Il segreto della musica per d.whale: una punta di inquietudine

Scrivo canzoni da una vita, da quando sono bambino. È sempre stato l’unico modo per capire me stesso e per esorcizzare il male.

Sono nato  come autore di canzoni e solo in un secondo momento sono diventato produttore. Produco da sempre i brani che scrivo, per questo il passaggio è stato molto naturale. Il mio approccio parte sempre dalla canzone, difficilmente lavoro su cose che non scrivo direttamente.

Va così: ci si trova in studio, si beve un caffè, ci si racconta e si inizia a scrivere. Ma solo se ritengo che una canzone sia forte passo al secondo step, che è l’arrangiamento.

Ho ancora una sorta di rispetto antico per la musica. Non mi prendo mai gioco di lei e non faccio mai una cosa solo perché si tratta di lavoro.

La musica mi ha letteralmente salvato la vita, e ogni volta che entro in studio è come se entrassi in un tempio.

Davide Simonetta d whale

Lì ho il mio team di lavoro, è lo stesso da una vita. C’è Paolo Antonacci, autore con me di molti successi in radio negli ultimi anni, e c’è Stefano Clessi, l’amico di sempre. Con lui abbiamo iniziato in una realtà indipendente, inventandoci ogni giorno. È stato lui a introdurmi al mestiere dell’autore, perché fino a dieci anni fa per me era impensabile che un’artista cantasse le canzoni di un altro. Ora invece mi trovo a lavorare con tanti artisti diversi tra loro, che spaziano tra differenti generi e mondi musicali.

Ciò che accomuna i miei lavori è sicuramente uno strato di malinconia ed emotività, che mi porto dentro da sempre. Non ho mai creduto alla musica impacchettata, quella “di plastica”, per intenderci.

Per toccarmi le corde più profonde un pezzo deve conservare una sorta di inquietudine.

Allo stesso modo, in ogni produzione inserisco quelli che sono i miei ascolti e la mia formazione. Dall’hip hop della golden age a Berlino, all’elettronica figlia degli anni ‘80. Sono davvero innamorato del pop e di tutto ciò che ti fa canticchiare il pezzo dopo il primo ascolto.

La scena musicale in Italia cambia di mese in mese e ora la trovo assai stimolante. Non ci sono più distinzioni nette. Le regole sono saltate completamente. E questo mi tiene sveglio e mi stimola moltissimo. Pensiamo a Mahmood e Blanco: due artisti che solo un anno fa sarebbero stati definiti “urban”, ora vincono Sanremo con un pezzo squisitamente pop, con una bella melodia nella migliore tradizione italiana. È il trionfo del pop. Cambiano un po’ le metriche, certo, ma l’urban si mischia al pop e non ci sono più regole.

Siamo il paese che esalta la melodia, e una bella melodia  vince sempre su tutto. Vince  sui tentativi di essere sempre e solo super cool a discapito della canzone, e vince anche sui tentativi inutili di rendere una produzione forzatamente sfarzosa, impoverendo la scrittura.

Alla fine vincono solo le canzoni. Un concetto così semplice che è capito solo da pochi.

Da DJ a modello, l’altro mondo di Andrea Damante

Modello, influencer (il suo profilo Instagram conta 2,4 milioni di follower), volto televisivo noto al pubblico per la partecipazione a programmi dal largo seguito, Andrea Damante si concentra da tempo sulla carriera di deejay e producer musicale.

Nel 2017 il suo primo singolo, Follow my Pamp, scala rapidamente le classifiche del periodo, da allora ha sfornato una serie di hit da milioni di streaming (Forever, Think About, Understatement Pt. 1 e l’ultima All My Love, uscita lo scorso dicembre). Per lui la consolle è un habitat naturale, come dimostrano i tour che l’hanno portato a suonare in club di culto, nazionali e non (dal Fabrique milanese al Cavo Paradiso di Mykonos, al Pacha di Ibiza) e a curare per Radio 105 la trasmissione Swipe Up, selezione di tracce dance in onda ogni sabato notte.

Andrea Damante Instagram
Tapered cargo pants Dockers, necklace stylist’s archive
Andrea Damante dj set
Nail textile jacket Gaëlle Paris, necklace stylist’s archive

Credits

Talent Andrea Damante

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Ph. assistants Riccardo Albanese

Stylist assistant Federica Mele

Hair & make-up Eleonora Bianucci

Location Sheraton Milan San Siro

Nell’immagine in apertura, Andrea Damante indossa T-shirt Gaëlle Paris

Dai film alla musica, un nuovo debutto per Sergio Ruggeri

Sergio Ruggeri testate
Pants Versace Jeans Couture, knit MRZ, sneakers Antonio Marras, earring Nove25

Sergio Ruggeri, romano, segni particolari: bellissimo, artista a 360 gradi. Lo abbiamo potuto apprezzare come attore in diverse serie tv (come Baby) e al cinema, ma ora siamo qui per conoscere il nuovo lato di Sergio, il più introspettivo, quello del cantautore. La passione per la musica c’è sempre stata, ora però ce la sta regalando canzone dopo canzone. La prima è stata Testate, poi Farmacie ed in ultima battuta Patatrac; fanno tutte parte di un EP che completerà il quadro, che ci presenterà in estate.

La sua attenzione e cura di livello cinematografico, invece, la possiamo vedere soprattutto nei video che accompagnano i tre brani, nei quali ci racconta tutto ciò che prova e ha provato, andando a scavare nel profondo delle relazioni tossiche, narrandole e mettendole a fuoco a modo suo.

Sergio Ruggeri farmacie
Shirt and leather pants Desa 1972, boots Bruno Bordese, jewelry Nove25

Un giorno di qualche mese fa, aprendo il tuo Instagram, si era azzerato tutto, come mai?

Avevo voglia di mettere in primo piano, e di far capire alla gente, che stavo lavorando a un progetto nuovo, qualcosa cui tengo tantissimo, ovvero le mie canzoni. Ho voluto concentrare l’attenzione delle persone che mi seguivano sul fatto che mi sto dedicando anima e cuore alla scrittura e alla musica.
Bisogna sempre azzerare per ripartire, il che non vuol dire che nella vita reale faccio solo questo, continuo a studiare e fare provini, però non ti nascondo che sto impiegando tantissimo tempo ed energie per completare l’album. Era un po’ come dire “Sergio è anche questo, ve lo sbatto in faccia, fatemi sapere cosa ne pensate”.

Da dove parte il tuo progetto musicale?

La verità è che ho sempre avuto dei pezzi che curavo da solo in camera, senza sapere come, però scrivevo e mi facevo le mie cose da solo. Poi due anni fa ho avuto la fortuna di conoscere il mio socio, Matteo Gasparini, che adesso è anche il mio produttore, da lì ho iniziato ad andare in studio e lavorarci seriamente. Comunque scrivo da sempre, non è una novità per me, anzi, io quando sono fermo a un semaforo prendo lo smartphone e segno qualcosa sulle note. Solitamente di notte sviluppo quello che ho pensato, elaboro una canzone. Di solito non ci impiego tantissimo, se sento che ci sto mettendo troppo vuol dire che c’è qualcosa che non va e lascio perdere.

Sergio Ruggeri Baby
Total look Antonio Marras, earring Nove25

Come ti sei avvicinato alla scrittura?

Le prime volte che andavo dallo psicologo, non avevo questa capacità di raccontarmi, quindi – tra virgolette – perdevo tempo, e lui allora mi aveva consigliato di scrivere tutto ciò che mi faceva stare bene o male, come fosse un compito in classe, e quando andavo da lui potevo leggerglielo a voce alta.

Cosa vuoi raccontare di te con la musica?

Racconto davvero tanto, soprattutto per chi non mi conosce, nel senso che son cose che trapelano quando sono in giro nella mia vita quotidiana. Da febbraio sono usciti tre brani, ora ne usciranno altrettanti.
Mi concentro soprattutto su quello che provo all’interno di un rapporto tossico, cioè quel tipo di amore che, anche quando arrivi alla consapevolezza che non ti fa stare bene, fai di tutto per non vedere, continui a sbatterci la testa e soffrire; a quel punto, vuol dire che si sono davvero innescate dinamiche tossiche. Due persone che sanno di non farsi bene non dovrebbero starsi vicino.

Parlami dei video che sono usciti insieme ai brani, piuttosto grafici e forti.

Se abbassi il volume sono tre cortometraggi, abbiamo puntato tantissimo sull’unire le due mie passioni, quella cinematografica e la musica. Nel terzo video hanno lavorato per me due attori bravissimi, Francesco Gheghi e Giulia Maenza, li ringrazio molto.
Nel video di Patatrac racconto proprio questo, il suicidio d’amore, si tratta però di due persone che, prima di uccidersi, fanno l’amore, consapevoli di non essere divisi anche se alla fine dovrebbero.

Mi avevi detto che volevi raccontare del tuo essere introverso...

Raccontare cose che non vengono raccontate: mi fa davvero piacere, credo sia questa la mia chiave di trasposizione. Ad esempio nel secondo video, Farmacie, abbiamo narrato un momento molto, molto intimo ed introverso di Sergio, nonché dell’uomo in generale; penso che la cosa peggiore che possa succedere a chi soffre per una relazione finita sia proprio masturbarsi sulla sua ex. Ditemi tutto insomma, ma non che sono banale.

Quindi scrivere è terapeutico?

Per me vedere un foglio pieno è un segno di riuscita, riesco a dirmi che ce l’ho fatta.

Sergio Ruggeri musica
Total look Iceberg X Kailand O. Morris
Sergio Ruggeri artista musica
Vest Di Liborio, cargo pants Antonio Marras, earring Nove25, leather bracelet stylist’s archive

Credits

Talent Sergio Ruggeri

Editor in Chief Federico Poletti

Text Fabrizio Imas

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Hair & make-up Laura Casato @simonebelliagency

Hair & make-up assistant Chiara Crescenzi @simonebelliagency

Location Novotel Roma Eur

Nell’immagine in apertura, Sergio Ruggeri indossa maglia MRZ, orecchino Nove25

Aka 7even, l’astro emergente dell’urban-pop italiano

Sette è un numero dai molteplici significati, particolarmente importante per il 21enne Luca Marzano alias Aka 7even, tra gli astri nascenti della scena urban-pop nostrana. Rimanda, infatti, a un episodio doloroso del suo passato, la settimana trascorsa all’ospedale in coma per un’encefalite, quando aveva sette anni, tramutato però in un elemento di forza e speranza: non a caso la sua autobiografia, uscita l’anno scorso, si intitola 7 vite. Un artista poliedrico insomma, che ha saputo convogliare la voglia di riscatto nella musica: ammesso nel 2020 alla fase finale di Amici, durante il talent show firma la prima hit, Mi manchi. Uscito dal programma, pubblica l’album che porta il suo nome d’arte e contiene il brano Loca, tormentone certificato triplo disco platino (vanta anche una versione in spagnolo).
Il 2021, d’altra parte, è un annus mirabilis per il cantautore: vince il premio “Best Italian Act” agli MTV Ema e viene selezionato per il Festival di Sanremo 2022, cui partecipa con Perfetta così.

Aka7even Mi manchi
Tank and trousers Yezael by Angelo Cruciani, jacket Christopher Raxxy, shoes Acupuncture

Tra le influenze che hanno inciso maggiormente sulla propria cifra musicale, Luca cita Bruno Mars, Justin Bieber, The Weeknd, ma in realtà la sua è una sigla personalissima, che concretizza in una musica definita «versatile, con forti influenze di sound americano a livello di topline e produzioni»), risultato dello «spaziare tra generi e stili diversi».

Tra pochi giorni, Aka 7even inaugurerà il tour estivo che lo porterà in varie città d’Italia e, dopo le tappe iniziali di Roma (3 giugno) Napoli (5-6) e Milano (9), proseguirà con quelle – tra le altre – di Gallipoli, Civitanova Marche, Santa Marinella, per concludersi il 23 agosto in Costa Smeralda, a Porto Cervo. Con l’occasione, presenterà dal vivo la nuova canzone Come la prima volta.

Loca Aka 7even
Total look Ferrari, shoes Lanvin

Cos’è per te il talento, come lo definiresti?

Penso sia un dono, una benedizione da mettere a frutto.

Com’è nata la passione per la musica? Quali sono le tue principali influenze, in questo senso?

La mia passione per la musica è nata da piccolo, all’età di 5 anni, quando ho iniziato a suonare la batteria, per passare poi a pianoforte, clarinetto e altri strumenti.
Le mie principali influenze sono Bruno Mars, Justin Bieber e The Weeknd.

Aka 7even tour 2022
Tank and trousers Yezael by Angelo Cruciani, necklace Radà

Il brano cui, per un motivo o per l’altro, sei più legato.

La distanza di un amore e Cambiare di Alex Baroni, sono i due brani con cui ho iniziato a cantare.

Come descriveresti la tua musica a chi non l’ha mai ascoltata?

Versatile, con forti influenze di sound americano a livello di topline e produzioni. Amo spaziare tra generi e stili diversi, senza fossilizzarmi sulle categorie.

Dove ti vedi tra qualche anno?

Mi vedo o meglio, aspiro a vedermi in giro per il mondo, a portare ovunque la mia musica. Il sogno è riempire gli stadi, duettando con artisti internazionali.

Aka7even Amici 2022
Total look Versace Jeans Couture, necklace Radà

Credits

Talent Aka 7even

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Filippo Thiella

Stylist Simone Folli

Photographer assistant Andrea Lenzi

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Cecilia Olmedi

Nell’immagine in apertura, Aka 7even indossa giacca Moschino

Chiamamifaro, il nuovo progetto musicale di Angelica Gori

Voce calda e avvolgente, sorriso dolce, un timbro unico: Angelica Gori, 21 anni ancora da compiere, figlia di Cristina Parodi e Giorgio Gori, ha ampiamente dimostrato di avere tutte le carte in regola per diventare un’artista, scrollandosi così di dosso la fastidiosa etichetta del “figlio di”. Studentessa al CPM Music Institute di Milano, sui social (dov’è seguitissima, in particolare su Instagram) è conosciuta anche come Gispia, nomignolo affibbiatole in famiglia, cui è rimasta molto legata. Proprio celandosi dietro questo nickname, nel 2018 Angelica incide le prime tracce in inglese, per dare poi vita al duo chiamamifaro, col chitarrista ed ex compagno di liceo Alessandro Belotti. Il debutto avviene nel luglio 2020 con Pasta Rossa, che supera rapidamente il mezzo milione di stream, seguito da brani quali Domenica, Bistrot, Limiti, Londra, riuniti l’anno seguente nell’EP Macchie. I suoi due ultimi singoli sono Addio sul serio e Pioggia di CBD, uscito alla fine di febbraio.

Nel 2021 la cantautrice bergamasca nell’orbita di Sony (il suo produttore è il frontman della band Pinguini Tattici Nucleari, Riccardo Zanotti) è stata una dei new talent italiani supportati da Spotify Radar, oltre a girare il Paese con un tour promozionale che l’ha portata a condividere il palco con artisti come Sangiovanni, Ariete e i rovere, con la sua musica «da post-nostalgia – come la descrive lei – che parla sostanzialmente di addii (a persone, situazioni, abitudini) e di un tentativo un po’ disilluso di accettazione».

Angelica Gori cantante
Dress Beatrice .B, earring and bracelet Barbara Biffoli, choker and rings Invaerso, necklace Ami Mops

Cos’è per te il talento? Come lo definiresti?

Ho paura a dare una definizione di talento, perché più passa il tempo e più imparo a riconoscerlo nelle cose minime, e ogni volta si presenta in modo diverso.
Scrivendo canzoni, comunque, mi rendo conto che ci sono sostanzialmente due step: il momento dell’intuizione, dell’idea, e quello del lavoro da metterle intorno per fornirle una base. Un tempo avrei detto che il talento andava ricollegato al momento dell’intuizione, ora invece lo individuo nel lavoro con cui, razionalmente, si plasma il contesto e il supporto più consono a quell’idea. Sembra strano a dirsi, ma si può costruire negli anni e con la fatica, oltre che con quel guizzo di genialità che, se anche esiste, va coltivato e incanalato ogni giorno.

Com’è nata la passione per la musica? Quali sono le tue principali influenze, in questo senso?

La musica per me è sempre stata legata alla sfera familiare. Ho tanti ricordi di mia madre che davanti al camino suonava canzoni di Bob Dylan, o di mio padre che – con la stessa chitarra che oggi è mia, dalla quale non mi separo mai – strimpellava le canzoni di Fabrizio De André. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia in cui alla fine di ogni cena si cantava tutti insieme, innamorandomi della magia che si creava in quei momenti, dell’atmosfera quasi tangibile in cui sembra che anche il tempo si fermi. Così a quattordici anni ho cominciato a suonare la chitarra di papà, da lì è venuto tutto il resto.

