Federico Cesari: “Mi metto alla prova e vi stupirò”

Abbiamo conosciuto Federico nel ruolo di Martino in “SKAM Italia”, che ha aperto le porte dell’Olimpo agli attori più amati dalle nuove generazioni italiane. Questa nuova stagione cinematografica lo ritrae come protagonista di un nuovo progetto, diretto da Francesco Bruni e tratto dal libro Premio Strega Giovani 2020 Daniele Mencarelli “Tutto chiede salvezza” che ci mostra in una rappresentazione forte e allo stesso tempo fragile il ritratto di questa nuova generazione attraverso la cruda esperienza dei trattamenti medici obbligatori. Lo vedremo poi nel primo film italiano Amazon Original, “Anni da Cane”, diretto da Fabio Mollo, e il prossimo autunno su Amazon Prime Video.

Su Manintown ti abbiamo scoperto quando interpretavi il ruolo di Martino Rametta in Skam. Cosa è successo in questo anno e mezzo?

In questo anno e mezzo è successo tanto perché sono maturato molto e ho affrontato progetti che mi hanno aiutato a capire ancora di più questo lavoro. Non si smette mai di imparare, continuo a seguire nuovi lavori dai quali apprendo molto e mi auguro che sia sempre così. Sto lavorando a progetti che mi hanno permesso di cimentarmi in storie e dimensioni che sono totalmente lontane da me ma che mi permettono, grazie all’esperienza indiretta, di viverle e quindi di crescere. 



Cosa puoi dirmi del tuo ruolo in Anni da cane?

In Anni da cane ho un ruolo diverso da quelli che ho sempre interpretato perché nonostante sia sempre un adolescente, il personaggio è molto ben caratterizzato. Nel film il personaggio è fortemente caratterizzato dal suo impaccio, dall’ incapacità e timidezza nel comunicare i sentimenti e questo motivo lo porta a sviluppare un modo di relazionarsi diverso da quello dei suoi coetanei. 

Un ruolo che vorresti interpretare?

Non ne ho uno specifico, ne vorrei uno che mi metta alla prova, anche se sono contento di quelli che ho avuto fino ad ora. In generale mi appassiono molto ai personaggi più diversi da me, che mi portano ad uscire fuori dal mio.

Sei tra le new faces del nostro nuovo numero cartaceo insieme ad altri giovani talenti, chi apprezzi particolarmente tra le nuove generazioni?

Sono contento che si stia dando spazio ai nuovi talenti e alle giovani promesse perché possono dare tanto e, se messi alla prova, possono maturare moltissimo arrivando a regalare bellissime emozioni al pubblico ma anche al nostro cinema. Chi apprezzo particolarmente lo tengo per me…



Parallelamente alla carriera di attore come proseguono gli studi universitari?

Gli studi universitari procedono un po’ a rilento per via degli impegni lavorativi che sto avendo in questo periodo. È importante arrivare al momento di una scelta e io l’ho fatta. Questa è stata fatta come parte di un processo di maturazione nell’ultimo anno e mezzo e per adesso sono soddisfatto del percorso fatto finora compatibilmente con il lavoro che ho intrapreso. Se valuto esclusivamente il mio percorso accademico senza metterlo in relazione al mio lavoro si creano delle aspettative che non vengono soddisfatte per forza di cose perché non ho tempo ed energie piene da dedicare all’università. Da un certo lato mi dico di aver fatto il massimo, dall’altro lato se la mia vita dovesse essere il percorso da medico, dovrò sicuramente recuperare della strada. 

Il tuo motto?

Non ho un motto preciso, cerco sempre di mettermi in gioco per superarmi e stupirmi ogni volta ma senza dimenticare da dove sono partito ossia dal divertimento e dalla bellezza che c’è nel mio lavoro cercando di non focalizzarmi solo sul fatto che sia un lavoro e quindi bisogna ottenere dei risultati a tutti i costi. Ci sono periodi in cui le aspettative non sono raggiunte ma questo fa parte del processo. 

Prospettive per i prossimi mesi?

Nei prossimi mesi tanto lavoro e tanta concentrazione. Sto affrontando un progetto bellissimo di cui sono molto felice e che mi sta facendo scoprire parti di me che non conoscevo. Molto faticoso, ma che spero possa dare tanto alle persone. Al momento è l’unico focus e vorrei che anche in quelli successivi ci siano molte soddisfazioni, perché ce la sto mettendo tutta. 


Photographer Davide Musto

Fashion Director Rosamaria Coniglio

Grooming Cosimo Bellomo

Photographer Assistants Dario Tucci and Edoardo Russi

Styling Assistant Cecilia Fefè

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Marco Aceti ed il suo momento magico

Marco Aceti, sin dal suo primo ruolo di Cesare in “Notte prima degli esami” di strada ne ha fatta tantissima, senza mai tralasciare il suo primo lavoro, o come lo chiama lui il suo primo amore ovvero il Vigile del Fuoco.

Chi fa un mestiere come il suo, sicuramente deve avere un cuore d’oro, forse non per tutti ma sicuramente è il suo caso.

Possiamo dire che sicuramente quello che lo aspetta è un autunno di fuoco, infatti ora è in scena al Teatro Petrolini di Roma con uno spettacolo molto forte intitolato “Le regole del gioco”, e poi su Amazon Prime Video con il nuovo film che lo vede protagonista “Lettera H”, basato sulle vicende del mostro di Firenze.



Hai sempre avuto la passione per la recitazione?

Certo, sin da piccolo infatti ho iniziato con i fotoromanzi, con la famosa Lancio, la casa di produzione, però mi son accorto subito che non ero soddisfatto in quanto davo la battuta con l’intenzione, però poi l’azione non c’era.

Poi ovviamente ho studiato recitazione e ad un certo punto mi è arrivato il ruolo di Cesare a diciassette anni per “Notte prima degli esami”, un ragazzo simpatico, anzi un vero e proprio guascone, un personaggio che mi ha dato una discreta popolarità in quanto il pubblico si era affezionato a lui.

Il classico ragazzo di borgata senza pensieri che porta sempre allegria, non ti nego che sono molto legato a lui.



Però il tuo lavoro è quello di Vigile del Fuoco.

Lo sono da quasi diciassette anni, e ti dirò la verità quando mi arrivò la cartolina per il militare io avevo già fatto “Notte prima degli esami”, e scelsi di fare il pompiere semplicemente perché avevo la caserma vicino casa, mi sembrava la scelta migliore.

Così per caso mi sono affacciato ad un lavoro di cui mi sono innamorato gradualmente, anche perché quotidianamente mi regala esperienze incredibili, ed alla fine mi è sempre servito per bilanciare il lavoro di attore che non sempre magari riesce riempirti al cento per cento.

Credo di poter dire di essere ad un punto artisticamente alto della mia vita, con dei progetti in cui credo con tutto il cuore, quindi lo vivo al meglio.



Come fai a far collimare le due professioni?

Per me è naturale, sono due mondi paralleli, ci son cresciuto, fare il pompiere è il mio lavoro, fare l’attore è la mia passione, quello che ho sempre sognato di fare sin da piccolo.

Uno compensa l’altro in maniera inscindibile.

Raccontami del tuo spettacolo teatrale.

Siamo ora in scena al Teatro Petrolini dal 5 al 10 ottobre con “Le regole del gioco”, che è la storia di una crisi coppia, con la resa dei conti finale tra separati, dove andiamo a toccare diversi aspetti, come la violenza psicologica femminile, che viene fatta nei confronti dell’uomo di cui si parla poco.

Per poi arrivare alla psicopatia, per poi arrivare al femminicidio di cui sentiamo tristemente parlare anche troppo.



E poi hai anche “Lettera H” in uscita su Amazon Prime Video.

Lettera H, lo considero un po’ come il mio bambino per la regia di Dario Germani, Giulia Todaro è l’altra attrice protagonista ed è un film che tratta uno degli omicidi del mostro di Firenze, quello della FIAT 127.

Lettera H, è il nome del tipo proiettile utilizzato dal famigerato gruppo di merende del mostro di Firenze, ed andiamo a raccontare la storia di Sebastian, che per l’appunto interpreto, un ex nazi-skin, completamente tatuato, infatti avevo ventitre tatuaggi di scena fantastici che mi facevano compagnia.

Seba fa il carrozziere e compra una macchina da restaurare, ignaro del fatto che l’auto fosse appartenuta ai malcapitati dell’omicidio, così entrando in contatto con la storia accaduta, inizia un viaggio mentale che lo porterà a mettere in atto quello che ha visto nel suo trip.

Faces: Eduardo Scarpetta

Ph: Davide Musto

Styling: OTHER, Sara Castelli Gattinara e Vanessa Bozzacchi

Location: Palazzo Dama

Location Manager: Luisa Berio

Particolarmente noto al grande pubblico per la sua interpretazione nelle serie tv L’amica geniale, Eduardo Scarpetta discende da una delle più note e famose famiglie teatrali napoletane. È infatti nipote di Vincenzo, figlio del senior Eduardo Scarpetta, grande autore e commediografo dei primi del ‘900. La scorsa settimana lo abbiamo seguito in uno dei suoi ultimi lavori per la televisione, Carosello Carosone in onda su Rai 1, ecco la nostra intervista.


Come e quando inizia la tua carriera da attore? 

Ho iniziato a 9 anni con mio padre con “Feliciello e Feliciella” per i 150 dalla nascita di Eduardo Scarpetta, uscire di scena mi rendeva il bambino più felice del mondo, è stato facile scegliere la strada da percorrere.


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Come ci si sente a essere l’erede del grande attore del teatro napoletano Eduardo Scarpetta?

È un onore, scomodo quando me lo fanno pesare, non ho scelto io di esserlo, quello che posso fare io è affrontare il mio mestiere col massimo dell’impegno e del rispetto.


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Hai recitato ne “L’amica geniale” nel ruolo di Pasquale, cosa ti ha lasciato questo personaggio?

Pasquale, ma l’amica geniale in se, mi ha fatto conoscere più a fondo un mondo che conoscevo solo per sentito dire, credo sia scritta molto bene quindi ho scoperto delle dinamiche di quegli anni che non conoscevo. Pasquale mi ha restituito l’ideologia della sua classe sociale.

Se non avessi intrapreso la carriera da attore cosa saresti diventato?

È una domanda a cui non ho mai saputo dare un risposta, non c’è mai stato un piano B, sapevo che avrei fatto questo, a qualsiasi costo.


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Hai poco tempo per preparare la valigia. Cosa porti sicuramente con te?

Testi teatrali, un pallone, spazzolino e dentifricio. 

Un luogo che visiterai non appena si potrà viaggiare?

Non c’è un luogo in particolare, vorrei semplicemente viaggiare, per il mestiere che faccio è difficile pianificare un viaggio perché magari salta a causa di un lavoro che esce, è successo già diverse volte in passato, amo viaggiare, vorrei semplicemente riuscirci.


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Progetti futuri su cui stai lavorando?

Sto per iniziare le riprese del film “La donna per me” di Marco Martani, con un signor cast ma preferisco non dare altre anticipazioni per scaramanzia. 

L’innegabile forza di Griffin Matthews

Griffin Matthews è uno scrittore, regista, attivista e attore. L’attore di “Dear White People” è emerso come uno dei talenti più eclettici e ricercati sulla scena cinematografica attuale. Nel 2019, a seguito dell’uscita delle sue performance in “Dear White People” su Netflix e in “Ballers” su HBO, ha dimostrato di essere un’innegabile forza, capace di catturare l’attenzione del suo pubblico.

Quest’anno Griffin reciterà nell’attesissima serie “The Flight Attendant” (L’assistente di volo), con Kaley Cuoco. La serie racconta la storia di Cassie (Cuoco), un’assistente di volo che si sveglia nell’albergo sbagliato, nel letto sbagliato, affianco ad un uomo morto, senza avere idea di cosa sia successo. Griffin interpreta il ruolo di Shane Evans, collega di lavoro di Cassie, che conosce molti dei suoi segreti. La loro amicizia è messa alla prova nel momento in cui la vita di Cassie inizia a sbrogliarsi e le verità di tutti i personaggi iniziano a venire a galla.



