre a un più ampio vocabolario emotivo, apprenderanno che – a volte – volere bene a qualcuno può anche significare dover rinunciare a qualcosa di sé.

Summer Summertime
Ale (Ludovico Tersigni) e Summer (Coco Rebecca Edogamhe) in Summertime 3

Il cast si allarga e arricchisce di attori talentuosi e carismatici come Cristiano Caccamo, Stefano Rossi Giordani, Emilia Scarpati Fanetti, Ludovica Ciaschetti.
La ricerca più faticosa, per gli autori, è stata quella dell’interprete di Luca: cercavano un attore che oltre a suonare e cantare, portasse un’energia dirompente al racconto e, nello stesso tempo, restituisse una certa fragilità al personaggio. Dopo decine di provini è arrivato Caccamo: con un giro di chitarra e un’improvvisazione con Coco, è stato infine trovato Luca, voce dei Foster Wallace.

La terza stagione di Summertime è stata forse la più complessa. Cattleya voleva infatti chiudere il percorso narrativo dei personaggi con un finale all’altezza delle aspettative del pubblico, che ha amato le storie di questi ragazzi vedendoli crescere.

Summertime Romina Colbasso
Giulia (Romina Colbasso) e Sofia (Amanda Campana) in uno degli episodi finali della serie (ph. Stefania Rosi)
Summertime Edo e Giulia
Edo (Giovanni Maini) e Giulia (Romina Colbasso) in una scena della terza stagione (ph. Stefania Rosi)

Arriva su Disney+ ‘Le fate ignoranti’, serie tratta dal film cult di Ozpetek

Sono disponibili da oggi, su Disney+, gli 8 episodi de Le fate ignoranti (il titolo internazionale scelto è The Ignorant Angels), l’atteso adattamento televisivo della pellicola eponima di Ferzan Özpetek, cult assoluto che, 21 anni fa, fece conoscere al grande pubblico il cineasta di origine turca. Prima serie originale italiana della piattaforma di streaming, è stata pensata, scritta e diretta dallo stesso Özpetek (insieme a Gianni Romoli, Carlotta Corradi, Massimo Bacchini per quanto riguarda soggetto e sceneggiatura, e al collaboratore di lungo corso Gianluca Mazzella, con cui ha condiviso la regia).

La trama ruota intorno alle vicende “incrociate” di due coppie, legate da dinamiche sentimentali in parte nascoste, sicuramente complesse ma, proprio per questo, uniche e coinvolgenti. Vediamo infatti Antonia (Cristiana Capotondi), vedova di Massimo (Luca Argentero), rimasto ucciso in un incidente, scoprire che suo marito aveva una relazione con Michele (Eduardo Scarpetta). Sconvolta dalla notizia, comincia a indagare sulla vita segreta di Massimo, stringendo contro ogni previsione una forte amicizia con Michele e la sua cerchia di eccentrici amici, quasi una seconda famiglia per il marito; Antonia riuscirà così a cambiare il proprio punto di vista sulla vita e, forse, ad amare, di nuovo.

I protagonisti della serie: Cristiana Capotondi, Luca Argentero, Eduardo Scarpetta
Luca Argentero ed Eduardo Scarpetta in una scena di Le fate ignoranti
Eduardo Scarpetta e Cristiana Capotondi in una scena

Il cast comprende un nutrito numero di big e talenti emergenti dello showbiz nostrano, dai già citati protagonisti, Argentero, Capotondi e Scarpetta, ad Ambra Angiolini, passando per Anna Ferzetti, Paola Minaccioni, Serra Yilmaz, Filippo Scicchitano, Edoardo Purgatori, Elena Sofia Ricci e Milena Vukotic (queste ultime in qualità di guest star del romantic drama tratto dall’originale, campione d’incassi e autentico fenomeno culturale).
Tra le chicche si segnala l’interpretazione, eseguita da Mina, del brano originale (nonché sigla del titolo) Buttare l’amore.

ll cast in posa con Ferzan Özpetek (al centro)
Il cast della serie

Hanno preso parte al serial, come detto, Eduardo Scarpetta ed Edoardo Purgatori, protagonisti in passato di due editoriali in esclusiva per Manintown, in cui ci avevano raccontato, rispettivamente, dell’onere/onore di portare un cognome che rimanda alla storia dello spettacolo nostrano (è infatti pronipote e omonimo dell’immenso Eduardo Scarpetta, mostro sacro del teatro napoletano a cavallo del XIX e XX secolo), un’eredità complessa che lui gestisce impegnandosi ad «affrontare il mio mestiere col massimo dell’impegno e del rispetto»; e di come pensare al fatto che il suo nome sia legato a Özpetek (che lo ha voluto anche in La dea fortuna e nella pièce tratta da Mine vaganti) lo faccia «commuovere dalla gioia; posso dire che mi dò quasi i pizzicotti per capire se è reale quello mi sta succedendo, professionalmente, con lui».

Tess Masazza: ironica, introversa e insopportabilmente donna

Tess Masazza è davvero una figlia del mondo, ha vissuto praticamente ovunque, per poi scegliere l’Italia come luogo di appartenenza.
Si è fatta conoscere appassionandosi di web e sperimentandovi tutte quelle capacità artistiche per cui aveva anche studiato, ma non sapeva come mettere in pratica. La soluzione è arrivata con la creazione del personaggio di Insopportabilmente donna, che dagli sketch iniziali è poi diventato uno spettacolo teatrale e ora un romanzo, disponibile in tutte le librerie ed online.

Hai un bellissimo percorso, sei nata a Los Angeles, poi Tunisia, Francia e Italia, spiegami tutto.

Sono figlia di vagabondi praticamente, super appassionati di viaggi tutti e due. Sono nata per il lavoro di mio papà a Los Angeles, a Tarzana, ne vado orgogliosa perché è un quartiere di Beverly Hills che conoscono in pochi, si chiama così proprio perché ci avevano girato Tarzan.
Poi ci siamo trasferiti in Tunisia, dove ho trascorso la mia infanzia, la considero il mio paese del cuore, mi sento davvero fortunata ad essere cresciuta in questo piccolo villaggio sulla collina, con un paesaggio sul mare incredibile.
Alla fine, siamo andati in Francia, in quanto io sono francese, e dopo il liceo mi sono detta che volevo andare lontano, e così mi son ritrovata in Australia, quindi, dopo svariate esperienze, mi sono trasferita in Italia.

Ti sei fatta notare come youtuber?

Sì, come youtuber e facebooker (non so nemmeno se si possa dire in realtà). I primi anni a Milano facevo la giornalista, avevo trovato lavoro in una piccola web tv, e scrivendo articoli mi sono automaticamente appassionata alla lingua italiana, e allo stesso tempo (stiamo parlando di dieci anni fa) ho capito la potenza del web, lasciandomi affascinare da tutte le sue diramazioni.

E il tuo personaggio di Insopportabilmente donna com’è nato?

Direi per caso, nel senso che avevo studiato recitazione, lavoravo nel web e quindi mi sono ritagliata il mio spazio creando video divertenti da mettere online.
La vera artefice è stata mia madre, mi ha detto che ero talmente insopportabile che avrebbe iniziato a filmarmi (abbiamo lo stesso carattere), l’ho trovata un’idea geniale; il primo video si chiamava infatti “quello che dicono le rompiscatole”, una ripicca nei confronti di mia madre.

Hai sempre saputo di essere ironica? Sai in genere è una dote che o ce l’hai o non ce l’hai

Credo di essere sempre stata molto autoironica, l’ho capito studiando danza classica: ho sempre saputo di non essere la più brava, ed ogni volta che perdevo un concorso non me la prendevo, anzi, ridevo proprio degli errori che avevo fatto.
Negli anni a venire ho capito di avere un carattere non abbastanza forte per questo tipo di disciplina.

Sono otto anni che lavori sul personaggio di Insopportabilmente donna, tra web series e teatro, come si è evoluto nel tempo?

Da secchiona quale sono all’inizio mi ero scritta tutti gli argomenti che volevo trattare per le puntate del web, diciamo che il teatro è una cosa molto più recente; infatti, quando mi è stato proposto di portarlo in scena, sono stata entusiasta. Allo stesso momento mi sono detta però “e ora cosa mi invento?”; da lì l’idea di fare una commedia romantica, insomma non più sketch ma una vera storia, così sono entrata in contatto con altri personaggi/attori, la stessa cosa per il romanzo.

L’8 marzo è uscito infatti il tuo romanzo, quale messaggio vuoi dare con questa tua nuova avventura?

Vuole essere una lettura leggera, di intrattenimento, con una storia romantica su una protagonista di trent’anni che si sente ancora una bambina, non riesce a diventare un’adulta responsabile ed è molto ansiosa.
Più che messaggio, la mia è una ricerca dell’empatia del lettore, mi piacerebbe che le donne ci si riconoscessero come racconto, anche solo nell’aver paura di aprire una raccomandata per scoprire cosa c’è dentro, a me succede spesso.

Giriamo il dito nella piaga, secondo te perché gli attacchi sui social per la tua partecipazione a LOL?

LOL è stata un’esperienza incredibile, quando me l’hanno proposta ero super contenta ma allo stesso tempo terrorizzata, anche perché vedendo la prima edizione mi ero resa conto che era molto lontano dal mio modo di essere, io sono molto più riflessiva e introversa; però era un’occasione, non potevo dire di no.
Sicuramente sono stata presa dal panico, magari anche per la mia inesperienza in questo genere di trasmissioni, che mi ha fatto gestire le emozioni in modo diverso da come avrei voluto.
Tra le cose che vorrei saper fare da grande al primo posto metterei proprio avere la battuta pronta, come due mostri sacri con cui mi sono scontrata come Virginia Raffaele e il Mago Forrest, che adoro da sempre.
Diciamo che l’essere presa dall’ansia da prestazione è la cosa che mi ha bloccato di più in assoluto. Capisco tutte le critiche e le accetto, sono stata la prima a vedermi e criticarmi, solo che, come noto a tutti, sui social sono tutti parecchio aggressivi purtroppo.

Per tutte le foto, credits Roberta Krasnig

Davide Calgaro, l’arte dell’ironia per spaziare tra stand up comedy e recitazione

Monologhista con all’attivo partecipazioni a baluardi della comicità catodica (vedi alle voci Zelig o Colorado), attore duttile che, alle parti in commedie quali Odio l’estate e Sotto il sole di Riccione, ha affiancato interpretazioni di diverso tenore in Doc – Nelle tue mani e Blanca, nonché – eccezionalmente per Manintown – modello per il collega e amico Matteo Oscar Giuggioli. Davide Calgaro è un talento istrionico, ancora in cerca della propria dimensione “definitiva” che però, considerata la capacità di coltivare precocemente un’innata vena ironica (i 22 anni da compiere ne fanno lo stand up comedian italiano più giovane) per metterla a frutto sul palco come sui set, passerà con ogni probabilità da quella simbiosi tra humour e recitazione perfezionata dai suoi autori di riferimento, da Louis C.K. all’indimenticato Robin Williams.

Matteo Oscar Giuggioli ti ha scattato le foto che vediamo qui, com’è stato collaborare con lui in veste di fotografo?

È stata una bella esperienza, tra l’altro siamo amici, essere fotografato da una persona con cui sei in confidenza e puoi permetterti di fare il cretino è diverso dal lavorare con un professionista. Matteo secondo me è molto bravo, pur essendo alle prime armi, lo sono anch’io come “modello”, direi che è stato figo.

Ph. by Matteo Oscar Giuggioli

In quanto stand up comedian poco più che ventenne, hai bruciato le tappe: a 15 anni scrivevi e provavi i tuoi testi nei laboratori di Zelig, nel 2017 l’esordio televisivo su Comedy Central, due anni dopo Colorado… Vuoi ricapitolare il tuo percorso professionale, spiegandoci come, dove, quando e perché ti sei avvicinato al mondo della comicità?

Ho iniziato 13enne studiando recitazione alla scuola milanese Quelli di Grock, circa due anni dopo ho scritto i primi monologhi e pezzi comici su vari aspetti della mia quotidianità, provandoli tra laboratori e serate; nel 2017 ho avuto la possibilità di esibirmi nella trasmissione Stand Up Comedy, da lì sono arrivati Colorado e da ultimo Zelig, a un certo punto, poi, si è “infilato” il cinema.

Il teatro sembra sia un tuo pallino fin da adolescente, cosa rappresenta per te?

Ha rappresentato la prima spinta verso questo settore, è una grandissima passione che mi ha aiutato tanto nella stand up in termini di padronanza del palco e serenità nello stare in scena. Mi ci dedico tuttora, a febbraio ho fatto il mio primo spettacolo vero e proprio, non strettamente comico dunque.

Ph. by Matteo Oscar Giuggioli

Chi sono i tuoi modelli di riferimento?

Ne ho diversi, in Italia – essendo cresciuto con Zelig – i miei modelli di riferimento erano i monologhisti alla Paolo Migone o Giuseppe Giacobazzi, tra quelli della vecchia scuola Claudio Bisio e Antonio Albanese sono stati tra i più influenti. Guardando oltreoceano, invece, il mio preferito è al momento Louis C.K. ma devo citare per forza Robin Williams, in generale mi hanno sempre affascinato gli autori che spaziavano tra comicità e recitazione.

L’anno scorso eri nella line-up di Zelig, com’è stato essere coinvolto nel rilancio di un’istituzione della comicità televisiva, al fianco di Bisio, Vanessa Incontrada e altri colleghi illustri? Qualche episodio o ricordo che vuoi condividere con i lettori?

È stato incredibile, per certi versi surreale, prendere parte a uno show che guardavo ammirato fin da piccolo, non avrei mai immaginato di centrare un obiettivo del genere così presto.
Una cosa che si è notata anche in tv è il mio stato al termine del pezzo, sono scoppiato in lacrime, non si è visto completamente perché ho cercato di mettere la testa vicino alla spalla di Bisio, coprendomi, poi mi son ripreso. Il momento più bello è stato quello in cui sono sceso dal palco, tra baci e abbracci con gli autori e le persone con cui ho condiviso quest’esperienza.

Ph. by Matteo Oscar Giuggioli

L’hai detto anche tu, a un certo punto sono arrivati cinema e serial, nello specifico un ruolo in Odio l’estate di Aldo, Giovanni e Giacomo, quindi la grande ribalta di Sotto il sole di Riccione, commedia Netflix tra le più viste un paio d’anni fa; belle soddisfazioni immagino, tu inizialmente volevi fare l’attore, appunto…

In effetti volevo il cinema da parecchio tempo, sono ancora giovane e ho il desiderio di capire in quali ambiti posso lavorare. Blanca e Doc – Nelle tue mani, per esempio, mi hanno dato la possibilità di misurarmi con ruoli non prettamente comici, come quelli di Odio l’estate o Sotto il sole di Riccione. Considero film e serie un’opportunità per sperimentare e mettermi alla prova, a posteriori sono contento del risultato ed è un’altra strada su cui vorrei proseguire.

Alcuni sostengono che, data la sempre maggiore sensibilità e consapevolezza del pubblico, e con i social perennemente in agguato, chi fa il tuo mestiere corra il rischio di doversi frenare per non urtare la suscettibilità altrui, evitando il polverone di casi tipo The Closer di Dave Chappelle o, rimanendo in Italia, il famigerato predicozzo di Pio e Amedeo, oppure l’ironia di Zalone sui transessuali a Sanremo, qual è la tua opinione in merito?

Parto dall’assunto che, se si considera la comicità una forma di espressione artistica, allora debba vigere una libertà totale; i limiti variano da comico a comico, ciascuno ha la propria sensibilità e, assumendosene piena responsabilità, può scherzare su ciò che vuole.
Adesso si tende a sentirsi offesi ed è come se non potessimo – o volessimo – più sentirci così, si crea un cortocircuito perché la comicità, per definizione, a qualcuno deve dare un “dispiacere”, che siano i carabinieri o il tizio che scivola sulla buccia di banana, dev’esserci per forza chi ci resta male. Noto a volte un po’ di ipocrisia, ci si scandalizza quando ad essere toccato è il nostro orticello, lasciandosi scivolare addosso l’ironia su argomenti che non ci interessano.
Comunque sia, se un comico prestasse troppa attenzione alle rimostranze e fastidi delle persone, non riuscirebbe a scherzare più su nulla, poi certo è giusto confrontarsi ed essere aperti alle critiche, lo scopo finale però, bisogna ricordarlo, è far ridere; se lo trovi divertente allora fallo, io la vedo così.

Ph. by Matteo Oscar Giuggioli

Social e comicità, pro e contro.

Il pro penso sia la possibilità di farsi notare, offrono a chiunque un terreno neutrale in cui esprimersi. Il contro è lo stesso, nel senso che quanto appena detto può risultare problematico nel momento in cui i social diventano l’unico spazio a disposizione, col rischio che se non sei forte lì, è complicato portare le persone a uno spettacolo.
I social sono utilissimi ma non possono essere l’unico mezzo per scoprire nuovi talenti, il palco deve conservare la propria centralità.

Restando su YouTube, Instagram e simili, c’è qualche comico o canale digitale che apprezzi particolarmente?

Credo non facciano più video, ma per un periodo guardavo spessissimo quelli dei The Pills.

In un’intervista del 2020 sostenevi che la tristezza è di maggior ispirazione rispetto alla felicità, puoi spiegarcelo?

Intendevo che quando scrivo cerco di partire da elementi che mi infastidiscano o risultino problematici, così da superarli facendoci su dell’ironia. Precisando ulteriormente il concetto, non penso che in generale si possa trarre maggiore ispirazione dalla tristezza, ma personalmente trovo più stimolante lavorare su spunti che di per sé non suscitano ilarità, anzi; apprezzo quei comici che riescono a farmi ridere di cose su cui faticherei a scherzare, portandomi oltre il “limite” di cui parlavo prima.

Ph. by Matteo Oscar Giuggioli

In quali progetti sei impegnato attualmente? Cosa ti auguri per il futuro a livello professionale?

Sto portando in giro per l’Italia Venti freschi, monologo di stand-up comedy, inoltre usciranno a breve su Netflix due film girati nei mesi scorsi, per il resto scrivo e faccio provini, è una fase di passaggio, di attesa diciamo.
Per il futuro auspico di portare avanti in parallelo più attività possibili, esplorando settori diversi per capire quali siano le mie potenzialità e i miei limiti, ho l’età credo giusta per farlo.

Credits

Talent Davide Calgaro

Photographer Matteo Oscar Giuggioli

Tra sport e viaggi, 4 influencer raccontano di quando la paura diventa adrenalina

Quella degli influencer è da alcuni anni una vera e propria professione: Instagram ha dato la possibilità di emergere a talent delle realtà più diverse, che si sono costruiti un rapporto consolidato con una community coesa e curiosa. Spesso è la passione per lo sport e i viaggi a innescare i primi passi verso quella che diventerà una  professione, dettata dal forte bisogno – fisico e mentale – dei giovani di vivere sempre nuove sfide ed avventure, dalle più facili alle più estreme, per poi condividerle anche con i follower.