Angelica Gori album
Jacket Nolita, dress Gianluca Capannolo, necklaces Ami Mops, sandals Kallisté

Il brano a cui, per un motivo o l’altro, sei più legata.

Questa è una domanda difficilissima. C’è una categoria di brani cui sono particolarmente affezionata perché, anche dopo anni, riescono sempre a emozionarmi; uno di questi è ad esempio Mama, You Been on My Mind nella versione di Jeff Buckley. Tuttavia, anche se come risposta è scontatissima, i pezzi cui sono più legata in assoluto sono alcuni di quelli che ho scritto; in un modo o nell’altro, rappresentano il mio cercare di aprirmi timidamente al mondo, un qualcosa di delicato, speciale e goffo allo stesso tempo.
Ora che ci penso molte delle mie canzoni del cuore non sono state ancora pubblicate, lo saranno presto, se tutto va secondo i piani.

Pasta rossa canzone
Choker Absidem, necklace Barbara Biffoli, top and pants Silvian Heach, shirt Martino Midali, sandals Bruno Bordese

Come descriveresti la tua musica a chi non l’ha mai ascoltata?

È musica da post-nostalgia, canzoni che parlano sostanzialmente di addii (a persone, situazioni, abitudini) e di un tentativo un po’ disilluso di accettazione

Dove ti vedi tra qualche anno?

Vorrei vedermi in un ideale Roxy Bar con tutte le persone che ho intorno e, ciascuna in maniera diversa, mi stanno accompagnando in questo percorso. Mi piacerebbe ripensare col sorriso a quanto fossi ingenua in ciò che facevo, ma sarebbe ugualmente bello realizzare che, tutto sommato, fosse quella la strada giusta. L’unica, forse.

Credits

Talent Chiamamifaro

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Marco D’Amico

Fashion editor Valentina Serra

Make-up Giorgia Palvarini @simonebelliagency

Hair stylist Giacomo Marazzi

Location Giuliano Cairoli Garden (Socco di Fino Mornasco, CO)

Nell’immagine in apertura, Angelica Gori indossa dress Oblique Creations, choker Absidem, earring Barbara Biffoli

Guardare in faccia la realtà: la musica secondo Bresh

Non ha eroi e nemmeno li vuole, perché il mondo reale non è quello che gli ha raccontato la Disney da bambino. Il disincanto che porta nei suoi testi forse parte proprio da lì: gli Articolo 31 cantavano che la vita non è un film, e Bresh torna a dirci che non è tempo per miti e leggende, che non si può più credere neanche agli antichi greci.

A renderlo chi è oggi, piuttosto, sono state tre persone nella sua vita: i suoi genitori e De André. «Io vedo la virilità in un uomo come lui, nella sua consapevolezza» mi confida parlando di modelli sociali, del suo ultimo album Oro Blu, e di chi l’ha cresciuto e ispirato. Per riferirsi a lui la gente parla di “cantautorap”, termine che gli garba poco e non ha tutti i torti. Ma che Andrea Brasi in arte Bresh riesca a portare nella sua produzione grandi picchi di riflessione, analisi sociale e schemi coraggiosi di mascolinità, è un dato di fatto. Ed è uno degli aspetti più potenti della sua musica.

Bresh rapper
Total look Hermès

Molte persone stanno ascoltando il tuo ultimo album in questi giorni, Oro Blu. Come lo vivi questo limbo, il primo periodo in cui le nuove canzoni iniziano a girare e sai di essere sotto una lente d’ingrandimento? È un bel periodo. Personalmente mi dà tanta carica, anche inconscia. Non è poco per una persona come me, che invece cerca di rimanere sempre con i piedi per terra. Devo dire la verità, questo momento qui serve per tutto.

Non hai neanche un po’ d’ansia?

Come dico sempre, cerco di delegare le ansie. Credo di essere ansioso per natura e quindi cerco di combatterlo. E di vincere la battaglia.

Clementino ha scritto pubblicamente che è in loop con un brano in particolare del tuo disco, Andrea.

È vero, che grande. Mi ha fatto piacere di brutto, lui lo conosco da un po’, ci siamo incontrati a Milano e poi grazie al calcio, quando giocava il Napoli. C’è feeling.

Bresh Oro blu intervista
Varsity jacket Philipp Plein

È interessante che uno dei pezzi più amati dell’album sia anche uno dei più intimi, perché in Andrea racconti del tuo passato, di quando cantavi ma senza lezioni, senza chitarra e senza tour. Eppure credo ci siano degli aspetti molto universali qui dentro, sei d’accordo?

Sono d’accordo, sicuramente l’universalità sta in quel concetto di provare a conoscersi. Sono certi passaggi di poesia che magari può sembrare anche ariosa, e invece è molto concreta come idea. Soprattutto in tempi come questi, dove è difficile trovare il proprio gusto perché si pensa tanto al gusto degli altri e si prova ad omologarsi. Quell’aspetto lì della canzone credo funzioni, credo crei empatia. Pensa che le prime parole sono state proprio «Andrea cantava, cantava, cantava». Sono uscite mentre ero in macchina da solo e alla fine mi è sembrato giusto tenerle. Ci ho costruito un testo intorno ed è come se fosse venuta fuori una canzone che doveva venir fuori da sola, anche senza che la cercassi. Quando è uscito il pezzo mi sono preso un po’ male, le prime ore…

Perché è uno di quei pezzi intimi che hai bisogno di buttar giù, ma poi speri quasi che non lo ascolti nessuno?

(Ride) Esatto, brava, è veramente quella roba lì! Doveva rimanere nel disco, ma era troppo bella e l’ho fatta uscire come singolo. Avevo quasi dimenticato che parlava di me, che mi ero spogliato.

I tuoi testi sono anche pieni di riflessioni e pulsioni sociali, mi piace l’idea che tu scelga di portarle in campo.

Sì, la ricerca del punto di vista è fondamentale per me. Perché è anche la ricerca della convivenza: provi a combattere gli altri e a non scottarti, ma alla fine devi comprendere e convivere.

Bresh Angelina Jolie
Total look Dolce & Gabbana

Pensi che il tuo pubblico sia legato a questo aspetto della tua musica?

Ti dico che lo spero. Io non ci penso quando scrivo, è una roba mia, ma in effetti credo che mi abbia anche un po’ distinto.

Toglimi una curiosità: se fosse dipeso da te quale canzone avresti reso il tuo tormentone al posto di Angelina Jolie?

Sai che non ci ho mai pensato? Se ne scelgo una mi sembra di far torto alle altre.

Allora te ne concedo tre.

Se me ne dai tre, allora ti dico: Svuotatasche, poi La Presa B e La Presa Male, perché racconta proprio uno stato di alterazione delle emozioni, gli alti e bassi, gli sbalzi di umore. E poi dai, sì, Angelina piace anche a me.

«Non ho eroi / e non li vuoi nemmeno», ma anche «Per essere una leggenda non è un gran momento storico». Nella tua produzione è molto forte questa visione: parli di un disincanto verso il mito, che siano gli antichi greci o i supereroi Marvel. Quando hai iniziato a vederla così?

Sai, io sono una vittima della Disney. Quel meccanismo un po’ sognante è difficile poi da applicare alla realtà della società di oggi. Succede che a un certo punto, come hai detto tu, ti disilludi e subentra il disincanto. Credo sia questo… la voglia di sognare ma lo scontro con la realtà.

E quando l’hai capito che questo mondo non era Disneyland?

(Ride) Forse l’ho capito da subito, è per quello che sono stato rapito. Il punto è sempre la ricerca della verità: quando ti scotti devi anche fare un passo indietro, capire la tua infanzia. Quali sono stati i passaggi per arrivare alla personalità che hai oggi? Io ricordo che fin da piccolo guardavo quella roba, fa parte della mia educazione e non nascondo niente. Forse la vera novità di questi tempi è provare a non nascondere più niente, no?

Direi di sì. Se non possiamo parlare di eroi, possiamo forse parlare di ispirazioni? Ci sono state persone che ti hanno ispirato, ma intendo ispirato davvero?

Sicuramente per me l’educatore maggiore, al di là dei miei genitori, è stato Faber. Questa mia parte apparentemente meno virile, che mi porta anche a raccontare aspetti poco machi, è un’ispirazione che arriva da chi mi ha insegnato a non nascondere niente. Io vedo la virilità in un uomo come De André, in quel suo modo di fare, nella sua consapevolezza.

Siamo ovviamente d’accordo sul fatto che il rap rientri nel cantautorato, ma secondo te perché in Italia non ha ancora questo diritto di nascita rispetto al pop, all’indie e via dicendo?

Il gap sta forse nelle generazioni che non lo accettano ancora. Le nuove generazioni invece l’hanno capito, per chi ha un po’ di visione è tutto chiaro. Il cantautore era uno che cantava quello che aveva scritto, e nel rap è uguale. Cambia la forma ma il modello è quello. Considera che l’ambiente che vivo io non è ostile, non la vede proprio questa distinzione. Vai a vedere Marra o Guè Pequeno, è gente che ha studiato, che ha letto libri. Gente che sa scrivere e che conosce il senso delle parole e della comunicazione. La meritocrazia della curiosità è importante in questo mestiere.

Bresh musica disco
Total look Zegna

Sto leggendo il terzo libro di Sally Rooney, giovanissima autrice di bestseller. Lei come te mette in discussione il binomio fama-vita privilegiata, perché sennò poi di cosa scrivi?

Io forse un po’ la faccio la vita privilegiata, però (ride).

Anche lei. Però tu hai detto spesso di voler schivare i vizi di fama, o sbaglio?

Non sbagli, soprattutto certi vizi sociali. Perché come dico in Come stai, «sono una scena, pure la parte, sono la curiosità». Se io devo immedesimarmi in qualcosa per scrivere, mi immedesimo anche nel contesto. Se però resto in casa, tranquillo nella mia fortezza, come posso immedesimarmi?

Hai paura di contaminarti?

Sì, ma so che lo farò. So che in qualche modo succederà. La sfida sarà quella di contaminarmi mantenendo sempre la mia matrice.

Da ragazzino ti chiamavano Bresh e non ti piaceva, poi è diventato il tuo nome d’arte. Mi racconti una volta in cui quel soprannome ti ha fatto arrabbiare e il momento in cui, invece, hai iniziato a riconoscerti in Bresh?

Come parola ci ho messo un po’ a sentirla mia, ha un suono inglesizzato. Mi sarei dato un nome più italiano che cosmopolita. Una volta mia zia Marina mi ha chiamato Bresh e son rimasto un po’ così, le ho detto «non ti permettere zia, almeno tu chiamami Andrea» (ride). Ma credo di essermi riconosciuto nel nome d’arte solo durante i primi concerti, mi sono reso conto che c’era ciccia, c’era qualcuno che stava ascoltando davvero e si ritrovava nella mia musica… Allora anche Bresh ha preso un valore diverso.

Bresh cantante Instagram
Print bomber jacket and shorts Roberto Cavalli

Quando dici «nome d’arte» te la ridi. Ti imbarazza definirti un artista?

È molto imbarazzante. Perché è una definizione grossa, quindi autoriferirsela è una responsabilità. Sono quelle cose che è giusto che ti dicano gli altri.

Concordo. L’ultima domanda te la faccio al contrario: come definiresti tu la tua produzione fin qui? E che scenari prospetti?

C’è il discorso del cantautorato e del rap, e c’è anche una parola che unisce il tutto ma che per me suona malissimo: cantautorap. Tremenda, no? Quindi cercherò di non pensarci, come faccio sempre, e lascerò che a guidarmi sia l’istinto. Farò quello che mi piace di più. E in fondo penso che se uno ascolta il mio disco, capirà da sé per cosa sono portato.

Credits

Talent Bresh

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Davide Musto

Ph. assistant Riccardo Albanese

Stylist Simone Folli

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Giorgia Palvarini @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, Bresh indossa total look Antonio Marras

Musica con un twist artistico: Gemello

Il primo dei romantici, non l’ultimo. Gemello ci ha abituati alla nostalgia e alla malinconia già in epoca non sospetta. Le infilava entrambe tra le maglie hardcore dei pezzi che hanno fatto storia insieme al TruceKlan e In The Panchine. Le ha dipinte su tela, aggrovigliate tra i dettagli fittissimi dei suoi quadri.

Perché la sua è una lunga storia d’amore tra due arti diverse, rap e pittura, ovvero tra Gemello e Andrea Ambrogio. E allora capita che a New York o a Miami, chi compra un quadro di Andrea non sappia neanche che dietro al pittore ci sia il rapper. Senza gabbie e senza rinnegare niente, Gemello si racconta. L’ultimo disco, La Quiete, i tempi del Ministero dell’Inferno, la scena rap che forse invecchia meglio di quella pop, l’etichetta di genio incompreso che gli hanno messo addosso. Probabilmente l’unica a piacergli e l’unica possibile, per uno che fa arte in disparte da vent’anni:

«Non sarò mai un McDonald’s che fattura col sorriso – mi dice – Io sono il ristorantino piccolo, che se lo conosci ci vai da una vita e te lo tieni stretto». E non avremmo potuto dirlo meglio di lui.

Gemello Andrea Ambrogio
Shirt Ardusse

Esci da un ritorno forte, La Quiete è un album che ha soddisfatto aspettative trasversali. È qualcosa su cui avevi ragionato, quella di allargare il target anche nelle scelte che hai fatto in fase di produzione?

Ti devo dire la verità, il disco è venuto un po’ da sé, perché io non sono ‘sto grande stratega. Ho fatto un sacco di album, di recente c’è stato anche Verano Zombie con Noyze, quindi diciamo che la mia parte hardcore era già abbastanza soddisfatta. Delle canzoni che mi hanno proposto sia gli amici che le nuove conoscenze ho scelto quelle che mi piacevano davvero. Quindi in realtà è nato così, non ho ponderato molto perché non sono bravo a farlo. Ma sperimentare è stato divertente, provare nuove cose mettendoci il mio. Le cose belle alla fine vengono quando non le decidi a tavolino, no?

Per molti fan della prima ora hanno funzionato anche le nuove contaminazioni. Sai che non era scontato?

Vero. Anche perché in questo momento storico la gente percepisce la musica in modo strano, ascolta prima una canzone, poi magari un’altra, e si ferma lì. Come per i film e le serie tv: è più facile andare avanti a episodi quando c’hai mezz’ora, e poi metti in pausa. È difficile che uno ascolti tutto l’album di fila, il concetto di lavorare a un disco compiuto infatti è un po’ finito. Ma io essendo della vecchia scuola ho sempre l’idea di seguire un iter, dalla uno alla undici, in modo che abbia un senso anche pipparsi undici tracce sentendosi appagato.

Gemello rapper quadri
Shirt Ardusse

Non credo che lo sforzo ripaghi solo in gloria, sai? Quando un disco è progettato come un iter, ti invoglia ancora a «pipparti undici tracce di fila».

Sì, hai ragione. È un po’ come con i quadri. Puoi passare e guardare di sfuggita, ma se ti fermi ad osservare ci puoi perdere un sacco di tempo per assorbirli. È la mia arma a doppio taglio, io sono così e non ci posso fare niente.

Questo è stato anche definito un disco importante. Che ne pensi? Secondo te quand’è che un album si impone come importante sulla scena?

Quando cambia un po’ le regole o almeno i canoni delle aspettative. Quando uno si rimette in gioco, per esempio. Ci sono stati vari dischi che personalmente mi hanno segnato tanto, come Kid A dei Radiohead. Lì l’approccio magari è stato usare l’808, hanno fatto una cosa nuova mantenendo la loro identità. Chi ha sentito La Quiete all’inizio avrà pensato: «Che è ‘sta canzone di Gemello?», e poi riascoltandolo avrà scoperto un equilibrio. È come vestirsi eleganti ma con le Jordan sotto.

Tu sei stato spesso un apripista prima del tempo: adesso se ti guardi intorno cosa vedi? Recentemente per te ci sono stati dischi importanti di altri artisti?

Beh sì, credo siano quelli dei nomi storici. Marracash. Gué, Noyz, Coez. Ci stanno troppi più contenuti e troppa più roba da dire in dischi come i loro. C’è maestria nel raccontare ma anche nel flow. Per quanto possano diventare famosi i pischelli nuovi con milioni di follower, che a me piacciono tutti pure loro, alla fine i lavori che rimangono sono degli artisti storici. Hanno un sacco da dire, sperimentano, spaccano davvero e non si smentiscono mai.

Gemello rapper disco
T-shirt Bally

Di te dicono che sei un genio incompreso.