Ecco a voi alcune domande che abbiamo posto a Griffin Matthews riguardo la sua carriera, per conoscere meglio il suo talento.

Come hai scoperto di avere una passione per la scrittura, la regia e la recitazione?

Mi esibisco da quando ero bambino. Nel mio soggiorno. Per i miei genitori. Per i miei fratelli. Non ho mai smesso di esibirmi. Fa parte del mio DNA. Recitare è la passione che ho inseguito quando ho dovuto decidere cosa volessi studiare al college. Sono entrato nella prestigiosa School of Drama presso la Carnegie Mellon University per studiare teatro musicale. È stato proprio qui che mi sono davvero appassionato allo storytelling, non solo come attore, ma anche come cantante, ballerino, scrittore e regista. Ho capito che avrei potuto fare molto più di quanto avessi mai sognato!



In che modo la tua carriera ti ha cambiato la vita?

Lavorare in questo ambito significa che la tua vita sarà in continua trasformazione. Lavoriamo ad orari strani. Viaggiamo in posti nuovi, sempre preoccupati per la stabilità e il denaro. Combattiamo per mantenere intatte le nostre relazioni. Questa carriera richiede grandi sacrifici, ma mi permette di crescere, imparare e migliorare costantemente, sia come artista che come persona.

Qual è stato il traguardo più impegnativo della tua carriera?

Penso che il traguardo più impegnativo sia stato rimanere paziente e fiducioso. Ho 38 anni. Mi ci è voluto tanto tempo per emergere in questo settore. Sono davvero orgoglioso di non aver mollato. Di aver aspettato pazientemente. Di essere andato a tutti i casting. Di essere sopravvissuto a tutti i no ricevuti. Ovviamente, ho ancora molti traguardi da raggiungere, ma sono davvero orgoglioso di “The Flight Attendant”. Mi sento così fortunato ad aver preso parte a questo show!



In quanto omosessuale e di colore, hai avuto difficoltà nell’ottenimento dei ruoli che hai interpretato?

La mia battaglia principale è stata dimostrare al mondo e a questo setttore che posso essere qualcosa di più dello “sciocco migliore amico gay”. A volte i ruoli sono così ricchi di cliché e pregiudizi. Mancano di specificità. Mancano di umanità. Mancano di profondità. Quindi ogni volta che ho la possibilità di interpretare un ruolo, faccio tutto ciò che è in mio potere per dargli autenticità. Questo implica essere vulnerabili, intelligenti e ricchi di sfumature. Il mio obiettivo è che gli spettatori vedano qualcosa di nuovo, cosicchè possano cambiare il loro pensiero nei nostri confronti.

Com’è stato lavorare come collega di Kaley Cuoco in “The Flight Attendant?”

Ho adorato ogni minuto di lavoro con Kaley. Abbiamo stretto un’amicizia genuina durante le riprese. Dal momento in cui ci siamo incontrati, al mio provino finale e fino alle riprese, abbiamo avuto una chimica immediata. È molto divertente e simpatica, anche nella vita reale. Non si prende troppo sul serio. Abbiamo passato la maggior parte del nostro tempo a ridere a crepapelle e penso che questo si manifesti davvero nelle nostre esibizioni in “The Flight Attendant”.

Com’è stato girare parte della serie a Roma?

Ho amato Roma più di quanto si possa esprimere a parole. È una città magica e romantica. La sua cultura, il cibo, l’ospitalità italiana, la moda, i luoghi storici. Sono rimasto sbalordito! Nei miei giorni liberi, passavo ore da solo a passeggiare per le strade, fermandomi nei negozi e nei bar a parlare con estranei. Mi sono sentito come fossi a casa. Ho ufficialmente eletto l’Italia come la mia seconda casa.

Quanto è stato importante per te, a livello personale, interpretare un uomo omosessuale di colore in “Dear White People” e perché?

Interpretare D’Unte nella terza stagione di “Dear White People” ha cambiato la mia vita e la mia carriera. Quel personaggio mi ha permesso di essere “grande”. Ho dovuto correre dei rischi, dire cose controverse ed indossare abiti audaci. D’Unte non si è mai scusato per essere rumoroso, gay e fantastico. Mi ha insegnato ad essere rumoroso, gay e fantastico, sia sullo schermo che nella vita reale.

Qual è stata la lezione più importante che hai imparato nella tua carriera?

Sicuramente quella di fidarmi del mio istinto. Quando ho imparato a fidarmi del mio intuito, ho scoperto di saper accettare quelle che sono le conseguenze, buone o cattive che siano. Quando non ascolto il mio istinto, invece, finisco per avere rimpianti. Sto cercando di avere molti meno rimpianti nella mia vita.

Luca Chikovani: “Dalle cover su YouTube al Festival di Cannes anche grazie alla meditazione”

Luca Chikovani è un vero e proprio concentrato di energia. La sua carriera ha avuto inizio con delle cover su YouTube per poi coronare il proprio sogno con la pubblicazione con Universal dell’album “Start”. Adesso Luca ha cambiato pelle, ha avuto una vera e propria evoluzione che l’ha portato prima al cinema interpretando ruoli importanti come Tancredi nel film “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher e poi in tv nella serie Rai “Un passo dal cielo”. Nella nostra lunga chiacchierata abbiamo parlato dell’importanza del credere in se stessi e nelle proprie potenzialità e di come la meditazione può servire per capire realmente chi siamo.


Credits: c.d.a. Studio di Nardo s.r.l.

Luca com’è nata la passione per la musica?

Devi sapere che è nato tutto un po’ per caso anche se la musica mi appartiene fin da piccolo perché in Georgia (il suo paese natale, ndr) c’è proprio una cultura musicale, ogni famiglia ha un pianoforte e alla fine della cena si suona e si canta tutti insieme. Io nel corso degli anni non ho coltivato più di tanto questa passione finché un giorno il bidello della scuola mi ha prestato il dvd di “Moulin Rouge!”, l’ho visto e da lì ho iniziato a cantare senza però ottenere grandi risultati.

In quegli anni su YouTube andavano per la maggiore le cover fatte da Conor Maynard, Shawn Mendes e Justin Bieber e allora ho iniziato a pubblicarne anch’io. Se prima dovevi sperare nel colpo di fortuna per raggiungere le etichette e farti pubblicare, col web avevi il contatto diretto con il pubblico senza intermediari. Inizialmente a scuola mi hanno preso molto in giro, soprattutto i professori, ma io sono andato dritto per la mia strada con l’obiettivo di incidere i miei pezzi. Avevo bisogno di mettere da parte dei soldi per pagare l’incisione e un giorno, mentre cercavo proprio un lavoretto, sono entrato per caso in un negozio senza leggerne l’insegna ed era proprio uno studio di registrazione. Ho poi conosciuto il proprietario, il produttore Roberto Sterpetti, che mi ha visto super motivato, pieno di idee e ha deciso di mettermi alla prova. Dopo un po’ di mesi ho firmato con loro il mio primo contratto e abbiamo pubblicato i primi brani. Poi mi sono trasferito a Milano per l’università e ho conosciuto tra gli altri Michele Bravi che mi ha chiesto di aprire i suoi concerti; alla tappa di Milano mi hanno notato i suoi discografici della Universal che poi mi hanno proposto di lavorare insieme. Così è nato “Start”.



Poi è arrivata Alice Rohrwacher e il suo “Lazzaro Felice”…

Sì, e anche qui c’entra la musica! Quando è uscito il video del mio singolo “On my own” è stato trasmesso da MTV e casualmente un giorno Alice e Chiara Polizzi (la casting director del film, ndr) mentre erano insieme in un bar lo hanno visto e si sono chieste chi fossi, mi hanno cercato e proposto di fare il casting per il ruolo di Tancredi anche se io, sinceramente, non volevo farlo perché non avevo mai recitato in vita mia.

Il provino andò malissimo, ero molto timido. Ricordo che c’era un altro attore che interpretava Lazzaro ma era caratterialmente molto dominante rispetto a me tanto da mettermi in difficoltà e farmi bloccare. Alice lo notò subito e mi chiese “riesci a impegnarti se lo vuoi? Sì? Allora non esci dalla stanza finché non lo fai”. Fu lei a interpretare Lazzaro e io Tancredi e così il provino andò bene. Le sono molto grato, se non ci fosse stata lei avrei perso una grande opportunità. Molte volte si ha paura e si è insicuri senza un reale motivo e lei me l’ha fatto capire.

Tu sei tra i protagonisti del corto “Revenge Room” che tratta una tematica molto attuale…

Sì, dopo “Lazzaro felice” sono stato in giro per molti festival che mi hanno permesso di farmi conoscere. Mi hanno proposto un ruolo nel corto prodotto della Rai “Revenge Room” che parla del revenge porn, un argomento molto caldo in questo periodo, dove ho avuto il piacere di lavorare con Alessio Boni, Violante Placido ed Eleonora Gaggero. Avevo molta paura del ruolo perché era stato precedentemente rifiutato da tre attori a causa dell’immagine malvagia che trasmetteva il personaggio ma Alice mi ha insegnato che le parti bisogna modellarle sull’attore e così ho fatto.

E’ stata un’esperienza significativa perché abbiamo girato tutto in un giorno, era un lungo piano sequenza. Poi Alessio Boni è stato magistrale, mi ricordo che prima di iniziare a girare una scena di un litigio mi ha insultato perché era già entrato nel ruolo per rendere tutto il più veritiero possibile e infatti la scena è uscita benissimo.



Chi è Luca oggi?

Non lo so, come faccio a saperlo? Cambio ogni giorno! Ci pensavo ultimamente, molte volte la gente mi dice: “ora fai cinema? E la musica?”, abbiamo in testa l’idea che ognuno ha un percorso ben definito ma non è così. Se adesso voglio fare il cantante e tra un anno l’archeologo nessuno me lo vieta. Per me è stata fondamentale la meditazione che mi ha permesso di controllare la recitazione che non avevo mai studiato. Mi ha reso conscio del fatto che non sono definito, non so cos’era Luca ieri e cosa sarà domani. Bisogna essere fluidi, sapersi adattare, cambiare, distruggere il proprio ego che a volte ci blocca a non andare oltre.

Qual è il consiglio che vuoi dare a chi sogna di intraprendere un percorso simile al tuo?

Molte volte ci concentriamo solo sull’esterno: “voglio fare il cantante quindi imparo a cantare”, è giustissimo però all’inizio secondo me bisogna concentrarsi su sé stessi. Bisogna lavorare prima interiormente e io l’ho fatto attraverso la meditazione, lo studio delle religioni e guardando dei film. Bisogna prima capire le tue emozioni, i tuoi pensieri, rendersi consci di questo e poi fare ciò che si vuole. A livello tecnico per gli attori consiglio di vedere tanti film perché noi esseri umani copiamo senza rendercene conto, assimiliamo ciò che vediamo.

Progetti per il futuro?

Ho appena finito di girare per Sky Atlantic il film “Power of Rome” dove interpreto Augusto e sto completando le riprese della fiction “Un passo dal cielo” dove posso anticiparvi che canterò ma non vi spoilero troppo. Poi sto valutando dei progetti dall’estero ma la situazione causa covid è complessa, vedremo.

New faces: Guglielmo Poggi

Nonostante la giovane età il curriculum di Guglielmo Poggi è già ricchissimo. All’attivo diversi film di successo come Gli uomini d’oro nel 2019 , Bentornato Presidente, Il tuttofare, Beata ignoranza. Prima ancora lo abbiamo visto ne L’estate addosso e poi Il nostro ultimo. Il suo cortometraggio Siamo la fine del mondo viene poi selezionato per partecipare allo Short Film Corner del Festival di Cannes del 2017. 

Vive a pieno ogni personaggio e per il futuro non si preclude nessuna strada (e non parliamo solo di cinema) per questo motivo, da quello che ci ha raccontato sentiremo spesso parlare di lui.


Photo Credits: Davide Musto

Come è nata la tua passione per il cinema e la recitazione?

