MANINTOWN editorial – One man show

shooting moda uomo 2022
Total look Simon Cracker, boots John Richmond, hat Bonfilio

Come da titolo, il modello Rocco Serio è protagonista assoluto delle immagini scattate da Davide Musto per il servizio pubblicato sull’issue Youth Babilonia, chiamato a interpretare alcuni pezzi chiave della collezioni di griffe come Acne Studios, Dsquared2, Giuseppe Zanotti, Annakiki e John Richmond, tra monumentali cappe imbottite, balaclava ricamati, copricapi estrosi, dress stampati.

fashion editorial menswear
Coat John Richmond, shirt Dsquared2, shorts stylist archive, boots Giuseppe Zanotti, hat Bonfilio

editoriale fashion 2022 uomo
Hood Christopher Raxxy

Credits

Model Rocco Serio @FashionArtWise

Photographer Davide Musto

Stylist Alessandra Gubinelli

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Hair Sara Petrucci @makingbeautymanagement

Make-up Eleonora Mantovani @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, Rocco indossa total look Simon Cracker, boots John Richmond, cappello Bonfilio

Il best of di Pitti Uomo 102

Abbandonato il low profile (obbligatorio, in verità, per cause che è ormai superfluo specificare) dell’ultimo biennio, Pitti Uomo torna al consueto format pre-pandemico, con un tourbillon di presentazioni, progetti speciali ed eventi collaterali, spalmati su quattro giornate, dal 14 al 17 giugno. Metabolizzata la massa di input stilistici concentrati nei padiglioni della Fortezza da Basso, abbiamo pensato di ricapitolare alcune novità primavera/estate 2023 viste durante la rassegna.
A seguire, il best of di Manintown della 102esima edizione del salone, categoria per categoria.

Pitti uomo 102

Capispalla

L'impermeabile brand
L’Impermeabile P/E 2023 (ph. courtesy L’Impermeabile)

Con le belle stagioni che, ahinoi, saranno caratterizzate sempre più da clima canicolare, umidità, rovesci forse sporadici ma violenti (sposare la sostenibilità, d’altra parte, è urgente proprio per mitigare le conseguenze del climate change), i produttori di outerwear non lesinano gli sforzi per adeguarsi alle – mutate – necessità e preferenze dei clienti.

Uno specialista della categoria come L’Impermeabile, sotto questo profilo, è avvantaggiato. Per la P/E 2023 la (rinnovata) collaborazione con lo stilista Romano Ridolfi, che firma i capi dell’etichetta blu, attinge alla rilassatezza dei volumi e alla praticità dello sportswear ‘60s, ibridando formale e informale in una serie di must che non dovrebbero mai mancare nell’armadio maschile; si dà risalto alla versione 2.0 della paramatta, tessuto impermeabilizzato australiano opportunamente alleggerito, reso più compatto e versatile; nella linea contrassegnata dall’etichetta grigia, invece, prevale l’utilizzo del cotone cerato e si arricchiscono i classici del marchio (spolverini, field jacket e soprabiti) con motivi principe di Galles o tartan.

Sartoria Latorre porta al padiglione centrale la capsule collection Vent De Sirocco, rilettura dello stile coloniale attraverso il savoir-faire artigiano e l’ossessione per la qualità che animano il brand; immancabili, dunque, sahariane color gesso o taupe, trench doppiopetto e parka, evocativi di un’eleganza souple d’altri tempi.

Non cessa di esercitare il suo fascino (vedi l’interesse per l’America’s Cup, nel 2021) l’abbigliamento nautico: Murphy & Nye e North Sails esaltano – giustamente – un heritage definito da regate, yacht e paesaggi marittimi, il primo rieditando i pezzi che, all’inizio del millennio, ne decretarono il successo – dal blouson con zip allo smanicato (attualizzati però all’oggi mediante innovazioni come termonastrature e tessuti performanti), il secondo associandosi a Maserati in una collab dove il lifestyle dell’azienda americana (centrato sull’oceano, suo vero propulsore estetico) incontra l’avanguardismo tech della casa del Tridente in giubbini imbottiti, gilet, giacche in due lunghezze ideali per viaggiare, sviluppati privilegiando filati eco, organici o riciclati.

Jeans

I mesi caldi richiedono grammature di un certo tipo e tonalità che si accordino alla palette stagionale, concedendosi – perché no? – cromie accese e lavaggi fantasiosi, per conferire un tocco extra di vivacità all’outfit. Lo sanno bene da Cycle (una garanzia in tema di luxury denim): la collezione P/E 2023 è la sintesi perfetta dell’inesauribile estrosità con cui la griffe manipola la tela blu, che a seconda dei casi viene sdrucita, decolorata (gli effetti tie-dye o bleached si sprecano), rammendata, mischiata a lyocell e modal per accentuarne la morbidezza, con la modellistica resa ora aderente (nei cinque tasche skinny), ora comfy.


Attenendosi alla filosofia per cui ogni indumento dovrebbe essere «ricco di storie, unico e prezioso», anche Reign diversifica notevolmente le opzioni tra cui scegliere, passando dai pants scorticati a quelli chiazzati di vernice, dal délavé a gradienti di rosso, arancio e verde scuro, alternativa colorful al sempiterno blue jeans.
Da HandPicked le salpe diventano la cartina al tornasole per orientarsi nei sei mood di stagione, che vanno dal Pop (identificato da un’etichetta in ecopelle, ispirata ai dipinti neoespressionisti di Julian Schnabel) all’Handmade; in quest’ultimo si concentra il virtuosismo creativo e manifatturiero della label, tra preziosismi, pinces e costruzioni che si aspetterebbe di trovare in un atelier.

Pantaloni

Due i modelli di punta targati Berwich per il prossimo anno: Negroni Lux, chino dai toni sablé in canapa (fibra green che regala al capo una patina vissuta, di autenticità), e 2P, bermuda oversize con doppia piega a stampa maculata.

Cruna (sinonimo di pantalone a regola d’arte fin dalla nascita del brand, nel 2013), da parte sua, triplica l’offerta, suddivisa in Main, Natural Wonders e Active, ma l’obiettivo è il medesimo, elevare cioè la nozione di casual, farne un genere trasversale valorizzando sia i materiali (lino, cotone, gabardine, blend di lana e seta…), sia le vestibilità, che aspirano alla perfezione, si tratti del taglio a carota del best-seller Mitte, delle linee asciugate del Brera o dello smooth fit (così viene definito) del Burano.

Maglie e camicie

Nonostante le temperature torride già dai primi accenni estivi, maglieria e camiceria continuano a farla da padrone nei guardaroba degli espositori di Pitti. Nel “salottino” KNT, ad esempio, ruba l’occhio la minicollezione Panda, con impresso l’animale preferito di Mariano De Matteis (designer della linea, assieme al gemello Walter), alternativamente spigoloso (perché composto da pannelli geometrici), stilizzato tipo manga oppure rimpicciolito in un pattern ipnotico che s’impossessa di overshirt e pantaloncini; dietro l’apparente facilità di t-shirt, felpe e simili si cela la maestria sartoriale dell’azienda di famiglia, Kiton, ché «la semplicità è la suprema sofisticazione», per dirla alla Leonardo da Vinci.

Dal maglificio genovese Avant Toi, invece, via libera alla rivisitazione dello stile Seventies a suon di motivi etno-chic, disegni optical, digradazioni di colore che trasferiscono su lino, seta, cachemire e altri filati nobili le sfumature del tramonto. Stilemi anni ‘70 sugli scudi anche nello spazio di Roberto Collina, dove ci si perde tra intarsi jacquard floreali, cromie acidate, petali multicolor ad illuminare le trame di cardigan sciallati, pull e magliette.

Per chi non rinuncia mai alla camicia, inverno o estate poco importa, ecco poi la tante novità svelate dai marchi specializzati, dall’elegia del lino – usato in tutte le salse, in tinta unita, madras, seersucker, color sorbetto… – di Alessandro Gherardi all’istituzionalità camiciaia di Borriello Napoli; dalla traduzione dei generi musicali – funky, soul, indie – in shirt di varia foggia operata da Brancaccio ai coloratissimi patchwork di Poggianti 1958.

Calzature e accessori


2star sneakers uomo
2Star P/E 2023 (ph. courtesy 2Star)

Per quel che concerne scarpe e accessori, negli stand della fiera ce n’è davvero per tutti i gusti. 2Star, ad esempio, seleziona tele irrinunciabili per il menswear – denim, canvas organico al 100%, felpa – e le trasferisce sulle tomaie delle nuove sneakers P/E, “sporcate” quel tanto che basta per accentuarne l’allure metropolitana. Vintage effect anche da Monoway, esplicitato in questo caso da piccole screpolature e ombreggiature su ginniche bianche dal carattere ‘80s.

Monoway sneakers
Monoway P/E 2023 (ph. courtesy Monoway)

Leggerezza, voglia di evasione, ritorno alla vita en plein air. Le parole d’ordine della bella stagione di Barrett si riflettono nelle soluzioni tecniche (forme destrutturate, suole in gomma ultra morbide, pellami intrecciati o sfoderati) e cromatiche (una scala di nuance lievi, celesti, beige, blu pastosi, marroni caramellati) adottate da monk strap, stringate, mocassini e slip-on.

Tra gli accessori, vanno menzionati perlomeno gli occhiali Jacques Marie Mage (adorati dal jet set californiano, leggasi – tra gli altri – Jude Law, Samuel L. Jackson, Kristen Stewart, LeBron James); i cappelli handcrafted Superduper; i bracciali edgy di Topologie (che incorporano ganci e chiusure delle corde da arrampicata); in quota green, infine, le borse Regenesi, ottenute da materiali rigenerati e scarti tessili.

Nell’immagine in apertura, uno scatto della campagna ufficiale dell’edizione numero 102 della fiera, ‘Pitti Island’ (ph. courtesy of Pitti Immagine)

Oh so pretty

Il modello Luigi Bruno, davanti all’obiettivo di Davide Musto, gioca con i pezzi cult della nuova stagione e sfodera un’attitudine naturalmente fluida, facendo propri con disinvoltura micro top in pizzo trasparente, bluse plissé smanicate, blazer tempestati di borchie e accessori in pelle dal retrogusto bondage.

fashion editorial fluidity
Shirt Youwei, pants Roberto Cavalli
Luigi Bruno modello
Shirt Youwei, pants Roberto Cavalli
Manintown fashion
Total look and shoes John Richmond, choker Vanesi, socks stylist’s archive

Credits

Talent Luigi Bruno @Elite Milano, CmodelsCrew

Editor in Chief Federico Poletti

Photographer Davide Musto

Stylist Alessandra Gubinelli

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Stylist assistant Federica Mele

Make-up Alessandro Joubert @simonebelliagency

Hair Sara Petrucci @makingbeautymanagement

Matthew Zorpas, il primo gentleman “digitale”

Se si parla di savoir-vivre, eleganza e stile maschile (concetti spesso abusati ma tuttora poco indagati nelle infinite sfumature di cui si fanno portatori), Matthew Zorpas è la persona giusta per sondare tutto ciò che attiene ad usi e costumi dei gentlemen moderni. Esattamente dieci anni fa, infatti, questo poliedrico creativo e imprenditore cipriota, londinese d’adozione, ha lanciato il sito The Gentleman Blogger, divenuto rapidamente un portale di riferimento per il menswear e il lifestyle più in generale tra outfit (spesso formali, sempre all’insegna della raffinatezza, che gli sono valsi riconoscimenti come quello di Esquire UK, che nel 2010 l’ha inserito nella classifica annuale dei Best Dressed Men), viaggi (altra passione e atout del fondatore), wellness, tips rivolti a una community di appassionati, esigenti e cosmopoliti.

the gentleman blogger influencer
Coat Paul Smith

Zorpas ha dimostrato insomma di essere un vero antesignano della materia, puntando sullo storytelling ben prima delle torme di influencer, o sedicenti tali, che affollano oggi i social media. A certificare il successo dell’operazione sono i numeri (oltre 52.000 utenti unici al mese per la piattaforma, più di 182.000 e 24.000 follower rispettivamente su Instagram e Facebook) e la caratura di griffe e aziende con cui The Gentleman Blogger ha collaborato nel tempo, da IWC a Tod’s passando per Fendi, Bentley, Nespresso e tanti altri. Abbiamo approfittato dello shooting cui si è prestato per l’issue Youth Babilonia di Manintown per parlare con lui di cosa distingua i veri gentlemen, dell’impatto del Covid sulle preferenze degli uomini in tema di abbigliamento, dei cambiamenti in atto nell’industria della moda maschile e la società nel suo complesso, del metaverso.

Matthew Zorpas influencer
Total look Pal Zileri, shoes Church’s, watch Cartier

Sei considerato una pietra di paragone dei gentlemen contemporanei – e aspiranti tali, lo si intuisce dal nome del tuo – seguitissimo – blog. Cosa contraddistingue, nel 2022, un gentleman, quali sono le qualità che deve assolutamente possedere, a livello stilistico e non?

Negli ultimi dieci anni ho visto cambiare sia la definizione del termine, sia l’atteggiamento, la forma in cui viene declinato. In fin dei conti il gentleman è un puro, è una questione di anima. È un modo di vivere vero e proprio, non una specifica azione né un lifestyle, e neppure un abito su misura ben studiato ma “imposto”, si tratta piuttosto della scelta di vestire con disinvoltura. Oggi vestirsi come un gentleman risulta semplice, decisamente più difficile è possederne le qualità.

The Gentleman Blogger taglia il traguardo del decennale. Grazie al sito godi di un osservatorio privilegiato sull’universo maschile, a tuo giudizio quali sono i cambiamenti principali avvenuti in quest’arco di tempo?

Ho fondato The Gentleman Blogger nel 2012, vivo questa splendida avventura da un decennio. Ho visto cambiare l’atteggiamento degli addetti ai lavori nei confronti degli influencer, dall’arroganza iniziale alla disponibilità odierna ad accoglierci, incoraggiarci e sceglierci. Per quanto riguarda il lifestyle maschile, si è passati da un modello formale, “standard” ad uno rilassato e variegato.

Matthew Zorpas Instagram
Jacket Gucci @Tiziana Fausti (www.tizianafausti.com), shirt and scarf vintage

Prediligi uno stile improntato alla ricercatezza, all’eleganza dal flair “vecchia scuola” di completi di fattura sartoriale, pattern della miglior tradizione britannica, tuxedo, abiti tagliati alla perfezione… Lockdown, lavoro a distanza e altre conseguenze della pandemia sembrano aver segnato in profondità, spesso penalizzandolo, il mondo dell’abbigliamento formale, già interessato da trasformazioni dettate dai cambiamenti di gusti e abitudini dei consumatori. Qual è il tuo parere in merito, come credi che cambierà il formalwear?

Il cambiamento è ben accetto. La fashion industry deve seguire i consumatori, che sono ormai diversi e consapevoli. Continuerà dunque a rispecchiare correnti, crisi politiche o ambientali; è nostro compito assicurarci che si aggiorni e modifichi, anticipando ed accompagnando tali cambiamenti. Purtroppo, chi resta indietro è destinato a fallire. Tutto ciò non si traduce in un incremento dell’offerta in termini di scelte e opzioni, bensì nel fare ciò che è in linea col Dna del marchio, e farlo bene.

The gentleman blogger
Total look Dolce&Gabbana, watch Cartier, burgundy ring Bulgari, shoes Christian Louboutin

Il Covid ha impattato anche sugli influencer tra restrizioni, chiusure e stravolgimenti più o meno sostanziali, forzandoli a rivedere tono e tipologia dei post. Senza contare, poi, che erano già alle prese con sfide inedite, dalla saturazione dello spazio alle insidie poste da “colleghi” virtuali, metaverso e novità che potrebbero cambiare i social per come li conosciamo. Cosa puoi dirci a riguardo, qual è lo stato dell’arte dell’influencing?

L’industria degli influencer continuerà a esistere a lungo; esattamente come quella editoriale, fa il suo percorso, dobbiamo lasciare che lo spazio digitale si espanda, cresca, si evolva e, quando sarà il momento, entri in una fase declinante. Non abbiamo ancora raggiunto il picco, stiamo vivendo solo ora la transizione dall’offline all’online. La Generazione Alpha (i nati dopo il 2010, ndr) è nata e cresciuta online, si concentra solo su di esso.

A proposito di metaverso, cosa te ne pare? I gentiluomini potrebbero – e dovrebbero – ritagliarsi un proprio spazio anche in una realtà virtuale fatta di pixel, avatar e affini?

Sono consapevole dell’esistenza del metaverso, non è però un mio spazio personale né un’opzione, idem TikTok. Va ricordato a tutti che possiamo scegliere di essere presenti ovunque vogliamo. Le nuove piattaforme o mondi non dovrebbero sostituire quelli vecchi, ma rispondere al consumatore, soddisfarlo.

Matthew Zorpas jewels
Total look Emporio Armani, ring Nikos Koulis

I viaggi sono una tua grande passione, hai sempre seguito con interesse il settore dell’ospitalità, collaborando anche col ministero del turismo di Cipro. Dopo il ciclone Coronavirus, ritieni ci saranno cambiamenti strutturali?

Dall’inizio della pandemia, ogni settore (dalle consegne al turismo, all’ospitalità) ha dovuto avviare trasformazioni strutturali, soprattutto in Occidente. Col mio team e il viceministro del turismo di Cipro, siamo riusciti a organizzare il primo evento “social distancing” RoundTable all’aperto nel 2020, seguito dalla campagna 7AM nel 2021 e da ImagineBeingHere nel 2022. Dovevamo ricostruire il sogno quando ancora non c’erano voli per il paese, quando sono stati consentiti di nuovo bisognava fare altrettanto, ricreare la necessità di visitarlo, e adesso, tornando alla normalità, ricordiamo entrambi gli aspetti ai visitatori.

Puoi dirci almeno tre capi/accessori che non dovrebbero mai mancare nel guardaroba, i mai più senza di ogni gentleman che si rispetti?

Non esiste un capo basilare che chiunque dovrebbe avere, assolutamente. Infrangiamo ogni regola, ciascuno dovrebbe possedere solo ciò di cui avverte il bisogno, che reputa necessario.
Una volta rispondevo sempre un doppiopetto e uno smoking, oggi possiamo essere dei gentlemen con una semplice t-shirt bianca e jeans Levi’s. I tempi sono cambiati.

Total look Zegna

Per quanto sia azzardato fare previsioni, come immagini The Gentleman Blogger di qui a dieci anni? Cosa potrebbe caratterizzare la community dei gentlemen del futuro?

The Gentleman Blogger è stato una meravigliosa impresa. Sono davvero soddisfatto del cambiamento, dell’innovazione, della creatività, della passione, in definitiva della comunità che, per un decennio, ha amato e si è stretta attorno a questa fantastica iniziativa. Non posso azzardare previsioni sul mio prossimo progetto, di sicuro non vedo l’ora di intraprenderlo con la forza, la sincerità e la determinazione necessarie affinché abbia successo.

Matthew Zorpas style
Total look Alexander McQueen

Credits

Talent Matthew Zorpas

Photographer Georgios Motitis

Styling Giorgia Cantarini

Stylist assistant Federica Mele, Emma Thompson, from MA Fashion Styling – Istituto Marangoni London

Location The Dorchester

Nell’immagine in apertura, Matthew Zorpas indossa total look Alexander McQueen

Spirito punk e ispirazioni artsy nella F/W 2022 di John Richmond

Rock Royalty, Punk Couture, Sophistication: sono queste le parole chiave della proposta Fall/Winter 2022 di John Richmond, Lead me to temptation. Una tentazione, quella cui allude il titolo, squisitamente fashion; la collezione è stata infatti concepita come un viaggio stilistico, che attinge a pieni mani ad immaginari musicali e artistici, cari da sempre alla maison.

Uno stile timeless, in equilibrio tra tailoring e casual

Tanto nel menswear quanto nel womenswear, Il designer riversa un métissage di concetti e riferimenti, forgiando uno stile unico nel suo genere, che gli appassionati possono far proprio e adattare a qualunque occasione d’uso. Un mix and match che fonde armoniosamente un lato tailoring, sempre presente nelle collezioni della griffe, ed uno più basic, centrato su must dell’estetica urban (felpe, maglieria, t-shirt, pants cinquetasche, anfibi, leather jacket…) arricchiti da applicazioni e disegni sui generis. Sugli outfit si stagliano infatti grafismi, stampe particolareggiate, i simboli del brand (Snake e teschio JR in primis) rielaborati; una profusione di borchie e catenelle di metallo, poi, si impossessa di pezzi d’impronta casual e capi in denim.

Il gioco degli opposti caratterizza in egual misura i look uomo e donna: convivono micro e macro, lungo e corto, vestibilità aderenti e ampie. Per lei, una serie di minidress e abiti che segnano la silhouette, esaltando le forme attraverso lunghezze studiate al millimetro, trasparenze e spacchi, accostati a capisaldi del guardaroba femminile quali blazer, cappotti, longuette e pullover, impreziositi da dettagli strong (qui le iniziali ricamate del marchio, là texture cosparse di strass, zip e punti luce, o ancora scritte a mo’ di graffito e lucentezze metalliche). Per lui, un compendio di evergreen del menswear (dal perfecto al bomber) nobilitati da decorazioni in puro stile Richmond, tra loghi, scritte e motivi tattoo.

La palette cromatica alterna l’immancabile combo black & white alle sfumature del rosso, che contrastano con nuance più accese come verde acido e rosa. Un’allure 80s permea mise che vedono protagonista la pelle, emblema di quella sensualità ribelle che Richmond maneggia alla perfezione, fedele al motto per cui è tutta questione di attitudine, più che di moda in quanto tale.

Nove25 X Mace, i gioielli nati dalla collaborazione col producer dei record

Il brand di gioielleria urban Nove25 svela la sua ultima, esclusiva collab, che ha coinvolto un nome di spicco della scena musicale nazionale, il producer Mace. Data la caratura del personaggio, la collezione non poteva che attingere all’immaginario della musica elettronica, terreno d’elezione di uno tra i più riconosciuti e visionari musicisti italiani, capace di raccontare la contemporaneità con un tocco unico. Il suo album doppio disco di platino OBE, uscito nel 2021, ha visto la partecipazione di assi musicali come Blanco, Salmo, GemitaizGué Pequeno e Madame.

Mace producer moda
La campagna della collezione, con protagonista lo stesso Mace (ph. courtesy of Nove25)

Nove25 X Mace riprende valori e narrazioni di Oltre, disco pubblicato quest’anno dall’artista, in cui il concept del viaggio è da intendersi nel suo côté trasformativo, come un superamento dei confini territoriali, fisici e sensoriali; è un invito ad andare oltre le proprie percezioni, paure, limiti, oltre il proprio corpo e l’idea che abbiamo di noi stessi.
Pendenti e orecchini in argento e oro giallo della linea s’ispirano perciò all’universo psichedelico delineato da Mace, non senza ironia e sense of style, adottando emblemi quali il funghetto magico (sviluppato in verticale nel Pendente Fungo, e in versione più ridotta, circolare, nell’Orecchino Fungo) e il simbolo del Mercurio, considerati una chiave necessaria per esplorare gli stati “altri” dell’inconscio.
La capsule è in vendita esclusivamente negli store del marchio e su www.nove25.net

Nell’immagine in apertura, uno scatto della campagna della collezione Nove25 x Mace, che vede protagonista lo stesso producer e musicista

Fashion editorial: summer hits

Cromie brillanti, effetti shiny e linee sinuose connotano gli accessori “hot” della stagione calda, dai bracciali multicolor ai sandali, agli occhiali da sole, fotografati sulla sabbia (elemento estivo par excellence) in esclusiva per Manintown da Ivan Genasi.

Credits

Photographer Ivan Genasi 

Production Fashionart_3.0 

Nell’immagine in apertura, occhiali da sole Balenciaga

Dsquared2 Wallpaper, intervista con Dean e Dan Caten

Dean Dan Caten Dsquared2
Dean e Dan Caten di Dsquared2

Manintown torna sulla collezione Dsquared2 Wallpaper, in partnership con LONDONART, che sancisce l’ingresso del marchio canadese nell’home décor, segmento che i creative director Dean & Dan Caten considerano una naturale estensione dell’universo griffato D2. Nella conversazione che segue, i gemelli canadesi si soffermano su ispirazioni, sinergie, sfide e obiettivi della collaborazione con il brand specializzato in carte da parati, tornano su alcuni elementi che hanno segnato, e continuano a farlo, il loro percorso di stile (dalla musica al rapporto con le celebrity) e si spingono a fare qualche ipotesi sul Metaverso…

La vostra storia è la dimostrazione che i sogni possono diventare realtà, in 27 anni avete creato un vero impero, qual è il segreto del vostro successo?

Dean & Dan: Credere in noi stessi e in quello che facciamo; con l’esperienza abbiamo compreso che bisogna fare sempre quello che sentiamo e che è giusto per noi. Amiamo profondamente il nostro lavoro, non ci pesa perché è una passione.

Un mix perfetto tra moda canadese e tradizione italiana, con un occhio di riguardo ai dettagli. Come definireste il vostro stile in tre parole?

D&D: Il nostro stile è easy, cool, informale.

Il brand ha un forte legame con il mondo della musica che sembra fa parte del vostro background, da dove arriva?

D&D: La musica è molto importante anche nel nostro modo di lavorare. Questo legame esiste da sempre, siamo cresciuti ascoltando Frank Sinatra con nostro padre. La nostra cultura musicale comprende tutti i generi, ogni canzone ha il potere di emozionarci e darci la carica.

Il periodo storico che stiamo vivendo ci ha fatto comprendere ed apprezzare un nuovo senso del tempo, è stato così per voi?

D&D: Non ci siamo rilassati in realtà, abbiamo lavorato anche più di prima ma con tempi diversi. Nonostante alcuni alti e bassi, abbiamo imparato a fare le cose diversamente e ci siamo resi conto dell’importanza di ciò che forse prima davamo per scontato. In questo momento stiamo provando a tornare alla normalità perché la moda, che è energia pura e sinergia, ha risentito molto di questa mancanza di presenza fisica.

Che messaggio si cela nelle vostre creazioni? Credete molto nelle collaborazioni e sinergie tra brand diversi, lo considerate uno spunto per arricchirsi?

D&D: È davvero stimolante lavorare con altri creativi e marchi. Crediamo sia importante perché attraverso la loro esperienza, contribuiscono alla nostra storia, e viceversa, noi alla loro. È un arricchirsi a vicenda, lo troviamo estremamente interessante.

Avete vestito moltissime popstar, a chi siete particolarmente legati e perché?

D&D: Siamo molto fortunati ad aver collaborato con diversi artisti; sono stati loro a cercarci e questo fa la differenza, perché dimostra che a loro piace ciò che facciamo. È stato fantastico trovarsi da subito sulla stessa lunghezza d’onda. Lavorare con persone che apprezzi ed avere il privilegio di vestirle interpretando il loro gusto è una cosa meravigliosa!
Madonna è stata la prima a rivolgere l’attenzione al brand e ha un posto speciale nel nostro cuore; ma anche Beyoncé, per la quale abbiamo disegnato alcuni abiti del suo The Formation World Tour e Ibrahimović, con cui abbiamo avviato una collaborazione.

Dsquared Beyonce
Beyoncé sul palco durante il The Formation World Tour con un look custom made Dsquared2 (ph. Kevin Mazur/WireImage)
Dsquared 25 sfilata
Dean e Dan Caten con le Sister Sledge al termine del défilé per il 25esimo anniversario del marchio (ph. AFP/Miguel Medina)

Com’è nata la collaborazione con LONDONART?

D&D: È la prima volta che ci avviciniamo al mondo del design ed eravamo molto curiosi. La collaborazione è nata grazie ad una sinergia immediata tra noi e LONDONART, siamo davvero felici del risultato.

Il design vi appassiona? Cosa vi piace di questo mondo?

D&D: Il design parla con altri materiali; con la moda abbiamo a che fare perlopiù con tessuti, nel design invece i supporti sono tanti, c’è un approccio completamente diverso ed intrigante, che ci permette di esplorare altri mondi.

A cosa si ispira la collezione?

D&D: Questa collezione di wallpaper per LONDONART integra e amplia il nostro progetto di lifestyle. Dsquared2 non è solo moda ma anche un’esperienza e, in questo caso, abbiamo avvicinato il nostro mondo a quello degli interni con alcune stampe rappresentative per noi e il nostro brand.

Come sarà il futuro della moda? Nel Metaverso?

D&D: Probabilmente.

Dsquared2 Wallpaper
Dsquared2 Wallpaper Cement Horizon (ph. courtesy Dsquared2)
Dsquared2 Wallpaper
Dsquared2 Wallpaper Monogram (ph. courtesy Dsquared2)

Vi state preparando?

D&D: Può sembrare una follia, ma forse esisterà un nuovo mondo parallelo, nonostante siamo convinti che resterà tutto anche in questo universo. È decisamente interessante e ci piace pensare che esisterà un luogo virtuale dove potersi trasformare in qualcosa di diverso.

Intervista courtesy of LONDONART Magazine
www.londonart.it

Valentino lancia il nuovo hub conscious-driven ‘Creating Shared Value’

È attiva dallo scorso 31 maggio la nuova area conscious-driven del sito di Valentino, Creating Shared Value. Si tratta di una sezione interna e integrata al portale online della maison capitolina, un autentico universo digitale che dà forma alla volontà del marchio di passare dal me al noi, dal mitico atelier romano della label (luogo delle meraviglie dove si creano sogni e costruiscono visioni di stile) alle strade dove quei sogni e quelle visioni prendono vita.

La piattaforma si pone l’obiettivo di svelare al pubblico ciò che si cela dietro l’operato del brand guidato da Pierpaolo Piccioli, sempre più impegnato in un processo di green transition tramite progetti ad hoc, in ambito sia sociale che ambientale; un percorso del tutto naturale e coerente con i principi fondanti della griffe, intrapreso da tempi non sospetti e ora raccontato, con dovizia di particolari, agli utenti e in generale al mondo esterno col quale Valentino ha avviato un dialogo continuo, con l’obiettivo di restituirgli ciò che gli spetta di diritto.

Valentino sostenibilità
Image courtesy Valentino

I tre cardini della piattaforma: People, Planet, Product

Creating Shared Value si configura come una finestra in costante aggiornamento che invita l’utente ad immergersi nel mondo interattivo pensato dalla maison, in cui i valori aziendali, raccontati attraverso un’inedita interfaccia grafica, risultano articolati in tre sezioni, People, Planet, Product. Per quanto riguarda la prima, è il riflesso del modus operandi di un brand che ha sempre messo al centro del proprio operato l’elemento umano, poiché l’eccellenza artigianale che lo contraddistingue fin dalla nascita negli anni ‘60 è frutto (anche e soprattutto) delle qualità, del talento dei singoli dipendenti, che si adoperano per tramutarla in realtà. La company culture di Valentino, dunque, non può che essere inclusiva, e passa – tra le altre cose – da collaborazioni con enti culturali, scholarship, attività di mentorship, progetti che danno il via a conversazioni tra artisti e giovani, permettendogli di essere agenti di un cambiamento sociale positivo.

Valentino moda consciousness
Image courtesy Valentino

Planet si focalizza invece sul senso di responsabilità ambientale del marchio, oggi più forte che mai, vale a dire la capacità di rispondere del proprio operato e delle proprie azioni. Consapevole della drammatica situazione in cui versa il pianeta, la maison adotta pertanto pratiche trasparenti, adeguando il business model a un mondo in continua evoluzione ed esplorando le infinite possibilità offerte da studi e analisi dell’impatto ambientale.

Product, infine, si concentra sul connubio (ormai imprescindibile) tra eccellenza artigiana e tecnologia, che consente di immaginare nuovi metodi produttivi; l’identità odierna di Valentino si fonda proprio su questo, sulla necessità cioè di preservare lo straordinario heritage dell’etichetta adeguandolo alle necessità della società contemporanea, per continuare a realizzare capi e accessori di squisita fattura ma dall’animo “eco”, ponendo così le basi per una ri-significazione del lusso in ottica green.

Valentino creating shared value
Image courtesy Valentino

Il video di Ainslie Henderson che racconta l’universo di Creating Shared Value

Per presentare Creating Shared Value, la griffe ha scelto di affidarsi alla visione immaginifica di Ainslie Henderson, scrittore, regista e animatore, autore di numerosi corti e clip musicali da milioni di riproduzioni (come Moving On dei James), già vincitore di un BAFTA nel 2012 per The Making of Longbird. L’artista scozzese firma un video in stop motion che vede protagoniste le consistenze tessili nelle quali si costruisce il filo verde, sinonimo dell’approccio conscious-driven di Valentino.

Napapijri x Moreno Ferrari, outerwear d’autore sostenibile

La capsule collection Napapijri x Moreno Ferrari nasce dalla collaborazione tra il brand outerwear e il celebre designer e artista italiano. L’ispirazione arriva dal “NO” project, installazione realizzata da Ferrari nel 2018, quando rivisitò l’iconica giacca del marchio Skidoo, trasformandola in un’opera d’arte, e riflettendo così sul confine tra impegno e responsabilità verso l’ambiente, che la moda – tra le industrie più inquinanti in assoluto – non può più permettersi di eludere.

Alan Cappelli sostenibilità
Alan Cappelli Goetz indossa la T-shirt della capsule Napapijri x Moreno Ferrari

Design, sostenibilità e innovazione in una capsule collection unica

La volontà di sviluppare progetti che abbraccino questa filosofia, in cui il negativo diventa positivo, si traduce ora in una collezione circolare che coniuga design, sostenibilità e un approccio innovativo ed etico alle tematiche ambientali.

Napapijri x Moreno Ferrari presenta una serie di look urban interamente riciclabili, declinati in cinque stili che rimandano ad elementi del paesaggio urbano (come pluriball e reti di sicurezza in plastica), evidenziando la necessità di riutilizzare e riciclare il più possibile. Trasformati in stampe all-over e grafismi, questi dettagli creano una connessione con il “NO” project, concretizzando l’impegno di dare nuova vita e scopo a tessuti di scarto e oggetti ordinari, comune sia alla griffe che al designer vincitore del Compasso d’Oro.

La collab include due giacche Northfarer, due felpe (con cappuccio o collo a imbuto) e una T-shirt; capi interamente riciclabili confezionati in ECONYL®, nylon rigenerato di ultima generazione, realizzato a partire da materiali di recupero quali reti da pesca, scampoli, moquette… Tutti i pezzi possono essere resi dopo due anni dall’acquisto e trasformati in nuovi filati e prodotti. 

Durante la design week, la capsule collection verrà esposta presso la galleria Rossana Orlandi: l’appuntamento è per martedì 7 giugno, dalle ore 18. A “interpretare” questa partnership d’eccezione, che fonde mirabilmente ricercatezza stilistica e principi green, è stato chiamato l’attore Alan Cappelli Goetz. Di origine belga, si divide tra recitazione (ha preso parte a numerosi film e serie di successo, in Italia e all’estero, da I Medici a The Poison Rose passando per Carla, La fuggitiva, Provaci ancora prof!…) e attivismo ambientale, spendendosi in prima persona per cause e progetti che sposano le istanze (fondamentali) della sostenibilità nel senso più ampio del termine, parlandone anche sui social (su Instagram conta oltre 91 mila follower), nonché sul sito di Style Magazine, dove cura una rubrica ad hoc.
Abbiamo colto l’occasione per rivolgergli qualche domanda sulla collezione e, più in generale, su alcuni punti chiave della moda “eco”.

Alan Cappelli Goetz ci parla della collab e della moda sostenibile

Napapijri Moreno Ferrari
Alan Cappelli Goetz indossa la felpa Napapijri x Moreno Ferrari

Da “ambassador” della collab Napapijri x Moreno Ferrari, cosa ti ha più colpito di questa collezione?

Oltre ad essere esteticamente accattivante, rappresenta un passo avanti nella giusta direzione, quella verso cui dovrebbe dirigersi l’intera industria; se il sistema della moda prendesse realmente in considerazione la sostenibilità oltre che il design, avremmo un enorme problema in meno cui badare nel nostro tentativo di risolvere i disastri combinati finora con un modello di consumo – e produzione – completamente sbagliato.

Quello della sostenibilità è un argomento cruciale per il fashion system come mai prima d’ora, il rischio è che si risolva tutto in mera comunicazione. Secondo te come può orientarsi il cliente nel mare magnum odierno di iniziative, formule, termini più o meno accattivanti…?

Il rischio del greenwashing c’è, inutile negarlo. Va intanto precisato che la moda, in quanto parzialmente superflua, ha responsabilità ancora maggiori di altri settori, ad esempio quello alimentare.
Per rispondere alla domanda, se si vuole visitare il Machu Picchu non basta prendere l’aereo, bisogna chiedere a una guida, capire come arrivarci, organizzarsi… Idem se si vuole mangiare un piatto sano, è necessario andare al mercato, scegliere gli ingredienti, cucinarli, dedicarci insomma tempo, fare una ricerca. Allo stesso modo, nel momento in cui si acquista un capo bisognerebbe avere un minimo di cognizione di causa, orientandosi verso oggetti dall’iter produttivo sostenibile.
Il fattore principale è l’educazione. In linea di massima, il fast fashion è sempre sbagliato perché imperniato su modelli errati, per il resto dobbiamo verificare l’approccio dei brand alla questione: alcuni puntano sul riuso dei filati, altri sull’economia circolare, altri ancora (come Napapijri) consentono di recuperare i materiali recycled dopo due anni. Non possiamo permetterci scelte comode o pigre, per questo è consigliabile anche leggere i giornali “giusti” e seguire determinati influencer. Vale, inoltre, il principio del consumare meno ma meglio; pensiamo magari di non avere abbastanza tempo da dedicare alla ricerca, tuttavia se si comprano meno abiti, pagandoli di più, sicuramente avranno una qualità maggiore e dureranno anni, e si evitano così nuovi giri di shopping. In alternativa, si può optare per il vintage, la scelta migliore in assoluto.

Napapijri maglie sostenibili
T-shirt della capsule Napapijri x Moreno Ferrari

Su cosa dovrebbero puntare i brand per rendere realmente sostenibili le collezioni? E sotto il profilo comunicativo, quali pensi siano le modalità migliori per informare i consumatori sul tema? 

Per un marchio è sicuramente complicato, in termini economici, creare collezioni sostenibili e ricercate esteticamente a un prezzo accessibile. Per muoversi nella giusta direzione, però, si potrebbe intanto guardare ai competitor in questo senso più bravi, tenendo poi a mente i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, siglare partnership, selezionare materie prime di un certo tipo, far confezionare i prodotti in paesi dove la manodopera sia tutelata (non può esistere una vera sostenibilità ambientale senza quella sociale).
Un discorso tanto ovvio, banale quanto complesso da tradurre in realtà. In fondo è comodo lasciare le cose come stanno perché – per adesso – le conseguenze ricadono sui paesi più sfortunati, che subiscono per primi gli effetti del cambiamento climatico. Viviamo in un pianeta ormai globalizzato, qualsiasi cosa succeda in altre nazioni finirà con l’avere un impatto anche su di noi; non possiamo prescindere dal benessere altrui, ogni fabbrica che inquina in Cina danneggia il mondo in cui viviamo tutti.
Penso – e spero – che a un certo punto interverranno sul tema stati e governi, la responsabilità è infatti anche delle istituzioni; gli attori privati non faranno mai tutto il possibile finché non ci saranno leggi che li obblighino a farlo. Se i consumatori scelgono determinati prodotti e le aziende li seguono, indirizzando il mercato, le istituzioni agiscono di conseguenza.
Credo sia importante pure individuare i testimonial giusti, come dicevo. Non a caso le Nazioni Unite hanno chiamato DiCaprio, che oltre a dare un contributo estremamente importante, si distingue comunicando in modo incisivo sull’argomento.
Infine, un punto che rimarco sempre: noi consumatori possiamo votare sia con le elezioni sia col portafoglio, compiendo cioè scelte che abbiano un risvolto politico, ricordandoci che ogni volta i nostri acquisti “sbagliati” danneggiano l’ambiente, dunque la nostra stessa salute. La responsabilità non è solo nostra, ma è anche nostra.

Alan Cappelli Goetz
Anorak Napapijri x Moreno Ferrari
Napapijri green
La T-shirt della collezione indossata da Alan Cappelli Goetz

Credits

Talent Alan Cappelli Goetz

Photographer Filippo Thiella

Ph. assistant Davide Simonelli

Stylist Alessandra Gubinelli

Grooming Claudia Blengio @simonebelliagency

Nell’immagine in apertura, Alan Cappelli Goetz indossa Napapijri x Moreno Ferrari

Dsquared2 & LONDONART: nasce la collezione Wallpaper

Torna il Salone del Mobile con un programma ricco di eventi dopo lo stop degli ultimi due anni legati alla pandemia; il risultato è un calendario ricchissimo di iniziative e nuovi progetti, segnale di un mercato in forte crescita. Sempre più spesso, poi, i brand moda sviluppano linee di complementi per la casa, non fa eccezione quest’edizione che segna, in particolare, il debutto della collezione di carta da parati firmata da Dsquared2 in collaborazione con LONDONART, azienda nota a livello internazionale nel segmento wallpaper.

Dsquared2 Wallpaper: Dean e Dan Caten lanciano la carta da parati del brand in tandem con LONDONART

Dsquared2 home
Un wallpaper della linea Vandalized Granny’s Flowers

Dsquared2 per LONDONART è infatti un progetto di co-design che ha coinvolto due realtà leader dei rispettivi settori in un’unione armonica. Il punto di partenza è un dialogo libero tra moda e design, con grande attenzione al Dna del marchio; ne risulta un viaggio attraverso motivi iconici e best-seller, selezionati tra i più significativi nella storia ultraventennale della label di Dean e Dan Caten, con un approccio all’home decor che privilegia il classicismo senza tempo, sviluppato su concetti quali simmetria e pulizia delle forme. Da questa visione nasce una collezione in cui ogni pattern è pensato come identificativo di un aspetto caratterizzante del brand: dalla suggestiva foresta canadese, che insieme al legno e alle illustrazioni caratterizza sin dagli esordi Dsquared2, come pure l’iconico D2 Jack (ovvero il motivo a quadri check rosso e nero), fino al denim camouflage, altro trademark dei gemelli.
Dalla moda al design insomma, con elementi grafici e pop che tornano protagonisti anche nella stampa Vandalized Granny’s Flowers, dove la base floreale è sporcata da scritte e messaggi, mentre Ceresio 7 ci riporta agli ambienti raffinati di Milano e Mykonos griffati D2. In definitiva, un caleidoscopio di decori, print, intrecci, sensazioni e visioni, che incontrano stili, gusti ed esigenze diverse, al punto che ogni pattern convive egregiamente con gli altri pur nella riconoscibilità di ciascuno.

dsquared2 Ceresio 7
Collezione Ceresio 7
Dsquared2 icon
Collezione Icon

Un mix & march di decori che integra e amplia il progetto lifestyle del marchio

Il risultato finale comprende rivestimenti che sanno essere casual ed eleganti in ugual misura, col loro mix & match di decori tra il check, il monogram, l’animalier, i graffiti, i riferimenti al Canada e al quartier generale del marchio Ceresio 7, in una fusione di passato e presente.