(Ride, ndr) Esatto. Incompreso mi fa ridere e mi si avvicina anche. Non è che mi fanno schifo i numeri, però per farli c’è da crepare. E soprattutto in questo momento, tra pandemie e guerre, la nostra è una musica più di contorno. Il mondo va di fretta e la gente cerca di prenderlo per come viene.

Incompreso ti ci sei mai sentito, in questi anni?

Io sono incompreso dalla massa. Non ci riesco a essere un McDonald’s che fattura col sorriso. Io sono il ristorantino piccolo, che se lo conosci ci vai da vent’anni e te lo tieni stretto. E mi piace come cosa, è tipo una spiaggia segreta. Va detto anche che è un compromesso che non ho mai accettato, sia perché non sono in grado di fare cose troppo regalate, sia perché sono molto geloso di tutto. Dei miei quadri, della mia musica.

Invece sul fronte quadri ti sei aperto di più alla massa. Ci siamo abituati alla complessità delle tue opere, che tecnicamente sono sature di elementi da decifrare. L’hai trovata subito questa cifra stilistica o hai dovuto sbatterci la testa?

È come per la musica, non riesco a mettermi a tavolino. Sapevo fare quello, in quel modo. Però ho cercato di migliorare e di ammorbidirmi un po’. Evitare di mettere centomila parole in un testo e anche di saturare troppo i quadri. È un andare a togliere verso l’eleganza, rispetto al mappazzone da cui ero partito. Che comunque era bòno, però un po’ pesante.

I quadri inediti delle prime sperimentazioni noi non li vedremo mai: me lo dici com’erano?

Erano ancora peggio, un inferno. Tipo un film di quattr’ore coi sottotitoli in polacco.

Gemello rap disco
Total look Salvatore Ferragamo

Penso a Roma 2015, dopo anni ancora scopro dettagli. Sarò banale, ma da romana è tanta roba.

Oddio, qual era? Sai, a me piace proprio l’idea di andare a Milano, Roma e New York e pensare che dei collezionisti o dei privati abbiano i miei quadri. Passo sotto le case, vedo una luce accesa e immagino che là dentro, magari, c’è un pezzo di me. Come fosse un figlio mio. È un po’ come con le canzoni, no?
Ad alcuni ricordano un periodo della loro vita, altri ancora devono scoprirle. Mi piace tanto l’idea di camparci quanto quella di sapere che girano tra le case degli altri.

C’è ancora gente che compra un quadro di Andrea senza sapere che dietro c’è anche Gemello, e viceversa?

Alcuni sì, soprattutto all’estero. Spesso comprano il quadro ma poi ci conosciamo, mi portano a casa loro, mi presentano i figli, mi chiedono di me. È un mood che mi ricorda la New York degli anni Settanta, con l’artista che non è che vende e basta, ma gira e crea contatti.

La solita domanda sulla convivenza tra rap e pittura, invece, te la lascio aperta.

Allora ti dico che io di base non è che c’ho un rapporto poligamo con questi due aspetti della mia vita. Faccio ping pong tra le due arti. A volte mi rompo di scrivere musica, altre vado a vedere una mostra e allora voglio correre a casa a dipingere, come un bambino.

Il vantaggio però si vede nella tua produzione: non sei mai costretto a far uscire un singolo nuovo solo per riempire a caso dei vuoti.

Il vantaggio è anche che non sento di stare mai veramente in panchina. Non sto fermo un attimo.

Gemello dipinti
Total look Federico Cina

Parafrasandoti: c’è stato un tempo per essere ‘truce’ e un tempo per diventare più ‘intimo’. Te li riascolti mai i pezzi che facevi con il Klan?

Certo. Quello sono sempre io, non rinnego niente. Quando capita di tornare a cantare vecchi pezzi o fare uno spin off mi prende troppo a bene. Sento come se c’avessi ancora sedici anni, per me quello è un periodo indimenticabile. Insomma, è sempre il mio cuore, ho sempre fatto convivere la mia vena più malinconica con un’attitudine hardcore, così come i brani con In The Panchine hanno sempre avuto una nota nostalgica.

Ministero dell’Inferno ha fatto storia per chi ha vissuto quel periodo. Pensi che i ragazzini di oggi ce l’abbiano ancora come riferimento di un tessuto underground?

I ragazzini di oggi sicuramente hanno tutti i mezzi per scoprirlo. Se uno dice: «A me piace il Noyz», io gli risponderei: «Allora, ciccio, sentiti il Ministero dell’Inferno». Con Internet non rischiano di perdersi niente, magari hanno giusto bisogno di una sorella maggiore che li indirizzi.

Dai tempi di Vecchia Scuola (2006): «La cura è che guarirò da tutte queste malattie», fino all’ultimo album: «Ma non ti viene voglia di tuffarti? Di scordare? Di lasciarti andare via?». La nostalgia è una costante nella tua produzione, anche se spesso è stato posto l’accento su altro. Oggi che effetto fa, se provi a tirare le somme?

Niente, me viene sempre da piagne. Non è cambiato un cazzo. Scrivere e non riuscire troppo a entrarci dentro, fare un quadro e venderlo senza goderselo a pieno… Ecco, quando risento pezzi di mie vecchie canzoni, rileggo una scritta su un muro o rivedo un quadro mio, mi sembra che l’abbia fatto un altro Andrea. E non solo mi viene da piangere di felicità o di tristezza, ma c’è un po’ tutto in quell’emozione. E forse questa è la mia forza.

Credits

Talent Gemello

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Davide Musto

Stylist Davide Pizzotti

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Grooming Alessandro Joubert @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, Gemello indossa total look Zegna

Mr. Rain, una forte fragilità

Trent’anni compiuti a novembre, età cruciale. Nato nel ‘91 a Desenzano del Garda, provincia di Brescia, quando ha iniziato a far musica nel 2011 Mattia Balardi ha scelto un nome d’arte che racconta già molto di lui: Mr. Rain. Noi due però ci sentiamo al telefono in un giorno di sole, e la prima cosa che mi dice è che sta vivendo un periodo luminoso, ancora scorre l’emozione per l’uscita dell’ultimo album, Fragile. Poi osserva anche che mentre parliamo c’è un tempo pazzesco: «Sembra il primo giorno d’estate». Ma come gli ricordano sempre tutti, lui è l’uomo della pioggia. «Esatto, e infatti oggi scapperò».

Nonostante l’aura cinematografica che aleggia sull’elemento “pioggia” e su di lui, dietro lo spettacolo non c’è retorica: «Davvero io scrivo bene solo quando piove – mi racconta – e questa cosa non cambia. Non sono mai riuscito a capire il perché. Mi sento più malinconico e allo stesso tempo più cosciente della persona che sono e di quello che ho vissuto. Se non ci credi, sappi che quando ho provato a scrivere con il sole poi ho sempre buttato tutto».

Fragile è il suo quarto album in studio, arriva dopo lavori già amati dal pubblico e promossi dalla critica, Memories (2015), Butterfly Effect (2018), Petrichor (2021). Questo però è un progetto diverso, prodotto in modo insolito rispetto agli altri. Nato letteralmente tutto d’un fiato. E nei famosi due giorni in cui ha scritto di fila otto dei dieci brani presenti nel disco, me lo giura: pioveva.

Mr Rain rapper
Total Look Ferrari

Fragile è uscito da qualche settimana: come va il primo bilancio?

Ti confesso che inizialmente ero un po’ teso, perché sono uscito molto dalla mia zona di comfort. Questo è un disco vario, meno omogeneo degli altri, è un insieme di mondi. Ma sentire la gente contenta mi stimola. Ho deciso di sperimentare, e dai feedback che mi arrivano forse ho fatto bene.

Lo hanno raccontato anche come «un album che dispensa forza all’umanità». Una definizione importante. Senti di meritarla?

Sicuramente è una cosa gigantesca, quindi mi mette un po’ di ansia. Se però dovessi guardarla dall’esterno, considerando quello che mi scrivono le persone, in effetti ogni canzone le ha colpite in modo particolare. Parlo di argomenti molto privati, cosa che non ho mai fatto in passato. Ho cercato di cambiare il mio approccio alla musica, è stata una liberazione. Ho riscoperto la sensazione che provavo ai tempi in cui scrivevo le primissime canzoni.

Anche il ritmo produttivo è stato insolito per te. Sei passato da periodi di blocco al produrre otto brani in due giorni: tutto vero? Come è successo?

Tutto verissimo. In genere per fare un disco, essendo sia il produttore che quello che scrive i brani e i videoclip, ci metto circa due anni. A questo giro invece è partito tutto da Crisalidi e Neve su Marte (feat. Annalisa), ma dopo un mesetto ho scelto di fare una session in studio di un paio di giorni. Volevo ritrovare quel senso di divertimento e spensieratezza nel fare musica. E lì mi sono uscite otto canzoni, una cosa che ha spaventato anche me. Ovviamente nei mesi successivi ho fatto un gran lavoro di produzione, ma l’anima dei pezzi è nata così, tutta insieme.

Mr Rain Sanremo 2022
Total look Ferrari, shoes JordanLuca

Penso a frasi come: «Poco importa se entrambi saremo lontani / Finché avremo i pensieri intrecciati», oppure «i ricordi fanno male quando il presente non è all’altezza del passato». Nel disco c’è il tipico mal di pancia da fine di una grande storia d’amore, possibile?

Tutto l’album raccoglie piccoli pezzi di puzzle di varie esperienze. Più storie, più persone. In quei due giorni ho concentrato tutti questi ricordi, e quando ripenso a qualcosa che mi ha segnato ho la fortuna di saper rivivere esattamente quell’istante. C’è un bagaglio di esperienze che ho tirato fuori, in questo disco.

Racconti spesso che il nome Mr. Rain nasce dal fatto che riesci a scrivere solo durante i giorni di pioggia. Molto cinematografico, ma è sempre così? O negli anni è cambiato qualcosa?

È esattamente lo stesso. Anzi, io ti dico che veramente scrivo solo quando piove. E non sono mai riuscito a capire fino in fondo il perché.

Quindi pioveva, in quei famosi due giorni di session?

Pioveva, giuro. Per le basi è diverso, riesco a produrne tutto l’anno. Sole, pioggia, è indifferente. Ma la scrittura è una cosa molto intima, e credo che la pioggia mi aiuti a scavare meglio dentro di me. Mi sento più malinconico e allo stesso tempo più cosciente della persona che sono, di quello che ho vissuto. Ho provato a scrivere anche nelle giornate di sole, ma poi ho sempre buttato tutto.

Non è che espatri a Londra?

(Ride, nda) È possibile che prenderò una seconda casa lì.

Mr Rain cantante
Total look Lanvin

In realtà la tua musica ha un legame costante anche con altri elementi atmosferici, direi con la natura nella sua versione più prorompente. Da dove arriva?

Io amo la natura, i viaggi più belli che ho fatto mi hanno portato da lei, come quello in Islanda. Amo i paesaggi fuori dal mondo perché mi sembrano un mondo che non è la Terra. Anche nei videoclip cerco spesso di inserire posti che mi trasmettono queste sensazioni, sono andato sull’Etna per girare Meteoriti. In Crisalidi invece ho girato quasi tutto in interni, ed è stata un’eccezione.

A proposito di cinema, so che ti piacerebbe comporre colonne sonore, ma tu scrivi e dirigi anche molti dei tuoi videoclip. A un esordio alla regia ci hai pensato?

Prima di fare musica ero un grandissimo appassionato, fino a I Grandi Non Piangono Mai ho girato e montato tutti i miei video. La regia è qualcosa che mi piacerebbe fare in futuro, magari partendo da un cortometraggio, perché un film sarebbe un sogno. Mi incuriosisce come la musica.

Rap con archi, orchestre e chitarre elettriche. Sicuramente una scelta produttiva dettata dal gusto, ma è anche una presa di posizione?

Guarda, io non ho mai seguito il trend. Andava la trap? Mai fatto trap. Andava un mood? Facevo il contrario. In questo disco ho cercato di dare priorità ai musicisti, agli strumenti e ai suoni veri. Ho preso batteristi, chitarristi, un quartetto d’archi, un’orchestra intera solo per Crisalidi. Credo sia un valore aggiunto che incide molto sul risultato complessivo. Si sente se c’è un musicista vero, perché arricchisce tutto. Fragile è un album suonato al 99%, pensa che ai pianoforti ci siamo io e un mio amico. Quello di circondarmi di strumentisti era un mio grande sogno e penso che continuerò a farlo.

Mr Rain Fragile album
Total look Ind Fashion Project, shoes Acne Studios

Tra i tuoi colleghi che come te si autoproducono, c’è qualcuno che stimi particolarmente?

Che io sappia, un pazzo come me non c’è. Intendo un altro che suona tutto, che si produce, si scrive i testi e si gira pure i videoclip, non credo ci sia. Ma forse meglio così, eh, perché io faccio una brutta vita. Amo la musica, amo il mio lavoro, ma sono schiavo di me stesso. Perennemente in sfida.

Dormi poco?

Pochissimo. E mentre dormo sogno quello che devo fare il giorno dopo. Tutto questo perché sono sempre stato convinto che nessuno possa rappresentarmi meglio o realizzare esattamente quello che ho in testa. Perciò anche se ci metto il doppio degli altri, non mi interessa. Io stesso, quando cerco di collaborare con qualcun altro, mi sento sempre distante nell’approccio, nei gusti, nel metodo.

Alcuni trovano punti in comune tra te, Coez e anche Fedez, parlando di timbro. Ti infastidisce essere associato ad altri?

Non mi fa impazzire. Io sono molto obiettivo e non vedo reali somiglianze tra quello che faccio io e altri artisti. Ognuno è libero di pensare e dire ciò che vuole, ma trovo che non sia così. Sono molto easy nel risponderti. Se uno invece dovesse dirmi: «Mi ricordi molto lo stile di Macklemore» gli darei completamente ragione. Sono un fan, cerco di fare quella roba lì e sono molto in linea con il suo percorso.

Siamo sempre noi giornalisti a decretare i testi migliori di un disco. Proviamo a scambiarci il ruolo?

A me ovviamente piacciono tutti, ma credo che Crisalidi sia scritta davvero molto bene. Ogni volta cerco di superarmi, ci sbatto la testa per ore di fila, ma forse è quella più accurata dell’album, con più tecnicismi e frasi anche molto pesanti.

Mr Rain canzoni
Suit Vìen, long sleeve shirt Çanaku

Sei andato al Liceo De André di Brescia per confrontarti con gli studenti sul tema della fragilità. Due cose: credi che le loro paure siano anche quelle di noi adulti? E soprattutto, un artista sovraesposto (nel tuo caso oltre 300k tra Instagram e TikTok) può ancora spogliarsi di fronte a una platea di fan e azzerare le differenze per parlare tra esseri umani?

Io credo proprio che sia una questione di dovere morale, per le persone nella mia posizione. Avendo così tanta potenza mediatica anche tra i giovanissimi, bisogna provare a dare un buon esempio o quantomeno a non darne uno sbagliato. Sensibilizzare è fondamentale. Quella al De André è stata una delle più belle esperienze dell’ultimo periodo, era la prima volta per me. Abbiamo parlato dei nostri punti fragili, loro all’inizio erano un po’ spaventati. Ma lo ero anch’io, perché non è mai facile raccontare quello che ci fa paura: cioè le stesse cose. Le abbiamo segnate su un cartellone, e in quella classe tutti avevano le mie stesse debolezze, a prescindere dall’età. L’unica cosa che cambia è che crescendo capisci che parlandone puoi esorcizzarle, conviverci e accettarle per vivere meglio.

Curiosità personale sul mio pezzo preferito: Carillon in versione acustica. Che rapporto hai oggi con quella canzone?

È quella a cui sono più legato. L’ho scritta in un momento particolare, e lei ha scelto il mio cammino. Mi ha fatto capire che genere dovevo fare, cosa scrivere e raccontare, il modo di produrre. È stata la mia prima canzone orchestrale, e da lì si è aperto tutto il mio mondo cinematic-pop. E poi è il pezzo che mi ha fatto esplodere ovunque, il mio primo disco d’oro da indipendente. La canto sempre, ad ogni live, perché anche i miei fan sono legatissimi a Carillon. E io le devo tanto.

Mr Rain Mattia Instagram
Total look Kids Of Broken Future, shoes JordanLuca

Ti emoziona ancora cantarla?

Molto. È una di quelle che, nonostante siano passati anni, continua a farmi sentire i brividi quando la canto.

Cos’è che oggi rende fragile Mattia, e cosa invece rende fragile Mr. Rain?