Questione di DNA, credo. Guardi e ascolti in casa, e riproponi. Verso i dieci anni ho cominciato col doppiaggio e da lì non mi sono fermato più. Però intendiamoci: non sono uno di quelli che vedevo presentarsi ai corsi di recitazione affermando “io non potrei mai fare altro nella vita”. E poi fanno altro nella vita. Io avrei potuto fare altro nella vita (il politico, l’aiuto cuoco, l’affilatore di coltelli). Per questo faccio l’attore. Per fare altro nella vita. Per fare tutto il resto.

Puoi svelarci qualcosa sul tuo personaggio in Cops – Una banda di poliziotti?

È biondo platino, ma ha una prepotente ricrescita scura. Dorme con il suo elegantissimo pigiama, dentro al commissariato di cui è il centralinista. Sull’ostentazione del suo orientamento sessuale e sulle sue abitudini quantomeno bislacche mi taccio. Ma solo per non fare spoiler.


Photo Credits: Davide Musto

C’è un ruolo tra quelli interpretati fino ad oggi che hai sentito più tuo?

Tutti, perché sono miei. È meno banale di quello che sembra: il privilegio è stato proprio avvicinarli, perché con me non avevano niente a che fare. Ho interpretato drogati, poliziotti, omosessuali, un vicepresidente del consiglio, un praticante avvocato (io l’università non l’ho vista nemmeno in foto), ho visitato gli anni sessanta, il seicento, persino l’antica Roma. Sono molto fortunato, tra i miei coetanei. Non mi hanno mai assunto per “fare me stesso”. E menomale.

Hai diretto alcuni cortometraggi che hanno avuto un grande successo. Quali sono i temi di cui vorresti parlare da regista?

Fin ora ho trattato anoressia, bulimia, molestie sulle donne, bioetica, suicidio giovanile, aberrazioni della tecnologia. Insomma, un allegrone. Mi ha sempre appassionato approcciare con uno sguardo non ordinario (e perché no, anche ironico) i temi più spinosi e drammatici che ci somministra la realtà, che diciamolo, non si fa mai pregare per mostrarci il peggio del peggio di sé. Però la mia opera prima (che prima o poi esisterà), sarà una commedia. Nera, ma commedia.

Come stai vivendo questo periodo di semi lockdown?

Sto girando una serie e la sera resto a casa a cucinare, vedo film, scrivo. Praticamente lo stile di vita che sogno. A rendermelo nemico è la difficoltà dei colleghi che rivedranno i teatri aperti chissà quando. E poi i ristoratori, chi lavora nel turismo e nell’intrattenimento. Ma anche la sofferenza di chi ha perso qualcuno, le difficoltà delle piccole imprese, gli artigiani costretti a chiudere. Ecco, non mi riesce non sentire nel profondo le ingiustizie, per parafrasare un rivoluzionario vero. Cerco di riflettere su come fare a contribuire nel mio piccolo, in questo esausto capitalismo, anche delle idee. Cerco, e non trovo, e questo rende il “semi-lockdown” ancora più cupo di quello precedente.

Un luogo in cui andresti appena si potrà tornare a viaggiare?

Vorrei andare a trovare i miei amici a New York e Los Angeles, sentire l’entusiasmo per il nuovo ciclo politico. E poi andare a scoprire un po’ della Cina, per capire in che direzione andrà il mondo. Ma ancora, tornare sereno e tranquillo a Milano a vedere un bello spettacolo al Piccolo, all’Elfo, al Partenti, ma anche a San Siro a vedere la mia Inter.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Al manicomio. O al Mibact. Come Ministro ovviamente. O a vivere in un appartamentino ad Upper West Side, a dirigere film nella mia amata San Pietroburgo, a imparare a fare le torte, magari a le Marais a Parigi (che per un aspirante aiuto cuoco essere incapace coi dolci è imperdonabile). Resta da capire se sarò io, Guglielmo, o i personaggi che interpreterò, a fare tutte queste belle cose. Facciamo che non c’è differenza?


Immagine di cover: Sky/Gianni Fiorito

New Faces: Giancarlo Commare

Giancarlo Commare, protagonista di fiction di successo targate Netflix come “Skam” o “Il paradiso delle signore”, il daytime di RAI1, arrivato dalla Sicilia per lasciare il segno, si racconta con le sue esperienze ed i suoi sogni. Conosce molto bene l’arte, in quanto la pratica e la conosce in tutte le sue forme; infatti, oltre a recitare è stato anche un ballerino a livello agonistico, e poi cantante, su cui ci sta lavorando.




In questi ultimi anni sei ovunque, non puoi lamentarti, che esperienza è stata Skam per te?

È stata un’esperienza al di fuori dell’ordinario, in quanto ho fatto i provini una settimana prima che cominciassero le riprese. Ero totalmente all’oscuro di questo mondo e non sapevo assolutamente a cosa sarei andato incontro, poi il call back, e mi son buttato a capofitto studiando tutto l’universo che lo circondava.

Ti ci sei ritrovato nel tuo personaggio?

Personalmente come Giancarlo nei panni di Edoardo assolutamente no, anche se poi nella terza stagione si è avvicinato al mio mondo, potrei dire che si è formato in corso d’opera come un vero work in progress. E poi è inutile dire quanto ci siamo trovati bene ed affiatatati con tutto il cast.



Ti ha fatto diventare un “istant Icon” dopo l’uscita della serie possiamo dire.

Diciamo che lo dite voi giornalisti, perché non l’ho ancora capito esattamente che cosa vuol dire. Certo ho visto una crescita esponenziale su Instagram, ed è stata una totale sorpresa per me.

Invece con un lavoro completamente diverso che è quello del “Paradiso delle signore” come ti trovi?

Mi diverto tantissimo perché il personaggio è super divertente, e come ho detto altre volte ho preso spunto da mio nonno, anche se lui non è così ignorante, però è goffo e viene dalla campagna, insomma ho trovato delle affinità e mi ci sono davvero affezionato tantissimo. E poi lavorare tutti i giorni con le stesse persone è come essere in famiglia ed in più professionalmente parlando è un’immensa palestra, perché ci si ritrova davanti alla macchina da presa quotidianamente. L’elemento che mi ha spaventato di più all’inizio era la quantità di scene che bisognava girare al giorno e senza margine di errore perché i tempi sono serrati, insomma una macchina da guerra.



Sei un attore direi quasi di formazione Americana, in quanto balli, canti, reciti, quale passione è arrivata per prima?

Il primo amore in assoluto è la recitazione, in quanto l’ho scoperta veramente da piccolissimo mentre facevo una recita natalizia, che all’inizio non volevo nemmeno fare, ed invece la sera stessa ho detto a mia madre che avrei voluto fare proprio quello da grande. Poi negli anni è arrivata la danza, che mi ha anche fatto accantonare la recitazione ad un certo punto poiché avevo intrapreso un percorso agonistico con buoni risultati nell’ambito del hip-hop, del funky e dei balli di coppia latino-americani. Ammetto di non essere un cantante perché in famiglia c’è mia sorella che è bravissima, però canto da attore se mi preparo.

Che rapporto hai con i social? Vedo che hai un ottimo seguito!

Pessimo, capisco quali siano i vantaggi dell’utilizzo di un social network in quanto la comunicazione è più immediata, si può arrivare prima alle persone per un concetto. Per quanto mi riguarda, non mi verrebbe mai in mente di postare cosa mangio a colazione o come mi lavo i denti. La cosa che mi fa innervosire maggiormente è che se tu pubblichi poi incontri un amico e dici: “si si, ma ho visto” e non hai più nulla da raccontare. Io non posto nulla così sono tutto da scoprire. Mi piace utilizzarli per lavoro o per aiutare magari a diffondere un messaggio importante.

In questo momento in cui l’arte è stata calpestata dalla pandemia, tu personalmente come la vivi?

Malissimo. Capisco perfettamente il momento storico e che dobbiamo combattere il virus, ma secondo me non è chiudendo i teatri o i cinema che si debellerà il COVID, anche perché sono proprio gli ambienti dove si assembra meno gente. Credo che sia una scelta di tipo economico non eccessivamente motivata. L’arte non dovrebbe mai essere fermata, è un dono, un regalo che ognuno di noi può ricevere; ad esempio, se vai ad una mostra e vedi un dipinto che ti regala un’emozione, magari ti risolve anche uno stato d’animo che in quel momento non era positivo e ti cambia la giornata. Senza l’arte, dilaga l’ignoranza più facilmente, perché l’arte è coinvolgimento.

Location: Hotel Valadier

Photo: Valentina Cerulli @valentinacerulliph

Mua: Arianna Nota @fotonota

Stylist: Alessia Rossetti @alexis_rode

Support progetto: Rondini Sonia @sonia_rondini

Alberto Malanchino, ecco il DOC nelle vostre mani

Photographer: Davide Musto @davide_musto 

Ass. Photographer: Emiliano Bossoletti @_emilianobossoletti

Stylist: Delia Terranova @deliaterranov

Grooming: Elisa Zamparelli @elisazamparelli @makingbeauty.management

Location: Osteria il Matto – Roma @osteriailmatto 


Alberto Malanchino, attore italiano con madre del Burkina Faso, si definisce un ragazzo dell’Hinterland Milanese, la sua passione per il cinema nasce sin da piccolo, anche se all’inizio intraprende studi più tecnici per poi capire che non erano la sua strada. Ora lo apprezziamo nel ruolo di Gabriel Kidane per la serie “Doc nelle tue mani”, uno dei maggiori successi della fiction targata RAI1.

Dimmi come nasce la tua passione per la recitazione..

La prima volta è stata sicuramente da piccolo in quanto vedevo molti film in compagnia di mia madre che è stata la prima persona a trasmettermi la passione per il cinema. E senza distinzione di bollino rosso o blue me li faceva vedere tutti, ed ho iniziato a subire il fascino degli attori come Al Pacino o Michele Placido, e ti sto parlando ancora di VHS, che sembra una vita fa. Ti confesso che ero molto incuriosito dal fatto che tutti parlassero italiano, allora poi mia madre mi ha spiegato che esisteva il doppiaggio, così è stata una doppia fascinazione.

Invece il secondo momento quando è stato?

Esattamente al quinto anno di ragioneria, dove la professoressa ci portò a vedere “Le allegre comari di Windsor”, mentre avevo amici che volevano proseguire gli studi con la Bocconi o insomma altre scuole, io ho capito di voler fare una scuola di recitazione. E così sono entrato in accademia a Milano alla Paolo Grassi.

In DOC nelle tue mani interpreti un giovane medico, come ti sei avvicinato al personaggio?

Innanzi tutto, ho cercato di vedere che cosa potessimo avere in comune io e lui, e mi è saltato subito all’occhio il fatto che tutti e due avessimo una grande dedizione per il lavoro. Poi c’è stato l’approccio professionale, ed in questo caso devo ringraziare il nostro regista Jan Michelini che ci ha permesso di fare un piccolo training all’interno del Policlinico Gemelli di Roma, per poter studiare tutte le varie dinamiche tra i pazienti ed i medici. Ed è stato di vitale importanza per poter utilizzare termini tecnici con una certa naturalezza e confort.

Il tuo ruolo ha origini Etiopi invece tu che origini hai?

Diciamo che sono dell’hinterland Milanese, dell’Altesana, dell’Adda, e poi per esigenze lavorative ovviamente mi son traferito a Milano. Il mio papà è italiano, mentre mia mamma è africana originaria del Burkina Faso.

Sin dalla prima puntata è stata un vero successo questa fiction, te lo saresti immaginato?

Ovviamente sono molto contento, perché la verità è che è stata una scommessa grandissima, in quanto da quello che mi dicevano il genere “medical” in Italia ha sempre fatto un po’ fatica ad attecchire. In più andando in onda con la prima parte della serie in piena pandemia, ci ha fatto riflettere sul fatto se fosse utile o meno far uscire una serie TV di quel genere in quel momento. E poi più che altro, avevamo iniziato a girare in tempi non sospetti, ma non avevamo finito, quindi aggiungiamo anche il dubbio se aspettare di finire o partire con la prima parte. Ed infine il pubblico ci ha premiato.