Concludono a riguardo Dean e Dan Caten: “La collezione di wallpaper per LONDONART integra ed amplia il nostro progetto di lifestyle. Dsquared2 non è solo moda, ma anche un’esperienza e in questo caso abbiamo avvicinato il nostro mondo a quello degli interni con alcune stampe rappresentative. Oggi più che mai abbiamo capito l’importanza della casa e il desiderio di costruirla in modo originale e accogliente, aprendola a nuove scenografie e orizzonti. Questa prima collezione di wallpaper racconta il nostro mondo e le nostre passioni, sviluppando ulteriormente la nostra visione lifestyle iniziata con il progetto Ceresio 7”.

Dsquared home decor
Collezione Cement Horizon
Dsquared design
Collezione Pop Art
Dsquared design
Collezione Monogram

Nell’immagine in apertura, una proposta della linea Canadian Forest di Dsquared2

Urban jewellery made in Milano: Nove25

Laboratorio creativo, retailer e innovatore, Nove25 si differenzia da qualsiasi altra proposta della gioielleria tradizionale per l’uso esclusivo di argento e pietre dure, la creatività legata alla cultura urban e la personalizzazione. Un concept che favorisce la proposta di pezzi esclusivi a un prezzo corretto per un target eterogeneo di appassionati.

Nove25 campaign
La nuova campagna Never. Stop. Shining. di Nove25

Oggi il brand lancia il suo manifesto Never. Stop. Shining attraverso una campagna ad hoc, che descrive i valori e la mission che ne rendono autentico e unico il messaggio. Una consapevolezza nata in diciassette anni di lavoro ed ha preso forza nell’ultimo biennio di investimenti, anche emotivi, in termini di fiducia, lealtà, intuizioni e nuova energia.
Il marchio milanese ci invita a non smettere mai di brillare. Ci sprona a tenere accesa la nostra scintilla, a restare vivi nell’ascolto, nell’espressione della propria unicità e creatività. Ci indica una via luminosa, della speranza e della giovinezza, della solidarietà comune e di un’umanità che non intende restare nell’ombra.

Manintown intervista Roberto Dibenedetto, fondatore e Ceo di Nove25

Nove25 ha dimostrato di essere una realtà consolidata tra i suoi appassionati, come si resiste alle mode?

Come abbiamo sempre fatto, ossia cercando di sviluppare prodotti e collezioni sempre più ricercate e curate in ogni dettaglio. Proposte che mixano presente e passato, nate con l’obiettivo di durare nel tempo e resistere alle mode.

Nove25 jewellery

Il brand è antesignano del mondo della personalizzazione, è stato tra i primi a fornire un servizio di alto livello sul custom online. Quali sono, su questo fronte, le prossime frontiere?

Il nostro configuratore è sempre in fase di evoluzione, nei prossimi mesi presenteremo nuovi modelli di anelli, bracciali e collane che vedranno abbinati argento e zirconi. Entro la fine dell’anno, poi, sarà la volta della nuova linea custom di gioielli in oro 18k e diamanti, un progetto molto importante, a cui stiamo lavorando da diversi mesi.

Nove25 bracciali uomo
Nove25 anelli argento

Avete abituato il vostro pubblico a collaborazioni altisonanti, ci può dare un’anteprima delle prossime?

A giugno usciranno due collaborazioni, una con un grande sportivo italiano, Marvin Vettori, che combatte per la federazione UFC nella categoria dei pesi medi; l’altra è una capsule con l’artista italiano Mace, in concomitanza con l’uscita del suo nuovo disco.

Tra le ultime collaborazioni spicca quella con Levante, la ritiene un’esperienza di successo? Dobbiamo aspettarci un bis?

La collaborazione con Claudia è stata in assoluto una delle più riuscite per Nove25, sia dal punto di vista del prodotto sia per gli ottimi risultati nelle vendite.
È stato davvero stimolante cercare di interpretare la sua sensibilità artistica e la sua passione per la letteratura epica, riuscendo a creare una collezione elegante e delicata. La partnership si concluderà a dicembre, ma in futuro potrebbero esserci delle bellissime sorprese…

Nove25 anelli

Ci può descrivere la nuova collezione?

La nuova collezione, Opulence, si diversifica da quelle proposte in questi anni, ed è un perfetto incastro di gioielli brillanti e componibili. Gli anelli e le fedine si incastrano tra loro come tessere di un mosaico luccicante, sempre diverso. Insieme agli orecchini e agli earcuff, tutti i gioielli si compongono per fondersi in forme personali e varie. Le numerose combinazioni lasciano ogni volta la libertà di raccontarsi e reinventarsi, giocando sul sottile confine tra discrezione e prorompente eleganza, in pieno stile Nove25.

NAPAPIJRI per l’artista italiano MORENO FERRARI

LA COLLAB ICONICA CHE UNISCE DESIGN, ARTE E SOSTENIBILITÀ

Napapijri x Moreno Ferrari è la capsule collection nata dalla collaborazione tra il brand outerwear Napapijri e il celebre designer e artista italiano Moreno Ferrari. 

L’ispirazione per il concept nasce dal “NO” project, un’installazione realizzata dall’artista nel 2018, quando rivisitò una delle icone di Napapijri, la giacca Skidoo, trasformandola in un’opera d’arte. La visione di Ferrari ha reso lo Skidoo un’armatura realizzata con tracce di materiale urbano in contrasto con la natura. Un incontro simbolico tra l’artista e il brand per riflettere sul confine tra impegno e responsabilità civica verso l’ambiente, soprattutto per la moda. 

La volontà di sviluppare progetti con questa filosofia, dove il negativo diventa positivo, si traduce in una Capsule Collection Circolare che unisce design, sostenibilità e un approccio innovativo ed etico verso l’ambiente. 

La capsule presenta una serie di look urban sostenibili e interamente riciclabili. I cinque stili richiamano elementi presi in prestito dal paesaggio urbano – come pluriball e reti di sicurezza in plastica – puntando i riflettori sulla necessità di riutilizzare e riciclare il più possibile. Trasformati in stampe all over ed elementi visivi, questi dettagli creano una connessione con il “NO” project e trasmettono l’impegno di dare nuova vita e scopo a materiali di scarto e oggetti ordinari.

La capsule include due giacche Northfarer, una felpa con cappuccio, una con collo a imbuto, e una t-shirt.
Ogni capo è 100% riciclabile, realizzato in ECONYL® nylon rigenerato: una fibra innovativa creata da rifiuti di plastica come vecchie reti da pesca, tappeti e scarti industriali. Ha la stessa qualità del nylon vergine ma, a differenza di quest’ultimo, è riciclabile all’infinito. 

Commenta Moreno Ferrari: “Il mio approccio design e a questo lavoro in particolare tiene sempre conto della società, è una dichiarazione di coraggio. Ci ho lavorato per 4 anni e mezzo, partendo dal concetto dell’oltre, superando quella soglia ideale oltre la quale non si può andare. Utilizzare le materie di riciclo crea dei prodotti infiniti e il risultato sono oggetti che hanno un cuore, un’etica. Non c’è estetica senza etica al giorno d’oggi”.

A rafforzare l’impegno di Napapijri nel disegnare un futuro circolare per la moda, grazie al programma recupero online del brand, tutti i prodotti della capsule possono essere resi dopo due anni dall’acquisto e trasformati in nuovo filato e nuovi prodotti. 

Anche Martino Scabbia Guerrini, executive vice president & group president di Vf Emea commenta: ” Questo lavoro è una perfetta sintesi di quello che oggi è il mercato, i consumatori sono consci della sostenibilità ma attenti al design. Lato azienda dobbiamo guardare ai punti di incontro tra le comunità, cultura e la nostra visione di design ed estetica, sempre mantenendo il forte impegno sulla sostenibilità che ci contraddistingue da tanti anni”.

La collab Napapijri x Moreno Ferrari sarà disponibile dal 24 maggio in esclusiva per il design store Antonia di Milano, su antonia.it, e dal 7 giugno su napapijri.com e Orefici11, flagship store del brand a Milano. Parte della capsule sarà inoltre esposta presso la galleria d’arte Rossana Orlandi a partire dal 7 giugno, in occasione della Design Week. 

Models to follow: Demba Mbaye

La vitalità di Demba, modello 23enne di origine senegalese, è prorompente. Non si può non restarne colpiti, sentendolo parlare, con un misto di stupore, entusiasmo e (legittimo) orgoglio, dei tanti brand per cui ha sfilato o posato (e che brand: Emporio Armani, Armani Exchange, Marni, Diesel), di quanto si goda la passerella («fosse per me – confessa – farei avanti e indietro cinquanta volte»), dell’emozione che lo pervade al pensiero del prossimo lavoro, in California.
Viso pulito, sguardo penetrante, treccine celate spesso dal cappellino, statura imponente (190 cm), fisico longilineo cesellato dallo sport, praticato a lungo prima di gettarsi a capofitto nel tourbillon frenetico di défilé, presentazioni, editoriali, fitting & Co., il ragazzo ambisce a farsi strada nella fashion industry, conscio delle proprie possibilità perché «detto con la massima umiltà, so quanto valgo».

Demba Mbaye model
Total look Antonio Marras (ph. Manuel Scrima)

Le agenzie di model management ingaggiano sempre più ragazzi di colore che, finalmente, ampliano un po’ lo spettro delle personalità associate alla nostra società. Cosa pensi al riguardo, trovi che le cose, nella moda italiana (e non solo), stiano effettivamente cambiando?

In effetti sì, da circa tre anni a questa parte veniamo presi molto in considerazione, come saprai non è stato sempre così, nell’ambiente italiano. È una rivoluzione, tra ragazzi di colore poi ci troviamo bene, facciamo squadra sostenendoci a vicenda. Speriamo si possa proseguire su questa strada.

Mi diceva il tuo agente che sei un po’ “pazzo”, cosa credi intendesse?

(Ride, ndr) Penso si riferisse al fatto che sono un po’ “complicato”, non in senso negativo, però ho quasi sempre la testa fra le nuvole e, a volte, ci si mette anche la sfortuna, che sul piano professionale non aiuta. Tuttavia non perdo mai la fiducia e, specie sul lavoro, sono concentrato, consapevole di ciò che faccio e di dove voglio arrivare.

Ti va di raccontarci la tua storia? Da dove arrivi, come e quando hai iniziato a fare il modello…?

Sono nato e cresciuto in Senegal, fino all’età di otto anni, per poi trasferirmi in Italia, a Cilavegna, in provincia di Pavia. Fin da piccolo ho giocato a calcio, smettendo nel 2019 quando mi sono capitati i primi lavori da modello. In verità, ho cominciato approfittando di una casualità, perché camminavo a Porta Genova, a Milano, e un modello mi ha chiesto se stessi andando al casting di Armani. Gli ho risposto di sì (non era vero, ovviamente) e l’ho seguito; terminate le prove, il casting director del brand mi ha chiesto i contatti, gli ho dato il biglietto da visita di una signora che, tempo prima, mi aveva fermato per strada, ma non avevo mai richiamato né ero andato alla sua agenzia. Alla fine, per fortuna, è andata bene, sono stato preso per la sfilata.

So che anche tuo fratello Imam è nel settore, vi confrontate e scambiate pareri sul modeling?

Certo, lui è più piccolo, l’anno scorso sono riuscito a introdurlo in questo mondo e adesso sta ottenendo ottimi risultati, ne sono contentissimo. Adoro mio fratello, parliamo sempre dei nostri lavori, mi chiede dei consigli che, avendo maggiore esperienza, sono lieti di dargli. È sveglio e intelligente, ci capiamo al volo.

Antonio Marras abiti uomo
Total look Antonio Marras (ph. Manuel Scrima)

Moda a parte, quali sono le tue passioni, di cosa ti interessi?

Sono pieno di idee, in generale mi piace giocare a calcio e praticare qualsiasi sport, lo styling, divertirmi, anche. Mi piace la vita, in ogni sua sfumatura.

Eri nella line-up di recenti show di marchi come Emporio Armani, Marni, Philipp Plein, Diesel. Qual è stata la sfilata più emozionante, che, per un motivo o per l’altro, ricordi con maggior piacere?

Sono due in realtà, ossia la prima, quella cioè di Emporio Armani di cui dicevamo (Autunno/Inverno 2019-20, ndr), in cui mi sono trovato di fronte al signor Giorgio, ti lascio immaginare l’emozione; e poi Philipp Plein, che si è tenuta il giorno precedente alla chiusura totale per la pandemia. Mi sono goduto tutto, la location, l’atmosfera, l’energia che si respirava.

Hai preso parte anche a degli shooting per testate importanti, Vanity Fair, Icon, Esquire, Nss Magazine… Secondo te, quali sono le differenze principali tra editoriali e catwalk?

Dello shooting apprezzo che sia “concentrato”, mi sono sempre trovato bene sui set, il numero di persone è ridotto e si viene a creare un bel legame, ti senti più a tuo agio, inoltre puoi scambiare quattro chiacchiere, confrontarti, imparare da chi ne sa più di te. Nel backstage degli show, invece, c’è un tale caos e frenesia che nessuno ha del tempo da dedicarti, risulta un po’ dispersivo come contesto, però lo amo ugualmente, fosse per me farei avanti e indietro cinquanta volte. Da Philipp Plein, infatti, mi sono gasato quando, prima di iniziare, ci hanno detto che la passerella era lunga 350 metri.

A giudicare dal profilo Instagram, il tuo è uno stile di marca street, che prevede sneakers Jordan o Yeezy, baseball cap, jeans a vita bassa, pantaloni cargo, bomber dalle tonalità piene.Tu come lo descriveresti?

Con un aggettivo, street futuristico.

Antonio Marras modello
Total look Antonio Marras (ph. Manuel Scrima)

Un capo/accessorio che compare sempre nei tuoi look?

Ho due must: l’underwear Armani e le calze colorate Missoni.

Designer o griffe con cui sarebbe un sogno lavorare?

Sono tante, ne cito tre: sarebbe bellissimo sfilare per Versace, Louis Vuitton Men e Burberry.

Sei piuttosto richiesto negli Stati Uniti, a breve ti recherai lì per lavoro, cosa ti aspetti da questo viaggio e, in generale, dal futuro?

Per il futuro mi auguro il meglio, tutto il bene possibile, perché mi amo e, detto con la massima umiltà, so quanto valgo. Le aspettative sono alte anche per il viaggio negli Usa, vedremo quel che succederà, non appena avrà sistemato tutto con i vari permessi partirò per Los Angeles, non sto nella pelle…

Antonio Marras look
Total look Antonio Marras (ph. Manuel Scrima)
Antonio Marras moda uomo
Total look Antonio Marras (ph. Manuel Scrima)
Antonio Marras moda
Total look Antonio Marras (ph. Manuel Scrima)

Credits

In tutto il servizio, Demba indossa abiti e accessori Antonio Marras

Talent Demba Mbaye @D’ManagementTwo Management

Photographer Manuel Scrima

Casting by Models Milano Scouting

Location Nonostante Marras Milano

Special thanks to Leonardo ed Efisio Marras

Moda e musica. Dietro l’immagine, una folla di emozioni

Nella moda e nell’industria che la produce, la diffonde e la comunica, si parla tanto di trasparenza, tracciabilità, consapevolezza a proposito della sostenibilità e dell’impatto con l’ambiente. E se invece fosse arrivato il momento di applicare questi requisiti non solo al dato materiale di un abbigliamento amico del pianeta, ma a quello intangibile – non per questo meno importante – relativo alla creatività, in nome di una ecologia delle idee o meglio, di una tutela delle utopie

Mahmood stile foto
Mahmood, uno dei tanti clienti eccellenti della celebrity stylist Susanna Ausoni

Mi spiego meglio: mai come negli scorsi due o tre anni, non a caso corrispondenti a quella grande rivoluzione socioculturale, oltre che sanitaria, rappresentata dalla pandemia, si è parlato di come il sistema del vestire, quando si tratta di trasferirlo nella rappresentazione del sé, non sia il frutto di un singolo designer colpito da improvvisa e imprevista ispirazione né tantomeno sia il frutto di una scelta solipsistica da parte di chi sceglie come farsi vedere da mondo. Si è finalmente dato rilievo alla figura professionale rappresentata da quel corpus globulare che è il team, composto da varie persone i cui cervelli e le cui anime collaborano collettivamente per giungere alla definizione di una determinata immagine o di come un capo possa essere interpretato, indossato, vissuto. Finalmente si è squarciato il velo sulla figura dello stylist  sia editoriale, sia dedicato all’immagine delle celebrity, sia alleato del fashion designer – come responsabile di un gruppo di persone che tirano a lucido, esaltano e celebrano un determinato linguaggio vestimentario di cui il direttore creativo di un marchio è sì il portabandiera e l’alfiere, ma circondato da una serie di figure professionali che lo aiutano e finora erano rimaste nell’ombra.

Michelle Hunziker abbigliamento
Michelle Hunziker, altra celebrity seguita per i look da Ausoni

La centralità dello stylist nell’industria della moda di ieri e di oggi

Sono rimaste talmente al buio, negli anni Ottanta, Novanta e anche nei primi Duemila, alle sfilate come alle grandi serate si mormorava a mezza bocca, tra noi addetti ai lavori, chi avesse dato quell’idea in più, quello scatto estetico nel regno dell’avanguardia unendo mondi diversi, prendendo spunto dall’arte o dalla strada (ancora non c’era il termine streetstyle). Ma i loro nomi, per una nebulosa quanto soffocante omertà collettiva, non potevano e non dovevano essere pronunciati. E questo valeva anche per i giornali, dove il termine stylist appare ufficialmente stampato solo nel 1985, a proposito del meticoloso lavoro di puzzle estetici-emotivi rappresentato dai modelli vestiti da un vero artista morto troppo presto per colpa dell’Aids, Ray Petri, per un’indimenticabile rivista come The Face.  

Noemi Sanremo 2022 abiti
Gli outfit di Noemi a Sanremo 2022 erano curati da Susanna Ausoni (ph. Daniele Venturelli/Getty Images)

La riprova di questa situazione anomala è arrivata quando ho deciso di studiare, per classificarlo in maniera sistematica, questo fenomeno per il libro L’arte dello styling per i tipi di Vallardi, che ho scritto insieme con Susanna Ausoni, la più nota e longeva celebrity stylist italiana. Bene: tranne qualche manuale americano e alcune biografie di grandi stylist-muse del passato, non c’erano fonti scientifiche o di indubbia rilevanza culturale. Il lavoro di ricerca si è rivelato assai più complicato e difficoltoso del previsto, perché non vi era una documentazione necessaria, che abbiamo raggiunto parlando sia con i diretti interessati, sia leggendo articoli, saggi di studenti, tesi di laurea. Abbiamo cercato di colmare questo vuoto che colpevolmente era rimasto tale nel tempo perché siamo (stati) prigionieri di una concezione ottocentesca che vedeva nel fashion designer un eroe o un’eroina solitaria che si alzava ogni mattina profetizzando il modo in cui ci si sarebbe abbigliati: un’idea a suo modo molto romantica, ma che non corrispondeva al vero.

Dai look delle celebrity alla ricerca della propria identità modaiola, il ruolo degli stylist

Elisa Sanremo 2022 abito bianco
Elisa a Sanremo con un look pensato per lei da Ausoni (ph. LaPresse)

Oggi, che per l’appunto invochiamo maggiore trasparenza nel processo di produzione della moda, dovremmo pretenderlo anche nella comunicazione di tutti coloro che partecipano all’attestazione di una tendenza in quanto simbolo e sintomo dello Zeitgeist e, contemporaneamente, oggetto transizionale («i vestiti sono macchine per comunicare», sosteneva la grande epistemologa Eleonora Fiorani) che possa sostenere la volontà di esternare la propria identità. O, più semplicemente, di calarci letteralmente nei panni del personaggio che vogliamo essere quel giorno in quella situazione.
Per esempio, Petra Flannery, che cura l’immagine di divi tra cui Emma Stone, Zoe Saldana, Renée Zellweger, sottolinea come desideri che i suoi clienti impongano la loro personalità. «Adoro quando qualcuno indossa qualcosa e dice: “Ecco fatto. Questo è quello che voglio indossare”. E lo traspirano sul red carpet», sostiene. Il duo di stylist Zadrian Smith e Sarah Edmiston afferma che se un cliente inizia a ballare quando indossa un look particolare, sa di avercela fatta. Smith ha spiegato: «Concludo sempre ogni prova dicendo: “Sei a tuo agio, sicuro di sé e felice? E se uno di questi è un ‘no’, allora non hai il look. Se tutto è un ‘sì’, allora ci siamo riusciti. La nostra priorità, e la cosa più importante per noi, è il comfort dei nostri clienti, sopra ogni cosa. Finché sono a loro agio, sicuri di sé e felici, allora hai fatto il tuo lavoro».

Mahmood Sanremo 2022 abiti
Mahmood al 72° Festival di Sanremo, styling di Susanna Ausoni (ph. Daniele Venturelli/Getty Images)

Quote di Susanna Ausoni

«Vestire una persona significa prima di tutto conoscerne la più vera natura. È da lì che parte tutto. Per me gli abiti sono ponti tra differenti aree culturali e la fisicità. Solo quando si riescono a costruirne di solidi, allora il mio lavoro è compiuto»

Nell’immagine in apertura, l’attrice Valentina Bellè posa per uno shooting, con lo styling di Susanna Ausoni

Moda e musica: l’arte dello styling

Moda e musica sono due facce della stessa medaglia, due universi di senso che dialogano e si ibridano l’uno con l’altro. Siamo da sempre portati a considerarle un tutt’uno e forse non riusciremmo neppure a immaginare l’una disgiunta dall’altra. Artisti come Elvis Presley, i Beatles, Madonna, Michael Jackson, Lady Gaga, ci hanno insegnato che l’immagine giusta può definire se non creare un personaggio, tanto quanto il suo talento.
Del resto sono molti gli studiosi che hanno indagato questo legame, primo fra tutti l’antropologo Ted Polhemus che ha più volte sottolineato come «nel corso della storia il musicista sia stato una figura che viene guardata, oltre che ascoltata». Moda e musica dunque sono due forme di comunicazione, due veri e propri linguaggi. Oggi più che mai, l’immagine dei talenti musicali viene costruita a tavolino e dietro questa operazione ci sono gli stylist, figure professionali capaci di dar vita a immaginari dal forte impatto emotivo, che attirano potentemente il nostro sguardo.

Gli stylist che stanno trasformando lo showbiz musicale italiano, da Susanna Ausoni a Ramona Tabita, a Nick Cerioni

«Vestire una persona significa prima di tutto conoscerne la più vera natura. È da lì che parte tutto. Per me gli abiti sono ponti tra differenti aree culturali e la fisicità: il mio lavoro è compiuto solo quando se ne costruiscono di solidi». Con queste parole Susanna Ausoni, regina del celebrity styling italiano, descrive la professione che l’ha portata a collaborare con grandi artisti musicali e dello showbiz; alle spalle una lunga carriera iniziata da MTV negli anni ‘90, oggi è artefice dei look di star del calibro di Mahmood, Elisa e Noemi.

Proprio con Susanna Ausoni si è formato Nicolò “Nick” Cerioni, creativo visionario che spesso e volentieri usa la chiave dell’ironia e dello stupore. Da più di dieci anni collabora con Jovanotti, un sodalizio che ricorda come «una grande scuola non solo professionale ma, soprattutto, umana. Lorenzo mi dato fiducia in un momento in cui nessuno credeva nel mio, nostro lavoro. Guardo ancora a quanto abbiamo fatto insieme con emozione. Per me è un maestro, un vulcano creativo, un artista enorme capace di elevare anche chi lo circonda».

La firma estetica di Cerioni è sicuramente d’impatto e spesso controversa, non a caso è proprio lui a dar vita a moltissimi look di Achille Lauro, tra cui quello firmato Gucci indossato durante il Festival di Sanremo 2020, una tutina di tulle e cristalli impossibile da dimenticare. Il cantautore romano, secondo lui, «è un artista prezioso perché unico e inimitabile. Incarna molti contrasti che rendono quello che fa potente e misterioso, in un dualismo incredibile di luci e ombre. Gli sarò sempre grato per avermi dato la possibilità di creare insieme l’intero progetto creativo di numerose performance, video e foto. Lavorare con Lauro mi ha fatto sentire libero, la sensazione più bella di sempre».
Anche lo stile glam rock dei Måneskin è opera di Cerioni, così come il trend adottato da Orietta Berti negli ultimi tempi; «Orietta è una donna libera, aperta, è la nostra Lady Gaga», sostiene, un paragone decisamente azzardato ma da cui traspare tutta l’ironia del restyling in questione.

A volte un cambio d’immagine può mettere il turbo alla carriera di un artista. Lo sa bene Ramona Tabita, tra gli stylist più richiesti, “responsabile” della metamorfosi di Elodie dallo stile Amici a quello di femme fatale. Collabora da anni con Ghali: «Volevamo un’immagine non standard, diversa da quella classica del rapper con i pantaloni larghi e le sneakers. Abbiamo optato per un’estetica curata, dalle silhouette sartoriali, che attraverso i contrasti valorizzasse la sua figura», specifica.

I celebrity stylist dietro i look di Levante, La Rappresentante di Lista, Blanco: “Mr. Lollo” e Tiny Idols

Levante stile
Lorenzo Oddo con Levante

Tra i nuovi nomi di punta del settore c’è Lorenzo Oddo, in arte Mr. Lollo, fashion designer (per anni nel team di Marco De Vincenzo) e stylist di riferimento di Levante, di cui dice: «Claudia ha una forza espressiva fuori dal comune, è come un foglio bianco che attraverso gli abiti si tinge di volta in volta di colori diversi. Ha un carisma straordinario, può indossare qualsiasi cosa senza che la sua immagine ne sia sovrastata». È proprio durante un suo concerto che incontra La Rappresentante di Lista (Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina), di cui ha curato l’immagine a Sanremo 2022. Commentando la collaborazione, ricorda: «Quando ho ascoltato il pezzo ho subito pensato di mettere in scena dei personaggi, abbiamo trascorso mesi nell’archivio di Moschino cercando i capi giusti che ci aiutassero a rappresentare visivamente i temi della canzone. Del resto il brano è apparentemente leggero, divertente, ma allo stesso tempo obbliga a riflessioni importanti sul mondo che ci circonda. Abbiamo scelto dei look apparentemente giocosi, ma che portassero un messaggio di spessore, outfit d’impatto che completassero il racconto in maniera perfetta. Lo styling parte dalla testa, deve esserci un pensiero dietro».

La rappresentante di lista Sanremo 2022
Veronica Lucchesi, Lorenzo Oddo, Dario Mangiaracina
La rappresentante di lista Moschino
Lorenzo Oddo con La Rappresentante di Lista

Se dell’ultimo Festival ricorderemo mantelli e bluse leggere indossate da Blanco, il merito è di Tiny Idols (Silvia Ortombina), che da anni collabora con l’artista.
«Volevo tradurre la carnalità in eleganza semplice, rappresentare più che il corpo lo spirito, raccontare un sogno lucido che vive di sentimento autentico, reale. Pierpaolo Piccioli ha la capacità di tradurre da sempre questo tipo di estetica in modo superbo e per me è stato un onora lavorare con il team Valentino partendo proprio dagli statement della maison: mantello e chiffon. Ho voluto dar vita a un messaggio forte accostando i ricami ai tatuaggi, ridisegnando il corpo in modo prezioso ma allo stesso tempo semplice, per dichiarare che la moda non è questione di trend, ma di stile». Come darle torto?

Blanco Fabrique Milano
Blanco al Fabrique di Milano (ph. Roberto Graziano Moro)
Blanco moda stilista
Blanco (ph. Roberto Graziano Moro)

Nell’immagine in apertura, Blanco in concerto al Fabrique, ph. Roberto Graziano Moro

Moda street e musica, la ricetta social di Riccardo Gori aka Ghost Rich

In occasione dell’evento organizzato dal marchio Ten Minutes To Moon a Roma, Manintown ha avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con Riccardo Gori, creator dallo stile decisamente bold, con un debole per colori e grafismi audaci. Un’attitude che si sposa alla perfezione con le proposte dell’ultima capsule collection del brand street italiano, che ruota intorno alla rilettura in chiave ricercata, tesa a valorizzare l’unicità di ciascuno, dei capisaldi del workwear, tra print d’ispirazione futurista, accento sulle geometrie e cromie intense declinate, però, in tonalità misurate, dal crema all’arancio, alle nuance ricorrenti del nero e verde.


Giovane, appassionato di moda e musica, è conosciuto sui social come Ghost Rich; in poco tempo è riuscito a costruirsi una propria fanbase molto attiva, con la quale condivide le proprie emozioni e ideali attraverso scatti unici.

Che rapporto hai con la musica?

La passione per la musica mi è stata tramandata da mio padre, fin da piccolo; lui viaggiava tantissimo per vedere i suoi cantanti preferiti.
Sono stato influenzato dalla sua passione: non ho un genere preferito, mi piace la cultura musicale a 360 gradi. A seconda del momento che vivo, la musica mi aiuta molto. Mi ha davvero salvato dal tipico periodo che viviamo nel pieno dell’adolescenza, tra i 14 e i 18 anni, spronandomi, facendomi capire come inseguire i miei sogni ed essere sempre me stesso. Mi ha dato una bella spinta!

Riccardo Gori anni

Come e quando hai iniziato queste attività sui social? Cosa pensi di Instagram e TikTok: riesci a lavorare grazie a queste piattaforme? Con quale ti identifichi di più?

Instagram lo uso volentieri, gli sono più affezionato rispetto a TikTok perché sono partito da lì. Oggettivamente non so quanto durerà TikTok, ma sicuramente è di forte aiuto per diventare virale.
Da un anno a questa parte IG mi ha aiutato tanto a prendere ispirazione. Durante il giorno lavoravo in un negozio normalissimo, la sera invece mi prendevo una rivincita, potevo postare ed esprimermi liberamente. Ero al lavoro tutto il giorno tutti i giorni, dalle 8 di mattina alle 8 di sera, potermi svagare sui social e mostrarmi per quello che ero davvero era una sorta di vendetta, in positivo…
Sono riuscito a dimostrare che ce la potevo fare da solo, anche a livello familiare; i social mi hanno aiutato a capire ciò che non volevo fare e quella che non poteva essere la mia strada.

Riccardo Gori modello

Sei molto giovane: a cosa pensi sia dovuto il tuo successo? Cosa credi piaccia di più a chi ti segue?

Ho sempre attribuito il mio successo non a un qualcosa in più, bensì al fatto di non avere niente più degli altri. Il segreto è essere umile: rivelarmi spontaneo mi ha portato lontano.
A volte la chiave non sta nell’avere chissà quale talento, ma nell’essere semplici e genuini: in tanti si possono ritrovare in me. Sono sempre vicino a chi mi segue, non voglio farmi percepire inarrivabile, come cantanti o attori.

Rccardo Gori influencer

Che rapporto hai con la moda? Vorresti creare un tuo brand?

Un rapporto molto intimo, inoltre la studio, sto per laurearmi all’Accademia di belle arti a Firenze. Se la musica mi ha spinto a darmi da fare, la moda mi ha costruito, formato, mi ha anche protetto. Penso siano due ambiti assai connessi.
La moda aiuta a stare bene con se stessi, la vivo in maniera sia mentale che corporea.
Al momento non so se vorrei creare un mio brand, l’idea sicuramente mi affascina, anche dal punto di vista del marketing e della comunicazione. Se mi avessi fatto questa domanda due anni fa la risposta sarebbe stata affermativa, ora però tutti vogliono creare tutto, con poca creatività, e l’entusiasmo è un po’ calato… Ormai si fa moda solo perché va di moda.

Riccardo Gori influencer

He figured he’d gone back to Austin 

Il tepore delle giornate primaverili accompagna una storia moda che ricalca le intramontabili fusioni folk e western, da sempre presenti, e contaminate, in ogni trend o aesthetic che si rispetti. He figured he’d gone back to Austin.

Il racconto in pellicola vede la firma di Federico Barbieri e la presenza di un giovane volto autoctono, Aubrey, che rivive, in un environment del Belpaese, il proprio trascorso.

Horse Club Villa Airaghi, la location

La location che ha ospitato lo shooting è l’Horse Club Villa Airaghi, sita presso Vighignolo – Settimo Milanese, a pochi passi da Milano.

Si tratta di un Centro ippico Federale (affiliato alla Federazione Italiana Sport Equestri) nato nel 2007 e di pura gestione familiare. Un ambiente ovattato con istruttori di 1° e 2 Livello come il campione Alain Jean Ernest Dubois e la sua esperienza trentennale nel mondo del salto ostacoli.

Viaggio ad Austin, editoriale
Total look Diesel, cowboy hat Costumeria Lariulà
Total look Prada, stringate in camoscio Paul Smith
Total Look Prada

Il giovane e ambizioso presidente, Federico Busso, coadiuva il tutto con passione e determinazione prefissandosi obiettivi rivoluzionari nell’immediato futuro.

Ma cosa offre, nel dettaglio, l’Horse Club Villa Airaghi, per tutti gli appassionati di equitazione che vogliono immergersi in un’esperienza immersiva a pochi passi dall’area urbana?

  •  Una scuola di equitazione, tramite la quale si apprende oltre alla tecnica anche la gestione del cavallo ovvero la pulizia e la preparazione.
  • Una pensione dove, oltre ai normali servizi di pensionamento, si comprendono pacchetti di lezioni e gestione del cavallo da parte dell’istruttore.
  • Fida e Mezza Fida: per i più esperti si può applicare un Servizio di “noleggio” cavalli che prevede la divisione dei costi della gestione del cavallo con il centro ippico.
  • Un campo coperto in sabbia 25m x40m e un campo esterno in sabbia 35m x60m.
  • Un parco ostacoli professionali.
  •  Un tondino 18m di diametro.
  • Numerosi Paddock di ampie metrature.

Credits

Production & styling Alessia Caliendo

Photographer Federico Barbieri

Photographer assistant Alba Quinones

Grooming Daniel Manzini

Model Aubrey @Independent Management

Alessia Caliendo’s assistants Andrea Seghesio & Laura Ronga

In copertina, denim look Esemplare, poncho in crochet Avril 8790, donkie in nylon Moncler, scarpa Ganassa Velasca , ramie a tesa larga Borsalino.

Radiografia di un cult: la polo di Ralph Lauren

Polo e Ralph Lauren, due termini che si richiamano vicendevolmente in modo pressoché automatico e, unendosi, formano il nome della linea di prêt-à-porter più conosciuta del designer statunitense. A suggellare un legame inestricabile, appena giunto al venerando traguardo dei cinquant’anni tondi, arriva adesso il libro Ralph Lauren’s Polo Shirt (Rizzoli International), consacrato proprio al capo d’abbigliamento che, in quanto sintesi tra la formalità della camicia e la basilarità della maglietta, incarna l’essenza stessa del brand, l’ubi consistam dell’american style codificato da un signore che, a 82 anni, dirige con mano sicura una multinazionale da 4,4 miliardi di ricavi. Un impero il cui asse portante sta proprio nella maglia in oggetto, se è vero, come si legge nel primo capitolo del volume (un’antologia della stessa, celebrata attraverso fotografie, aneddoti, ricordi personali e altri contenuti esclusivi) che «rappresenta ciò che Mickey Mouse è per la Disney o l’Empire State Building per New York».

Polo Ralph Lauren advertising
La polo Ralph Lauren (foto dal sito ralphlauren.it)
Ralph Lauren polo book
La copertina di Ralph Lauren’s Polo Shirt

Le origini del capo, tra polo e tennis

Un’icona, per dirla in breve, che ha contribuito a scrivere pagine memorabili della storia della griffe, sebbene non sia una novità ascrivibile a Mr. Lauren. L’origine data effettivamente al XIX secolo, quando fu introdotta in Occidente dai soldati britannici di stanza in India, che l’avevano vista addosso ai giocatori locali di polo, e importarono nel Vecchio Continente sia l’indumento che lo sport omonimo. Il presidente della Brooks Brothers John E. Brooks, a sua volta, dopo averla notata in Inghilterra, la commercializzò oltreoceano, replicandone il colletto abbottonato anche sulle camicie button-down, appunto. Sulla sponda opposta dell’Atlantico, negli anni Venti, Jean René Lacoste ne faceva la divisa d’elezione dei tennisti, non prima di averne accorciato le maniche, cucendola inoltre con un cotone fresco e leggero, il piqué.
Pur non avendola inventata, lo stilista newyorchese intuisce che la maglia è la base perfetta per edificare quella sorta di via americana al ben vestire che ha in mente da quando, nel 1968, esordisce con una collezione maschile completa. Il suo è infatti un casualwear ammantato di sofisticatezza, nel quale usi e costumi dei wasp (white anglo-saxon protestant, sostanzialmente la buona borghesia, che studia negli atenei della Ivy League, pratica sport elitari, trascorre le vacanze nelle cittadine à la page sulle coste del New England) si saldano alla fascinazione del nostro per la classe inscalfibile dei divi della vecchia Hollywood (dal venerato Cary Grant, di cui impara a memoria ogni outfit, a Gary Cooper), per il mito della frontiera (idealizza, su tutti, i topoi estetici del cowboy), per gli oggetti dalla patina vissuta, che abbiano una storia da scoprire.

Ralph Lauren Bruce Weber
Uno shooting realizzato da Bruce Weber per GQ, negli anni ’80

La nascita della Polo Shirt di Ralph Lauren

La polo del 1972, insomma, è la logica conseguenza di un racconto stilistico preciso e dettagliato: sportiva ma con juicio, strutturata pur senza ingessature, adatta alle aule dei college come ai weekend fuori città, priva di orpelli ad eccezione del provvidenziale logo col giocatore a cavallo, piazzato sul lato sinistro del petto (introdotto giusto l’anno prima sui polsini della camiceria femminile, riscuoterà un successo straordinario, finendo con l’identificare il marchio tout court). Altre caratteristiche sono il tessuto, puro cotone interlock, la vestibilità regolare, sagomata quanto basta, le spalle leggermente scese, l’orlo posteriore allungato, il collo a costine, chiuso da due bottoni. Nelle parole di Lauren, «un indumento magnifico e ricco di colori» perché, oltre agli imprescindibili bianco, blu e azzurro, è declinata in giallo e rosa. Nel giro di qualche anno, poi, si passa alla modalità “tuttifrutti”: aumenta il numero di nuance disponibili, 17 e perlopiù pastellate; lo slogan che accompagna il lancio promette inoltre che il modello «migliora con l’età», connotandolo perciò subito come un capo timeless, avulso dal ciclo continuo delle mode.

polo Ralph Lauren logo
Polo Ralph Lauren modelli
Modelli con polo pastello di Ralph Lauren

L’impasto di semplicità e sprezzatura funziona eccome, se già negli anni Ottanta la Ralph Lauren Corporation dichiara di vendere circa 4 milioni l’anno di Polo Shirt.
Nello stesso periodo, a mitigare l’esclusività di cui era stata rivestita dalla clientela di riferimento (la suddetta upper class degli Stati Uniti), intervengono subculture urban come quella dei Lo-Life, ragazzi di Brooklyn ossessionati dalle magliette col pony (e da cappelli, pullover, giubbotti, calze, tutto ciò che è marchiato RL insomma); ne accumulano quantità industriali grazie a mezzi più o meno leciti, eleggendo il cavallino a effige da sfoggiare a piè sospinto, per rivendicare la dignità della propria cultura, la voglia di ribellarsi a uno status quo che riconosceva solo a determinati gruppi sociali un ruolo “aspirazionale”.

Il successo della maglia col cavallino, tra indossatori celebri e progetti ad hoc

In tutto ciò, la fortuna dell’articolo non fa che aumentare, trainando fatturati e prestigio dell’azienda che lo firma. La hall of fame dei suoi indossatori famosi, d’altronde, è oltremodo varia, annoverando lo yuppissimo finanziere Jordan Belfort (alias Leonardo DiCaprio) di The Wolf of Wall Street, ex ed attuali presidenti (Ronald Reagan, Bill ClintonJoe Biden), popstar (leggasi Pharrell Williams, Harry Styles, Justin Timberlake), attori (Hugh Grant, Russell Crowe, Kit Harington, Patrick Dempsey), un monumento vivente del calcio come Pelé, stelle passate e presenti, da Frank Sinatra a Kanye West.
Nel 2017, a coronamento dello status ormai acquisito nell’immaginario comune, l’inclusione della polo nella rosa di memorabilia esposti alla mostra Items: Is Fashion Modern? al MoMa, preludio all’ingresso nella collezione permanente del museo.

Trattandosi di una pietra miliare del lifestyle by Ralph Lauren, la maison dosa attentamente le modifiche. Se la varietà delle sfumature aumenta (oggi si rischia di perdere il conto di fronte alle decine di tonalità a disposizione, ripartite all’occasione in trame rigate, bande diagonali, blocchi di colore sgargianti), resta contenuto il numero di restyling apportati al logo, passato dall’altezza originaria, di poco oltre il centimetro, ad “estremi” superiori ai cinque. Sicuramente ci si adegua all’air du temps, abbracciando le parole d’ordine della sostenibilità con il modello Earth, in poliestere riciclato; vanno in questa direzione anche i progetti collaterali all’uscita del coffe table book di cui sopra, cioè Polo Upcycled, edizione limitata di pezzi lavorati manualmente dagli artigiani di Atelier & Repairs, e l’estensione del programma Create Your Own, per customizzarla attraverso iniziali, lettere ricamate o combinazioni cromatiche inedite.
Interventi mirati, come si conviene a una maglia che si dimostra indifferente allo scorrere del tempo, forte di una dualità, di un (dis)equilibrio «tra unicità e – poiché molti altri nel mondo la indossano – il sentirsi parte di una comunità» (così scrive Ken Burns nella prefazione del libro); Una contraddizione – felicemente – irrisolta da cinque decenni.

polo Ralph Lauren personalizzate
Esempi del servizio Create Your Own

Nell’immagine in apertura, Jordan Belfort/Leonardo DiCaprio in una scena di The Wolf of Wall Street

Cruna: il nuovo standard del menswear italiano

Il brand di menswear Cruna nasce a Vicenza nel 2013 da Alessandro Fasolo e Tommaso Pinotti, giovani imprenditori che fondano una realtà il cui Dna è composto da valori chiari, che le consentono una crescita rapida e virtuosa. I pilastri alla base del suo successo sono estremamente attuali: la filiera, corta e rigorosamente made in Italy, imperniata sulla collaborazione con laboratori manifatturieri veneti; i design, innovativi ma rispettosi dei codici stilistici italiani; l’utilizzo esclusivo di materiali pregevoli.

Cruna inizia il suo percorso come label specializzata nei pantaloni da uomo. Nelle sue proposte il racconto scorre tra artigianalità, tessuti performanti di eccelsa qualità, cura maniacale dei dettagli, una ricerca continua su modellistica e fit. L’obiettivo, compreso presto dal mercato italiano e internazionale, è stato creare un range di pants autentico, “definitivo”. L’innovazione tecnica e stilistica del brand, unitamente ai suoi valori, gli hanno consentito di emergere come uno dei migliori specialisti della categoria. Tra i principali fattori di fidelizzazione della clientela, le vestibilità impeccabili e la capacità di precorrere i trend.