Petra Cola

Chiara Lovato

Gare di equitazione, corse in moto, salti sugli sci, conquiste di vette innevate e battaglie sul ring: nell’intervista che segue si raccontano quattro ragazze sportive che amano viaggiare e mettersi in gioco a 360 gradi, conducendo una vita sana, e creando col tempo uno stretto rapporto con chi le segue sui social.
È il caso di Chiara Lovato, appassionata fin da piccola di moto e sci, che vediamo sovente in scatti spettacolari, in strada o sulla neve, dove riesce sempre a trasmettere un forte senso di adrenalina ed energia, proprio come gli sport che pratica, come pure della “green” influencer Petra Cola, avventuriera e autrice del libro La maestra silenziosa. Vivere in montagna al femminile, tra le più giovani ed intraprendenti sportive del Nord Italia; tra gite, arrampicate, escursioni e sport estremi, Petra insegna alla propria fan base come viaggiare in modo sano, sicuro e intelligente.
E ancora, di Federica Monacelli, campionessa italiana di pugilato, atleta pluripremiata e laureata in economia aziendale, che scatta foto mozzafiato in giro per il mondo mentre pratica sport senza mai fermarsi, dal mare alla montagna, e di Nicole Cereseto, influencer ambientale, supporter del WWF e campionessa di equitazione, tra le content creator più ricercate di questi ultimi anni.


Federica Monacelli

Nicole Cereseto

Come è nata la tua passione per lo sport, e cosa significa per te?

Chiara: La passione per lo sport è nata grazie ai miei genitori. Fin da piccola mi hanno fatto provare di tutto, dalla ginnastica al basket, allo sci e tante altre discipline, lasciandomi scegliere quelle che preferivo, non forzando mai. Mi hanno insegnato che la vita è fatta di lavoro, studio ed esperienze.
Grazie a loro sono cresciuta con la curiosità di sperimentare sempre nuovi sport e cercare quel senso di libertà che non si può trovare nella normale quotidianità. Lo sport è la mia via di fuga dalla monotonia di ogni giorno, non mi basta andare in palestra ad allenarmi o fare una passeggiata, cerco adrenalina. Amo lo sci in tutte le sue forme (pista, freeride, freeski), amo andare in moto, amo il wakeboard.

Petra: La passione per lo sport mi è stata trasmessa dai miei genitori: mia mamma è un’insegnante di educazione fisica e già da piccolissima mi portava a raggiungere le cime più alte, poi mi ha iscritto a diversi sport come nuoto, ginnastica artistica e atletica leggera, che hanno creato le basi di ciò che sono ora. Lo sport mi ha dato una routine e donato la struttura anche per affrontare la vita, per risolvere i problemi più banali.

Federica: Arrivo da una famiglia molto sportiva, ho iniziato a fare nuoto per neonati con mia mamma a cinque mesi di vita. Non ricordo neanche il momento in cui è nata la passione per lo sport, è semplicemente sempre stato parte integrante delle mie giornate, come fare colazione, pranzare, andare a scuola. Lo sport rende forti e questa forza può essere sfruttata per vivere meglio. Il concetto di base è questo: vivere in modo attivo costa fatica; fare tante cose, anche se piacevoli, costa fatica. Se la fatica supera il piacere, allora non si trova più gratificazione in ciò che si fa.

Nicole: La mia passione per lo sport è nata quando mi sono avvicinata al mondo dei cavalli e dell’equitazione, però in generale mi affascinano tutti gli sport, adoro lo sport! Fa stare bene e lo trovo una sorta di mondo parallelo: quando entro in un maneggio sono in un’altra vita, in un certo senso la mia vera vita.
Amo i cavalli, così come il mio sport, sono i miei compagni d’avventura, senza i quali non potrei mai rendere possibili i miei sogni. Lo sport per me è sacrificio, fatica, soddisfazione, ma soprattutto sacrificio.


Chiara Lovato

Petra Cola

Il fatto di essere donna ti ha mai condizionato durante la tua carriera?

Chiara: I due sport che mi hanno cambiato la vita sono sci e motociclismo, in entrambi c’è una netta prevalenza maschile, soprattutto nello sci freestyle/freeride e nei track days in moto in pista.
In certi momenti avevo paura di non trovare amiche con cui condividere le mie passioni, ma il bello degli sport è che unisce le persone, quindi alla fine sono sempre riuscita a farmi nuovi amici e anzi, ho conosciuto persone stupende che mi hanno aiutata a imparare e migliorarmi.

Petra: In realtà non mi ha mai condizionato molto, non è stato mai un limite. Sono cresciuta con molti fratelli maschi e ho sempre giocato con gruppi maschili, ho sempre avuto un carattere forte e ho dimostrato che potevo fare benissimo tutto quello facevano gli uomini; se il limite non esiste per te, non esiste neanche per gli altri.

Federica: Fin da quando ero bambina ho praticato sport insieme agli uomini, facendo gli stessi allenamenti e le stesse gare, per me era normale.
Ho capito negli anni che in realtà era un problema più per gli uomini che per me. Tempo fa, all’inizio della mia carriera come pugile, un ragazzo mi ha rotto il naso durante una sessione di sparring, è stata una mossa abbastanza volontaria, in quel momento mi si è accesa una lampadina, ho capito che ci sono dei cluster delicati che rendono le persone vulnerabili, per molti uomini è il confronto fisico con una donna, ritengono inaccettabile non essere superiori.


Federica Monacelli

Nicole Cereseto

Ci racconti un episodio in cui, durante una delle tue imprese, pensavi di non farcela ma alla fine ci sei riuscita?

Chiara: Amando gli sport più “movimentati” mi è spesso capitato di aver paura: una discesa ripida e tecnica in neve fresca, le prime volte in pista in moto, i primi salti in wakeboard. Col passare degli anni ho capito però che sono proprio quelle le sfide più belle, quei momenti in cui pensi di non farcela e poi ti butti, e la paura si trasforma in adrenalina ed emozione.
La vittoria più bella della mia vita probabilmente sta nell’essere sempre riuscita a coniugare studio/lavoro e sport, sono riuscita a raggiungere un equilibrio tra i due mondi che mi motiva e mi sprona a continuare così.

Petra: In montagna è importante saper rinunciare, saper ascoltare e capire quando è il momento giusto per tornare indietro. Rinunciare non è una cosa negativa, bensì sinonimo di avere testa sulle spalle e una grossa forza interiore. Non è una sconfitta, solo consapevolezza.

Nicole: Di episodi in cui pensavo di non potercela fare ce n’è più di uno, ma racconto quello in cui davvero pensavo di non riuscire più a vivere il mio sport come prima. Sono caduta nel 2019. Si cade, succede a tutti, ma la caduta è stata l’inizio del mio buco nero perché ha coinciso con un periodo davvero difficile per me, in ambito familiare; non avevo più al mio fianco coloro che hanno sempre creduto in me e sostenuto il mio sport, mi sentivo demoralizzata e delusa.
Insomma, per una sciocchezza stavo crollando e distruggendo tutto ciò che avevo costruito in moltissimi anni, poi però, due anni dopo, è arrivato il pezzo mancante del mio puzzle, ossia Corbreka, il cavallo che mi ha subito riportato la fiducia di prima e ai livelli di prima.


Chiara Lovato

Petra Cola

La vittoria più bella della tua carriera?

Federica: Il primo match di pugilato è stata una grande prova per me, ero prontissima fisicamente, ma a livello emotivo stavo entrando nell’occhio di un ciclone. Alla fine della prima ripresa ero distrutta, quel momento è stata la svolta della mia carriera, se non avessi finito quel match, che poi ho vinto, probabilmente non avrei mai più combattuto.

Nicole: Sicuramente i Campionati Regionali 2016. Tra scuola, studio, cinque cavalli da montare, a volte ero davvero stanca, ma ho sempre messo tutta me stessa in ciò che facevo. Avevo praticamente quello che in molti desideravano, facevo tante gare e avevo bei cavalli, e quindi avevo molte persone contro. Eppure mi sono così chiusa nel mio guscio che vedevo solo me, i miei cavalli e i miei allenamenti, il sudore, la fatica, i sacrifici.
Mi ripetevo “ce la posso fare”, anche se avevo mille occhi che mi fissavano augurandomi di andare male, e ce l’ho fatta, grazie a Cuba, quella vittoria è stato il regalo più bello che potessi farmi.


Federica Monacelli

Nicole Cereseto

Sappiamo che ami viaggiare: qual è il tuo posto del cuore, quello che ti emoziona in modo particolare? Cosa significa per te viaggiare?

Chiara: Ho due posti che mi fanno particolarmente emozionare e, sebbene possano sembrare completamente opposti, hanno tante cose in comune: la cima della montagna per lo sci e la pista per le moto. In montagna siamo solo io, gli sci e la neve, in pista siamo solo io, la mia moto e l’asfalto. In quei momenti è tutto in mano a me, decido io cosa fare, quanto andare veloce e quanto spingermi fino al limite, è quella sensazione unica di adrenalina e libertà che accomuna due sport così diversi.

Petra: Ho viaggiato molto spesso da sola, in giro per l’Europa, con la mia numerosa famiglia (siamo in sette) l’ho fatto in van, per vivere la natura, poter ascoltare il luogo e scoprirlo in tutte le sue sfaccettature.
Ho sempre evitato i viaggi più turistici come quelli negli hotel stellati, voglio andare con il van e viaggiare  a braccia aperte, libera. Ad esempio sono stata in Messico da sola un mese, per legare al meglio con la gente del posto. Mostro sui social tutto quello che faccio, e anche se sono una donna posso viaggiare da sola, con tutti i pro e contro del caso, uso i social anche per dare consigli in merito.

Federica: I gusti nel tempo cambiano, negli ultimi anni sono andata spesso a Fuerteventura, dove ho scoperto nuove passioni come il surf, incontrato tante persone… In questo momento sento quell’isola un po’ come una seconda casa, spero che il turismo non la rovini.

Nicole: Mi piace viaggiare, purtroppo però non ho la possibilità di svegliarmi un giorno e dire “domani parto e vado là”. Si ricollega tutto al mio sport: i cavalli sono esseri viventi, devono essere curati, mossi, allenati, non ci si può assentare più giorni o settimane. Anche questo fa parte del sacrificio. Riesco a viaggiare a fine stagione, il viaggio più lungo e lontano che ho fatto è stato in Giappone. Bellissimo, ci tornerei domani e lo rifarei altre mille volte.
Il luogo che più ho nel cuore è Cagnes-Sur-Mer, in Francia, dove nell’ottobre del 2021 ho fatto una gara indimenticabile per me, mi emozionerebbe molto tornarci. Spero di viaggiare sempre di più, per lavoro o per lo sport.


Chiara Lovato

Petra Cola

Qual è il tuo motto?

Petra: La vita è fatica e la montagna ce lo insegna, nessuno ti regala niente.
La vita è una passeggiata fatta di alti e bassi ma una volta arrivati in cima la vista è fantastica.

Federica: Le nostre passioni possiedono una loro propria saggezza: guidano il nostro pensiero e la scelta dei nostri valori, e garantiscono la nostra sopravvivenza.


Federica Monacelli

Nell’immagine in apertura, Chiara Lovato sugli sci

Arte in movimento: Andrea Carrucciu

Italiano con un percorso tutto internazionale, Andrea Carrucciu si forma tra l’Italia e la CODARTS a Rotterdam. Ha ballato per il Ballet Junior de Genève, Svizzera, per poi trasferirsi a Londra per unirsi alla compagnia di fama  internazionale BalletBoyz, eseguendo brani di Iván Pérez, Russell Maliphant, Liam Scarlett, Christopher Wheeldon e Javier de Frutos.





Recentemente ha lavorato con la compagnia Punchdrunk, sempre di Londra, nello show Sleep No More, dove ha interpretato il ruolo principale di Macbeth. Non solo un ballerino, ma anche un performer e coreografo che ha realizzato diversi video per la piattaforma NOWNESS.

Leggings Alessandro Vigilante




Manintown ha fotografato Andrea a Firenze, immerso nella natura del Giardino dei Semplici, all’interno del progetto-mostra Creative by Nature.


Sweater and leggings Alessandro Vigilante




Shirt Mani del Sud, trousers CHB Christian Boaro

Lace shirt and trousers CHB Christian Boaro

Credits:

Talent Andrea Carrucciu
Photographer Davide Musto
Stylist Alfredo Fabrizio
Make-up/grooming Romina Pashollari

In the thumbnail image, knitted sleeves and leggings Alessandro Vigilante, bow tie Mani del Sud

Tre designer da seguire tra i new talent visti a MMU F/W 2022

Uno delle (pochissime) note positive dello scompiglio generato dal Covid nell’organizzazione di saloni, fiere e fashion week, è l’aver concesso una visibilità insperata, se si pensa a un paio d’anni fa, ai volti nuovi della scena italica, che hanno beneficiato dell’assenza di un numero non trascurabile di griffe consolidate (tra defezioni, rinvii, passerelle virtuali, spostamenti da una all’altra delle quattro “Big Four” per ovviare a problemi logistici) per ritagliarsi uno spazio nel calendario ufficiale della Camera Nazionale della Moda Italiana, presentando il proprio lavoro a giornalisti e insider che, in tempi normali, avrebbero dovuto seguire brand più titolati.
Tra le sfilate di Milano Moda Uomo dei giorni scorsi, tre designer in particolare, non degli esordienti assoluti che però, per età anagrafica e dei rispettivi marchi, rientrano pienamente nella categoria new talent, si sono distinti per freschezza ed efficacia delle collezioni Fall/Winter 2022-23, confermando di avere tutte le carte in regola per affermarsi come the next big thing dell’industria.

Federico Cina

Inserito per la prima volta nello schedule stilato da CNMI, Lo stilista sarsinate prende nuovamente ispirazione da un nome eccellente della fotografia, Gabriele Basilico, che nel corso della carriera, al pari di Guidi o Tazzari, ha puntato l’obiettivo su persone e volti della Romagna (ubi consistam della visione creativa di Cina), nello specifico da Dancing in Emilia, fotoreportage sul fenomeno della discoteca come concentrato di nuove abitudini, comportamenti e costumi affioranti nel Paese, commissionatogli dalla rivista Modo nel 1978 ed eseguito dall’autore milanese con piglio quasi antropologico, che rimane una fedele rappresentazione di quel frangente storico.
Il titolo del défilé, Ball’Era 77, è un gioco di parole: si riferisce all’inaugurazione, 45 anni fa, della Ca’ del Liscio di Ravenna, colossale balera dalla capienza paragonabile a quella di uno stadio, una rivoluzione per il nascente settore del divertimento di massa che, come testimonia la macchina fotografica di Basilico, radunava torme di persone in dancing e locali sparpagliati nella Pianura Padana, che affollavano anche gare di ballo, concorsi di bellezza e altri eventi più o meno kitsch, un pot-pourri godereccio, colorato, folcloristico se si vuole, restituito con una virata pop, spensierata rispetto ai canoni della label.
La palette cromatica accoglie dunque nuance squillanti come viola, petrolio, verde carico e punte acidule di giallo; overshirt, felpe, giubbini e gilet, tutti ampi e abbelliti, all’occorrenza, da pattern botanici o grafiche ricalcate su uno scatto di Dancing in Emilia, stilizzato a mo’ di flyer delle serate discotecare che furono, sormontano pantaloni molli q. b. e scarpe voluminose.
Al collo di modelli e modelle foulard svolazzanti oppure sciarponi, stampati, a righe multicolor o monocromi, a riaffermare il penchant del designer per i capi dal sapore handmade, sfaccettati e compositi, esattamente come il soggetto della collezione.



JordanLuca

In trasferta da Londra (città che è stata – e resta – l’humus ideale per la miscela di bellicosità controculturale, da teenager cresciuti nella culla del punk, e sensibilità per il ben fatto di ascendenza sartoriale che alimenta, dal 2018, la creatività del brand) Jordan Bowen e Luca Marchetto reagiscono a modo loro all’instabilità, allo scoramento generale che opprimono il nostro presente.
Il duo stilistico italo-inglese parla esplicitamente di rabbia e fragilità, il tentativo di bilanciare ribellismo metropolitano e spleen adolescenziale innerva effettivamente la collezione F/W 2022-23, risolvendosi in una stratificazione di codici e rimandi che incanala la voglia di superare, una volta per tutte, la stasi estenuante della pandemia, tornando a scatenarsi nei club o a frequentare i circoli underground della capitale britannica, opportunamente agghindati.
Le silhouette sono tese, innaturalmente dilungate, con i polsini che sporgono penzoloni dalle maniche dei capispalla e gli orli dei pantaloni (jeans laceri, leather pants multizip, modelli dai riflessi vinilici) che si trascinano sul pavimento; chiodi di pelle, camicie quadrettate, pull sbrindellati dal mood grunge convivono con blazer costruiti, soprabiti austeri e doppiopetto che sarebbero piaciuti a Duran Duran, Spandau Ballet, Ultravox e altre band new romantic degli anni ‘80, gli spolverini quilted con fur coat, giubbotti, top istoriati di foto che zoomano sui dettagli di splendenti monili, dai colli montanti, i vezzi decadentisti (le rose sono un leitmotiv, intarsiate sul maglione o riprodotte nelle collane, in cui le spine del gambo vengono sostituite da borchie aguzze) con cromie flou come glicine e giallo pallido, in un crossover conforme alla visione frammentaria, ma non per questo priva di suggestività, di JordanLuca.


HyperFocal: 0

Per la foto di backstage, credits Antonello Trio


Magliano

Assistere a una sfilata di Luchino Magliano (autodefinitosi una sorta di dottor Frankenstein che, attraverso un processo di taglia e cuci degli item basilari del guardaroba, stravolge le nozioni comunemente associate al buon gusto) comporta sempre un certo grado di straniamento, dato dalla proliferazione di elementi oggettivamente sbagliati o presunti tali, almeno nella teoria (misure troppo generose o striminzite, linee sgraziate, cuciture irregolari…), e tuttavia funzionali alla ridefinizione, in chiave irriverente e smitizzante, dei parametri del menswear operata dal marchio eponimo.
Non fa eccezione la F/W 2022-23, messa in scena – è il caso di dirlo, il designer bolognese è solito assegnare ruoli precisi agli indossatori, coreografandone pose e movimenti – all’Arci Bellezza di Milano, lì dove Visconti girò i match di pugilato del capolavoro neorealista Rocco e i suoi fratelli; sceneggiato da Michele Rizzo, lo show accantona però il sostrato cupo e brutale che, nel film, è alla base della boxe cui si dedica uno dei fratelli, e il ring diviene così la metafora dell’incontro tra uomini disposti a sfidare le regole auree del vestire e, anche, i preconcetti che gravano tuttora sulla mascolinità.
Un incontro probabilmente amoroso (nella sala troneggia un letto matrimoniale), di sicuro notturno perché i protagonisti sono flâneur abituati a vagabondare by night, meditabondi, malinconici, che si beffano delle prescrizioni da manuale dello stile: portano il cardigan extra size sul suit, giacche tagliate a scatola su t-shirt cortissime, arricciate sulla vita, gli scarponi da trekking sotto gilet con i personaggi dei Looney Tunes, eccedono col layering fino a sovrapporre tre golf, passano dalla grisaglia al completo total pink, dallo smanicato tecnico pieno di tasche alla giacca sfilacciata che fa il verso ai tailleur perfettini di Chanel. Eppure tout se tient, trasmettendo un senso di libertà, di gioiosa anarchia assai ritemprante, considerata la temperie pandemica.



In apertura, backstage della sfilata Magliano F/W 2022-23, ph. © Pavel Golik

Stella Egitto, dalla Sicilia a Roma per amore della recitazione

Stella Egitto, attrice bellissima (anche se non se ne rende conto) è l’incarnazione della sicilianità: messinese di origine, gli studi di recitazione l’hanno portata nella città eterna, di cui ama tutto tranne la carbonara.
La sua vera passione è la drammaturgia, ma ovviamente al grande pubblico è arrivata con i suoi ruoli in serie tv di successo e film indipendenti, sempre scelti con attenzione.
Per il 2022 ha diversi progetti in uscita tra cinema, tv e teatro, quindi bisogna tenerla d’occhio.