Eh, bella domanda. Credo che la cosa che rende fragile Mattia sia proprio Mr. Rain. Per tutto quello che ti ho raccontato prima: soffro molto il non sapermi vivere il presente, essere sempre proiettato nel futuro. Ossessionato da questa sfida che ho con me stesso e dal tentativo di superarmi. Purtroppo il più delle volte trascuro le persone che ho intorno e la mia vita privata per il mio vero grande amore, che è la musica.

Credits

Talent Mr. Rain 

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Filippo Thiella

Stylist Caterina Michi, Davide Turcati

Photographer assistant Bryan Durante

Grooming Francesco Avolio @W-MManagement

Nell’immagine in apertura, Mr. Rain indossa total look Ferrari

Motta, la disciplina del talento

La bravura di Motta, riflesso di un talento coltivato e perfezionato metodicamente fin dai tempi dei Criminal Jokers, è ormai conclamata. Numeri, riconoscimenti, i semplici dati della carriera da solista del cantautore pisano, avviata nel 2006, stanno lì a dimostrarlo: stabilmente ai vertici delle classifiche nazionali, due album – La fine dei vent’anni, del 2016, e Vivere o morire, del 2018 – premiati entrambi con la Targa Tenco (un unicum), rispettivamente nella categoria miglior opera prima e miglior disco in assoluto, un terzo (Semplice, uscito l’anno scorso) concepito come racconto del suo percorso di maturazione creativa e umana, che ne certifica la statura di chansonnier con pochi eguali nel panorama musicale italiano.

L’impressione che dà, parlandoci, è quella di un artista maturo, appunto, profondamente consapevole. Dosa con attenzione le parole, sempre puntuali, ponendo l’accento sulla positività che sembra permeare oggi il suo lavoro, sulla gioia («un’esperienza meravigliosa», dice) di ritrovarsi sul palco attorniato da una folla festante, sulla conquista della libertà, fondamentale (lui la mette in termini di «non sentirmi schiavo di me stesso, artisticamente parlando»), sulle parentesi – felici – che esulano dal suo ambito in senso stretto (la colonna sonora de La terra dei figli, il libro Vivere la musica), sul «godermi le cose semplici», sulla volontà, pensando soprattutto agli anni che verranno, di «essere in pace con me stesso», come rivela alla fine dell’intervista.

Motta cantautore talento
Shirt and pants Di Liborio, bracelets Nove25, rings and necklace stylist’s archive

L’intervista con Motta, tra i protagonisti dell’issue Hot child in the City di Manintown

Si è appena concluso un tour che ti ha portato in varie città italiane. Com’è stato l’impatto col palco, esibirsi nuovamente dal vivo dopo la pausa forzata del Covid?

Pazzesco, assolutamente. Il palco in realtà l’avevamo riguadagnato già la scorsa estate, si era trattato però di stringere i denti davanti alla stranezza del live col pubblico seduto. C’era nell’aria un senso come di solitudine, perché il fatto di non potersi abbracciare, ballare o semplicemente alzarsi toglieva all’evento l’idea di comunità, che ho invece ritrovato, fortissima, in questi ultimi concerti.
Condividere uno stanzone con tanta gente che la pensa come te ti fa sentire meno solo. Un’esperienza meravigliosa, per me come per i musicisti della band.

Hai detto che la semplicità cui rimanda il titolo dell’ultimo album è una conquista. Quali altri conquiste, artistiche e non, senti di aver raggiunto nel periodo che ha preceduto, accompagnato e seguito l’uscita del disco?

La più importante, forse, consiste nell’aver ottenuto, con grande fatica, una libertà che mi consente di fare ciò che voglio. Può suonare come una banalità, ma prendere scelte drastiche, rispetto ai lavori precedenti, mi ha permesso di aprire un sacco di porte; ora posso decidere se passare per quelle già spalancate o aprirne di nuove (a livello di costruzione della canzone, intendo). La conquista principale, quindi, sta nel non sentirmi schiavo di me stesso, artisticamente parlando, a costo di provare – per paradosso – quelle vertigini date dal poter immaginare un album in maniera totalmente libera, per quanto possa esserlo chiunque fa musica.

Motta Carolina Crescentini
Shirt Di Liborio

Ricorre, in Semplice, il concetto di normalità, cui si rifà esplicitamente il brano cantato con tua sorella, Alice. Cos’è la normalità per Motta?

Sembrerà assurdo ma quella canzone è stata composta prima della pandemia, durante un periodo in cui provavo felicità nel passare le giornate senza girare come un trottola per l’Italia; una situazione davvero piacevole, sebbene durata pure troppo, visto quanto è successo dopo! Comunque sia, ho capito che godermi le cose semplici, che in passato mi erano mancate, mi faceva stare bene.
Scrivere e poi cantare il brano con mia sorella è stato un po’ come passare l’evidenziatore su questo tipo di normalità, guadagnando dal processo nuovi spunti, un punto di vista differente.

A proposito del duetto, la scelta di coinvolgere Alice è stata influenzata da un big della musica italiana, vuoi raccontarcelo?

Ho sognato De Gregori, telefonava per avvertire mio padre che sarebbe venuto a casa nostra, effettivamente è arrivato e ha ascoltato Qualcosa di normale. Una volta sveglio, ho chiamato Caterina Caselli per raccontarglielo; mi ha spinto a scrivergli, per cercare di rendere un minimo concreta quella “visione”. Perciò ho inviato una mail a De Gregori, motivata anche dal debito nei suoi confronti che, nella canzone, si percepisce chiaramente. Mi ha risposto, dicendomi che il brano l’aveva colpito positivamente, e suggerendomi di cantarlo con una donna. Alla fine, ho pensato ad Alice.

Motta concerti
Shirt and pants Di Liborio, bracelets Nove25, rings and boots stylist’s archive

Hai firmato la soundtrack del film La terra dei figli. Un ritorno alle origini, per certi versi, al corso di composizione del Centro sperimentale di cinematografia, frequentato nel 2013. Come ti sei trovato? È un’esperienza che vorresti ripetere?

Lavorare nel cinema mi piace molto, da sempre, tra l’altro non la percepisco come un’attività secondaria rispetto alla mia, anzi, credo ci siano dei parallelismi tra le due. Si potrebbe paragonare la realizzazione di una colonna sonora all’arrangiamento di un testo già scritto, che dunque va rispettato.
Altro elemento che apprezzo, del settore, è l’idea di un gruppo di persone che operano come una comunità per lo stesso risultato, ciascuna curandone una parte. Inoltre mi sono trovato benissimo sia con il regista (Claudio Cupellini, ndr) sia col montatore, Giuseppe Trepiccione, mi ha fornito parecchi consigli perché aveva ben chiara, persino più di me, la musica che poteva corrispondere a una determinata scena.
Finora, insomma, mi è andata particolarmente bene con i film, conto di replicare.

Nel 2020 hai pubblicato per Il Saggiatore Vivere la musica, come valuti a posteriori il tuo debutto nella scrittura?

Innanzitutto devo ringraziare l’editor che mi ha seguito nella stesura del libro, Damiano Scaramella, senza contare che la serietà della casa editrice mi ha responsabilizzato, da subito. Tutto è partito dall’esigenza non di raccontare una storia, né tantomeno da quella di buttar giù un’autobiografia (avevo 32 anni, troppo presto, decisamente), piuttosto dalla voglia di condividere con i lettori i miei trascorsi musicali, le esperienze con gli insegnanti, spesso tragiche, qualche (rara) volta magnifiche. Era un modo per affrontare l’aspetto didattico di quest’arte, che può avere risvolti oserei dire drammatici.

Motta Semplice album
Turtleneck and trousers Angelos Frentzos

In un’intervista del 2017 sostenevi che a cambiarti la vita fossero stati i giganti del cantautorato, Dalla, lo stesso De Gregori. Tra i colleghi emergenti di oggi, ce n’è qualcuno che per te ha ottime potenzialità, cui guardi – e ascolti, magari – con piacere?

Negli ultimi mesi, da produttore, mi è capitato di lavorare con una cantautrice 21enne, Emma Nolde. Mi ha trasmesso un’energia strepitosa, è stato come se avessi visto un me non solo più giovane, ma anche assai più bravo, io a quell’età non avevo idee tanto chiare. Emma, a mio parere, riesce a tirare fuori un’energia bellissima.

Vesti frequentemente Gucci, hai anche assistito ad alcune sfilate del marchio, cosa ti lega al brand disegnato da Alessandro Michele? Quanto conta, secondo te, l’abito e più in generale il look, per chi fa il tuo mestiere?

Mi sono avvicinato a quel mondo con divertimento, finendo per conoscere Alessandro Michele, Lorenzo D’Elia e altre persone del team Gucci. Ogni tanto dico a Carolina (Crescentini, sua moglie, ndr) che si può considerare la moda come un gioco estremamente serio. Sono convinto, infatti, che alla base vi sia una componente ludica, e per quanto il mio lavoro sia “indossare” le canzoni che scrivo, non gli abiti, averci a che fare è stato senz’altro divertente. Non so, sinceramente, quanto il look sia importante, penso però che, nel momento in cui ci si sforza di trovare se stessi, di capire chi siamo, cosa – e come – vogliamo comunicare, certi aspetti ci aiutino a sottolineare tutto ciò, a volte persino a scoprirlo.

Prendo in prestito il titolo del tuo primo, grande successo: come ti vedi alla fine dei prossimi vent’anni?

Mi vedo – o almeno lo spero – in sintonia con l’età che avrò, preso a godermi quanto costruito nei vent’anni precedenti per essere in pace con me stesso e, seppure sia difficilissimo, felice. Sto lavorando per questo, mettiamola così.

Motta cantautore stile
Suit John Richmond, rings and necklace stylist’s archive

Credits

Talent Motta

Editor in Chief Federico Poletti

Text Marco Marini

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Hair & make-up Fulvia Tellone @simonebelliagency

Hair & make-up assistant Asia Brandi @simonebelliagency

Location Industrie Fluviali

Nell’immagine in apertura, Motta indossa total look Gucci

Baltimora, un talento in ascesa

Nello studio in cui si trova mentre facciamo l’intervista c’è una tastiera alle sue spalle. Edoardo si volta e improvvisa il riff di Baltimora per farmelo ascoltare: ha ventun anni, ma quel «riffetto», come lo chiama lui, ha già una lunga storia iniziata ai tempi del liceo e culminata sul palco del talent che l’ha lanciato. Come è andata lo sappiamo bene.

Prima scelta sorprendente: dopo la vittoria Edoardo ha preferito prendersi una piccola pausa, non di riflessione ma di produzione concentrata e intelligente, che ha portato all’uscita del suo primo EP: Marecittà. 7 brani autoprodotti, una serie di esperimenti coraggiosi che fanno già da manifesto. Il suo è quello di un sound sempre sperimentale e di un gusto internazionale per certi groove, tenendosi però saldo alle radici intime del cantautorato italiano.

Dai primi cd che gli regalava suo zio da bambino alle nottate passate a scrivere per sconfiggere il malessere e l’insonnia, poi quel boato al secondo live di X Factor («quando ho capito che forse dovevo smetterla di fustigarmi così tanto e pensare di non essere all’altezza»). Oggi Edoardo è un fiume in piena. Mi racconta il suo EP d’esordio e pensa già al prossimo che verrà, beata adrenalina in piena fase creativa:

«Devo togliermi la prospettiva che io sia un vincitore: ora devo far sapere al pubblico cos’è quello che faccio fino in fondo. Questa è la mia musica».

Baltimora artista
Total look Salvatore Ferragamo, earrings Radà

Marecittà è appena uscito, è il tuo vero debutto discografico. Sei in cortocircuito o tieni sotto controllo le emozioni?

Sai che per me l’uscita è la parte più semplice? Posso perfino fomentarmi di più, perché ormai è fatta. Il disco è finito, vai, facciamone altri! Però sto imparando a rallentare e a godermi il momento, questo sì.

Com’è convivere con un esordio discografico e insieme con le aspettative che ci sono dopo la vittoria a un talent come X Factor?

L’aspettativa del talent è proprio quello che ho cercato di evitare, ed è anche il motivo per cui siamo usciti così tardi con l’EP. Ovviamente a livello discografico sarebbe stato molto più giusto uscire subito e cercare di cavalcare l’onda della finale. Io però ho insistito per aspettare, perché credo che ogni cosa abbia bisogno del proprio tempo. X Factor è un programma che c’è sempre, l’anno prossimo ci sarà un nuovo vincitore. Quindi non è una cosa di cui si può campare tutta la vita, anzi, dura veramente poco. Ho cercato di non basarmi su questa grande cosa che mi è successa.

Qualcuno ti ha biasimato per esserti preso del tempo prima di lanciare l’EP, io invece ho apprezzato molto questo tuo non essere frettoloso bulimico in termini produttivi. Non era scontato, ma è stato difficile portare avanti questa idea?

È stata difficile come scelta personale, perché sapevo che sarebbe stata una grande occasione quella di pubblicare subito. Ma una volta espresso questo desiderio, avevo paura che comunque non contasse. E invece ho scoperto che la volontà dell’artista a volte conta, non ho dovuto insistere con nessuno.

Baltimora produttore
Sweater Alexander McQueen, trousers Maison Laponte, earring Radà, shoes Marsèll

Hai parlato di una produzione «senza pensieri». Cosa ha significato per te autoprodurti a vent’anni senza troppe regole né schemi?

Per me entrare in studio significa sempre sorprendermi, cercando di fare qualcosa di divertente e nuovo che neanche io mi aspetto. Io faccio musica perché mi diverte, non perché devo liberarmi da grandi macigni o perché è l’unico modo che ho per esorcizzare cose. Semplicemente mi fa sentire vivo, mi fa sentire a mio agio. Quando capita che sto al pianoforte, faccio un giro e mi sembra che abbia già una sua direzione, allora cerco sempre di aiutare la canzone a raggiungere il suo massimo obiettivo.

Autoprodursi e rimanere obiettivi sul proprio lavoro: quanto è difficile?

Credo che all’inizio sia stato limitante lavorare da solo da qui dentro, dove mi vedi adesso, nello studio che ho in casa. Non cercavo ancora un pubblico, facevo musica per me e basta, quindi diventava anche frustrante. Adesso invece lo reputo un vantaggio, riuscire a fare tutto da solo ed avere una visione unica e precisa.

Baltimora cantante
Total Look Prada, necklace Maison Laponte

A me vengono in mente delle scelte che puoi aver fatto, ad esempio in McDonald’s, in Marecittà ma anche in Fumo… Mi racconti alcune libertà vincenti che ti sei preso?

Le tre che hai citato sono sicuramente le scelte più forti. Marecittà perché è un singolo con una struttura coraggiosa, fuori dagli schemi. Ha questa strofa che si ripete due volte e un ritornello che non esplode, eccetto una parte che non definirei drop ma un vero sfogo strumentale.
Cerco di non essere mai egocentrico con la mia voce, ci sono parti bellissime di canzoni senza voce. È una teoria che porto avanti e che cerco di rendere dominante: per me la voce non è lo strumento principale. In McDonald’s l’utilizzo dell’autotune in maniera forzata ed esagerata è frutto dello stesso pensiero, e ovviamente sono arrivati commenti tipo «ma no, tu non sei un tipo da autotune! Devi cantare con la tua voce.

E invece se sperimenti sei un tipo da tutto, anche da autotune. La paura di osare troppo e di mettere troppa carne al fuoco c’è stata?

Il punto è che io volevo presentarmi anche a chi non mi conosce, essendo il mio primo progetto discografico ufficiale. Ad esempio McDonald’s all’inizio non doveva essere nell’EP, perché forse era un po’ troppo arrivando da X Factor. Anche qui ho insistito per questo: appunto perché vengo da X Factor devo togliermi la prospettiva che io sia un vincitore. Ora devo far sapere al pubblico cos’è quello che faccio fino in fondo.

Baltimora canzone
Cape and pants Davii

Del brano Baltimora hai raccontato che il riff è nato anni fa e che per te è stato complicato poi scriverci sopra, perché eri troppo legato a quel giro lì. Qual è la storia?

È stato estremamente difficile perché ero davvero piccolo quando ho creato questo riffetto qua (Edoardo si gira, alle sue spalle ha una tastiera su cui attacca il famoso riff di Baltimora, nda). Avevo giusto quindici anni, prima liceo. Ero con un mio amico con cui ho sempre fatto musica, Leonardo, una persona incredibile a cui devo tantissimo. Mi ha sempre ispirato e stimolato molto, così all’epoca siamo impazziti insieme per questo giro. Avevo un pianoforte con una timbrica strana, ho registrato il riff con due microfoni appena comprati. Nella canzone è rimasto poi quel piano lì, quello di sei anni fa. Era una produzione che mi tenevo da anni, non riuscivo a scriverci niente sopra, è stata una bella evoluzione vederla crescere.