Quello di Cruna è un progetto “from bottom to up”, che parte dal pantalone, cardine del menswear, e si sviluppa su una collezione total look che ruota intorno a capispalla e maglieria, per comporre l’anima di una griffe dalla fortissima identità, che ha il raro pregio di rompere gli schemi e guardare al futuro senza frenesia, come racconta Tommaso Pinotti, Co-Founder & Commercial Director.

Intervista con Tommaso Pinotti di Cruna

Il vostro brand nasce inizialmente con un focus sul pantalone, come mai?

È dal desiderio di rinnovamento del classico guardaroba maschile che nasce Cruna nel 2013, quando io e Alessandro abbiamo deciso di produrre il primo pantalone. Unendo infatti le diverse estrazioni professionali – io ero appena rientrato dall’America, lui era attivo in una società di consulenza, abbiamo percepito la necessità di un modello che mediasse tra stile classico e casual, per rispondere alle esigenze dell’uomo dinamico e contemporaneo.
Prende vita così l’Elevated Casual del marchio, un look contemporaneo, sofisticato, di qualità, che può rispondere alle esigenze dei consumatori che desiderano un look aggiornato e ricercato, senza scendere a compromessi con stile e qualità dei capi indossati.

Quale punto di forza vi differenzia dai vostri competitor?

La capacità di unire l’alta qualità delle proposte a un gusto fresco e contemporaneo. La produzione, con una filiera corta italiana, dall’idea alla realizzazione del singolo pezzo, ci consente un vantaggio competitivo rispetto ai brand che producono in made-out.
La partnership stretta con Marzotto per sviluppare insieme tessuti esclusivi, certifica il nostro continuo impegno nell’innovazione, nell’attivazione e valorizzazione di sinergie tra eccellenze del Veneto.

Quali sono i pezzi chiave del guardaroba maschile per questa S/S 22?

Per la collezione ci siamo ispirati al design e alla contaminazione tra materiali, reinterpretando modelli di ispirazione Heritage secondo codici contemporanei, elevandone lo spirito casual. Proposte decostruite e raffinate danno vita a un gioco di contrasti: tra queste il set-up che vede protagoniste la giacca Soho e l’iconico pantalone Mitte. La prima è la nostra giacca a due bottoni dal fit urbano, senza spacchi, interamente decostruita; la linea fluida e il singolo bottone sulla manica le donano un look contemporaneo e rilassato. Per il Mitte abbiamo invece reinterpretato un classico fit carotato con una pince, inserendo elementi activewear come l’elastico sulla cintura e la coulisse a scomparsa.
La declinazione del modello in un’ampia selezione di tessuti ne eleva il valore intrinseco, rendendolo un passe-partout da portare in ogni occasione. Dai cotoni versatili ai blend lana-cashmere o seta-lino, passando per i migliori filati tecnici, il Mitte si riconferma ad ogni stagione la proposta più apprezzata.

Tra le new entry la giacca Operà, ispirata alle Chore Jacket francese, ne eleva i tipici elementi workwear attraverso tessuti ricercati e una confezione artigianale. La proposta primavera/estate 2022 si completa con una selezione di t-shirt realizzate in maglieria 18 gauge e set-up di morbido cotone bouclé. La Nizza è realizzata in crêpe di cotone Pima organico, tinto filo, di altissima qualità, mentre le maglie Bandol e Downtown, insieme al bermuda Saint-Tropez, sono declinate in freschissimo tessuto bouclé effetto spugna.

Avete già una distribuzione presso retailer di lusso, quali sono le prospettive per il futuro?

Lo sviluppo dell’estero è tra i principali obiettivi, il focus è ora su Danimarca, Olanda e Scandinavia, per incrementare gli oltre 250 multimarca dove siamo presenti.
Per il futuro abbiamo grandi ambizioni: diventare un marchio di riferimento nel settore, rappresentando l’Elevated Casual tipicamente italiano all’estero. Questo significherà continuare il nostro percorso nello sviluppo di prodotto e dei nostri codici stilistici, oltre alla diversificazione dei canali distributivi.
Tra i progetti in stadio di sviluppo avanzato c’è il lancio della prima collezione donna, con la Primavera/Estate 2023. Infine, lo sviluppo della nostra rete di flagship store che prevede, per l’estate, l’apertura del primo negozio Cruna a San Pantaleo, in Sardegna.

Junk Kouture presenta i giurati italiani, guardando ai new talents della moda green

Fondato in Irlanda 12 anni fa, il concorso di moda green Junk Kouture è ormai un progetto di caratura globale, il più grande al mondo, e ha finora coinvolto, attraverso il Junk Kouture Wolrd Tour (che tocca città del calibro di New York, Londra, Parigi, Milano e Abu Dhabi), oltre 100.000 partecipanti, autori di 15.000 design presentati nel corso di 60 spettacoli sold out. In vista della finale italiana, la piattaforma annuncia ora i componenti della giuria nostrana, accomunati, com’è ovvio, dall’interesse nei confronti delle nuove generazioni di designer e di un’industria fashion (finalmente) responsabile, conscia del valore imprescindibile della sostenibilità. Ne faranno parte Sara Sozzani Maino, Worldwide Creative Talent Curator (ruolo con cui sostiene e scopre i nuovi talenti a livello internazionale), il Direttore del Master of Arts in Moda alla prestigiosa scuola Central Saint Martins di Londra, Fabio Piras, e Matteo Ward, Ceo  e Co-Founder di WRAD, studio di design e impresa innovativa creata per generare valore sociale, chiamati a giudicare i finalisti durante l’evento che si terrà, il prossimo 23 maggio, al Talent Garden Calabiana, a Milano.

Matteo Ward, Sara Sozzani Maino

Junk Kouture, quest’anno, ha lavorato con scuole sparse in tutto il paese, sfidando gli studenti a realizzare capi con quei materiali riciclabili bollati spesso come “scarti”, così da promuovere l’espressione creativa tra i più giovani, incoraggiandoli al tempo stesso a diventare gli artefici di un modello di sviluppo imperniato sulla circolarità.
I membri della giuria, pur uniti nei valori e nel messaggio alla base dell’iniziativa, vantano specializzazioni in ambiti diversi dell’industria. Sara Sozzani Maino, per esempio, si interessa da tempi non sospetti dei new talents della moda, che ha seguito da vicino in svariati progetti di ricerca e supporto degli stilisti emergenti; riguardo la missione di Junk Couture, sostiene che «mai come in questo periodo storico è importante sostenere la nuova generazione di talenti che si impegna a lavorare in modo più responsabile. Progetti del genere sono fondamentali per il sistema e per dare visibilità alla nuova generazione».

Fabio Piras (ph. by Antony Jones)

Parole cui fanno eco quelle di Fabio Piras, insegnante in uno dei college di moda più influenti, una risorsa inestimabile di conoscenze, consigli e informazioni per i partecipanti: «in qualità di direttore di un corso presso la Central St. Martins», afferma, «il mio obiettivo è dare forma a una nuova era per l’educazione alla moda, incoraggiando l’espressione creativa individuale di ogni studente. Sono entusiasta di essere stato invitato a far parte della giuria, di aiutare a guidare e incoraggiare i finalisti a trovare la propria originalità e voce creativa attraverso creazioni sostenibili».
Di tenore simile le dichiarazioni di Matteo Ward, che dopo una carriera nel settore passata attraverso i ruoli di Senior Manager e co-amministratore del Diversity and Inclusion Council, sette anni fa ha fondato Wrad, spinto dal desiderio di catalizzare un cambiamento positivo nel campo dell’innovazione sostenibile e sociale; considera infatti Junk Kouture un «manifesto del senso di responsabilità che una giovanissima generazione di ragazze e ragazzi sente nei confronti del complesso presente nel quale viviamo. Dà voce alla creatività oggi necessaria per ridisegnare obsoleti e non-sostenibili modelli di business che la moda contemporanea non ha ancora trovato la forza di abbandonare. Sono entusiasta di farne parte».

Il moodboard del progetto Candy

I 40 finalisti presenteranno alla giuria le rispettive proposte (fra le tante, dress a tutto colore confezionati usando gli involucri delle caramelle, abiti composti da ritagli di giornale frammisti a reti e tulle, capi a mo’ di origami di carta, giacche e gonne assemblate ricorrendo a vecchi fili elettrici…), come detto, nella serata-evento che si svolgerà a maggio al Talent Garden Calabiana milanese; i biglietti saranno in vendita dal 22 aprile su eventbrite.it.
I primi 10 classificati avranno la possibilità di partecipare alla finale mondiale del concorso, in programma a fine anno in una località ancora da scoprire, dove si confronteranno con studenti provenienti da New York, Londra, Abu Dhabi, Milano e Parigi.

Giacca e gonna del progetto Jazz

Thomás de Lucca by Anthony Pomes – Editorial

Anthony Pomes, fotografo francese che abbiamo intervistato di recente, ha immortalato in esclusiva per Manintown Thomás de Lucca, in déshabillé su una terrazza assolata di Milano, dove si è trasferito da non molto il modello brasiliano. Foto d’impatto, potenti e delicate al tempo stesso, che mettono in chiaro il modus operandi di un autore che, come ci aveva confidato, ricerca in ogni ritratto la sensibilità e unicità del soggetto.
Abbiamo approfittato dell’occasione per rivolgere qualche domanda a Thomás.

Thomas de Lucca model
Trousers Zara

Parto dalle fotografie di Anthony Pomes, da cui traspare un’atmosfera piuttosto rilassata e spontanea, è così? Come ti sei trovato a lavorare con lui?

Mi sono sentito davvero a mio agio con Anthony, ha talento e sa come guidare un modello durante lo shooting.
Onestamente, pensavo sarei stato un po’ arrugginito perché al momento mi sto concentrando su altre cose al di fuori del modeling, invece è andato tutto bene.

Raccontaci qualcosa di te, da dove vieni, da quanto fai il modello, quali sono i tuoi interessi

Vengo dal sud del Brasile, faccio il modello da quasi 9 anni, da quando sono andato in Cina per lavoro, esperienza che mi ha aiutato a crescere ed essere qui oggi, rappresentato da una delle migliori agenzie milanesi. In parallelo, dall’anno scorso, mi occupo di marketing, ultimamente ci sto investendo molto tempo ed energie, anche se la mia passione è sempre stata, e resterà, la moda.
Nel tempo libero mi piace andare in palestra, fare yoga e meditazione, anche tutti i giorni, se possibile. Amo stare col mio ragazzo e gli amici, e guardare film horror o sci-fi.

Sei brasiliano ma vivi per lavoro a Milano, com’è stato il primo impatto, cosa ti piace di più (ed, eventualmente, meno) della città?

Milano è fantastica, internazionale e facile da girare, devo però confessare che ho ancora dei problemi con la lingua perché “il mio italiano non è molto buono” (letteralmente l’unica frase che so dire senza ricorrere a Google Translator).
Le cose che mi piacciono di più sono la pizza e il cappuccino, mi piace meno il costo parecchio elevato della vita.

Se ti parlo di stile, a cosa pensi?

A David Gandy, un riferimento assoluto per ogni modello, mi colpisce il suo stile che, adeguandosi all’età, risulta affascinante e up to date.

Griffe o designer per cui aspiri a lavorare? 

Mi piacerebbe sfilare per Dolce&Gabbana e Giorgio Armani, sono la mia aspirazione professionale da quando faccio questo mestiere.

Dove ti vedi da qui a dieci anni?

Tra dieci anni vorrei essere un affermato coach di modelli, di quelli che viaggiano ovunque e tengono lezioni sul modo di pensare, al di là del lavoro dei sogni, sull’usare la passione a proprio favore.
Vorrei incoraggiare tutti i miei colleghi a non rinunciare con troppo facilità alla carriera (so quanto possa essere difficile ricevere una marea di “no”). Si può sfruttare in tanti modi ciò che si impara o sperimenta in quest’ambiente, magari come aiuto per iniziare qualche nuova attività con cui siamo realmente in sintonia. Là fuori ci sono più opportunità di quanto si pensi.

Top Bershka

Credits

Model Thomás de Lucca @D’Management

Photographer Anthony Pomes

‘I’m looking through you. There is more, more than us’ – I must-have della S/S 2022  

Nello still life firmato Umberto Gorra che vedete in questa pagina, a prendersi la scena sono borse, calzature e accessori di marchi del livello di Prada, Gucci, Balenciaga, Versace, Salvatore Ferragamo, Dolce&Gabbana, affiancati da proposte di new names come Maryling, Skin of Nature, YEZAEL o Ahirain; in breve, i key pieces della Primavera/Estate 2022, raccolti in una “intimate must-have selection”, come la definisce l’autore.

A story by:

Photographer Umberto Gorra

Digital & post-production Martina Rossi

Creative director Gianmarco Chianese

Stylist Angelina Lepper

Stylist assistants Marialucia Matera, Katerina Tymoshchuk

Fashion editor Rosamaria Coniglio

Make-up Cristina Bonetti @julianwatsonagency , Alessandro Pepe

Hair Domenico Papa @theagencyaldocoppola

Nail Simone Marino @thegreenappleitalia

Production Fashionart 3.0

Models Sela Baratti @BADD mgmt, Gao Qi @BADD mgmt, Angelina Radzkova @WW MGMT, Edoardo Gabbrielli @WW MGMT, Cal Foster @URBN

Nugnes e Burberry, un’amicizia cinquantennale nel segno dell’amore per il bello, lo scambio creativo e la sostenibilità

La collaborazione tra Burberry e Nugnes 1920, due realtà d’eccellenza nei rispettivi ambiti (ossia ready-to-wear e retail haut de gamme), prosegue ininterrotta da ben 50 anni: un traguardo festeggiato a dovere, lo scorso 7 aprile, nella cornice di Palazzo Pugliese, casa dello storico multibrand di Trani, punto di riferimento assoluto per la moda high-end in Puglia (e non solo). Tra l’altro l’azienda guidata da Beppe Nugnes, solo pochi mesi fa, per celebrare il secolo di attività dello store, aveva regalato una nuova, sontuosa veste alla propria sede, un palazzo nobiliare nel cuore della città, immaginato come uno scrigno prezioso in cui custodire le creazioni di oltre 250 griffe, italiane e internazionali.

Tra il marchio britannico e la boutique tranese c’è un filo diretto capace di collegare il cosiddetto tacco d’Italia al Regno Unito, teso già negli anni Sessanta, quando i rinomati impermeabili Burberry arrivavano in negozio ripiegati nelle bustine. La fascinazione della clientela per il british style di cui è espressione il brand, nato a Basingstoke nel 1856, è stata subito forte, tanto da permeare senza alcuno sforzo usi e costumi pugliesi; negli anni Ottanta, ad esempio, le sciarpe con il mitico check rappresentavano il regalo più ambito dai 18enni, un autentico amuleto, da indossare per affrontare col giusto equipaggiamento vestimentario le sfide dell’età adulta.

Ad unire Burberry e Nugnes in un rapporto basato su stima, affetto e propensione alla contaminazione culturale sono, oggi come ieri, valori condivisi da entrambi: in primis il rispetto delle origini che, però, sa cogliere lo spirito dei tempi, adeguandosi di conseguenza alle inclinazioni del pubblico (e se Beppe Nugnes ha saputo trasformare la sartoria del nonno in un multimarca dall’allure di un moderno, raffinato caffè letterario, dov’è possibile instaurare un rapporto di complicità con ciascun cliente, tagliato su misura sui suoi gusti ed esigenze, proprio come un completo tailor made, il direttore creativo Riccardo Tisci ha trasportato nella modernità una maison con alle spalle 166 anni di – gloriosa – storia, rielaborandone in chiave contemporanea i capisaldi, a cominciare dall’iconico trench in tela di gabardine); poi uno sguardo abituato al bello, allenato a trovarlo nei contrasti e nelle mescolanze, così da definire un eclettismo costantemente in fieri, eppure fedele ai rispettivi heritage; infine, l’attenzione al tema, ormai irrinunciabile, della sostenibilità.
Il retailer pugliese, infatti, si è mosso in questa direzione con la sezione Sustainable is fashionable, in evidenza sull’e-store nugnes1920.com, così da dare il giusto risalto a label e prodotti dall’anima eco presenti nel suo portfolio, mentre le vetrine fisiche “circular economy” premiano i designer che hanno messo la protezione dell’ambiente al centro del loro operato. Un gruppo di cui è parte lo stesso Burberry, avendo adottato da tempo procedure alternative nella produzione di capi e accessori, dalle conciature “green”, per trattare la pelle attraverso un mix di minerali e agenti vegetali, al sostegno ad associazioni che impiegano materiali di scarto per creare limited edition, come nel caso di Quid.

A ribadire il legame inossidabile tra questi due nomi di spicco dell’industria fashion, arriva adesso un’iniziativa ad hoc che coinvolge due delle 18 vetrine affacciate su corso Vittorio Emanuele, pensate da sempre come un sunto visivo dell’eleganza delle collezioni disponibili in store: i capi della Spring/Summer 2022 di Burberry saranno dunque protagonisti del nuovo window display di Palazzo Pugliese, con una sala dedicata alle novità di stagione e un’installazione site specific, concepita per esaltare il savoir-faire del brand.
L’evento di presentazione ha chiamato a raccolta quella vibrante e affezionata community che, nel corso dei decenni, si è abituata a considerare Burberry come un alleato imprescindibile del proprio guardaroba, deliziati per l’occasione con gli amuse-gueules ideati da un’altra eccellenza del territorio, lo chef stellato Felice Sgarra, e accompagnati dai vini pugliesi San Marzano.

La S/S 2022 di People of Shibuya tra versatilità, performance e spirito tech

Mai come in questi anni di generale entusiasmo per ibridazioni, collab, capsule collection, annessi e connessi, la versatilità è stata così gettonata nel mondo fashion. Una propensione verso soluzioni che sappiano prestarsi al maggior numero possibile di occasioni, quasi ecumeniche, se così si può dire, che avvantaggia chi, come People of Shibuya, punta da tempi non sospetti su determinate caratteristiche.
Il marchio nato nel 2014, infatti, ha trovato nella funzionalità la propria ragion d’essere, sublimandola in capispalla di matrice tecnica ma dall’anima sartoriale, sintesi ideale tra qualità prettamente italiana e purismo nipponico, innovazione e classicità, pulizia delle linee e modularità, per giacconi, impermeabili, blouson & Co. adatti a qualunque contesto, outdoor o cittadino che sia, e rispondendo così alle esigenze di una clientela metropolitana sempre in movimento, tra impegni lavorativi e weekend fuori porta.

Due modelli della collezione S/S 2022 di People of Shibuya

Il blend di pragmatismo ed eleganza urban è al cuore anche della collezione Spring/Summer 2022 del brand, che ruota intorno a due poli, tech sportswear e performance style. Nel primo caso, la proposta si articola sulle felpe: si può scegliere tra i modelli Ukimi (in light fleece, provvisto di mantella in tessuto tecnico a contrasto, connubio perfetto di stile e comfort), Ginza (capo high quality con cappuccio e maniche raglan, contraddistinto da passamanerie sui bordi, tasche zippate pressoché invisibili e orlo posteriore stondato), Uzuma (dal taglio affusolato, con collo alla coreana e profilature ad effetto riflettente, che si distingue grazie alla coulisse in vita e alla chiusura a clip) e Kintai, inconfondibile nel suo punto di rosa particolarmente acceso.

Nel secondo, le giacche performance, enfatizzando la ricerca su forme, materiali e impatto cromatico (con l’introduzione di tonalità vibranti di giallo e arancione, accanto agli inossidabili bianco e nero), danno un’accezione inedita al concetto di tecnicismo urbano.
Due le novità: il giubbino Konami, realizzato in uno speciale filato giapponese, bi-stretch e antipiega, dalla mano eccezionalmente morbida, e rifinito da tasche applicate chiuse da bottoni ton sur ton; e la jacket multiuso Nikka in microfibra sintetica Primaloft, fornita di cappuccio staccabile, un passe-partout per la stagione primaverile, tanto comfy e pratico quanto stiloso.

Tutte le immagini courtesy of People of Shibuya

Gli ombrelli su misura di Francesco Maglia: stile da oltre 160 anni

Tre secoli di successi per un heritage rimasto immutato nel tempo. Gli ombrelli da uomo su misura, firmati da Francesco Maglia, sono stati i parapioggia più apprezzati dai gentlemen milanesi e di tutto lo Stivale; oggi, rievocano il passato evolvendo l’estetica, per vivere la contemporaneità con uno stile di altri tempi.

È il 1850 quando Francesco Maglia inizia a lavorare, come garzone, in un’azienda in provincia di Brescia. La sua verve imprenditoriale, però, lo spingerà ad acquisire la G Comini & Co., quando era poco più che diciottenne.

Una parte della collezioni di ombrelli

Inizia, così, un peregrinare nel nord Italia, da Pavia a Milano dove, nel 1876, apre la sua attività in Corso Genova, rimasta sede principale fino al 2001. Durante il secondo conflitto mondiale, tra il 1942 al 1943, a causa dei bombardamenti sulla città di Milano l’azienda fu costretta a trasferirsi altrove, per poi ritornare definitivamente.

La quinta generazione

Oggi, siamo alla quinta generazione e Giorgio Maglia dirige l’azienda insieme al figlio Francesco. Francesco Maglia, 31 anni, rappresentante della sesta generazione, è fiero di poter tramandare la passione e la cura per la realizzazione di ogni processo produttivo che riecheggia nei racconti di famiglia. Dopo aver studiato Giurisprudenza si trasferisce a Londra dove inizia a lavorare in un negozio di ombrelli, familiarizzando con la clientela. Una volta ritornato nella sua terra di origine, assieme a due soci apre a Cernobbio, nella perla del lago di Como, un nuovo indirizzo per lo shopping vendendo accessori artigianali di alta qualità, ottenendo ottimi risultati, con una chiusura del negozio pre-Covid importante.

A luglio del 2019 prende in mano le redini dell’azienda di famiglia dove sviluppa un nuovo progetto di e-commerce presentando, nel 2020, il primo negozio web in assoluto, che gli permetterà di raggiungere una clientela internazionale: dalla Nuova Zelanda alle Filippine sino all’Alaska.

Gli ombrelli Francesco Maglia

Gli ombrelli sono realizzati totalmente a mano rispettando i criteri di sostenibilità; il 90% del tessuto viene realizzato dalla famiglia e prodotto da un’azienda comasca che, attraverso la tecnica della resinatura, lo rende impermeabile. Il campionario è composto da oltre 400 modelli, molti dei quali di ispirazione storica. Francesco Maglia, inoltre, offre il servizio di personalizzazione, per esprimere liberamente il proprio stile.

L’ottone è il materiale principale e fondamentale nella realizzazione di un ombrello su misura grazie alla sua estrema resistenza, mentre l’utilizzo della plastica è completamente assente.
La bottega Francesco Maglia si trova in Via Ripamonti 194 a Milano, dove è possibile fissare un appuntamento per realizzare un ombrello su misura e vivere un’esperienza più unica che rara e
riscoprire i “vecchi mestieri” di una volta.

Ombrelli da borsa

When art is a fashion affair

Il mondo dell’arte influenza in maniera sempre più incalzante quello della moda, ispirando creazioni dalla forte identità, non solo dal punto di vista creativo, ma per il valore di esclusività che ne deriva, visto il numero limitato di esemplari prodotti.
L’occasione è ghiotta per i brand più attirati dal settore che hanno approfittato del miart – l’evento che la città di Milano dedica alle gallerie e agli artisti più quotati dai primi del 900 alle avanguardie di settore – per dedicare speciali capsule ai nuovi interpreti delle arti visive e dei linguaggi del nostro tempo, con l’obiettivo di arricchire le collezioni di una nuova allure.
La manifestazione, che intende dare il via ad una nuova fase, il primo movimento di una forma musicale in più parti, e di una concreta accelerazione per il settore, ha visto consegnare i premi  LCA per Emergent, Premio Herno e Premio Acquisizione Covivio.

Premio LCA per ‘Emergent’: galleria Sans Titre

Il Premio LCA per Emergent, del valore di 4.000 euro, è stato assegnato alla galleria Sans titre (2016), Parigi. È stata invece Corvi-Mora, Londra la galleria vincitrice della settima edizione del Premio Herno, con opere di opere di Sam Bakewell, Dee Ferris, e Jem Perucchini all’interno della sezione Established.
Il riconoscimento, del valore di 10.000 euro, è stato assegnato allo stand con il miglior progetto espositivo dalla giuria internazionale composta da Diana Baldon (Direttore, Kunsthal Aarhus, Copenaghen) Stella Bottai (Curator-at-Large, Aspen Art Museum, Aspen) e Ines Grosso (Capo Curatore, Serralves, Porto).

Una delle opere della galleria Corvi-Mora, vincitrice del Premio Herno

Per la prima edizione del Premio Acquisizione Covivio, dedicato alla sezione Emergent, è stata selezionata l’artista Pamela Diamante  portata a miart dalla Galleria Gilda Lavia, Roma – a cui verrà commissionata un’opera site-specific con un investimento fino a 20.000 euro. L’opera prodotta, in linea con la filosofia di Covivio di promozione di artisti talentuosi ed emergenti, verrà installata in un immobile del business district Symbiosis di Milano progettato dallo studio ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel.

MODA E ARTE FUORI SALONE

Up To You Anthology, brand fondato da Nicolò Gavazzi, giovane imprenditore con una consolidata esperienza nel management di aziende quali Boffi e De Padova, porta avanti una missione che invita l’arte a sposare la moda attraverso un linguaggio libero e indipendente dalle dinamiche commerciali del fashion system. Il suo obiettivo, infatti, è quello di raccontare il mondo della borsa attraverso la visione estetica dei maggiori esponenti del design industriale, sfidandoli a cimentarsi in un campo diverso dal loro e invitandoli a interpretare la propria idea di questo accessorio con una chiave di lettura autentica e personale.

Borsa di Regine Schumann
Borsa di Regine Schumann

Guest star quali Nendo, Giulio Cappellini, Naoto Fukasawa, Vincent Van Duysen, David Chipperfield e Zaha Hadid Design Studio hanno accettato questa sfida, realizzando ciascuno un modello di borsa inedito e mai uguale a se stesso, dando vita a un vero e proprio oggetto da collezione che ogni stagione si arricchisce del contributo di nuovi talenti straordinari. Tra gli ultimi esemplari della tedesca Regine Schumann, protagonista al MIART con la sua Light Art sempre attraverso Dep Art Gallery in un’esposizione di luce che arriva al fruitore attraverso la percezione del colore, concetto che ritroviamo anche nelle sue borse che vivono attraverso le vibrazioni cromatiche scaturite dal rapporto unico e speciale tra la materia e la luce.

Antony Morato X Marco Lodola alla galleria Brera Site

Tra gli eventi collaterali, la galleria Brera Site ha ospitato Marco Lodola e Antony Morato per esporre la bellezza e la forza della contaminazione, in un’atmosfera immersiva che utilizza i codici pop delle luci al neon e dei led per rappresentare sagome di una società sintetizzata nelle icone anni 50 della bell’Italia che per l’occasione prendono vita, in un’edizione limitata, su t-shirt e felpe della collezione Antony Morato.
Una collaborazione, quella con Antony Morato, nata in modo naturale sulla base di passioni comuni, riferimenti e linguaggi. La cultura pop non può che abbracciare la moda quando questa le consente di esprimere al meglio il suo linguaggio inclusivo e universale” dichiara Marco Lodola.
Sempre più frequenti le occasioni in cui arte e moda scelgono la via del linguaggio semplice e immediato, con lo scopo comune di allargare il mondo dell’arte ad un pubblico ampio e sempre più aperto a sperimentazioni.

Nell’immagine in apertura, un’opera al neon di Regine Schumann

Beauty, Freedom Love

Abbiamo sete di pura bellezza e necessità di sollievo per gli animi. L’accenno e il torpore della silente primavera parigina ci distoglie dal bombardamento emotivo e mediatico che ci affligge e invita, nonostante tutto, a celebrare la vita.

Abito in seta Vernisse, Mary Jane in vernice Antonio Marras
Abito in seta Vernisse, Mary Jane in vernice Antonio Marras

La stoica Nina, modella ucraina volata nella capitale francese, lancia un messaggio di ottimismo e speranza per la sua terra, liberando l’espressività tra arte e natura.

Top con frange Alberta Ferretti, tiara in argento 925 con perle Immago Jewels
Total look Antonio Marras
Total look Nemozena
Total look Paul Smith

Photographer Mark De Paola using Leica

Production & styling Alessia Caliendo

Model Nina Musienko @System Management

Make-up Eleonora Juglair

Hair Florianna Cappucci @Green Apple

Co-producer Sage Backstrom 

Beauty Espressoh

Nell’immagine in apertura, Nina indossa total look Nemozena

Intenso skyline

Un rooftop place con connotazione urbanistica cosmopolita non poteva che essere scelto per ospitare la storia editoriale prodotta in collaborazione con Mark De Paola, firma della fotografia americana.
Nel lavoro visivo, in esclusiva per Manintown, si evoca l’intimità e l’intensità della fotografia di moda d’altri tempi dove l’approccio con la musa viene valorizzato dall’intensa carnalità.
Un laboratorio d’immagine che esplora le mutazioni e il fluttuare dell’interpretazione femminile e in cui l’intero team diventa factotum del processo creativo.

Total look Moncler, top in cristalli Rosantica

Lo skyline a cui si riferisce il progetto è quello che si ammira dall’ultimo piano del NYX Hotel Milan, una struttura al centro della vita milanese grazie alla sua posizione vicino alla stazione ferroviaria Milano Centrale, ideale per raggiungere tutte le zone della città, dal centro fino al Quadrilatero della Moda. 
L’hotel si contraddistingue per lo stile giovane e fresco. Inoltre, grazie alla collaborazione con artisti locali, offre spazi personalizzati in modo originale che consentono agli ospiti di vivere un’ esperienza unconventional e stimolante. Ne risulta un mood unico e moderno che avvolge ogni singolo guest, suggerendo nuovi percorsi per scoprire o riscoprire con occhi nuovi la città di Milano e fruire di affascinanti esperienze artistico-culturali, sia indoor che outdoor. 

Photographer Mark De Paola using Leica

Production & Styling Alessia Caliendo

Make up Eleonora Juglair

Hair Piera Berdicchia @ WM Management

Model Andrea Carrazco @D Management

Alessia Caliendo assistant Andrea Seghesio

Beauty Espressoh

Location NYX Hotel Milan

Nell’immagine in apertura, Andrea indossa total look Valentino, pochette con piume Halíte

Gli universi di stile di Silvia Ortombina (Tiny Idols), dal Super Bowl a Blanco

Stylist e Costume Director, Silvia Ortombina è la fondatrice della factory creativa Tiny Idols. Da sempre al fianco di artisti musicali, è proprio lei ad aver creato gli outfit (indimenticabili!) che ha indossato Blanco durante l’ultimo Festival di Sanremo.

Un ritratto di Silvia Ortombina

Quando e come la moda è entrata nella tua vita? Il tuo desiderio era quello di diventare una stylist o avevi altri progetti?

Sicuramente per me la moda è una questione “di famiglia”. Mia madre e sua sorella avevano un’azienda di tessuti tecnici sul lago di Garda, un distretto piccolo, ma molto riconosciuto. Spesso mamma mi portava a lavorare con sé e io adoravo stare in mezzo alle bobine di tessuti colorati, enormi. Quando tornavo a casa mia nonna mi cuciva gli abiti a mano e molto spesso la sera trascorrevo il tempo osservandola lavorare a maglia o ricamare. Ricordo anche mio zio, stilista per la Puma a Monaco, che quando passava a casa nostra portava i suoi bozzetti… Tutti in qualche modo hanno contribuito ad avvicinarmi alla moda, anche se all’inizio non pensavo che questa potesse essere la mia strada. Poi ho iniziato a studiare comunicazione e cinema, sono entrata nel mondo dei costumi attraverso una serie di collaborazioni con fotografi e registi… E sì, anche grazie ad un archivio di famiglia molto fornito.

Collabori da sempre con molti artisti del panorama musicale, come hai iniziato a lavorare in questo settore?

La mia prima esperienza è stata proprio un internship in una casa di produzione. Progetto dopo progetto sono riuscita a sviluppare un mio metodo nella ricerca e nello sviluppo del guardaroba. Era il 2006, anche se mi sembra ieri. Sono sempre stata legata alla musica anche nella vita personale, sono una musicista e tra i venti e i venticinque anni ho lavorato come art director in un club. Mi interessano moltissimo le interazioni tra mondi differenti e in generale la costruzione dell’immagine dei personaggi. Il mio cuore batte per la musica ma anche per il cinema e la fotografia: Fellini e LaChapelle sono i miei miti, le mie fonti d’ispirazione.

Silvia Ortombina e Blanco (ph. CHILL DAYS)

Cos’è Tiny Idols e quando è nato?

Tiny Idols è nato una decina d’anni fa come collettivo, un gruppo aperto in cui coesistono e collaborano figure diverse. Nella mia professione, mettere insieme “la squadra giusta” rappresenta un punto di partenza importante per la buona riuscita di ogni progetto e se all’inizio della mia carriera ero più autonoma, quando la mole di lavoro è aumentata ho ritenuto giusto dare un nome all’attività e alle persone che le ruotano attorno. Tiny Idols sono io in quanto stylist, ma anche in quanto coordinator di progetti molto articolati legati alla costume direction. A ottobre scorso, ad esempio, ho avuto il grande onore di lavorare con Floria Sigismondi grazie a un collega con cui collaboro spesso, Pablo Patanè.
Insieme a lui e a Fabiana Vardaro Melchiorri abbiamo creato una squadra per lo spot per il Super Bowl 2022 di Criteo. È stata un’esperienza molto forte e sicuramente la traduzione esatta dello spirito con cui ho dato vita a Tiny Idols.

Tra i tanti look che portano la tua firma, ci sono quelli di Blanco durante l’ultimo Festival di Sanremo. Come li hai costruiti?

Ogni progetto ha necessità di essere trattato in modo unico e ha bisogno di un metodo che si plasmi sulla sua natura. Per me il primo step è sempre il confronto con l’artista, devo capire chi sia, come si immagini, ma soprattutto devo “sentire” il suo rapporto col palco, visualizzarlo. Lavoro con Blanco da qualche anno, siamo davvero in sintonia. Per Sanremo, dopo aver delineato la strategia di branding ho presentato ai team di Valentino e The Attico alcune ispirazioni legate agli statement e all’immaginario dei rispettivi brand. Collaborare con la Maison Valentino è veramente un grande onore e un piacere immenso: Pierpaolo Piccioli è uno dei più grandi artisti della moda contemporanea e il suo gruppo di lavoro è davvero unico. Il completo azzurro di The Attico che Blanco ha indossato per la serata delle cover di Sanremo è stato una sfida; solitamente il brand realizza abiti femminili e per la prima volta è stato creato un outfit da uomo, è stata una grandissima soddisfazione.

Blanco e Mahmood (ph. CHILL DAYS)

Per lavoro crei outfit di ogni tipo, mood, veri e propri universi di stile che raccontano di volta in volta differenti immaginari… Ma quando si tratta di vestire te stessa come ti comporti? Adotti un “abbigliamento tipo” o segui la corrente? Insomma, a te cosa piace?

Il mio rapporto con l’abbigliamento è totalmente legato al mio stato d’animo, al periodo. Provo un grande rispetto per la moda, ma allo stesso tempo non riesco ad avere un approccio lineare. Probabilmente la verità è che se potessi non mi vestirei proprio. Sono rare le occasioni in cui seguo un trend, se lo faccio è perché mi piace davvero e lo rendo mio. La maggior parte delle foto che ho su set mi ritraggono vestita di nero, mi piace l’idea di dissolvermi e rendermi invisibile, soprattutto quando lavoro. Amo anche il bianco, colore della luce. Quando sono in casa spesso mi vesto di chiaro, mi fa sentire in pace con me stessa e con il mondo.

Nell’immagine in apertura, Silvia Ortombina con Blanco, ph. by CHILL DAYS

Models to follow: Chiara Veronese

22 anni ancora da compiere, sarda (con i primi ingaggi, ancora adolescente, si è però trasferita a Londra, quindi a Milano), piglio sbarazzino, un sense of humour evidente dando anche solo una scorsa al suo Instagram, Chiara Veronese trasmette un’energia palpabile, che le deriva dal forte bisogno, un’urgenza quasi, di esprimersi creativamente; nulla di cui sorprendersi, poiché ama «essere creativa, sapere che a volte le idee non sono infattibili, che c’è sempre una soluzione».
Appassionata di musica, ha collaborato con il rapper Sgribaz al brano Dovrei, uscito nel 2021, fa parte del collettivo PECORANERA e, sul modeling, ha le idee chiare: «Non è questione di essere la migliore, piuttosto di tirar fuori il proprio carattere e le proprie idee, dimostrando di non essere solo un’indossatrice».

Jacket Red September

Campagne per varie griffe (Golden Goose, Superga, Pull&Bear…) ed e-tailer come Yoox, la passerella Fall/Winter 2021 di Dolce&Gabbana: tra questi e altri lavori che non ho citato, a quale sei maggiormente legata e ritieni sia stato più importante per la tua carriera?

Sono lavori completamente differenti, in ognuno ho imparato qualcosa, ad esempio dalla campagna Golden Goose a ballare e coordinarmi con persone più grandi, andando oltre moda e abiti in senso stretto. Mi ha insegnato molto anche lo show Dolce&Gabbana, in termini di autocontrollo, per un debutto in sfilata devi avere nervi tesi ma allo stesso tempo gestibili, se così si può dire.
Alla fine di ogni esperienza ciò che apprendi lo applichi ad altre sfere, considero questo mestiere un primo step per dedicarsi ad attività più “complesse”.

Sul tuo profilo Instagram campeggia una frase della rapper Dej Loaf, se dovessi presentarti brevemente a chi non ti conosce cosa diresti, “ciao sono Chiara e…”?

E la mia specialità è essere multitasking, per istinto proprio. È come quando da piccoli si dice che bisogna prendere i treni che ci passano davanti, secondo me bisogna prenderli tutti, il bello sta nel buttarsi in qualsiasi cosa, provare le esperienze più diverse.
Quella frase («Come from skatin’ now we skatin’ escalates», ndr) è una metafora, arrivo da un paesino della Sardegna e resto sempre fedele alla mia semplicità, uno strumento chiave per scalare le montagne che inevitabilmente ci si parano di fronte.
Tutto ciò mi ha dato, come dicevo, un’attitudine multitasking, la voglia di sperimentare qualunque situazione; non dico di farlo bene, anzi, ho solo 21 anni, sto ancora cercando di capire. Sicuramente l’obiettivo è quello di diventare, prima o poi, una talent creator.

Top and skirt Red September
Dress Judy Zhang, earrings Gala Rotelli, socks Wolford, Mary-Janes Jeffrey Campbell

In alcuni scatti social sei sulla tavola o calzi Vans customizzate, sei un’appassionata di skate e lo stile legato a quel mondo (sneakers basse, pantaloni baggy, stampe…) è parte integrante del tuo modo di vestire?

Assolutamente sì, adoro la cultura urban. Ho avuto la fortuna di iniziare a lavorare come modella a 15 anni nel Regno Unito, facendo avanti e indietro tra Cagliari e Londra, dove ho conosciuto una realtà totalmente diversa, metropolitana, indie e un po’ gipsy, che mi ha conquistata. Forse è stata quell’atmosfera a darmi una certa visione, non devo neanche sforzarmi, è qualcosa che sento mio.
Vale lo stesso per lo skate, una sorta di cultura a sé, a Londra si muovono tutti così e dietro c’è un modo di comportarsi e relazionarsi agli altri, per cui si va in giro e si stringono amicizie con persone mai viste.

Altra tua passione è la musica, sempre su IG scrivi: «In completa connessione con lei, trascorro il tempo ad avvolgerla, capirla e raccontarle chi sono», inoltre hai collaborato al brano Dovrei di Sgribaz; parlaci del tuo rapporto con la musica, a 360 gradi.

Ho iniziato a suonare il pianoforte alle medie, poi non potevo pagarmi lezioni private e perciò ho portato avanti altri studi, integrando però sempre una parte canora, in modo del tutto naturale, finché una volta arrivata a Milano, nel 2018, mi sono ritrovata in studio a registrare delle tracce.
Stimo immensamente chi riesce a buttarsi con la propria musica, io la sento troppo dentro, tirarla fuori mi causa delle difficoltà, vivo una fase in cui devo ancora assimilare certi passaggi. Se non fosse stato per il mio amico Sgribaz e altri che mi coinvolgono in progetti musicali, con ogni probabilità non avrei neppure cominciato né sarei riuscita a lasciarmi andare, almeno un po’.
Sento una connessione continua con la musica , ora ad esempio frequento l’università e studio ore tutti i giorni, ma la bellezza di tornare a casa e mettersi al pianoforte… Non ha eguali, è la mia terapia, meglio di uno psicologo perché, suonando, mi sembra di risolvere tutti i problemi.

Jacket Red September, culotte Pomandère, socks Wolford

Tre parole che definiscono il tuo stile?

Tre aggettivi, comfy, colorful (amo i colori, non mi presentare nulla di nero!) e versatile, cambia di continuo, un giorno vesto elegante, quello dopo street.

Hai un account su Depop dove vendi collanine, bracciali & Co., deduco tu abbia un penchant per bijoux e vintage in generale, è cosi?

In Sardegna abbiamo una cultura specifica in materia, tutta una serie di tradizioni e tecniche di realizzazione; sotto questo aspetto devo tutto a mia nonna, è stato anche un modo per distrarmi nel periodo della quarantena.
In realtà non sono un’amante del vintage, ho usato Depop perché non avevo la possibilità di fare un mio sito, per fortuna grazie a quell’account sono riuscita a entrare in contatto con dei carissimi amici; insieme abbiamo creato un collettivo, PECORANERA, con cui a breve rilasceremo un sacco di novità, concentrandoci per metà sulla maglieria, per l’altra sui gioielli.

Jumpsuit Weili Zheng, top Judy Zhang, earrings Gala Rotelli

Quali designer/brand ti piacciono di più, da “consumatrice”?

Sono molto legata all’immaginario di Gucci, sebbene non c’entri niente col mio modo di vestire mi piace da morire, penso racchiuda l’essenza stessa della moda, che si declina in svariati ambiti, dalla comunicazione ai messaggi in sé.
Un altro brand che apprezzo davvero tanto è Ryder Studios, non troppo conosciuto ma fighissimo, uno stile tra rap e trap, “coatto” quanto basta.

In ottica professionale, invece, con quale marchio sarebbe un sogno poter collaborare?

Gucci, sarebbe il massimo.

Top Giuseppe Buccinnà, trousers Valentino vintage, earrings Gala Rotelli, loafers Vic Matiè

Cosa speri ti riservi il futuro, a livello personale e lavorativo?