Hai un nome bellissimo, c’è dietro un significato particolare?

È il nome della nonna paterna, prima di me erano arrivati due figli maschi e in famiglia si erano ripromessi che, se fosse nata una femmina, l’avrebbero chiamata con il suo nome.
Però anche mia mamma ha voluto metterci del suo, così lei mi ha dato Aurora, in pratica ho due nomi, due passaggi del sole.
Visto così potrebbe sembrare impegnativo, ma credo nei percorsi più che nelle destinazioni.

Vivi a Roma da molti anni, quanto c’è ancora della tua terra d’origine, la Sicilia, in te?

Tantissimo, assolutamente, la Sicilia ti marchia nel Dna, è un terra piena di contraddizioni e, un po’, è questa la sua bellezza: ci sono il mare e la montagna, i paesaggi dolci e quelli forti, con il mio quid di follia credo di comprenderli tutti.
Vivere con una temperatura costante di venti gradi ti fa diventare tendenzialmente espansiva e accogliente, io mi sento così. Semplicemente, non sarei come sono se non fossi nata dove sono nata.


Total look Alessandro Vigilante, heels stylist’s archive

La passione per recitazione, invece, come ti è venuta?

Dal mio innamoramento per la drammaturgia, in realtà al liceo ho avuto la fortuna di avere un insegnante che mi ha fatto incontrare la lettura di testi drammaturgici, ho subito capito quanto mi piacesse. Man mano che leggevo, immaginavo e disegnavo, poi ho capito che la forma più adatta per dar vita a tutto questo era proprio l’azione, quindi la recitazione.

In che modo hai iniziato?

Ho fatto teatro a Messina ed in Sicilia in tutti i modi possibili, a scuola e non solo, una volta diplomata ho deciso che, se ne avessi avuto la possibilità, se insomma avessi avuto la mia buona stella, avrei trasformato questa passione in un mestiere. Così ho fatto il provino alla Silvio d’Amico a Roma e al Piccolo Teatro di Milano, incredibilmente sono andati bene entrambi, al Piccolo non mi sono nemmeno presentata per la seconda fase, la mia scelta era Roma.



E quando hai detto a casa di voler fare l’attrice?

Non ho più mio padre, mia madre mi disse che non voleva che andassi allo sbaraglio ma, se avessi individuato una scuola di formazione che non costasse uno sproposito (non avremmo potuto permettercelo), mi avrebbe permesso di farlo; è stata la mia spalla per tutto il percorso in Accademia.
Sono entrata alla Silvio D’Amico portando un monologo dell’Otello, dove io interpretavo Otello e mia madre Desdemona. È stata una scelta istintiva, senza troppe sovrastrutture, ne sono rimasti folgorati, soprattutto il direttore che era in commissione.
Ora forse sceglierei qualcosa di più comodo e adatto a me, ma l’audacia e l’incoscienza premiano sempre.


Top Giovanni Cavagna, blazer and skirt Marsem, earrings Iosselliani

Sei oggettivamente bellissima, te lo hanno mai fatto pesare?

Credo che sia sicuramente successo, ma non nel teatro, perché l’età scenica è importante e non si va nel dettaglio, cinema e televisione sono decisamente diversi, sono come una lente d’ingrandimento, ed a volte è proprio una questione di equilibri.
Magari, in alcuni cast con attrici molto belle, non c’è stata la possibilità di essere inserita, a parte questo però non credo di essere mai stata penalizzata.



So che hai diversi progetti in uscita, cosa puoi dirci in proposito?

Ho da poco finito di girare un film in uscita nel 2022, davvero ambizioso e in cui credo molto, girato non a caso in Sicilia: interpreto una donna rivoluzionaria nel contesto di quel periodo, perché sceglie l’amore anziché la comodità, e siamo negli anni 50’, insomma era tutto diverso.
Poi ci sarà la seconda stagione di Buongiorno, mamma! dove interpreto Maurizia Scalzi, è stata la mia prima esperienza con la serialità, in un progetto lungo e con un ruolo di grande respiro.
Infine, la ripresa di uno spettacolo teatrale interrotto a causa del Covid, con il quale non abbiamo mai debuttato perché siamo stati sorpresi a metà delle prove; è una fusione di due testi di Shakespeare, diretto da Max Mazzotta, in cui reciterò insieme a Lorenzo Richelmy.



Total look Alessandro Vigilante, heels stylist’s archive

Credits:
Photographer Davide Musto
Producer Sonia Rondini
Photographer assistant Valentina Ciampaglia
Stylist Federica Pennetti, Sara Rhodio
Fashion editor Federica Mele
Hair Federica Recchia @Simone Belli Make up
Make up Asalaya Pazzaglia @Simone Belli Make up
Location Wisdomless Club Roma

In apertura, total look Alessandro Vigilante, earrings and rings Iosselliani

Talentuosi e inclusivi, i 4 designer italiani emergenti da conoscere

Sostenere che il futuro della moda italiana sia nelle mani di giovani di talento, alla guida di marchi dalle riconosciute potenzialità con cui, magari, hanno collezionato premi, articoli e apprezzamenti dei buyer, è persino banale. Ciononostante, le nuove leve del fashion system nostrano non hanno esattamente la strada spianata, stretti come sono tra i venerati maestri, per dirla con Arbasino, del made in Italy e la concorrenza agguerritissima della new wave francese, britannica e americana (si pensi a créateur quali Simon Porte Jacquemus, Marine Serre, Grace Wales Bonner, LaQuan Smith).
Da qualche tempo a questa parte, per fortuna, le cose stanno cambiando, istituzioni e griffe d’alto lignaggio supportano fattivamente la meglio gioventù fashionista: in tal senso, oltre all’azione della Camera Nazionale della Moda, è lodevole l’iniziativa di Valentino che, a partire dalle sfilate donna di febbraio, metterà a disposizione di uno stilista emergente l’account Instagram della maison, così da far arrivare la collezione a un’audience di milioni di utenti.

Abbiamo selezionato quattro designer di cui, con ogni probabilità, sentiremo parlare nei mesi e anni a venire; li accomuna un fattore oggi sempre più importante, il rifiuto di categorizzazioni e distinzioni di genere, lo spirito inclusivo, vicino all’etimologia della parola abito che, ricorda la Treccani, «deriva dal latino habĭtus […] un ‘modo (di essere) che si ha’, una ‘disposizione’ ad agire, a comportarsi in un determinato modo», libero da dogmi e convenzioni retrive, aggiungiamo noi.

Alessandro Vigilante



Per Alessandro Vigilante moda e danza sono un binomio inscindibile, la cornice entro cui ricondurre la tensione tra opposti (stasi vs. movimento, tailoring dalla precisione millimetrica vs. fluidità, vestibilità second skin vs. volumi scostati) che è al cuore della sua idea di prêt-à-porter.
Classe 1982, pugliese, cresciuto col mito di Pina Bausch, vestale del Tanztheater, e delle rivoluzionarie coreografie di Merce Cunningham, dopo l’interruzione della carriera da ballerino professionista e il diploma allo Ied, accumula esperienze presso griffe di assoluto prestigio come Dolce&Gabbana, Gucci, Philosophy di Lorenzo Serafini, finché due anni fa capisce di essere pronto per unire i due poli che, da sempre, orientano la sua creatività in un proprio brand.
Già nella prima collezione, Atto I, le dicotomie di cui sopra si trasferiscono in outfit risoluti, grintosi, giustapponendo abiti scultorei che inguainano il fisico («altamente espressivo ed erotico», secondo lo stilista) e overcoat o blazer rubati al guardaroba di lui, spacchi e fessure per mettere in risalto punti nevralgici (soprattutto schiena e décolleté) e pants con la riga, tessuti “convenzionali” (lana, seta, viscosa…) e lattice vegano.
Sono all’insegna dei contrasti anche la riflessione sul “corpo parlante” di Atto I – Talking Body e i look di Atto II – Body Rebirth, presentati nell’ambito della fashion week meneghina dello scorso settembre con una performance ad hoc, ritmata da movimenti sincopati e luci intermittenti, nei quali i codici dello stile maschile e femminile si incontrano, tra intagli maliziosi, silhouette affilate, audaci scollature e giacche relaxed aperte sul retro; modelli rivolti, dichiara Vigilante, intervistato da Tgcom24, «a persone coraggiose, con un punto di vista preciso, indipendentemente dal sesso», visti infatti su personalità ben consapevoli della propria fisicità come Dua Lipa, Bianca Balti, Damiano David.



Andreādamo



Crotonese, 38enne, dopo la trafila negli uffici stile di varie griffe (Elisabetta Franchi, Roberto Cavalli, Zuhair Murad, Dolce&Gabbana) Andrea Adamo decide di debuttare con la sua linea nel luglio 2020, glorificando una sensualità orgogliosa e assertiva, che elegge a materiale principe la maglia a costine, impiegata in bralette, tank top così sparuti da cingere a malapena il torace, gonne a matita, knit dress e altri pezzi bodycon, che scoprono artatamente l’epidermide mediante fenditure, oblò e cut-out, e paiono incastrarsi gli uni negli altri.
L’obiettivo è chiaro fin dalla collezione d’esordio Spring/Summer 2021, dal titolo programmatico Nudo, a rimarcare il carattere intrinsecamente sensuale di capi che mirano – parola del designer – a una «fusione tra pelle e abito», aderendo sinuosamente al corpo, seguendone le curve, modellandosi su di esse grazie alla confezione seamless, priva cioè di cuciture.
Il termine non deve far pensare a una specifica nuance chiara, perché l’abbigliamento Andreādamo, pensato per combinarsi con incarnati di ogni colore, prevede diverse varianti cromatiche del cosiddetto nude (indicate, a scanso di bias, da semplici cifre, ad esempio 01, 02, 03…), semmai alla «nudità intesa come verità, in un’esaltazione delle forme che supera gli stereotipi», come dichiarato recentemente a MFFashion.
Vale anche per la S/S 2022, che guarda al mito di Andromeda raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, incatenata a uno scoglio e salvata da Perseo, come sintesi ideale di femminilità e fragilità, da rendere attraverso superfici a rete, trasparenze e aperture su body, tute, shorts e abitini, rifiniti con pannelli asimmetrici e lacci attorcigliati su busto e fianchi.
Le celebrities (come Kylie Jenner, Vanessa Kirby, Elodie, Vittoria Ceretti) gradiscono, idem retailer di peso a livello internazionale, per alcuni dei quali (Selfridges, Net-a-Porter, Antonia, LuisaViaRoma) sono state concepite speciali capsule collection, cariche di sex appeal, bien sur.



CHB



Nel marchio CHB, lanciato sul finire del 2020, il direttore artistico Christian Boaro condensa elementi teoricamente inconciliabili, vale a dire la meticolosità di lavorazioni prossime alla couture (retaggio degli anni trascorsi al fianco di mostri sacri del fashion come Donatella Versace, Gianfranco Ferré, Domenico Dolce e Stefano Gabbana) e un’energia di chiara matrice street, la squisitezza di duchesse, satin di seta, merletti, trine e altri filati che potrebbero affollare i tavoli di un atelier e l’immediatezza di felpe logate, cappelli da baseball et similia, la severità del nero e la purezza del bianco, la concisione delle forme, asciutte e lineari, e il preziosismo dei dettagli gioiello. Un equilibrio volutamente labile, considerato da Boaro l’unica via per abbracciare l’unicità e individualità di ciascuno, fine ultimo di un creativo del resto sensibile a determinati temi, affrontati indirettamente già nella mostra The Naked Truth, allestita tre anni fa al PlasMA, centinaia di polaroid per «indagare la persona da un altro punto di vista», raccontava allora ad Artribune, ché «tutte le mie ossessioni sono identificabili con la bellezza, in ogni sua forma».

Una bellezza evidentemente senza pretese universalistiche, opinabile, imperfetta, sfumature che si ritrovano nelle mise della S/S 2022, scattate in riva al mare, al tramonto: colpiscono le maglie sezionate da bande verticali in materiali differenti, i fiori rossi che sbocciano su shirt, canotte e tubini dalla mano serica, la sfilza di camicette, maglie smanicate, slip dress e top XXS di pizzo operato, i capispalla extra long, i lampi acidi che intervallano la bicromia black&white; quasi tutti i modelli sono indossabili dalle donne come dagli uomini, senza distinzioni perché, chiariva lui a i-D Italy qualche mese fa, «il messaggio è, semplicemente, di totale libertà».
Non è un caso che pezzi griffati CHB siano stati indossati, tra gli altri, dai Måneskin, fautori di un approccio libertario al dress code, che abbatte tabù e cliché a colpi di look ultraglam.


Ph. by Raffaele Cerulo


Federico Cina



Un ready-to-wear che ripensi gli archetipi della sartoria maschile (completi, camicie, pullover…) tramato di accenti sognanti e sentimentali, ancorato – non solo metaforicamente – alla Romagna: è questa l’essenza della moda di Federico Cina.
27enne, il percorso accademico lo porta al Polimoda, poi in Giappone, quindi una parentesi milanese e la decisione di tornare alla base, nel Cesenate. Nel 2019 l’etichetta eponima approda ad AltaRoma, vincendo il concorso Who is on Next?; da quel momento è un crescendo, l’anno seguente presenta la proposta S/S alla Digital Fashion Week di Milano (in questi giorni debutterà nel calendario ufficiale) ed è tra i semifinalisti del LVMH Prize 2021. A guidarlo, nella realizzazione di collezioni pervase da delicatezza, intimità e dolce malinconia, le memorie d’infanzia di pranzi domenicali imbanditi su tovaglie ricamate, tralci di vite nelle campagne, giornate sul litorale, e il lirismo visivo dei fotografi che hanno saputo ritrarre in maniera inedita la regione, su tutti Luigi Ghirri e Guido Guidi.

Il legame col territorio si traduce inoltre, concretamente, nella scelta di appoggiarsi a produttori e maestranze locali, recuperandone – per valorizzarle – tecniche artigianali come la stampa a ruggine, con cui matrici in legno intagliato imprimono sui tessuti motivi agresti della tradizione romagnola (grappoli d’uva, animali, anfore…).
Nell’ultima stagione S/S 2022, Infanzia A-mare, i ricordi delle estati nelle colonie della Riviera si confondono con le impressioni suscitate dal libro fotografico Addio colonia, di Luigi Tazzari, prendendo la forma di outfit che profumano di salsedine, ampi e dalle texture materiche, tra capi tricottati, bluse ariose, rigature marinare, comodi pantaloni scivolati, addosso a ragazzi e ragazze, indistintamente, com’è normale che sia per un designer che ha rivelato a MFFashion di aver «sempre disegnato in un’ottica genderless».



Per l’immagine in apertura, credits: Federico Cina F/W 2021, ph. by Gabriele Rosati

Attilio Fontana, Never again Kabarett

Incontro Attilio Fontana, all’ Ellington Club, di venerdì, infatti sta per iniziare le prove per lo spettacolo della sera. Lo abbiamo conosciuto come cantante e Teen Idol negli anni 90’, per poi farsi notare come un attore veramente completo e re dei musical, insomma come ce ne sono pochi in Italia.

Come tutti gli artisti ha sofferto delle chiusure dovute alla pandemia e così adesso ha deciso di buttarsi in questa nuova avventura con uno spettacolo di cabaret a Roma assolutamente da non perdere, formato da sedici artisti, che intrattengono e stupiscono il pubblico a rotazione.



Cosa mi racconti di questa nuova esperienza?

Questa è un esperienza work in progress, nel senso che è uno spettacolo molto particolare. La storia della mia partecipazione a quest’idea nasce forse dal periodo del lockdown, momento in cui ho conosciuto Vera Dragone e l’Ellington club. Avevo la necessità di registrare un disco acustico e così ci siamo incontrati artisticamente. Vera è proprietaria insieme ad Alessandro Casella di un mondo fantastico, in quanto la prima volta che vi ho messo piede mi sembrava di essere in una scena di “C’era una volta in America”.

E com’è nata l’idea dello spettacolo?

È nata la scorsa estate; per due ore Vera mi ha parlato della sua idea dello spettacolo, nata insieme alle altre due interpreti Camilla Nigro e Miriam Gaudio. Voleva mettere insieme una serie di performer ed artisti, cosa che poi ha fatto curandone la regia. Ha creato una sorta di manifesto della libertà artisticа, dopo che siamo stati intrappolati dentro delle gabbie claustrofobiche e lo siamo ancora per certi versi.

Quindi l’idea finale era quella mettere insieme degli artisti, e come degli spettri inquieti poter abitare il palco regalando la nostra arte.

Insieme a noi ci sono anche tanti altri performer come Giuditta Sin.

Canto anche delle cover, che non è una cosa che faccio solitamente, tranne che a “Tale e Quale” ovviamente, ed in più propongo anche dei brani miei.

Siamo una sorta di nave sogno approdata al Pigneto.

Hai sofferto parecchio tu personalmente come artista per le chiusure?

Si, forse perché sono inquieto, e l’inquietudine mi porta a fare questo spettacolo, perché la mia vita è il palcoscenico.

Ci hanno messo: mascherine, distanziamento, plexiglass, sono tutte cose che remano contro l’empatia dal vivo, che è il mio nutrimento, soprattutto per me che in questi ultimi anni ho vissuto di teatro e musica dal vivo che sono le cose che amo di più fare.



A che ora inizia lo spettacolo?

Lo spettacolo inizia alle 21,30 e v avanti fino a mezzanotte, sono due ore piene, insomma una bella tirata, però siamo tanti ed abbiamo una band dal vivo di musicisti che è straordinaria, e la cosa che amo in assoluto nell’esibirmi qui è l’amore per l’arte che abbiamo tutti quanti. Siamo nell’era dei numeri, ecco noi non sopravviviamo per i numeri ma per la passione. Ci stiamo conoscendo e mescolando gradualmente, qui all’Ellington ci sono una serie di alchimie a cui sono sempre affezionato.

Stiamo vivendo un momento privilegiato rispetto a certe zone dell’Europa, come lo vivi questo momento di incertezza?

Voglio rimanere ottimista, anche perché ho combattuto con l’informazione sin dall’inizio, in quanto esercita un pressing davvero importante sulle persone.

Non entro in merito del buono o del cattivo, preferisco rimanere in una terra di mezzo e combatto con la mia positività.

Crediti:

Foto: Massimo Insabato

Location: Ellington Club Roma

Artists: Attilio Fontana con Vera Dragone e Giuditta Sin e con Camilla Nigro e Miriam Gaudio (interpreti dello spettacolo Never Again Kabarett)

Press: Ufficio Stampa Fabi Savona

Asvoff13, il Fashion Film Festival di Diane Pernet alla Casa del Cinema di Roma

Con lo stop agli eventi dal vivo dettato dall’emergenza pandemica del 2020, i fashion film hanno permesso ai marchi di mostrare le collezioni pur nell’impossibilità di organizzare i consueti défilé: da meri sostituti degli show, tuttavia, i cortometraggi (specie nelle mani di professionisti del settore e sperimentatori di rango) si sono rivelati una modalità altra, ugualmente – se non addirittura più – efficace della passerella per comunicare a 360 gradi la visione di un brand. Gli esempi sono molteplici, basti pensare all’immaginoso Le Mythe Dior di Matteo Garrone per la griffe francese, alla miniserie Ouverture Of Something That Never Ended di Gucci, alla monumentale performance Of Grace and Light di Valentino, al teatro delle marionette di Moschino per la Spring/Summer 2021… Decine di video capaci di tenere gli spettatori con gli occhi incollati allo schermo, commissionati da auguste maison come da designer indipendenti, dai potentati del lusso alla Lvmh come da label emergenti armate perlopiù di inventiva.