Come stai vivendo questa seconda devastante fase di pandemia?

Diciamo un po’ come tutti quelli chiusi in zona rossa sto aspettando giorni migliori, organizzo la mia vita creativa che prima non aveva il tempo di svilupparsi, come stesure di soggetti e scritture. E poi siamo stati svezzati dalla prima ondata quindi abbiamo trovato una quadra.

Che cosa non deve mai mancare nella tua valigia prima di un viaggio, quando torneremo a viaggiare?

Sicuramente una bella crema protezione 50, visto che non possiamo mai cambiare cromia della pelle per lavoro, e poi sicuramente un cellulare con tanta rete da poter comunicare con chi è distante.

Il percorso di Andrea Pittorino, giovane talento del cinema italiano

Giovanissimo ma già piuttosto famoso, Andrea Pittorino inizia a recitare a soli 4 anni. Comincia tutto con Un ciclone in famiglia, show diretto da Carlo Vanzina, vestendo i panni di Ambrogino. Nel 2008 ha poi partecipato alla serie Mogli a pezzi, ma l’abbiamo visto anche in Le segretarie del sestoDov’è mia figliaDon MatteoIl tredicesimo apostoloLe tre rose di Eva e Squadra Antimafia – Il ritorno del boss. Andrea è stato anche fra gli attori di L’Aquila – Grandi speranze e ha recitato anche sul grande schermo. Gabriele Muccino, ad esempio, l’ha scelto per recitare in Gli anni più belli interpretando il ruolo di Paolo Incoronato. Una lunga carriera, non sempre facile e che ha richiesto numerosi sacrifici, ma nonostante i momenti di blocco e di maggiore incertezza, ha sempre ritrovato in se stesso la conferma di una passione che lo spinge ad andare avanti in questo percorso come racconta nella nostra intervista.

Stylist: Stefania Sciortino – Assistente: Rosamaria D’Anna 

Fotografo: Davide Musto – Assistenti : Dario Tucci, Emiliano Bossoletti 

Grooming: Marta Ricci per Simone Belli Agency

Location: Palmerie Parioli – Thanks to: Sonia Rondini

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Come è iniziata la tua carriera da attore?

La mia carriera da attore inizia all’età di 4 anni, con la partecipazione alla fiction “Un Ciclone in Famiglia”, tuttavia, essendo così piccolo, di quel periodo ho ricordi piuttosto offuscati. Nonostante i miei genitori non abbiano mai fatto parte del mondo dello spettacolo, mio padre ha sempre avuto una passione per l’arte vedendo in me del potenziale e spingendomi in questo campo. La prima produzione della quale ho memoria è “Don Matteo”dove interpretavo il ruolo di Agostino, un bambino orfano ospite della Canonica. Ho poi preso parte a svariate serie televisive e all’età di 10 anni, ho girato il mio primo film che sarebbe poi stato presentato nelle sale cinematografiche italiane, “Mai Stati Uniti”. Questo mi ha permesso di visitare parte degli Stati Uniti in compagnia di mio padre. Dopo aver lavorato ad altre due produzioni cinematografiche e alla serie “Le 3 rose di Eva”, all’età di 12 anni, è arrivata l’opportunità che sognavo da tutta la vita: il mio primo film da protagonista, “La vita possibile”.

Nonostante io non abbia mai studiato recitazione, ho sempre avuto un carattere molto sensibile e ricettivo e questo sicuramente mi ha aiutato durante gli anni. Ho avuto una vita speciale, diversa da quella degli altri miei coetanei poiché, sin da molto piccolo, alternavo la scuola al lavoro e avevo già molte responsabilità.

Tra i personaggi che hai interpretato, c’è un ruolo in cui ti sei rivisto in modo particolare?

Il personaggio di Valerio, protagonista de “La vita possibile”, mi ha influenzato moltissimo. All’età di 13 anni, a seguito di questa produzione cinematografica, ho deciso di mettere in stand-by la mia carriera da attore, rinunciando così a moltissime proposte lavorative. Ho preso questa decisione perché ero stanco di dover essere diverso dagli altri, a volte addirittura negavo di fare l’attore, definendomi un ragazzo di borgata, proprio per provare un brivido di normalità. Come segno di protesta, vi è stato un periodo durante il quale ebbi delle forti crisi interiori e decisi di rasarmi i capelli, proprio perché ero convinto che in quelle condizioni nessuno mi avrebbe più proposto un lavoro da attore. Inoltre, non sono mai riuscito a costruire delle vere amicizie, tranne pochissime, sicuramente a causa della mia vita così diversa da quella degli altri adolescenti.

Durante questo periodo di transizione però, mi sono reso conto che mi mancavano terribilmente il mio lavoro. Proprio per questo poi ho ripreso a recitare.

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Quale ruolo ti piacerebbe interpretare?

Ho sempre sognato di fare film dove esista anche il “nudo”, come avviene in produzioni quali Shame di Steve McQueen, Love di Gaspar Noè, il Cattivo Tenente di Abel Ferrara e molti altri ancora. Credo esista sempre un modo per raccontare la nudità, senza cadere nel volgare.

Che rapporto hai con i social?

Con i social ho un rapporto molto conflittuale, ancora non ho ben chiaro il ruolo che questi possono e potranno avere nella mia vita. Vi è stato un lungo periodo, mentre giravo un film diretto da Gabriele Muccino, durante il quale ho deciso di eliminare completamente tutti i social, whatsapp compreso, per entrare meglio nel ruolo di Paolo, un ragazzo di altri tempi. È in questo lasso di tempo che mi sono reso conto di non aver sentito in alcun modo la mancanza di queste piattaforme e anzi, credo che la mia vita in quel periodo fosse addirittura migliore. Penso che i social non siano un buon mezzo di comunicazione per i giovani, poiché rubano tempo che si potrebbe dedicare ad altre attività. Queste piattaforme possono essere utilizzate per esprimere messaggi, ma questi ultimi non potranno mai essere così forti come lo sono quelli trasmessi tramite musica, cinema e libri.

Che rapporto hai con la moda?

Non ho mai fatto moda nella mia vita, se non qualche servizio fotografico per la presentazione di nuovi film. Il mio primo vero shooting è stato proprio questo, con Manintown. L’esperienza si è rivelata incredibile, c’è stato subito un buon feeling con tutte le persone dello staff.  Ci siamo capiti perfettamente e abbiamo lavorato molto bene insieme.

Quali sono 3 capi che non possono mai mancare nel tuo guardaroba?

Generalmente mi vesto in maniera piuttosto semplice, oggi indosso una t-shirt e un maglioncino nero, un paio di jeans neri di Diesel e un paio di sneakers di Tod’s. Inoltre, vi sono anche degli accessori che non possono mai mancare, quali anelli e collane. Diciamo che nei miei outfit non rinuncio mai ad un paio di jeans e alla mia cintura nera con le borchie. Indosso anche camicie e giacche piuttosto eleganti, mentre un capo che proprio non mi piace è la tuta. Per quanto riguarda colorazioni e fantasie, prediligo colori neutri come il nero, il bianco e il blu.

Quando vivevo a Londra compravo spesso nei mercatini di Camden Town, mi piace inserire anche pezzi low cost nei miei look.

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Look MISSONI, Cappello in pelle con visiera Louis Vuitton

Ami viaggiare? Consigliaci una meta in cui recarci appena si potrà riprendere a farlo.

Mi piace tantissimo viaggiare. A mio parere, le tre città europee più belle sono Roma, Londra e Parigi. Un’altra città che mi è rimasta particolarmente nel cuore è Kyoto, in Giappone, con le sue case tipiche e i moltissimi alberi rosa durante la fioritura.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Puoi svelarci già qualcosa?

Non so che cosa mi riserverà il futuro, perché attualmente non ho ancora progetti confermati. Posso però dirti che vorrei fare tante cose, non solo nel cinema ma anche in altri frangenti. Ho un bisogno estremo di creare e ho molte idee, ma per ora non voglio ancora svelare nulla. Spero solo che tutti i miei sogni si possano realizzare presto.

Naya Rivera: 3 curiosità sull’attrice morta annegata

Chi ha seguito ed amato la serie tv musicale Glee, non può dimenticare la splendida Naya Rivera, talentuosa attrice statunitense che ha interpretava Santana Lopez.

Chi era Naya Rivera

Classe 1987, la Rivera è nata in California, a Santa Clarita, ma aveva origini portoricane ed afroamericane. Si può dire che la sua carriera è iniziata quando era ancora in fasce, partecipando a diversi spot pubblicitari.

A soli 4 anni diventa la star di The Royal Family e partecipa a molte serie tra cui Willie il principe di Bel Air, con Will Smith, e 8 sotto un tetto. La consacrazione sul piccolo schermo, però, avviene con Glee, dove grazie all’interpretazione di Santana, ha vinto un ALMA Award ed un People Choice Award.

La sua brillante carriera purtroppo, è stata stroncata da un terribile incidente in barca, sul lago Piru.

L’incidente in barca di Naya Rivera

Ancora non si sa con esattezza cosa sia successo quel giorno. La donna, stava facendo una gita in barca con il figlio Josey, nato dalla relazione con Ryan Dorsey, sul lago Piru, a pochi km da Los Angeles. Dopo alcune ore dalla perdita delle sue tracce, un turista ha rinvenuto la barca con dentro il piccolo che indossava un giubbotto di salvataggio, ma nessuna ombra della madre.

Sarà proprio il piccolo a raccontare di non aver più visto la madre risalire in superficie dopo essersi tuffata. L’ipotesi più verosimile, al momento è che si sia lanciata in acqua per salvare il figlioletto e che non sia riuscita più a risalire.

3 curiosità su Naya Rivera

1 Era stata arrestata per violenze domestiche.

La sua storia con Ryan Dorsey è stata lunga e travagliata. I due, dopo vari tira e molla, si erano sposati in Messico nel 2014 e dalla loro unione è nato il piccolo Josey, spettatore della tragedia. Nel 2017 lo stesso Dorsey la denunciò per violenza domestica, accusandola di averlo colpito sulla testa e sul labbro durante una passeggiata col figlio, dopo una discussione.

2 Era molto attiva nel sociale

Naya era molto sensibile ai problemi sociali: si dedicava infatti, in più ambiti, alla beneficenza. In particolare sosteneva associazioni come Stand Up To Cancer e The Trevor Project.

3 Ha provato a fare la cantante

L’attrice aveva tentato anche la carriera musicale. Nel 2013 ha provato a tramutare la sua professione diventando una cantante, ma ha subito cambiato idea., sono usciti però dopo qualche anno dei singoli inediti, che non aveva voluto pubblicare in precedenza.

Intervista a Moisé Curia

Moisé Curia, è un attore giovane con un curriculum vitae di tutto conto, ha in iziato a lavorare appena uscito dal Centro sperimentale di Roma, e come dice lui, è anche stato molto fortunato, aggiungo un vero talento.

Di origine calabrese, dopo aver iniziato da una gavetta particolare ovvero facendo l’artista di strada con la serie TV “Braccialetti rossi” raggiunge il pubblico italiano facendo breccia al cuore di tutti.

Lo abbiamo apprezzato in “Pezzi Unici” diretto da Cinzia TH Torrini al fianco di Sergio Castellitto, di cui si attende una speranzosa seconda stagione visto il successo della prima.

Hai sempre avuto la passione per la recitazione?

Direi proprio di sì e la conferma la ebbi dopo essere stato accettato al centro sperimentale di Roma, e proprio frequentando I corsi di recitazione incontrai Giacomo Campiotti, il quale stava per girare una miniserie per Raiuno “Non è mai troppo tardi”.

Era il mio primo provino appena uscito dall’Accademia, lo presi e diventare uno dei protagonisti della serie.

Il tuo picco di popolarità lo raggiungi con la serie cult “Braccialetti Rossi”…

Proprio lo stesso regista Giacomo o a chiamarmi ad interpretare uno dei personaggi della serie di Raiuno “braccialetti rossi”, da quel momento a me e a tutti gli altri ragazzi del cast posso dire che hai cambiato la vita. È stato quasi uno shock passare dall’essere un signor nessuno all’essere riconosciuto continuamente per la strada. E dopo questa esperienza sono iniziate ad arrivare proposte lavorative veramente interessanti.