Umanamente parlando, spero di avere l’opportunità di affacciarmi a nuove realtà e modi di vivere, spostandomi all’estero, non perché non mi piaccia stare a Milano, ma sento che c’è così tanto da sapere, avverto il bisogno di cercare l’essenza ultima delle cose altrove.
A livello professionale non so, dovrei innanzitutto capire di quale professione si parla, il modeling è ormai un mercato così saturo che non è più questione di essere la migliore, piuttosto di tirar fuori il proprio carattere e le proprie idee, dimostrando di non essere solo un’indossatrice.
Nel lavoro, in generale, mi auguro di crescere, poi il settore in cui potrà concretizzarsi questa crescita lo scoprirò solo in futuro, magari sarà la musica o la politica, chissà.

Credits

Model Chiara @WW MGMT

Photographer Riccardo Albanese 

Stylist Adele Baracco  

Stylist assistant Amelia Mihalca

Make-up artist and hair stylist Marco Roscino

Nell’immagine in apertura, Chiara indossa Top Giuseppe Buccinnà, pantaloni Valentino vintage, orecchini Gala Rotelli, mocassini Vic Matiè

4 outfit per abbinare le sneakers  

Al giorno d’oggi le sneakers sono un accessorio di tendenza che completa ogni tipo di look in modo semplice e veloce. Se solo pochi anni fa le sneakers erano considerate semplici scarpe da ginnastica da abbinare esclusivamente ad outfit sportivi o comunque casual, oggi rappresentano un accessorio versatile in grado di accostarsi alla perfezione a tantissimi diversi stili di abbigliamento. Questa nuova tendenza, oltre a dare un tono più comodo e rilassato anche ai look più formali, rappresenta il modo migliore per sfoggiare un abbigliamento sempre diverso utilizzando le scarpe preferite. I migliori brand di calzature mettono a disposizione dei propri clienti una grandissima varietà di modelli di sneakers di tantissime tipologie. Le scarpe da ginnastica, infatti, non sono più l’unica calzatura comoda da tutti i giorni, ma sono state reinventate per sposarsi alla perfezione con una grande varietà di stili. Uno dei modelli più in voga è quello delle vintage sneakers, ovvero scarpe comode con un gusto retrò perfette per completare il tuo outfit urban chic. Molto amate dagli uomini di tutte le età sono ad esempio le Diadora vintage sneakers Heritage, perfette sia per l’abbigliamento sportivo che elegante. Perché le sneakers possano abbinarsi facilmente anche agli outfit più formali, è necessario che siano realizzate con materiali pregiati e con una lavorazione artigianale di alta qualità. Se sei alla ricerca di nuovi abbinamenti con le tue sneakers, continua a leggere: nei prossimi paragrafi ti daremo quattro idee da cui prendere spunto.

Outfit basic 

Jeans e maglietta sono da sempre l’abbinamento perfetto per le sneakers. Lo puoi adottare in moltissime occasioni e in contesti differenti: all’università, per fare aperitivo con gli amici, per un appuntamento informale e tanto altro ancora. Si tratta di un outfit che si sposa particolarmente bene con qualsiasi tipologia di sneakers, hai davvero l’imbarazzo della scelta. Puoi scegliere tra sneakers sportive, in tinta unita o a fantasia, oppure, se vuoi andare sul sicuro, punta sulle classiche scarpe da ginnastica bianche, perfette per tutte le occasioni. Questo tipo di scarpe si adatta perfettamente anche a un outfit casual molto di tendenza, ovvero t-shirt e pantaloni chino all-black. 

Outfit sportivo 

In origine le sneakers sono nate per essere abbinate esclusivamente all’outfit sportivo, che rimane comunque uno dei più azzeccati nonostante la grandissima varietà di stili con cui queste scarpe si sposano molto bene. Se la tua priorità è la comodità, ma non vuoi rinunciare all’eleganza, una buona idea per te potrebbe essere quella di abbinare una felpa con cappuccio e pantaloni cargo con colori che riprendono quelli delle tue sneakers. Oppure, per un look ancora più comodo potrai indossare tranquillamente i pantaloni della tuta.

Outfit elegante 

Se invece vuoi creare un contrasto elegante tra le tue vintage sneakers e il resto dell’outfit, puoi indossarle abbinate a un trench o a un blazer dal taglio raffinato e un paio di pantaloni chino dai colori neutri. Si tratta di uno stile di tendenza e adatto a una grande varietà di occasioni, come per esempio un appuntamento romantico, una cena di lavoro, un aperitivo coi colleghi e altro ancora.

Outfit formale 

Se qualche tempo fa le sneakers erano considerate adatte solamente a un abbigliamento sportivo o casual, negli ultimi anni sono state accettate anche come complemento di abiti più formali ed eleganti. L’unica regola da seguire in questo caso è prediligere abiti di taglio slim con pantaloni appena sopra la caviglia. Secondo le ultime tendenze, potrai sfoggiare le tue comodissime sneakers anche a un matrimonio, a un battesimo o in occasione di altri eventi che generalmente richiedono un abbigliamento formale.

Berlin Fashion Week: 5 brand eco-friendly da non lasciarsi sfuggire

Si è conclusa da pochi giorni la Berlinale dedicata alla moda firmata dalle nuove stelle del firmamento mitteleuropeo.
MIT approda “in town” e vi segnala i cinque sustainable brand che hanno lasciato il segno.

Platte Berlin

Più che un brand un concept all in one. Store, collettivo, studio e spazio espositivo che esplode a pochi passi da Alexander Platz.
Platte è un inno all’inclusività autentica e più audace che mai, nel rispetto dell’extravaganza berlinese libera da ogni convenzione.
La sua visione esplora tutte le subculture presenti nella capitale e si evolve con sensibilità nei confronti di ogni forma espressiva. Tutte le label indie sono Made in Platte, che promuove progetti interdisciplinari e contribuisce allo sviluppo delle idee creative nel segno della sostenibilità.
Prototipazione, ricerca e upcycling sono le principali proposte per il place to be da segnare nelle note e da seguire sui social.

Working Title 

Nate dall’estro di un architetto e di una fashion designer, Bjoern Kubeja e Antonia Goy,le silhouette minimali di Working Title si ispirano all’arte e all’architettura, privandosi di tutte le connotazioni temporali e stagionali.
L’intera filiera produttiva è sostenibile e si limita ad attivare i processi solo quando necessario, nonché a scegliere tessuti naturali e plastic free, come il cotone e la seta certificati. La realizzazione degli indumenti avviene in piccoli laboratori a conduzione familiare situati in tutto la Mitteleuropa più autentica e, in parte, anche nell’atelier berlinese, luogo d’incontro delle socialite che non si lasciano sfuggire la possibilità di indossare creazioni uniche nel loro genere.

Hund Hund 

Compagni nella vita e nel lavoro, Isabel Kücke e Rohan Hoole fondano Hund Hund nel 2016. I loro mondi, quello della progettazione nell’ambito moda e quello della cultura visiva, si uniscono per dare il via ad un prodotto dalle mille sfaccettature.
Berlino è stata la città scelta per porre le radici del brand e il zine omonimo svela tutto l’environment e il network che lo circonda. La produzione è a misura d’uomo, anzi di donna, visto che in azienda esiste una maggioranza di quote rosa. 
L’amore per i tessuti, e per il bello e il ben fatto, ha condotto i fautori a cercare forti sinergie con tutti i fornitori di dead-stock provenienti dalle più importanti case di moda italiane, per dar vita a un processo di recupero dell’heritage.

Natascha von Hirschhausen

Zero waste e zero km da oggi è possibile grazie al progetto visionario di Natascha von Hirschhausen, una vera e propria pioniera della moda sostenibile. Ribellandosi agli standard del fashion, definisce quelle che sono le fondamenta della moda del futuro: intramontabilità, minimalismo e ottimizzazione della materia.
Lo studio sulla tecnica l’ha condotta a ideare campionature dove non vi è alcuno spreco durante la fase di taglio. Gli stessi componenti dei capi sono organici, plastic free e monitorati lungo tutta la filiera per mantenere standard ecologici altissimi. La produzione, infine, avviene unicamente a livello local da abili mani artigiane.  E, non ultimo, il concetto di taglia viene eliminato per rendere le creazioni adatte ad ogni tipo di fisicità e distanti da qualsiasi produzione massiva.
La costanza e lo studio di Natascha non potevano che essere premiati con il Federal Award for Ecodesign dal Ministero federale dell’ambiente (BMU) e dall’Agenzia tedesca per l’ambiente (UBA) in collaborazione con l’International Design Center Berlin (IDZ). 

Sofia Ilmonen 

Sofia Ilmonen è la designer indipendente che ha convinto, con le sue creazioni femminili e modulabili, la giuria della 36esima edizione del Festival de Mode de Hyères vincendo il prestigioso premio per la sostenibilità Mercedes-Benz.
I cartamodelli dei suoi capi nascono da moduli squadrati che prendono vita e si assemblano grazie ad un meccanismo di bottoni e anelli, offrendo infinite possibilità di trasformare e modificare le silhouette in un momento ludico.
Laureatasi al London College of Fashion, vanta nel fresco background anche un’esperienza nell’ambitissimo reparto sartoria di Alexander McQueen.
Il suo studio pone le radici a Helsinki e la Berlin Fashion Week la accoglie come guest insignita del premio indetto dalla casa automobilistica.

Moda Lisboa Metaphysical porta in passerella la rivoluzione creativa delle nuove generazioni

Si è da poco conclusa l’ultima edizione della moda portoghese che ha visto sfilare le collezioni della prossima stagione autunno inverno 22-23. La manifestazione che, per un ritorno quasi totale alle performance live dei talenti che hanno scelto Lisbona come piazza internazionale per presentare le loro collezioni, è stata battezzata con l’appellativo Metaphysical e si è confermata, ancora una volta, una fucina di creatività dal profilo indipendente da determinati standard estetici da cui la maggior parte delle fashion week fanno fatica a liberarsi.
Le passerelle di Moda Lisboa, che ogni stagione si adattano a nuovi paesaggi urbani, per questa edizione sono state ospitate dall’Hub Criativo do Beato, con l’obiettivo principale di dare fiato ai designer della nuova generazione che hanno una progettazione rivolta alla sperimentazione aperta a infinite possibilità per tagli, volumi, mix di tessuti e materiali assolutamente inaspettati.
In questa nuova edizione i designer hanno dato libera espressione al corpo e maschile e femminile in una visione fluida e attrattiva allo stesso tempo, a tratti disturbante, trasformando l’esperienza visiva in una performance per gli stakeholder del settore e i protagonisti stessi della passerella che si sono trovati a interpretare forme, pesi e materiali con responsabilità e consapevolezza.

Filipe Cerejo apre la sua sfilata con un trench riformulato nei volumi e nello styling.  Il suo stile libero e completamente ri-strutturato propone un’interpretazione e una personalizzazione dei capi non convenzionale e stravolti nell’utilizzo, con il risultato di un total look disruptive negli equilibri delle forme e dei tagli talmente definito e credibile da convincere la giuria di Sangue Novo (Associação ModaLisboa, il Presidente Miguel Flor, la designer Constança Entrudo, la stylist Nelly Gonçalves, Massimiliano Giornetti Direttore del Polimoda, Federico Poletti Direttore di Man In Town e Pedro Silva Head of Industrialization di Tintex Textiles) a conferirgli il primo premio, permettendogli di approfondire e maturare il suo percorso all’interno del corso di Fashion Designer al Polimoda.
Sangue Novo – la competizione dedicata ai talenti emergenti della moda – offre tutte le stagioni nuove opportunità e visibilità ai giovani designer che lottano duramente per affermarsi nel settore, dando un importante contributo al processo evolutivo del panorama fashion globale.

Maria Clara  ha vinto il Premio United Colors of Benetton e il Tintex Textiles Award che le ha permesso di ottenere un’esperienza di tre settimane all’interno di Tintex Textiles, in cui produrrà una capsule collection firmata insieme all’azienda, oltre a un premio in denaro di 2000 euro. La designer ha colpito la giuria per la sua abilità nella lavorazione della maglieria, congiunta con una fresca originalità dei tagli e delle strutture, assegnando nuova identità ad ogni tessuto o componente del capo. I materiali assumono importanza quasi più della forma stessa e ti costringono a soffermarti su ogni singolo dettaglio, come i bottoni customizzati e le borchie battute a mano, perché il valore di ogni cosa sta nei suoi dettagli fatti d’infinite imperfezioni, quelle che creano distinzione e unicità. Maria Clara usa il linguaggio punk e lo fonde con il mistero delle lunghe tuniche che ricordano luoghi lontani, insieme alla sapiente lavorazione della maglieria fatta di pesi spessi, borchie e piercing. Il plus è l’utilizzo di ricami tipici di Madeira in inchiostro blu.

Ivan Hunga Garcia F/W 2022-23

Il premio dedicato ai giovani designer del futuro pone l’attenzione proprio su quelle menti più audaci che hanno qualcosa da dire e trovano linguaggi inediti per farlo, a volte creando forti elementi di disturbo, provocando, costringendo alla riflessione. È il caso di Ivan Hunga Garcia che porta in passerella una vera e propria performance in cui protagonista è la sperimentazione nelle sue possibili variabili che emergono nel rapporto tra corpo umano e natura.  Uno studio coraggioso quello di Ivan, che ha scelto di mettere in scena una collezione fatta di sensazioni e di stati emotivi più che di prodotti finiti destinati a finire dietro una vetrina.
È qui che la moda entra in osmosi con l’arte, attraverso una narrazione graffiante che vede la condizione umana nel suo rapporto con la natura, nella sua materia più pura, attraverso materiali sviluppati con colture batteriche ed ecosistemi botanici.

Veehana F/W 2022-23

Veehana esprime l’arte manifatturiera della scuola portoghese, che non perde mai un’occasione per portare in passerella le sue maestranze del knitwear d’avanguardia. Una maglieria evoluta, quella di Veehana, che porta la sua esperienza manuale approfondita nel campo dell’oreficeria, nei pesi impalpabili della maglieria di pregio, in cui il filato si posa sul corpo creando strutture inaspettate fatte di giochi di trasparenze e capi preziosi, che non sono altro che la rappresentazione di un mondo creato dall’uomo idealizzato e poi destinato a marcire insieme al suo corpo.

Tra i nomi già avviati nel settore che hanno dato il senso dell’innovazione a questa settimana della moda rivolta allo studio dell’evoluzione del costume, la performance di Constança Entrudo, giovane promessa del pensiero indipendente della moda, laureata alla Central Saint Martins con una laurea in Textile Design. La sua competenza creativa che la contraddistingue soprattutto per il suo savoir faire nel mix di tessuti fatti a mano la le ha aperto le porte dell’ufficio stile di Balmain, Peter Pilotto e Marques’Almeida. Vincitrice del premio The Who’s Next Prize, nel settembre 2019, a Lille, in Francia, ha presentato una collezione/performance ispirata ai dipinti astratti di Adolf Gottlieb Burst, in cui i motivi del sole dipinti a mano – attraverso l’uso di materiali come mohair e tela di cotone – creano composizioni solari, creando l’illusione di trovarsi vicino al sole, come parte integrante dell’universo, in continua evoluzione “Always in process. Never being resolved, finished”.

Béhen debutta a ModaLisboa per la prima volta nel marzo 2020, con l’ambizione di valorizzare le arti tradizionali portoghesi inserendole nelle collezioni moda dal sapore contemporaneo. Da allora ha viaggiato per il Portogallo alla ricerca di tessuti antichi. Nel suo progetto ci sono due valori fondamentali: l’impatto ambientale attraverso l’upcycling, per il quale il marchio è stato riconosciuto, ma anche l’impatto sociale, attraverso la ricerca di chi pratica lavori antichi, tramandati nel tempo. Oggi Béhen continua a puntare sulle maestranze locali nella lotta alla scomparsa dei saperi legati al tessile, una missione che le è valso il primo premio per l’imprenditoria femminile AWE assegnato dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Portogallo, che le ha permesso di aprire il suo primo studio/negozio nel cuore di Lisbona.

Quella di Lisbona è una fashion week che persegue insistentemente e coraggiosamente la missione di dare voce alla creatività dei designer, ma soprattutto alla libertà di esprimersi con onestà intellettuale, con l’obiettivo ambizioso, e per nulla facile, di inserirsi in un progetto concreto che abbia il coraggio di non snaturare il loro lavoro e rimanere fedele al loro concept, perché è soltanto attraverso il rischio che può esserci un’evoluzione del costume. Le proposte dei giovani designer rappresentano uno studio approfondito dei desideri e delle necessità della nuova generazione. Necessità che non possiamo ignorare ma che deve rientrare nel processo di rivoluzione estetica, fatto di scambio di visioni diverse ed elaborate con differenti strumenti, spesso e addirittura meglio se inconsueti. Una chiave di lettura aperta alla realizzazione di nuove forme d’arte in cui il costume rappresenta un altro linguaggio di comunicazione, in grado d’interpretare il messaggio del periodo storico a cui appartiene. È qui, grazie a realtà come queste, in cui si dà spazio alla libera creatività, che la moda trova nuovo impulso per esprimersi.

L’uomo sofisticato e contemporaneo di Cravo Studios, fondato da Carolina Moreira dopo la sua carriera accademica nel Regno Unito, mette insieme tutti quegli elementi che hanno definito la moda maschile delle ultime due stagioni, dalle stampe digitali sotto gli abiti sartoriali in velluto rivisitati nella forma, con inserti di vuoti, utili a conferire un tocco di eccentricità ma gestiti consapevolmente. Silhouette oversize e stampe ispirate agli archivi di famiglia, con pezzi che normalmente si vedono nel guardaroba di una donna, fanno appello alla convalida della vulnerabilità e fragilità di tutti gli uomini.

Ines Manuel Baptista F/W 2022-23

Ines Manuel Baptista, vincitrice di Sangue Novo due stagioni fa, ottenendo un posto al Polimoda, è un esempio positivo del valore di questo progetto che l’ha resa ancora più matura e decisa, vestendo il corpo con l’abilità di un architetto e riportando in primo piano il valore di un’eleganza sofisticata dove i veri protagonisti sono i materiali importanti e i volumi.
Filipe Augusto, vincitore dell’edizione 2018 di Sangue Novo, dipinge un uomo senza particolari stravolgimenti, ma apportando alcuni elementi che diano una connotazione caratteriale alla collezione, rinnovando la forma della spalla in chiave architettonica e lavorando su colori e tessuti spalmati o pettorine in lattice sopra maglieria o camicie.

Luis Buchinho non è sicuramente nuovo nel mondo delle sfilate portoghesi e la sua carriera di designer è disseminata di riconoscimenti, non senza un perché, vista l’ultima collezione che trasuda sicurezza e savoir faire nel suo richiamo ai volumi anni 90 e nella sua sapiente declinazione di pelle e tessuti in plissé, drappeggi e forme grafiche, alleggerite qua e là da tagli laser su top gonne. È il trionfo del cappotto con una carta d’identità del pezzo forte, perché Luis Buchinho se decide di coprire tute, top e abiti di una tale fattura, può farlo solo con capispalla che non vorresti mai toglierti di dosso o che almeno rispecchi quello che nascondi sotto.

La collezione creata da Valentim Quaresma insieme ad Ana Salazar è l’esaltazione dell’arte scultorea applicata al fashion. Il suo lavoro affonda le sue radici proprio in Italia, quando nel 2008 vince il premio “Collezione di accessori dell’anno” al concorso internazionale ITS (International Talent Support) a Trieste. Da allora inizia a presentare le sue collezioni a livello internazionale nelle fiere di ricerca come Bread and Butter a Barcellona, 080 Moda di Barcellona, Fashionclash a Maastricht, Paesi Bassi, Cesis Fashion Art Festival in Lettonia, Bijorca a Parigi, ad Arnheme a Londra. Uno spettacolo tra i più attesi, il suo show alle sfilate di Lisbona, per l’impulso creativo che si serve della forza materica delle sue sculture che prendono vita insieme alle forme inedite dei capi, in un passaggio ormai noto nel percorso creativo di Quaresma che va dall’upcycling all’arte pura.

Valentim Quaresma F/W 2022-23

Dalle passerelle alle donazioni, la moda si mobilita per l’Ucraina

Il primo, nel pomeriggio di domenica 27 febbraio, era stato Armani: a tre giorni dall’invasione dell’esercito russo in Ucraina, aveva privato la sfilata Fall/Winter 2022-23 della main line del canonico accompagnamento musicale. Prima del défilé, una voce ha avvertito che lo show si sarebbe svolto senza colonna sonora, «in segno di rispetto per le persone coinvolte nella tragedia in corso», perciò outfit – uomo e donna – dalle proporzioni esatte, velluti notturni, completi dalle disegnature geometriche e brillii déco incedevano silenziosamente nella sala.
L’effetto, a detta dei presenti, è stato potente, il messaggio forte. Del resto, in conferenza stampa, Re Giorgio era andato dritto al punto: «Volevo dare il segnale che non desideriamo festeggiare perché qualcosa attorno a noi ci disturba molto. Ho scelto il silenzio, questa non musica che si sentiva ovunque».

Il messaggio postato sui social da Armani per spiegare l’assenza di musica alla sfilata

Da quel momento in tanti, a Milano e soprattutto Parigi, hanno deciso di mobilitarsi.
Nel capoluogo lombardo, con la fashion week ancora in pieno svolgimento, il gruppo OTB (proprietario di griffe come Diesel, Margiela, Marni, Jil Sander), rispondendo all’appello dell’UNHCR per aiutare i civili costretti alla fuga, annuncia il proprio supporto economico all’organizzazione; la Camera Nazionale della Moda Italiana si unisce all’iniziativa, il presidente Carlo Capasa invita gli associati a partecipare alla raccolta fondi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, trovando prontamente la disponibilità di numerosi big, da Prada allo stesso Armani e Valentino (entrambi devolvono all’Agenzia ONU 500mila euro) passando per Etro, Missoni, Max Mara, Furla.
Fondi per l’UNHCR vengono stanziati, a seguire, da Chanel, Isabel Marant, Acne Studios, Pronovias e Kering (holding francese che controlla Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta e Alexander McQueen), la principale concorrente di quest’ultima, LVMH – cioè i maggiori brand del lusso, compresi Louis Vuitton, Dior, Bulgari, Fendi, Givenchy – versa da parte sua un milione di euro a Unicef e cinque alla Croce Rossa, Versace e Balenciaga (anch’essa proprietà di Kering) decidono di supportare il World Food Programme.

Manifestanti fuori dagli show di MMD (ph. by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Chiusa la settimana della moda milanese, quella transalpina si apre con l’auspicio, espresso dalla Fédération de la Haute Couture et de la Mode, di «vivere le sfilate con sobrietà e riflettere sull’oscurità del momento»; i marchi partecipanti mantengono di fatto un low profile, ma alcuni si distinguono per la nitidezza della loro posizione.
Olivier Rousteing di Balmain, ad esempio, fa avere agli ospiti del catwalk una nota nella quale si mostra quasi rammaricato per il fatto di non poter modificare una collezione sviluppata, naturalmente, mesi prima dell’attacco russo, postando inoltre un sentito messaggio («siamo consapevoli che ci sono cose più importanti che accadono oggi. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono per gli ucraini. Siamo ispirati dalla loro dignità, resilienza e attaccamento alla libertà») sul suo profilo Instagram, sotto l’immagine di una duna sabbiosa gialla sormontata dal cielo, limpidissimo, ad eccezione della nuvola a foggia di cuore.
Altre maison, oltre a Balmain, si servono del binomio cromatico della bandiera nazionale per testimoniare la propria vicinanza al paese: da Loewe, sulle giacche dello staff, vengono appuntate coccarde gialloblu, Isabel Marant fa proiettare i colori sulle colonne del Palais Royal, sede dello show, uscendo per il saluto finale con un maglione nelle medesime tonalità.

L’immagine postata dal direttore creativo di Balmain sul suo profilo IG @olivier_rousteing
Jonathan Anderson di Loewe con la coccarda con i colori ucraini (ph. Imaxtree)

Rick Owens, prodigo di riflessioni affatto banali sull’assurdità della guerra scatenata dal Cremlino, dichiara di aver desiderato che il womenswear della prossima stagione fosse «pretty», adeguato al generalizzato risveglio post pandemico, un afflato speranzoso valido ancor oggi, nonostante i tragici eventi nell’Est del continente, perché durante i mala tempora «la bellezza può essere uno dei modi per mantenere la fede»; si parla di una graziosità alla Owens, certamente, pur sempre il profeta di uno stile aspro, oscuro, alle volte apocalittico, però fa specie vedere le mise statuarie della griffe, definite da code, stratificazioni tessili come grumi che ingabbiano la figura, puntute spalle insellate, gambali poggianti su trampoli enormi, illuminarsi grazie alle distese di lustrini sulle texture e lampi di giallo, rosa, arancione e verde menta aprirsi un varco nel consueto dispiegamento di neri e grigi. Lo stilista californiano confida, inoltre, che il soundtrack è stato cambiato all’ultimo minuto, optando per la Quinta sinfonia di Mahler, da lui giudicata «sdolcinata, melensa, kitsch, manipolatoria ed emotiva» ma «adatta al momento», in quanto portatrice di un «desiderio di speranza». Cambiamento musicale last minute anche da Stella McCartney, dove la scelta ricade su Give Peace a Chance, immortale inno pacifista di John Lennon.

Isabel Marant con il maglione gialloblu in passerella (ph. Stephane de Sakutin – AFP)
Il finale dello show F/W 2022 di Rick Owens (ph. Imaxtree)

L’operazione più significativa e coinvolgente, però, si registra senza dubbio da Balenciaga, il cui direttore artistico Demna Gvasalia, ex profugo (è originario infatti dell’Abcasia, regione separatasi militarmente dalla Georgia negli anni Novanta, perciò quando sono iniziati gli scontri ha dovuto riparare con la famiglia a Tblisi, poi in Germania), sa cosa voglia dire affrontare simili, drammatiche situazioni.
Lascia quindi sulle sedie della platea t-shirt bicolor (le sfumature del vessillo ucraino, ancora) e una lettera, in cui racconta che le notizie provenienti dall’Europa orientale hanno «innescato il dolore di un trauma che mi portavo dentro dal 1993, quando accadde la stessa cosa nel mio paese e divenni un rifugiato, per sempre […] è qualcosa che resta […] La paura, la disperazione, realizzare che nessuno ti vuole»; e prosegue: «In un periodo come questo la moda perde la sua rilevanza, il suo stesso diritto di esistere. Ho pensato per un attimo di cancellare la sfilata […] Ma poi ho compreso che avrebbe significato darla vinta, arrendersi al male che mi ha ferito così tanto per quasi 30 anni. Ho deciso che non posso più sacrificare parti di me a questa guerra egoistica, insensata e senza cuore. Questo show non ha bisogno di spiegazioni. È dedicato al coraggio, alla resistenza, alla vittoria dell’amore e della pace».

Le t-shirt per l’Ucraina sulle sedie della sfilata Balenciaga

Ciascun outfit, effettivamente, parla da sé, addosso a modelle/i che avanzano a fatica in una bufera di neve ricreata nella sala circolare vetrata, adibita a setting, componendo una ricapitolazione della traiettoria ascendente di uno sconosciuto designer georgiano diventato sommo sacerdote del verbo fashionista, tra sartoria fuori scala, volumi anabolizzati (tautologiche, in tal senso, le scritte XXXL riportate su un paio di hoodie), pantacollant con scarpa incorporata, maxi stivali a imbuto e, in chiusura, un total look giallo e uno blu, ultima, inequivocabile dimostrazione di vicinanza alla popolazione ucraina.

Il setting della collezione Balenciaga F/W 2022 (ph. Imran Amed)
Gli ultimi due look dello show Balenciaga


Infine, lo stop alle attività commerciali. Il numero di brand che hanno chiuso i rispettivi store russi si allunga di giorno in giorno, formando un bollettino di guerra – logicamente commerciale e incruenta – parallelo a quello (tragico) del conflitto, ma a differenza di esso virtuoso poiché rimarca la distanza abissale tra il sistema valoriale sotteso alla moda, nel suo complesso, e il brutale neoimperialismo di Putin e compari: i già citati LVHM (124 boutique nella Federazione), Kering, Prada, Chanel, e poi Hermès, Richemont, Nike, Asos, i colossi del fast fashion, Inditex, H&M e Mango in testa. Una mobilitazione senza precedenti che, si spera, porterà qualche risultato concreto, andando oltre le – pur lodevoli – condanne di rito a mezzo social.

La boutique (chiusa) di Gucci nel centro di Mosca

Affascinanti racconti di paraventi di HUI

Una soleggiata domenica accoglie la storia del costume cinese tradotta in chiave moda presso il Museo della Scienza e della Tecnologia. Hui Zhou Zhao, la designer dell’omonimo marchio, torna in passerella raccontando l’iconografia dei paraventi del Celeste Impero.
Un archivio di stampe viene timbrato su un guardaroba contemporaneo in omaggio alla storia di una donna, quella dell’ imperatrice Cixi, che governava al posto del figlio minorenne, nascosta dai paraventi della sala imperiale.



L’Oriente incontra l’Occidente negli stili ma anche nei tessuti. Tutto viene contaminato e reso fruibile ad una generazione particolarmente attenta a ciò che la circonda. La pelliccia è eco, i tessuti ricercati, come il fil coupé, l’oro fil à fil e il velluto liquido, dialogano con i ricami realizzati a mano nel Grande Paese.




Non solo kimono ma anche cheongsan (lo storico costume femminile noto anche come qipao) trasformato in chiave moderna in blusa e minidress arricchiti da alamari gioiello. La loro particolarità? Sono realizzati tutti a mano in filigrana d’oro, così come insegna la tradizionale cultura orafa cinese. 






Produzione, testo e photo editing Alessia Caliendo

Photographer Mark de Paola using Leica SL2-S with the Noctilux-M 50mm F1.2 ASPH

Fashion editorial: Calidoscope

Riflessioni multiple su una moda di nuova generazione che ispira una rinnovata produttività e dinamicità: è il lusso minimal e consapevole dei nativi digitali, fatto di forme asimmetriche e knitwear cozy chic dai tagli super croppati.


Total look Dolce&Gabbana

Left: décolleté Steve Madden, bag Versace; right: sunglasses Versace

Left: dress Roberto Cavalli, boots Giuseppe Zanotti; right: shirt Balenciaga

Left: top and pants, Versace; right: total look Dsquared2

Credits

Photographer Ilaria Boncompagni

Fashion editor Rosamaria Coniglio

Stylist Federico Toretti

MUA & hair Agata Branchina – The Agency Aldo Coppola

Model Malvina @urbanmodels

Producer Fashion Art 3.0 @fashionart_3.0


Radiografia di un cult: il Bedale di Barbour

Si scrive Bedale, si legge emblema dell’outerwear di stampo britannico. Il termine identifica, per essere più precisi, il capospalla esemplificativo di un’azienda, Barbour, a sua volta considerata, nel Regno Unito, alla stregua di un patrimonio nazionale, che non molto tempo fa (era il 2019) ha tagliato l’invidiabile traguardo dei 125 anni di storia.
Al di là dei singoli modelli, comunque, è sufficiente pronunciare il nome del marchio, radicato nel nord-est dell’Inghilterra, poco distante da Newcastle, perché in chiunque abbia un minimo di familiarità con lo stile british, solido nella propria classicità e sostanzialmente indifferente alle fregole fashioniste, scatti un’associazione olfattiva degna delle celebre madeleine di Proust, richiamando l’odore pungente della stoffa impregnata di cera.




Il trattamento wax, come lo chiamano in terra d’Albione, è la specialità della casa, fin da quando, nel 1894, il capostipite dell’omonima dinastia apre a South Shields, centro portuale affacciato sulle acque del Mare del Nord, la John Barbour & Co. Tailors and Drapers, con cui vende a marinai e pescatori capi consoni all’inclemente clima locale, in cotone egiziano adeguatamente oleato, per conferirgli maggiore resistenza a pioggia, vento e altri inconvenienti abituali a certe latitudini.



Dai primi del ‘900 la promozione dei prodotti passa da un battage pubblicitario insolito per l’epoca: si largheggia in spiegazioni che ne illustrano la superiorità, dal punto di vista dell’impermeabilità e della robustezza, rispetto a quelli dei concorrenti, sintetizzando icasticamente il tutto in uno slogan che, in italiano, suona pressapoco «l’abbigliamento migliore per il tempo peggiore»; ad inverare la formula provvede, negli anni ‘30, l’introduzione del tessuto thornproof, più compatto e agevole da indossare dei predecessori. Contemporaneamente, ci si rivolge ai motociclisti con una linea di riding jacket che, qualche decennio dopo, arruolerà tra i suoi fan anche il centauro più ammirato di allora, e forse di sempre, Steve McQueen (uno scatto del 1964 lo ritrae in sella alla sua Triumph con una giacca Barbour).


Campagna per il 125esimo anniversario del marchio


I giubbotti cerati del brand, soprattutto, con il loro aspetto understated, i colori da sottobosco e l’ormai conclamata adattabilità alle condizioni meteorologiche avverse, incontrano il favore dei cultori di quelle attività all’aria aperta, caccia e pesca in primis, assai identitarie per la buona società inglese, fino a intercettare il favore della royal family al completo, dalla regina in giù.
Barbour, negli anni, legherà a tal punto la propria immagine ai Windsor da divenire fornitore ufficiale della casa regnante, cumulando tre Royal Warrant, i sigilli con cui si riconoscono i servizi commerciali resi alla Corona: a conferire il primo, nel 1974, è il Duca di Edimburgo, seguono quelli di Elisabetta II nel 1982 e del principe Carlo nel 1987.


Il Bedale, in tutto ciò, viene introdotto nel 1980 da Margaret Barbour (la presidente, quarta generazione della famiglia tuttora alla redini); tenendo a mente le esigenze pratiche di chi si dedica all’equitazione, disegna un giaccone dalla vestibilità dégagé di taglio classico, né troppo lungo né troppo corto, in cotone waxed di peso medio, fornito di prese d’aria posteriori, tasche laterali più due, grandi, a soffietto. I dettagli (vincenti, con tutta evidenza)? Collo a camicia in velluto millerighe, fodera tartan, chiusura tramite zip con doppio cursore ad anello e bottoni a pressione. Britishness in purezza, dunque, e accento sulla versatilità dell’indumento, da sfruttare in ogni stagione grazie alla possibilità di aggiungere il cappuccio, da fissare all’apposita clip, e inserire un’imbottitura interna per i mesi freddi.
Il modello trova subito una testimonial d’eccezione in Diana Spencer, che lo indossa durante le scampagnate nelle residenze di campagna della Royal House, o in occasione delle visite ufficiali nelle località più remote della Gran Bretagna.
L’enorme popolarità della principessa del Galles dà il suggello definitivo alla giacca, allora uno status symbol irrinunciabile per la jeunesse dorée degli Sloane Ranger, giovani, affluenti londinesi che bazzicano i locali in della capitale, tra Chelsea e Kensington.


Lady Diana in uno scatto degli anni ’80 con la giacca Bedale

Una scena di The Crown

Il lungo percorso del marchio, ciò nonostante, incontra delle battute d’arresto, che guarda caso coincidono con la crisi della monarchia successiva alla morte di Lady D, a cavallo del millennio.
La proprietà si apre perciò a iniziative che rinvigoriscono l’appeal della giubbotteria Barbour, collaborando ad esempio con un paladino della moda brit qual è Paul Smith e, più in là, con la conduttrice e It girl Alexa Chung, affezionatissima cliente, rafforzando così un’affinità elettiva con lo show-business che, a dire la verità, non è mai venuta meno. Non si contano, infatti, le celebrità avvistate negli anni con le inconfondibili waxed jacket, da Benedict Cumberbatch a Daniel Day-Lewis, passando per Robert Redford, David Beckham, Alex Turner, Kate Moss, Daniel Craig nei panni o meglio, nel giaccone – parte della limited edition firmata dal designer Tokihito Yoshida – di 007 in Skyfall. All’inventario bisognerebbe poi aggiungere le teste coronate, reali (ivi comprese le ultime arrivate, Kate Middleton e Meghan Markle) o fittizie ma più vere del vero, quelle cioè impersonate da Emma Corrin, Josh O’Connor e colleghi nella quarta stagione dell’acclamata serie tv The Crown, dove vengono ricostruiti, con scrupolo filologico, i weekend trascorsi al castello di Balmoral dai Royals (vestiti Barbour, si capisce).


Photo © 2017 Fame Flynet UK/The Grosby Group EXCLUSIVE London, February 23, 2017. Football Icon David Beckham pictured getting back to work after an email scandal threatened to break brand Beckham. David was seen surrounded by onlookers that were amazed to see the former England international back at work in the public eye after his recent scandal. He was seen surrounded by a film crew while he filmed an advert in the park in London, England. The England ace had time to to show his softer side as he played with his dog Olive, rode a bike and looked the perfect gent in hunting gear. At one point, David seemed to levitate off the ground! But he was clearly not feeling his best as he poked and blew his nose throughout the day.

David Beckham, Alexa Chung, Alex Turner, il principe Carlo


Lo sfoggio dovizioso di cerate della griffe, negli episodi trasmessi due anni fa, ha solleticato gli spettatori, facendo registrare un netto aumento degli articoli di seconda mano o vintage, in vendita su piattaforme di reselling, come Vestiaire Collective, e siti generalisti alla subito.it o eBay; un interesse cui ha sicuramente contribuito, nel medesimo periodo, uno degli ormai incalcolabili trend divampati su TikTok e compagnia, il cottagecore, ovvero l’idealizzazione dello stile di vita bucolico, col relativo portato di accessori da picnic, motivi naturalistici, plaid, tweed…


Supreme x Barbour

Barbour x Noah

A chiudere il cerchio, in questa ritrovata vitalità del marchio in generale e del Bedale in particolare, le co-lab con la crème dello streetwear odierno, nell’ordine Supreme, Noah e Bape, intervenuti perlopiù sulla superficie del giubbino, tra zebrature, pattern etnici, inserti camouflage e cromie forti, dalle tonalità fluo alle gradazioni intense di giallo, fucsia e blu.
D’altronde meglio non stravolgere uno staple dell’abbigliamento outdoor che, stando a Helen Barbour (figlia della già citata Margaret), è tale perché in linea con «ciò che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare: capi che soddisfino le mutevoli esigenze e aspettative dei clienti, senza compromettere i valori fondanti». Come darle torto?


Barbour x Noah

Barbour x Bape

Nell’immagine in apertura, foto dal sito di WP Lavori in Corso

Inseguendo l’eclissi: Daniele Calcaterra

È il fenomeno dell’eclissi che incanta e sconvolge il torpore di una giornata che sembra primaverile, quella di apertura della Milan Fashion Week, come ufficialmente debutta il profilo Instagram di Camera Moda.




Thomas Costantin, l’icona di musiche e stili, viene scelto per accompagnare l’incalzare lento dei modelli in passerella che richiama l’avanzare della luna sulla luce del sole.

“Chaos & creation” negli scenari del backstage. Documentiamo e osserviamo i corpi che si muovono sinuosi nell’incontro con le creazioni di Daniele Calcaterra FW 2022-23 che, grazie alle forme su cui fa perno la sua identità creativa, ridisegna i profili che si presentano all’occhio durante l’oscuramento parziale o totale dell’astro.





Le proporzioni sono inattese e ridisegnano una nuova anatomia fluida. Il dinamismo materico, che genera contrasti tra raw e cozy, sconvolge le silhouette. I non colori come il nero, il blu e il grigio, da sempre parte dell’espressione personale del designer, subiscono la rottura di un candido bianco lunare, lo stesso che folgora gli occhi nel setting metafisico della sfilata.






Produzione, testo e photo editing Alessia Caliendo

Photographer Mark de Paola using Leica SL2-S with the Noctilux-M 50mm F1.2 ASPH
Leica 246 “Your Mark” Monochrome with the 35mm Summicron ASPH II ‘Summicron-M

Dalla Gioconda apre un pop up restaurant a Cortina da Franz Kraler

Allegra Tirotti RomanoffStefano Bizzarri, lo chef Davide Di Fabio, grazie alla famiglia Kraler hanno voluto portare un po’ di loro e del loro mondo a Cortina, creando un pop up restaurant dall’immagine fresca e contemporanea, una vetrina sul mare nella stupenda località di montagna.

Avrà luogo tutte le sere dal 21.02.22 al 27.02.22, nella boutique di Franz Kraler in corso Italia 119. Sarà un lampo o meglio uno scorcio sui primi raggi di sole della riviera, una cena riservata, pochi intimi, un menu unico, un buon sound e la voglia di accogliere gli ospiti come a casa, tra gli splendidi vestiti della boutique, i libri, i fiori e il buon vino.

Dalla Gioconda nasce negli anni 50 come dancing pizzeria a Gabicce Monte, provincia di Pesaro Urbino, chiamata un tempo “la Capri dell’Adriatico”.

Patria della musica e del divertimento di quel mood il ristorante Dalla Gioconda mantiene ancora oggi la leggerezza impressa in quel nome e nel suo juke box, conservato anche dopo la profonda ristrutturazione, guidata da Stefano Bizzarri e Allegra Tirotti Romanoff.

I principi di sostenibilità e tutela della terra sono valorizzati sotto tutti gli aspetti: è il primo ristorante certificato plastic free in Italia, la struttura è certificata leed gold e vanta materiali scelti al minor impatto possibile ed è riscaldata attraverso la geotermia. Lo spreco è ridotto al minimo grazie al recupero delle acque piovane. Le pareti di librerie, una in ogni spazio, danno la sensazione di entrare a casa.

La cucina è nelle mani dello chef Davide Di Fabio (16 anni in Osteria Francescana) che nella sua vita ha viaggiato in alcuni dei paesi più interessanti del mondo. Amante dei sapori veri e diretti, appassionato di arte pop e colori, è patito di musica e qui gioca anche a fare il dj.
Il suo menù prevede ingredienti della zona che seguono rigorosamente la stagionalità dei prodotti.
Adiacente al ristorante è stato creato un bellissimo orto naturale. Nella cantina oltre 500 diverse etichette e più di 2000 diverse bottiglie. Il ristorante è novità dell’anno 2022 per Gambero Rosso ed è nella 50 Top Italy.

The Waiting

Archetipi del guardaroba maschile (gessati, soprabiti e stringate) vs pezzi dal sapore workwear, velature, un clash tra forme ridottissime e linee over, sex appeal e rigore sartoriale. Sono queste le keyword dell’editoriale realizzato per Manintown dal fotografo Filippo Thiella: protagonista il modello Giove Taioli, che indossa bluse e maglioni cropped Christian Pellizzari, cappotti e pantaloni Gaëlle Paris, tute one-piece in denim Weili Zheng e altri capi selezionati dallo stylist Paolo Sbaraglia, in un gioco di contrasti esaltato dal nitore del black & white.