Diane Pernet, ph. by Ruven Afanador

A credere nelle potenzialità di un medium ora lodato in maniera pressoché unanime era stata, in tempi non sospetti, la fondatrice del festival Asvoff – A Shaded View On Fashion Film Diane Pernet, figura a dir poco poliedrica: immancabilmente vestita di nero dalla testa ai piedi, labbra infuocate, sguardo schermato h24 dagli occhiali da sole Alain Mikli, nata a Washington ma parigina d’adozione, stilista, editor, critica, fotografa, talent scout dal fiuto portentoso, soprattutto pioniera digitale (come la incoronò il Met di New York, nientedimeno) grazie al blog Asvof, aperto nel 2005, agli albori della rivoluzione che, tra social e web 2.0, di lì a breve avrebbe travolto la società, e “sdoppiatosi” tre anni dopo nella rassegna di cui sopra, un métissage unico di moda, stile e bellezza esplorate attraverso il linguaggio cinematografico che, di fatto, ha codificato i tratti fondamentali del genere.



Giunta alla tredicesima edizione, svoltasi all’inizio del mese a Parigi, la kermesse, nomade e cangiante per natura, è approdata nel weekend dal 10 al 12 dicembre alla Casa del Cinema di Roma grazie alla collaborazione con Romaison, progetto che si propone di valorizzare le eccellenze costumistiche delle tante, spesso misconosciute sartorie della città eterna che pure hanno contribuito alla riuscita di capolavori rimasti negli annali. Le sale dell’edificio ottocentesco, immerso nel parco di Villa Borghese, hanno ospitato così un fitto programma di anteprime, talk, incontri di approfondimento e la proiezione degli oltre ottanta short movie in concorso, ça va sans dire.



Ad aprire le danze, nella serata di venerdì, la presentazione del festival cui partecipano Pernet, la curatrice di Romaison Clara Tosi Pamphili e il costumista Carlo Poggioli, presidente dell’Asc (Associazione Scenografi, Costumisti e Arredatori), seguita dall’intervento di Amber Jae Slooten, co-founder e direttrice artistica di The Fabricant, marchio digital only che, nel 2019, fece scalpore (come ricorda, abbastanza divertita, la diretta interessata) per l’outfit iridescente, dalla connotazione couture epperò composto esclusivamente da byte, venduto all’asta per 9.500 dollari; una visionaria insomma, sicuramente tra le persone più adatte per confrontarsi, con Tosi Pamphili e il pubblico presente, sui punti salienti e le probabili evoluzioni di questa dimensione parallela alla moda propriamente intesa, dai contorni ancora piuttosto aleatori ma che, come certificato dall’interesse crescente di brand che creano dipartimenti dedicati al virtuale (ultimo, in ordine di tempo, Balenciaga), potrebbe conoscere prima di quanto non si creda uno sviluppo impetuoso, con abiti indossabili esclusivamente nel metaverso e avatar dal guardaroba griffatissimo seppur intangibile.

Viene quindi proiettato Saint Narcisse di Bruce LaBruce, regista habitué della provocazione col suo cinema liminare, tra indie e pornografia (nonché presidente della giuria di Asvoff 13): già incluso nella selezione delle Giornate degli Autori alla 77esima Mostra di Venezia, il film rilegge il mito di Narciso in chiave queer e compiaciutamente erotica, in un pastiche di tragedia greca, iconografia religiosa, ossessioni contemporanee, sesso spinto, illuminazione e fotografia da b-movie ‘70s.


Saint Narcisse

Sabato è il giornalista e scrittore Carlo Antonelli ad introdurre un’altra pellicola di notevole caratura, Steven Arnold: Heavenly Bodies, documentario diretto da Vishnu Dass in cui la voce d’eccezione di Anjelica Huston racconta, attraverso testimonianze e footage inediti, la fulminante parabola dell’artista californiano, stroncata a soli 51 anni dall’Aids; talento multidisciplinare, animatore della scena off losangelina negli anni ‘70 e ‘80, pupillo di Salvador Dalí che lo elesse “principe” della sua leggendaria cerchia di accoliti e muse ispiratrici, ha saputo cogliere con straordinaria incisività, e decisamente in anticipo sui tempi, il tema della fluidità di genere, componendo articolati tableau vivant i cui protagonisti erano, a seconda dei casi, adoni dalla fisicità prorompente, figure mistiche contornate da nugoli di simboli, esseri androgini sospesi in paesaggi a metà tra il surreale e l’onirico.


Steven Arnold: Heavenly Bodies

Nella giornata conclusiva, invece, si lascia spazio alla moda in senso stretto, che d’altronde è l’asse portante del festival: vengono trasmessi Cotton For My Shroud, opera di denuncia delle pratiche di sfruttamento purtroppo ancora presenti nell’industria cotoniera; Valentino Des Ateliers: Vita di Sarti e di Pittori (vincitore nella sezione Documentaries), raccolta di storie e impressioni emerse nel dialogo tra l’autore del corto Maurizio Cilli e Gianluigi Ricuperati, saggista chiamato a selezionare 17 artisti per l’iniziativa che ha unito l’opus magistrale dell’atelier, massima espressione della sartorialità intrinseca alla griffe romana, alla loro pittura, sfociata a luglio nella magnifica sfilata Valentino Haute Couture F/W 2021/22 alle Gaggiandre dell’Arsenale di Venezia, con i dipinti commissionati dal brand resi parte integrante delle mise drammatiche, da mille e una notte firmate da Pierpaolo Piccioli; A Folk Horror Tale, film di presentazione dell’ultima collezione Artisanal di Maison Margiela, in cui il making of dei capi si intreccia a una mise en scène fiabesca dai colori “impossibili”.



I cortometraggi sono, ovviamente, il cuore pulsante degli appuntamenti tenutisi nelle sale Deluxe e Volonté della Casa del Cinema; organizzati in gruppi tematici, tracciano un panorama variegato di narrazioni visive nel quale la coreografia danzata di Dance Party (che ottiene l’award per la categoria Fashion Moves, curata da Alex Murray-Leslie) cede il passo alle silhouette fluttuanti digitalizzate di Komantha, premiato nella rassegna Digital Fashion: The Fabricant, oppure alle rappresentazioni delle idee di autenticità, quotidianità e altri concetti basilari ad opera dei creativi di colore di Black Spectrum, a cura di Melissa Alibo. Una mole consistente di progetti, che lascia intuire come la moda potrà anche riprendere il solito bailamme di lanci, happening e show faraonici, ma i fashion film sono qui per restare.


Dimension by Ebeneza Blanche

Immagine in apertura: Transmotion by Ryan McDaniels

Ludovica Nasti, l’ex amica geniale ora si divide tra film d’autore e serie

Nonostante abbia compiuto da poco 15 anni, la filmografia di Ludovica Nasti è densa di produzioni di notevole spessore, a cominciare naturalmente da quella che nel 2018 l’ha lanciata, appena undicenne, nel firmamento delle nuove stelle della recitazione italiana, L’amica geniale. Sono poi venute altre serie e pellicole, dalla storica soap Rai Un posto al sole al dramma Rosa pietra stella, per continuare con Mondocane, cupo sci-fi dal sottotesto ambientalista, e la seconda stagione di Romulus. Proprio dagli ultimi due titoli è partita la nostra chiacchierata con Ludovica, che ha toccato temi diversi, dai ruoli che le hanno dato di più alla voglia di «mettersi in gioco, di sperimentare», all’auspicio di lavorare con giovani autori talentuosi della sua generazione, che lei crede saprà «dimostrare di sapersi impegnare per il suo futuro, anche nel cinema».



Puoi parlarci di Mondocane Romulus 2, i tuoi lavori più recenti?

Per quanto riguarda Mondocane, presentato in concorso alla Settimana della Critica durante la Mostra del Cinema di Venezia, sono una dei protagonisti insieme ad Alessandro Borghi, Barbara Ronchi e altri giovani attori, è uscito nelle sale e presto – speriamo – su una piattaforma streaming; un bellissimo progetto, con una sceneggiatura di livello.
Sul set di Romulus ho affiancato invece Andrea Arcangeli, Valentina Bellè, Francesco Di Napoli e Marianna Fontana, è ambientato prima della nascita di Roma e si parlava perciò una lingua arcaica, il protolatino. Mi sono ritrovata catapultata in un’altra epoca, con costumi ad hoc e tutto il resto; una nuova sfida, ho cercato di affrontarla al meglio, mi piace mettermi in gioco nei vari contesti, in questo caso c’erano numerose scene d’azione, duelli, momenti emotivi intensi, un’esperienza senz’altro impegnativa ma assolutamente positiva.

A proposito di Mondocane, com’è stato recitare con Alessandro Borghi? Ci sono attori, tra quelli che hai trovato finora sul set, che ti abbiano particolarmente impressionato?

Condividere la scena con Borghi è stato un piacere e un onore, Alessandro prima ancora di essere un attore fenomenale è una bella persona, genuina, simpatica, con me è stato molto carino e si è subito instaurato un rapporto di amicizia, non lo ringrazierò mai abbastanza, mi ha trasmesso davvero tanto, anche a livello umano.
In generale sono del parere che tutti gli attori con cui si lavora ci lascino un’emozione, un qualcosa che ci si porterà dietro come un bagaglio, vale per ogni persona incontrata sul set.

Hai iniziato a recitare quasi per caso, superando un provino per Lila de L’amica geniale tra migliaia di coetanee, ora però hai una certa dimestichezza con il settore, quali pensi siano i lati migliori e quali, invece, i meno positivi di questa professione?

Al momento trovo ci siano quasi esclusivamente elementi positivi, uno svantaggio potrebbe essere rappresentato, forse, dalla quantità e dal tipo di impegno richiesti, sono necessarie dedizione, pazienza e testa, soprattutto alla mia età, in cui bisogna conciliare la recitazione con la scuola; per qualcuno magari può rappresentare un peso, nel mio caso non lo è anzi, mi diverto moltissimo e lo vivo con passione, energia ed entusiasmo.
Un altro difetto, se così possiamo chiamarlo, è la possibilità che una carriera del genere possa rendere una persona troppo sicura di sé, spero di non dover mai fare i conti con questa eventualità, penso sia fondamentale rimanere umili, con la testa sulla spalle.


Embroidered dress | Antonio Marras

Laminated sandals | Salvatore Ferragamo, Mirrored dress | Antonio Riva 


Il tuo idolo e massima ispirazione è Sophia Loren, una leggenda vivente del cinema tricolore, hai altre figure di riferimento oltre a lei?

Adoro Sophia Loren perché credo incarni il grande cinema italiano (e non solo), tra gli altri modelli cito Millie Bobby Brown, Jennifer Aniston, Serena Rossi, ce ne sono tanti comunque, anche perché vedo un sacco di serie e film.

Hai esordito giovanissima ne L’amica geniale, serie evento coprodotta da Hbo e Rai, basata sulla tetralogia letteraria di Elena Ferrante e che, grazie alla fama dei romanzi, ha avuto una risonanza globale. Sono passati tre anni, come valuti a posteriori quest’esperienza?

L’amica geniale mi ha fatto scoprire questo mondo, dandomi l’opportunità di entrare a farne parte e poi di appassionarmene, fino ad amarlo. Sono felice per tutti i bei momenti vissuti, Lila è cresciuta e io con lei, non smetterò mai di essere grata al suo personaggio, mi è entrato sottopelle e continuo a portarmelo dietro. È stato un capitolo della mia vita magnifico, cui sono e sarò sempre legata.

Ci sono ruoli o generi in cui ti piacerebbe cimentarti? Per quanto riguarda i registi, invece, con chi sogni di collaborare?

Non saprei indicare ruoli o generi specifici, vorrei mettermi alla prova con tutto, dai film drammatici a quelli comici agli action, sperimentare insomma il più possibile per capire se determinate parti facciano o meno per me.
Credo che oggi in Italia ci siano tanti registi eccezionali, Martone, Sorrentino, Garrone, Rovere (con cui ho lavorato per Romulus), lo stesso Alessandro Celli di Mondocane, che era stato incluso nella selezione dei titoli italiani da candidare all’Oscar. Mi piacerebbe scoprire autori esordienti di talento con cui fare nuove esperienze, in questo senso più giovani ci sono meglio è, così la nostra generazione potrà dimostrare di sapersi impegnare per il suo futuro, anche nel cinema.




C’è qualche pellicola o serie che ti ha segnato, cui magari sei più legata?

Ci sono talmente tanti film che non saprei scegliere, tra le serie invece Stranger Things.

Frequenti il liceo linguistico, al di là di scuola e recitazione cosa ti piace fare?

Mi piace leggere, per il resto gioco a calcio, faccio un po’ di palestra e mi dedico ai miei nipotini e in generale alla mia famiglia, sono ciò che di più caro ho al mondo e adoro passare del tempo con loro. Fondamentalmente, comunque, quando non sono sul set studio, a volte persino lì.

Tua mamma ha una boutique e l’hai ringraziata perché «è un’ottima stylist», mi chiedevo quale sia il tuo rapporto con la moda, si tratti di red carpet e altre occasioni ufficiali o di vita quotidiana

Penso che la moda sia basilare anche nella quotidianità, in ogni contesto si alternano ormai abiti casual e capi più classici, io sono la prima a farlo, ritengo di non essere né troppo sportiva né eccessivamente elegante. Cerco un equilibrio tra questi due poli, la mamma per fortuna mi capisce al volo, consigliandomi sugli outfit più adatti, che riflettano anche il mio carattere. La moda è presente in ogni nostro passo e, nel mio caso, rappresenta un ambito nuovo e affascinante, nel quale immergersi pian piano sempre di più.

Hai delle novità, lavorativamente parlando, di cui puoi anticiparci qualcosa? Come e dove ti vedi tra dieci anni?

Dovrei iniziare a girare a breve, non posso ancora svelare nulla del progetto. Il cinema è il mio presente, per il futuro non so, vedrò dove mi porteranno cuore e testa, un passo dopo l’altro, al momento mi godo questo percorso recitativo, che mi rende felice.

Photography by Davide Musto 

Production & Styling by Alessia Caliendo 

Creative Direction Filippo Solinas @One Shot Agency 

Hair Kemon 

Make up Eleonora Juglair using Armani Beauty Luminous Silk Primer 

Location Stazione Milano Centrale 

Photographer’s assistants Dario Tucci and Riccardo Albanese 

Stylist’s assistants Andrea Seghesio and Laura Ronga

Cover Look: Total look | Balenciaga  @ Nida Caserta

Special thanks to Bowls and more 

Madior Fall, quando uno “Zero” ti cambia la vita


Madior, classe 1999 nato a Parigi e cresciuto a Milano, afro italiano con sangue senegalese, grazie alla sua fisicità di 1,85 ben presto ha iniziato a fare il modello lavorando per i più grandi brand del lusso, ma il suo sogno fin da bambino è sempre stato quello di fare l’attore.

L’occasione è arrivata, ed anche bella importante, ovvero il ruolo di Inno nella serie TV targata Netflix “Zero”.

Colpisce la sua estrema educazione e pacatezza, che non sempre ti aspetti da un ragazzo così giovane, dice di essere stato molto timido da bambino ed infatti proprio il lavoro dell’attore lo abbia aiutato ad essere più sel-confident.



Quando hai capito di voler fare l’attore?

In realtà fin da piccolo, solo che non mi è mai capitata l’occasione di poterlo fare, in quanto la mia vita mi aveva portato in altre direzioni sia a livello di studio che per la mia passione per lo sport.

Poi quasi per caso o per incidente mi è capitata l’occasione per il casting di Zero, ed eccomi qui con il mio sogno da portare avanti.

Zero, la prima serie TV italiana con un cast total black, che esperienza è stata?

Posso dire che è stata un’esperienza nell’esperienza, abbiamo tutti percepito come un senso di responsabilità, proprio perché è una prima volta, e speriamo di tantissime altre.

Anche perché siamo una realtà che esiste davvero, quella degli italiani neri, tutto questo ci ha spinto a lavorare meglio e a fare più squadra per supportarci l’un l’altro.

Non è stata solo una serie televisiva, ma una vera e propria rivoluzione nel cinema.



Faresti anche televisione?

Non escludo nulla nella mia vita, perché come è successo per la recitazione, se capiterà l’occasione io sarò pronto ad accoglierla, non sono davvero uno che si tira indietro.

Ora però rimango con i piedi per terra, nella speranza di poter continuare a fare l’attore, e se ci sarà una seconda stagione, che tutti noi speriamo vivamente, lo vedremo solo prossimamente se si avvera. Ma sarò l’ultimo a saperlo.

Dimmi il tuo pensiero sulla “N world” che soprattutto quando in televisione viene utilizzata scatena dei veri e propri putiferi.

Ovviamente non si può dimenticare il fatto che questa parola venisse utilizzata per denigrare le persone con la pelle scura e soprattutto nel contesto della schiavitù aveva un peso molto rilevante.

Non è tanto la parola in sé, ma la sua storia, e ad oggi soprattutto il contesto cui viene utilizzata. Con i miei amici scherzando ci possiamo anche chiamare così, sicuramente la televisione non è il posto giusto per farlo. Viene vista da milioni di persone, e non tutti possono percepire il significato vero.



Per Venezia 78’ hai fatto due red carpet in pochi giorni, come li hai vissuti.

Forse perché provengo dalla moda, e poi anche un po’ perché sono tranquillo di carattere, posso solo dire che mi son divertito tantissimo, ero timidissimo da piccolo, poi lavorando con la mia immagine devo riconoscere che l’ho superata.


Photography by Davide Musto

Styling by Rosamaria Coniglio

Grooming Claudio Furini

Photographer Assistants Dario Tucci and Riccardo Albanese 

Haroun Fall and Madior Fall wear John Richmond

Jozef Gjura, si è conquistato Roma dal primo giorno, ed ora il cinema ha il volto che gli mancava

Jozef Gjura, lo troviamo al cinema con “Ancora più bello”, sequel del fortunato “Sul più bello”, avrebbe dovuto studiare medicina, ma poi ha pensato di dare un dispiacere a casa dicendo di voler fare l’attore. Ora ovviamente ne sono tutti felici visto il momento d’oro della sua giovane carriera. Unico nella sua fisicità, molto alto, e comicità innata, determinato al punto di candirsi come consigliere qualche anno fa nella sua Vercelli per far valere i diritti dei giovani.

Per ora rimane incantato dalla città eterna ove si è trasferito da poco ma ne è già entusiasta.

Sei albanese piemontese, raccontami la tua storia.

Albanese di nascita e piemontese di adozione, avevo sei anni quando sono arrivato nella magica Vercelli, dove ho compiuto tutto il mio percorso di studi.

Posso dire che i miei ricordi d’infanzia sono legati al mio paese d’origine però poi ho iniziato subito a pensare in italiano. Sicuramente ho due lingue madri, non saprei quale mettere al primo posto.


Gilet | Simon Cracker
Shirt and pants | Angelos Frentzos

Come ti sei avvicinato al cinema?