Sei reduce da un grande successo di Rai1, te lo aspettavi?

Si, aver avuto l’opportunità di lavorare con una grande regista come Cinzia TH Torrini in “Pezzi Unici”, è stata un’esperienza meravigliosa, non c’è ancora nulla di confermato però visti gli ascolti della serie ci sono tutti presupposti per una seconda.

Cinzia lascia molta libertà agli attori ma appena esci dall’idea che lei si è fatta del personaggio si incazza veramente tantissimo, devo ammettere che mi ha sgridato parecchie volte. Il ritmo thriller che ha voluto dare alla storia credo che sia la componente che ha tenuto i telespettatori inchiodati alla domenica sera.

Parlami del tuo film in uscita, appena riapriranno i cinema..

È un film molto duro, in quanto è una denuncia contro la pedofilia. Il mio personaggio è veramente difficile in quanto interpreto il rapitore della bambina non che il pedofilo.

Nel film in generale non viene nulla di esplicito e tutto implicito, un ruolo decisamente lontano da me, un tossico un pazzo un pervertito, senza svelare troppo posso dire che in tutto questo malessere c’è anche una sorta di poesia.

Nel cast insieme a me c’è Valeria Golino, c’è Cosima Stratan che ha vinto la Palma d’oro a Cannes con un film che si chiama oltre le colline, e poi molte star da Ukraina e tedesche in quanto il film è tutto girato nell’est Europa.

Che rapporto hai con la moda?

A me piace tantissimo la moda, mi è capitato svariate volte di partecipare a servizi fotografici di moda e devo dire che mi diverto tantissimo, infatti a volte mi confronto con la mia fidanzata su come vestirmi e devo ammettere che è una passione per il tessuto delle camicie.

Cosa ti rende più felice nella vita?

Sicuramente la mia fidanzata Lara, è stato un incontro bellissimo, pensavo di aver raggiunto tanti obiettivi nella mia vita, invece quando l’ho incontrata in un locale a Torino ho capito che forse mi manca qualcosa.

Ma la cosa più bella è che quell’incontro non è mai terminato siamo stati legati fin dal primo momento.

E cosa ti fa arrabbiare di più?

Non amo che non ha il coraggio di parlare in faccia, amo la chiarezza, soprattutto in un ambiente artistico. Mi infastidiscono le persone che arrivano ad un obiettivo per non so quale motivo senza lo studio la preparazione e la professionalità.

La tua vacanza ideale?

Sono nato a Rossano Calabro, quindi per me in una vacanza ci deve essere per forza al mare. Se dovessi cambiare vita andrei a vivere ai Caraibi con solo il mare davanti a me e la mia fidanzata al mio fianco.

Alessio Vassallo: un talento Made in Sicily

Alessio Vassallo, lo abbiamo conosciuto ed apprezzato in serie televisive di grandissimo successo come “Il giovane Montalbano” di Andrea Camilleri ed “I Medici”, ma lui si divide anche tra cinema e teatro.
Un attore introverso ed impegnato, che porta dentro di sé tutto il calore della sua terra d’origine: la Sicilia.

Partiamo dalla vocazione del sacro fuoco della recitazione. Quando nasce?

Abbastanza per caso in quanto mi trovavo a Palermo in ospedale operato di appendicite, ed affianco a me ricoverato c’era un’insegnante di recitazione, e parlando, mi disse quando esci magari vieni a fare un corso di teatro.
A me sinceramente sembrava una cosa surreale, un po’ come se mi avessero chiesto vieni a fare alpinismo.
Però da li mi si è aperto un mondo espressivo che non conoscevo in quanto ero molto introverso. Ho comunicato immediatamente ai miei genitori la volontà di trasferirmi a Roma e tentare il mio ingresso all’accademia Silvio D’amico.
Il risultato fu che mi presero, e la mia passione, quindi la mia carriera iniziò a consolidarsi.

Credi nella formazione continua?

Assolutamente si, non smetto mai di studiare, leggere ed informarmi, perché prima di tutto sono uno spettatore, nonché un divoratore di romanzi. Amo quello che faccio, apparire e fare interviste è solo una conseguenza della mia professione.

Hai interpretato Vespucci nei Medici, com’è stato lavorare in una produzione internazionale?

Decisamente unica, in quanto tutta girata in presa diretta in lingua inglese, e poi il ritrovarsi con dei costumi originali incredibili che ti fanno respirare la storia con un tuffo nel Rinascimento, è davvero bellissimo.
Mi son ritrovato a veder girare delle scene in cui forse mi son divertito di più a fare lo spettatore, per la precisione minuziosa dei dettagli che mi circondavano.

Ho letto che sul set de “Il giorno più bello” hai ricevuto attacchi e offese in quanto interpretavi un ragazzo omosessuale.

Per la precisione era un momento fuori dal set, nel senso che eravamo per strada a far dei selfie abbracciati con il mio partner di scena.
Certo avevamo una certa intimità, pur senza baciarci, al fine di utilizzare gli stessi scatti per il set, come magari le foto sparse per casa o sul frigo.
Tutto questo succedeva Roma, con le macchine che passando a finestrino abbassato ci urlavano la qualunque.
Sembra che l’Italia sia focalizzata sui migranti, quando il problema dei diritti civili, è un tema molto più forte e che ci riguarda tutti da vicino.
Le leggi ci sono, è vero, ma quanto vengono onorate? Mi domando sempre questo.
La legge dovrebbe diventare normalità entrando negli ambienti sociali. Purtroppo, siamo indietro con il concetto di diversità.

Ho visto il manifesto che mi ha molto colpito, dimmi del tuo ultimo progetto MENS-A.

Sono molto emozionato per queste letture di OZ, scrittore mancato quest’anno, che faremo al museo Ebraico di Bologna, sono rimasto sorpreso dall’ironia con cui vengono descritti i momenti della deportazione, che non ti aspetti assolutamente.
Una vera e propria lente d’ingrandimento sulla diversità.
Quando qualcuno dice:” tu sei diverso da me”, in realtà è proprio lui quello diverso, la diversità viene sempre vista come un qualcosa che non appartiene a noi.

Dimmi il momento più bello della tua carriera.

Sicuramente la vincita del premio alla festa del Cinema di Roma con il film “Fino a qui tutto bene” di Roan Johnson, è stato bello in quanto ho fatto il red carpet con mio padre, ed è stato soprattutto vedere lui emozionato per me quando all’Auditorium mi hanno chiamato per nome sul palco che mi ha colpito maggiormente.

Quanto hai della tua terra dentro di te?

Tantissimo, vivo a Roma da sedici anni e ne ho vissuti diciotto a Palermo, quindi sono mezzo e mezzo, sono sicuro che sarò sempre un Siciliano per il mio modo di pensare nonché per il mio ritmo. Il mio DNA è questo.

Cosa non deve mai mancare nella tua valigia prima di partire per un viaggio? Non mi dire un libro…sei già troppo impegnato.

Sicuramente, anche se sembra brutto dirlo, son calze e mutande me le scordo sempre, infatti a casa mia a Roma ho un negozio intero di biancheria intima, in quanto continuo a comprarne di nuove ogni volta che mi sposto.
Faccio un appello a tutti: quando sto per partire, fatemi una telefonata: “Alessio le hai preso le calze e le mutande?”.

Crediti foto: Davide Bonaiuti

®Riproduzione riservata

NON SOLO CINEMA: MATTEO MARTARI

Un passato da modello, un folgorante presente da attore. A trentaquattro anni Matteo Martari, nato sotto il segno del Sagittario, si è cimentato in molti ruoli fra cinema e televisione. Un talento naturale il suo che lo fa presto notare e approdare al cinema dove debutta con la partecipazione nel film di Gianni Zanasi ‘La Felicità è un sistema complesso’. Il salto arriva quando conquista un ruolo nella mini serie di Rai1 ‘Luisa Spagnoli’ ed entra nel cast della serie televisiva di Rai3 ‘Non uccidere’, lavori che lo fanno conoscere al grande pubblico e lo porteranno a lavorare con registi come il premio Oscar Michel Hazanavicius che lo dirige nel film ‘Le Redoutable’ presentato a Cannes. Di recente lo abbiamo visto in televisione nel secondo capitolo della produzione internazionale ‘I Medici’ in cui ha vestito i panni di Francesco de’Pazzi che ne ha decretato ulteriormente il successo in un ruolo intenso e drammatico.

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti di carriera? Più televisione o più cinema nel tuo futuro?

Nel futuro prossimo, nel 2019, andranno in onda due progetti televisivi ai quali ho lavorato: le nuove puntate di “A un passo dal cielo” e la serie “Non mentire” diretta da Gianluca Maria Tavarelli. Non è una questione di televisione o cinema, secondo me è il ruolo la giusta considerazione da fare.

Fra le tue passioni sportive spiccano i motori….

Una passione che nasce sin da piccolo, attraversando quasi tutta l’Italia tra rally con mio padre e gare di moto con mio cugino. I motori hanno sempre fatto parte della mia vita fra formula uno e MotoGP. Trentaquattro anni dopo sono cambiate tantissime cose, ma la domenica è ancora Formula Uno e MotoGP. Recentemente ho preso la licenza sportiva da pilota…ne vedremo delle belle, chissà.

Ti piacerebbe interpretare un personaggio sportivo in tv o al cinema? In caso chi e perché?

Si mi piacerebbe molto. Se facessero un film su Colin McRae, vorrei poter fare almeno il provino. È stato il più grande campione di Rally della storia (al momento).

L’esperienza più esaltante della tua vita in senso globale?

Credo sia stata la mia nascita, c’ero, anche se ho dei ricordi molto confusi a riguardo.

Capo must del tuo guardaroba?

Il cappello…

Un luogo del corpo e dell’anima.

Trovo il mio equilibrio in montagna, purtroppo però non ci vado troppo spesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

®Riproduzione riservata

ANDREA CARPENZANO

Chi è veramente Andrea Carpenzano? Le versioni sono tante, quella del “bad-boy” di Roma, oppure il giovanissimo attore, considerato la nuova promessa del cinema italiano, ma lui non si rivede in nessuna di queste. Dice di essere stato fortunato ed aver incontrato persone giuste che lo hanno instradato ad un mestiere a cui lui non pensava proprio.
La sua carta vincente è la trasparenza che ne fa un vero e proprio personaggio senza sovrastrutture.
Presto lo vedremo al cinema nei panni di astro nascente del calcio, un mix di genio e sregolatezza che incontrerà Stefano Accorsi, il quale lo aiuterà a diventare una persona migliore, dopo le tante bravate commesse. Commedia per la regia di Leonardo D’Agostini.

Trench, jacket, shirt and pants all by Gabriele Pasini

Jacket Barena, low tech hoodie by Lotto, pants Tela Genova, white sneakers Church’s

Suit and hoodie by Filippo Pecora, wrist band Nohant, trainers Church’s

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Long military orange coat Acne Studios, micro checked jacket Tagliatore, red hoodie C.P.Company, pants Pence 1979, Chelsea Boots by Church’s, hat Champion

Trench coat Allegri, striped pink jacket Thom Browne, white shirt Emporio Armani, tartan pants Gucci

Tartan Jacket, shirt with pin, all by Gabriele Pasini

Ti senti un bad-boy?

Sono stato una bella testa di …, soprattutto per la mia famiglia, ed un “paraculo” per i professori, finalmente adesso hanno visto che occupo il tempo in modo costruttivo senza far danni in giro, quindi diciamo che sono tutti più contenti.
Mi rendo conto di essere stato un macello per tutti quelli che mi stavano accanto.
Creavo costantemente problemi. Ma ora sono cambiato.

Che tipo di ragazzino sei stato?

Dipende delle fasi che ho avuto, la mia crescita è stata scandita da alti e bassi, da piccolino ad esempio ero molto tranquillo, silenzioso, tenebroso e sempre imbronciato.
Poi c’è stato il passaggio delle medie al liceo in cui ero completamente fuori di testa, andare a scuola: pochissimo, uscire alle quattro del pomeriggio per tornare alle cinque del mattino: sempre.
Finalmente ora mi son calmato, questo lavoro mi obbliga a ricordarmi che magari domani ho qualcosa da fare e quindi cerco di comportarmi bene.