Quand’è che hai capito che bisognava e che si poteva farlo diventare un pezzo? O meglio, il pezzo…

Semplicemente l’ho sempre pensato. All’inizio mi piaceva troppo e mi sembrava che qualsiasi cosa provassi a scriverci andasse a peggiorarla. Poi crescendo ho capito che il fatto che fosse difficile avrebbe valorizzato ancora di più il risultato. Un giorno ho scritto questo testo e casualmente è nata la canzone che conosciamo oggi. È stato merito di una frase: «Vedo il cielo per aria e vaneggiano nuvole», mi piace moltissimo perché può voler dire un sacco di cose. Mi evocava l’immagine giusta.

Da una parte la tua visione produttiva ha un forte sguardo internazionale, dall’altra c’è sempre il racconto intimo di una realtà localizzata, e qui penso all’omaggio che fai ad Ancona e ai testi in cui ti metti a nudo. Credi che il contrasto tra sound e tematiche possa essere l’anima del tuo stile?

C’è tutta la volontà di ritrovarmi in un suono che mi appartenga. Sperimentare a livello di sound in maniera anche internazionale è parte della mia identità, ma d’altra parte sono legato a un cantautorato più intimo e romantico, appunto, più italiano. Diciamo che la mia è un’anima da produttore e amante del suono, ma anche da amante delle parole e delle melodie più semplici.

Baltimora disco
Total look Dolce & Gabbana, earrings Radà

Ti descrivono sempre con l’immagine retorica del personaggio «cresciuto a pane e musica». Ma qual era il pane e qual era la musica? Cosa ascoltavi da piccolo?

Da piccolo, quando non avevo un mio gusto personale ma assorbivo quello che ascoltava mio padre in macchina, ricordo su tutti Safari di Jovanotti. Un disco che è stato consumato nel nostro lettore cd. L’altro era Ali e radici, di Eros Ramazzotti. Questo finché mio zio non iniziò a regalarmi alcuni cd, era il rito di Babbo Pasquale, perché me li regalava sempre a Natale. Erano perlopiù raccolte di canzoni che lui masterizzava per me… in modo totalmente legale (ride, nda). Quindi magari c’era quest’unico cd che io ascoltavo per un anno intero, fino al Natale seguente. È stato il momento in cui ho scoperto i Beatles, Jannacci, Conte, Celentano, ma anche i Black Eyed Peas. Subito dopo ho avuto la fase Ed Sheeran e quella Fedez, fino ad espandermi e ascoltare di tutto.

Dalle contaminazioni a un’identità musicale personale, che si trasforma poi in proposta discografica: è un passaggio cruciale. Com’è stato il tuo?

Io credo che un ruolo fondamentale l’abbia giocato questo mio amico di cui ti ho parlato prima, Leonardo in arte Atarde, musicista e cantautore pazzesco. Ci siamo sempre stimolati molto, ma quando eravamo più piccoli lui era davvero più avanti di me. Viene da una famiglia di musicisti, ha sempre vissuto con strumenti in casa, suona un po’ di tutto. Ero così affascinato dalla sua musica, per me era qualcosa di nuovo che non avevo mai sentito. Osservandolo ho imparato come lui prendeva ispirazione da Khalid o magari dagli Alt-J, e li faceva suoi in una maniera totalmente originale. In effetti all’inizio l’ho proprio copiato (ride, nda), poi ho capito come fare mio tutto questo.

Sembra sempre facile parlare di malinconia che si trasforma in arte, ma non è che sia un sentimento semplice da gestire. Tu hai dovuto farci pace prima di metterla in musica?

Diciamo che associo la malinconia a quella botta allo stomaco che mi fa dire: adesso mi metto al pianoforte e faccio un pezzo. In questo senso è un sentimento positivo, ed è la sensazione più elaborata che possa esistere. Perché la tristezza, la felicità o l’allegria hanno una direzione precisa, ma la malinconia ha diversi strati. Lascia spazio a tanta immaginazione…

Baltimora X Factor
Total look Moschino, earrings Maison Laponte

Te lo ricordi quand’è che hai capito che poteva diventare produttiva?

Al liceo era un periodo in cui non seguivo molto la scuola, la notte non dormivo, era abbastanza difficile. Potevo solo scrivere testi. Quindi quella sensazione negativa del pensare al giorno dopo mi ha portato a dire: se devi star sveglio e fare lo stupido, almeno scrivi. Era un modo per cullarmi, e poi anche per riuscire ad addormentarmi. Scrivere, rileggere, sentirmi soddisfatto di quello che avevo creato mi dava un senso di completezza. Credo proprio di averlo capito così…

Sulla vittoria a X Factor ti hanno chiesto di tutto, ma tra vent’anni cosa pensi che ricorderai davvero di quel periodo?

Penso che ricorderò con emozione il secondo live. Ho cantato Parole di burro e il pubblico si è alzato in piedi. Ha applaudito per un minuto una performance che forse per me non era così incredibile.

Lo definiresti il tuo momento topico? La prima volta in cui hai capito di piacere alle persone?

Sì, è sicuramente quello. Lì ho capito che forse dovevo smetterla di fustigarmi così tanto e pensare di non essere all’altezza, perché se per così tante persone quello era stato un bel momento, forse potevo iniziare a godermelo di più anche io.

Il tuo primo EP lo chiudi cantando: «La vetta a cui punto qui dalla mia stanza / la mia età che avanza / Volevo solo parlarti un po’ di me». Ci pensi già al futuro o domandartelo così presto è una follia?

Di progetti ne ho mille, in questo momento sono un vulcano di idee. Forse troppe. Devo cercare di ridimensionarmi e restare concentrato sugli obiettivi imminenti: il tour, la preparazione dei live, scoprire cose nuove e collaborare con altri artisti. La verità? Io faccio musica dalla mattina alla sera, ho tantissime canzoni e non vedo l’ora di fare il prossimo disco. Per me potremmo pubblicarlo anche domani.

Credits

Talent Baltimora

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Davide Musto

Stylist Simone Folli

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Alessandro Joubert @simonebelliagency

Location TH Roma Carpegna Palace Hotel

Nell’immagine in apertura, Baltimora indossa total look Dolce & Gabbana, orecchini Radà

Hu, artista sui generis dalle molteplici sfaccettature

Hu (all’anagrafe Federica Ferracuti, marchigiana di Fermo) nasce nel 1994. Artista poliedrica – cantautrice, polistrumentista e tecnico del suono – si appassiona alla musica fin da giovane, conseguendo poi una laurea al Conservatorio Rossini di Pesaro. Con uno stile personale fluido e libero da schemi o confini, il suo nome d’arte si ispira a una divinità egizia, né uomo né donna. Attraverso la sua voce melodiosa, arricchisce i suoi brani urban di contaminazioni elettroniche e pop.

È salita alla ribalta per la prima volta nel 2020 partecipando ad AmaSanremo, dove si è esibita – e distinta – con Occhi Niagara. Dopo aver intrapreso una direzione artistica sempre più sperimentale, ha pubblicato i singoli End e Millemila.
Ha partecipato, in tandem con Highsnob, all’edizione 2022 del Festival di Sanremo col brano Abbi cura di te, che fonde sonorità rock, electro e musica ambient. Il suo primo album – per cui ha collaborato col rapper spezzino e Francesca Michielin – Numeri primi è uscito a marzo.

Hu Sanremo 2022
Jacket and pants Fendi, sunglasses Tom Ford, brogues Marsèll, shirt and tie vintage

A Manintown, Hu confida: «Ho perso il conto di tutte le volte che ho camminato per le strade di Milano. Mi sono trasferita qui nel 2017, non so quanto tempo ci abbia messo a capire come funzionassero le direzioni della metropolitana. Ora viaggio spesso e, ogni volta che leggo i cartelloni delle fermate, sorrido e ripenso a come mi sentivo: senza direzione né una ragione. È nelle strade di questa città che ho cominciato a raccogliere i frammenti, per poi rimetterli tutti insieme nella mia anima. Non ho mai capito quale fosse la strada giusta, ma sapevo dove volevo arrivare. Ho scoperto chi sono e, di me, ho amato anche le paure».

Hu cantante capelli
Jacket and pants Alexander McQueen, shirt and tie vintage
Hu cantante foto
Jacket, dress and pants Thom Browne, rings Nove25

Credits

Talent Hu

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Antonino Cafiero

Stylist Sabrina Mellace

Photographer assistant Filippo Ragone

Stylist assistant Elisabetta Catalano

Make-up Greta Agazzi

Special thanks to Patrizia Ferro

Nell’immagine in apertura, Hu indossa giacca e pantaloni Emporio Armani, camicia e cravatta vintage

Fulminacci, sognando il cantautorato

Su un pezzo di carta, un articolo o un muro. Potrei scriverlo ovunque: menomale che sei arrivato, caro il nostro Fulminacci. Con le sembianze di un fumetto e per certi versi anche la missione: quella di rendere l’ordinario almeno un po’ straordinario. Menomale che sei arrivato quando gli altri rischiavano di venirci a noia, quando dal cantautorato indie-pop emergevano perlopiù tentativi pigri e forse un po’ demoralizzati di replicare uno stile preciso, ma già sentito.

Poi ecco qualcosa di nuovo, di fresco e assolutamente versatile. Una rivelazione con il primo album, La Vita Veramente, e una conferma ancora più sorprendente con il secondo, Tante care cose. Mentre scrive e canta semplicemente di quel che conosce (il traffico, l’amore, i dubbi di chi è nato negli anni Novanta), lui la fa sembrare una grande festa. Introspettivo un attimo prima, piano e voce, e poi irresistibilmente dance, tra batterie e ritmica serrata. Mai pigro, mai prevedibile, sempre attento a non ripetersi troppo (lui questa la chiama «paranoia», e ben venga).

Filippo Uttinacci è qui da poco (nato nel 1997 ed esordiente nel 2019), ma potrei scriverlo su un muro, un articolo o un pezzo di carta: Fulminacci resterà.

Fulminacci indie
Total look Maison Laponte

Voglio leggerti i numeri del mio Spotify Wrapped 2021: io ho ascoltato musica più del 95% degli ascoltatori in Italia, 105 generi musicali e 1407 artisti diversi. Insomma, c’è di tutto. Ma indovina chi è l’artista che ho ascoltato di più?

Oddio, se me lo chiedi così mi viene da pensare a me, ma questo sarebbe un onore. Soprattutto considerando la consistenza dei tuoi ascolti!

Questo era, sì, per confessarti che sono una tua fan, ma anche per dirti che credo tu stia rappresentando davvero qualcosa di diverso, di cui si sentiva il bisogno. Oggi dove ti vedi posizionato nella scena musicale italiana?

Io ho sempre avuto difficoltà a decifrarlo e comprenderlo, però penso di fare quello che mi passa per la testa. Fondamentalmente nelle canzoni ci metto quello che mi capita nella vita, niente di più.

Ma per te rappresenta un obiettivo, quello di distinguerti?

In realtà l’obiettivo di distinguermi non c’era all’inizio, io non avevo neanche capito che sarei riuscito a fare questo lavoro. La verità è questa: ho scritto il primo disco senza sapere che poi l’avrei pubblicato, senza nessun tipo di pressione, di logica di mercato o di paragone artistico. Solo dopo aver scritto un po’ di canzoni mi sono reso conto di qualcosa: «Lo faccio ascoltare alla mia fidanzata e ai miei genitori, così mi dicono cosa ne pensano». Ed è andata bene perché loro ne pensavano bene.

Fulminacci canzoni
Shirt and trousers Paul Smith

A un certo punto però la vita da cantautore te la sei immaginata?

L’ho sempre sognata. Per me è una di quelle cose reali che si avvicinano di più all’essere un supereroe. Anche il fatto di avere un nome d’arte è un po’ come il costume di Spider-Man, l’ho presa in questo modo. Non a caso il mio nome, Fulminacci, è abbastanza fumettoso. Non è certo un gioco la fatica che si fa per scrivere o per fare le prove di un tour, ma quello che deve arrivare al pubblico è che ci stiamo divertendo. Quindi ho capito che di mestiere faccio quello che fa divertire la gente, e che non deve far trapelare quanto si sta impegnando.

Funziona, io mi diverto di brutto. Ma Filippo che musica ascoltava prima di diventare Fulminacci?

Come molti di noi, sono cresciuto con i viaggi in macchina e i miei genitori che mi facevano ascoltare la musica che piaceva a loro. Sono partito dai Beatles, che per me rimangono tipo la farina della musica pop contemporanea. Poi i cantautori italiani degli anni Settanta, e questa è una risposta tanto banale quanto vera. Battisti, De Gregori, Dalla, Venditti, fino alla scuola più moderna con Silvestri, Fabi e Gazzè. Ho sempre ascoltato artisti diversi, sono anche un fan di Fibra. Sul decennio Settanta però devo dire che sono ferratissimo, Supertramp, Electric Light Orchestra, Elton John…

Fulminacci cantante
Shirt and trousers Paul Smith

Una volta ti ho definito così: «Fulminacci ti piace perché ti ricorda tutto quello che ti piaceva già, ma torni ad ascoltarlo perché in fondo non ti ricorda nessuno». Ti ci ritrovi?
Che bello, è bellissimo. E lo prendo come un enorme complimento. Per risponderti, in effetti ho avuto modo di notare come la mia fan base sia piuttosto varia, forse dipende da quello che dici tu? Ai concerti le prime file sono piene di sedicenni, le seconde di ventisettenni, e poi si arriva fino all’età dei miei genitori che sono nati negli anni Sessanta.

La Vita Veramente, 2019: un album d’esordio da cui emergevano le influenze felici di Fabi o Silvestri (vedi Borghese in Borghese), ma allo stesso tempo il tuo tocco si sentiva subito forte in brani come Davanti a te Resistenza. Come trovi l’equilibrio tra gli elementi che ti ispirano e quelli che ti rendono unico?

Io credo che bisogna stare in un equilibrio dinamico, cercando di esplorare senza definirsi mai, per evitare di cadere da una parte o dall’altra. Penso che ognuno voglia essere riconosciuto per la propria identità, ma questa non è altro che il frutto di una serie di influenze che continuano ad arrivarti addosso. Vivere in questo settore significa cercare di stare in equilibrio, rischiare, ogni tanto fare anche qualcosa di comodo.

Fulminacci Santa Marinella
Shirt Paul Smith, shoes Marsèll

Dietro alla complessità dei tuoi brani individuo due punti forti: non sei mai pigro, ma fai sembrare semplice questa ricerca costante. In realtà quanto ci rifletti? Quanto stai lì a chiederti: «Qui rischio di sembrare un po’ troppo Silvestri, qui potrei sperimentare ancora di più»?

Tantissimo. Questo tipo di paranoia è all’ordine del giorno per me, su ogni fronte. Banalmente anche sui testi, ho paura sempre di farmi inserire all’interno di una categoria. Cosa che non riesco ad accettare. Le persone completamente decise mi affascinano molto, ho sempre voluto essere come loro da bambino. Ma poi mi sono chiesto: ma perché? Quelli che ti dicono: «No tranquillo, adesso non piove», che fanno poi quando in realtà piove? Allora io sono il re delle paranoie.

E per fortuna, aggiungo io. Con il secondo disco, Tante care cose, per me è successo qualcosa di grosso: dieci tracce una più forte dell’altra, una sorpresa continua che non si esaurisce dopo la novità del lancio del disco. Come hai fatto a infilarne una giusta dietro l’altra?

È stupendo sentirlo da te, perché io ti risponderei che ho semplicemente messo quello che piaceva a me tra tutte le canzoni che ho scritto. Per spiegarti, io ragiono così: se sono il primo a voler ascoltare un mio pezzo, allora va bene, perché esisterà per forza qualcun altro come me che vorrà ascoltarlo.

Ogni brano dell’album potrebbe essere anche un singolo, ma allo stesso tempo l’insieme è un viaggio perfetto. Il tuo management che ruolo gioca qui?

Su questo tema sono completamente grato e affidato alla mia etichetta. Il primo ascolto professionale esterno è sempre il loro. Io non lo so capire se un pezzo potrebbe essere un singolo, non sono un giudice lucido di quello che faccio.

Fulminacci stavo pensando a te
Shirt Alexander McQueen

Vediamo se la pensiamo allo stesso modo: ci sono dei pezzi tuoi che per me resteranno negli anni…

Io credo che a rimanere nel tempo sia quello che non segue le tendenze. Quindi ti direi, forse, i brani meno elettronici. Potrebbero rimanere Giovane da un po’ Le Biciclette, perché è una canzone nuda.

Le Biciclette credo sia una delle cose più belle che tu abbia scritto. Uno di quei brani che non fanno rimpiangere i vecchi repertori, per me su un podio insieme a Maledetto tempo di Franco 126.