Verso i diciotto anni ho sperimentato il teatro nella mia città, Vercelli e da subito ho capito che volevo fare di più, nel frattempo avevo iniziato a lavorare come modello a Milano, forse il caso non esiste ma le coincidenze sono belle. Ho trovato un volantino per terra per una scuola di recitazione, e ovviamente mi son andato ad iscrivere.

Da quel momento mi sono assolutamente innamorato dell’arte del teatro, anche se son sempre stato intimorito anche solo nel dirlo a casa, forse per una forma di pudore per qualcosa di quasi irraggiungibile.

Come l’hanno presa a casa la tua idea di intraprendere questa carriera artistica?

Essendo figlio unico e di immigrati, ovviamente dopo tanti sacrifici, i miei volevano che mi laureassi e in effetti volevo fare medicina, ed avrei realizzato il loro sogno, poi ho trovato la forza di comunicare la mia scelta a loro.

Il mio primo tentativo per studiare seriamente recitazione è stato per il piccolo di Milano, non andò bene e dopo esserci rimasto male ho aspettato un po’, fino a quando mi hanno prospettato l’idea del “Teatro Stabile di Torino”, e quella è stata la mia scuola, il mio primo “sì” importante che mi ha fatto piangere di gioia.

Quanto sei alto?

Con certezza posso dire che non lo so, in quanto la prima volta che sono entrato in un’agenzia di moda ho detto che ero alto 1,90 e mi hanno subito detto che non andava bene che era troppo e che avrebbero segnato 1,87.

Poi quando sono andato nella seconda mi hanno detto 1,86, insomma so di essere alto ma non dico più quanto.


Total look | Angelos Frentzos

Ti sei appena trasferito a Roma, che ne pensi?

Mi son trasferito il 28 agosto, ho trovato la mia casetta a San Pietro e sono entusiasta di questa scelta, vediamo quanto dura, ma presumo un bel po’, c’è un ritmo diverso dalle altre città in cui ho vissuto, però mi è piaciuta dal primo momento.

Non mi manca il correre anche se sei in anticipo come a Milano.

Vedo che al red carpet di Venezia ci sei abituato, cosa provi quando sei li?

Mi piace, mi diverte, ma lo vivo come una specie di girone infernale dove tutti urlano il tuo nome, sono tranquillo per natura, però mi sento più a mio agio sul set.

Avendo fatto anche il modello, diciamo che me la cavo, ma quando sento il rumore della pioggia dei flash, non capisco più nulla è più forte di me.


Suit | Angelos Frentzos

Sei al cinema con “Ancora più bello” sequel di “Sul più bello” dove interpreti un ragazzo gay, come ti sei avvicinato al personaggio?

Jacopo l’ho adorato sin da subito, inizialmente doveva essere un personaggio di contorno, senza una vera storia parallela alla protagonista, poi si è evoluto in corso d’opera, con la particolarità che contraddistingue la nostra epoca, il gender fluid.

Infatti, con la mia amica nel film che interpreta una ragazza lesbica cerchiamo di avere un figlio nel primo. Nel sequel, invece, si butta a capofitto nella ricerca di un compagno per poter vivere una storia d’amore, solo che lo fa attraverso le app di dating, e ne rimane molto deluso.

La cosa interessante è che la comicità di Jacopo mi è stata costruita addosso, sfruttando la mia, in quanto il regista mi conosceva già, quindi è stato tutto più semplice.


Photography by Davide Musto 

Styling by Rosamaria Coniglio 

Grooming Anna Gioia Catone – Make Beauty Management 

Photographer Assistants Edoardo Russi and Valentina Ciampaglia 

Styling Assistant Federica Pennetti 

special thanks Rocco Panetta | Ganesh Poggi Madarena 

Cover look: Shirt |Alessandro Gherardi Knit dress|Simon Cracker Pants|MRZ

Simone Baldasseroni, alias Biondo, nel suo futuro c’è il cinema

Simone Baldasseroni, che tutti abbiamo imparato a conoscere con il nick di Biondo che lo ha reso celebre nel mondo della musica, ora ha cambiato le sue prospettive, infatti il sacro fuoco della passione si muove per il cinema.

Determinato e con obbiettivi da raggiungere che lo contraddstinguono, lo vedremo presto debuttare su RAI1 come protagonista in “crazy for football” al fianco di Sergio Castellitto, film appena presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Come è andata la presentazione di “Crazy for football” alla Festa del Cinema di Roma”.

Nonostante io abbia già fatto diverse cose tra Amici e Festival di Sanremo, quest’esperienza per me è stata completamente nuova ed elettrizzante, ogni singolo momento è stato incredibile, dalla conferenza stampa che ho fatto la mattina, al red carpet, arrivando alla proiezione del film che è stato emozionante per tutto il cast.

Quando sei in sala ed ascolti sei lunghi minuti di applausi del pubblico, capisci che tutto quello che hai fatto e per cui hai lavorato per tanti mesi è arrivato a tutti.



Sei giovane ma magari ci sei abituato, che cosa provi quando cammini sul red carpet.

In realtà è un po’ una novità anche per me, perché è un contesto completamente e diverso da quello a cui sono abituato, sapere di avere una proiezione con un mio film dopo forse è stata l’emozione più grande. Il cuore mi batteva talmente forte che pensavo potesse scoppiarmi da un momento all’altro.

La tua prima passione è stata la musica, quando è arrivata quella per la recitazione?

Sin da piccolo ero iscritto ad un corso di recitazione con Rolando Ravello ed avevo anche iniziato a fare qualche provino, ma in quel momento il mio vero focus era la musica, quindi ho tralasciato tutto vedendo i primi risultati dall’altra parte.

Poi nel 2019 mi viene proposto un cortometraggio come protagonista e non ci ho pensato su due volte e l’ho fatto, ed il risultato è stato che ho capito di sentirmi a mio agio come poche volte trovandomi sul set.

Dopodiché proprio Rolando mi propose un film “E’ per il tuo bene” con un super cast, da Gianmarco Giallini a Vincenzo Salemme, io il provino l’ho fatto assolutamente senza aspettative, ed invece l’ho vinto. Ero incredulo.

Ed in quell’occasione ho risentito il vero fuoco della passione che sentivo essersi affievolito con la musica.

Che cosa vedi nel tuo prossimo futuro: cinema o musica?

In questo momento sicuramente il cinema, perché mi fa star meglio in questo momento, ciò non implica che io lascerò la musica, anzi, ho anche un disco in uscita ed ho anche tanti fan che non vedono l’ora di poterlo ascoltare, quindi di certo non lo lascerò in stand-by.

Posso dirti che sto frequentando un’accademia, quindi mi applico e voglio essere forte sapendo di potermi migliorare.



Sei tornato a vivere nella tua città: la capitale.

E si, dopo quattro anni trascorsi a Milano ora son tornato a Roma anche perché avevo da girare per diversi mesi “Crazy for football” e poi tanto il cinema è tutto qui, sarebbe inutile restare su.

Che cosa ti diverte di più nella vita? Musica e cinema a parte.

Ma, io son fatto così, sono una persona estremamente curiosa, e quando vado in fissa per qualcosa mi ci butto a capofitto per mesi, poi trovo un altro interesse che mi stuzzica e cado in fissa per qualcos’altro, ecco come mi diverto.

Invece la cosa che ti fa più incazzare qual è?

Sicuramente le persone senza ambizione o senza voglia di far niente, a volte bisogna anche saper azzardare, magari pensare di diventare presidente degli Stati Uniti, ma senza un motivo per cui alzarsi la mattina non lo concepisco davvero.


Photography by Davide Musto 

Styling by Francesco Mautone 

Photography assistants Valentina Ciampaglia and Edoardo Russi 

Styling assistant Federica Pennetti 

Make up and hair Marialivia Igliozzi – Making Beauty Management

Cover look: Total look | Philipp Plein

Jenny De Nucci, non chiamatela biondina, perché lei si prenderà il mondo

Jenny De Nucci, giovanissima intraprendente attrice ed influencer che vanta ben 1,3M su Instagram, dove è seguitissima, e come potrebbe non essere così, le doti le ha tutte con un’energia spiazzante da far invidia a chiunque.

Ha esordito nel cast di diverse fiction Rai , ma il suo sogno oggi si è avverato, infatti la possiamo apprezzarla al cinema in “Ancora più bello” al fianco di Ludovica Francesconi e Giancarlo Commare.

Alla settantottesima mostra d’arte cinematografica di Venezia i fotografi erano tutti per lei, la sua vera passione, scattare foto con la sua macchina fotografica con rullino “old style”.


Total look | 2 Moncler 1952 Woman 
Fedora hat | Borsalino 
Mono earring | Sharra Pagano 

Nonostante tu non sia nuova al red carpet, al Festival di Venezia eri agitatissima, come mai?

Per me è sempre un’occasione di estrema ansia, anche perché magari non tutti conoscono le dinamiche del Festival ed io lo scorso anno sono rimasta traumatizzata.

Praticamente arrivai per un evento pomeridiano facendo lo sbarco al Excelsior vestita come qualsiasi ragazza di diciannove anni, e devo dire che le critiche non sono mancate. Forse la gente pensa che una volta che arrivi li devi essere per forza in abito da sera, ma in realtà non funziona così.

Poi ho paura di cadere, e una cosa è certa: io i Meme dedicati a me su Twitter non li voglio!

E quando sfili cosa pensi in quei momenti?

Ecco questo è davvero inspiegabile, perché è un po’ come se entrassi in una nuvola quando attraverso il tappeto rosso, e le voci vengono come ovattate, presumo che dicano il mio nome i fotografi ed io sorrido. Pressappoco è questo che accade.


Total look | Gianluca Saitto 
Chandelier earrings | Sharra Pagano

Come scegli l’abito per un’occasione così importante come la mostra d’arte cinematografica.

Di base io mi affido ciecamente al mio ufficio stampa Andreas Mercante, ed insieme scegliamo le cose che non siano state troppo viste e soprattutto che vadano a valorizzare dei punti del mio corpo che non vestendomi sempre super elegante, a volte non sottolineo.

Mi diverte tantissimo vedermi in vesti diverse per queste occasioni.

La tua prima volta al cinema, con “Ancora più bello” che mi dici a proposito.

In realtà sul grande schermo mi ci ero già vista a Venezia nel 2019 con “Happy Birthday” un cortometraggio che poi ha fatto un percorso bellissimo e ancora di recente è stato esposto al museo del cinema.

Quindi in un certo senso questa cosa l’avevo già smarcata, però devo ammettere che durante la prima in sala a Roma è stato un po’ come se non avessi la percezione e che non sapessi che cosa stesse accadendo, in quanto avevo tutti i miei amici con me ed è stato come realizzare il sogno comune.



Possiamo dire che sei un vulcano di energie e fai tantissime cose, cosa sognavi fare da piccola, cioè qualche anno fa.

Ho avuto diverse fasi e cambiamenti di idee, all’inizio volevo fare la filosofa, poi volevo fare l’hostess di volo, e poi la ballerina, in quanto ho sempre studiato danza e fino al 2015 ero ferma su quest’idea.

Poi ho avuto un anno intero di tonsillite che non se ne andava via e non riuscivano nemmeno ad operarmi, quando poi finalmente le ho tolte, avevo perso peso e non mi sentivo di tornare a lezione, ma nel frattempo avevo scoperto il corso di teatro, che anche se all’inizio era un chiodo schiaccia chiodo, alla fine è diventato tutto per me.

So che sei molto brava a fregartene dei messaggi degli haters, cosa ne pensi del fatto che Loretta Goggi per il disappunto della critica abbia abbandonato?

Partendo dal fatto che lei è una Dea vivente per me, però posso capire che arriva da una generazione diversa, e quando magari la gente faceva dei commenti brutti, li faceva davanti alla televisione e non lo sapeva nessuno.

Ora è diverso è tutto molto più brutale, il tweet è immediato.


 Totallook | Gianluca Saitto 
Chandelier earrings | Sharra Pagano

Che tipo di responsabilità senti nei confronti di chi ti segue?

Diciamo che crescendo ho capito molte più cose, e anche se ho una fetta di pubblico vasta, non faccio cavolate, ma questo a prescindere. I figli vanno educati a casa, non siamo noi ragazzi con un tot di follower a fare un tot di lavori ad insegnare nulla a nessuno, sarebbe troppo comodo altrimenti.

Mi piacerebbe elargire grandi insegnamenti, ma ho solo ventun anni, come potrei farlo?



Photography by Vincenzo Valente 

Production & Styling by Alessia Caliendo 

Hair Kemon 

Make up Claudia Ferri 

Location Industrie Fluviali Roma 

Special thanks to Romeow cat bistrot 

Stylist’s assistants Andrea Seghesio and Laura Ronga 

COVER: Oversize shirt | Antonio Marras Patent trousers | Red Valentino Polka dot boots | Casadei Mini bag | Fragiacomo

Luca Pantini, quando non lo trovate sul set andate a cercarlo su qualche spiaggia sperduta a fare surf

Luca Pantini, romano, ex modello, ha anche fatto parte del concorso Mr. Italia tanti anni fa, ora si gode il suo momento di assoluto successo, soprattutto grazie al suo incontro con Ferzan Ozpetek che ne ha cambiato il destino.

Lo abbiamo conosciuto nel film “La dea fortuna”, poi in svariati spot pubblicitari tra cui quello per le feste natalizie di Unicredit, ed ora lo vedremo presto a teatro con “Mine Vaganti”, tournée che era stata interrotta a causa pandemia. Ma tutti noi lo attendiamo con la nuova serie TV per Disney Plus de “Le fate ignoranti” tratta dall’omonimo film e sempre per la regia di Ferzan. Quando non lo vedete sul set, potete cercarlo su qualche spiaggia sperduta a fare surf, la sua vera passione.



A che punto della tua vita hai deciso di fare l’attore?

Non saprei dire se vi è stato un momento preciso, ho iniziato la mia carriera come modello a soli diciassette anni e nel frattempo ho sempre continuato a studiare recitazione, quello che io chiamo il momento di svolta, è successo cinque anni fa quando per uno spot pubblicitario di Trenitalia sono stato scelto da Ferzan che ne avrebbe diretto la regia.

Cosa è successo dopo lo spot?

E beh è successo che son stato scelto prima per “La Dea Fortuna” il film, dopodiché per lo spettacolo teatrale “Mine Vaganti”, con cui torneremo a breve in scena a dicembre, che è la trasposizione teatrale del celebre film, poi ancora il meraviglioso spot per Unicredit per le feste di Natale, ed ora le serie TV per Disney Plus delle “Fate Ignoranti”, che ha festeggiato i suoi vent’anni dall’uscita in sala.

Senti il peso di essere riconfermato per tanti progetti da Ozpetek?

Assolutamente sì, perché mi rendo conto che il mio cammino professionale è stato di tipo esponenziale, non ho avuto una crescita graduale, quindi il bello viene ora cercando di rimanere al punto in cui mi trovo adesso.



Secondo te perché tutti gli attori vogliono lavorare con Ferzan?

Credo che sia la sua visione dei personaggi che lo differenzia da qualsiasi altro regista, la sua sensibilità nel capire il ruolo giusto per ognuno di noi.

A lui basta guardare una persona per capire quale ruolo sarà, è una dote sicuramente innata la sua, e non sbaglia mai.

E la conferma sono anche i suoi brani che sceglie come colonna sonora dei suoi film, diventano sempre dei successi ascoltatissimi, come recentemente per Diodato.

Invece ora parliamo di teatro, avevi già avuto esperienze prima di “Mine Vaganti”.

È stata la prima esperienza in assoluto, quindi il mio livello di paura è stato folle, sai quando fai la recita da bambino pensi che il teatro sia quello, però poi quando ti ritrovi a debuttare nei più grandi teatri d’Italia, nel momento in cui si apre il sipario ci sono quei tre secondi di vuoto totale, e ti dici: o parlo, o parlo.

Anche perché davanti a te hai tantissime persone che hanno pagato un biglietto per vedere quello spettacolo e non è come al cinema che hai la possibilità di un secondo take, sul palcoscenico è buona la prima e poi senno solo brutte figure.



Come mai la serie “Le fate ignoranti” dopo vent’anni?

Credo che forse ci stesse pensando da molto tempo, ha approfondito quell’italianità e sensibilità che lo ha affascinato al punto di scegliere Roma come sua residenza e che tanto gli ha portato fortuna rendendolo celebre in tutto il mondo.

Ci saranno tanti elementi che sono cambiati, però si rivede sempre il film in una nuova prospettiva. E forse ci sarà anche una seconda stagione, chissà.


Photography by Pier Nicola Bruno

Styling by Irene Lombardini & Miriam De Nicolò

Styling assistant Nicolas Marcantonio

Grooming Fabio Cicerale

Photographer assistant Riccardo Ruffolo

In partnership with NES Nito Electric Scooter www.nitobikes.com

Thanks to CNL 1969 

Cover look: Shirt | Fred Perry T-shirt | Tagliatore Pants | Kiton Sunglasses | Italia Independent

Francesco Martino, schivo e introverso, ma la sua casa è il set

Francesco Martino, dopo aver trascorso gli ultimi anni prima della pandemia avanti e indietro con gli Stati Uniti, ora sente di star bene qui in Italia, dove ha appena terminato le riprese di “A casa tutti bene” la serie TV sempre per la regia di Gabriele Muccino.

Dopo essere stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo potremo vedere su SKY da dicembre.

Come è avvenuto il tuo incontro con Muccino?

In realtà ero stato chiamato per un provino per un altro ruolo, però non ero giusto per quel personaggio, il mio essere appassionato alla scrittura di Gabriele mi ha portato a fare quattro provini, e nell’ultimo eravamo io Sveva Mariani che è l’attrice protagonista e Muccino, posso solo dire che si è creato un fantastico feeling, ed il progetto è andato in porto.



Dove è stata girata la serie?

La vicenda ruota intorno a questa grande famiglia che possiede un ristorante, ed abbiamo girato per la gran parte del tempo a Roma, ed il resto in una villa da sogno sul mare all’Argentario.

Nel film si capiva che i personaggi erano tanti ed ognuno di loro racchiudeva un mondo intero da poter esprimere come succede sempre per i personaggi del regista, quindi con un grandissimo potenziale per poter indagare di più.

La tua vita prima della pandemia si divideva tra l’Italia e gli Stati Uniti, ora come ti sei adattato?

Devo dire che si è creata una sincronia astrologica nei miei pianeti in quel momento, in quanto avevo appena terminato le riprese di un progetto e poi quindici giorni dopo siamo stati chiusi per pandemia, infatti con tutto il cast ci siamo reputati fortunati da poter concludere tutto in tempo. Per tutti questo periodo di chiusura e di riflessione ha voluto dire capire cosa conta realmente nella vita, come gli affetti quelli veri, e soprattuttola famiglia.

Io personalmente avendo i genitori molto anziani ne ho sofferto particolarmente in quanto non li ho potuti abbracciare per paura di poterli contagiare.



Nel lento ritorno alla normalità sei tornato a frequentare il cinema in sala?

Sì, certamente, ho visto da poco “Tre piani” di Nanni Moretti, che mi ha davvero messo in moto il cervello, infatti subito dopo mi son letto il libro.

Personalmente ho visto tante sale piene, quindi credo che ci sia proprio la voglia di tornare a condividere il rito collettivo del cinema, che anche se coadiuvato dalle piattaforme in streaming non potrà mai essere sostituito.

Io amo il momento in cui siamo tutti seduti e si spengono le luci, è un qualcosa di magico che fa bene a tutti.

E per il teatro che mi dici?