Chi sono le persone che ti stanno più vicino in questo momento.

Pur se non è sempre al mio fianco, per me è mia sorella il mio punto di riferimento, è più grande di me e so di poter contare su di lei in qualsiasi momento.
Possiamo stare in silenzio, ma ci capiamo senza dire nulla.

Ti vedresti vivere in una città diversa da Roma.

Non te lo saprei dire, in quanto non sono mai stato troppo tempo lontano dalla mia città, e quando mi è capitato, alla fine mi manca sempre.
Parigi ad esempio è bellissima, ma poi ti manca la puzza, il disordine, insomma tutti i punti di riferimento della capitale.
Anche Milano, stupenda, ma questa cosa che l’autobus poi ti arriva sempre puntuale, per me è spiazzante. Non hai nemmeno il tempo di fumarti una sigaretta in pace.

Come ti sei preparato per il film in uscita con Stefano Accorsi “Il campione”.

Innanzitutto, sono entrato in una palestra per la prima volta nella mia vita, ed ho avuto occasione di toccare con mano che cosa vuol dire, alla fine non mi è dispiaciuto nemmeno troppo.
Poi mi sono allenato con una squadra di calcio, o almeno ci ho provato, perché anche se ti sforzi, se sei una “pippa”, tale rimani. Non basterà la fatica, ma ci saranno le inquadrature giuste che mi salveranno.
(mi confida che la passione per il calcio l’ha sempre avuta, ma solo da spettatore, anche perché quando da piccolo chiese a sua madre di iscriverlo, le rispose di no, perché altrimenti sarebbe diventato un “cojone”, ndr).

Cosa ne pensi di te come attore.

Oddio, non posso nemmeno dire parolacce, mi trovo in difficoltà. Non so giudicarmi, il senso critico lo abbiamo tutti, quando mi vedo recitare inorridisco, ma credo sia normale da quello che sento dire anche dai miei colleghi.
Preferisco non avere pensieri a riguardo, non sono capace e nemmeno incapace, sono così, e spero di non cambiare la mia visione, anche perché non voglio diventare una brutta persona con il rischio di sopravvalutarmi.

Hai un attore o un regista a cui ti ispiri, o con cui vorresti lavorare.

Non potrei mai ispirarmi ad un’altra persona, per quanto mi riguarda, traggo spunti dal mondo che mi circonda. Forse dal barbone sotto casa o da uno che guardo sulla metro.
Sul regista, difficile dirlo, i miei preferiti son tutti morti (ride,ndr).

La cosa che ti piace di più e quella che ti piace di meno del mestiere di attore.

Ciò che mi piace meno sono sicuramente le pubbliche relazioni forzate, solo perché non mi piace, non perché sono snob. Mi hanno sempre spiegato che fanno parte del gioco, ma per me non è cosi. Una persona; che può essere un regista, un attore o un produttore, se mi è simpatico ci vado a cena, altrimenti no, è semplice.
Non amo le imposizioni, o ancor peggio le dietrologie, solo quello.
Al contrario la cosa che mi diverte maggiormente è proprio il fatto di conoscere persone di ogni tipo dal casting director al macchinista, o l’addetto alle luci (che come dice lui, sono malati di mente di ogni tipo) e quindi fare le pubbliche relazioni non forzate.

Qual è il tuo tipo di vacanza ideale.

Non lo so perché non l’ho mai fatta pensandola come dovrebbe essere.
Forse in autunno andrei a fare un tour del vino, in Toscana o in Piemonte, visto che sicuramente la degustazione è tra le mie passioni.
In estate invece al mare in uno di quei posti che vedi solo in cartolina, che non sai esattamente se esistono davvero oppure no.

ENGLISH VERSION

Andrea Carpenzano will be in theatres soon as The Champion, but in real life is he the reputed “bad boy”?

Who really is Andrea Carpenzano? There are many versions- Rome’s “bad boy,” young actor considered to be the next promising talent in Italian film- but he doesn’t see himself as either. He claims to be lucky to have met the right people who lead him toward a career he had never even considered.

His trump card is his transparency, rendering him an honest personality without superfluity.

Soon he will appear on the silver screen as a rising football star, a mix between genius and unruly who, after years of mischief, meets Stefano Accorsi’s character who helps him become a better person. The comedy is directed by Leonardo D’Agostini.

Do you think of yourself as a bad-boy?

I was a real pain in the… especially for my family, and a piece of work to my teachers. Finally, they see that I now spend my time constructively, without running around doing damage, so I’d say they are all much happier now.
I realise that I was a disaster for all those around me.
I created trouble constantly. But now I’ve changed.

What were you like when you were young?

Depends on the phases I had. In the years growing up there were lots of ups and downs; when I was a child, for example, I was calm, quiet, even sombre and sullen.
Then there was the move from middle school to high where I was completely crazy, I barely showed up to school, I’d go out at four in the afternoon and come home at five in the morning, always.
Finally, I have calmed down. This job forces me to remember that I have to wake up and be responsible tomorrow, so I try to behave well.

Who are the people who are closest to you right now?

Even though she’s not always by my side, my sister is my go-to person; she’s older than me and I know I can count on her at any time.
We can even be together in silence; we understand each other without saying a word.

Do you see yourself living in any city besides Rome?

I couldn’t say, because I haven’t spent much time far from my city and when I have, in the end, I always miss it.
Paris, for example, is beautiful, but it doesn’t have the smell, the chaos, basically all the characteristics of my capital city.
Even Milan is great but the fact that the bus is always on time, for me, is unsettling. You don’t even have time to smoke a cigarette in peace.

How did you prepare for the upcoming film with Stefano Accorsi, The Champion?

First of all, I stepped inside a gym for the first time in my life and saw first-hand what it means to work out, which in the end wasn’t all that bad.
Then I trained with a football team- or at least I tried- because even if you push yourself, if you suck, you suck. Effort is not enough, but luckily the right camera angles and editing will save me.

I’ve always had a passion for football, but only as a spectator. When I asked my mother to sign me up for a league when I was young, she said ‘no’ because otherwise I would have become a “cojone.”

What do you think of yourself as an actor?

Oh man, I can’t use curse words, so I’m stuck about what to say. I don’t know how to judge myself, the critical sense we all have- when I see myself acting, I’m horrified. But I think it’s normal based on what I hear even from my colleagues.
I prefer not to think about it, I’m neither good nor bad, just so so, and I hope not to change my opinion. I do not want to become an arrogant person by overestimating myself.

You have an actor or director who inspires you, or with whom you would like to work?

I never get inspiration directly from another person as an actor, I draw inspiration from the world around me. It may be from the homeless man on my street or from someone I see on the metro.
As for a favourite director, it’s hard to say, but my favourites are all dead (laughs).

What do you like best and least about the acting profession?

What I enjoy least is most certainly the forced public relations, simply because I don’t like doing it, not because I’m a snob. It has always been explained to me that it’s just part of the job, but for me it’s an burden. In my book, if a person is nice- whether a director, an actor, a producer- I’ll go to dinner with him or her; otherwise I won’t, it’s that simple.
I don’t like the obligation, the blowing hot air, that’s all.
On the other hand, the thing that I enjoy the most is getting to meet all kinds people, from the casting director to the stagehand or the lighting person- I’m intrigued by all types of people- hence non-forced, natural public relations.

What is your ideal holiday?

I’m not sure, because I’ve never planned a trip thinking about the ideal.
Maybe in autumn I would go for a wine tour in Tuscany or Piedmont, as wine-tasting is one of my passions.
In the summer, though, I’d go to the seaside, to one of those places I’ve only seen in postcards that I’m not sure really exists or not.

Photography PASQUALE ABBATTISTA

Styling 11

Grooming GIUSEPPE GIARRATANA

Postproduction ALESSANDRO LAMANNA

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RICCARDO MANDOLINI, ENFANT PRODIGE DELLA FICTION

La definizione di ‘enfant prodige’ gli calza a pennello. Non capita a tutti del resto debuttare a teatro a 13 anni e a 18 ampiamente compiuti, già con un’esperienza di cinema alle spalle, diventare uno dei protagonisti di una serie Netflix che si intitola appunto ‘Baby’ ed è visibile in 190 paesi. Senza contare un cast stellare che affianca agli attori più giovani in ruoli teen, personalità del calibro di Isabella Ferrari, Claudia Pandolfi e Massimo Poggio. Romano, classe 2000, segno zodiacale Acquario, Riccardo Mandolini pur interpretando un ruolo, quello di Damiano nella fiction ‘Baby’ dal 30 novembre sulla piattaforma Netflix, che per molti attori è un punto d’arrivo mentre per lui potrebbe rivelarsi un trampolino di lancio, non si monta la testa anche se qualcuno potrebbe dire che, date le sue credenziali, ha la strada spianata. Un po’ anche perché è figlio d’arte: la mamma è l’attrice Nadia Rinaldi mentre il padre Mauro Mandolini è regista e attore per il teatro e il cinema. Manintown, che ha la vocazione allo scouting di giovani talenti, lo ha incontrato per conoscerlo meglio.

Ciao Riccardo, vuoi parlarci della tua esperienza in ‘Baby’?

E’ stato davvero esaltante lavorare con grandi attori e con interpreti più giovani, un bel mix di talenti. Damiano, il mio personaggio in cui ho messo davvero l’anima, è un ragazzo duro e puro di 16 anni che dalla periferia romana si trova catapultato in un liceo del quartiere Parioli dove nel 2014 è scoppiato lo scandalo delle baby squillo su cui è incentrata la serie. In 6 episodi da 50 minuti l’uno la serie approfondisce questo personaggio che è un po’ un outsider, un, come si suol dire, ‘pesce fuor d’acqua’! Non guida un macchinone status symbol ma si muove in skateboard ed è un personaggio positivo.

Quanto c’è di te in Damiano?

Diciamo che mi riconosco in parte in questo carattere. Il mio temperamento come il suo, è sincero, leale, innocente, un buono insomma ma anche caparbio, ancorato alle sue convinzioni e ‘capa tosta’, senza peli sulla lingua. A calarmi nel personaggio e a plasmare la mia recitazione mi ha aiutato il regista Andrea De Sica, nipote del grande maestro Vittorio e di Christian. Un vero cineasta che sul set con i suoi attori ha puntato sul gioco di squadra e al quale sono molto grato. Ritengo di aver avuto una grossa opportunità a lavorare in ‘Baby’.

Quali sono i tuoi progetti e le tue aspirazioni nella carriera e nella vita personale?

Al momento sono single, ho molti affetti perché vivo fra due famiglie allargate e ho più di una sorella acquisita ma sono molto concentrato sull’acting. Dai miei genitori ho appreso che è un mestiere in cui è dura sfondare e che richiede un forte impegno. Per questo vorrei affinare la mia recitazione frequentando una scuola e poi ci terrei a imparare l’inglese. Adoro il cinema italiano e vorrei continuare la mia carriera in campo cinematografico: i miei idoli sono Stefano Sollima, Paolo Virzì, Gabriele Muccino e Giovanni Veronesi. Ma sono anche molto attratto da Hollywood e la mia suprema ambizione è lavorare lì. Non mi perdo un film di Quentin Tarantino e di Martin Scorsese, sono cineasti che in parte mi hanno trasmesso la passione per la recitazione. Del resto ho sempre frequentato il set fin da bambino grazie ai miei genitori e quello che era un hobby è oggi una professione.

Le tue passioni maschili.

Pratico il nuoto e il calcio.

Un capo must del tuo guardaroba?

Adoro lo stylish streetwear e mi piacciono le proposte di look firmate Stone Island e DSquared2.

Un luogo fisico e dell’anima.