Shirt Alberto Zambelli

Shirt Alberto Zambelli, pants Christian Pellizzari, shoes stylist’s archive

Coat and pants Gaëlle Paris, shirt Christian Pellizzari, shoes stylist’s archive

Crop sweater Christian Pellizzari

Coat YouWei, pants Christian Pellizzari

Romper Weili Zheng

Coat and pants Gaëlle Paris, shirt Christian Pellizzari, shoes stylist’s archive

Total look Gaëlle Paris

Shirt Christian Pellizzari, pants Gaëlle Paris, shoes stylist’s archive

Credits

Photographer Filippo Thiella
Stylist Paolo Sbaraglia
Grooming Cecilia Olmedi
Model Giove Taioli @M.O.M. Agency

Nell’immagine in apertura, Giove indossa romper Weili Zheng

Models to follow: Angelica Maino

21enne, originaria della provincia di Vicenza, Angelica Maino si è trasferita a Milano per frequentare l’università, muovendo i primi passi da mannequin dopo una mail inviata all’agenzia The Fabbrica, che le ha aperto le porte del settore. Merito di una bellezza in un certo senso antica, diafana e sottilmente melanconica, con occhi di un blu penetrante, lunghi capelli ondulati e un fisico flessuoso e affusolato; tutte qualità che risaltano in maniera evidente nell’editoriale scattato, per Manintown, dal fotografo Riccardo Albanese con lo styling di Adele Baracco, dove la vediamo passare da maglioni cozy, soffici solo a guardarli, a spacchi e micro top bandeau da femme fatale provetta, mantenendo un innegabile magnetismo.


Jumper Pomandère, culottes Romeo Gigli, bag A.Cloud, earrings Gala Rotelli
Scarf worn as a dress Sara Wong, earrings Gala Rotelli

Come e quando hai iniziato a fare la modella?

Mi sono trasferita a Milano l’anno scorso per studiare all’università, ho pensato di tentare questa strada scrivendo a The Fabbrica, gli sono piaciuta subito e così, intorno a febbraio o marzo, ho cominciato.

I traguardi professionali che reputi più importanti e quelli che speri di raggiungere.

Tra i lavori fatti finora la campagna pubblicitaria di Chitè Milano (marchio di lingerie sostenibile italiano, ndr) e gli scatti per gli e-commerce di Furla, Malloni e Rinascente, da circa tre mesi sto lavorando principalmente come indossatrice per Alexander McQueen.
Un sogno è quello di sfilare in passerella, magari proprio per McQueen.




Ci sono griffe o designer che ammiri con cui vorresti collaborare?

Prada, Miu Miu e Marni, so che sono nomi difficili da raggiungere, ma ci spero.

E come “consumatrice”, invece, quali brand di abbigliamento e beauty prediligi?

Su tutti Prada e Miu Miu, ricorro però quasi sempre al vintage, frugo negli armadi dei miei genitori alla ricerca di abiti che mi piacciano, uso molto i pezzi vintage di mamma e anche qualcosa di papà. Per quanto riguarda il beauty, apprezzo il make-up Dior e le fragranze Parfums de Marly.


Cardigan Juicy Couture, culottes Battista, earrings Gala Rotelli, rings Voodoo Jewels and Elena Donati

Dress Uniqlo, earrings Gala Rotelli, belt and shoes @PWC Milano

Ci sono capi, accessori, gioielli che consideri dei personali “mai più senza”?

Non esco mai senza anelli, collane o orecchini, utilizzo spesso dei cerchietti d’oro che appartenevano a mia madre e una collana di Vivienne Westwood, la metto però in occasioni particolari, non è un gioiello da indossare tutti i giorni.

Come descriveresti il tuo stile?

Vado a momenti, d’inverno solitamente vesto tutta di nero, quindi pantaloni larghi, maglione e cappotto total black, in estate vado su jeans magari over, a vita bassa, con sopra camicie o t-shirt e sotto le sneakers, quando c’è l’occasione, considerato il mio debole per le scarpe, non mi dispiace portare modelli con il tacco.




Nell’editoriale per Manintown di cui sei protagonista indossi parecchi pullover, ampi e avvolgenti, è uno styling che ti si addice oppure è lontano dalle tue corde?

I capi erano quasi tutti vintage, ho adorato le décolletés, stupende, in generale era tutto abbastanza in linea col mio modo abituale di vestire, mi è venuto naturale indossare gli outfit proposti.

C’è qualche modella che apprezzi particolarmente, a cui ispirarsi?

Vittoria Ceretti e, sebbene non sia una mia collega, Benedetta Porcaroli, comunque ne seguo diverse sui social, specialmente quelle più semplici e spontanee, anche nel modo di porsi.


Scarf worn as a dress Sara Wong, earrings Gala Rotelli

Cardigan Juicy Couture, culottes Battista, earrings Gala Rotelli, rings Voodoo Jewels and Elena Donati, shoes vintage Dolce&Gabbana @PWC Milano

I lati migliori e quelli che invece ti suscitano maggiori perplessità del mestiere?

In realtà mi piace molto, lo trovo anche divertente, soprattutto alla mia età, certo i casting sono numerosi e bisogna sempre farsi trovare pronte, prestando attenzione alla linea, sotto questo punto di vista è un po’ pressante, ma viene tutto ripagato.

Cosa speri per il futuro, professionalmente e umanamente?

Umanamente spero di diventare il più possibile sicura di me ed essere soddisfatta della persona che sarò, professionalmente parlando vorrei crescere e cercare di realizzare gli obiettivi cui accennavo prima, in primis quello della sfilata, che sia a Milano, Parigi, Londra o in altre città.


Top Reamerei, jeans 501 Levi’s Red Tab, earrings Gala Rotelli

Credits:

Model Angelica @Fabbrica Milano

Photographer Riccardo Albanese

Stylist Adele Baracco

Make-up artist and hair stylist Annamaria Fanigliulo

Nell’immagine di apertura, cardigan Juicy Couture, rings Voodoo Jewels, Elena Donati

Tendenza sporty: i brand da tenere sott’occhio

La parola sporty non è solo una tendenza sulle ricerche Google: la generazione X e i Millennials pretendono di vestire comodamente per sentirsi liberi di muoversi. Negli ultimi tempi, complici anche le campagne di sensibilizzazione sulle tematiche green, sia uomini sia donne al comfort chiedono di vestire con filati pregiati che in termini di sostenibilità assicurano lunga vita al capo.

Valvola, SEASE e AlphaTauri, i marchi sporty da osservare attentamente

Per venire incontro alle esigenze dei compratori, i brand hanno puntato sullo streetwear di lusso, come nel caso di Valvola: azienda marchigiana che crea un ponte tra streetwear e high end fashion, dando vita ad un total look aggiornato ed innovativo, grazie alla nuova partnership con DAL TRADING. La collezione autunno/inverno 2022-23, presentata durante l’ultima edizione di Pitti Uomo, «prende spunto dalla strada, da un sapiente mix di materiali che definiscono la nuova immagine VALVOLA. I colori bianco e nero creano una cornice essenziale dove si alternano colori sofisticati che ne completano il quadro», come racconta Raffaele Speranza, amministratore della nuova licenziataria.


Bomber della Collezione Valvola autunno/inverno 2022-23
Bomber della Collezione Valvola autunno/inverno 2022-23

SEASE: SEA come mare, EASE come liberare, liberarsi; questo è il mantra del marchio di moda sporty che non rinuncia al tailoring. Quella di SEASE è un’attitudine alla libertà, ovunque noi siamo: che sia il mare, la campagna, la città o la montagna. Differenti stili (Urban, Sailing o Skiing) e un unico fil rouge: l’attenzione riservata ai tessuti che sono performanti, resistenti e, soprattutto, ecosostenibili. L’azienda, infatti, ogni giorno esprime il suo impegno a sostenere il benessere del pianeta contenendo le emissioni di anidride carbonica durante il processo di realizzazione del capo. Oltre al riciclo delle materie prime, inoltre, SEASE conta molto sull’innovazione con l’utilizzo di materiali vegetali per il confezionamento della giacca tecnica come lo spray top.


Una giacca adatta per un’uscita in barca. SEASE

AlphaTauri (il nome si ispira alla stella più luminosa della costellazione del Toro, Alpha Tauri), è un marchio di moda indipendente fondato da Red Bull. Innovazione, tecnologia pioneristica, design e sostenibilità sono dettagli non trascurati dall’etichetta. Dagli energy drinks agli store di tutto il mondo, il passo è stato breve. AlphaTauri applica le nuove tecnologie alla moda per soddisfare le esigenze di un mercato che chiede di vestire comodo e con tessuti eco-sostenibili. I capi sono realizzati con la tecnologia TAUROBRAN® che consente la permeabilità delle stoffe, adattandosi a ogni situazione climatica.


AlphaTauri

Department Five colab North Sails. Dall’unione di due brand nasce una collaborazione che condivide integrità e valori. Nasce, così, Department Five loves North Sails: la colab che vede il brand italiano reinterpretare un capo iconico del marchio leggendario nel mondo della vela. Protagonista è la giacca Sailor, simbolo per eccellenza di North Sails che viene rimodulata attraverso i codici estetici di Department Five e dell’evergreen MA-1, da sempre tra i capi più amati del marchio. Department Five ha nel proprio DNA la ricerca e lo studio, tra cui spicca la passione per i bomber jacket di aviatori e marinai americani.
Dall’incontro di queste due icone, nasce quindi il nuovo modello realizzato sia per uomo sia per donna. Disponibile in verde militare o blu navy, con interno arancione a contrasto, il giubbotto ha un regular fit per lui e si presenta invece in chiave oversize per lei. Il nylon utilizzato è certificato GOTS e soddisfa le esigenze di ridotto impatto ambientale.

Department Five colab North Sails

ACBC. Con la collezione Evergreen primavera/estate 2022 il marchio italiano di prodotti sostenibili e prima B Corp italiana del mondo delle calzature, segna un altro punto a favore della sostenibilità. La nuova sneakers, dall’estetica grintosa, è stata concepita utilizzando materiali green e innovativi. La tomaia della scarpa da ginnastica è infatti realizzata in GrapeBase, un materiale a tecnologia made in Italy ad alto contenuto di materie prime riciclate e vegetali. Protagonista è la biomassa vegetale derivata dagli scarti dell’industria vinicola italiana che comprende bucce d’uva, raspi e semi.

ACBC

In apertura, un look della collezione SEASE

Arte in movimento: Andrea Carrucciu

Italiano con un percorso tutto internazionale, Andrea Carrucciu si forma tra l’Italia e la CODARTS a Rotterdam. Ha ballato per il Ballet Junior de Genève, Svizzera, per poi trasferirsi a Londra per unirsi alla compagnia di fama  internazionale BalletBoyz, eseguendo brani di Iván Pérez, Russell Maliphant, Liam Scarlett, Christopher Wheeldon e Javier de Frutos.





Recentemente ha lavorato con la compagnia Punchdrunk, sempre di Londra, nello show Sleep No More, dove ha interpretato il ruolo principale di Macbeth. Non solo un ballerino, ma anche un performer e coreografo che ha realizzato diversi video per la piattaforma NOWNESS.

Leggings Alessandro Vigilante




Manintown ha fotografato Andrea a Firenze, immerso nella natura del Giardino dei Semplici, all’interno del progetto-mostra Creative by Nature.


Sweater and leggings Alessandro Vigilante




Shirt Mani del Sud, trousers CHB Christian Boaro

Lace shirt and trousers CHB Christian Boaro

Credits:

Talent Andrea Carrucciu
Photographer Davide Musto
Stylist Alfredo Fabrizio
Make-up/grooming Romina Pashollari

In the thumbnail image, knitted sleeves and leggings Alessandro Vigilante, bow tie Mani del Sud

La canotta è elegantissima: Sanremo, outfit e colori

Ultima puntata, share al massimo, sfida alle stelle.


Giovanni Truppi tra Amadeus e Lorena Cesarini

Giovanni Truppi esordisce così di fronte ad Amadeus che gli chiede delucidazioni e pareri sui commenti ai suoi look basati su una canottiera durante le esibizioni: la canottiera è elegantissima. Affermazione discutibile ma terribilmente attuale nel mondo sanremese. In mondovisione Amadeus e un cantante discutono di look. La rivoluzione del festival è sotto ai nostri occhi.


Orietta Berti in Rochart

Se fino a qualche anno fa la questione abiti era relegata alle cosiddette vallette con anche un certo disprezzo, oggi investe come un uragano anche i talenti delle generazioni passate.
E quindi abbiamo un Gianni Morandi la cui immagine è curata dallo stylist Nick Cerioni e veste Armani, e Orietta Berti che senza farlo troppo di nascosto si sta facendo trasformare in Lady Gaga.


Gianni Morandi in Giorgio Armani e Jovanotti in Brioni, ph. via Ansa

La sfida si dipana sul palco a suon di canzoni, giacche lanciate, mantelli persi. Abiti colorati, neri, eleganti, sportivi, disinteressati. Comunque vada il look, il colore, saranno commentati, nessuno escluso.
E così, senza che nessuno lo potesse prevedere, la moda ha fatto del festival la sua passerella. Tra brand emergenti e storici, la gara è di altissimo livello. Per Sanremo gli abiti spesso vengono creati ad hoc, pensati per una canzone, un ruolo o una performance.


Dargen D’Amico in Federico Cina, ph. via Ansa

Drusilla Foer in Atelier Rina Milano, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Dargen D’Amico si è affidato a marchi diversi e tutti emergenti: Alessandro Vigilante, Federico CinaWayeröb by Alessandro Onori e Çanaku. Drusilla Foer si è fatta vestire da Atelier Rina Milano, la sua sarta di fiducia. Amadeus e la moglie si sono affidati a Gai Mattiolo, scelta storica e riconfermata nel tempo. Emma e Achille Lauro vestiti da Gucci. Elisa in Valentino, Noemi in Alberta Ferretti, Michele Bravi in Roberto Cavalli by Puglisi.
Blanco e Mahmood hanno cambiato brand nelle serate, passando da Fendi a Burberry, da The Attico a Valentino.


Blanco in The Attico

Emma in total look Gucci, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Mahmood in Prada, Blanco in Valentino, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Un tripudio di lustrini, un po’ meno tripudio di colori devo dire.
Su una cosa quest’anno, oltre al Fantasanremo, erano tutti d’accordo. I colori. Bianco, nero e rosa.
Il rosa si distribuisce indisturbato in tutte le serate, da Dargen D’Amico ad Achille Lauro a Noemi, toni pastello o accesi, si dimena sul palco come un colore qualsiasi, ma non lo è. Il rosa è femminile, il rosa è tenue, ma oggi va di pari passo con i tempi e si tramuta nel colore della rinascita e della trasgressione.


Achille Lauro in Gucci, ph. AGF

Michele Bravi in Roberto Cavalli, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Il bianco e il nero sono classici ma simbolo dei tempi, scelti da Ditonellapiaga e Rettore, da Blanco e Mahmood, Elisa sempre in total white, Morandi e Jovanotti. Se il rosa ci è sembrato il colore della rinascita e della passione, il bianco e nero forse sono simbolo dei nostri tempi. Di fianco alla rinascita c’è la lotta che si fa strada, interna, intensa, drammatica e meravigliosa.


Donatella Rettore in Stefano De Lellis, Ditonellapiaga in Philosophy di Lorenzo Serafini, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Il festival è rinato e se come sempre sarà simbolo dei tempi e loro precursore c’è speranza che tutto un giorno sarà solo rosa.

In apertura: Noemi in Alberta Ferretti, ph. via Ansa

Fashion Police in… Sanremo day 4

Una della puntate più seguite di sempre, i dati lo confermano, la serata delle cover ha spopolato in televisione e sui social. Sanremo ha aperto le porte ai giovani, alla moda e al trash. Grandissimo Amadeus, giacche a parte


Rkomi, ph. Ansa

Rkomi, voto 0

Il Fantasanremo ci piace ma in verità la giacca l’ha lanciata via perché stava meglio senza. Suvvia, questa cosa del pistolero l’ha già proposta Elettra Lamborghini, ed era venuta meglio.
I punti al Fantasanremo li abbiamo, Fashion police potete prenderlo.


Francesca Michielin

Francesca Michielin, voto 5

Prometteva bene ma il vestito tovaglia non è piaciuto quasi a nessuno. Abbinato al trucco anche. Scelta difficile, surclassata fortunatamente dalla performance.
La Fashion police l’ha già inseguita con Emma l’altra sera.


Elisa, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Elisa, voto 3

Bellissima le altre sere, ieri sera sembrava infagottata in più camici medici. Pronta per una puntata di Grey’s Anatomy. In tutti i sensi. Probabilmente ha scelto il camice dopo aver sbattuto entrambi i lati del volto.
Fashion police intervento con il 118.


Sangiovanni e Fiorella Mannoia, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Sangiovanni, voto 2

Aveva fatto bene finora, ieri sera la reference doveva essere il figlio sconosciuto di Gusteau in Ratatouille. Fashion police direzione scuola di cucina.


Achille Lauro e Loredana Bertè, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

Achille Lauro, voto 6Loredana Bertè, voto 8

Abiti similari ogni sera ma con un’attitude differente. Achille dovrebbe parlare di più e fare il finto avanguardista un po’ meno. Le sue parole nella lettera a Loredana erano più trasgressive della performance. Ammirevole la scelta di Loredana per il mini abito custom del giovane couturier Gianluca Saitto, che la segue da tempo. No big brand, ma spazio ai designer indipendenti.
La Fashion police era in ammirazione.

Fuori dai giochi

Fantasanremo, voto 8

La sua imposizione su outfit e scelte per ogni sera ha rivoluzionato anche il mondo dello styling. A lui si sono piegati cantanti, conduttori e celebrity stylists.
Anche la Fashion Police si inchina davanti al potere dei social.

Fashion Police in… Sanremo Day 1

La sfavillante settimana di Sanremo comincia con fulmini e saette. Chi vincerà questo Festival come non mai intriso di moda?


Ana Mena, photo by Marco Piraccini/Getty Images

Ana Mena, voto 1

Un po’ mosaico del bagno, un po’ Ariana Grande, un po’ Bratz, l’unica certezza è che non è piaciuta a nessuno, dalla canzone al look. La fashion police è partita in quarta.


Dargen D’amico, photo by Marco Piraccini/Getty Images

Dargen D’amico, voto 2

Tra i look peggiori della serata c’è anche lui. La trasgressione e il diversivo ci stanno, ma cosi sembra un po’ un prediciottesimo. Fashion police a sirene spiegate.


Giusy Ferreri, photo by Getty Images

Giusy Ferreri, voto 5

Poteva essere un successo e invece era tutto troppo, dallo smalto allo spacco, agli oblò e la scollatura. Quando poi è partita col megafono in un attimo è diventata discoteca di Riccione.


Rkomi, photo Getty Images

Rkomi, voto 5

Per un momento ho pensato fosse la superba Gianna Nannini. Niente di male, ma i richiami a lei, Edward mani di forbice e altri si sprecano. Fashion police pronta per partire.


Orietta Berti

Orietta Berti, voto 2

Sicuramente il tentativo di svecchiare la sua immagine sta funzionando, tutti parlano di lei dallo scorso Sanremo. È un’icona ma questo look è stato un pugno nella pancia, quindi fashion police arrestala. Il paragone con il Pokemon Corsola, e quello sulla variante del Coronavirus i migliori sulla piazza di Twitter.


Amadeus, photo by Jacopo Raule/Daniele Venturelli/Getty Images

Amadeus, voto 6 e menzione d’onore per la costanza

Lui deciso e spavaldo si fossilizza su Gai Mattiolo per i look e non cambia, e come previsto è un tripudio di paillettes. Costanza e determinazione nella scelta ne fanno però un’icona vivente del Festival. D’altronde senza Mattiolo non sarebbe stato lo stesso.

Fashion Police in… Sanremo

La polizia della moda al servizio dello stile. Questa settima siamo al Festival di Sanremo.


La Rappresentante di Lista, photo by Daniele Venturelli/Getty Images

La Rappresentante di Lista, voto 6

Dopo il Valentino dello scorso anno mi sarei aspettata qualcosa in più che la versione Barbie e Ken sposi di Moschino. Per stasera non li arrestiamo.


Ana Mena, ph. Ansa

Ana Mena, voto 3

L’effetto è un po’ anni Novanta/Duemila in discoteca, quando a 15 anni con uno shorts sembri stupenda. Però lei è a Sanremo, quindi magari no. A sirene spiegate per prenderla.


Iva Zanicchi, ph. Ansa

Iva Zanicchi, voto 6

Sa di naftalina anche dalle foto, ma d’altronde è un’istituzione che ciclicamente arriva al festival. Mi riservo attesa. Lo stivaletto fingo di non averlo visto.


Dargen D’amico, ph. by Daniele Venturelli/Getty Images

Dargen D’Amico, voto 2

Il green carpet lo ha preso alla lettera considerate le calze, se voleva essere moderno e trasgressivo doveva chiedere consiglio a Mahmood su come farlo bene e con classe.


Ditonellapiaga e Donatella Rettore

Ditonellapiaga e Donatella Rettore, voto 5

La Rettore in versione dark metal e Dito in versione parigina fanno a pugni. Diamogli una quasi sufficienza rimandando alla serata. Per ora accendiamo le sirene, pronti per andarle a prendere.

Sanremo, la “sfilata” del green carpet dà il via alla 72esima edizione

Per il proverbiale marziano appena sbarcato in terra italica: questa è la settimana di Sanremo. Il 72esimo festival della canzone italiana prende il via stasera, al teatro Ariston (e dove sennò?), pronto ad accogliere i 25 artisti in gara, sotto l’egida, per la terza volta, di Amadeus, affiancato sul palco da cinque co-conduttrici (una per ogni serata), Checco Zalone e il “solito” Fiorello.

Nazionalpopolare per definizione, ospitato fin dal 1951 dalla cittadina ligure, tiene puntualmente incollati allo schermo milioni di telespettatori (grandi e piccini, come si suol dire), compresi i fashionisti più insospettabili. Da concorso un po’ stantio e ingessato qual era, tendenzialmente snobbato da maison e designer che, tutt’al più, vestivano alcuni big senza dare troppo risalto alla cosa, il Festival da qualche anno è riuscito infatti ad aumentare in modo consistente il proprio appeal sulle alte sfere della moda, ben felici, adesso, di contendersi gli abiti dei cantanti e blandirli con modelli custom made, magari portando sotto i riflettori gli ensemble più audaci delle passerelle.

Il merito di questa “svolta” glam è soprattutto degli stylist che curano fin nei minimi dettagli le mise di concorrenti e ospiti della manifestazione canora, vati dei look da palcoscenico ritenuti, a ragione, ingredienti essenziali per la riuscita di un’esibizione.
Nomi come Ramona Tabita, ideatrice nell’edizione precedente degli outfit mozzafiato di Elodie e Gaia; Nick Cerioni, artefice nel 2021 delle tenute da rocker provetti dei Måneskin e dei “quadri” di Achille Lauro, che torna nella Riviera dei Fiori per supervisionare (ancora) le scelte vestimentarie di Lauro De Marinis, Donatella Rettore, Rkomi, Tananai e Gianni Morandi; Simone Rutigliano, che seguirà Irama; Susanna Ausoni, tra le figure di riferimento del settore (autrice, insieme ad Antonio Mancinelli, del saggio L’arte dello styling), pronta a vestire Margherita Carducci alias Ditonellapiaga, Mahmood, Noemi, Elisa, Francesca Michielin, Giusy Ferreri e Matteo Romano.


Achille Lauro

Mahmood e Blanco

Insomma, da bastione della tradizione musicale nostrana, impolverato e alquanto démodé, a show ad alto tasso fashion, il passo per Sanremo è stato sorprendentemente breve. Se ne è avuta prova ieri, col green carpet inaugurale, solcato dai 25 concorrenti al gran completo. Se il bagno di folla precedente la kermesse non è di per sé una novità, di certo l’espressione sembra ammiccare al “tappeto verde” che, dal 2017, fa da contorno all’assegnazione dei premi per la moda sostenibile.
Scelte nominali a parte, gli outfit visti sono degni di nota: Mahmood e Blanco, coppia d’assi in gara con Brividi, sfoderano abbinamenti griffatissimi, spericolati, il primo (beniamino degli stilisti e, occasionalmente, modello per Burberry) opta per felpa “simpsonizzata”, giacca over e gonnellone borchiato, tutto Balenciaga, il secondo è in total look The Attico, una novità assoluta per il brand di Giorgia Tordini e Gilda Ambrosio.


Sangiovanni

Sangiovanni, abituato a osare con soluzioni genderfluid, brilla – letteralmente – grazie a giaccone e pantaloni dall’aspetto patinato Diesel. Achille Lauro è in versione damerino anni ‘70: aria tra l’indifferente e il sornione, foularino al collo, il suo tuxedo di velluto Gucci blu notte ha scampanature colossali; allure Seventies anche per Noemi, in pantaloni a zampa firmati Alberta Ferretti, come pure top scuro, cintura e blazer color miele.


Noemi

Frange, bolo tie, pelle e altri tocchi da cowboy posh per Rkomi, in Etro, Irama opta per il total black by Givenchy, variando però la grana dei tessuti, opachi e lucidi (come lo smanicato utility e le stringate), Emma Marrone va sul sicuro con lungo cappotto dalla tonalità cipriata, coordinato ai pants.
Almeno a giudicare da questa prima carrellata, il – non più – insolito connubio tra moda e Sanremo è destinato a rafforzarsi.


Rkomi

Irama

Emma Marrone

In apertura e in tutto l’articolo, ph. by Daniele Venturelli/Getty Images

Models to follow: Mike Cugnata

Nonostante debba ancora compiere 21 anni, Mike Cugnata è dotato di un “cool factor” da modello navigato che, unitamente al portamento e a un aspetto di quelli difficili da dimenticare (occhi verdi, fluenti capelli scuri, zigomi alti), possono fare la differenza nella carriera di qualsiasi indossatore. La sua, peraltro, è partita col piede giusto, arricchendosi da subito di esperienze presso nomi “pesanti” quali Etro (era nel video pubblicitario Caravan of Love, dello scorso anno) Philipp Plein e Palm Angels, brand, quest’ultimo, che sembra affine allo stile personale di un ragazzo italoamericano che ha trascorso l’adolescenza a Los Angeles, un incrocio tra rilassatezza nel vestire tipica della californian way of life e reminiscenze di una tra le decadi più caratterizzanti per la moda maschile, i ‘70s, senza disdegnare un pizzico di streetwear, come si può notare scrollando il suo profilo Instagram.


Gilet and belt worn as a necklace @PWC Milano, pants Dockers, foulard E.Marinella

Da quanto fai il modello, come hai iniziato? Gli elementi che ti piacciono di più e quelli che ritieni meno positivi, i “difetti”, se così possiamo chiamarli.

Ho iniziato circa un anno fa, dopo il mio rientro da Los Angeles. Sin da bambino sono sempre stato a contatto con questo mondo: mia madre, americana, è stata una modella internazionale e mio padre è un agente, mi ha lanciato in questo settore con l’agenzia Fabbrica Milano, tra le più importanti per lo scouting di talenti italiani.

A giudicare dal tuo account IG, il filo conduttore dei tuoi look sembra sia la variatio, passi da capi street con loghi in evidenza a outfit di gusto dandy con foulard, stampe paisley e pantaloni chiari…

Devo riconoscere che, avendo trascorso buona parte della mia adolescenza in California, subisco in modo particolare le influenze di quell’area del pianeta. Non dimentico però le mie origini italiane: ho un cognome di origine siciliana e tutto un bagaglio di stile ed eleganza, quindi modulo il mio stile a seconda delle occasioni.



Tra i lavori fatti finora (tra gli altri il lookbook della collezione Umit Benan Fall/Winter 2021, campagne adv per Etro, Philipp Plein e District People, foto per e-store come LuisaViaRoma) quali ti sono rimasti più impressi, per un motivo o per l’altro?

Si dice che la prima volta non si scordi mai, anche per me è stato così. Il primo lavoro ha portato con sé quella carica emozionale che rimane impressa per sempre.
Nella campagna di Etro, invece, interpretavamo coppie di fidanzati che andavano in gita in un van e, in quella occasione, ho conosciuto Adele Aldighieri, ragazza che ha iniziato la sua carriera con me, proprio nella mia stessa agenzia.


Salopette Levi’s Red Tab, boxer BATTISTA

Che cos’è secondo te lo stile? E, nello specifico, come descriveresti il tuo?

Secondo me lo stile è semplicemente la modalità attraverso cui viene esternata la personalità di ciascuno; il mio, quindi, riflette banalmente la mia, poi ognuno ha i suoi alti e bassi…


Blazer Uniqlo, jumper MTL STUDIO, jeans Dockers, shoes Levi’s Footwear

Il capo/accessorio (o anche più di uno) che non può mancare nelle tue mise e, al contrario, quello (o quelli) che non indossi mai, con cui non sapresti proprio vederti.

Alcuni mi dicono che la collana d’oro da “O.G.” (“Original Gangster”, ndr) sia un po’ eccessiva, soprattutto per i gusti italiani, ma la indosso molto spesso. Nel tempo libero mi piace indossare capi confortevoli, perciò raramente mi vedrete in abiti formali.

Pensando a due occasioni diverse, ad esempio un’uscita easy e un evento formale, come sarebbe il tuo look?

Per l’uscita easy: sneakers ricercate, black jeans, felpa nera e probabilmente anche un berretto oversize.
Per gli eventi formali non si transige: l’eleganza formale è quella di un abito sartoriale italiano, magari con vestibilità asciutta, camicia e scarpa classica stringata.



Brand con cui sarebbe un sogno poter lavorare?

Sono appena all’inizio della mia carriera, per me è ancora un sogno lavorare con tutti i brand!

A proposito di marchi, quali preferisci a livello personale e perché?

Non ho un marchio preferito, mi piace guardare in giro e prendere ispirazione. Poi metto insieme i vari capi al meglio e faccio un po’ lo stylist di me stesso.


Denim jacket heart of zeus, jumper LABO.ART, pants Dockers, beanie Levi’s Accessories

Tra i tuoi colleghi in attività, chi sono secondo te i più interessanti, diciamo pure ispiranti?

Sono cresciuto quando modelli come David Gandy, Noah Mills e Jon Kortajarena erano delle vere e proprie icone, i miei riferimenti sono tuttora quelli.



Per il futuro sei concentrato, al momento, solo sulla professione di modello oppure ti vedi altrove?

Al momento sono super concentrato sul provare fino in fondo a diventare un modello professionista. La pandemia, sfortunatamente, ha reso più complicato viaggiare e spostarsi in altre capitali della moda importanti per lo sviluppo della carriera, a breve però riuscirò a spostarmi a Londra e in Germania, per acquisire esperienza anche in quei “mercati”.


Polo shirt and necklace @PWC Milano, salopette Levi’s Red Tab, boots Dr. Martens




Credits:

Photographer Riccardo Albanese
Stylist Adele Baracco
Make-up artist e hair stylist Annamaria Fanigliulo
Model Mike @Fabbrica Milano

In apertura, blazer Uniqlo, jumper MTL STUDIO

Il debutto della collezione Act N.1 Uomo

Con la FW 22/23, Luca Lin e Galib Gassanoff presentano ACT N.1 UOMO: la prima capsule interamente maschile di camicie in seta stampata, che sta già avendo dei feedback molto positivi da parte dei buyer.



La collezione di debutto si ispira ai dipinti cinesi ad acquerello di paesaggi e nelle nuove stampe, diventate ormai una signature, appaiono divinità e creature mitologiche accanto a grafiche di manifesti d’epoca, stampate su un unico modello di camicia dal taglio dritto, realizzata in twill di seta da una storica stamperia di Como.

La capsule è nata in modo molto naturale, mettendo già nelle sfilate i look unisex/uomo – commentano i designer. I clienti finali hanno iniziato ad approcciarci chiedendoci dove potevano comprare l’uomo di Act N°1. Un anno e mezzo fa, abbiamo lanciato l’e-commerce, dove abbiamo creato anche la sezione Uomo che sta avendo un importante successo. Dopo tutte questi analisi, abbiamo preso la decisione di lanciare Act N°1 Uomo, come la linea ufficiale uomo del brand. Il 95% della collezione Uomo è unisex ed al momento si concentra maggiormente sulle camicie con le stampate iconiche di Act N°1. L’Uomo di Act N°1 è una celebrazione per esprimere l’individualità di ogni persona, i look sono stati ispirati a varie personalità, ed i capi all’heritage/cultura del popolo cinese.”



‘Creative by Nature’, il binomio moda e natura a Pitti Uomo 101 nella mostra targata Manintown

Di Pitti Immagine Uomo numero 101, indicata quasi unanimemente, prima e dopo lo svolgimento, come l’edizione del ritorno alla sospirata normalità (beh, quasi), va sottolineata soprattutto la tenacia con cui gli espositori, unendo le forze in un momento tutt’altro che favorevole, segnato dagli scombussolamenti epocali degli ultimi due anni, sono tornati a presentare le novità stagionali nell’ambito del salone, impareggiabile quanto a reputazione e appeal su stampa e compratori del menswear.
Un segnale di speranza, si era detto giustamente alla vigilia, e in effetti i numeri finali sono confortanti, con 540 brand, quasi 5.000 buyer, 1.085 operatori dei media registrati, 8.000 presenze complessive. Certificano la vitalità del sistema moda italiano, centinaia di aziende di abbigliamento che costituiscono la spina dorsale del made in Italy.



Undici di esse hanno potuto beneficiare, nei giorni della fiera, di una cornice d’eccezione, la serra fredda del Giardino dei Semplici, un orto botanico modello, tra i più antichi del mondo, la cui storia data al XVI secolo, quando i Medici vollero instaurare nel centro di Firenze (non distante dalla sede principale di Pitti, la Fortezza da Basso) un vivaio di piante medicinali (i semplici, per l’appunto), teatro dal 10 al 12 gennaio della mostra Creative by Nature; abiti e accessori di griffe affermate ed etichette indipendenti, per le quali fatto a mano e identità creativa orgogliosamente italiana sono la propria ragion d’essere, sono stati calati in un’atmosfera a dir poco suggestiva, da giardino incantato, che ha amplificato il messaggio eco-conscious di produttori intenzionati ad unire la tradizione manifatturiera del Paese alle nuove tecnologie, sommandovi un quid fashion.


borsa De Marquet

Nelle parole di Federico Poletti, direttore di Manintown e curatore dell’exhibition, si è voluta «dare visibilità sia ad aziende più strutturate, sia a marchi di ricerca, tutti accomunati da un Dna artigianale in cui la tradizione è rivisitata in chiave contemporanea, con un occhio attento alla sostenibilità».



On show la camiceria d’auteur di Xacus, sintesi di expertise sartoriale e design caratterizzante, che ha varcato da tempo i confini nazionali, approdando nei mercati di riferimento, dagli Stati Uniti all’Europa del Nord; le rielaborazioni di capi vintage, stravolti nelle forme e nei fit, della designer di origini kazake Yekaterina Ivankova; il casualwear di Je Suis Vintage (risultato, come da nome, del riutilizzo estroso di indumenti dismessi e scampoli tessili), la pellicceria 2.0 di Sabelle Atelier, che dà nuova vita a vetusti fur coat, anche seguendo indicazioni e richieste dei singoli clienti.



Sul fronte accessori, gli zaini da viaggio Artichoke, tarati sulle necessità degli odierni globetrotter (il fondatore Lorenzo Scotto, golfista, ha viaggiato ovunque), nati dal reimpiego di vele dismesse, perfette quanto a resistenza e leggerezza del filato, l’upcycling in salsa sporty di BGBL Bouncing Bags, che recupera divise e attrezzature delle società sportive per farne tracolle, zainetti e secchielli dal design distinto, di produzione tassativamente artigianale, le borse dalle cover intercambiabili De Marquet, il cui elevato livello di personalizzazione non prescinde dall’irreprensibilità della pelletteria toscana. Ancora, le furlane The Scius Concept, che rendono le babbucce di velluto dalla calzata easy-on una scarpa di lusso made in Tuscany, prestando attenzione alla sostenibilità dei materiali, la capsule collection Fuori Contesto di Mani del Sud, in cui cappelli e foulard diventano, insieme ai papillon gioiello (capisaldi della label), i complementi ideali per rifinire l’outfit.




Presenti inoltre Rodo, maison fiorentina famosa per le borse intrecciate in paglia e midollino, con una capsule collection genderless, e l’haute joaillerie di Filippo Fürst, sublimazione dell’arte orafa attraverso creazioni dal valore inestimabile.



Collezioni dalla marcata sensibilità green, che i visitatori hanno potuto scoprire muovendosi tra palme, agrumi, succulente e cicadee, un’oasi rigogliosa per suggellare la correlazione tra moda e tutela del Pianeta, perché la tanto auspicata ripartenza, al Pitti come altrove, passerà inevitabilmente dalla consapevolezza ambientale. 


Camicia e papillon Mani del Sud

Credits:
Photographer & Creative Director Davide Musto
Stylist Alfredo Fabrizio
Make-up artist Romina Pashollari
Talent Riccardo Albanese

Nell’immagine in apertura, borsa De Marquet

Future visioni: Pitti Immagine volge lo sguardo alla nuova generazione di creativi mettendo in relazione formazione e creatività

A pochi giorni dalla sua conclusione, Pitti Immagine si riconferma una vetrina di visibilità per gli studenti e un canale diretto per entrare in contatto con le realtà del sistema moda. 

La passione di chi aspira a fare della creatività il proprio mestiere ha avuto modo di emergere grazie alle innovative installazioni e alle iniziative in formula ibrida che hanno costellato la manifestazione.

La ripresa della moda passa da Pitti ed è così che il Polimoda apre le danze con un incontro, tenutosi presso la sede di Manifattura Tabacchi, dove PwC Italia e Fondazione Edison hanno analizzato le prospettive della ripresa economica italiana post-pandemia, focalizzandosi sul settore abbigliamento – moda e sulla forza della manifattura e dell’export dell’Italia.



Simultaneamente gli studenti dei corsi di Undergraduate in Fashion Art Direction, Undergraduate in Fashion Styling e Master in Fashion Trend Forecasting, sono stati i fautori presso la Fortezza da Basso, sede principale dell’evento, della visual experience realizzata per il designer, ex alunno, Domenico Orefice. Il neo laureato ha portato in scena gli elementi dell’abbigliamento tecnico ispirato agli sport in dialogo con l’eccellenza dell’alta sartoria campana, terra dove affonda le sue radici. 

I talenti di Polimoda

I Polimoda talents non smettono mai di stupire ed è sempre in calendario che abbiamo visto emergere l’estro di un’altra neo diplomata: Ilaria Bellomo. La Bellomo ha collaborato con l’artista siciliano Sasha Vinci installando i propri capi all’interno dell’opera INNER JARDIN NOIR, un giardino nero immerso in tempi e luoghi indefiniti dove gli abiti hanno preso vita e si sono raccontati. Sostenibili, perché alcuni di essi sono realizzati in tessuti naturali, e upcycled, grazie all’intersecarsi della materia con elementi di recupero vintage come abiti e ricami vittoriani. Un insieme di piccoli capolavori artigianali realizzati in Italia da sarti esperti con tecniche produttive che rispettano il tessuto e il nostro pianeta. 



Tutti i racconti esperienziali sono stati vissuti anche digitalmente grazie ai canali ufficiali social dell’Istituto (Instagram e TikTok) .

Istituto Modartech e il Collection Project

Sempre virtualmente ritroviamo la partecipazione di altri poli della formazione toscana. È  il caso dell’ Istituto Modartech, scuola di alta formazione di Pontedera che, grazie al progetto Collection Project, ha lanciato un e-shop sulla piattaforma dell’accademia per presentare la capsule collection ideata e prodotta  dai laureandi. 



Giovani che supportano i giovani, infatti il ricavato delle vendite alimenterà nuove borse di studio per accedere ai corsi di laurea triennale in Fashion Design e Communication Design.

Tutta digitale la preview del concept e di quella che sarà l’experience online, presentati in anteprima e realizzati a livello corale nel primo semestre del 2022, con focus sulla reinterpretazione del logo e dello spirito dell’Accademia. Pezzi unici, caratterizzati da alta artigianalità, qualità dei materiali, lavorazioni distintive e filiere a km zero tracciabili, che contraddistingueranno la produzione del distretto toscano del Made in Italy. 

Istituto Marangoni a Pitti Immagine

E per chiudere la presenza delle scuole al Pitti Immagine non poteva mancare l’Istituto Marangoni Firenze che ha dato vita, presso la Fortezza da Basso, ad un talk focalizzatosi sul tema della manifestazione: Reflections. Partendo dall’utilizzo dell’oggetto-specchio nel mondo della creatività, il dibattito ha indagato la relazione tra l’occhio e lo sguardo, tra il vedere e il comprendere, tra l’esteriorità e l’interiorità, ego e vanità, affrontando anche le tematiche del digital alter ego e del metaverso. 

Al tavolo tre protagonisti del panorama artistico internazionale che hanno scelto Istituto Marangoni Firenze per intraprendere un esclusivo percorso di Mentorship a fianco degli studenti per l’anno accademico 2021/2022: Paul Andrew, che ha fatto il suo ritorno a Firenze dopo essere stato alle redini di Salvatore Ferragamo come Creative Director; Sarah Coleman, artista newyorkese la cui chiave del lavoro è l’upcycling di accessori di lusso e Andy Picci, l’artista dietro la visual art più onirica di Instagram. 

In copertina l’installazione di Ilaria Bellomo, studentessa di Polimoda.

Un ricordo di Nino Cerruti, principe del tessuto

Che la morte di Nino Cerruti – il “signor Nino”, come lo chiamavano tutti – abbia almeno una funzione, oltre al dolore che ci fa sentire più orfani di uno tra i più grandi autori del Made in Italy: la convinzione e il dovere di dire al mondo che è grazie al tessile, a cui poi il designer dà forma e contorno, se siamo i primi nel mondo a creare moda che è anche abbigliamento, capacità inventiva che è anche modalità vestimentaria, stile che è anche funzione.
Se, come fa dire Shakespeare a Prospero ne La tempesta: «Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», la moda è fatta della stoffa prodotta da imprenditori illuminati, che spessissimo danno il la alla creatività dei designer che proprio da una certa consistenza, da una “mano” più o meno vellutata o più o meno scattante innescano il loro estro. Il tessile rappresenta un’importante voce dell’economia italiana: è importante sottolinearlo perché anche noi addetti ai lavori tendiamo a dimenticarlo, regalando tutto il merito a chi disegna i vestiti ma non a chi ne ha disegnato la sostanza nella quale sono ritagliati.


Nino Cerruti nel 1987, photo by Raphael Gaillarde/Gamma-Rapho via Getty Images

Il pullover giallo pallido buttato sulla spalla «perché è un amuleto», l’eleganza che sprigionava un’aura di internazionalità non legata a nessun territorio (e questo, alla faccia di chi ritiene “provinciale” chi non sia nato a New York, Parigi, Londra o Milano), il biellese Cerruti ha introdotto il “casual chic” nell’abbigliamento maschile di fascia alta inventando la prima giacca decostruita negli anni Settanta, con la complicità di un giovane stilista, Giorgio Armani, che aveva conosciuto una decina di anni prima.
Nasce per sua natura come maestro della raffinatezza rilassata, ma sente presto che il termine eleganza” ha «un terribile sapore di vecchio», cui preferisce sostituire il concetto di “stile”: «Avere stile è mescolare cultura e arte».
Un dato interessante: avrebbe voluto diventare un giornalista o un filosofo. Purtroppo, la morte del padre Silvio lo costringe ad abbandonare gli studi per rilevare l’azienda di famiglia, famosa soprattutto per la trama e gli orditi delle lane.