Sono tornato anche a teatro, e devo dire che anche se ci hanno provato a metterlo in streaming, non potrà mai dare le stesse emozioni, anche perché viene a mancare la forma di scambio tra gli attori ed il pubblico.

Invito tutti a farlo nella maniera più assoluta, tornare a teatro ci rende migliori, ci permette di rispecchiarci, capire le nostre vite e di comunicare dei messaggi.

La prima serie è fatta, ci sarà un seguito?

Non posso svelare nulla, tranne che ovviamente farebbe piacere a tutti.


Photography by Davide Musto 

Styling by Rosamaria Coniglio 

Grooming Maria Livia Igliozzi – Making Beauty Management 

Photographer Assistants Edoardo Russi and Valentina Ciampaglia 

Styling Assistant Federica Pennetti 

Thanks to The Sanctuary Eco Retreat Rome

Cover look : Suit | Issey Miyake by MdEfashion Roma

Leo Gassman, un cantautore con la testa sulle spalle

Leo Gassman, ha un cognome importante da portarsi addosso, figlio di Alessandro e nipote di Vittorio, una vera famiglia reale della settima arte, ma lui sin da piccolo sceglie la musica.

Con la forza e la tenacia che solo un vent’enne può avere, studia ed esprime il suo cantautorato fino ad arrivare primo in classifica a Sanremo 2020 nella sezione “Nuove proposte”, con “Vai Bene Così”.

Dopo un anno e mezzo di pandemia è pronto ad uscire con un nuovo album anticipato dal singolo “Down”.

Lo abbiamo incontrato durante il Festival di Venezia dove si è anche esibito.


Total look | Marsem 

Discendi da quella che è una famiglia reale del cinema italiano, senti il peso del tuo cognome?

No assolutamente, posso solo che essere estremamente riconoscente, per l’educazione che ho ricevuto negli anni e che mi accompagnerà per il resto della mia vita.

Sono fiero di tutti in famiglia, da mio padre a mia madre e mio nonno, che sicuramente ha lasciato un segno nel panorama del cinema italiano.

Hai sempre voluto fare musica, non hai mai pensato di fare cinema anche tu?

La musica mi ha sempre appassionato questo è sicuro, me lo hanno chiesto tantissime volte se volessi fare cinema, ma per ora non ci ho mai pensato, tra gli studi e la mia musica non ho avuto tempo per altro.

Poi sono giovane, magari in futuro cambierò idea.


Total look | Etro 

Vinci Sanremo giovani nel 2020, e due settimane dopo l’Italia ha chiuso, quanto ti son girate le scatole?

Ma direi di no perché il mio approccio con la vita è sempre molto tranquillo, quindi ho cercato di trarne il meglio in qualsiasi caso, mi sono chiuso in studio ed ho lavorato.

Per me la prima quarantena è stato un periodo di grande ispirazione, ed ho scritto dei brani che non vedo l’ira di far uscire e che mi rappresentano in pieno.

È stato quel tipo di tempo che ho dedicato a me stesso e alla mia crescita interiore.

Quest’anno eri al festival del Cinema di Venezia, sei abituato ai red carpet? Che cosa provi quando sei li?

No assolutamente, per altro è stato il mio primo red carpet di quelli ufficiali, è stata una bellissima esperienza facilitata dal fatto che a Venezia mi sento un po’ a casa, non per la mia arte ma per quella con cui sono cresciuto, pane e cinema sono la mia vita.

Oltre a sfilare ho anche avuto la possibilità di suonare in un bellissimo chiostro, quello di Sant’Apollonio, ed è stato davvero emozionante, in quanto suonare sull’acqua non ti capita tutti i giorni.


Total look | Fendi 

Soprattutto per un cantante lo stop pandemico è stato prolungato, come lo hai vissuto?

Mi reputo fortunato perché anche subito dopo il primo lockdown ho avuto diverse occasioni di suonare con la mia band, sono uno che si adatta, mi basta anche solo chitarra e voce, quindi, forse è più facile.

Spero che il momento in cui si possa tornare con le sale in piena capienza con tutto il pubblico davanti sia vicino, ma sembra che i presupposti ci siano, bisogna solo attendere ancora un pochino.

Cosa ne pensi della cultura in Italia?

Purtroppo, l’Italia è un paese che non riesce a valorizzare l’arte, siamo un paese che potrebbe tranquillamente vivere solo di quello, e non parlo solo della musica, ma ad esempio il teatro, non conosco nessun ragazzo della mia età che lo frequenti.

Bisognerebbe fare qualcosa a tal proposito, istituire dei fondi, e dare la possibilità ai giovani di portare in scena i loro spettacoli in nome di quelle eredità culturali che sono vive e vanno protette.Quando si investe i frutti arrivano sempre, il problema è quando non si fa nulla e si lasciano le cose in stallo.


Total look | Emporio Armani 

Frequenti l’università, che percorso stai seguendo?

Sto per laurearmi in Comunicazione e psicologia in inglese a dicembre, studio alla John Cabbot che è l’università americana a Roma, la quale mi ha sempre dato innumerevoli spunti di riflessione e mi ha aiutato ad esercitare quella parte di me che a volte nella musica che vive di impulsi e non riesci ad esercitare.

Ma soprattutto mi ha sempre tenuto con i piedi per terra lasciandomi la possibilità di crescere internamente allargando i miei orizzonti.


Photography by Davide Musto

Styling by Rosamaria Coniglio

Grooming Maria Esposito Simone Belli Agency

Location NH Collection Vittorio Veneto

Photographer assistant Angelo De Marchis

Cover total look | Emporio Armani 

Federico Cesari: “Mi metto alla prova e vi stupirò”

Abbiamo conosciuto Federico nel ruolo di Martino in “SKAM Italia”, che ha aperto le porte dell’Olimpo agli attori più amati dalle nuove generazioni italiane. Questa nuova stagione cinematografica lo ritrae come protagonista di un nuovo progetto, diretto da Francesco Bruni e tratto dal libro Premio Strega Giovani 2020 Daniele Mencarelli “Tutto chiede salvezza” che ci mostra in una rappresentazione forte e allo stesso tempo fragile il ritratto di questa nuova generazione attraverso la cruda esperienza dei trattamenti medici obbligatori. Lo vedremo poi nel primo film italiano Amazon Original, “Anni da Cane”, diretto da Fabio Mollo, e il prossimo autunno su Amazon Prime Video.

Su Manintown ti abbiamo scoperto quando interpretavi il ruolo di Martino Rametta in Skam. Cosa è successo in questo anno e mezzo?

In questo anno e mezzo è successo tanto perché sono maturato molto e ho affrontato progetti che mi hanno aiutato a capire ancora di più questo lavoro. Non si smette mai di imparare, continuo a seguire nuovi lavori dai quali apprendo molto e mi auguro che sia sempre così. Sto lavorando a progetti che mi hanno permesso di cimentarmi in storie e dimensioni che sono totalmente lontane da me ma che mi permettono, grazie all’esperienza indiretta, di viverle e quindi di crescere. 



Cosa puoi dirmi del tuo ruolo in Anni da cane?

In Anni da cane ho un ruolo diverso da quelli che ho sempre interpretato perché nonostante sia sempre un adolescente, il personaggio è molto ben caratterizzato. Nel film il personaggio è fortemente caratterizzato dal suo impaccio, dall’ incapacità e timidezza nel comunicare i sentimenti e questo motivo lo porta a sviluppare un modo di relazionarsi diverso da quello dei suoi coetanei. 

Un ruolo che vorresti interpretare?

Non ne ho uno specifico, ne vorrei uno che mi metta alla prova, anche se sono contento di quelli che ho avuto fino ad ora. In generale mi appassiono molto ai personaggi più diversi da me, che mi portano ad uscire fuori dal mio.

Sei tra le new faces del nostro nuovo numero cartaceo insieme ad altri giovani talenti, chi apprezzi particolarmente tra le nuove generazioni?

Sono contento che si stia dando spazio ai nuovi talenti e alle giovani promesse perché possono dare tanto e, se messi alla prova, possono maturare moltissimo arrivando a regalare bellissime emozioni al pubblico ma anche al nostro cinema. Chi apprezzo particolarmente lo tengo per me…



Parallelamente alla carriera di attore come proseguono gli studi universitari?

Gli studi universitari procedono un po’ a rilento per via degli impegni lavorativi che sto avendo in questo periodo. È importante arrivare al momento di una scelta e io l’ho fatta. Questa è stata fatta come parte di un processo di maturazione nell’ultimo anno e mezzo e per adesso sono soddisfatto del percorso fatto finora compatibilmente con il lavoro che ho intrapreso. Se valuto esclusivamente il mio percorso accademico senza metterlo in relazione al mio lavoro si creano delle aspettative che non vengono soddisfatte per forza di cose perché non ho tempo ed energie piene da dedicare all’università. Da un certo lato mi dico di aver fatto il massimo, dall’altro lato se la mia vita dovesse essere il percorso da medico, dovrò sicuramente recuperare della strada. 

Il tuo motto?

Non ho un motto preciso, cerco sempre di mettermi in gioco per superarmi e stupirmi ogni volta ma senza dimenticare da dove sono partito ossia dal divertimento e dalla bellezza che c’è nel mio lavoro cercando di non focalizzarmi solo sul fatto che sia un lavoro e quindi bisogna ottenere dei risultati a tutti i costi. Ci sono periodi in cui le aspettative non sono raggiunte ma questo fa parte del processo. 

Prospettive per i prossimi mesi?

Nei prossimi mesi tanto lavoro e tanta concentrazione. Sto affrontando un progetto bellissimo di cui sono molto felice e che mi sta facendo scoprire parti di me che non conoscevo. Molto faticoso, ma che spero possa dare tanto alle persone. Al momento è l’unico focus e vorrei che anche in quelli successivi ci siano molte soddisfazioni, perché ce la sto mettendo tutta. 


Photographer Davide Musto

Fashion Director Rosamaria Coniglio

Grooming Cosimo Bellomo

Photographer Assistants Dario Tucci and Edoardo Russi

Styling Assistant Cecilia Fefè

Look cover DROME | Radà accessori

Tancredi: il nuovo volto della musica italiana



Parlando di Tancredi, cantautore salito alla ribalta nell’ultima edizione di Amici, non bisogna lasciarsi ingannare dall’età (20 anni) né dai modi pacati o dall’aria da “bravo ragazzo”, col viso pulito incorniciato da una massa di riccioli. Ha già dimostrato, infatti, di saper dare voce a paure, dubbi e tormenti che costellano il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, raccontandoli attraverso hit da milioni di stream come Las Vegas (doppio disco di platino), Balla alla luna o Leggi dell’universo. Non ha mai nascosto, del resto, ansie e fragilità, indici di una sensibilità fuori dal comune che riversa evidentemente nella sua musica, in cui, come ci rivela, confluiscono ricordi, esperienze e immagini, così da delineare «un proprio universo personale, come in un film».


Total look | Herd

Hai cominciato presto a fare musica, studiando al CPM Music Institute e mettendoti alla prova con strofe e contest. Come e quando ti sei avvicinato a quest’arte?

Intorno ai 12 anni, facevo freestyle con gli amici e ho iniziato a scrivere testi, il primo l’ho composto interamente a cappella, senza una base strumentale; sono partito dal rap per poi evolvere, toccando ambiti musicali eterogenei.

Restando in tema, chi sono i tuoi modelli di riferimento?

Mi lascio ispirare da tracce o autori diversi a seconda della canzone cui sto lavorando, i punti fissi sono sicuramente Drake, The Weeknd, Jaden Smith, la dance anni ‘80.

Quali brani, generi o artisti ti hanno accompagnato nelle varie fasi del tuo percorso?

All’inizio mi rifacevo al rap italiano, ascoltavo Salmo, Gemitaiz e MadMan, quindi sono passato a quello americano e inglese di big come 50 Cent o Eminem, poi a Post Malone: mi ha impressionato per il suo coniugare pop e rap, dando il la un nuovo filone che, partendo da basi rap, esplora i generi più disparati. In fin dei conti uno dei punti di forza dell’hip hop, secondo me, è proprio la capacità di adattarsi a svariati sound.



Potresti descriverci il tuo iter creativo, dalle prime idee alla registrazione finale?

Non mi sono mai dato un metodo preciso, a volte parto da un giro di accordi, altre da una frase appuntata, altre ancora da un vero e proprio concept che sviluppo man mano. Cerco di tenere insieme, nello stesso momento, la creatività pura e la parte più razionale e “rifinita” del lavoro, passando molto tempo in studio: è lì che cerco di portare a termine il processo, concentrando tutto ciò che ho voglia di esprimere.

Come descriveresti la tua musica a chi non l’ha mai ascoltata?

Mi ritengo eclettico nel mio approccio, provo a esplorare strade diverse e sono certo continuerò a farlo, altrimenti mi annoierei. Se dovessi individuare un genere specifico direi il pop, è una sorta di contenitore che comprende tutto, però preferisco non etichettare la mia musica, lo trovo limitante; parla della mia vita, delle esperienze vissute, delle immagini che ho in testa, il bello sta nel mescolare tutto liberamente plasmando un proprio universo personale, come in un film.

C’è stato un momento che hai percepito come un punto di svolta, uno snodo cruciale per la tua crescita artistica?

Sicuramente la prima canzone scritta, più a livello personale che per la carriera in sé, mi ha spalancato un mondo che ho amato all’istante.
È stato fondamentale anche avere il coraggio di prendere lezioni di tecnica vocale, è complicato cantare davanti a una sola persona che è lì per insegnarti. Un’altra svolta è arrivata poi grazie a un professore del CPM, ha riconosciuto il mio talento e mi ha aperto le porte del settore.


Total look | Balenciaga 

A maggio è uscito il tuo primo EP Iride, che contiene hit come Las Vegas, Fuori di testa o Leggi dell’universo, cosa puoi dirci a riguardo?

È un disco in cui è racchiuso il vissuto del lockdown o meglio, dei lockdown, nasce infatti da cose successe in precedenza che, durante quel periodo di pausa forzata, ho avuto modo di elaborare. In Fuori di testa, ad esempio, parlo dell’ultimo giorno di scuola, Iride è una specie di omaggio ai miei amici, alle persone che ho conosciuto e mi hanno reso ciò che sono, Leggi dell’universo è invece una ballad d’amore abbastanza triste. Considero l’EP un mio biglietto da visita, è passato del tempo e ora lo vedo un po’ acerbo, però sono soddisfatto perché, in un momento estremamente complicato, sono riuscito col mio team a portare a termine un progetto musicale degno del nome.

Sei arrivato in semifinale ad Amici 20, a distanza di qualche mese come valuti la tua esperienza nel talent show Mediaset?

Mi ha aiutato sotto molteplici aspetti, dal mantenere un ritmo veloce alla gestione dello stress, permettondomi inoltre di conoscere persone con cui condividevo il sogno della musica e di raggiungere un gran numero di spettatori, mostrando loro ciò che posso e potrò fare.

Vanti numeri di tutto rispetto su Instagram et similia (443 mila follower su IG, 1,6 milioni di like su TikTok) com’è il tuo rapporto con i social? Pregi e difetti, a tuo parere, di questo mondo?

Ho un rapporto particolare con i social, tendenzialmente non li amo perché credo suggeriscano una realtà distorta cui vorrei evitare di adeguarmi, non voglio sottostare a una sorta di obbligo per cui, in sostanza, esisti solo se posti. Vado a periodi, a volte li uso con regolarità, l’importante è che non diventino un obbligo, bisogna fare attenzione perché la vita non è fatta esclusivamente di fasi up e bei momenti, sebbene vengano mostrati quasi sempre quelli.
Il loro maggior pregio penso sia l’immediatezza, l’arrivare subito a una miriade di persone.



Provieni da una famiglia di creativi, tuo padre lavora per una nota maison e la musica non è certo indifferente ai codici fashion, che rapporto hai con la moda? Trovi ci sia un legame tra la cifra distintiva di un cantante e il suo stile, dentro e fuori dal palco?

Dipende dai singoli artisti, ad alcuni piace unire la musica a una certa esteriorità espressa dall’abito, ma non è fondamentale, ci sono cantanti che tengono egregiamente il palco pur non badando troppo all’outfit. Personalmente mi piace combinare queste due dimensioni, sono sempre stato immerso nella moda, mi va di farlo e credo funzioni.

Ci sono capi o accessori che pensi ti identifichino sotto il profilo stilistico? Hai un debole per qualche marchio o designer?

Degli orecchini con le ali che ho rubato a mia sorella, per me esprimono un concetto di libertà, e una collana a catena di chiodi: sono questi gli accessori che porto più spesso, credo mi rappresentino.
Per quanto riguarda i brand, mi piacciono Armani, Issey Miyake e Yohji Yamamoto, però indosso anche Zara, vario insomma, sia a livello di capi che di marchi specifici.

Ci sono novità in arrivo che vuoi anticiparci? Cosa speri ti riservi il futuro?

Le novità verranno svelate a breve, sto lavorando molto e dopo aver passato un periodo davvero tosto, caratterizzato da timori e ansie varie, adesso mi sento bene, come se avessi chiuso un cerchio. Non vedo l’ora che escano i nuovi lavori, sono soddisfatto, penso meritino più di un ascolto.
Per il futuro, spero di avere tanta serenità, non sono sicuro di meritarla ma ne ho bisogno, assolutamente.


Total look | Salvatore Ferragamo

Photography by Davide Musto 

Creative Direction Filippo Solinas @One Shot Agency 

Production & Styling by Alessia Caliendo 

Hair Kemon 

Make up Eleonora Juglair using Armani Beauty Luminous Silk Primer 

Location Stazione Milano Centrale 

Special thanks to Bowls and more 

Photographer’s assistants Dario Tucci and Riccardo Albanese 

Stylist’s assistants Andrea Seghesio and Laura Ronga 

Una giovane stella nascente del cinema italiano: Ludovica Francesconi



Abbiamo imparato a conoscere Ludovica Francesconi con la sua interpretazione di Marta nel film “Sul più bello”, non è stato solo un ruolo importante, Marta è iconica. Il messaggio positivo che riesce a protrarre nel lungometraggio è arrivato al cuore di tutti quelli cha lo hanno visto.

Ironica e maldestra un po’ com’è alla fine Ludovica nella vita, una giovanissima interprete che sicuramente ha un vivido futuro nel cinema ed è per questo che MANINTOWN ha voluto riconoscere il suo talento con il New Generation Awards.

Ora al cinema con il sequel “Ancora più bello”, ma non temete perché in arrivo ce ne sarà ancora uno a chiudere triologia di Marta.


Il tuo primo red carpet alla Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia. Che cosa hai pensato in quegli attimi?

All’inizio ero talmente emozionata che non riuscivo a capire esattamente quello che mi stesse succedendo, poi pian piano ho iniziato a sentirmi a mio agio, peccato però che la passerella fosse già finita. Mi son detta: posso rifarlo? Anche perché sarei stata psicologicamente più preparata.

Ti saresti aspettata un sequel di “Sul più bello”, ora sei in sala con “Ancora più bello”.

In realtà no, c’era qualche voce che diceva che forse ci sarebbe stato un seguito, ma quando la notizia della conferma è arrivata, è stato davvero stupendo, puoi immaginare quanto ci potessi sperare.

Mi sono affezionata tantissimo al personaggio di Marta, quindi io stessa, volevo sapere la sua evoluzione.

Marta ha avuto un grandissimo impatto empatico sul pubblico.