Caspita se sono d’accordo su Maledetto tempo! Lo considero anche io un pezzo senza tempo, mi piace tanto che tu lo abbia accostato a Le Biciclette, che è il brano a cui forse sono più legato emotivamente insieme a Sembra quasi. Sono due canzoni che parlano della stessa persona ma in due momenti completamente diversi. Sono quelle in cui metto a nudo i miei sentimenti, e mi viene pure da piangere al concerto. Non so come fare mentre le faccio. È talmente una cosa mia che forse può diventare universale proprio per questo.

Che storia c’è dietro? Perché sono sicura che una bella storia c’è.

È il racconto di più fasi della stessa relazione, fin dal primo giorno in cui è iniziata. Con i suoi momenti di assenza, i periodi in cui sentivo la mancanza, e poi quelli di ricongiungimento con pizzichi di speranza. C’è dentro un po’ tutto quello che riguarda una storia d’amore. Pensa che ho iniziato a scriverla anni fa e l’ho finita poco prima di pubblicare il disco, è stata anche la prima canzone che ho scritto al pianoforte, che non è il mio strumento perché io suono la chitarra.

Fulminacci canzoni famose
T-shirt and sweatshirt Roberto Cavalli

Vedi che una bella storia c’era? Veniamo a pezzi come Tattica Canguro: il tuo gusto del ritmo crea dipendenza, te lo dico, dentro c’è un sound che ricorda la disco anni Novanta e poi diventa solo tuo. Non è che segretamente sei pure un ballerino?!

(Ride, ndr) In effetti quella di Tattica è una batteria disco, intesa alla vecchia maniera. È semi-vera, ma suona un groove che potrebbe essere completamente elettronico. L’aspetto ritmico per me è fondamentale, spesso penso prima al groove o alla metrica della canzone, e poi al testo. Credo fermamente nel fatto che le consonanti della nostra lingua siano utili come fossero delle percussioni, perché ci permettono di enfatizzare e accentare nel modo che vogliamo… Lettere come le T, le Z…

«Del fat-to che ti-amo / di brut-to”»…
(Gliela canto e giustamente ride, ndr) Esatto! E credo che questo sia il risvolto positivo di essere uno che pensa prima alle copertine e poi al libro che scrive. A scuola era vista come superficialità, ora per me significa decidere prima di tutto l’effetto che una canzone deve fare. Nel caso di Tattica avevo l’esigenza di scrivere un testo che esprimesse ritmicamente quello che mi serviva per il pezzo, quindi mi sono soffermato sul suono e ho iniziato a canticchiarci qualcosa, a partire dall’argomento del traffico. Da romano che vive in periferia per me è il quotidiano, io passo la vita in macchina e lì mi sfogo. La vita veramente è nata tutta in macchina durante uno sfogo nel traffico. È forse l’unico caso della mia vita in cui mi è venuta fuori tutta insieme una canzone, testo e musica in una volta sola. Ho iniziato a cantarla come fosse la canzone di qualcuno che conoscevo, è una magia che capita raramente.

Fulminacci brani
Shirt, gilet and trousers Maison Laponte, shoes Marsèll

Tu sai scrivere, ma sul serio. Che rapporto hai con la scrittura e quando hai capito di saper mettere in parole dei pensieri e delle emozioni?

È molto difficile rispondere perché nella vita, quando succedono le cose, non ti accorgi che stavano per succedere. Vieni travolto e ti scordi perché sei arrivato dove sei. Io fondamentalmente ho iniziato da bambino, hai presente quelle cose che scopri solo con l’ipnosi regressiva? (ride). Ricordo che effettivamente a dieci, dodici anni, scrivevo cose su dei fogli ma non sapevo cosa farci, però sentivo l’istinto di cantare quello che scrivevo. Una mattina avevo dedicato persino una canzone improvvisata al mio cane, che stava in giardino e mi fissava. È stata una delle mie prime esibizioni.

Finché non è arrivata anche la chitarra.

Sì, e mi sono concentrato su quello. Ma cantare era una cosa che mi bloccava ancora, mi vergognavo tantissimo. Ho acquistato fiducia canticchiando nella mia cameretta, sempre quando casa era vuota. Una delle prime canzoni che ho fatto e registrato è stata Una sera, mi aveva convinto e ho avuto l’esigenza di farla ascoltare. Poi è successo lo stesso con Resistenza.

«Tu che sei una e mi circondi»«C’è una specie di senso di vuoto, l’ho riempito coi film e le foto»«Anche se sembra di cadere, la parola di Dio e l’infinito ci basterà»: che effetto ti fanno le frasi che emozionano il tuo pubblico?

Domanda bellissima. Io non lo so, perché non riesco davvero a percepirmi. C’è un nesso tra le frasi che emozionano il pubblico e quelle che soddisfano me? Forse sono quelle facilissime da dire, poche parole ma che racchiudono più concetti. «Tu che sei una e mi circondi» è una frase di cui sono molto contento, perché è innanzi tutto vera, io lo penso. E poi esprime un senso di avvolgimento però usando il verbo «circondare», che potrebbe quasi far pensare ad un accerchiamento, se ci pensi lo leghiamo alla polizia. Quindi c’è una doppia situazione: sei in ostaggio di un sentimento bello. E che bello essere vittima di un sentimento.

Fulminacci canzoni famose
Shirt, gilet and trousers Maison Laponte, shoes Marsèll

Riesci a riascoltarle, le tue canzoni?

Ogni tanto sì. Mi emoziono quando sto su Spotify, ascolto le nuove uscite e poi di botto penso: «Vabbè, però pure io so’ uno di questi».

In Giovane da un po’ canti: «E grazie se avete lottato / Mi spiace se non ero nato». Sei nato negli anni Novanta, ma il disincanto non ti ha annichilito. Ci hanno sempre detto che non c’era più niente di nuovo da dire o fare, soprattutto nella musica. Invece?

È vero, la nostra generazione è stata martellata da questo concetto, ce lo hanno sempre detto. In realtà, tirando le somme, si vedrà che alla fine è capitato qualcosa di forte anche a noi. Il Covid, la crisi, assistere alla guerra in Europa. Noi siamo solo una delle tante generazioni, niente di più e niente di meno. Ma di certo nessuno può più dirci che siamo fortunati. Poi vabbè, se dovessi esprimere una preferenza, io avrei voluto vivere altri anni. Essere come De Gregori e Venditti, andare a sentire i Beatles in concerto da adolescente, fare gli anni Settanta a bomba…

Anche io, ma per fortuna te ne vai in giro in questi anni qua. Ci servivi.

Credits

Talent Fulminacci

Editor in Chief Federico Poletti

Text Chiara Del Zanno

Photographer Milli Madeleine

Stylist Simone Folli

Photographer assistant Giacomo Gianfelici

Stylist assistant Nadia Mistri

Grooming Alessandro Joubert @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, Fulminacci indossa total look Maison Laponte

Musica, arte e cultura: il talento incredibile di Ema Stokholma

Alta, esile, jeans e camicia, un paio di Converse nere. Arriva come una studentessa che torna a casa dall’università. Penso che il suo nome, Morwenn, le doni: ha il sapore delle antiche leggende celtiche e delle storie elfiche. Per tutti è Ema Stokholma, artista italo-francese ormai romana.
Si prende il suo spazio: una sigaretta nel giardino privato dell’agenzia che la segue, tra i vecchi edifici di Trastevere, in una giornata di aprile dove una timida primavera ancora non riesce a mandar via un inverno che sembra non voler finire.

Ha pubblicato lo scorso anno il suo primo libro Per il mio bene, edito da HarperCollins, dove ha raccontato la sua infanzia difficile e che le è valso il Premio Bancarella 2021. Lo ha scritto per aiutare altri giovani in difficoltà, per accendere una luce in quel tunnel che lei ha già attraversato. Vittoriosa.

Ema Stokholma libro
Dress Antonio Marras, jewelry Marco De Luca Gioielli, rhinestone net stylist’s archive

Quando illuminiamo la strada per un’altra persona, illuminiamo anche la nostra. Cosa hai visto di te scrivendolo?

Che devo lavorare sugli episodi raccontati nella parte finale del libro, come la morte di mia madre. Cerco sempre di tenere le emozioni lontane da me, soprattutto quelle troppo forti. Mentre scrivevo, ho cercato di mettere distanza tra me e alcuni episodi dolorosi. Non volevo un racconto drammatico: già la storia lo è. Ma ho visto i sentimenti non ancora elaborati.

Ema Stokholma musica
Dress Antonio Marras, jewelry Marco De Luca Gioielli, rhinestone net stylist’s archive

Per il mio bene. Siamo abituati a dire: “lo faccio per il tuo bene”. I soggetti maltrattanti dicono frasi come “non sono io che ti picchio, sei tu che me le levi dalle mani”. Addossano la colpa alla vittima mentre si dipingono caritatevoli…

Mia madre mi picchiava e diceva “lo faccio perché me lo stai chiedendo tu, hai bisogno di questo, io lo so perché sono tua madre e lo faccio per il tuo bene”. Ma quella cosa non ti fa bene. C’è un distacco tra il bene che vorresti avere e quello che ricevi. E quando sei bambino, non capisci più cosa è per il tuo bene. Da adolescente, poi, quando affronti un rapporto sentimentale, pensi che nel tuo bene ci debba essere anche la violenza, perché l’amore te lo hanno insegnato così. Se mi picchi per il mio bene, vuol dire che poi io devo andare a cercare questo tipo di rapporto. È difficile capire che quello non era per il tuo bene.
Sono scappata senza pensarci, per istinto di sopravvivenza. Se ci pensi non lo fai, perché subentra la razionalità, il senso di colpa, la paura di non farcela. E poi ti dicono sempre che nella vita devi affrontare le situazioni, che non devi scappare davanti alle difficoltà. Non è sempre vero: a volte, per affrontare le situazioni, devi vederle da lontano. Ho provato a scappare tante volte, dall’età di cinque anni, ma mi riportavano sempre lì, senza neanche chiedermi “perché sei scappata?”. Ci sono riuscita a quindici anni, quando ero in grado di nascondermi, di confondermi, e nessuno mi ha riportato a casa. A trent’anni sono entrata in analisi: era ora di mettere le mani nel mio passato.

Ora non ti troveresti coinvolta in una relazione tossica?

Sono io la persona tossica. Non cerco relazioni tossiche, non cerco un uomo, una donna, una persona, un’amicizia, che riproduca quello che ho già vissuto e che rifuggo. Sono io che devo gestire la mia violenza, i miei sentimenti, le mie mancanze, i miei vuoti. Per questo sono andata in analisi, perché ho capito che il problema non era che cercavo le persone sbagliate. Ho sempre avuto delle persone fantastiche al mio fianco, ma sono io la persona problematica della coppia. Lo ammetto.

C’è una grande amicizia nella tua vita, Andrea Delogu. Come vi siete incontrate?

Era il 2009. Io facevo la cubista e lei la vocalist. Un giorno ho detto: non voglio più fare la cubista. Guadagnavo bene, ma non vedevo un futuro. Ho cominciato a fare la dj, dal nulla, ma era quello che volevo. Così ho conosciuto Andrea. Insieme, abbiamo cominciato a lavorare nelle discoteche più sperdute delle province italiane. Non è stato un colpo di fulmine. Prima un incontro, poi lentamente ci siamo aperte e abbiamo capito di avere bisogno l’una dell’altra.
Io sono cresciuta nella violenza e nella solitudine, solo con mia madre e mio fratello. Lei in un ambiente violento, ma con tantissime persone, in una comunità dove erano tutti zii, fratelli, dove i bambini erano di tutti. Questo ci rende completamente diverse. Però è l’unica persona che davvero mi capisce e io capisco lei. C’è una forte empatia tra noi e ci siamo compensate.

Ema Stokholma Andrea Delogu
Lace dress Antonio Marras, jewelry Pomellato, shoes Giuseppe Zanotti

Cosa cerchi in un rapporto di coppia?

Una persona tranquilla. Ho una personalità conflittuale. C’è una parte di me che va sempre verso la luce e un’altra che deve ancora superare vecchi meccanismi. Dico sempre: “vado in analisi e non voglio far fare a te questo lavoro. Ma, se mi ami, devi prendere il pacchetto completo. Sappi però che io faccio di tutto per migliorarmi”. Lo faccio per stare bene con me stessa. Non è l’altra persona che mi deve salvare e non do la colpa dei miei problemi agli altri.

Sei riuscita a evitare disturbi alimentari e dipendenze?

Non posso dire di non esserci cascata. L’alimentazione era un problema già quando vivevo con mia madre. A scuola mangiavo dai piatti di tutti perché avevo fame, ma a casa non ci riuscivo. L’inappetenza è rimasta, ma mi impongo di mangiare cose sane per il mio bene.

Il tuo Instagram è un’esposizione permanente dei tuoi quadri. Come ti sei avvicinata alla pittura?

Sono fiera del mio Instagram. Fin da bambina mia madre mi ci trascinava per musei e di questo le sono grata. Mi è rimasta la passione.

Riproduci fedelmente le foto, tranne i tatuaggi…

Non mi piacciono più neanche su di me. Alcuni li sto cancellando e vorrei toglierli tutti. Il problema dei tatuaggi è che quel disegno dopo dieci anni o venti non ti rappresenta più.

Ema Stokholma madre
Feather detail dress Antonio Grimaldi

Il legame con tuo padre?

Avevamo rapporti sporadici. Passavano mesi o anni tra una visita e l’altra. Diceva “torno tra tre mesi” e poi non tornava mai. C’era già una distanza fisica, ma sono stata costretta a mettere una distanza affettiva, anche se con difficoltà. Non puoi vivere sempre in attesa. L’assenza la gestisci, ma quando una persona torna, va via e ti promette di tornare e poi sparisce di nuovo, è una tortura.
Credo sia sommerso dai sensi di colpa, ma non cambia. Il senso di colpa è come una palude: ogni giorno ci affondi sempre più. Invece dovresti dire “da adesso in poi cambio”. Per questo è difficile recuperare il rapporto.

Non sei schiava del perdono…

Non lo concepisco. Se sbaglio lo ammetto. Non ha senso chiedere perdono: io non sono inferiore per aver sbagliato e tu non sei superiore perché mi perdoni. Mia madre non mi ha mai chiesto scusa. Non posso perdonare una madre che fa del male ai suoi figli, ma posso comprenderla, capire le sue mancanze, la solitudine, la follia.
Quando si soffre troppo si rischia di impazzire. Se non sei circondata da persone che ti vogliono bene, che ti aiutano, che sono positive, è difficile. Mia madre era sola. Non voglio perdonarla, ma posso comprenderla. Se continui ad odiare per quello che ti hanno fatto, non vai avanti.
Ricordo benissimo il giorno che mi sono liberata dal rancore e ho provato empatia per mia madre: mi sono sentita in pace con il mondo.

Ema Stokholma modella
Dress and shoes Antonio Marras

“Non si è mai al sicuro in nessun posto”. Il libro inizia così. Ora che hai una casa tua, c’è un posto dove ti senti al sicuro?

Ora sì! Fin da piccola non mi sentivo sicura da nessuna parte. Quando andavo dagli assistenti sociali, non raccontavo cosa succedeva: facevo scena muta perché non ero sicura, non mi fidavo. Sapevo che mi avrebbero riportata a casa e, se avessero detto a mia madre che avevo parlato, per me sarebbe stata la fine. Nessuno mi ha mai detto “siamo qui per aiutarti, dimmi cosa succede”. Nessuno mi ha fatto sentire al sicuro, per raccontare, per aiutare me, mia madre e mio fratello. Già quando ho preso quel treno per l’Italia mi sentivo meglio. Ora mi sento al sicuro dove sto perché mi sento al sicuro con le persone che ho accanto.

Com’è la tua famiglia?

È figa. L’ho scelta io. Mio fratello è un’estensione di me e poi c’è Andrea (Delogu), ci sono altri amici, le persone che mi aiutano a fare il mio lavoro, che condividono con me le cose belle. Sono contenta.
Sono stata brava a scegliermi le persone che fanno parte della mia vita, sono loro la mia famiglia.

Ema Stokholma canzone
Dress Di Liborio, ring Marco De Luca Gioielli, sandals Giuseppe Zanotti

Giorni fa eri sul palco a Bologna per il concerto di Save the children per l’Ucraina. La musica non ferma la guerra, ma avete lanciato un messaggio, anche a chi questa guerra la sta negando.