Cerruti con una modella a Capri, nel 1968
Cerruti (al centro, con il pullover giallo sulle spalle) al termine della sfilata F/W 1997-98 a Parigi, ph. Condé Nast Archive

«Da lui ho appreso non solo il gusto della morbidezza sartoriale, ma anche l’importanza di una visione a tutto tondo, come stilista e come imprenditore», ha scritto Armani sul suo profilo Instagram: «Aveva uno sguardo acuto, una curiosità vera, la capacità di osare». Quella con il designer piacentino è una relazione in cui l’uno sostiene l’altro nella creazione di una silhouette maschile e femminile completamente rinnovata grazie a tessuti morbidi, lievi, senza genere, diremmo oggi: Armani disegna la prima collezione di abbigliamento del signor Cerruti, il cui lanificio di famiglia data al 1881.
La linea si chiama Hitman, ed è tra le prime dedicate al prêt-à-porter maschile, tanto che il tessitore-imprenditore aveva già aperto nel ’65 una sua boutique parigina a pochi passi da Rue Cambon, “il” regno di Mademoiselle Coco Chanel, di cui diventa amico, la quale indossa solo pantaloni firmati Hitman. Pochi anni dopo vi affiancherà la linea più sportiva Flying Cross.


Nino Cerruti con Sharon Stone al Festival di Cannes del 1992

Aperto alla contemporaneità, la fa disegnare da Vico Magistretti: il successo è tale che Oltralpe viene denominato come “il più francese dei couturier italiani” e a chi lo conosce negli anni successivi, Cerruti preferisce parlare direttamente in francese. O in inglese: è tra i primi, insieme con Armani, a vestire il Gotha dell’Hollywood che conta, non solo sui red carpet, ma anche come costumi di film come Pretty woman, Il silenzio degli innocenti, Basic Instinct, Philadelphia, Wall Street, Attrazione fatale, Proposta indecente.
Manager, imprenditore, creatore, conosce successi crescenti: l’invenzione del colore ottanio, i profumi, gli occhiali, la linea femminile («amo le donne in pantaloni»), i primi accordi di licenza in Giappone e negli Stati Uniti. Nominato Cavaliere del Lavoro nel 2000, è stato anche designer ufficiale della scuderia Ferrari di Formula 1 nel 1994. Il figlio Silvio inizia ad affiancarlo nel lavoro.


Richard Gere e Julia Roberts in Pretty woman: nel film l’attore americano indossa abiti disegnati da Cerruti

Michael Douglas in Wall Street: il guardaroba del suo Gordon Gekko è firmato Cerruti

Un’altra delle sue scoperte è Véronique Nichanian, ora da decenni direttrice creativa della collezione uomo di Hermès, che Cerruti nota diciannovenne ai corsi della Chambre Sindacale de la Couture. Il tutto sempre soffuso di una certa nonchalance striata di snobismo e di grazia, che gli permette di dare giudizi soavi e spesso tranchant.
Di vestiti, non vuole buttarne via uno, anche dopo anni. Sono il racconto dell’intera sua esistenza: «Dagli inizi degli anni Cinquanta ho tenuto tutto quello che compravo e tutti i prototipi che facevo realizzare. Col mio mestiere, poi, era facile abituarsi ad amare una cosa diversa ogni mese. È come vedere una foto dello stile attraverso gli anni. Oggi, riesco ancora a indossare qualcosa. E qualcosa viene ancora indossato dalle nuove generazioni venute dopo me», disse quando nel 2015 la Fondazione Pitti Discovery dedicò una mostra all’archivio di una vita, la sua, che s’intitolava “Il signor Nino”, curata da Angelo Flaccavento.


Una sala della mostra “Il signor Nino”, allestita al Museo Marino Marini di Firenze nel 2015

Purtroppo, aver venduto la sua maison a un gruppo di imprenditori italiani non si è rivelata la sua decisione più saggia, visto che doveva essere il primo mattone di un polo del lusso italiano che mai vide la luce. Il Lanificio Cerruti ora fa parte del fondo anglo-londinese Njord Partner; il signor Nino ne conservava una quota del 20 per cento e la carica di vicepresidente.

Principe del tessuto, il signor Nino, lungo il telaio della sua vita, ha tramato e ordito perché ciò che sapeva fare diventasse indispensabile alle persone eleganti di oggi: costruire tra di loro un “tessuto connettivo”, una Rete prima della Rete, diventando egli stesso un social vivente molto prima dei social, che riunisse tutti e tutte gli amanti del bello, dell’armonia, dell’arte e della gentilezza dei modi.


Un ritratto del 1993 dello stilista e imprenditore biellese

In apertura, Nino Cerruti nel 1987, photo by Raphael Gaillarde/Gamma-Rapho via Getty Images

Talentuosi e inclusivi, i 4 designer italiani emergenti da conoscere

Sostenere che il futuro della moda italiana sia nelle mani di giovani di talento, alla guida di marchi dalle riconosciute potenzialità con cui, magari, hanno collezionato premi, articoli e apprezzamenti dei buyer, è persino banale. Ciononostante, le nuove leve del fashion system nostrano non hanno esattamente la strada spianata, stretti come sono tra i venerati maestri, per dirla con Arbasino, del made in Italy e la concorrenza agguerritissima della new wave francese, britannica e americana (si pensi a créateur quali Simon Porte Jacquemus, Marine Serre, Grace Wales Bonner, LaQuan Smith).
Da qualche tempo a questa parte, per fortuna, le cose stanno cambiando, istituzioni e griffe d’alto lignaggio supportano fattivamente la meglio gioventù fashionista: in tal senso, oltre all’azione della Camera Nazionale della Moda, è lodevole l’iniziativa di Valentino che, a partire dalle sfilate donna di febbraio, metterà a disposizione di uno stilista emergente l’account Instagram della maison, così da far arrivare la collezione a un’audience di milioni di utenti.

Abbiamo selezionato quattro designer di cui, con ogni probabilità, sentiremo parlare nei mesi e anni a venire; li accomuna un fattore oggi sempre più importante, il rifiuto di categorizzazioni e distinzioni di genere, lo spirito inclusivo, vicino all’etimologia della parola abito che, ricorda la Treccani, «deriva dal latino habĭtus […] un ‘modo (di essere) che si ha’, una ‘disposizione’ ad agire, a comportarsi in un determinato modo», libero da dogmi e convenzioni retrive, aggiungiamo noi.

Alessandro Vigilante



Per Alessandro Vigilante moda e danza sono un binomio inscindibile, la cornice entro cui ricondurre la tensione tra opposti (stasi vs. movimento, tailoring dalla precisione millimetrica vs. fluidità, vestibilità second skin vs. volumi scostati) che è al cuore della sua idea di prêt-à-porter.
Classe 1982, pugliese, cresciuto col mito di Pina Bausch, vestale del Tanztheater, e delle rivoluzionarie coreografie di Merce Cunningham, dopo l’interruzione della carriera da ballerino professionista e il diploma allo Ied, accumula esperienze presso griffe di assoluto prestigio come Dolce&Gabbana, Gucci, Philosophy di Lorenzo Serafini, finché due anni fa capisce di essere pronto per unire i due poli che, da sempre, orientano la sua creatività in un proprio brand.
Già nella prima collezione, Atto I, le dicotomie di cui sopra si trasferiscono in outfit risoluti, grintosi, giustapponendo abiti scultorei che inguainano il fisico («altamente espressivo ed erotico», secondo lo stilista) e overcoat o blazer rubati al guardaroba di lui, spacchi e fessure per mettere in risalto punti nevralgici (soprattutto schiena e décolleté) e pants con la riga, tessuti “convenzionali” (lana, seta, viscosa…) e lattice vegano.
Sono all’insegna dei contrasti anche la riflessione sul “corpo parlante” di Atto I – Talking Body e i look di Atto II – Body Rebirth, presentati nell’ambito della fashion week meneghina dello scorso settembre con una performance ad hoc, ritmata da movimenti sincopati e luci intermittenti, nei quali i codici dello stile maschile e femminile si incontrano, tra intagli maliziosi, silhouette affilate, audaci scollature e giacche relaxed aperte sul retro; modelli rivolti, dichiara Vigilante, intervistato da Tgcom24, «a persone coraggiose, con un punto di vista preciso, indipendentemente dal sesso», visti infatti su personalità ben consapevoli della propria fisicità come Dua Lipa, Bianca Balti, Damiano David.



Andreādamo



Crotonese, 38enne, dopo la trafila negli uffici stile di varie griffe (Elisabetta Franchi, Roberto Cavalli, Zuhair Murad, Dolce&Gabbana) Andrea Adamo decide di debuttare con la sua linea nel luglio 2020, glorificando una sensualità orgogliosa e assertiva, che elegge a materiale principe la maglia a costine, impiegata in bralette, tank top così sparuti da cingere a malapena il torace, gonne a matita, knit dress e altri pezzi bodycon, che scoprono artatamente l’epidermide mediante fenditure, oblò e cut-out, e paiono incastrarsi gli uni negli altri.
L’obiettivo è chiaro fin dalla collezione d’esordio Spring/Summer 2021, dal titolo programmatico Nudo, a rimarcare il carattere intrinsecamente sensuale di capi che mirano – parola del designer – a una «fusione tra pelle e abito», aderendo sinuosamente al corpo, seguendone le curve, modellandosi su di esse grazie alla confezione seamless, priva cioè di cuciture.
Il termine non deve far pensare a una specifica nuance chiara, perché l’abbigliamento Andreādamo, pensato per combinarsi con incarnati di ogni colore, prevede diverse varianti cromatiche del cosiddetto nude (indicate, a scanso di bias, da semplici cifre, ad esempio 01, 02, 03…), semmai alla «nudità intesa come verità, in un’esaltazione delle forme che supera gli stereotipi», come dichiarato recentemente a MFFashion.
Vale anche per la S/S 2022, che guarda al mito di Andromeda raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, incatenata a uno scoglio e salvata da Perseo, come sintesi ideale di femminilità e fragilità, da rendere attraverso superfici a rete, trasparenze e aperture su body, tute, shorts e abitini, rifiniti con pannelli asimmetrici e lacci attorcigliati su busto e fianchi.
Le celebrities (come Kylie Jenner, Vanessa Kirby, Elodie, Vittoria Ceretti) gradiscono, idem retailer di peso a livello internazionale, per alcuni dei quali (Selfridges, Net-a-Porter, Antonia, LuisaViaRoma) sono state concepite speciali capsule collection, cariche di sex appeal, bien sur.



CHB



Nel marchio CHB, lanciato sul finire del 2020, il direttore artistico Christian Boaro condensa elementi teoricamente inconciliabili, vale a dire la meticolosità di lavorazioni prossime alla couture (retaggio degli anni trascorsi al fianco di mostri sacri del fashion come Donatella Versace, Gianfranco Ferré, Domenico Dolce e Stefano Gabbana) e un’energia di chiara matrice street, la squisitezza di duchesse, satin di seta, merletti, trine e altri filati che potrebbero affollare i tavoli di un atelier e l’immediatezza di felpe logate, cappelli da baseball et similia, la severità del nero e la purezza del bianco, la concisione delle forme, asciutte e lineari, e il preziosismo dei dettagli gioiello. Un equilibrio volutamente labile, considerato da Boaro l’unica via per abbracciare l’unicità e individualità di ciascuno, fine ultimo di un creativo del resto sensibile a determinati temi, affrontati indirettamente già nella mostra The Naked Truth, allestita tre anni fa al PlasMA, centinaia di polaroid per «indagare la persona da un altro punto di vista», raccontava allora ad Artribune, ché «tutte le mie ossessioni sono identificabili con la bellezza, in ogni sua forma».

Una bellezza evidentemente senza pretese universalistiche, opinabile, imperfetta, sfumature che si ritrovano nelle mise della S/S 2022, scattate in riva al mare, al tramonto: colpiscono le maglie sezionate da bande verticali in materiali differenti, i fiori rossi che sbocciano su shirt, canotte e tubini dalla mano serica, la sfilza di camicette, maglie smanicate, slip dress e top XXS di pizzo operato, i capispalla extra long, i lampi acidi che intervallano la bicromia black&white; quasi tutti i modelli sono indossabili dalle donne come dagli uomini, senza distinzioni perché, chiariva lui a i-D Italy qualche mese fa, «il messaggio è, semplicemente, di totale libertà».
Non è un caso che pezzi griffati CHB siano stati indossati, tra gli altri, dai Måneskin, fautori di un approccio libertario al dress code, che abbatte tabù e cliché a colpi di look ultraglam.


Ph. by Raffaele Cerulo


Federico Cina



Un ready-to-wear che ripensi gli archetipi della sartoria maschile (completi, camicie, pullover…) tramato di accenti sognanti e sentimentali, ancorato – non solo metaforicamente – alla Romagna: è questa l’essenza della moda di Federico Cina.
27enne, il percorso accademico lo porta al Polimoda, poi in Giappone, quindi una parentesi milanese e la decisione di tornare alla base, nel Cesenate. Nel 2019 l’etichetta eponima approda ad AltaRoma, vincendo il concorso Who is on Next?; da quel momento è un crescendo, l’anno seguente presenta la proposta S/S alla Digital Fashion Week di Milano (in questi giorni debutterà nel calendario ufficiale) ed è tra i semifinalisti del LVMH Prize 2021. A guidarlo, nella realizzazione di collezioni pervase da delicatezza, intimità e dolce malinconia, le memorie d’infanzia di pranzi domenicali imbanditi su tovaglie ricamate, tralci di vite nelle campagne, giornate sul litorale, e il lirismo visivo dei fotografi che hanno saputo ritrarre in maniera inedita la regione, su tutti Luigi Ghirri e Guido Guidi.

Il legame col territorio si traduce inoltre, concretamente, nella scelta di appoggiarsi a produttori e maestranze locali, recuperandone – per valorizzarle – tecniche artigianali come la stampa a ruggine, con cui matrici in legno intagliato imprimono sui tessuti motivi agresti della tradizione romagnola (grappoli d’uva, animali, anfore…).
Nell’ultima stagione S/S 2022, Infanzia A-mare, i ricordi delle estati nelle colonie della Riviera si confondono con le impressioni suscitate dal libro fotografico Addio colonia, di Luigi Tazzari, prendendo la forma di outfit che profumano di salsedine, ampi e dalle texture materiche, tra capi tricottati, bluse ariose, rigature marinare, comodi pantaloni scivolati, addosso a ragazzi e ragazze, indistintamente, com’è normale che sia per un designer che ha rivelato a MFFashion di aver «sempre disegnato in un’ottica genderless».



Per l’immagine in apertura, credits: Federico Cina F/W 2021, ph. by Gabriele Rosati

Dior apre la sua prima boutique maschile a Firenze

Abbiamo visitato a Firenze la nuova boutique di Dior aperta lo scorso 28 Ottobre nel centro storico del capoluogo fiorentino.

Lo spazio è dedicato al menswear, con la linea disegnata dal direttore creativo Kim Jones. Il nuovo store, in una delle capitali della cultura si trova in pieno centro, in via de Tornabuoni, vicinissimo al museo di Palazzo Strozzi. L’ambiente ampio e contemporaneo si estende su due livelli, dove il brand ci presenta tanti tipi diversi di outfit. Dai capi pret-à-porter senza tempo, il tailoring e anche le più recenti creazioni del direttore artistico.

Come ultime novità, la collezione Dior spring 2022 e la capsule Dior and Sacai, che si incontrano con elegante modernità.

CREATIVE BY NATURE: un percorso di marchi dal DNA artigianale contemporaneo e sostenibile

In occasione di Pitti Uomo, dal 10 al 12 gennaio apre la mostra  “CREATIVE BY NATURE” – a cura di Federico Poletti –  un percorso di marchi dal DNA artigianale contemporaneo e sostenibile. Un omaggio a brand sia consolidati, sia indipendenti che hanno messo il saper fare e il Made in Italy al centro del loro filosofia e del loro prodotto.  Una special exhibition che si svolge all’interno di una location unica nel suo generela Serra fredda dell’Orto Botanico Giardino dei Semplici”, creato dai Medici come giardino di piante medicinali (i Semplici) nel 1545, è fra gli Orti più antichi al mondo. Un vera gemma nel cuore di Firenze a due passi da Piazza San Marco. 

Immersi nella bellezza della Naturanel cuore di Firenze,  “CREATIVE BY NATURE” presenta una nuova generazione di fashion makers capaci di coniugare le tradizioni della manifattura italiana con nuove tecnologie e un twist fashion che non rinuncia alla sostenibilità. Molte di queste realtà sono fondate sul concetto del riutilizzo creativo o upcycling, partendo dai materiali più svariati come le pellicce abbandonate, denim e abiti usati fino ai tessuti delle vele o dei materiali sportivi come i palloni, sono sviluppati e rinascono nuovi prodotti. L’ opening cocktail, previsto per lunedì 10 gennaio, dalle 19.00 alle 22.00, solo su invito, prevede una degustazione di DIEVOLE_ALTEA, un brut la cui spumantizzazione avviene con metodo charmat lungo, e si distingue per un perlage fine e persistente, con una bella vivacità e sapidità al palato.

Commenta Federico Poletti, curatore della mostra, editor in chief di MANINTOWN: “Con il percorso Creative by Nature vogliamo dare visibilità sia ad aziende più strutturate, sia a marchi di ricerca, tutti accomunati da un DNA artigianale in cui la tradizione è rivisitata in chiave contemporanea con un occhio attento alla sostenibilità. Un progetto che si sposa perfettamente con lo spirito e il rispetto verso la Natura che i visitatori potranno scoprire visitando l’Orto Botanico e le sue meraviglie. Un segnale di incoraggiamento in un momento complesso a livello mondiale. Un monito a non perdere di vista i valori fondanti del nostro Made in Italy, supportando la nuova generazioni di talenti che stanno investendo con energia e nuove idee nelle loro start up e imprese responsabili”.

On show, dal 10 al 12 gennaioArtichoke Bags, BGBL Bouncing Bags, De Marquet, Je Suis Vintage, Mani del Sud, Sabelle Atelier, The Scius Concept,  Yekaterina Ivankova e Xacus.

Artichoke Bags nasce nel 2017 da un’idea di Lorenzo Scotto come brand di zaini da viaggio prodotti in materiale riciclato. Il marchio nasce dalla necessità di trovare soluzioni intelligenti e comode per i viaggiatori.

BGBL è il brand di borse Made in Italy nato a fine 2018 che rimbalza tra sport e stile, tra passato e contemporaneità. L’esperienza sportiva si traduce nell’u- so di materiali e texture identificative, che racconta- no il mondo dell’upcycling in un contesto attuale. 

De Marquet è un progetto nasce dal desiderio di mixare in modo forte design, fashion e funzionalità. La borsa è diventata un best-seller in Svizzera grazie al design funzionale e un’estetica curata.

Yekaterina Ivankova, fondato nel 2017 dalla stessa Yekaterina Ivankova, designer nata in Kazakhstan che si è trasferita in Italia nel 2000. Nutre da quando era bambina una grande passione per la moda e l’arte contemporanea.

The Scius Concept è un progetto nato nel 2020 da un’idea di Nicolò Biagini di Casaletto, founder e creative director del brand, che dopo alcune importanti esperienze come buyer per store come 10 Corso Como, Sugar e Franz Kraler, ha deciso di realizzare un progetto che potesse far conoscere rinnovandola l’artigianalità Toscana. Produce Furlane completamente made in Italy, in particolare “made in Tuscany”, completamente fatte a mano e con materiali ecosostenibili che tengono conto dell’ambiente e del futuro del pianeta.

Je Suis Vintage  è un progetto ideato dai due giovani imprenditori partenopei Antonio Pignatiello e Giuseppe D’Urso che punta su un concetto di moda ecosostenibile ed etica. 

Mani del Sud, progetto di accessori fondato da Raffaele Stella Brienza unisce la più alta concezione di artigianato ad un design moderno, una ricerca visionaria ai melanconici ricordi della Basilicata.

Sabelle Atelier nasce dalla passione e amicizia di Sabina Giangreco e Letizia Tomacelli, due imprenditrici che hanno scelto di legarsi professionalmente per dar vita al brand, sotto il segno dell’etica, della creatività e del riuso.

Xacus è da sempre sinonimo di camicie per uomo e per donna, un’azienda che è riuscita a coniugare tecnologia e stile, funzionalità ed estetica, automazione e sartorialità, performance e sostenibilità.

ORARI DI VISITA CREATIVE BY NATURE 

Orto Botanico – Giardino dei Semplici Via Giorgio La Pira 10 – Firenze – ingresso libero Obbligatorio Super green pass + Mascherina FFP2.

10 gennaio 2022, dalle 16.00 alle 22.00 

Opening Cocktail, lunedì 10 gennaio, dalle 19.00 alle 22.00

11 e 12 gennaio 2022, dalle 10.00 alle 17.00 

Le mostre di moda da vedere nel 2022

Suggerire un legame tra moda e arte è ormai pleonastico, perché le due sfere creative guardano con interesse l’una all’altra da sempre (già un certo Yves Saint Laurent, tra i primi stilisti a guadagnarsi una retrospettiva del proprio operato, inquadrò come meglio non si poteva la questione, sentenziando: «La moda forse non è arte, ma sicuramente ha bisogno di un artista per esistere») e la couture ha varcato da tempo le soglie delle più riverite istituzioni museali del pianeta, vedendosi riconoscere la dignità culturale che le spetta in quanto forma di creatività che, oltre ad assolvere al compito basilare di vestire le persone, si fa portatrice di innumerevoli altri significati, configurandosi come un mezzo espressivo, sic et simpliciter.

Nonostante limitazioni, contingentamenti e incertezze causate dal perdurare della pandemia, anche nell’anno appena cominciato non mancheranno esposizioni di livello, tra antologiche dei giganti del fashion world, compendi di storia del costume e rassegne che si propongono di sistematizzare argomenti meno scontati di quanto sembri, come la dinamicità del menswear.

Settecento!


Ph. Andrea Butti

Il ritrovamento – con successiva donazione dell’associazione Amichae al museo – di tre indumenti del ‘700 (una robe à la française, un completo formato da gonna e corpetto di taffetà, un bustier in seta operata), sontuosamente decorati e conservatisi alla perfezione, diventa l’occasione per tracciare dei parallelismi tra l’abbigliamento dell’età dei Lumi e l’estro dei brand moderni.
A Palazzo Morando, nel Quadrilatero meneghino, i pezzi succitati vengono presentati al pubblico per la prima volta, affiancati da vesti, tessuti e accessori già parte della collezione permanente, e rappresentano il fulcro su cui le curatrici, Enrica Morini e Margherita Rosina, orchestrano il percorso espositivo, facendo dialogare abiti del XVIII secolo ed ensemble firmati tra gli altri Dolce&Gabbana, Max Mara, Gianfranco Ferré e Vivienne Westwood, individuando rispondenze sorprendenti tra i corsetti delle nobildonne di secoli addietro fa e i bustier Versace o D&G, ad alto tasso di sensualità, oppure tra l’ornamentalismo settecentesco e l’abbondanza, nei repertori delle maison selezionate, di intrecci floreali, embroderies, scenette campestri, stampe caleidoscopiche e altre leziosità.
Settecento! è visitabile fino al 29 maggio.


Le vie della piccola frazione di Torriggia

Un abito del ‘700, Gianni Versace S/S 1992 (ph. Andrea Butti), l’allestimento, Dolce&Gabbana F/W 2012 (ph. Giulia Bellezza)


Thierry Mugler, Couturissime


Ph. Christophe Dellière/MAD, Paris

Al Musée des Arts Décoratifs parigino, fino al 24 aprile, è in corso la mostra dedicata a un designer larger than life, come direbbero gli americani. Thierry Mugler, a partire dal 1973 e per i successivi due decenni, ha epitomizzato lo sfavillio, l’esorbitanza insuperata delle sfilate di quel periodo, orchestrando show faraonici (che sarebbe arrivato ad allestire in uno stadio, con tanto di spettatori paganti) in cui irrompevano creature impossibili, vestite di pneumatici, armature metalliche che le rendevano simili ad androidi supersexy, scaglie e piume dalle sfumature iridate.
Decine di look delle collezioni di alta moda e ready-to-wear, immagini delle campagne pubblicitarie del marchio (ambientate in scenari mozzafiato come il deserto del Sahara, i doccioni del grattacielo Chrysler Building o le distese ghiacciate della Groenlandia), materiali che documentano le collaborazioni con artisti del calibro di Madonna, Lady Gaga e George Michael, i costumi realizzati per la messinscena del Macbeth alla Comédie Française, nel 1985, e un focus sulla rivoluzionaria fragranza Angel (ancor oggi vendutissima) compongono la summa dell’opera portentosa di un visionario che, dichiarandosi «affascinato dall’animale più bello della terra: l’essere umano», sostiene di aver «usato tutti gli strumenti a mia disposizione per sublimarlo».


Haute Couture F/W 1997-98 (Ph. © Alan Strutt), una adv (ph. Manfred Thierry Mugler), la mostra (ph. Christophe Dellière/MAD, Paris), uno scatto per Angel (ph. Manfred Thierry Mugler)


In America: A Lexicon of Fashion


© The Metropolitan Museum of Art

Preceduta dalla consueta parata di vip dagli outfit mirabolanti, radunatisi sul red carpet par excellence, In America: A Lexicon of Fashion ha segnato il ritorno in pompa magna delle abituali rassegne a tema del Costume Institute del Met di New York, dopo lo stop per l’emergenza pandemica nel 2020, e resterà aperta fino al 5 settembre. Si tratta, in realtà, della prima parte (la seconda, An Anthology of Fashion, prenderà il via a maggio) di un’indagine ampia e articolata sulla moda a stelle e strisce, di cui si cerca innanzitutto di istituire un vocabolario che tenga conto delle molteplici sfaccettature, dell’identità poliforme della nazione.
Nell’ideazione dell’exhibition, il primum movens è una trapunta patchwork dell’Ottocento che reca su di sé centinaia di firme, metafora dell’eterogeneità degli Stati Uniti, intorno alla quale si articola la narrazione visiva, con circa cento mise, maschili e femminili, raccolte in dodici sezioni corrispondenti ad altrettante parole chiave – o “qualità emotive”, come le definisce il curatore Andrew Bolton, ad esempio “nostalgia”, “fiducia” o “forza”: si va dal casual in purezza di Ralph Lauren e Tommy Hilfiger ai gown di Oscar de la Renta, dall’easywear solitamente associato allo stile made in Usa (dunque chemisier scamosciati Halston, abitini a portafoglio Diane von Furstenberg, tailleur Donna Karan…) alle elucubrazioni goticheggianti di Rodarte, fino alle proposte da passerella delle rising star Telfar, Christopher John Rogers e Collina Strada.


Tutte le foto, © The Metropolitan Museum of Art


Christian Dior: Designer of Dreams


Ph. Paul Vu

L’inventore del New Look (copyright di Carmel Snow, storica direttrice di Harper’s Bazaar), vale a dire la silhouette che, nel secondo dopoguerra, fissò il canone dello chic parisienne, con spalle arrotondate, vita stretta e massive gonne a campana, è oggetto attualmente di due mostre dal medesimo titolo, a NYC (visitabile fino al 20 febbraio) e Doha (31 marzo).
L’allestimento del Brooklyn Museum prova a rileggere attraverso un filtro americano l’epos di Christian Dior, che nel 1948 aprì una filiale proprio nella metropoli sulla East Coast, riservando un’intera sala agli scatti dei fotografi statunitensi – come Richard Avedon, Irving Penn, Herb Ritts, David LaChapelle – che hanno contributo a far conoscere le opulente creazioni della griffe a una platea internazionale, e individuando dei punti di contatto tra il lavoro dei successori di Monsieur e autori o correnti dell’arte nazionale (vedi l’influenza di Jackson Pollock su Marc Bohan, o i modelli di Ferré che sembrano ammiccare all’architettura dell’edificio); l’esposizione consta, inoltre, di oltre 200 abiti couture, filmati, sketch e altre chicche d’archivio.
All’M7, nella capitale emiratina, lo spartito non si discosta molto da quello della Grande Mela, con capi di sfilata, schizzi e memorabilia a bizzeffe.


Richard Avedon, Dovima with Elephants, Evening Dress by Dior, Cirque d’Hiver, Paris, 1955, Ph. Here and Now Agency, ph. Daniel Sims, ph. Nelson Garrido


Reinvention and Restleness: Fashion in the Nineties



Dal 19 gennaio al 17 aprile, il Fashion Institute of Technology newyorchese metterà sotto la lente una delle decadi più dibattute, irrequiete e – in termini stilistici – prolifiche in assoluto, in cui i timori per l’avvento del nuovo millennio andavano di pari passi con un’eccitazione e una voglia di cambiamento generalizzate; un coacervo che si rispecchia nella polifonia di visioni, tendenze e spinte (anche) contrapposte delle collezioni di allora, delle quali gli oltre 85 tra look e accessori disposti negli spazi del FIT offrono un sunto vestimentario.
Dopo il passaggio introduttivo nella galleria multimediale, che mixa riprese video, défilé con LE top model (Naomi, Claudia & Co.), spezzoni di titoli simbolo degli anni ‘90 come Ragazze a Beverly Hills e Sex and the city, il visitatore può così soffermarsi sul grunge di Marc Jacobs e Anna Sui, sull’eveningwear sfacciatamente glam di Tom Ford per Gucci, sulla sublimazione del minimal operata da Jil Sander e Calvin Klein, sull’avanguardismo duro e puro di Comme des Garçons, Yohji Yamamoto e Martin Margiela.
A completare il tutto, un catalogo da collezione edito da Rizzoli Electa, con foto di fuoriclasse dell’obiettivo quali Steven Meisel, Nick Knight, Ellen von Unwerth e Rankin.


Three piece green python snakeskin ensemble consisting of cropped double breasted jacket with wide notched lapels, and round plastic silver and green buttons with red star at center, matching python bra top and miniskirt.

Yves Saint Laurent aux musées



Esattamente sessant’anni fa, a Parigi, quello che viene spesso considerato il più grande couturier di tutti i tempi fondava la maison che porta il suo nome. Per onorare l’anniversario, la Fondation Pierre Bergé – Yves Saint Laurent ha coinvolto sei musei della Ville Lumière – Centre Pompidou, Musée d’Orsay, Musée d’Art Moderne, Louvre, Musée Picasso, Musée Yves Saint Laurent – in una exhibition diffusa che, proprio come il geniale stilista franco-algerino, si propone di «guardare la moda da prospettive e modalità differenti, andando a ritroso nel tempo».
Dal 29 gennaio – lo stesso giorno in cui, nel 1962, andò in scena la prima sfilata del brand – al 18 settembre, ognuna delle sedi si concentrerà su un aspetto specifico del corposo, ineguagliabile heritage del marchio: al Pompidou l’iconico – termine quanto mai appropriato – tubino Mondrian del ‘65, che trasferiva su tessuto le partiture cromatiche dell’astrattista olandese, è esposto di fianco al dipinto originale, mentre al Museo d’Orsay si sottolineano le affinità tra l’attenzione alla luce di un outfit YSL datato 1986 e Le déjeuner sur l’herbe di Monet, e si mette in luce la sensibilità letteraria di Saint Laurent, debitrice soprattutto a Proust; al Louvre, invece, viene evidenziata la sua fascinazione per gli ornamenti dorati e le decorazioni preziose in generale, che emerge dal confronto tra modelli delle collezioni passate e abiti e gioielli della corona francese.


Mondrian dress, ritratto dello stilista (ph. Jean-Loup Sieff), abito HC S/S 1988 ispirato a Braque, Saint Laurent (ph. Getty Images)


Fashioning Masculinities: The Art of Menswear


Harry Styles nella campagna Gucci Pre-Fall 2019, ph. Harmony Korine

Al Victoria & Albert Museum di Londra si terrà, dal 19 marzo al 6 novembre, una mostra volta a indagare la moda uomo di oggi attraverso un excursus tra epoche, trasformazioni e prospettive future; il momento è propizio, con la concezione della mascolinità messa in discussione tra fluidità, gender bender e un generale rimescolamento di nozioni e dinamiche.
L’intento è «celebrare il potere, l’artisticità e la diversità del vestire e apparire maschili» dal Rinascimento ai giorni nostri, gli organizzatori evidenziano pertanto quanto siano cambiati, nei secoli, i concetti nodali di “Undressed”, “Overdressed” e “Redressed”, che danno il titolo alle tre sezioni; così le mise funamboliche delle label che stanno ridefinendo l’orizzonte del menswear (ad esempio Gucci, Raf Simons, Wales Bonner o Harris Reed) trovano posto accanto a sculture e opere d’arte, e si analizzano le scelte di stile delle celebs passate e presenti (da David Bowie a Billy Porter e Harry Styles) riuscite, negli anni, a sfidare la percezione comune di ciò che gli uomini potrebbero (o dovrebbero) indossare.


Wales Bonner S/S 2015 (ph. Dexter Lander), Gucci F/W 2015, Harris Reed – Fluid Romanticism 001 (ph. Giovanni Corabi), Market Tavern, Bradford, England, 1976, ph. by Chris Steele-Perkins


Per l’immagine in apertura, credits: ph. Paul Vu

Arthur Arbesser X Baldinini, l’esclusiva capsule collection debutta a Pitti Uomo 2022

Tradizione e modernità nella prossima edizione di Pitti Uomo 2022 con la speciale collaborazione tra la storica griffe Baldinini e il designer viennese Arthur Arbesser.

Il ballerino della moda (così venne definito da Giorgio Armani durante i sette anni nel team creativo del gorgeous del fashion biz Made in Italy) raccoglie il testimone dell’azienda di calzature e accessori uomo, impegnata a evolvere la sua estetica e il suo mercato.

Il twist contemporaneo della collezione Arthur Arbesser X Baldinini si compone da cinque modelli maschili e altrettanti femminili che sovvertono lo storico heritage della griffe con mocassini, stringate, tronchetti d’ispirazione texana decorati da grafismi black & white e boots dalle fantasie optical.



La partnership sarà celebrata con un evento che si terrà nella meravigliosa cornice di Fortezza del Basso, il prossimo 11 gennaio 2022, a Firenze.

Il concept dello stand 1 presso le Costruzioni Lorenesi, luogo dell’evento, richiamerà le stampe vivide delle calzature, ricalcando l’atmosfera di uno studio fotografico, a conferma dell’immagine sempre più “inside fashion” di Baldinini.

Dopo lo scenario pandemico, rinnovarsi è diventata una necessità per l’azienda. Questa si è concretizzata in una strategia finalizzata sia a uno sviluppo sul territorio internazionale, avente come fulcro Pitti Uomo, sia a un’immagine più fresca e contemporanea, rafforzata dalla partnership con Arthur Arbesser. Ci aspettiamo un futuro costellato di nuovi progetti che consolideranno questa direzione”, ha detto Christian Prazzoli, AD Baldinini.
 La rivoluzione del marchio non passa esclusivamente dalla neonata partnership con lo stilista austriaco che nel 2013 ha debuttato alla Milano Fashion Week con la sue eponima collezione uomo, ma anche dal rifacimento del logo, in linea con la visione internazionale.



A incalzare l’AD Baldinini è sttao lo stesso Arbesser, che commenta: “Ho iniziato questo progetto con grande entusiasmo e curiosità. Volevo trovare un equilibrio tra l’energia del colore e della grafica che mi caratterizzano e l’eleganza delle collezioni Baldinini. Avevo come solida base l’expertise per cui l’azienda riminese è famosa a livello mondiale. È stato un processo naturale quindi traslare il nostro know how nelle stampe su un progetto che va di pari passo all’abbigliamento, come può essere, appunto, la calzatura”, ha commentato Arthur Arbesser, alla guida del brand omonimo.  

Asvoff13, il Fashion Film Festival di Diane Pernet alla Casa del Cinema di Roma

Con lo stop agli eventi dal vivo dettato dall’emergenza pandemica del 2020, i fashion film hanno permesso ai marchi di mostrare le collezioni pur nell’impossibilità di organizzare i consueti défilé: da meri sostituti degli show, tuttavia, i cortometraggi (specie nelle mani di professionisti del settore e sperimentatori di rango) si sono rivelati una modalità altra, ugualmente – se non addirittura più – efficace della passerella per comunicare a 360 gradi la visione di un brand. Gli esempi sono molteplici, basti pensare all’immaginoso Le Mythe Dior di Matteo Garrone per la griffe francese, alla miniserie Ouverture Of Something That Never Ended di Gucci, alla monumentale performance Of Grace and Light di Valentino, al teatro delle marionette di Moschino per la Spring/Summer 2021… Decine di video capaci di tenere gli spettatori con gli occhi incollati allo schermo, commissionati da auguste maison come da designer indipendenti, dai potentati del lusso alla Lvmh come da label emergenti armate perlopiù di inventiva.


Diane Pernet, ph. by Ruven Afanador

A credere nelle potenzialità di un medium ora lodato in maniera pressoché unanime era stata, in tempi non sospetti, la fondatrice del festival Asvoff – A Shaded View On Fashion Film Diane Pernet, figura a dir poco poliedrica: immancabilmente vestita di nero dalla testa ai piedi, labbra infuocate, sguardo schermato h24 dagli occhiali da sole Alain Mikli, nata a Washington ma parigina d’adozione, stilista, editor, critica, fotografa, talent scout dal fiuto portentoso, soprattutto pioniera digitale (come la incoronò il Met di New York, nientedimeno) grazie al blog Asvof, aperto nel 2005, agli albori della rivoluzione che, tra social e web 2.0, di lì a breve avrebbe travolto la società, e “sdoppiatosi” tre anni dopo nella rassegna di cui sopra, un métissage unico di moda, stile e bellezza esplorate attraverso il linguaggio cinematografico che, di fatto, ha codificato i tratti fondamentali del genere.



Giunta alla tredicesima edizione, svoltasi all’inizio del mese a Parigi, la kermesse, nomade e cangiante per natura, è approdata nel weekend dal 10 al 12 dicembre alla Casa del Cinema di Roma grazie alla collaborazione con Romaison, progetto che si propone di valorizzare le eccellenze costumistiche delle tante, spesso misconosciute sartorie della città eterna che pure hanno contribuito alla riuscita di capolavori rimasti negli annali. Le sale dell’edificio ottocentesco, immerso nel parco di Villa Borghese, hanno ospitato così un fitto programma di anteprime, talk, incontri di approfondimento e la proiezione degli oltre ottanta short movie in concorso, ça va sans dire.



Ad aprire le danze, nella serata di venerdì, la presentazione del festival cui partecipano Pernet, la curatrice di Romaison Clara Tosi Pamphili e il costumista Carlo Poggioli, presidente dell’Asc (Associazione Scenografi, Costumisti e Arredatori), seguita dall’intervento di Amber Jae Slooten, co-founder e direttrice artistica di The Fabricant, marchio digital only che, nel 2019, fece scalpore (come ricorda, abbastanza divertita, la diretta interessata) per l’outfit iridescente, dalla connotazione couture epperò composto esclusivamente da byte, venduto all’asta per 9.500 dollari; una visionaria insomma, sicuramente tra le persone più adatte per confrontarsi, con Tosi Pamphili e il pubblico presente, sui punti salienti e le probabili evoluzioni di questa dimensione parallela alla moda propriamente intesa, dai contorni ancora piuttosto aleatori ma che, come certificato dall’interesse crescente di brand che creano dipartimenti dedicati al virtuale (ultimo, in ordine di tempo, Balenciaga), potrebbe conoscere prima di quanto non si creda uno sviluppo impetuoso, con abiti indossabili esclusivamente nel metaverso e avatar dal guardaroba griffatissimo seppur intangibile.

Viene quindi proiettato Saint Narcisse di Bruce LaBruce, regista habitué della provocazione col suo cinema liminare, tra indie e pornografia (nonché presidente della giuria di Asvoff 13): già incluso nella selezione delle Giornate degli Autori alla 77esima Mostra di Venezia, il film rilegge il mito di Narciso in chiave queer e compiaciutamente erotica, in un pastiche di tragedia greca, iconografia religiosa, ossessioni contemporanee, sesso spinto, illuminazione e fotografia da b-movie ‘70s.


Saint Narcisse

Sabato è il giornalista e scrittore Carlo Antonelli ad introdurre un’altra pellicola di notevole caratura, Steven Arnold: Heavenly Bodies, documentario diretto da Vishnu Dass in cui la voce d’eccezione di Anjelica Huston racconta, attraverso testimonianze e footage inediti, la fulminante parabola dell’artista californiano, stroncata a soli 51 anni dall’Aids; talento multidisciplinare, animatore della scena off losangelina negli anni ‘70 e ‘80, pupillo di Salvador Dalí che lo elesse “principe” della sua leggendaria cerchia di accoliti e muse ispiratrici, ha saputo cogliere con straordinaria incisività, e decisamente in anticipo sui tempi, il tema della fluidità di genere, componendo articolati tableau vivant i cui protagonisti erano, a seconda dei casi, adoni dalla fisicità prorompente, figure mistiche contornate da nugoli di simboli, esseri androgini sospesi in paesaggi a metà tra il surreale e l’onirico.


Steven Arnold: Heavenly Bodies

Nella giornata conclusiva, invece, si lascia spazio alla moda in senso stretto, che d’altronde è l’asse portante del festival: vengono trasmessi Cotton For My Shroud, opera di denuncia delle pratiche di sfruttamento purtroppo ancora presenti nell’industria cotoniera; Valentino Des Ateliers: Vita di Sarti e di Pittori (vincitore nella sezione Documentaries), raccolta di storie e impressioni emerse nel dialogo tra l’autore del corto Maurizio Cilli e Gianluigi Ricuperati, saggista chiamato a selezionare 17 artisti per l’iniziativa che ha unito l’opus magistrale dell’atelier, massima espressione della sartorialità intrinseca alla griffe romana, alla loro pittura, sfociata a luglio nella magnifica sfilata Valentino Haute Couture F/W 2021/22 alle Gaggiandre dell’Arsenale di Venezia, con i dipinti commissionati dal brand resi parte integrante delle mise drammatiche, da mille e una notte firmate da Pierpaolo Piccioli; A Folk Horror Tale, film di presentazione dell’ultima collezione Artisanal di Maison Margiela, in cui il making of dei capi si intreccia a una mise en scène fiabesca dai colori “impossibili”.