Luogo fisico: il cinema perché nel buio e nel silenzio concentrato di una sala cinematografica posso evadere davvero. Luogo dell’anima: una chiesa. E’ bello pregare qualche volta.

total look: N°21

Camicia e Jeans CALVIN KLEIN T-shirt LES HOMMES Scarpe N°21

Total Look: GUCCI

Photographer Davide Musto
ass. ph. Federico Taddonio
Stylist Andreas Mercante @ ID- Communication

ass. stylist Lorenzo Spitoni
ass. stylist Irene Bruni
Grooming Mara Giannini @ Making Beauty

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AJ BUCKLEY – Star di “SEAL Team”

Manintown ha intervistato in esclusiva la star della serie di successo “SEAL Team“, che ha anche lanciato Paperclip, una linea innovativa di borse per pannolini di fascia alta pensata per i papà dei giorni d’oggi.

1. SE POTESSI DESCRIVERE LA TUA PERSONALITÀ CON TRE AGGETTIVI, QUALI SCEGLIERESTI E PERCHÉ?
Sognatore – Ho vissuto la mia vita seguendo i miei sogni, non importa quanto siano stati grandi o quali ostacoli io abbia incontrato.
Resiliente – In questo business ho sentito “No” molto più di “Sì”, ma non mi arrendo mai e non fa altro che alimentare la mia etica del lavoro.
Family Man – non c’è niente di più importante nella vita.

2. QUAL È IL REGALO PIÙ GRANDE E LA LEZIONE DI ESSERE UN GENITORE?
Penso che il regalo più grande sia riuscire a vedere il mondo attraverso gli occhi di tuo figlio e la più grande lezione imparata è che devi avere pazienza. Anche Babbo Natale è reale.

3. POTREBBE RACCONTARCI DI PIÙ SUL PROGETTO PAPERCLIP, PROGETTATO PER I GENITORI?
Il mio socio in affari ed io eravamo frustrati per la mancanza di attrezzatura per il cambio dei bambini nei bagni degli uomini. Una volta dovevo togliermi la maglietta e posare mia figlia per cambiare il pannolino sul pavimento del bagno. Così abbiamo progettato una borsa con un tappetino pieghevole, che consente di cambiare il tuo bambino ovunque, in qualsiasi momento. Volevamo disegnare una borsa che i genitori avrebbero comprato e renderla unisex, così tutti si sarebbero sentiti a proprio agio nel trasportarlo. Mai avrei pensato di vendere borse per pannolini, e invece.

4. SE POTESSI VIVERE IN UN LIBRO, QUALE SCEGLIERESTI E PERCHÉ?
La storia infinita perché non finisce mai.

5. SEI UNA PERSONA DAVVERO DI SUCCESSO, MA C’È ANCORA QUALCHE COSA CHE VORRESTI RAGGIUNGERE NEL PROSSIMO FUTURO?
Non sono mai compiacente e sento che sto solo iniziando. Mi piacerebbe avere un ruolo dietro la macchina da presa e dirigere un giorno.

6. QUALI SONO I TUOI PENSIERI PRINCIPALI DURANTE IL GIORNO?
Famiglia.
Allenamento.
Lavoro.
Dormire.
Ripetere.

7. COSA TI HANNO INSEGNATO LE TUE RADICI IRLANDESI?
Non prenderti mai troppo sul serio.

8. C’È UN PENSIERO CHE VORRESTI CONDIVIDERE CON I LETTORI DI MANINTOWN CHE STA NUTRENDO ATTUALMENTE LA TUA ANIMA?
Non aver paura.

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Luke Guldan: l’attore di “The Good Place” fotografato da Richard Gerst

Quando in una serie televisiva i protagonisti sono due personaggi molto amati, come Kristen Bell, la mitica Veronica Mars in tv e amatissima per aver dato la voce ad Anna in “Frozen, e Ted Danson, carriera ricchissima che comprende due serie di culto come “Cin Cin” e “CSI”, difficile per un esordiente farsi notare. E invece nell’acclamato show “The Good Place” Luke Guldan riesce a farsi apprezzare per il suo fascino da ‘ american boy’ e per la capacità di calarsi in maniera credibile in un ruolo inconsueto, quello di un demone. Originario di Milwaukee, ma cresciuto a Brooklyn, Luke si è concentrato da ragazzo sul mondo dello sport e del fitness, ottenendo riconoscimenti, articoli e copertine di giornali specializzati, come Men’s Health e Muscle & Fitness, passando per GQ e Cosmopolitan. La passione per la recitazione lo porta ben presto sia sui palcoscenici teatrali, sia in televisione e al cinema, ottenendo dopo apparizioni in “Gossip Girl”, “Law and Order: Special Victims Unit” e “Blue Blood”, il ruolo di Chris nella serie “The Good Place”, trasmessa dal 2016 dalla NBC. Ha fotografato per noi l’affascinante Chris Richard Gerst, fotografo, che ha sede a New York, molto apprezzato per i suoi ritratti e la capacità di esaltare in maniera naturale il sex appeal giovane e fresco dei suoi soggetti. Per saperne di più del lavoro di Richard vi rimandiamo al suo sito www.gerstvisuals.com, mentre per conoscere meglio Luke eccovi la nostra chiacchierata con il promettente attore americano.

 

Puoi raccontarmi come e quando hai deciso di diventare un attore? Recitare è qualcosa che hai sempre voluto fare?
Già da piccolo. A sette anni. Avevo queste cravatte che amavo indossare. Ne avevo appese per tutta la mia stanza. Le indossavo e creavo come dei personaggi. Ricordo che stavo di fronte allo specchio e le mettevo, in genere senza camicia, anche se avevo solo sette anni. E ho continuato a tenerle, come un tratto ricorrente nella mia vita… mi piace stare senza camicia. E le cravatte non sono in genere un accessorio che un bambino indossa di solito, sono più da adulti. Ma le indossavo e creavo questi personaggi imitando gli adulti che vedevo nella vita reale o in televisione. Ho capito, pensandoci, che è quello il momento in cui ho iniziato. Con le cravatte.

Fai parte di una serie tv importante, con due attori famosi come protagonisti. In che modo questo ruolo ti ha sorpreso, e cosa hai imparato da questa esperienza?
È stato fantastico lavorare con Kristen Bell e Ted Danson nello show “The Good Place” (da noi va in onda su Italia1, ndr). E tornare a lavorare alla terza stagione mi ha dato l’opportunità di vedere come loro lavorano seguendo l’evoluzione della serie e quindi del loro personaggio. L’unico modo per descriverlo è ‘puro divertimento’. Ho imparato che le cose succedono in fretta e devi essere preparato. Sempre preparato, ma mai pronto.

Dimmi qualcosa sul personaggio che interpreti. Ti somiglia?
Chris Baker è fantastico nel suo lavoro, ha un bell’aspetto, ha successo, sta benissimo con un completo e riesce a toglierselo rimanendo affascinante, ed è un demone. Quindi io non somiglio per niente a Chris. Tuttavia c’è qualcosa di simile, l’unica cosa in effetti, entrambi amiamo andare in palestra.

Cosa ti piace della recitazione e cosa no?
È sempre diversa, anche quando interpreti lo stesso personaggio ci sono continuamente cose che non ti aspetti, nuove esperienze, collaborazioni, ti puoi ritrovare in un ambiente in cui lavori con così tante persone, per far si che ogni cosa prenda forma velocemente, è eccitante. Mi piace il processo. Inoltre, hai l’opportunità di interpretare ruoli diversi dalla tua persona, ad esempio di recente ho interpretato un go-go dancer nello show “Tell Me A Story,”che sarà in onda dal 31 ottobre sulla CBS. La sola cosa che non mi piace della recitazione o che può essere un po’ difficile riguardarsi durante una performance. Non da un punto di vista superficiale, quanto da una prospettiva creativa. Il nostro gusto è in continuo cambiamento ed evoluzione. Quindi, vedere un vecchio film o una vecchia performance può essere un po’ strano a volte, perché non sei più in quello stesso spazio creativo con la tua vita. Il tuo processo e le tue esperienze sono cambiate. Così come il tuo gusto.

Progetti e sogni per il future?
Vorrei viaggiare. Ho intenzione di organizzare un viaggio in Europa. Compresi Italia e Sicilia. Voglio vedere tutto, Inghilterra, Spagna, Scozia e Amsterdam. Sogni? Ho un copione per cui vorrei trovare dei finanziamenti e realizzarlo. Non vedo l’ora che inizino la terza stagione di The Good Place” e il nuovo “Tell me a Story”, il prossimo Ottobre- Posterò alcuni behind the scene e update sulla mia pagina instagram. Quindi seguite @lukeguldanofficial!

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Saul Nanni: il bel tenebroso

C’è chi lo paragona a River Phoenix chi, invece, a un esordiente Leonardo Di Caprio, per il suo aspetto da bello e maledetto e i suoi ruoli tosti e intensi. A soli 18 anni, Saul Nanni – che ha cominciato giovanissimo e ha alle spalle anche ruoli cinematografici accanto ad attrici come Margherita Buy e Giovanna Mezzogiorno, oltre al grande successo della serie TV, Alex & Co, della Disney, dove recitava accanto al suo fedele amico Federico Russo – ha al suo attivo un film televisivo in uscita, Il fulgore di Dony, di Pupi Avati che, come ama sottolineare, gli ha insegnato a «cercare la verità e essere credibile quando recito» e, prossimamente, uscirà sempre sul piccolo schermo con, Non dirlo al mio capo, accanto a Vanessa Incontrada. Apparentemente algido, con i suoi occhi di ghiaccio – si divide fra Nord e Sud, Bologna e Roma – Saul è in realtà un ragazzo solare, amante delle spiagge della California, dove ha vissuto per sei mesi, «un’esperienza che consiglio a tutti». Il giovane attore ha un profilo Instagram seguito da 700mila followers.

Che ne pensi degli influencer e come gestisci la tua relazione con i social? Influencer è una definizione un po’ generica, non credo di “influenzare” chi mi segue, ma mi piace pensare di avere un profilo interessante. Non amo postare momenti della mia intimità e, da qualche tempo, ho abolito i selfie, perché, per me, non funzionano.

Il social del futuro?
Sicuramente Instagram, perché è il più intuitivo e accessibile e comprende tutte le funzioni di un social network. Credo che, nel futuro, il potere dei social media crescerà sempre di più. È uno strumento di comunicazione che va usato con saggezza, senza lasciarsi trasportare troppo dalla visibilità che offre, che comunque sicuramente mi ha aiutato anche nel lavoro, sebbene speri di essere apprezzato più come attore.

Capo must-have?
Il pullover a collo alto e poi mi piace vestirmi per le occasioni eleganti. La moda mi piace. Sono stato in prima fila a una sfilata di Emporio Armani.

Sogni nel casetto?
Recitare a Hollywood, diretto da Ridley Scott e Quentin Tarantino.

Photo| Davide Musto
Stylist| Stefania Sciortino
Grooming| Charlotte Hardy per Simone Belli Agency
Location| Radisson Blu Es Hotel Roma
Saul Nanni wears Total look Paul Smith

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DIETRO LA MASCHERA DI LINO GUANCIALE

Il suo fascino intenso e tenebroso ha conquistato il pubblico nei teatri e in tv, i suoi occhi limpidi e la simpatia coinvolgente lo rendono irresistibile mentre si racconta a MANINTOWN. Lui è Lino Guanciale, volto ormai noto della fiction italiana di successo, con una carriera teatrale consolidata, iniziata con Romeo e Giulietta, diretto da Gigi Proietti. Appassionato di letteratura, ma dall’animo rock, l’attore abruzzese ama cimentarsi in personaggi diversi tra loro, dai belli e arroganti delle commedie fino al ruolo surreale e un po’ pirandelliano del commissario Leonardo Cagliostro in La porta rossa, sospeso in una permanenza misteriosa tra il mondo dei vivi e dei morti. Oltre al teatro, primo e irrinunciabile amore, alla tv e al cinema, Lino Guanciale va nelle scuole a insegnare l’arte della recitazione ai ragazzi. Un vero talento camaleontico e multitasking tutto italiano.