Si, verissimo, è stata immediatamente presa d’esempio, mi sono arrivati anche messaggi di genitori che avendo visto il film sono riusciti a trovare un punto di contatto con i figli adolescenti che affrontano le loro insicurezze.

Che cosa hai pensato la prima volta che hai letto il copione?

La verità? Ma questa è una figata pazzesca! Marta con la sua voglia di mangiarsi il mondo mi ha insegnato tantissimo, io ero una persona pessimista, ho sempre preferito buttarmi giù piuttosto che rimanere delusa dopo.

Invece con il film ho capito che se cadi, ti rialzi e ti prendi quello che vuoi e non rimarrai mai delusa.


Cosa sapevi della fibrosi prima intraprendere il personaggio di Marta?

Davvero non molto ed è per questo che abbiamo fatto degli incontri con ragazzi che soffrono di questa malattia, e le caratteristiche che si vedono nel film sono completamente ispirate a loro.

Perché li ho visti così, delle persone pazzesche con grinta da vendere ed è così che mi hanno ispirata.

Raccontami l’aneddoto più divertente che ti è successo girando il film.

Per iniziare il set col botto il primo giorno l’ho letteralmente fatto con la macchina. Eravamo all’aeroporto, ed avevo una scena in auto, dovevo scendere dalla macchina ed entrare, fin qui tutto ok. Però erroneamente avevo lasciato il motore acceso, quindi dovevo rifare la scena, nel mentre cercavo di capire come spegnere col pulsante la vettura, ma non ero stata istruita sul come farlo, ho preso in pieno un panettone di cemento, e mi sono ribaltata. Insomma, è diventata un GIF, perché ovviamente stavano riprendendo.

L’ultimo frame, ero io con le gambe per aria! Il secondo, si perché ne ho due, è quando sono svenuta volteggiando alle due del pomeriggio con un maglione di lana, peccato che era fine giugno, ed il mio potassio mi aveva abbandonata, sono svenuta.


Photography by Davide Musto 

Production & Styling by Alessia Caliendo 

Grooming John Delima Lorena Leonardis @Cotril 

Location ISFCI – Istituto Superiore di Fotografia Roma 

Photographer’s assistants Dario Tucci and Valentina Ciampaglia 

Stylist assistant Andrea Seghesio 

I protagonisti del primo Manintown Next Generation Awards

MANINTOWN NEXT GENERATION AWARDS

Un progetto ideato da Federico Poletti e Davide Musto

#VENEZIA78 ha segnato il primo mattone del grande lavoro svolto da MANINTOWN MAGAZINE nel corso degli anni per sostenere e promuovere il cinema e i suoi nuovi talenti. Mai come in questo momento l’Italia è un paese ricco e libero nell’espressione dell’audiovisivo. Partendo da un’intuizione di Federico Poletti, direttore del magazine MANINTOWN ha saputo unire le due cinema e moda in modo tale da poter attingere l’una dall’altra in maniera virtuosa nel segno comune di comunicare i nuovi fenomeni nella creatività. Coadiuvato da Fabrizio Imas (giornalista) Davide Musto (fotografo e talent scout per le nuove leve), il premio Manintown Next Generation Awards” è andato in scena alla Biennale di Venezia all’interno della bellissima cornice della terrazza Campari al Lido. I due premiati per la sezione cinema di questa prima edizione sono stati Ludovica Francesconi e Giancarlo Commare. Come fenomeno web è stata premiata Elisa Maino, web talent italiana che sta anche uscendo con un nuovo libro.


Federico Poletti, founder & Editor in chief di MANINTOWN: “Da sempre raccontiamo tra il web e la carta tutto ciò che innovativo e nel tempo abbiamo dato voce a numerosi interpreti, che abbiamo visto crescere anche grazie alle nuove piattaforme come Netflix e ai social. Sono particolarmente felice di questa prima edizione dei Next Generation Awards che ha scommesso su Giancarlo Commare e Ludovica Francesconi che con noi hanno avuto il loro primo red carpet a Venezia e sono in uscita con tante nuove produzioni. Ora l’appuntamento col cinema continuerà con la Festa del Cinema di Roma dove presenteremo lo speciale dedicato al premio e il nuovo numero cartaceo da collezione”.

Ryan Prevedel

Davide Musto, fotografo & head of scouting di MANINTOWN: “Ho la fortuna di seguire con occhio attento le evoluzioni dei nuovi talenti e dei cambiamenti socio culturali che il mondo del cinema e i suoi giovani attori ci regalano quotidianamente. Il mio è un impegno costante nella ricerca o nella scoperta di nuovi volti che accompagno insieme a storie di moda. La scelta dei due finalisti è arrivata naturalmente. Seguo Commare da quando è apparso nella serie Skam e da quel momento ho sempre voluto raccogliere il suo volto con la mia fotocamera. In questi anni Giancarlo Commare ha saputo raccontare ruoli diversi con quella fine verità che appartiene soltanto ai grandi attori e ha saputo rendere moderna la capacità di essere una persona, ma anche un personaggio. Ho avuto inoltre l’onore di aver già lavorato con Ludovica Francesconi e sin dal primo scatto il suo sguardo è penetrato così profondo nel mio obiettivo che è stato naturale pensare al futuro di questa giovane attrice che credo sarà segnato da grandi interpretazioni”.

Conclude Fabrizio Imas, Entertainment Editor di MANINTOWN: “A volte scommettere su di un Talent può essere molto complesso, in quanto magari un progetto va bene o magari benissimo e poi magari le occasioni vengono a mancare. Il destino ha voluto che le due scelte dei vincitori siano ricadute su due attori i cui destini si sono appena incrociati artisticamente. Infatti, dal 16 settembre li ritroveremo insieme al cinema con il film “Ancora più bello”, seguito molto atteso di “Sul più bello”.

Special thanks per Hair&makeup dei talent

Kemon

Produzione e coordinamento Alessia Caliendo
Hair @kemonofficial @kemoncrew
Make up @ArmaniBeauty #ArmaniBeautyStars
Foto Camillo Carobi @itm.srl

Versatile e preziosa la icon bag Paola Bonacina, must have dell’estate

La icon bag Paola Bonacina interpretata dalla talent Matilde Righi

E’ sulle sponde dell’Arno, in un elegante resort 5 stelle, che risalta la icon bag Paola Bonacina indossata da Matilde Righi, talent dal gusto raffinato, parisienne, e dall’allure romantica.

Nell’Hotel Ville sull’Arno, antica dimora ottocentesca, cenacolo dei Macchiaioli e luogo di intellettuali dell’epoca, Matilde Righi interpreta la Xi Wallet – Turquoise Python, la pochette firmata Paola Bonacina divenuta bag iconica per la sua versatilità.

Porta cellulare, maxi portafoglio, comoda pochette, la Xi Wallet si porta a mano o a tracolla grazie alla pratica e sottile catenella a croce in ottone finitura oro chiaro.

L’influencer Matilde Righi sceglie di abbinarla ad un classico abito stile greco-romano, dello stesso tono turchese della pochette, perfettamente ambientata nella calda ed accogliente atmosfera dell’antica residenza.

Gli ambienti, i toni, gli arredi, si sposano con la fantasia dell’icon bag Paola Bonacina, iridescente per colore e pregiata nella scelta dei materiali.

Il brand si contraddistingue da sempre per l’attenzione dei particolari: la chiusura in metallo presenta il logo del marchio, gli interni sono in pelle e ogni prodotto possiede il suo certificato di garanzia e autenticità; Paola Bonacina è totalmente Made in Italy e rappresenta a pieno il savoir-faire del nostro amato territorio.



Eclettica, la icon bag Paola Bonacina è per tutte le donne e tutti gli stili che le rappresentano!
Di giorno con una giacca over e denim, la sera con un long dress, la Xi Wallet in pelle di pitone è il nuovo must have di questa stagione.

Per necessità o per capriccio, non riuscirete più a farne a meno, rende ogni look più grintoso e regala un tocco di luce e colore grazie alla sua lavorazione iridescente.



Paola Bonacina, fondatrice e creatrice dell’omonimo brand, è da sempre impegnata in collaborazioni nazionali ed internazionali e per questa stagione si vede protagonista del Super Trofeo Lamborghini Europe come Pink Partners del pilota italo-svizzero Kevin Gilardoni.

Con i colori dell’Oregon Team, si è scelta la mini bag O-Clock Grace Paola Bonacina per il round del campionato previsto al Circuit Paul Ricard dal 28 al 30 maggio 2021.

Tutti gli aggiornamenti delle nuove avventure Paola Bonacina sui suoi profili ufficiali:
Paola Bonacina Instagram



Diversità inclusiva: Alan Crocetti

Indossati da Dua Lipa, Miley Cyrus, Lady Gaga, Christina Aguilera e in ultimo da Hell Raton, i gioielli del designer Alan Crocetti, di origini e studi brasiliani, fanno capire il valore intrinseco della bellezza e della complessità nel processo di creazione di un gioiello, elevandolo non solo come mero accessorio ma portandolo al centro della scena artistica e sensuale.

Alan trova energia e passione nell’avvicinarsi al mondo del gioiello durante la sua formazione alla Central Saint Matins di Londra, che abbandona all’ultimo anno, e crea una nuova visione ad un progetto che porta il suo nome, catturando un pubblico attento e ricettivo al suo messaggio.



Alan Crocetti affronta il tema della diversità come valore assoluto di espressione individuale, contro ogni tipo di normativa prestabilita. Nelle sue collezioni, mondi diversi si mescolano fra loro, o addirittura si scontrano, dando ispirazione ad un disequilibrio delle cose, mostrando così la varietà degli esseri umani, che insieme possono decostruire ciò che era considerato normale, e creare un mondo più inclusivo e diverso.


Cattura fin dagli esordi l’attenzione dei buyer internazionali di Dover Street Market, Londra, New York e Tokyo e collabora con designer come GmbH, Helmut Lang sotto la direzione creativa di Mark Thomas and Thomas Cawson. Ha la possibilità di lavorare con fotografi internazionali come Luke Gilford, Pierre Debusschere e Ferry van Der Nat, intrecciandosi con il talento artistico di Isamaya French, dando vita alle campagne pubblicitarie delle sue collezioni ANARCHY, EROTICA, CORPORATION e DISOBEDIENCE, dall’impatto sempre artistico ed introspettivo.



Grazie al suo design elegante, minimalista e massimalista, che ha cercato di ridefinire il ruolo dei gioielli nella moda contemporanea, Alan è presente nello spazio Big House di La Cienega per la prima mostra di Dries Van Noten a Los Angeles, un progetto che mette in sinergia artisti locali e internazionali e dove la potente combinazione di gioielli creata dal designer londinese è montata sull’incredibile lavoro ligneo dell’artista ceco Richard Stipl.

In questi giorni Alan presenterà un nuovo progetto “The Merch Line”, dove il suo logo, uno scorpione con una rosa, rappresenterà una sensibilità che farà da tessitrice di quell’incarnazione del messaggio dell’amore e di accettazione per sè stessi, vulnerabilità e forza che Alan sempre rappresenta nelle sue collezioni di gioielli.

Intervista a Moisé Curia

Moisé Curia, è un attore giovane con un curriculum vitae di tutto conto, ha in iziato a lavorare appena uscito dal Centro sperimentale di Roma, e come dice lui, è anche stato molto fortunato, aggiungo un vero talento.

Di origine calabrese, dopo aver iniziato da una gavetta particolare ovvero facendo l’artista di strada con la serie TV “Braccialetti rossi” raggiunge il pubblico italiano facendo breccia al cuore di tutti.

Lo abbiamo apprezzato in “Pezzi Unici” diretto da Cinzia TH Torrini al fianco di Sergio Castellitto, di cui si attende una speranzosa seconda stagione visto il successo della prima.

Hai sempre avuto la passione per la recitazione?

Direi proprio di sì e la conferma la ebbi dopo essere stato accettato al centro sperimentale di Roma, e proprio frequentando I corsi di recitazione incontrai Giacomo Campiotti, il quale stava per girare una miniserie per Raiuno “Non è mai troppo tardi”.

Era il mio primo provino appena uscito dall’Accademia, lo presi e diventare uno dei protagonisti della serie.

Il tuo picco di popolarità lo raggiungi con la serie cult “Braccialetti Rossi”…

Proprio lo stesso regista Giacomo o a chiamarmi ad interpretare uno dei personaggi della serie di Raiuno “braccialetti rossi”, da quel momento a me e a tutti gli altri ragazzi del cast posso dire che hai cambiato la vita. È stato quasi uno shock passare dall’essere un signor nessuno all’essere riconosciuto continuamente per la strada. E dopo questa esperienza sono iniziate ad arrivare proposte lavorative veramente interessanti.

Sei reduce da un grande successo di Rai1, te lo aspettavi?

Si, aver avuto l’opportunità di lavorare con una grande regista come Cinzia TH Torrini in “Pezzi Unici”, è stata un’esperienza meravigliosa, non c’è ancora nulla di confermato però visti gli ascolti della serie ci sono tutti presupposti per una seconda.

Cinzia lascia molta libertà agli attori ma appena esci dall’idea che lei si è fatta del personaggio si incazza veramente tantissimo, devo ammettere che mi ha sgridato parecchie volte. Il ritmo thriller che ha voluto dare alla storia credo che sia la componente che ha tenuto i telespettatori inchiodati alla domenica sera.

Parlami del tuo film in uscita, appena riapriranno i cinema..

È un film molto duro, in quanto è una denuncia contro la pedofilia. Il mio personaggio è veramente difficile in quanto interpreto il rapitore della bambina non che il pedofilo.

Nel film in generale non viene nulla di esplicito e tutto implicito, un ruolo decisamente lontano da me, un tossico un pazzo un pervertito, senza svelare troppo posso dire che in tutto questo malessere c’è anche una sorta di poesia.

Nel cast insieme a me c’è Valeria Golino, c’è Cosima Stratan che ha vinto la Palma d’oro a Cannes con un film che si chiama oltre le colline, e poi molte star da Ukraina e tedesche in quanto il film è tutto girato nell’est Europa.

Che rapporto hai con la moda?

A me piace tantissimo la moda, mi è capitato svariate volte di partecipare a servizi fotografici di moda e devo dire che mi diverto tantissimo, infatti a volte mi confronto con la mia fidanzata su come vestirmi e devo ammettere che è una passione per il tessuto delle camicie.

Cosa ti rende più felice nella vita?

Sicuramente la mia fidanzata Lara, è stato un incontro bellissimo, pensavo di aver raggiunto tanti obiettivi nella mia vita, invece quando l’ho incontrata in un locale a Torino ho capito che forse mi manca qualcosa.

Ma la cosa più bella è che quell’incontro non è mai terminato siamo stati legati fin dal primo momento.

E cosa ti fa arrabbiare di più?

Non amo che non ha il coraggio di parlare in faccia, amo la chiarezza, soprattutto in un ambiente artistico. Mi infastidiscono le persone che arrivano ad un obiettivo per non so quale motivo senza lo studio la preparazione e la professionalità.

La tua vacanza ideale?

Sono nato a Rossano Calabro, quindi per me in una vacanza ci deve essere per forza al mare. Se dovessi cambiare vita andrei a vivere ai Caraibi con solo il mare davanti a me e la mia fidanzata al mio fianco.

A tu per tu con il pastry chef Damiano Carrara

Assaggia dolci tutto il giorno, un pasticcino con crema e fragola, un cannolo siciliano con ricotta, un mini bignè al cioccolato, poi qualche fetta di Sacher o una crostata di frutta; dopo il primo boccone sa se la crema è troppo liquida o troppo densa, se la crostata è troppo dolce o il bignè poco ripieno.

Ieri su Real Time in “Cake star”, oggi padrone di casa su FOOD NETWORK con “Fuori Menu”, Damiano Carrara fa il mestiere più bello del mondo. 

Cappotto lungo verde a quadri: Daks London 
Completo color cammello: Caruso  
Cintura: Boggi Milano
Camicia bianca: Canali 
Scarpe stringate: Church’s

Ma dietro grandi risultati ci sono spesso grandi sacrifici e la fame di arrivare e di lasciare il segno, ed è questo il suo caso, quello di una ragazzo di provincia con il marcato accento fiorentino, quello aspirato che piace un po’ a tutti, come lui.

Diciannove anni, un posto fisso da metalmeccanico e la noia che cresce, poi l’apatia, poi la voglia di fuggire.

“Mi rendevo conto che non avrei combinato nulla e non avrei scoperto il mondo, così decisi di prendere il primo treno per Dublino e partire. Mi ritrovai in una città nuova senza conoscerne la lingua, spaesato, una città diversa dalla campagna da cui provenivo, con le mucche e il latte fresco ogni mattina e le uova ancora calde. Cosa fa un ragazzo in Irlanda? Il cameriere, il barman, ci si rimbocca le maniche e si cerca una strada, un sogno, come quello americano che ho rincorso a Los Angeles, Las Vegas, New York, non mi fermavo più, lavoravo 20 ore al giorno.”

Come si svolgevano le tue giornate? 

“Sette mesi in cui a mezzogiorno porti i piatti ai tavoli di chi vuoi diventare, la sera fai i cocktail e la notte costruisci il tuo piccolo business: un laboratorio di pasticceria che oggi è diventato un franchising.”

Pantaloni grigi: Canali 
Dolcevita nero: Sandro Paris
Giacca nera: Karl Lagerfeld
Sneakers nere: Puma x Ralph Sampson  
Guanti neri: Boggi Milano

Oggi in California, dove ti sei trasferito nel 2008, sei proprietario della Carrara Pastries, una pasticceria con 70 dipendenti che ha clienti come le sorelle Kardashian; come ci sei arrivato?

“La sera al locale raccoglievo delle belle mance, gli italiani piacciono all’estero, siamo dei simpaticoni; la mattina entravo a fare il primo turno al ristorante, non senza aver fatto un’ora di attività fisica; sono stato presto promosso manager quindi la sera avevo anche la responsabilità di contare il denaro in cassa; alle 23.00 cenavo con mio fratello, un pasto frugale, una volta in laboratorio ci occupavamo della preparazione dei dolci, finivamo alle 4 di notte, e mi toccava fare qualche chilometro a piedi per depositare i soldi in banca; alle 7 la sveglia, una vita stressante che non auguro a nessuno.

Quale è stato il primo locale dove hai lavorato in America? 

“Cafè Firenze, titolari italiani, e per di più fiorentini, (Jacopo e Fabio), 300 posti a sedere, un ristorante elegantissimo e disperso, il luogo ideale per viverci.”

Con chi hai coltivato il tuo sogno americano? 

“Mio fratello mi ha sempre accompagnato in questo viaggio, lui è il mio migliore amico, il mio braccio destro. Oggi è responsabile del laboratorio, prima di lavorare insieme faceva il pasticcere a Lucca, aveva 24 anni quando ha lasciato tutto per stare con me. Nel lavoro, ha sempre avuto una visione italiana, quel patriottismo orgoglioso da “Italians do it better”, ma io avevo capito che con gli americani era necessario aprire la mente e accontentarli, perchè sono abituati a gusti mixati e meno tradizionali dei nostri. Quando qualche cliente chiedeva un dolce con una ricetta storpiata, lui si infuriava e diventava rosso come un peperone. Abbiamo lavorato molto insieme e sofferto insieme la fatica del lavoro, dormendo solo 3 ore a notte. A pensarci mi vengono i brividi.”

Cappotto lungo cammello: Caruso 
Gilet beige: LBM 1911
Dolcevita bianco: Caruso  
Pantalone Tortora: Caruso 
Scarpa elegante stringata: Canali

Come gestisci ora il tuo tempo?