I cortometraggi sono, ovviamente, il cuore pulsante degli appuntamenti tenutisi nelle sale Deluxe e Volonté della Casa del Cinema; organizzati in gruppi tematici, tracciano un panorama variegato di narrazioni visive nel quale la coreografia danzata di Dance Party (che ottiene l’award per la categoria Fashion Moves, curata da Alex Murray-Leslie) cede il passo alle silhouette fluttuanti digitalizzate di Komantha, premiato nella rassegna Digital Fashion: The Fabricant, oppure alle rappresentazioni delle idee di autenticità, quotidianità e altri concetti basilari ad opera dei creativi di colore di Black Spectrum, a cura di Melissa Alibo. Una mole consistente di progetti, che lascia intuire come la moda potrà anche riprendere il solito bailamme di lanci, happening e show faraonici, ma i fashion film sono qui per restare.


Dimension by Ebeneza Blanche

Immagine in apertura: Transmotion by Ryan McDaniels

Drumohr – Quel filo di cashmere di quarta generazione

È noto ai più con l’appellativo di biscottino. L’inconfondibile motivo “razor blade” diventato famoso per le sue infinite combinazioni cromatiche e che prende il suo nome da una battuta di Gianni Agnelli che trovò in quel disegno un’incredibile somiglianza con un “pavesino”. Un battesimo fortunato che ha dato il nome a un tema iconico che ha conquistato il guardaroba dei reali d’Inghilterra e di volti noti come quello di Audrey Hepburn, e ha contribuito al successo di quella pregiata fibra di cashmere, una delle più riconoscibili a prima vista, sotto il marchio di fabbrica Drumohr, fiore all’occhiello del Made In Italy dal 2006, la cui trama custodisce una storia legata alla tradizione tessile, lunga più di un secolo.
Filippo e Michele Ciocca rappresentano la quarta generazione di un’impresa che incarna tutti gli aspetti legati all’eccellenza del nostro Paese nel mondo. Il gruppo Ciocca, con più di 100 anni di storia alle spalle, raggiunge il successo nel settore delle calze, implementando sempre di più le tecniche di produzione e realizzando le collezioni dei brand più famosi del lusso: da Gucci a Celinè, a Paul Smith, solo per citarne alcuni.

L’azienda nasce a Milano, ma il bisnonno decide al momento giusto di spostare il suo headquarter in Franciacorta, a Quinzano D’Oglio, dove l’impresa di famiglia si rinnova, di generazione in generazione,  con progetti sempre nuovi, diversificando il prodotto grazie all’instancabile visione del papà Luigi e dei figli Michele e Filippo che hanno avuto il merito di credere, prima di tutto, come il nonno, nel più grande valore della famiglia Ciocca, quella di tutte le persone che hanno contribuito al suo successo e che hanno popolato la cittadella dalle sue origini.
Agli esordi i collegamenti con la città erano molto difficili, e fu quella la prima grande visione del nonno, che ha tirato le fila dell’azienda per 60 anni, riuscendo a mettere insieme i migliori operai, i pochi e più qualificati – per lo più cecoslovacchi – a far funzionare le macchine industriali dell’epoca.
Scopriamo le loro attività e il loro senso di appartenenza, attraverso momenti di aggregazione, come i campeggi organizzati tra le famiglie del luogo – con tanto di lambrette, fisarmoniche e sassofoni – per condividere un tempo libero di qualità, documentato dagli album fotografici d’epoca. Dai registri antichi, scritti con penna e calamaio, con una grafia impeccabile di chi non contrattava il fascino delle parole con la velocità d’archiviazione di un personal computer, scopriamo i bilanci del 17 ottobre 1912, in cui l’azienda partiva da 15.000 lire. Una storia che risuona come una favola perché rappresenta uno dei più grandi esempi di italianità e d’impegno costante volto a raggiungere quella soglia d’eccellenza che contraddistingue l’autenticità del Made In Italy a livello internazionale.
La stessa che entra a far parte di una pagina di storia della nostra società, quando si facevano strada i primi esempi di vera emancipazione femminile, che con eleganza e portamento entrava nelle fabbriche, concorrendo alla realizzazione della nuova generazione di donne. Dai racconti di papà Luigi, appassionato d’arte, man mano che ci addentriamo nel cuore pulsante dell’azienda, scopriamo le opere commissionate ad artisti del panorama contemporaneo, per raccontare l’universo della calza in una visione sempre inedita.



Tradizione e innovazione: una storia d’amore senza fine che richiede attenzione ed equilibrio reciproco. L’azienda ha visto diversificare la sua produzione – per impulso di Filippo e Michele – attraverso l’acquisizione di marchi come Drumohr, Rossopuro, Dalmine, Sozzi, Gian Marco Venturi e Stefano Ricci, creando un prodotto variegato in grado di rispondere alle diverse esigenze del mercato internazionale.
Abbiamo cercato sempre nuovi progetti satelliti per mantenere questo dinosauro in via d’estinzione e Drumhor é uno di questi” racconta Michele Ciocca, parlando dello storico brand di Drumfries (Scozia), in un mix di amore e profondo rispetto per l’azienda di famiglia che – in una visione che fa da trade-union tra tradizione, evoluzione stilistica e tecnologica – non perde occasione per avviare nuovi e ambiziosi progetti in grado di tradurre il know-how del gruppo Ciocca in una risposta coerente con la richiesta del mercato. Come il total look di Drumohr, che nel colore e nelle rifiniture impeccabili – come il pantalone con doppia pences e cimosa interna con l’istituzionale fantasia biscottino – offre alla clientela di nuova generazione un’eleganza Made in Italy aggiornata e sostenibile nella produzione.  È lo stesso Michele, infatti, a illustrarci l’obiettivo dell’azienda di raggiungere un piano di produzione a zero emissioni, grazie all’introduzione di macchinari e sistemi energetici sempre più sostenibili.
L’introduzione del total look, arriva in seguito all’impegno dell’azienda in periodo covid che ha introdotto nuovi macchinari per la produzione dei camici, attività di grande rilievo che ha messo in luce il grande senso civico delle imprese nostrane che in casa Drumohr si è poi trasformata in un progetto più ampio, col rientrare dell’emergenza.
Dai laboratori, in cui l’umidità deve mantenersi costante per evitare sbalzi nel trattamento dei filati, al magazzino pieno di bobine, Michele racconta dell’importanza del lavoro di ricerca delle materie prime e della precisione di ogni fase della tessitura che inizia tutte le mattine alle 6, in un ambiente rigorosamente privo di finestre, per mantenere alti gli standard di qualità e l’elasticità della trama identica in tutti i periodi dell’anno, nel corso del quale vengono prodotte circa 200 mila maglie. Ogni esemplare attraversa dai 2 ai 3 passaggi per raggiungere lo standard desiderato, le trame più sottili e pregiate subiscono un prestiro, due lavaggi e un’altra passata di stiro.

Una moda etica quella di casa Drumohr, fatta di filati cashmere seta, del famoso garzato, di lino stretch, e del neoarrivato total look, tagliato e prodotto interamente tra le mura dell’azienda, in maniera quasi autosufficiente, attraverso pannelli fotovoltaici di ultima generazione e l’obiettivo ambizioso di arrivare a zero emissioni.



Una produzione completa e complessa nella selezione di materiali e trame originali in cui le sovrapposizioni di righe orizzontali e verticali sulla maglieria rigorosamente in cashmere 100% e cotone cashmere, si combinano in un equilibrio grafico e cromatico rinnovato, raccontando la nuova attenzione per un’eleganza casual di altissima qualità da parte delle nuove generazioni.  I tagli sono comfort – nelle giacche sfoderate che prendono ispirazione dalle worker jacket – e la vestibilità impeccabile, complice una selezione di tessuti piacevoli al tatto che si sovrappongono in un mix and match di righe, leitmotiv della collezione che lascia grande spazio a una nuova creatività dedicata alla donna.
Il brand è presente oggi nei migliori department store del mondo come Lane Crawford Hong Kong, Le Bon Marché, Beams, Barneys New York ed Excelsior Milano, oltre ai 3 negozi monomarca in Italia, a Milano, Alassio e Torino e i 350 rivenditori multimarca nel mondo.

Perché Virgil Abloh è stato una figura fondamentale della moda

Con la scomparsa, a soli 41 anni, di Virgil Abloh, fondatore di Off-White nonché direttore artistico del menswear di Louis Vuitton, il fashion system perde una figura assolutamente centrale, di cui è impossibile sopravvalutare l’operato.
In nemmeno un decennio di carriera, infatti, questo creativo di origini ghanesi nato a Rockford, nel Midwest americano, ha innescato – quando non plasmato – dinamiche diventate una consuetudine per la moda tutta, dall’attesa smodata dell’ennesima capsule collection in edizione – ovviamente – limitatissima al culto per prodotti (sneakers in primis, ma anche felpe, t-shirt, cappelli e altri capi/accessori mutuati dallo sportswear) un tempo marginali e innalzati, ora, allo status di sacro graal dei fashionisti 2.0, dal fenomeno del resell (per cui gli oggetti del desiderio di cui sopra vengono rivenduti sulle piattaforme dedicate) alla contaminazione tra forme di creatività e input provenienti da ambiti quali musica, entertainment, arredamento, showbiz… Soprattutto, è stato il demiurgo dell’ibridazione, ormai pienamente compiuta, dell’abbigliamento urban con la moda racé, spinta ad un livello tale per cui è spesso difficile capire dove cominci l’uno e finisca l’altra; se, insomma, l’espressione luxury streetwear oggi risulta persino banale, e certo non suona più come un ossimoro spericolato, il merito va attribuito in gran parte proprio ad Abloh.



Architetto di formazione, con tanto di master conseguito all’Illinois Institute of Technology, e outsider per vocazione, come ribadirà lui stesso più volte, per la sua carriera è determinante l’incontro con Kanye West nel 2003: per il rapper (e produttore, imprenditore, ex marito di Kim Kardashian e, come dimostra il caso in questione, formidabile talent scout) sarà una sorta di factotum, occupandosi di art direction degli album (cura ad esempio la cover di Graduation, insieme alla superstar dell’arte pop Takashi Murakami, mentre Watch the Throne gli vale una nomination ai Grammy del 2011, nella categoria “Best Recording Package”) come pure del merchandising e dell’immagine dei tour di Ye, fino ad essere nominato alla guida di Donda, l’agenzia creativa di West.
Dopo la parentesi di Pyrex Vision, nel 2012, il salto di qualità avviene l’anno successivo con Off-White, label che lo proietterà nell’olimpo dell’industria fashion, dove si premura di abbattere steccati e distinzioni effettivamente fruste a colpi di pezzi easy e appariscenti, marchiati con segni grafici trasformatisi, in men che non si dica, in sinonimi della visione esuberante, costantemente mutevole di Abloh: virgolette tautologiche, che esplicitano natura o funzione d’uso del capo, frecce divergenti, strisce diagonali (attinte dalla segnaletica stradale), tag dai colori sparati a mo’ di cartellino antitaccheggio.


Backstage at Off-White Men’s Fall 2019

Ridurre a pochi, precisi tratti l’estetica di Abloh è però alquanto complicato, considerato che, da buon dj (altra attività cui presta occasionalmente il suo talento multitasking), campiona di continuo spunti disparati, passando dal rileggere da par suo dieci scarpe paradigmatiche di Nike (nella limited edition The Ten, nel 2017) ai capolavori di Leonardo o Caravaggio replicati sulle magliette, dai cut-out di fontaniana memoria alle linee sempre un po’ sbilenche degli abiti. Per descrivere il suo modus operandi, un iperattivismo che va ben oltre la moda in senso stretto, si potrebbe forse scomodare la Gesamtkunstwerk, il concetto di opera d’arte totale teorizzato da Richard Wagner, sostituendolo con quello di un design totale e totalizzante, da mettere al servizio del ready-to-wear come dei complementi d’arredo in tandem con Ikea, al solito in bilico tra boutade e pura funzionalità, delle automobili (ossia la versione “scarnificata”, di un bianco abbacinante, della Mercedes-Benz classe G, la «scultura di una macchina da corsa» nelle parole dell’autore), delle sveglie Braun ideate dal guru della progettazione industriale Dieter Rams (tinte di arancione o in una pallida tonalità di azzurro), del packaging delle bottigliette d’acqua Evian, e via così.
Il numero di collaborazioni accumulatesi negli anni è sterminato: nell’elenco, per forza di cose parziale, figurano marchi quali Moncler, Rimowa, Jimmy Choo, Chrome Hearts, Timberland, Vitra, Gore-Tex, Moët & Chandon, McDonald’s, e si potrebbe andare avanti.



I riscontri fenomenali delle collezioni di Off-White, idolatrate specialmente da Millennials e giovanissimi della Gen Z, preludono alla definitiva consacrazione di Abloh tra i big del fashion, che arriva nel 2018, annus mirabilis in cui finisce nella classifica delle 100 persone più influenti al mondo del Time e approda alla direzione della divisione maschile di Vuitton, primo afroamericano a capo dell’ufficio stile di una storica maison di lusso. Per l’uomo della griffe sforna a raffica tormentoni dal côté immaginifico, spargendo a piene mani, su pelletteria e abbigliamento, il celebre monogramma, piegato ai suoi capricci e umori del momento, reso ora olografico ora fluo, smaterializzato in nuvolette à la Magritte oppure inserito in “colature” di canvas nelle borse Louis Vuitton X NIGO
Piaccia o meno, la frammentarietà della moda odierna, un magma dai mille rivoli che si riversano anche (e soprattutto) nella dimensione digitale prediletta dalle nuove generazioni, negli ultimi anni ha trovato il suo massimo interprete in uno stilista “per caso”, la cui storia è destinata – a ragione – ad essere raccontata nei libri del settore.



Per l’immagine in apertura, credits: ph. by Peter White/Getty Images

I designer portoghesi da conoscere

MODALISBOA festeggia 30 anni di creatività interrogandosi sul proprio futuro



Il Portogallo si conferma un Paese ricco di tradizioni e importanti manifatture, ma anche fucina di una nuova generazione di designer portoghesi che lavorano sull’innovazione sostenibile. Proprio questo 2021 ModaLisboa ha festeggiato 30 anni di attività a sostegno della creatività portoghese. E lo ha fatto con un calendario in presenza su 4 giorni con 34 designer e 21 presentazioni divisi tra due location l’Estufa Fria magnifico orto botanico e il Capitólio.



Proprio pensando agli importanti cambiamenti nel fashion system di questi ultimi due anni la campagna di ModaLisboa, guardando al proprio passato, si interroga sul presente e futuro con la domanda: and now what?  (e adesso?). Una domanda profonda, che lascia poco spazio alle risposte, ma che d’altra parte lascia tanto spazio per la libertà, specialmente quella espressiva.


Constança Entrudo

Questo senso di libertà e voglia di sperimentare si coglie specialmente nelle nuove generazione che hanno partecipato al contest Sangue Novo che hanno visto partecipare: AMOR DE LA CALLE , ANVI, CAROLINA COSTA, FILIPE CEREJO, IVAN HUNGA GARCIA,  MARIA CLARA,  MARIA CURADO, REIMÃO, SOUSA e VEEHANA.



Tra i designer da tenere d’occhio che giocano su sostenibilità, sperimentazione tessile e colori è Duarte, designer con un’anima da illustratrice, che ha fondato le sue collezioni sulle sue grafiche esclusive. Il suo streetwear pieno di energia e la capacità  di unire allo storytelling uno story-making virtuoso la rendono uno dei nomi più interessanti della moda portoghese.



La sua collezione ‘Reef’, richiama l’attenzione sull’emergenza legata alla barriera corallina al largo dell’Australia, ad alto rischio di sbiancamento, rappresentando gli esemplari marini – attraverso le sue grafiche stilizzate – su parka, tute e varsity jacket. Ovviamente prodotti con filati tecnici come il neoprene, ricavate dal riciclo di plastiche e cotoni riciclati.



Sempre nel segno della sperimentazione materica e sostenibile è il lavoro di Constança Entrudo, fino a tutta una nuova generazione di nomi che fanno della moda genderless il loro baluardo come Cravo Studios, Filipe Augusto, Fora de Jogo, João Magalhães, Luís Carvalho e Ricardo Andrez. Nomi che da Lisbona stanno gradualmente facendosi conoscere anche nel resto dell’Europa e che speriamo riescano a farsi conoscere anche nelle altre fashion capital.


Cover: Constança Entrudo

Palais Galliera celebra Alber Elbaz con una retrospettiva unica nel suo genere

Love Brings Love, The Alber Elbaz Tribute Show: la celebrazione a uno dei più influenti designer contemporanei, che ci ha lasciato in eredità un’estetica equilibrata, innovativa e tradizionale. La mostra, dal format innovativo, andrà in scena dal 5 marzo al 10 luglio 2022, presso Palais Galliera.


Prima che morisse, Alber Elbaz fonda la sua fattoria di creativi, soprannominata  AZ Factory. Lo scopo primario è quello di porsi a istituzione per i nuovi creativi, dando loro una vetrina sul mondo. La sua morte, avvenuta il 24 aprile 2021, lascia nello sconforto l’intero fashion biz perché durante la sua carriera, lo stilista di origini marocchine ha arricchito gli archivi della moda anziché sottrarre stile e innovazione. Ed è proprio questo il motivo che spinge, quarantasei creativi di fama internazionale, a rendergli omaggio.


Love Brings Love (questo era il motto di Alber) è un collettivo di designer e marchi di moda che hanno prestato la loro arte per realizzare un’esposizione unica nel suo genere. Ognuno di loro, infatti, è stato chiamato a disegnare abiti fluidi con lunghi strascichi, abiti corti con balze o grandi fiocchi, abiti stampati con disegni e ritratti di Alber Elbaz. Gli stilisti interpretano, così, lo stile gentile dello stilista dall’aspetto minuto, che in Yves Saint Laurent prima e in Lanvin dopo, ha vestito con vigore il jet set internazionale.


Questa mostra, unica nel suo genere, ricreerà lo spettacolo tenutosi il 5 ottobre scorso in onore di Elbaz, immergendo i suoi visitatori nell’esperienza completa della passerella, gli effetti, la musica e le luci che hanno reso la serata un momento indimenticabile della storia della moda.


L’esposizione, resa possibile grazie alla partecipazione di AZ FACTORY e al supporto di RICHEMONT, è organizzata da Alexandre Samson: curatore delle collezioni di haute couture e design contemporaneo del Palais Galliera, assistito da Juliette Chaussat.


L’elenco degli stilisti e delle griffe che hanno partecipato al progetto:

ALAÏA, Pieter Mulier / ALEXANDER MCQUEEN, Sarah Burton / AZ FACTORY, Alber Elbaz / BALENCIAGA,  Demna Gvasalia / BALMAIN, Olivier Rousteing / BOTTEGA VENETA, Daniel Lee / BURBERRY, Riccardo  Tisci / CASABLANCA, Charaf Tajer / CHLOE, Gabriela Hearst / CHRISTIAN DIOR, Maria Grazia Chiuri / CHRISTOPHER JOHN ROGERS, Christopher John Rogers / COMME DES GARÇONS, Rei Kawakubo / DRIES  VAN NOTEN, Dries Van Noten / FENDI, Kim Jones / GIAMBATTISTA VALLI, Giambattista Valli / GIORGIO ARMANI,  Giorgio Armani / GIVENCHY, Matthew M. Williams / GUCCI, Alessandro Michele / GUO PEI, Guo Pei / HERMES,  Nadège Vanhée-Cybulski / IRIS VAN HERPEN x ADOBE, Iris Van Herpen / JEAN PAUL  GAULTIER, Jean Paul Gaultier / LANVIN, Bruno Sialelli / LOEWE, Jonathan Anderson / LOUIS VUITTON,  Nicolas Ghesquière / MAISON MARGIELA, John Galliano / OFF-WHITE, Virgil Abloh / RAF SIMONS, Raf  Simons / RALPH LAUREN, Ralph Lauren / RICK OWENS, Rick Owens / ROSIE ASSOULIN, Rosie Assoulin /  SACAI, Chitose Abe / SAINT LAURENT, Anthony Vaccarello / SCHIAPARELLI, Daniel Roseberry / SIMONE ROCHA,  Simone Rocha / STELLA MCCARTNEY, Stella McCartney / THEBE MAGUGU, Thebe Magugu / THOM BROWNE,  Thom Browne / TOMO KOIZUMI, Tomo Koizumi / VALENTINO, Pierpaolo Piccioli / VERSACE, Donatella Versace  / VETEMENTS, Guram Gvasalia / VIKTOR & ROLF, Viktor Horsting & Rolf Snoeren / VIVIENNE WESTWOOD,  Vivienne Westwood & Andreas Kronthaler / WALES BONNER, Grace Wales Bonner / Y/PROJECT, Glenn Martens.

New collab d’autore e a ritmo di musica per sneakers da collezionare

Nuove irresistibili collaborazioni dall’universo delle sneakers. I brand che hanno fatto la storia dello streetwear, cercano sempre nuove strade per contaminare la propria tradizione estetica e sperimentare vesti inedite, raccontandosi attraverso l’ispirazione di artisti, icone della musica e fashion designer provenienti da mondi e culture a volte opposte. Un approccio sempre più comune nel processo creativo, ma mai uguale a se stesso, perché una collab per definizione rivoluziona la visione del brand, per dar vita a collezioni completamente rinnovate e, nella maggior parte dei casi, in edizione limitata, da aggiudicarsi in tempo record e collezionare.  

Ultima proposta dal mercato delle collab arriva da Saucony, che firma con Trinidad Jame$, il rapper multi-platino nato a Trinidad e di base ad Atlanta, un’interpretazione in limited edition dell’iconica Jazz 81. Si chiama Jazz 81 Saucony x Hommewrk e sarà disponibile per gli amanti del brand dal 26 novembre, con una versione multivitaminica per celebrare il paese d’origine dell’artista. Le diverse tonalità di rosso intenso tipiche della Sorrel, la famosissima bevanda dell’isola caraibica, realizzata con petali di ibisco essiccati, sono state riprodotte sulla pelle bottalata e sulla tomaia in premium suede di questo accattivante modello, tra dettagli in TPU rosa semi-trasparente sul puntale, sul rinforzo del tallone e sull’iconico logo del brand.



Anche PUMA e il brand californiano di skateboard Santa Cruz hanno unito le forze per creare una collezione completa che irrompe nei codici stilistici di PUMA, con l’estetica street appartenente all’universo degli skater di Santa Cruz, che dagli anni 70 incarna l’essenza del lifestyle californiano.
All’interno della collezione PUMA x SANTA CRUZ prende vita una delle grafiche più iconiche della library di Santa Cruz, Screaming Hand di Jim Phillip, in una palette di colori accesi e appariscenti, su tutti gli articoli della collezione. 

In qualità di leader nel mondo dello skate, Santa Cruz aggiunge il suo tocco alla classica PUMA Suede che si presenta con una tomaia nera con formstrip verde lime e la grafica “Shark Dot” di Santa Cruz sul lato.  La versione femminile presenta la suola platform e due colorazioni monocromatiche: nero e verde lime, entrambe caratterizzate dalla grafica Santa Cruz Dot Reflection stampata su tomaia e intersuola.



Q-ART code è l’ambizioso progetto NFT di Moaconcept per supportare gli artisti emergenti. Questo perché il suo fondatore, Matteo Tugliani, vive l’arte come una vera filosofia di vita e nel DNA delle sue Moaconcept, create nel 2015, abita il costante desiderio di promuovere l’arte e la creatività dei giovani artisti indipendenti, legando la loro opera alla riqualificazione di ambienti urbani, come avvenuto recentemente a Montevarchi dove 5 artisti hanno realizzato opere d’arte in diversi luoghi della città. Questa stagione, attraverso la tecnologia NFT (Non-Fungible-Token) che coinvolge in prima persona il cliente, ancora una volta il brand devolverà parte del ricavato delle sue sneakers per supportare la realizzazione di un’opera creativa di riqualificazione urbana. La semplice scansione del QR code permette ai clienti di scegliere un’opera e diventare titolari del certificato NFT che ne attesta ufficialmente il supporto.
I soggetti dei primi NFT di cui i clienti potranno diventare titolari sono le opere di create a Montevarchi, realizzate durante il recente Moaconcept Tribute.


Handpicked rende omaggio al Made in Italy attraverso un viaggio tra le città

Memore e consapevole del suo primo viaggio all’interno di un orizzonte naturale, fatto di valori e consapevolezza oggi Handpicked approda in un contesto urbano. L’elemento naturale si ricongiunge alla vita di ogni giorno, per vestire lo scenario metropolitano con l’attualità di capi rifiniti con maestria sartoriale e cromie in sintonia con una nuova idea di città.

Tutti i capi, dai pantaloni ai capispalla, hanno nomi di città italiane, ricche di storia, dal punto di vista culturale e artistico, che sono però meno conosciute fuori dall’Italia. Il brand vuole rendere omaggio all’eccellenza del Made in Italy anche attraverso l’arte di queste città.



Nella collezione FW21/22 presenta una varietà di tele denim, tra cui Kurabo, stretch e super stretch, che vanno dal deep blue allo stone washed, fino ad arrivare a tessuti con rotture e schizzi di vernice realizzate a mano. Oltre al denim troviamo cotone, denim in felpa con effetto jersey touch, flanella, velluto millerighe e costa francese e naturalmente le lane, tra cui quelle pregiate di Vitale Barberis. Molto ricercata è la lana effetto stone dalla mano calda e morbida. Immancabili le stampe classiche come check, Principe di Galles e pied de poule.

In collezione troviamo anche il mood Eco, caratterizzato da lavaggi e trattamenti eco-sostenibili, in cui non vengono utilizzate sostanze chimiche pericolose e gli accessori sono realizzati con materiali e processi ecologici; il mood Studios ha due nuove vestibilità young: Milano slim fit e Imola baggy. Immancabile un’ampia selezione di chino con e senza pince dalle vestibilità comfort o slim fit. Grande attenzione va al mondo casual con la proposta di felpe girocollo e con cappuccio da abbinare a pantaloni della tuta con coulisse. 



Nei top c’è una diversificata proposta di capi in maglia, camicie in denim, flanella o velluto. Per l’outerwear troviamo la sahariana e la tracker jacket in denim, il montgomery con alamari nella versione corta e lunga con bretelle interne per poterlo portare a spalla e il bomber lana, con stampa esterna e interna in check o in panno blu tinta unita.

L’esclusiva collezione di Giorgio Armani x 10 Corso Como

Giorgio Armani presenta in anteprima esclusiva la collezione Giorgio Armani – 10 Corso Como. Sintesi di uno stile inconfondibile, in iconico bianco e nero, l’inedita collaborazione con 10 Corso Como crea una collezione senza tempo, composta dal lessico coerente e costantemente rinnovato del racconto armaniano.

Blazer dalle linee esatte, mono o doppiopetto, lunghi cappotti e caban, pantaloni fluidi, pullover morbidi, accessoriati da stringate basse o décolletés, e due borse, una ampia e avvolgente e La Prima nella sua versione classica. La contrapposizione di maschile e femminile è risolta in un segno leggero e incisivo e la scelta del bianco e nero conferisce una visione grafica, sottolineata dai motivi delle righe jacquard. I materiali sono naturali e preziosi: lane, sete, velluti, cashmere e una felpa che gioca ironicamente con il volto stilizzato di Giorgio Armani.

La collezione, con un packaging dedicato, sarà disponibile dal 18 novembre presso 10 Corso Como di Milano e online, e successivamente anche nei negozi Giorgio Armani di Milano, New York Madison Avenue, Tokyo Ginza Tower e Shanghai.

David Gandy, il re delle passerelle lancia la sua prima linea di moda leisure-wear

A 41 anni, David Gandy lancia la sua linea moda leasure: semplicemente David Gandy Wellwear.  L’icona sexy britannica, protagonista decennale di passere internazionali e testimonial di Dolce & Gabbana, lancia la sua eponima etichetta che volge lo sguardo anche al wellness.

Una carriera seminata di cover dei più importanti fashion magazine internazionali, ultime uscite di spettacolari fashion show e una serie di campagne global del brand che l’ha portato alla luce grazie a uno spot girato su un gommoncino bianco al largo dei faraglioni di Capri. Correva l’anno 2007 e nessuno ancora può dimenticare quella voce fuori campo che risuona sensuale “light Blue” Dolce & Gabbana tra due ideali di bellezza aspirazionale come quella di un’eterea Bianca Balti e la perfezione plastica di David Gandy.
Un legame che suggella la complicità tra la griffe italiana e David – il cui valore ricalca quello di un top brand – con una raccolta fotografica “David Gandy by Dolce & Gabbana – The male icon” firmato, tra gli altri, dai maestri Mario Testino, Steven Klein, Giampaolo Sgura e Mariano Vivanco.



David, allontanatosi gradualmente dalle passerelle ed essersi dedicato a svariate operazioni imprenditoriali legate al mondo del beachwear alla sua dichiarata passione per le auto di lusso, oggi torna da protagonista nel fashion biz con un nuovo progetto, dedicato al tempo, a quello che ognuno di noi dovrebbe concedersi quotidianamente. La collezione David Gandy Wellwear racconta la sua idea di stile unisex, attraverso una capsule collection di 20 pezzi dal tono intimo e rilassante: t-shirt, polo, felpe (alcune con cappuccio), joggers, capispalla, pigiami, abbigliamento di lusso e accessori fatti di tessuti innovativi, ultracomfort, antiodore, antibatterici e agli estratti di aloe vera. La palette di colori è monocromatica, con sfumature del nero, bianco, blu, grigio marna e kaki.

L’abbigliamento può avere un grande impatto sulla fiducia in noi stessi; quindi, ho voluto creare una gamma che aiuti le persone a sentirsi rilassate e sicure, come nella propria pelle” ha dichichiarato l’imprenditore. David Gandy Wellwear, infatti, si compone nella sofficità dei tessuti effetto second skin. La nuova frontiera del vestire non cura l’estetica tanto quanto la comodità. La collezione, dunque, è stata realizzata secondo il principio della cura e delle linee, sottolineata da un utilizzo pregiato delle materie prime. DGW, infatti, è confezionata con cotone Pima, il lyocell e il modal che avvolgono la pelle lasciando libertà di movimento, durante il tempo libero così come tra le mura domestiche.

CATCHING THE MOON – A GRAVITY NOVEL

“The winter is coming”! Questo novembre segna lo spartiacque tra un anno che volge al termine, con i suoi controsensi, le evoluzioni di uno stile libero e valori estetici rinnovati da interpretare con determinazione. Con la complicità di un’accurata selezione d’icone di stile senza tempo, gli irrinunciabili accessori col pedigree per muoversi con successo nella giungla urbana.  





Photography: Umberto Gorra

Creative director: Gianmarco Chianese

I Need You: la nuova iniziativa per la ricerca del team del primo negozio A|X Armani Exchange a Milano

I Need You è l’innovativo progetto di selezione in vista dell’apertura, a febbraio 2022, del primo punto vendita A|X Armani Exchange a Milano. Attraverso l’annuncio dell’iniziativa, con una campagna social dal 15 al 20 novembre e, offline, con un’attività di affissioni dal 20 novembre fino al 3 dicembre, A|X dialoga con tutta la città, invitando chiunque voglia a partecipare all’open day che si svolgerà venerdì 10 dicembre presso l’Armani/Teatro, in via Bergognone 59.

Sarà questa l’occasione per creare una vera e dinamica comunità che si rispecchia nei valori di A|X: un momento per incontrare nuovi amici, condividere e connettersi, indipendentemente dall’esito della selezione. La campagna, fotografata da Alex Nawrocky, sottolinea l’intento inclusivo e si presenta come un mosaico di tipi fisici e atteggiamenti – spontanei, freschi, ironici, seri o irriverenti – in cui ognuno può identificarsi. Lo spirito inclusivo e metropolitano anima tutte le attività del marchio con un messaggio chiaro: A|X è uno spazio mentale e materiale in cui essere se stessi.

‘No diving’, sensualità ed eleganza sul rooftop dell’Aleph Rome Hotel

La piscina e il rooftop panoramico dell’Aleph Rome Hotel, che grazie alla posizione privilegiata nel cuore della città gode di una vista mozzafiato sull’urbs aeterna, fanno da cornice allo shooting realizzato per Manintown dalla fotografa Erica Fava, con lo styling di Sara Paolucci.
Prendendo spunto dall’opera di Helmut Newton, dalla sofisticatezza artefatta eppure dirompente dei suoi scatti in bianco e nero, intrisi di glamour e sex appeal, le immagini che vedete in questa pagina provano a rileggere in chiave moderna e minimalista l’estetica del leggendario autore tedesco, patinata e voluttuosa in egual misura.
Che indossi impeccabili tuxedo da grand soirée (portati però a pelle), maglie dal finish luminoso o un semplice accappatoio in spugna, il giovane protagonista delle foto trasuda uno charme magnetico, ed è attorniato da figure discinte, stese in costume sui lettini, immortalate in pose statuarie ai bordi della piscina o ritte di fronte a lui, issate su sandali con cinturino alla caviglia dal tacco imponente, le gambe fasciate in collant velati trattenuti dalle giarrettiere. Viene suggerita così un’atmosfera di sospensione, sottilmente sensuale, tanto languida quanto elegante, cui fanno da contraltare i tetti di Roma e la solennità di uno scenario monumentale che, a distanza di millenni, non smette di incantare lo spettatore.








Cover: LORENZO hat BORSALINO – Look ROI DU LAC

Photography: Erica Fava

Styling: Sara Paolucci @makingbeauty.management

Make-up: @samiamohsein @makingbeauty.management

Hair: @flavio.santillo @makingbeauty.management

Postproduction: Lisa Pepe

Models

Lorenzo: @redbrickhead @imgmodels

Roberta: @miss.rori @euphoriafashionagency

Artiom: @artiomceaglei_ @fashionartwise

Location: @alephrome

Photo assistants: @chiaradaphne_ / @laura_aurizzi 

Styling assistant: @eledamico

Lazzarelle, il progetto di Silvian Heach a sostegno delle detenute del carcere di Pozzuoli

Sulle persone detenute pesa uno stigma assai difficile da scalfire, che porta a diffidarne apertamente se non a isolarle anche quando intraprendano, o abbiano già compiuto, un percorso riabilitativo, perpetuando così un circolo vizioso che le mantiene ai margini della società; vale a maggior ragione per le donne, vittime di pregiudizi che, nel caso in cui scontino una pena in carcere, aumentano a dismisura, nonostante i dati sulla situazione del lavoro italiana mostrino come, dopo l’emergenza della pandemia, siano proprio loro le più sfavorite.



Bisogna perciò sottolineare l’impegno di quelle aziende che provano a contrastare l’inclinazione generalizzata a emarginare chiunque abbia commesso reati o errori, evidenziando l’importanza di concedergli una seconda possibilità. L’ultima iniziativa del marchio di ready-to-wear femminile Silvian Heach, da sempre attivo nella promozione di campagne per il sostegno e la difesa delle donne, va esattamente in questa direzione, siglando un progetto chiamato Lazzarelle non si nasce, si diventa, che coinvolge la fondatrice e Ceo del brand Mena Marano, la founder della Cooperativa Lazzarelle Imma Carpiniello e Maria Luisa Palma, direttore della casa circondariale femminile di Pozzuoli, accomunate dall’obiettivo di modificare la forma mentis dell’opinione pubblica nei confronti delle carcerate.



Marano ha scelto di unire le forze con la Cooperativa Lazzarelle, torrefazione di caffè attiva dal 2010 nel penitenziario, che impiega appunto le detenute, ciascuna con una propria storia fatta di contesti sociali difficili, che chiedono ora un’opportunità per potersi inserire appieno nel mondo del lavoro.
Per supportarle in questo percorso di reinserimento verrà messa in vendita, sull’e-shop silvianheach.com, una special box contenente sia i prodotti Lazzarelle (nello specifico due miscele di caffè, una tisana e una crema spalmabile), sia quelli firmati dalla griffe, ovvero una T-shirt, arricchita dal logo creato ad hoc del cuore stilizzato stretto in un abbraccio, e una borsa in tessuto sostenibile, decorata dalla stessa grafica. L’incontro di presentazione di questo progetto tutto al femminile, lanciato ufficialmente il 9 novembre, ha avuto come testimonial Sabrina Scampini, giornalista e volto noto della tv. Ad accompagnare il tutto, un reportage fotografico e un documentario che vedono protagoniste le donne recluse nella casa circondariale di Pozzuoli, consentendo loro di raccontarsi in prima persona e spiegare i valori alla base della partnership tra Lazzarelle e Silvian Heach.



Commentando l’iniziativa, Mena Marano si dice entusiasta di “sostenere queste donne che meritano di rinascere e avere una seconda possibilità. Con il duro lavoro alla torrefazione e al bistrot possono auspicare al cambiamento e ad un futuro migliore, rimettersi in gioco e non tornare nelle stesse situazioni che le hanno portate a delinquere. Da parte sua Imma Carpiniello, responsabile dell’impresa all’interno delle mura del carcere che, proprio quest’anno, celebra il traguardo del decennale, precisa: Le donne detenute sono doppiamente svantaggiate, e per questo abbiamo pensato di provare a rispondere a questo bisogno attraverso una torrefazione che produce caffè artigianale. L’incontro con Silvian Heach e Mena Marano, un’imprenditrice che condivide la nostra mission, per noi è una bellissima opportunità.


Lazzarelle non si nasce, si diventa

Il direttore dell’istituto Maria Luisa Palma, che ha subito sposato l’idea della collaborazione, ringraziando la manager del marchio chiosa infine: La persona in carcere ha quasi sicuramente commesso un reato, ma non si identifica con il reato; resta una persona che ama, che soffre, che ha capacità lavorative. Una donna, anche se in carcere, resta il centro di una rete di relazioni, resta il sostegno (spesso l’unico) della sua famiglia, dei suoi figli. E la società fa un torto a sé stessa se si priva di queste persone, delle loro capacità e delle loro potenzialità.

I luoghi della moda: quando una sfilata diventa spettacolo

Il 12 febbraio del 1951 il Made in Italy sfila per la prima volta dinanzi a un pubblico, nella meravigliosa Villa Torrigiani di Firenze: una fortezza immersa in un giardino inglese, con una torre che mira alla perfezione. A organizzare l’evento è l’imprenditore italiano Giovanni Battista Giorgini, un visionario che rivoluziona totalmente il rapporto tra stilista, stampa e cliente.

Nel corso degli anni, il fashion biz nutre l’esigenza di spettacolarizzare gli eventi, attraverso un effetto speciale d’eccezione: la location da sogno, in un mix di arte e cinema, che trasporta il fruitore in giro per il mondo, invadendo spazi storici o contemporanei, in Italia e all’estero.



Nel 2007, per celebrare il 45° anno di attività che segna anche l’addio alle scene, Valentino Garavani sfila nel complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, dopo aver inaugurato una retrospettiva all’Ara Pacis. Admirari che con la sua certa nobiltà visiva, saluta l’ultimo imperatore della moda italiana.

La Maison Chanel, che con Kaiser Karl Lagerfeld ha messo in scena il meglio delle rappresentazioni legate al fashion show, è la capostipite di una tendenza sempre più in ascesa. Dalla consueta sfilata al Grand Palais, dove un transatlantico arenato diventa lo sfondo per la collezione cruise 2019 della griffe, allo show nei luoghi del cinema italiano, Cinecittà; non manca, inoltre, l’approdo all’Havana il 3 maggio del 2016 con la cruise 2017, con il primo show concesso, dai tempi della rivoluzione del 1959 al Paseo del Prado.



A Parigi il legame con la cultura è indissolubile, a testimonianza che la moda non è snobbata ma, anzi, ne è patrimonio nazionale, Louis Vuitton porta lo spettattore nei maggiori luoghi di culto dell’arte contemporanea, i musei, con i suoi eventi itineranti. Il 28 maggio del 2016 presenta la sua collezione futuristica, firmata da Nicolas Ghesquière, sullo scivolo rosso del Museo d’Arte Contemporanea Niterói di Rio de Janiero; ultima, in ordine di tempo, è la sfilata al Passage Richelieu del Louvre.

Christian Dior, sotto la direzione artistica dell’italiana Maria Grazia Chiuri, ha viaggiato in lungo e largo per il globo. Dopo l’evento tenutosi a Marrakech, nel palazzo cinquecentesco di El Badi e in un deserto illuminato da torce, la griffe fa scalo a Lecce con una Cruise 2021, presentata nella storica cornice di piazza Duomo, tra luminarie e Tarantismo.
Il legame indissolubile con il deserto, ancora, porta Yves Saint Laurent a presentare la sua collezione primavera/estate 2021 tra le dune del Marocco: Antony Vaccarello sfrutta il divieto di sfilare in presenza a causa delle misure di sicurezza adottate per contrastare la pandemia, per realizzare uno short movie destinato a rimanere nel ricordo di tutti.

La moda, così, cerca di disfarsi dall’involucro sacro degli spazi ordinari, interfacciandosi con i luoghi d’interesse pubblico. In Italia, però, diversamente che in Francia, c’è una sorta di resilienza nel valicare i confini della comfort zone aziendale, che porta i protagonisti della moda Made In Italy a scegliere, spesso, head quarter e luoghi della tradizione come cornice per i loro show, fatta eccezione per la maestosa e indimenticabile sfilata del 2019 che Dolce & Gabbana hanno orchestrato nell’incantevole cornice della Valle dei Templi ad Agrigento: un omaggio alla Sicilia della Magna Grecia, i cui abiti come sculture riprendevano i fregi e dell’architettura classica tra tulle impalpabile e foglia d’oro sapientemente elaborati in chiave couture, interpretati da 150 top model regine di ogni generazione, da Marpessa Hennink a Bianca Balti incoronate da copricapi fedelmente riprodotti con i dettagli cari ai fasti dell’antica Grecia.

Ann Demeulemeester è lo Special Guest di Pitti Immagine Uomo n.101

Per Ann Demeulemeester la moda è una forma di comunicazione. Il suo complesso linguaggio fatto di contrasti copre un’intera gamma di emozioni. La sua tensione è altamente poetica, i suoi abiti rivelano molti strati di “anima”. Sono semplici, nel modo in cui può essere semplice un coltello. Seri ma mai severi, meticolosi ma al tempo stesso sperimentali, forti ma sempre
sensuali. Conosciuta per il suo tailoring elegante e per l’estetica dark e al contempo glamour, ha creato un mondo sereno e oscuramente romantico, grazie a un intrigante mix di tagliente ribellione e di raffinatezza.

L’iconico brand nato ad Anversa sarà protagonista di un evento speciale – mercoledì 12 gennaio – in scena alla Stazione Leopolda di Firenze.
“Amiamo da sempre lo stile Ann Demeulemeester – dice Lapo Cianchi, direttore comunicazione & eventi di Pitti Immagine – sia per la capacità di non omologarsi e di occupare pacatamente, ma con determinazione, un preciso spazio sulla scena internazionale, sia per l’attitudine a rinnovarsi restando fedele a un’intuizione originaria. Il nuovo corso, avviato da un imprenditore visionario come Claudio Antonioli, lavora su quei caratteri attraverso un dialogo ideale con la fondatrice e i suoi canoni. Siamo onorati di riprendere a Firenze una storia iniziata quarant’anni fa, nel 1982. L’evento pensato per Pitti Uomo 101 avrà un’energia speciale, grazie allo scambio tra forme diverse di espressione creativa, a un’attenzione particolare per le generazioni più giovani e a un racconto sincronico, tra futuro, presente e passato, della moda Ann Demeulemeester”.