Da dove trai l’ispirazione per interpretare un personaggio?
Dipende, spesso da libri che ho letto, più che da film, che comunque fanno la loro parte. Spesso da riferimenti letterari, dai fumetti a Dostoevskij, sono abbastanza onnivoro. Se leggo una sceneggiatura, la prima cosa che mi viene in mente è un riferimento che può andare da Paperino a Delitto e castigo, poi osservo molto la gente per strada, sui mezzi pubblici, in qualunque situazione. Però quello è uno stato successivo, quando devo capire come cammina un personaggio o come si muove cerco di imitare qualcuno che ho visto e che mi ha colpito.

Il ricordo più emozionante della tua carriera?
La cosa più emozionante di quest’anno, a parte vedere I Peggiori in sala, è stata vedere il successo de La porta rossa, perché nessuno di noi se lo aspettava così grande. Emozionantissima è stata la serata dell’ultima puntata, perché da Trieste hanno insistito per proiettarla in un cinema, con le persone in sala come se fosse un film, un modo per festeggiare il fatto che la serie fosse molto triestina come ambientazione. È stato emozionante, dunque, coronare questa produzione di grande successo, quel periodo di grande fermento che è stata la messa in onda de La porta rossa, stando in sala con tante persone che hanno amato il progetto.

Cosa ti insegna, a livello personale, il tuo mestiere?
A mettermi nei panni degli altri. È la cosa più difficile che esista. Ho notato recentemente che anche altri attori la pensano così, sono stato contento di sentire ciò che ha detto Elio Germano da Fazio su Kropotkin, anche perché ero convinto di averlo letto solo io (ride, ndr). Vedere che siamo in tanti di questa generazione a cercare di darci un certo background è utile. Gramsci diceva che il teatro serve a sviluppare la fantasia drammatica delle persone, appunto a capire come si sta nei panni di un altro. Se diventassimo tutti più bravi a farlo, si starebbe decisamente meglio, ci sarebbe anche una politica migliore, credo.

Qual è il lato irresistibile del teatro?
Il fatto che hai la gente dal vivo che ti guarda. Questo rapporto in presenza ti costringe a far bene il lavoro di metterti nei panni di qualcun altro, senza dimenticare che devi preoccuparti non solo di immedesimarti in un personaggio, ma anche di non far addormentare chi è davanti in quel momento. A teatro questo fatto di dover attirare l’attenzione, sotto tanti punti diversi, mi fa sentire particolarmente vivo mentre recito. Forse è per questo che ho bisogno di tornarci spesso e di non mollarlo mai. Mi sembra di vivere al quadrato quando sono sul palcoscenico. È anche terrorizzante in modo bello. Ogni volta che devo fare uno spettacolo sono terrorizzato, provo panico puro. Però lo faccio perché è bello, se riesco a farlo bene, sentire che quel panico si scioglie, è un enorme piacere, è una delle cose più belle che si possano provare. Stare sul palcoscenico sentendo che hai creato una comunicazione vera con chi hai di fronte.

Fai molta formazione nelle scuole. Qual è l’insegnamento più importante che dai ai giovani che vogliono intraprendere il mestiere di attore?
Adesso sto insegnando all’Accademia del Teatro di Modena, innanzitutto cerco di far vedere ai ragazzi che, se ci si impegnano, possono fare più cose rispetto a quelle che credono di saper fare. Per un attore è tanto importante cercare di esplorare territori diversi, perché ognuno nasce con una faccia e un corpo che già lo incasella in una tipologia di ruolo. La questione del physique du rôle è automatica. Bisogna, da dentro, sforzarsi di infrangere questo dogma che ci si porta addosso, per convincere chi poi dovrà darti un lavoro che puoi fare cose diverse. La goduria è uscire dalle zone di comfort, da quello che sai che ti viene bene, e rischiare, fare ciò che non sai cosa può regalarti e farti conoscere. Questo mestiere è bello se ti stupisci ogni volta di quello che trovi, se diventa una routine si trasforma nel più alienante dei mestieri possibili.

Cosa insegnano loro a te?
A mettermi sempre in discussione. Per capire una cosa, il metodo migliore è cercare di spiegarla a qualcun altro, quindi ogni volta che mi trovo a dover “insegnare” a qualcuno, sono costretto a mettermi in discussione, e nel farlo imparo delle cose nuove per il mio lavoro. Un attore, se lavora in contesti formativi, cresce ancora di più come artista.

Quali sono le altre tue passioni?
Piccolo aneddoto: ultimamente ho partecipato, per la promozione de I peggiori, al programma I soliti ignoti, dove mi chiedevano delle mie passioni e hobby per costruire il gioco. Ho realizzato che non ho tempo libero, non ho hobby, non ho una vita privata oltre il lavoro (ride, ndr). Al di là delle battute, ci sono tante cose che mi piacciono. Però ogni volta che leggo, vado a vedere un film, ascolto la musica, in qualche modo è come se stessi sempre lavorando, perché lego tutto al lavoro. Sono appassionato di sport, prima facevo soprattutto rugby. Mi piace tanto camminare, sono un grande fan di tutti gli scrittori flâneur, che parlano del mondo che si scopre a piedi, anche perché nutro un rifiuto fisiologico per la macchina, anche se in realtà le macchine mi piacciono molto. Devo ammettere che è un’altra mia passione, se guido mi rilasso.

Qual è il capo d’abbigliamento che più ti identifica?
Ho delle t-shirt di gruppi musicali che mi piacciono, come i R.E.M., in testa a tutti, i Joy Division, The Stooges, Velvet Underground, gli Smiths, i Cure, cioè gruppi che spaziano dal rock punk di rottura degli anni ’60 e la new wave degli ’80. Ho queste magliette da vent’anni e sono quelle che metto compulsivamente. Sono i capi che amo di più e che sento che mi rappresentano. Invece un capo che, sembra, mi stia bene sono le giacche.

Un oggetto che porti sempre con te?
Ognuno ha i suoi porta fortuna, il mio è un orologio che mi hanno regalato i miei quando avevo trent’anni e avevo cominciato a fare un po’ di cinema, ma prettamente recitavo in teatro, e non avevo iniziato con la televisione. Quando me lo hanno regalato ho capito il messaggio: “E’ ora che ti dai una mossa” (ride, ndr). Lo porto sempre, perché alcuni dei familiari che me lo hanno regalato non ci sono più ed è un modo per portarmeli dietro ancora adesso.

Un rito scaramantico?
Ne ho diversi. Per fare bene questo mestiere ho dovuto disciplinare diversi tic da nevrotico, non una cosa drammatica, però alcuni di questi sono diventati un marchio di fabbrica: schiocchi di dita rituali, entrare sempre in palcoscenico col piede sinistro, ovviamente se ci sono dei chiodi sul palco devo raccoglierli e metterli in tasca; ci sono delle repliche in cui ne colleziono anche una decina, perché portano fortuna. Sembra che Pavarotti avesse una collezione di 2-3mila chiodi raccolti sui palchi di mezzo mondo. Sia prima che dopo uno spettacolo devo salutare il teatro, fare le carezze al palcoscenico, tutte cose che sembrano stupide, ma che, in realtà, servono a stare un po’ in confidenza con il posto in cui lavoro. Stare sul palcoscenico ha un po’ a che vedere con la fucilazione, con i fucili puntati degli spettatori, è un luogo pericoloso, quindi meglio cercare di ammansirlo prima di lavorarci.

Un sogno nel cassetto?
Ne ho diversi. Mi piacerebbe avere più tempo per scrivere, per pubblicare qualcosa di finito. Vorrei anche fare un viaggio sulla via della seta. Viaggiare mi piace moltissimo, anche se l’ho fatto poco nella vita, perché ho dato priorità a un lavoro che comunque mi fa spostare di continuo (raramente dormo due giorni nello stesso posto), per tenere insieme teatro, cinema e televisione. Mi piacerebbe andare anche negli Stati Uniti, in particolare visitare la East Coast, la parte più “europea”.

Photographer| Manuel Scrima
Stylist| Stefania Sciortino
Grooming| Carola Sofia Retta 
Assistant Photographer| Sergi Planas and Lorenzo Novelli

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ENRICO OETIKER – UN TALENTO DA SCOPRIRE

Gli step fondamentali del tuo percorso e le persone che lo hanno segnato
Sicuramente il primo step è stato rendermi conto di essere un artista, questo grazie alla professoressa Telmon che ha visto in me una luce differente. Poi sicuramente entrare nell’accademia “Corrado Pani”, perché mi ha permesso di incontrare Alessandro Prete. Senza ombra di dubbio, lui è stata la persona più importante nel mio percorso di crescita artistica e personale.

Quando hai capito che avresti scelto la strada dell’attore?
L’ho sempre saputo, viveva in me. Dovevo solo trovare il coraggio di indossarmelo a pieno. Non saprei dire un momento in particolare.

Quali le tue icone cinematografiche e non?
A livello di cinema stimo molto gli americani e il loro “iperrealismo”: di Caprio, Daniel Day Lewis ad esempio, e registi come Tarantino o new entry come Inarritu rappresentano il mio ideale di collaborazione artistica. Fuori dall’ambito cinematografico ho una passione sconfinata per lo gnosticismo e la meccanica quantistica. Trovo in Giordano Bruno e Carmelo Bene forse i miei due più grandi fari.

La tua esperienza nel film “In search of Fellini”, di Taron Lexton
Incredibile. Una crew di persone disponibili e professionali. Tutto gestito in modo informale eppure incredibilmente competente. Mi hanno fatto sentire parte integrante del progetto, ed ho potuto stabilire con Taron un rapporto di reale collaborazione, quasi di gioco. Xsenia Solo, la protagonista, è stata la compagna migliore che potessi chiedere, e in più il prodotto è veramente bello. Non avrei potuto chiedere di meglio.

Il rapporto con i tuoi genitori e il loro lavoro da SAID – il food per te?
Il rapporto coi miei genitori è sempre stato piuttosto conflittuale. Ho tre sorelle, e tutte e tre molto disciplinate e responsabili. Io beh, diciamo che qualche grattacapo gliel’ho procurato. Fortunatamente ora tutto è cambiato. La SAID è parte integrante della mia cultura, e quando posso vengo a dare una mano. Poi da quando abbiamo aperto a Londra ho un motivo in più per sorvolare la Manica!

La giornata tipo di Enrico Oetiker
In realtà ho uno stile di vita molto tranquillo. Mi sveglio con calma, faccio colazione e vado ad allenarmi. Mi piace molto nuotare. Poi torno a casa, pranzo, studio e leggo. Se c’è da preparare un provino o un personaggio lo preparo, altrimenti mi dedico ai miei progetti.

Le tue passioni…
Oltre allo sport, l’arte è sempre stata in cima ai miei pensieri: amo dipingere ed ascoltare musica, anche se da quando sono bambino il mio vero talento è sempre stato la scrittura. Ora sto scrivendo il mio primo testo teatrale.

L’ultimo libro che hai letto e brano musicale che ti hanno ispirato?
Ammetto che le mie letture sono al confine del fanatismo gnostico: finito da poco il Corpus Hermeticum. L’ultimo brano musicale ad ispirarmi è stato Up And Up dei Coldplay, forse anche per il video da brividi.

Come definiresti il tuo stile?
Classico ed essenziale. Per questo ho subito sentito affinità con lo stile di Giorgio Armani

Quando parti cosa non può mancare nella tua valigia?
La mia valigia è sempre molto essenziale, a parte il beauty e pochi abiti parto sempre con due libri. Una lettura per rilassarmi e una impegnativa. E poi un bloc notes per appuntare sensazioni, persone, luoghi.

La tua playlist
Sono eclettico e spazio dalla classica al rock passando per il pop. Senza limiti e confini. Mi piace qualsiasi cosa che mi faccia vibrare.

Progetti per il futuro? a cosa stai lavorando?
Ho appena sostenuto un provino importante ed ho altri progetti in divenire per i quali sto aspettando novità. Nel futuro prossimo girerò un corto, nel frattempo scrivo nella speranza di tirar fuori uno spettacolo decente.

Photography | Marzia Ferrone 
Total Look | Giorgio Armani
Location | Said dal 1923 – Antica Fabbrica del Cioccolato, Roma
Ufficio stampa | Mpunto comunicazione

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