È stato potente vedere tutte quelle persone cantare insieme e abbracciarsi.
La gente nega tutto. Ce ne siamo accorti in questi anni. Sai perché ho scritto il libro? Perché un giorno, su Facebook, ho letto un post su un bambino morto in casa sul divano, con il collo spezzato dal compagno della madre. Se è successo, è perché i vicini hanno sentito urla per mesi e non hanno fatto nulla. Neanche le maestre a scuola. Le persone negano perché non vogliono capire cosa succede.
Quando sono arrivata in Italia, mi chiedevano “perché non parli più con tua madre?”. Io dicevo “perché mia madre mi picchiava”. E mi rispondevano “però la mamma è sempre la mamma”. Sì, ma se la mamma è Hitler, perché devo chiamarla e dirle ti voglio bene? Le persone non vogliono vedere le tragedie che accadono dall’altra parte del mondo, come nella casa accanto. Ma se non vedi, non puoi agire e non aiuti nessuno. E allora qui che ci stai a fare?

Ema Stokholma dj set
Suit Gianluca Saitto, jewelry Marco De Luca Gioielli, sandals Giuseppe Zanotti
Ema Stokholma artist
Jacket and earrings Krizia

Credits

Talent Ema Stokholma

Editor in Chief Federico Poletti

Text Alessia de Antoniis

Photographer Davide Musto

Stylist Alfredo Fabrizio

Photographer assistant Michele Vitale

Stylist assistant Federica Mele

Hair Alessandro Rocchi @simonebelliagency

Make-up Giulia Luciani @simonebelliagency

Location TH Roma – Carpegna Palace Hotel

Nell’immagine in apertura, Ema Stokholma indossa un abito Antonio Marras

Il successo di Highsnob, immerso nella scena rap

Michele Matera, in arte Highsnob, 37 anni, originario di Avellino ma spezzino d’adozione, è tra gli artisti più affermati sulla scena rap italiana. Con alle spalle un passato turbolento, nel 2013, assieme al rapper Samuel Heron, fonda il duo Bushwaka; dal sodalizio nasce Pandamonium, disco pubblicato dall’etichetta Newtopia.
Dopo questo esperimento, l’artista intraprende la carriera da solista e a giugno 2015 pubblica il suo primo singolo, Harley Quinn (disco d’oro), in cui fonde la trap con le sonorità del rap classico. Anticipato dal singolo Wannabe, che vede la partecipazione di Junior Cally, il  primo album in studio Bipopular arriva nell’estate 2018. Nel 2019, 23 coltellate viene certificato disco d’oro dalla FIMI, nel 2020 è invece l’ora dei singoli Wannabe vol. 3 e Per odiarti non ho tempo. Nel 2022, Highsnob debutta al Festival di Sanremo in coppia con la cantautrice Hu, con Abbi cura di te, brano dedicato alla fine di un amore, in cui si mescolano pop, rap ed elettronica.

Highsnob discografia
Total look Hermès
Highsnob rap
Jacket Diesel, T-shirt Kangra

Credits

Talent Highsnob

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Filippo Thiella

Stylist Davide Pizzotti

Photographer assistant Andrea Lenzi

Stylist assistant Gianluca Sacchetti

Grooming: Ricky Morandin/W-MManagement

Nell’immagine in apertura, Highsnob indossa suit Vivienne Westwood, T-shirt Kangra, shoes Salvatore Ferragamo, sunglasses Tom Ford

Tananai, il fenomeno musicale della new generation

Dopo la partecipazione a Sanremo, Tananai, nome d’arte di Alberto Cotta Ramusino, ha conquistato il pubblico diventando uno degli artisti più di tendenza e seguito dai giovani. Dopo il Festival, il suo singolo Sesso occasionale è stato certificato disco di platino.

Tananai Instagram
Total look Alexander McQueen

Nato nel 1995 a Milano, Alberto è stato sempre appassionato, fin da adolescente, di musica elettronica, e si è dedicato da subito alla produzione musicale, pubblicando nel 2017 il primo album intitolato To Discover and Forget, utilizzando lo pseudonimo Not For Us. Presto inizia a esplorare vari generi musicali e a scrivere anche in italiano, pur occupandosi ancora principalmente di produzione.
Nel 2019 emerge come vero e proprio cantautore con il nuovo nome d’arte Tananai, e nel 2020 fa uscire il suo primo EP intitolato Piccoli Boati. Ci racconta lo stesso Alberto: “Il primo EP è nato dalla voglia di raccontare quello che mi succedeva nella vita, perché reputo che la quotidianità sia particolarissima a modo suo per chiunque. Quindi ho cercato di trasporre le mie giornate e storie d’amore, le mie delusioni e momenti in cui ero preso bene all’interno della musica che facevo. Venendo da un passato di produttore per la musica elettronica, dovevo imparare a scrivere e disimparare a produrre. Ho parlato di quello che conoscevo: la mia quotidianità”.

Nel 2021 la sua carriera prende una nuova piega con il singolo BABY GODDAMN, che arriva anche ad essere certificato disco di platino, con cui è ora in vetta alla classifica Top50 di Spotify Italia. Nello stesso anno arriva a collaborare con artisti come Fedez e Jovanotti, partecipando a Sanremo Giovani con la canzone Esagerata, grazie alla quale rientra nel podio dei vincitori.

Il 2022 si apre con la partecipazione al 72° Festival di Sanremo in cui presenta Sesso occasionale, un brano carico di ironia e positività. La partecipazione al Festival – nonostante le diverse critiche – gli restituisce grande visibilità, tanto che pochi giorni dopo la fine della competizione il singolo entra nella Top 10 tra i brani più ascoltati di Spotify Italia e anche BABY GODDAMN scala le classifiche, fino alle primissime posizioni della Top 50. Ci confessa Alberto: “‘Sesso occasionale’ è nata in maniera molto naturale durante una sessione in studio. È saltata fuori come continuazione di ‘Esagerata’- il pezzo di Sanremo Giovani, ci ha coinvolti da subito e abbiamo lavorato fino alla scadenza per mandarla. Non sapevo cosa aspettarmi dopo Sanremo. Sono andato a ruota libera perché pensavo solo a dare energie positive e al fatto di tornare a cantare sul palco davanti a un vero pubblico”.

Un successo che continua anche nel suo primo tour italiano che in poco tempo è finito sold out in molte date. “Il mio sogno nel cassetto lo sto realizzando, ovvero suonare dal vivo davanti a più persone possibili. E finalmente dopo tanti momenti di stop vedo che sta per succedere… Questo mi riempie di entusiasmo”.

Tananai social
Total look Gucci
Tananai Alberto
Total look Valentino, sunglasses Versace, shoes GCDS

Scoprite qui la videointervista completa a Tananai, realizzata in esclusiva per Manintown durante lo shooting per una delle sei cover dell’issue Hot child in the city.

Credits

Talent Tananai

Editor in Chief Federico Poletti

Text Federico Poletti

Photographer Leandro Manuel Emede

Stylist Nick Cerioni

Stylist assistants Michele Potenza, Salvatore Pezzella, Noemi Managò

Make-up & hair Mara De Marco

Nell’immagine in apertura, per Tananai total look Alexander McQueen

I diversi volti di Gianluca Ginoble

Enfant prodige di origini abruzzesi, Gianluca Ginoble è noto soprattutto come uno dei tre cantanti lirici de Il Volo. Ha iniziato a cantare ad appena tre anni, a 14 ha partecipato a un talent show dove ha incontrato Piero Barone e Ignazio Boschetto, con cui ha fondato di lì a breve il suddetto trio musicale.

Il Volo Gianluca Ginoble baritono
Jacket The Nick, pants FBMT, hat Lorenzo Seghezzi, jewelry Vitaly

Baritono, la voce profonda, delicata ha subito permesso a Gianluca di distinguersi, facendogli guadagnare un grande seguito sui social media, dove condivide con i fan momenti della propria vita quotidiana.
Fa parte tuttora del gruppo, che si sta preparando per un tour mondiale fra Stati Uniti e Canada.

Il Volo Gianluca
Shirt Saint Laurent from Antonioli.eu, jewelry Vitaly
Gianluca Ginoble lirica
Gianluca Ginoble moda
Total look Saint Laurent from Antonioli.eu, jewelry Vitaly, shoes Sonora
Gianluca Ginoble social
Jacket Alessandro Vigilante, jewelry Vitaly
Gianluca Ginoble songs
Vintage suit, stylist’s archive
Ganluca Ginoble cantante del Volo
Total look Ardusse
Gianluca Ginoble del Volo
Shirt Saint Laurent from Antonioli.eu, jewelry Vitaly

Credits

Talent Gianluca Ginoble

Photographer Leandro Manuel Emede

Styling Nick Cerioni

Stylist assistants Michele Potenza, Salvatore Pezzella, Noemi Managò

Make-up & hair Mara De Marco

Sem&Stènn: l’inizio di un nuovo capitolo

Sem&Stènn si conoscono nel 2007, in un blog di musica, dove condividono passioni e desideri.  Decidono di incontrarsi quattro anni dopo, nel 2011. L’anno seguente, la loro unione si trasforma in collaborazione artistica. Nell’aprile 2016 pubblicano il primo singolo, cui ne fanno seguito altri due e un EP. Nell’estate 2017 arriva X Factor, qui Sem&Stènn divertono, disturbano, dividono, scuotono il pubblico e si fanno portavoce della comunità LGBTIQ+, contro qualsiasi stereotipo di genere.
Nel 2018 escono i singoli The Faira cui segue Baby Run feat. Manuel Agnelli, che li sceglie come opening performers il 10 aprile al Mediolanum Forum di Assago, data unica celebrativa dei 30 anni degli Afterhours. Comincia da lì l’OFFBEAT tour nelle principali città italiane. Segue il secondo singolo Bravo e vede coinvolto nella realizzazione il producer Populous. A Settembre Sem&Stènn rilasciano invece il video del singolo You, Your Friend, Another Guy, ispirato al film Sebastiane del 1976 del regista inglese Derek Jarman che racconta la vita del santo senza censure. Il 19 giugno 2019 esce K.O. feat. YAMATT, il loro nuovo singolo, per la prima volta in Italiano a cui segue OK Vabbè, il cui video è stato girato a Rosolini, in Sicilia, Ho pianto in discoteca feat. CRLN e 18 annipubblicato durante il lockdown. Il 19 febbraio 2021 è uscito AGARTHI, il primo concept album in italiano del duo. Il loro singolo The Fair è stato incluso nella soundtrack di Anni da cane, il primo film Amazon Original italiano.






Credits:
Photographer Giuseppe Martella
Ph. assistant Stefano Garay
Make-up Maria Isopo

Da oggi su Youtube il video di ROCKY, è il loro ultimo singolo che vede il feat. di MUDIMBI, uscito lo scorso giovedì 2 dicembre in distribuzione Believe. Questo brano segna il ritorno del duo, e apre le porte a un nuovo percorso di sperimentazione sia sonora che emozionale. Il video vede la partecipazione di Giulia Jean e Miriam Amabili ed è diretto da Salvatore Puglisi, interamente girato nella Palestra Popolare Antirazzista di Brescia.



ROCKY è l’inizio di un nuovo capitolo che mira a raccontare un nuovo modo di esprimere la mascolinità. In questo primo episodio SEM&STÉNN decidono di farlo unendo il loro mondo musicale con quello di MUDIMBI; nasce così un brano uptempo dove le punchline serrate ti stendono al primo ascolto. Questo è solo l’inizio di una serie di singoli che, con diverse sfumature, affrontano la mascolinità: tramite il corpo, la mente, il dolore e il piacere, riscoprendo la propria sessualità e il rapporto con l’altro. Attraverso la musica i cantanti sanno far esplodere le emozioni, trasformandole in qualcosa che, anche se fa male, può avere il giusto tempo per ballarci sopra.




ROCKY

Per le immagini di ROCKY, credits:
Photographer Vittorio Schiavo
Make-up Luca Pieretti
Styling: Sem&Stènn
Styling assistant Miriam Amabili

Immagine in apertura, ph. by Vittorio Schiavo
 
 

 

Immanuel Casto, artista dalle mille sfumature tra “porn groove”, concerti e giochi dissacranti

Parlando di attori, musicisti e altri personaggi dello spettacolo si tende ad abusare di concetti quali versatilità o eclettismo; nel caso di Immanuel Casto, però, espressioni simili sono una soluzione praticamente obbligata per provare a sintetizzare l’operato di un artista dalle mille sfumature. Manuel Cuni, questo il suo vero nome, è innanzitutto un cantautore “porn groove” – termine da lui coniato per indicare una miscela di elettropop, sonorità ’80s e testi outré anticipati da titoli come Escort 25, Tropicanal o i recenti D!CK PIC e Piena – che, muovendosi sul crinale tra camp e arguta disamina sociale, non manca di sbeffeggiare ipocrisie e storture del Belpaese, dalla mercificazione del sesso alla spettacolarizzazione della violenza. In parallelo, realizza giochi da tavolo dai nomi inequivocabili (Squillo, Witch & Bitch, Red Light – A Star is Porn), è presidente del Mensa, associazione che riunisce le persone che raggiungono o superano il 98° percentile del Q.I., è “postacuorista” (come si autodefinisce) di Gay.it.
L’abbiamo raggiunto al telefono per una chiacchierata che ha toccato diversi argomenti, dal ddl Zan alla predilezione per l’inglese “to play”, verbo polivalente che lui considera il fil rouge di una vis espressiva rara a trovarsi.



Il 6 gennaio sarai in concerto all’Alcatraz, «un ritorno ai club dove tutto è cominciato», come ti senti a riguardo, che sensazioni dà il comeback dal vivo?

La prima sensazione è di terrore, non del palco bensì dei problemi che potrebbero sorgere da qui ad allora. Come lavoratori dello spettacolo siamo stati tra i più colpiti dalla pandemia, si è parlato a lungo – giustamente – di tutte le categorie in difficoltà, di noi invece sembra non importi granché.
In uno slancio di ottimismo, abbiamo comunque messo su un grande spettacolo (mi piace definirlo tale), provo un’immensa felicità al pensiero di tornare su un palco così bello e rincontrare il pubblico, del resto è quello il vero punto di inizio.
Non so se ogni artista lo senta, ma durante gli show avverto un senso di celebrazione di valori condivisi, è davvero un momento di comunione con i fan, non vedo l’ora di viverlo.

Puoi parlarci dei tuoi ultimi singoli? Come li descriveresti a chi dovesse leggerne per la prima volta?

Stratificati, mi sembra un termine calzante. Mi piace mescolare elementi diversi, unendo un linguaggio o immagini ridanciane, ironiche, provocatorie a riflessioni più profonde; nonostante sia veramente difficile padroneggiare i due registri, mescolare tragedia e commedia è una sfida che mi ha sempre attratto; credo sia, peraltro, una delle caratteristiche più distintive del mio lavoro.
Adoro generare un po’ di straniamento, mettendomi nei panni di chi vede un mio video vorrei sentisse una sorta di shock, poi il divertimento, quindi la comprensione degli spunti che cerco di inserire, una stratificazione, appunto.



Ti sei fatto conoscere nel 2011 con Adult Music: come hai dichiarato recentemente, «un disco che resta moderno, non sento che sono passati dieci anni», cosa lo rende ancora così attuale?

Lo sforzo artistico alla base, c’è un principio junghiano per cui, quando si scava veramente a fondo, la verità che si trova è quella di tutti. Un errore in cui incappano tanti artisti emergenti (lo capisco, ci sono passato anch’io) è realizzare prodotti eccessivamente autobiografici, operazione legittima e interessante, sia chiaro, però alla lunga non risulta universale.
Da parte mia, cerco di concentrami sulla società, resistendo alla tentazione, per quanto ghiotta, dei riferimenti nominali all’attualità, nonostante li comprendano tutti anzi, probabilmente prendendo il tema in trend o il personaggio del momento puoi godere di immediata visibilità; hip hop, rap e trap agiscono così, è del tutto plausibile ma trovo che abbia il problema di invecchiare rapidamente.
Raccontare un’epoca anziché un mese è difficilissimo, poi però riascolti i brani e senti di aver realizzato una foto dell’epoca.

Sei dell’idea che l’arte non debba avere nobili fini, parafrasando Wilde affermi «nasce inutile e questa inutilità va preservata»; anche in Italia si comincia a parlare di cancel culture e politicamente corretto, credi che un eccesso di controllo, seppur animato dalle migliori intenzioni, possa finire per limitare la creatività artistica?