“Ho imparato a delegare, tendo a fidarmi e ho fatto bene perchè oggi la mia pasticceria dopo 4 espansioni misura 500 metri quadri, con caffetteria annessa. 
Ne ho aperta una a Malibù, una a Los Angeles, e dopo sette anni di business ho tagliato il middle man, ora importo dall’Italia e rivendo a me stesso. Non male, no?!”

Come è nato il successo in America?

“Cercavano pasticceri per un talent show in tv, sono arrivato in finale e poi hanno seguito le ospitate a “Food network star” e successivamente come giudice in altri show. In Italia invece ho ricevuto una chiamata da Magnolia per “Bake Off Italia” presentato da Benedetta Parodi, in cui sono giudice insieme a Ernst Knam e Clelia d’Onofrio, ed eccomi qua.

Ci puoi rivelare le differenze tra la Tv italiana e quella americana? 

“Abbiamo molto da imparare dagli americani in fatto di produzione: in Italia i tempi sono lunghi e dilatati, non abbiamo ancora capito che sistematizzare tutto ci permette di risparmiare tempo e denaro. Sui set ho sempre rubato i mestieri, sono della vergine, sono curioso, preciso e ho sempre voglia di sperimentare.”

Camicia bianca + completo smoking: Caruso  
Scarpe nere: Church’s 
Papillon: Zillì 

Oltre a tuo fratello, delle persone a te care, chi lavora con te?

“Il mio migliore amico, prima faceva il camionista, oggi è un grande pasticcere. Per me è importante mantenere dei legami saldi con il passato. Si chiama Federico, il suo primo tatuaggio è lo stesso che ho io sul braccio, una lunga frase che ci lega di un legame profondo e sincero:
“Il tempo di un altro Negroni e un’altra birra e saremo diventati amici per la pelle, un altro giro ancora avremo deciso di passare insieme tutti i capodanni della nostra vita. La nostra amicizia sarebbe durata il tempo che impiega un fiammifero acceso a bruciarti le dita se lo tengo troppo a lungo; la nostra invece è tutta un’altra storia”. 

Hai altri tatuaggi?

“Un joker, una tigre, un due di picche: a Las Vegas vinsi un torneo bluffando”.

Bluffi anche nella vita?

“Sono onesto, la sincerità per me è una ragione di vita”. 

Come si svolge oggi la tua giornata?

“Sveglia alle 6, un caffè latte, un’ora di allenamento (senza esercizio non mi sveglio), una prima colazione con avena e latte di soia. Dopo la doccia rispondo alle mail, controllo il conto in banca, lavoro, la sera chiamo in America per controllare la gestione delle attività, insomma è tutto incastrato al minuto, come vedi non è cambiato nulla.” (Ride)

Come è nata la passione per la cucina?

“In casa cucinano tutti, babbo, nonna, zia, io mi divertivo a preparare pasta con la Nutella a mio fratello! Poverino.”

In pasticceria cosa ordina un pasticcere?

“Una torta della nonna se sono in Toscana, oppure un Tiramisu’ o il classico bignè, che dovrebbe avere una punta di vaniglia nella crema.”

Maglione turtle neck: Acne Studios 
Pantaloni: Daks London 

Lo sai che fai il lavoro più bello del mondo? 

“Mangio dolci 8 mesi l’anno, 18 dolci al giorno uno dietro l’altro, su un set che ha delle luci da svenimento tanto sono calde, la maggior parte dei dolci che vedi sono immangiabili e se non facessi una dieta costante avrei seri problemi di salute. Facciamo a cambio?!”

Come ti vedi in un futuro prossimo?

“Vivo anno per anno fissandomi sempre obiettivi diversi e quando li raggiungo, li depenno. 
La famiglia per me è importante, ma non un obiettivo se vuoi avere successo; il tempo per il relax per me è ancora lontano. “

Sulla tua vita privata non si sa nulla, né dai tuoi social network, né dalle interviste che rilasci, perchè questo silenzio?

“Cerco di proteggermi, dalla accuse inutili, dalla volgarità, dal pettegolezzo. Il mio lavoro può essere criticato, la mia vita privata no.”

Completo verde: Sandro Paris
T-shirt bianca: Canali

Talent: Damiano Carrara 
Styling/Production: Miriam De Nicolo’
Foto: Marco Onofri 
Special thanks to: Rosa Grand Milano Starhotels (Piazza Fontana, 3)

In copertina (Cappotto lungo a quadri rosso/neri/beige: Canali, Maglione marrone: Caruso, Pantalone sabbia a quadri: Daks London)

Scopri anche l’editoriale “A stylish day with Damiano Carrara” qui.

Andrea Dal Corso: «La pandemia come mezzo per reprimere la futilità»

La realtà in questo periodo di emergenza è rappresentata da una certa dualità dell’essere. Ha bisogno di essere rielaborata, per un momento che non appena cesserà, ci farà guardare indietro con uno sguardo impavido, prudente e colmo di accortezza.

Ed è proprio questa la visione a cui si presta Andrea Dal Corso, il talent digitale protagonista di questa riflessione sugli annessi futuri in epoca post Covid-19, influenzato da una voglia prorompente di reprimere la futilità, che svela la sua indole nel voler trasformare le linee d’azione ripetute dal settore moda odierno verso nuovi fronti.

Tratteggia la sua visione del mondo con tanto di spirito disarmante, che esorta: “Ora è necessario definire una volta per tutte i piani globali ecologici e ambientali: nello smaltimento delle plastiche, nel ruolo del petrolio, nella distruzione di habitat naturali, e l’inquinamento delle acque, per arrivare alle disparità sociali, a quel cibo sprecato da molti e sognato da molti altri, alle guerre ancora in atto, dimostriamo di aver capito a pieno che l’evoluzione Darwiniana, accorgendoci che quella di oggi ha tutte le carte in regola per essere un’involuzione.”

In occasione di questo momento di reclusione universale, noi di Man In Town abbiamo voluto approfondire le ripercussioni future che andranno a influire sul piano umanitario e creativo con Andrea. 

Quale è la tua professione?

Sono un imprenditore creativo. Mi occupo di digital strategy e di content creation negli ambiti di travelling, gentleman lifestyle e benessere. Seguo, o meglio, seguivo fino a due mesi fa l’account management e il business growth dell’azienda vinicola messa in piedi con la mia famiglia. Ora mi sto dedicando ad un progetto di cultura digitale che lancerò a giorni assieme al mio team. Ho sempre lavorato nella moda come indossatore, vista da me come una forma d’arte, in quanto mi aiutava ad esprimermi, cosa che faccio attraverso ogni forma di creatività.

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

La pandemia ha colpito ogni settore, sicuramente la moda è uno tra i più rilevanti. Ma sono più che certo che le menti creative che competono nel fashion sapranno cogliere questa occasione come un nuovo punto di partenza, un nuovo stimolo che partorirà idee brillanti, eclettiche per i costumi quotidiano. 

Sicuramente nei reparti di produzione dedicato un ampio spazio alla ricerca, ma non come la si intende ora, ossia girare il mondo in cerca di “scopiazzamenti” di vario genere per poi farli propri. Ricerca intesa come vero e proprio studio di nuovi materiali che grazie alla nanotecnologia aiuteranno nella prevenzione di un eventuale futuro scoppio pandemico. 

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi?

“Tutto parte dal caos” ebbene oggi possiamo dire che tutto ripartirà, ri-nascerà, ma in maniera nuova e con nuovi occhi. Questo periodo forzato di chiusura in realtà ha aperto le menti di molti. Ha scardinato imposizioni mentali autoimposte guardando a nuovi orizzonti. 

Tutti stiamo prendendo sempre più consapevolezza di due grandi aspetti: 

1. Di quanto stia prendendo sempre più una fascia di mercato il digital business a discapito dell’offline; 

2. Di quanti siamo. Prima eravamo troppo impegnati nelle nostre vite per renderci conto di quante altre vite simili alla nostra vivono realtà similissime alla nostra. Da qui una nuova grande consapevolezza: distinguerci.  Il mondo online per certi versi è più tosto di quello off line, dove non ci sono barriere di spazio. Non posso essere il migliore insegnante di inglese del mio paese soltanto perché siamo in tre o quattro ed io solo quello nato per primo. Le leggi del mondo online non tengono in considerazione lo spazio; forse il tempo detiene ancora una certa importanza, ma occhio, passa molto più in fretta il tempo digital rispetto a quello offline.

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di miglior impatto?

Sicuramente questa tragedia collettiva globale ha sensibilizzato perfino i brand fashion che ancora oggi si affidano ad una produzione con sfruttamento umano, in condizioni davvero disagiate. 

Il “fil rouge” che spero accompagnerà tutte le prossime collezioni sarà di un “Mondo Unito”, un’umanità capace e desiderosa di aiutarsi vicendevolmente se vuole continuare a popolare questo pianeta che sempre più ci fa capire quanto lo si stia mettendo a dura prova. 

Come dicevo, la ricerca verso materiali tecnologici in aiuto alla prevenzione, ma soprattutto una manifattura pressoché autonoma all’interno del proprio Stato. Far girare le rispettive economie, per poi esportarle. Questa sarà la vera sfida che oggi diviene ancora più importante per la ri-partenza. In seconda analisi, dal mio punto di vista bisognerebbe fermare tutta questa spettacolarizzazione e dare un taglio agli sprechi. Basta cambiare decine di vestiti a stagione ma piuttosto puntare a capi che durino nel tempo. Ho apprezzato molto la lettera di Giorgio Armani in cui suggerisce al Mondo di “iniziare a togliere il superfluo e ridefinire i tempi”. 

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi?

I creativi al giorno d’oggi hanno un’importanza incredibile. Sono quelli che una volta si potevano definire come gli “inventori.”Peccato che ad oggi c’è ben poco rimasto da inventare di nuovo. Si puó sicuramente migliorare il modo con cui comunichiamo e forse la tendenza non sarà più quella di “accorciare” sempre di più le distanze, bensì veicolarle. Trovare il modo per smettere di rendere accessibile tutto a tutti, ma semplificare il processo di condivisione e di ricerca della qualità delle informazioni a chi riesce davvero ad apprezzarla. 

Abbiamo popolato ogni genere di piattaforma con ogni genere di contenuti: personali, culturali, ispirazionali, comici, trash, motivazionali e in molti casi pure tragici come il cyberbullying o il revenge porn. Ora c’è bisogno di fare ordine, i creativi sapranno rendere Semplice ciò che semplice di per sé non è. Un po’ come Piero Angela iniziava di parlare di cultura, Storia e Arte in quel cubo dedicato all’intrattenimento, ma lo faceva in un modo talmente “smart”, termine che ancora non esisteva, da rendere tutto di facile comprensione per tutti.

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19?

Personalmente non sono spaventato, perché so che cercherò di risolvere ogni cosa si prospetti. Non è da confondere con un atteggiamento del tipo: “anche se mi cade il mondo affianco io resto immobile.” Sto educando il mio mindset ad essere pro-attivo, trasmettendo la stessa grinta alle persone che mi seguono attraverso i miei canali. 

Di per sé il nostro quotidiano necessità di nuove abitudini, tornando a quelle pre-pandemia e per certi versi potrà sembrare uno shock uguale o maggiore rispetto a quello di rimanere in casa. Penso che ognuno debba prepararsi già ora mentalmente a 360 gradi. Altrimenti sarebbe come prepararsi lo zaino durante il tragitto verso la scuola. No, lo zaino va preparato il giorno prima, organizzando libri, penne e pennarelli in base alle materie del giorno successivo. 

Ci saranno le stesse misure che stiamo adottando ora per andare in farmacia o a fare la spesa, dovremo soltanto replicarle in ogni aspetto sociale ancora per un po’. Vediamola come una grande lezione di civiltà globale. 

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia?

Ho deciso di non aspettare il “post-epidemia” per capire i cambiamenti del mio lavoro e piangere su tutte le perdite avute in questi due mesi. Da un mese e mezzo sto lavorando ad un progetto digital assieme al mio team che è quasi arrivato alla sua fase di lancio. Ne sono davvero orgoglioso perché ci ho messo anima e cuore e spero rappresenti un piccolo tassello infinitesimale di quella creatività di cui oggi abbiamo bisogno. 

Per quanto riguarda il mio lavoro usuale sicuramente ripartirà a singhiozzo e dovrò quasi continuare ad attingere dai miei risparmi per continuare a pagare spese e investimenti, ma non demordiamo, ogni tempesta troverà luce. 

Riflessioni conclusive? 

Madre Natura ancora una volta ha suonato il suo campanello d’allarme. Se vogliamo continuare a coesistere in questo pianeta dobbiamo invertire la direzione attuale. La pandemia globale è stato il veicolo per fermare un mondo che ha perso la sua rotta alla longevità. Ora è necessario definire una volta per tutte i piani globali ecologici e ambientali: nello smaltimento delle plastiche, nel ruolo del petrolio, nella distruzione di habitat naturali, e l’inquinamento delle acque, per arrivare alle disparità sociali, a quel cibo sprecato da molti e sognato da molti altri, alle guerre ancora in atto, dimostriamo di aver capito a pieno che l’evoluzione Darwiniana, accorgendoci che quella di oggi ha tutte le carte in regola per esser un’involuzione. Sicuramente questo è un periodo di forte introspezione e sta alimentando il nostro livello di empatia. 

Instagram: @andreadalcorso

Y/Project. Glenn Martens

Un approccio sistematico senza sistema sembra essere alla base del successo di Y/Project. Parte di ciò che può essere chiamato, Rinascimento Parigino, dove brillano nomi come Vetements e Jaquemus, questo brand belga sta scuotendo davvero il modo in cui ci approcciamo allo streetwear e al tempo stesso alla couture, con una mescolanza post-moderna di età romantiche, forme oversize, elementi chiave dell’iconico streetwear degli anni ‘90. Glenn Martens, mente della label, già nominato per l’LVMH Prize, ha assunto il ruolo di Creative Director di Y/Project nel 2013, dopo che il suo co-fondatore, Yohan Serfaty, è scomparso. Glenn è stato insignito del Grand prize agli Andam Fashion Awards di giugno 2017, oltre a ricevere una mentorship da parte di Francesca Bellettini, Presidente e AD di Yves Saint Laurent. Da allora, il marchio è cresciuto anno dopo anno, grazie al suo design all’avanguardia concepito per chi non teme di esprimersi. Nella stagione autunnale la collezione pompa i volumi con un approccio più maximal alla silhouette, mettendo insieme un gioco magistrale sulla dualità, con riferimenti storici che si specchiano nel look delle icone hip hop di oggi. Senza dimenticare un vivido immaginario artistico, che Glenn ritiene essenziale per la sua creatività e il suo modo di rivoluzionare la moda contemporanea.

Chi è l’uomo per il quale disegni?
Sicuramente un uomo eclettico e senza età. Nella nostra linea di abbigliamento ci sono vibrazioni streetwear, ma anche elementi classici, strutture e forme concettuali e anche una sorta di trasformabilità. Puoi invertire le giacche, chiudere o aprire i pantaloni in modi diversi e questo ti permette di cambiare il modo in cui ti vesti, secondo il tuo stato d’animo. Siamo tutti fatti di personalità diverse in uno stesso tempo, con i nostri vestiti ti puoi divertire e dichiarare la tua individualità.

Come descriveresti il tuo approccio alla moda?
Non esiste alcuna regola specifica. Può accadere osservando le persone per strada. Prendo spunto da qualsiasi riferimento, indipendentemente dall’era o dalla sottocultura. Questo divertente mix è l’unico fil rouge perché che seguiamo perché, con il mio team, facciamo ciò che vogliamo molto liberamente, cercando di trovare un equilibrio e un risultato convincente. Confesso, inoltre, che mi piace guardare come i vestiti influenzano il nostro atteggiamento quando sono indossati, questo rivela molto delle persone.

Se dovessi scegliere i tuoi trademark quali sarebbero?
Mi piace guardare le cose in diverse prospettive, mi piace avere un approccio minimal, ma con un tocco sartoriale. Da Y/Project si flirta con proporzioni, atmosfera urbana, riferimenti storici e si gioca con forme allungate.

Cosa rende Y/Project un marchio di successo?
Penso di lavorare in maniera onesta, proponendo una collezione molto genuina e, per questo, straordinaria. Non guardo mai quello che fanno gli altri marchi e non seguo percorsi specifici, a parte trasformare quello che “annuso” in qualcosa che amo. Mi piace anche essere connesso al nostro pubblico e intuire quello che pensa.

Il tuo denim si distingue, lo consideri un elemento fondamentale della collezione?
Certamente. Cerchiamo di utilizzarlo sempre ed è uno degli elementi che più arricchisce il brand, che aggiunge valore e suggerisce un diverso uso di proporzioni, può anche essere considerato couture, secondo me. Ad ogni modo, non mi piace concentrarmi su un solo segmento della collezione, c’è sempre un approccio sperimentale su tutto, con altri grandi protagonisti come la seta e la maglia.

Photographer| Edoardo DeRuggiero
Stylist| Nicholas Galletti
Hair| Azumi Higaki
Make up| Constance Haond
Model| Rodrigue D @ M Management

SS17 by Sankuankz: arte e moda in cerca di risposte

Il cosmo e la religione come elementi che dialogano, s’intrecciano e cercano risposte: fin dai tempi più antichi l’uomo osserva e conserva questi due punti cardinali, uno interno, l’altro esterno, e ne richiede spiegazioni: la collezione SS17 di Sankuanz, che magistralmente dialoga insieme al quotatissimo artista cinese Xu Zhen, usa come ispirazione proprio il mondo intimo della religione cosmologica.

Se Xu Zhen ha cercato, con la vibrante opera di Safe House A – installazione di una tipica tenda da campeggio pieghevole che rappresenta una chiesa gotica, evidente metafora della vulnerabilità della fede quando non ha una comunità o un gruppo a sostenerla e deve sopravvivere da sola – di dare una chiave di lettura visuale al binomio devozione – universo, cosi il designer rivelazione della recente edizione milanese di White ha progettato una serie di capi che è un mix di elementi presi dalle uniformi militari, accenni pop e cultura hip-hop.

Il camouflage è un guizzo grafico che ricorre in tutta la collezione: le tute sono arricchite da diversi stemmi ricamati adattati dai loghi della NASA, la cultura aeronautica e il mondo dello spazio che, come suggerisce Sankuankz, con lo sbarco sulla luna e le mirabolanti imprese successive, ha creato sempre più l’idea di un territorio in infinita espansione, un mondo senza limiti. Dove la religione, paradossalmente, rimane in un unico luogo interno alla mente umana.

Sankuanz usa materiali high-tech come il dyneema, la fibra aramidica, fibra di cuben trasparente e nastri adesivi: l’artigianato astronautico è messo così in evidenza con accessori meccanici in metallo, creando la sensazione di una sorta di collezione fatta davvero per andare nello spazio.

Le forme dei capi sono lunghe, abbondano le grandi dimensioni e i trench o gli abiti in monocromatica in bianco e nero sono una vera e propria firma del designer: come le tute da aviatore rivisitate in chiave simil-tunica da monaco tibetano, che danno alla collezione un elemento cerimoniale religioso.

Dare una spiegazione definitiva dello sconosciuto, impersonare i concetti della Safe House, usare gli abiti come mezzi per avvicinare le distanze e fonderle in una dimensione ultraterrena: è la poetica creativa di Sankuanz.

www.sankuanz.com

Credit by Giannoni Giovanni

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