Ne sono convinto, pur premettendo che ritengo spropositata l’attenzione riservata a un fenomeno che da noi non è ancora arrivato.
Mi piacerebbe ci fosse, in merito, un dibattito fondato sui dati, invece ognuno si concentra sui contenuti che non gli aggradano, anche per il meccanismo dei social.
Al netto dell’isteria sul politicamente corretto, le implicazioni che a me spaventano di più hanno a che vedere con il desiderio di moralizzare l’arte; si cerca da sempre di farlo, forse perché cambiare la realtà è quasi impossibile, al contrario per modificare la finzione artistica basta stabilire ciò che si può dire, quali concetti rappresentare. Per decenni lo abbiamo visto nei conservatori, ora sono soprattutto i progressisti a chiedere un controllo maggiore, con ragioni solide peraltro! È questo che rende complicata la faccenda, alla base ci sono motivazioni etiche che personalmente comprendo, in alcuni casi condivido.
Per quanto non ritenga si stia andando in quella direzione, comunque, avrei orrore di vivere in un mondo dove l’arte debba essere necessariamente morale.



Sei presidente del Mensa, com’è andata finora e quali altri obiettivi ti poni?

È stata un’esperienza davvero intensa, un’occasione di crescita personale all’interno di un contesto di circa 2000 soci.
Come associazione senza fini di lucro che raccoglie e mette in contatto persone con un elevato Q.I., gli obiettivi restano gli stessi, cioè far crescere la nostra realtà, rendendola un luogo più stimolante e fornendo così contributi interessanti al pubblico, a cambiare sono semmai gli strumenti.

Tieni la rubrica “C’è posta per Casto” su Gay.it, che quadro ne emerge, come sono messi, sentimentalmente parlando, gli utenti del sito?

Una situazione generalizzata che percepisco, specie nei più giovani, è la fame di educazione affettiva, il bisogno di parlare di questioni affettive come di quelle sessuali, una gran voglia di conoscere, confrontarsi, capire di non essere i soli a dover affrontare certi problemi, di normalizzarli.



I tuoi giochi da tavolo trattano con originalità e piglio dissacrante temi scabrosi, come è nata e si è sviluppata questa passione?

L’ho sempre avuta, il gioco per me è una palestra, anche per le emozioni “negative” quali rabbia o tensione che, nel contesto ludico, diventano sane, entusiasmanti. Se dovessi rispondere, in inglese, a una domanda su ciò che più mi piace utilizzerei il verbo “to play”, riferibile a svariati ambiti (“to play games, a song, a character…”), è un po’ il filo conduttore di tutto ciò che faccio a livello artistico.
A un certo punto, semplicemente, sono entrato a gamba tesa nel settore, privo di qualsiasi preparazione tecnica, in fondo credo che quando si ignorano totalmente le convenzioni diventi più facile romperle, almeno in linea teorica.

Ti eri esposto pubblicamente in favore del ddl Zan, impallinato dal voto del Senato a ottobre. Perché, a tuo parere, un disegno di legge che si proponeva semplicemente di contrastare la discriminazione basata (anche ma non solo) su orientamento sessuale o genere ha scatenato una tale cacofonia di polemiche, accuse, appelli e controappelli? Credi che riusciremo, prima o poi, a compiere passi significativi in questa direzione?

Penso di sì, per natura sono ottimista, credo si tenda naturalmente al progresso, purtroppo non è mai una linea retta.
Nel caso specifico, è stato orribile il livello di inquinamento del dibattito, a cominciare dai detrattori che hanno portato avanti un processo di disinformazione, mentendo letteralmente sui contenuti del testo, lasciando intendere che fosse a beneficio esclusivo di specifiche categorie, quando si trattava dell’estensione di una legge già in vigore per cui stabiliva delle aggravanti, certamente non che la discriminazione degli omosessuali fosse più “grave” di altre. L’obiezione del reato d’opinione, invece, si infrange sul fatto che la Reale-Mancino non è mai stata utilizzata per perseguire espressioni poco lusinghiere, diciamo così, nei confronti di persone di altre etnie o religiose.
C’è bisogno tuttavia anche di un po’ di autocritica, dal nostro lato ho sentito spesso affrontare l’argomento in maniera semplicistica e populista, in termini di diritti da aggiungere, cosa tecnicamente inesatta.



Due recenti singoli, il live di gennaio, e poi? Cos’hai in serbo, stai lavorando a qualche progetto di cui puoi/vuoi anticiparci qualcosa?

Ho molto materiale inedito, confido di rilasciarlo gradualmente nel 2022, per come si è strutturato il mercato discografico ha sempre meno senso pubblicare subito l’intero album, meglio piuttosto che arrivi a conclusione di un ciclo.
Per quanto riguarda la parte ludica, annuncerò presto un nuovo progetto, da lanciare tramite crowdfunding.



In apertura e nella prima foto, occhiali da sole Lanvin, camicia e pantaloni Red September, anfibi Cult, Credits:
Photographer Ilario Botti
Stylist Antonio Votta
Make-up Artist Bruno Agostino Scantamburo
Label Freak&Chic
Press Office Astarte Agency

Piove ancora: il nuovo album di Silent Bob & Sick Budd

Dopo lo straordinario successo virale del suo primo album d’esordio “Piano B” che solo su Spotify ha superato oltre 50 milioni di ascolti, esce Venerdì 5 Novembre in fisico e digitale “Piove ancora” l’atteso nuovo album di Silent Bob, una delle migliori penne della nuova scena urban contemporanea. Il disco in uscita su etichetta Bullz Records, licenza esclusiva Believe Artist Services, è prodotto interamente da Sick Budd, geniale producer che insieme a Silent Bob ha saputo disegnare un’identità musicale unica ed inconfondibile.



“All’inizio non sapevo da dove partire per scrivere questo disco – dichiara Silent Bob – Continuavo a scrivere pezzi e registrare provini ma niente andava come doveva e come volevo.

Era iniziato da poco il primo lockdown e mi trovavo con una casa affollata e senza privacy e tante insoddisfazioni. Una strana sensazione di fallimento mi perseguita da sempre ma pensavo si sarebbe affievolita dopo il successo del mio primo disco. Dopo settimane senza ascoltare musica o guardarmi allo specchio, all’improvviso una notte mi sono sentito come trainato da una forza esterna che mi ha finalmente spinto a scrivere tutto quello che volevo, come volevo, senza più pensare a chi c’era fuori e a cosa volesse da me. E’ così che quella notte nacque Piove Ancora, il brano che ha dato poi il via all’intero nuovo album. Da lì in poi sono riuscito ad approcciarmi ad ogni mood ed a ogni nuovo brano come volevo davvero. Era passato già molto dall’uscita del primo disco e tutto quel periodo di fermo di tristezza e di solitudine mi ha aveva inevitabilmente fatto crescere. Ero diverso dagli anni prima, lo sentivo. Non mi serviva più l’aiuto o la compagnia di altre persone, avevo tutto dentro quello che volevo esprimere. Ho scavato per mesi dentro di me senza trovare nulla ma quando stavo per mollare e crollare definitivamente, ecco una luce.  Piove Ancora è stato scritto da un ragazzo che scava senza sosta per trovare il peggio di sé stesso, una sorta di autolesionismo. Quando lo trova, come fosse un tesoro oscuro, lo fa suo e lo trasforma in parole. Piove Ancora è la lucida trascrizione della tempesta che avevo dentro di me e che spesso si ripresenta. Ogni brano che ho scritto è servito come a ripulire il disastro che era rimasto, a buttare fuori i vetri rotti e i cocci che si erano accumulati. Quello che vedono i tuoi occhi può sembrare più bello e più sereno ma se all’interno c’è ancora maltempo, nulla ti può soddisfare.

Ora che ho sputato fuori tutto e tutto è tornato pulito e limpido, all’interno non sono comunque tranquillo perché so che come sempre pioverà ancora.”

Grazie ad un sound ammaliatore che rimane nelle orecchie sin dai primi ascolti “PIOVE ANCORA” è un disco di autentica verità che unisce in un tutt’uno davvero inedito e sorprendente l’inconfondibile flow di Silent Bob e il tappeto sonoro a tratti old school e black di Sick Budd, una coppia ormai di fatto che negli anni è diventata affiatata, creando un legame indissolubile.

La rabbia che contraddistingue la scrittura di Silent Bob è la stessa di due anni fa, l’insoddisfazione maggiore e il processo di riflessione indotto dallo stato di isolamento anche a causa dei vari lockdown gli hanno consentito di scavare più a fondo nel suo essere artista portando a galla un’ “anima black” ancora più intensa. “Piove ancora” intende sancire la presenza stabile di Silent Bob nel panorama musicale contemporaneo, confermandosi a pieno titolo tra le nuove leve più interessanti ed originali della nuova scena italiana.

Il disco s’impreziosisce inoltre di collaborazioni con alcuni degli artisti più significativi della scena urban: da Emis Killa nel brano “Potevamo”, a Speranza in “9×19” non manca il feat con Drast (Psicologi) in “Baci di Giuda”, tutte collaborazioni sono dettate da reciproca stima artistica e personale.

Silent Bob al secolo Edoardo Fontana, è un giovane artista classe 1999 che arriva dalla provincia pavese capace di unire retaggi di un suono moderno con l’attitude del classico Rap in stile anni ‘90. In lui coesistono in perfetto equilibrio molteplici sfumature ed influenze musicali: dalle melodie della Trap, all’eleganza del Jazz, senza dimenticare il dolore del Blues e la rabbia autentica del Rap.

Dopo il più classico dei percorsi alla scoperta dell’Hip-Hop tra jam e battle di freestyle, nel 2017 partecipa ad un contest e si guadagna un posto nel roster di Bullz Records, etichetta indipendente milanese. Fondamentale nel disegnare la sua identità sonora e musicale è l’incontro con Sick Budd, beatmaker, producer socio della label, che lo porta ad una costante evoluzione della scrittura, via via più semplice e concentrata sul significato, e ad una sempre più caratterizzante valorizzazione del timbro.



TRACKLIST – PIOVE ANCORA

  1. Da 0 a 100

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  • Oh no

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  • Potevamo (feat. Emis Killa)

Autore: Edoardo Angelo Fontana, Emiliano Rudolf Giambelli

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd, Emis Killa

  • Gucci falsa

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  • Baci di Giuda (feat. Drast)

Autore: Edoardo Angelo Fontana, Marco De Cesaris

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd, Drast

  • Blood nero

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  • Piove ancora

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  • AK

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  • Sotto controllo

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  1. OK

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  1. Me VS Me

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  1. Come il mondo

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  1. Vedova nera

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

  1. 9×19 (feat. Speranza)

Autore: Edoardo Angelo Fontana, Ugo Scicolone

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd, Speranza

  1. Pezzi di strada

Autore: Edoardo Angelo Fontana

Compositore: Jacopo Luigi Majerna

Performer: Silent Bob, Sick Budd

Ufficio stampa e comunicazione SILENT BOB & SICK BUDD

Christian Moioli – [email protected] – cell.366/8135202

Il rap senza confini di Random, dai social a Sanremo

Photography Simone Conte

Art direction & Production Miriam De Nicolò

Styling Sofia Radice & Miriam De Nicolò

Photographer assistant Luigia Imbastaro

Grooming Elisa Maisenti

Press Office Wordsforyou

Cover look: Coat, hoodie and pants | Collini; Shoes | Vic Matiè

Il freestyle ai tempi della scuola, la prima canzone pubblicata su Facebook a 14 anni, l’album Giovane oro col producer Zenit che sancisce l’avvio di una fruttuosa collaborazione, ascolti monstre sulle principali piattaforme di streaming, sei dischi di platino (tre per Chiasso, il singolo con cui è definitivamente esploso nel 2019), featuring di peso (Gué Pequeno, Carl BraveEmis Killa e Gio Evan tra gli altri), un EP – Montagne russe – rimasto per settimane nella top 10 dei più venduti. Sono questi i momenti salienti della repentina scalata ai vertici dell’industria musicale di Random, pseudonimo di Emanuele Caso, enfant prodige del rap nostrano. Ventenne, nato a Massa di Somma ma cresciuto a Riccione, indicato a suo tempo da Mtv New Generation come artista del mese, è già arrivato ai palcoscenici televisivi che contano (nello specifico, quelli di Amici Speciali, spin-off del programma di Maria De Filippi, nel 2020, e del festival della musica tricolore per eccellenza, Sanremo 2021), e sembra avere tutte le carte in regola per confermarsi come uno degli astri più fulgidi della new wave italiana. D’altra parte è lui il primo a volersi spingere oltre, affermando di aver ricominciato a  «vivere la musica come facevo quando non ero nessuno, è questa la chiave giusta per avere successo secondo me».



Sei molto attivo online e in particolare su TikTok, che ha veicolato il boom di Chiasso, brano certificato triplo disco di platino. Cosa apprezzi maggiormente dell’app di ByteDance e, più in generale, come vive i social un cantautore il cui successo passa (anche) da loro? 

Devo sicuramente parte del mio successo a questa piattaforma, ha rivoluzionato il modo di condividere la musica e trovo sia meritocratica, se sei costante e hai dalla tua bei contenuti, puoi arrivare a tante persone. Per un cantautore della nuova generazione i social possono essere davvero utili per farsi conoscere da migliaia di utenti con un semplice video, sono però anche un’arma a doppio taglio perché questi ultimi possono farsi condizionare, stabilendo che se una canzone non è particolarmente “tiktokabile” allora non è bella, ma non è vero; ogni brano ha la sua storia, il suo mondo, il suo modo di essere enfatizzato in un determinato contesto.

Quali canzoni o autori pensi abbiano influito di più sulla tua maturazione artistica?

All’inizio della mia carriera ero un fan scatenato di Emis Killa (se dovessi indicare una sola canzone direi Parole di ghiaccio, mi ha molto influenzato) e Marracash, la sua Sabbie mobili mi ha dato tanto. Con il passare del tempo mi sono lasciato ispirare da altri cantanti italiani, come Sfera Ebbasta e Jovanotti, e internazionali, ad esempio Ed Sheeran o Justin Bieber, adoro tutta la loro discografia, scegliere è difficile.

Se dovessi descrivere il tuo sound usando solo tre aggettivi?

Dirompente, vero, emozionante.



Hai collaborato con artisti di primo livello, da Gué Pequeno a Carl Brave, con chi immagini il feat dei tuoi sogni?

Mi piacerebbe collaborare con Sfera Ebbasta, come dicevo lo apprezzo molto, ha decisamente una marcia in più. Poi Ultimo, al quale mi sento affine, e Jovanotti.

Nel 2020 ti sei distinto tra i concorrenti di Amici Speciali, tra l’altro hai raccontato di aver provato a partecipare alla trasmissione di Maria De Filippi quando avevi 17 anni, com’è stato in definitiva l’approdo al principale talent italiano

L’esordio in televisione è stato un momento fondamentale del mio percorso creativo, grazie ad esso sono potuto entrare in contatto con il grande pubblico e, viceversa, quest’ultimo ha avuto la possibilità di conoscermi. Ho imparato tante cose, studiando per la prima volta canto, imparando a muovermi davanti alle telecamere. Ringrazio Maria e Stash (il frontman dei The Kolors con cui ha duettato nel programma, ndr) per la fantastica esperienza.

Hai partecipato al festival di Sanremo 2021, cosa puoi dirci a riguardo, com’è stato per un ventenne cresciuto – e affermatosi – sul web confrontarsi con uno dei massimi simboli della tradizione musicale italiana? 

Lo considero un altro enorme passo in avanti nella mia carriera, essere in gara a Sanremo mi ha tolto il fiato e mi ha formato, tantissimo. Ero incredibilmente emozionato, quasi incredulo di far parte di un cast di cantanti del genere, sono tuttora riconoscente per aver calcato il palco dell’Ariston.



Il rap è un genere fortemente connotato sotto il profilo dell’immagine, quanto conta per te lo stile, e come lo definiresti?

Penso sia cruciale avere un bel personaggio, la percezione che si ha di un artista passa anche da come appare dall’esterno; puoi fare della musica stupenda, ma se non hai una visione stilistica ed emotiva sei al 50%. In questo periodo sto lavorando parecchio in questa direzione.

A novembre il tuo tour farà tappa a Roma e Milano, cosa ti aspetti dalle due date? Come speri sia il ritorno on stage dopo tutto quello che è successo nell’ultimo anno e mezzo?

Saranno i miei primi due concerti veri e propri, un’emozione unica. Voglio che sia uno spettacolo in tutti i sensi e mi sto impegnando al massimo affinché lo sia. Mi piacerebbe ci siano persone che magari non conoscono nemmeno una nota delle mie canzoni e, sentendole, se ne innamorino.

Hai in serbo qualche novità che vorresti svelarci?

Posso dirvi che sto componendo diverse canzoni con produttori con i quali non avevo mai lavorato, e sperimentando nuove sonorità. Sto uscendo dalla mia zona di comfort e ricominciando a vivere la musica come facevo quando non ero nessuno, è questa la chiave giusta per avere successo secondo me.