Vans e Napapijri collaborano a una collezione dedicata alla vita all’aria aperta

La linea Vans MTE è forgiata da una vita trascorsa all’aria aperta, a inseguire le proprie passioni, sfidando gli elementi. Articoli appositamente progettati per proteggere dalle intemperie, che si tratti di scalare le montagne o andare al lavoro sotto la pioggia.

La collezione Vans x Napapijri, che intreccia la storia dei due brand in un patrimonio e una visione condivisi, è un concentrato di stile e determinazione che riavvicina la natura e le città. Le scarpe propongono modelli chiave come le UltraRange Exo Hi MTE-2, le SK8-Hi MTE-2 in due varianti di colore (Forest Fog e blu), le Old Skool MTE-1 e le Coast CC all’ultima moda. Questi iconici modelli unisex sono stati reinterpretati e ripresentati con combinazioni cromatiche uniche e materiali resistenti, che incarnano lo spirito d’avventura.



Completa questa collezione integrale una gamma di capispalla e accessori funzionali, per affrontare gli elementi senza pensieri. Punto d’incontro tra stile e funzionalità, la giacca Anorak è realizzata in nylon riciclato e presenta una fodera in pile e dettagli checkerboard in rilievo tono su tono. L’iconica giacca è disponibile in due colorazioni: Forest Grey e nero per i modelli da uomo e in versione total black da donna.

Tra gli accessori principali, un cappello da pescatore in sherpa, un originale berretto e un pratico zaino. Unita alle scarpe Vans x Napapijri, questa collaborazione è pensata per un inverno sempre in movimento.

La collezione sarà disponibile a partire dal 5 novembre presso i punti vendita Vans e Vans.eu.


Identità creative di giovani visionari: Moodart ha qualcosa da dirvi

C’è chi ama definirla la perla formativa, nell’ambito della visual communication, del Triveneto, c’è chi afferma che i suoi piani didattici non abbiano nulla da invidiare alle più blasonate realtà internazionali, fatto sta che i suoi neodiplomati hanno davvero qualcosa da dire.

E lo fanno con progetti visivi indipendenti di cui sono i fautori grazie alla spinta geniale generata dalla freschezza delle nozioni acquisite e dalla voglia di imprimere sui social il proprio portfolio.

“Studia, impara, sperimenta, viaggia e, infine, lavora”, questo è il motto che riassume la filosofia dell’Istituto di Alta Formazione che traghetta, sin dal 2011 con i suoi docenti altamente qualificati, centinaia di leve verso le professionalità del futuro.

Vivere il set di un fashion movie, grazie ad una troupe blasonata, e produrre a 360 gradi contenuti visivi, partendo dal concept alla pubblicazione, sono solo alcune delle esperienze affrontate durante il duro anno pandemico dalla classe di Advanced Fashion Styling.

Prova superata alla grande non trovate?


Laura Poletti
Alessia Bonaldi
Carolina Mattos
Gloria Buttazzoni
Maddalena Zanin
Matteo Magnani
Opoku Richmond Jnr



Director Federico Floridi

D.O.P. Paolo Simi

Course leader Advanced Fashion Styling Alessia Caliendo

Styling Advanced Fashion Styling @ Moodart

Grooming Giorgia Pambianchi

Model Lukas @ Indastria Model 

Music Space Hunter

Voice Giuliano Pirotello

Recording studio River Studio

Alessia Caliendo’s assistant Andrea Seghesio

Location Leonardo Hotel Verona 

Beauty tools Foreo 

Thanks to Elk Bakery

Wardrobe

Alexander McQueen

Colmar

Homme Plissè Issey Miyake 

Lorenzo Seghezzi

Moncler Genius

Paul Smith 

Valentino

Backstage photographer Riccardo Ferrato

Backstage video Jessica Basello

Moi aussi, la prima art gallery digitale

Testo di Giulia Manca

“Anche io voglio essere un artista” questa la frase che Andrea Zampol D’Ortia ha sentito il bisogno di dire ad alta voce quando ha messo insieme i tasselli della sua idea. Riconosceva la necessità di dare forma, luce e vita ad una nuova tela, una tela che fosse una nuova realtà, un mondo unico che riunisse artisti provenienti da tutto il mondo intorno ad unico oggetto: l’occhiale.

Così è nato Moi Aussi… fiorito tra le Dolomiti, è il frutto della creatività di Andrea e di suo figlio Luca che hanno plasmato il progetto partendo proprio all’unione dei due mondi, quello dell’occhiale e quello dell’arte.

Un contenitore di idee, di creatività, di persone, questo è Moi Aussi…: la prima art gallery digitale pensata per riunire artisti internazionali intorno ad un’unica tela, sulla quale ognuno di loro ha la liberà di intervenire con la propria creatività.



Quando Andrea racconta del progetto, vediamo scorrere tra le sue mani un fil rouge che trova lì il suo inizio per poi seguire un percorso in continuo divenire; attraversa città, paesi e continenti e porta con sé storie, culture e religioni, una diversa dall’altra, pronte a connettersi e contaminarsi. Realtà e spiritualità, materia e pensiero sono i quattro elementi che hanno guidato Andrea e suo figlio e continuano a farlo accompagnandoli lungo il cammino di Moi Aussi…

Un occhiale realizzato dagli artigiani del Cadore, un oggetto così familiare, diventa l’insolita tela che scelgono di sottoporre agli artisti, dando loro piena libertà di azione, proponendogli di creare, distruggere fino a trasformare l’oggetto in opera d’arte: Moi Aussi… cerca di catturare l’interesse dell’osservatore proprio attraverso la sottile energia sprigionata dalla materia.

La scelta degli artisti, realizzata da Andrea e dal suo team, si basa su un lavoro quotidiano di scouting e di gusto personale, senza lasciare spazio a preferenze per emergenti e affermati. Ad ognuno di loro viene richiesto di mettersi in gioco all’interno di uno spazio atipico con la libertà di creare senza limiti avendo a disposizione diversi modelli di occhiali forniti appunto da Moi Aussi…



“Moi Aussi… è un contenitore vibrante di incontri, di esperienze passate e di luoghi vissuti, dove la libertà, l’istinto e la consapevolezza dell’artista fanno emergere l’espressione delle sue origini, le tradizioni della sua cultura e il proprio animo. Così, nell’unione di genialità e manualità, nasce un’opera unica e non replicabile. Ho immaginato di unire gli animi in modo pure, etico e spontaneo, attraverso il passaggio di un oggetto di uso quotidiano, come un occhiale. Ho adottato un linguaggio comune, quello dell’Arte, che dà modo agli artisti provenienti dall’intero globo di conoscersi, interagire, condividere idee e progetti nel nome della bellezza” questo il messaggio di Andrea Zampol D’Ortia che dona animo a Moi Aussi… insieme ad ogni singolo artista che ne fa parte.

Galleria d’arte di moi aussi…: www.moiaussi.it

Facebook  –  MoiAussiArtGallery

Instagrammoiaussiartgallery

La prima collezione footwear di Canada Goose

Attraverso l’etica di Live in the Open, il marchio lifestyle fa un passo avanti con Romeo Beckham e gli Indigenous Advocates, Sarain Fox e Jordin Tooto

Canada Goose ha rilasciato un’anteprima della campagna per la sua prima collezione footwear, attraverso le storie di Romeo Beckham, dell’artista indigena Sarain Fox e del leader indigeno ed ex giocatore della NHL Jordin Tootoo. La campagna è una dimostrazione dell’intenzione del brand di rimanere fedele alla condivisione di storie reali riguardanti persone reali. La capacità di ogni personaggio di essere un tutt’uno con la natura dimostra che la performance di Canada Goose Footwear permette loro di concentrarsi sul compito da svolgere e di raggiungere la propria metaforica vetta.



La promessa del brand “Live in the Open” celebra ciò che rende ciascuno di questi personaggi una Forza della Natura ed invita le persone a esprimersi liberamente senza giudizio, è un appello ad uscire, esplorare e definire il proprio percorso. Il brand ispira e permette questa esplorazione, dalla testa ai piedi.

Canada Goose ha portato il proprio design all’interno della collezione di calzature con due stili innovativi per uomini e donne. Il primo è lo Snow Mantra Boot, nato dal prodotto di punta del marchio, lo Snow Mantra Parka, progettato per essere funzionale. Lo Snow Mantra Boot, realizzato con una finitura impermeabile, aiuterà ad affrontare alcune delle condizioni più estreme, essendo stato testato nella tundra ghiacciata del nord del Canada. Lo stivale con fodera isolante rimovibile si modella secondo la forma del piede nel tempo, creando una vestibilità innata e personalizzata; mentre i lacci, le coulisse e le cerniere, forniscono versatilità.

Il secondo prodotto è il Journey Boot, realizzato in Italia e costruito per le esigenze di tutti i giorni; è stato progettato con un’iconica punta squadrata, ispirata ai classici stivali da escursionista indossati sulle Alpi. È da questa esperienza che viene mutuato il passo nel tallone, una caratteristica che aiuta quando si indossa e si toglie la scarpa. L’intera struttura è stata realizzata per garantire flessibilità, con il cuscino dell’intersuola e lo stabilizzatore di supporto. La tomaia morbida e flessibile è fatta di soli tre pezzi, un approccio minimalista al design.

La collezione Canada Goose Footwear sarà disponibile dal 12 novembre negli oltre 35 negozi Canada Goose in tutto il mondo, online su canadagoose.com e presso selezionati partner all’ingrosso a livello globale.

Le novità di Pineider, marchio che celebra l’arte della scrittura a 360 gradi

Si può tranquillamente constatare, senza essere tacciati di luddismo, come la quotidianità ormai diretta da smartphone, pc, device vari ed eventuali abbia reso la scrittura manuale una pratica sporadica, sotto certi aspetti forse anacronistica, e però proprio per questo mai così affascinante, pregna di significati che vanno ben oltre il tracciare lettere su un foglio bianco. Lo confermano la diffusione – e i riscontri lusinghieri – di corsi e workshop di calligrafia in ogni dove (nel nostro Paese, quelli dell’Associazione Calligrafica Italiana registrano un boom), oppure il fatto che in templi del sapere quali Oxford o Harvard un numero non trascurabile di professori imponga agli studenti di prendere appunti manualmente.
Nell’ambito del fashion va registrata, invece, la rinnovata fortuna di biglietti d’invito e ringraziamenti vergati a mano, come pure la presenza di penne, matite, notebook et similia nelle proposte di numerosi brand: le rollerball Caran d’Ache vestite da Paul Smith, la papeterie extralusso di Hermès, la recente collezione Gucci Cartoleria, non ultimo il dinamismo di Pineider, marchio che ha dalla sua oltre 245 anni di storia (d’eccellenza) nel settore, cominciata in piazza della Signoria a Firenze, dove Francesco Pineider aprì, nel 1774, una bottega di carte intestate, realizzate curando dettagli infinitesimali e ricorrendo a tecniche d’avanguardia, che consentivano di perfezionare caratteri, rilievi, finiture così come di riprodurre stemmi elaborati o specifici monogrammi.



Nel corso del tempo vennero introdotti articoli di pelletteria lavorati a regola d’arte, avvalendosi della grande tradizione toscana, e quindi strumenti di scrittura altrettanto pregevoli. Una produzione nel segno del ben fatto artigianale insomma, che non tardò a conquistare case regnanti, artisti, intellettuali e appartenenti al beau monde coevo (Napoleone, i Savoia, Stendhal, Leopardi, D’Annunzio per citare solo i più illustri e, limitandosi al ‘900, star quali Marlene Dietrich, Liz Taylor e Luchino Visconti).
Di proprietà dal 2017 della famiglia Rovagnati, Pineider è tornata a far valere una legacy centenaria basata sul lusso discreto, sulla vera – e piuttosto rara – esclusività che, secondo l’azienda, poggia necessariamente sul connubio fra tradizione e innovazione, craftsmanship e raffinatezza, retaggio storico e contemporaneità.



Per tornare all’attivismo di cui sopra, nel solo mese di settembre il brand ha messo in fila novità di rilievo: il 15 è stato inaugurato il primo flagship store negli Stati Uniti all’interno del celebre Rockfeller Center, cuore nevralgico dello shopping newyorchese; una boutique pensata per esaltare i tratti distintivi di Pineider con ambienti dal gusto fin de siècle, scanditi da ferro, vetro, lampadari originali ed elementi cromati affiancati a librerie dai bordi in ottone e mobili in legno d’impronta retrò.
Il negozio di Manhattan va ad aggiungersi a quelli italiani di Firenze, Roma e Milano. Quest’ultimo ha preso il posto, nel 2020, della libreria Feltrinelli di via Manzoni 12, un autentico salotto letterario da cui sono passati, tra gli altri, numi tutelari della letteratura come Eco o Pennac, raccogliendone in qualche modo il testimone con uno spazio consacrato all’arte della scrittura, completo di area lounge denominata “il club degli scrittori”.


Pineider New York
Pineider New York
Pineider New York

Pineider New York

Nelle scorse settimane, ha ospitato due eventi indicativi della volontà di Pineider di consolidare il legame con il mondo letterario e artistico in generale: il 16 settembre i fondatori della scuola di scrittura creativa Molly Bloom, Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, hanno presentato i corsi di narrativa e poesia frutto della collaborazione tra l’accademia e e il marchio, al via il 6 ottobre, che si articoleranno in undici appuntamenti presso lo store milanese, coinvolgendo alcuni dei migliori autori sulla piazza, tra cui gli stessi Colombati e Trevi, Sandro Veronesi, Alessandro Piperno e il premio Pulitzer Jhumpa Lahiri.
In piena fashion week, poi, la boutique è stata teatro dell’incontro tra la verve creativa di Antonio Marras, infusa di lirismo e rimandi all’arte in ogni sua forma, e le carte “upcylced” di Pineider, destinate al macero e invece effigiate dallo stilista con schizzi di volti e soggetti eterogenei, ottenuti intervenendo con sovrapposizioni, strappi, lacerazioni, parole, in un’operazione a metà tra pittura e scultura. Il designer sardo ha firmato inoltre 36 vasi in ceramica, manufatti che giocano con un’idea di imperfezione naturale e poetica, cara sia al designer sia alla griffe toscana, in vendita fino al 9 ottobre.



Oltre alle creazioni in edizione limitata di Marras, nello store nel Quadrilatero della moda trovano posto, naturalmente, i fiori all’occhiello della maison, ovvero stilografiche, quaderni rilegati, card in diversi formati e grammature e la pelletteria, un’offerta che si arricchirà presto dei prodotti della collezione Spring/Summer 2022, tra i quali eccelle l’eleganza assoluta del nero, in versione lucida o matte nelle penne Avatar in UltraResina (materiale esclusivo di Pineider, una combinazione di madreperla e resina), oppure traslato nei pellami soft e nei nylon tecnici delle new entry Metro, due tote bag strutturate dai manici importanti. Non mancano neppure borsoni, zaini, portadocumenti e cartelle nelle sfumature vivaci dello zenzero e del senape, in vitello bottalato o stampato con i motivi miny franzy obliquo e Empress (in quest’ultimo il profilo delle buste da lettera si ripete geometricamente sul corpo delle borse, sfumando dal blu al grigio). Accessori dalla qualità sopraffina, che ben si addicono alla voglia di distinguersi di chi, ancor oggi, preferisce indulgere nel piacere quasi meditativo dello scrivere a mano piuttosto che digitare l’ennesimo messaggio sul telefono.



DoppiaA svela il nuovo headquarter a Brescia

Lo studio di architettura Roberto Bertoli Architetto ha firmato la realizzazione dei nuovi uffici e dello showroom del marchio Made In Italy conosciuto in tutto il mondo, fondato da Alain Fracassi e Albert Carreras 

Due realtà bresciane collaborano insieme, per un nuovo capitolo creativo conosciuto a livello internazionale. Roberto Bertoli Architetto, lo studio bresciano fondato dall’Architetto Roberto Bertoli, ha progettato il nuovo headquarter del marchio di menswear DoppiaA, anch’esso bresciano, situato in via Giacomo Ceruti 20 a Brescia.



Il progetto è un elogio alla creatività evoluta, che fa dialogare passato, presente e futuro, strizzando l’occhio al mondo del design e dello stile elegante. 
Il nuovo headquarter nasce dove, ai primi del Novecento, sorgeva una conceria di pellami per scarpe, poi un magazzino e infine un colorificio.

Oggi, dopo più di cento anni, l’edificio torna a essere punto di riferimento per il mondo della moda. 



L’intero building, di circa 1000 metri quadrati, composto da magazzino, showroom, atelier, uffici, cucina, soggiorno e spazi conviviali, è stato ripensato e ricostruito grazie al progetto firmato Roberto Bertoli Architetto. 
Lo stile minimal si fonde con i caratteri storici dell’architettura di inizio secolo, impreziosita da vetrate uniche e da lastre in pietra che abbelliscono le scale e che raccontano la storia centenaria del luogo. 
All’interno dell’edificio è presente anche un montacarichi storico restaurato e verniciato di nero, che si contrappone ai tavoli da lavoro e ai pannelli in tessuto DoppiaA appesi alle pareti, entrambi realizzati su disegno. 


Laureato al Politecnico di Milano, presso la Facoltà di Architettura Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni, l’Architetto Roberto Bertoli progetta edifici abitativi, museali e corporate in Italia e all’estero. Nelle sue creazioni, minimalismo, volumi e richiami all’hard edge sono protagonisti indiscussi della sua architettura.

Luca Larenza è partner ufficiale dell’equipaggio della vela d’epoca Marga

Luca Larenza affianca con orgoglio l’equipaggio di Marga in occasione delle Voiles de Saint Tropez, regata must che chiude la stagione velica dove yacht classici e barche ultramoderne, i più belli del mondo, si incontrano per un momento appassionante di sport e spettacolo.

Tre anni di restauro rispettando il progetto iniziale, diciassette metri fuori tutto, fasciame in mogano e un vela maestosa, che ha ispirato il ricamo posizionato sul cuore, simbolo della passione che occorre per far rivivere questi scafi stupendi, della polo a manica lunga carry over nuova uniform del team di Marga.

Al ricamo, che riprende il primo piano velico, si contrappone diametralmente il monogramma del marchio, lanciato in occasione della collezione SS19, le iniziali rappresentate da una corda nautica arrotolata.

Cotone egiziano top di gamma, fresco e secco al tatto. Una grafica sporty chic e un mondo che da sempre influenza il designer del brand con le sue divise, i nodi e i punti tipicamente marinari. Una palette cromatica classica: base blu navy e ricami in oro e bianco, rotta da sorprendenti dettagli a contrasto aragosta, a conferma dell’utilizzo insolito del colore, cifra del brand, frutto di uno studio approfondito di Larenza e che rimanda al suo passato da street artist. 

Sono particolarmente fiero di questa partnership che nasce dall’incontro con l‘armatore Igino Angelini e mi avvicina alla poesia del mondo degli scafi d’antan, delle regate e non solo… Marga è un gioiello di artigianalità, che esalta tutta la magia di un savoir faire di altri tempi. Per la sua epoca era una barca estrema, capace di performance incredibili anche dopo 111 anni dal suo varo. In questo rappresenta la sintesi perfetta della mia idea di moda: un’eleganza timeless unita ad un gusto fortemente contemporaneo, materiali di altissima qualità e uso grafico del colore”, commenta Luca Larenza, founder e Direttore Artistico del marchio.

Golden Goose “FROM VENICE TO VENICE”

In occasione del 20º anniversario di Golden Goose e nell’anno che segna i 1600 anni di Venezia, il brand celebra le sue radici e i suoi valori, ritornando nella sua terra d’origine.



Golden Goose ha recentemente annunciato la sua prima partnership ufficiale con l’atleta olimpico statunitense Cory Juneau che ha vinto la sua prima medaglia di bronzo a Tokyo 2020, consolidando l’attitudine lifestyle del brand e la sua affinità con il mondo dello skate.

In occasione del Festival del Cinema di Venezia, il 6 settembre, Golden Goose ha ridato vita all’ iconica skate bowl del brand italiano di skateboard Bastard. Cory Juneau e un gruppo selezionato della skate community si esibiranno sulle acque della Laguna di Venezia e le note della DJ Brina Knauss.

Alla performance è seguita una cena esclusiva al Venice Venice Hotel, un’anteprima assoluta dal concept inedito non ancora aperto al pubblico. L’hotel è la perfetta combinazione di esclusività, artigianalità e bellezza senza tempo. La comunità di sognatori di Golden Goose e Venice Venice condividono gli stessi principi di amore, famiglia, passione, autenticità e positività.Tra gli ospiti Andrea Damante, Enula, Valentina Pegorer, lo skateboarder Rune Glifberg, l’attrice Caterina Shulha hanno assistito alla performance dal vivo della cantante Mafalda immersa in un’atmosfera romantica tra centinaia di rose e candele

‘Les Amateurs: Designers in Quarantine’, il futuro della moda secondo 20 giovani creativi da tutto il mondo

Per Millennial, membri della Gen Z, giovani in generale la pandemia ha rappresentato un fenomeno dalle conseguenze se possibile ancor più disastrose che per il resto della popolazione, un colpo micidiale inferto a generazioni costrette già da anni a confrontarsi con crisi di ogni tipo – economiche, politiche, sociali, identitarie… – e prospettive oltremodo ristrette, angustianti (vedi alla voce emergenza climatica). Eppure, come vuole l’adagio, non tutto il male viene per nuocere, e c’è chi, nel lockdown del funesto 2020, ha colto un’opportunità inaspettata per ascoltarsi, per riflettere su ciò che è realmente importante nelle nostre esistenze mai così frenetiche e colme d’incertezza, sforzandosi di immaginare un futuro comunque migliore di questo tribolatissimo presente, a livello individuale e collettivo. Facendo leva magari sulla moda, che per sua stessa natura è espressione dello Zeitgeist, uno strumento formidabile per indagare la contemporaneità provando, allo stesso tempo, ad anticiparne cambiamenti ed evoluzioni.

Sono partiti da considerazioni simili Federico Cianferoni e Maxence Dinant, giovani autori del documentario Les Amateurs: Designers in Quarantine, in cui a riflettere sul futuro del fashion system sono creativi da tutto il mondo, dall’Europa all’India, da Londra a Buenos Aires, costretti – come da titolo – nelle rispettive abitazioni dal confinamento generalizzato dello scorso anno. Girati dagli stessi protagonisti, i filmati li mostrano all’opera durante le lunghe giornate della quarantena: le riprese indugiano su mani che sfiorano abiti in lavorazione, tagliano stoffe, tracciano figurini sul foglio, muovendosi su tavoli ingombri di “ferri del mestiere”, tra spilli, forbici, rotoli di tessuto, cartamodelli, libri, illustrazioni et similia.
Le venti personalità scelte sono ovviamente assai diverse tra loro, che siano però studenti o professionisti affermati, al servizio di griffe blasonate (saltano all’occhio nomi del calibro di Gucci, Alexander McQueen, Helmut Lang e Berluti) o indipendenti, condividono tutti la necessità, l’urgenza quasi, di tornare all’essenza della moda, creando per il puro piacere di farlo, assecondando un’inclinazione.

I due registi spiegano come lo spunto sia venuto dalle riflessioni condivise, nel marzo 2020, da Li Edelkoort: in una conversazione con il direttore di The Business of Fashion Imran Amed, la trend forecaster olandese, abituata com’è a indagare lo stato dell’arte del mondo fashion, aveva  parlato infatti di «inizio dell’epoca dell’amateur», sostantivo francese derivato dal latino amator (“colui che ama”) che, stando alla definizione della Treccani, designa una persona «che ha amore, inclinazione, trasporto verso un determinato oggetto», «chi si diletta di qualche cosa» oppure un «ricercatore, collezionista». Limitandosi all’industria modaiola, è dunque appropriato per indicare quei cultori che, nella loro pratica, canalizzano ed esaltano valori quali autenticità, inventiva, sostenibilità, artigianalità, dedizione, proprio come i designer che compongono il mosaico di voci della pellicola.

Aperto da una rapida testimonianza dei momenti surreali causati dal Covid-19, i cui effetti continuano tuttora a riverberarsi, il documentario consta di tre capitoli, introdotti da autorevoli insider: Angelo Flaccavento, critico, curatore e firma di punta di testate come Vogue Italia, Il Sole 24 Ore e System (L’Amore per l’autenticità), la coordinatrice italiana di Fashion Revolution Marina Spadafora (L’Amore per l’artigianato) e Sara Sozzani Maino, Head di Vogue Talents (L’Amore per il pianeta e il patrimonio mondiale).
Gli stessi Cianferoni e Dinant hanno d’altronde una certa dimestichezza col settore: il primo, regista e sceneggiatore di origine toscana, nel 2018 ha diretto un fashion film per la stilista Francesca Liberatore (How Far Is Our First Kiss) e il documentario sull’architetto della moda Gianfranco Ferré, Identity Through Ferré, vincitore nella sua categoria al Bokeh South African International Fashion Film Festival; il secondo ha un background da designer e, dopo la laurea alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, ha lavorato a lungo negli uffici stile di rinomate maison (tra le altre Jil Sander, Dolce&Gabbana e Salvatore Ferragamo), per poi studiare recitazione negli Stati Uniti e stabilirsi a Milano, dove si divide tra molteplici ambiti creativi, dalla scrittura alla regia.

I due film-maker, ritratti nelle foto che accompagnano l’articolo da Davide Musto, presenteranno Les Amateurs: Designers in Quarantine a Venezia dal 2 al 7 settembre, nella cornice del Venice Production Bridge, la sezione market della 78esima Mostra del Cinema; la discussione sui possibili – e auspicabili- scenari futuri della moda, più intimistici e a misura d’uomo, passa anche dal Lido.



Ph. Davide Musto
Ph. Assistant Angelo De Marchis
Stylist: Rosamaria Coniglio
Grooming Maria Esposito per Simone Belli Agency 
Location NH Collection Vittorio Veneto 


Brand alert: la collezione di costumi da bagno sostenibili Kust swim

La storia di Kust, marchio premium di underwear maschile sostenibile, comincia in Polonia, a Soport nel 2017. Parliamo di accessori, loungewear e underwear che utilizzano materiali organici e sostenibili da fornitori europei per associare comfort e moda eco-consapevole. Fondato da Kuba Stachowiak, combina estetica retrò e stile minimalista si propone di mettere un freno alla cultura del fast-fashion, spingendo invece sulla cura del dettaglio e della qualità dei materiali.


La campagna Kust Swim per l’estate 2021: costumi da bagno premium da uomo comodi e sostenibili

In un’ode all’estate e sempre in omaggio alle sue radici, questa stagione ci sorprende con una nuova capsule collection perfetta per le giornate estive: kust.swim.
In linea con la filosofia sostenibile, la collezione è realizzata a mano, con nylon rigenerato dalla plastica dell’oceano, Econyl. Il tessuto è ricavato dai rifiuti e sfrutta l’economia circolare, e questo sblocca infinite possibilità di moda sostenibile.
Proprio scegliendo Econyl per kust. swim, il marchio continua ad attenersi alla sua etica di “giocare pulito” e contribuire a ridurre i rifiuti, le emissioni di CO2 e l’energia che i materiali tradizionali utilizzerebbero.

La palette di colori si abbina invece all’architettura gotico-barocca della città di Sopot e alle lussureggianti colline boscose delle città baltiche di villeggiatura.

Costume da bagno slip nero Kust Swimwear, ideale per gli sportivi
Costume da bagno realizzato a mano modello shorts rosso Kust Swim
Estetica retrò e colori accessi er lo slip Kust Swim fucsia
Il nylon rigenerato dalla plastica trovata negli oceani è il materiale principale degli shorts da bagno Kust Swim blu
Lo slip azzurro Kust Swim è l’ideale per lunghe nuotate


Lo slip è senza dubbio minimalista (non ci sono cuciture) incorpora l’iconica etichetta must ed è disponibile in tre diversi colori: nero, turchese e rosa intenso. Se invece siete per il boxer da spiaggia è disponibile anche il pantaloncino da bagno, dal sapore retrò e ispirato a quelli da corsa disponibili in blu reale, nero e rosso.

Editorial: atmosfere denim

Photographer: Filippo Thiella (@filippothiella)

Ass. Ph: Matteo Triola

Stylist: Stefano Guerrini (@stefano_guerrini)

Grooming: Giulia Severgnini (@giulisevergnini)

Styling and set assistants: Paolo Sbaraglia (@paolosbaraglia) Ilaria Taccini (@ilariataccini) Sara Latella (@sarallatella), Laura Grandi (@laugrandi)

Models: Wieger Raven (@wiegrraven) @elitemodels

Felix Lindskog @nextmodels @felixlindskog_









Mod4 annuncia la partnership con Dressx

Era stato annunciato pochi mesi il sodalizio tra MOD4, la game-app che rivoluziona lo shopping online attraverso il concetto di game-commerce e LuisaViaRoma che, come sempre lungimirante in termini di innovazione ha deciso di investire nel Fashion Gaming. Il progetto di Awavear, l’azienda creata da un team di professionisti di LuisaViaRoma e guidata da Andrea Panconesi – CEO di LuisaViaRoma e Marco Ritratti, Head of Digital Marketing – si conferma di grande successo e arrivano già due importanti novità: la collaborazione con DRESSX, il più grande digital fashion retailer al mondo e il rilascio della versione maschile dell’app, la prima nel settore del Fashion Gaming.

MOD4 DRESSX collaborano insieme per oltrepassare il confine tra esperienza di shopping fisica e digitale. DRESSX, la più grande piattaforma al mondo di vendita di digital fashion, mette a disposizione degli utenti MOD4 le collezioni digitali di stilisti tradizionali e new digital artists: insieme le due realtà danno vita ad una nuova tipologia di fashion game interattivo, dando la possibilità agli utenti di vestire i propri avatar all’interno di MOD4, provare i capi e decidere se acquistarli poi nella versione 3D su DRESSX.com per far vestire – digitalmente – la propria immagine reale e creare contenuti fotografici per i social tradizionali.

Ospitando una selezione puramente digitale della piattaforma di retail DRESSXMOD4 concede ai propri utenti anche un’ulteriore forma di gioco, permettendo loro di vestire i propri avatar con capi digitali che sfidano le regole e le norme della moda tradizionale. In un solo passaggio da MOD4 verso DRESSX l’utente può acquistare i capi proposti in app per applicarli alle foto reali pensate per i social media. Un’esperienza interattiva a 360 gradi.

Ma la collaborazione con DRESSX non è l’unica novità. A inizio Luglio e appena pochi mesi dopo il lancio, considerato il grande successo riscontrato in termini di download – oltre 200.000 in pochi mesi – e di coinvolgimento degli utenti, viene ampliata la fascia di pubblico e rilasciata la versione maschile dell’app, andando a coprire una fetta di mercato non ancora considerata e posizionando quindi MOD4 in via esclusiva.

MOD4, attingendo al catalogo di LuisaViaRoma.com è l’unica fashion app a vantare un parterre di oltre 600 Brand tra Luxury e Contemporary con cui gli utenti possono vestire i propri avatar. Ogni capo è linkato alla pagina prodotto di LuisaViaRoma e si può quindi passare da virtuale a reale in un solo click: il coinvolgimento degli utenti è così alto che è stato registrato un notevole incremento di ordini per chi era già cliente del colosso Fashion. Un’esperienza di gioco e shopping a 360° con un grandissimo potenziale in cui LuisaViaRoma crede fermamente, abbattendo infatti le barriere di accesso e riservando alla app la possibilità di inserire nel proprio catalogo i prodotti di qualsiasi Brand, anche quelli non presenti ad oggi sulla famosa piattaforma e-commerce.

TBD Eyewear: a Pitti 100 arrivano gli occhiali eco

TBD Eyewear, marchio Made in Italy di occhiali di lusso fondato dagli imprenditori Fabio Attanasio e Andrea Viganò presenta, in occasione di Pitti 100, la collezione Lino & Orange – Econews.
Una linea che include ricerca e valore artigianale, per un glamour che convice l’esteta uomo e donna. Nel concetto ormai ben collaudato della sostenibilità, l’etichetta italiana svilluppa, per intero, il processo del lavoro “fatto a mano” andando a coinvolgere una filiera di produzione attiva nel nostro Paese. Le lastre in acetato, così come le cerniere montate a mano e le viti sono prodotte da una piccola azienda veneta, su stampi recuperati dagli anni ’30.


A Pitti Uomo, che taglia il traguardo delle cento edizioni, TBD Eyewear presenta la collezione Lino & Orange – Econews, che conferma quanto già proposto per l’estate 2021. Il progetto della linea primavera/estate 2022 ripropone le lenti arancioni abbinate alla montatura eco-sostenibile nera dei modelli Donegal, Lino, Welt e la montatura Dark Tortoise del modello Denim: per un’allure dal carattere smaliziato ed accattivante.




Fabio e Andrea propongono modelli dalla silhouette pulita, caratterizzata da forme rotonde e classiche, particolarmente unisex; gli occhiali sono leggeri, a tutto vantaggio della comodità. Peculiarità che hanno permesso, al marchio, di ricevere il premio “RisingStar”nel settore Fashion in occasione del “Save the Brand 2019”.

Ma scopriamo i nuovi modelli per la spring/summer 2022. Nel padiglione di Pitti Uomo 100, TBD Eyewear presenta LINO, un modello iconico che prende il nome dal tessuto grezzo, tanto apprezzato in estate.
Robusto e squadrato, è relizzato in materiale biodegradabile e riciclabile al 100%. Saranno quattro i colori sostenibili proposti: Trasparent, Black, Havana e Dark Tortoise. Ad affiancare LINO, le nuove proposte Welt, Donegal, Twill, Panama, Oxford e Denim, interamente rispettosi dell’ambiente.




Infine, per la loro passione sartoriale, Attanasio e Viganò lanciano sul mercato i timeless legati all’Alta Sartoria titolando, i modelli, con i nomi di alcuni capi, stampe e tessuti che hanno segnato le tendenze di epoche diverse: Tartan, Twill, Blazer, Lapel, Cran, Pleat, Shetland, Ulster, Vicuña e Cran Kids.

Models to follow: Clinton, Daniel, Santiago

Da alcuni anni nel milieu creativo nostrano sta emergendo «una nuova generazione di italiani» – come la definisce un saggio pubblicato nel 2009 – con ascendenze eterogenee. Sono portatori di una visione e un ethos altri rispetto a quelli predominanti in un contesto impregnato di eurocentrismo, di valori spesso stereotipati che (finalmente) iniziano a cedere il passo all’intraprendenza di personalità determinate a imporsi nella musica (si pensi a Mahmood o Ghali) come nella tv (Skam Italia, Summertime, Zero…) o nella moda.
In quest’ultimo ambito, nello specifico, si fanno largo volti nuovi, modelli che prestano un’immagine fresca ed energica alle griffe di turno, spesso nati o cresciuti nel nostro Paese, forti di un background multiculturale e al contempo italianissimo; mostrano un approccio per certi aspetti più immediato e naïf – eppure d’effetto – alla professione, sulle passerelle come negli shooting.
Un’attitudine spontanea che trova degli interpreti ideali in Clinton, Daniel e Santiago, tre giovani talenti che, supportati dall’agenzia Models Milano Scouting, muovono i primi passi nell’industria fashion. Si sono ritrovati sullo stesso set, sorridenti e rilassati in total look Levi’s (poiché si tratta del marchio Usa, sarebbe più appropriato parlare di total denim, in lavaggi scuri dall’inconfondibile tonalità indaco) davanti l’obiettivo del fotografo Manuel Scrima.
Gli abbiamo rivolto alcune domande, per restituire un ritratto accurato di questi ragazzi, esempi di un’italianità diversa nell’accezione migliore del termine, slegata da cliché estetici o caratteriali.


Uno scatto in primo piano di Daniel, Clinton e Santiago durante lo shooting per Levi’s

Dall’alto: giacca in denim Levi’s Red Tab, camicie in denim Levi’s Red Tab

Primo piano di Daniel, Clinton e Santiago durante lo shooting in total look Levi’s

Da sinistra: camicie in denim Levi’s Red Tab, giacca in denim Levi’s Red Tab

La giacca Levi’s Red Tab indossata dai tre modelli italiani durante lo shooting

Da sinistra: camicie in denim Levi’s Red Tab, giacca in denim Levi’s Red Tab

Daniel, Clinton e Santiago in total look Levi’s

Dall’alto: camicia in denim Levi’s Red Tab,
giacca in denim Levi’s Red Tab, underwear Levi’s, jeans 551Z Authentic Straight Levi’s Red Tab,
camicia in denim Levi’s Red Tab

Clinton

Clinton è un 17enne afroitaliano appassionato e caparbio. Il segno distintivo del suo look sono i dreadlocks raccolti in hair jewels metallici, sfoggiati anche nell’editoriale sopracitato in cui indossa jeans e altri capi Levi’s, che ha rappresentato il suo primo, vero banco di prova nel modeling.

Come sei diventato un modello?

«Me l’hanno sempre suggerito, inizialmente mi sono rifiutato di provare, poi però ho cambiato idea».

Finora qual è stata l’esperienza migliore?

«È appunto questa, avere l’opportunità di partecipare a uno shooting ed essere intervistato».

Raccontaci qualcosa di te…

«Adoro giocare a calcio e mi piace scoprire cose nuove sul mio continente d’origine, l’Africa, ad esempio la storia dei singoli stati, argomenti che non abbiamo mai affrontato a scuola».

Anche in Italia si sono svolte proteste legate al Black Lives Matter, si comincia a prestare maggiore attenzione alle discriminazioni, a parlare di afrodiscendenti ecc. Tu come vivi e ti rapporti a tutto ciò?

«Secondo me ciascuno può pensarla come vuole, tuttavia la libertà di pensiero non deve mai tramutarsi in atti come offese o aggressioni per il colore della pelle, che purtroppo vediamo quotidianamente e limitano la libertà altrui, altrettanto fondamentale».


Cos’è per te la moda?

«Trovo che, perlomeno in quest’epoca, le persone vogliano vestirsi per esprimere il loro pensiero e personalità».

Ci sono brand o designer che apprezzi particolarmente, con cui ti piacerebbe lavorare?

«Il top sarebbe lavorare con quelli che mi piacciono di più come Off-White, Nike e altri che interpretano al meglio lo streetwear».

Un capo/accessorio che racchiude il tuo stile?

«Gli anelli che porto sempre sui capelli».

Social: quali usi e per quanto tempo.

«Instagram e YouTube. Con il primo mi divido tra svago e informazione, con il secondo guardo soprattutto video che trattano degli argomenti più discussi e in generale di avvenimenti storici».


Clinton indossa la camicia in denim Levi’s Red Tab


Camicia in denim Levi’s Red Tab

Daniel

Classe 2004, fisicità nervosa e longilinea da velocista, Daniel gareggia nel campionato italiano di corsa a ostacoli e si considera un atleta. La moda è una novità con cui prendere confidenza, ma gli ha già regalato una campagna per Yezael e l’ingresso nella scuderia milanese della IMG (l’agenzia, per intendersi, di top model quali Kate Moss, Karlie Kloss e le sorelle Hadid).

Raccontaci qualcosa di te…

«Ho 17 anni e vivo a Cinisello Balsamo. Sono un atleta, ho iniziato a fare il modello quest’anno, partendo decisamente bene tra editoriali, interviste e un servizio tv».

Come ti sei avvicinato a questo mondo?

«Mi hanno scritto dopo aver notato delle foto su Instagram, è cominciato tutto così».

Qual è stata finora la tua esperienza migliore?

«Sicuramente quella con Yezael, il mio primo shooting “serio”, ho scoperto solo dopo di essere finito sul Tg5, non me l’aspettavo, assolutamente».

Quali sono i tuoi brand o designer preferiti?

«Il mio brand preferito è Nike, casual chic e sportivo allo stesso tempo, mi piacciono molto anche Gucci, Balenciaga e altri che tendono allo streetwear».

Cosa ti piace fare, quali sono le tue passioni?

«Mi piace un sacco recitare, ho partecipato a un corto e a un video musicale. Nel tempo libero generalmente esco con gli amici».

Cos’è per te lo stile?

«Credo sia soggettivo, comunque non ha a che fare solo con l’indossare certi marchi, capita di vedere persone con capi griffati che, però, non risultano “vestite bene”; oltre agli abiti ci vuole personalità, creatività, bisogna sentircisi bene e farli propri».

Un capo/accessorio per cui hai un debole?

«Le collane».

Social: quali e per quanto tempo li usi.

«Non ci passo molto tempo pur avendo sempre il telefono in mano, però entro spesso su Instagram, anche solo per vedere i feedback».


Anche l’Italia è stata toccata dalle proteste del Black Lives Matter e si comincia a prestare maggiore attenzione alle discriminazioni, all’afrodiscendenza e così via. Tu come vivi e valuti tutto questo?

«Per la mia esperienza personale posso dire che crescere in Italia non è facilissimo, sei consapevole che avrai sempre e comunque gli occhi addosso, come quando a scuola si parla di argomenti come la schiavitù. È un qualcosa che mette a disagio e, allo stesso tempo, ti rafforza, non mi lascio mai intimidire, nemmeno dalle occhiatacce».


Un’immagine di Daniel durante il servizio fotografico che il modello ha realizzato per Levi’s

Camicia in denim Levi’s Red Tab

Santiago

Fisico slanciato, lunghi capelli corvini, Santiago ha sedici anni ed è di origini colombiane. Pratica atletica a livello agonistico, ma è determinato a perseguire la carriera da modello, tanto da spulciare online i catwalk più prestigiosi, in primis quelli di Maison Margiela, marchio di cui apprezza la verve anticonvenzionale.

Come e quando hai iniziato a fare il modello?

«Già due anni fa guardavo i video delle sfilate, mi piaceva l’idea di calcare una passerella vestito in un certo modo; poi mio zio, che lavora da Dolce&Gabbana, ha buttato lì l’idea di provare a fare il modello, mi sono “fissato” e ho cominciato a guardarmi intorno, inviando anche foto alle agenzie, finché ho visto una storia di Manuel su IG; alla fine ci siamo incontrati e ho avuto l’opportunità di mettermi alla prova con un’attività che sognavo da sempre».

Raccontaci qualcosa di te…

«Sono un atleta e questo mi ha sicuramente aiutato dal punto di vista fisico. Correvo fin da quando ero in Colombia (sono stato adottato), in Italia mi sono subito iscritto a una società sportiva e pratico atletica da nove anni, ho partecipato ai campionati italiani e recentemente agli europei. È sicuramente molto impegnativo, ma faccio tutto con enorme piacere.
Frequento inoltre lo scientifico, scuola tosta, devo star dietro anche allo studio che è necessario.
Poi la musica, una delle cose più belle in assoluto, la ascolto continuamente, anche subito prima di una gara perché fa salire l’adrenalina e mi aiuta a entrare nella giusta condizione».

Qual è stata ad ora la tua esperienza migliore?

«Lo shooting con Daniel e Clinton, mi è sembrato un lavoro appunto da modello, passato a fissare l’obiettivo, assumere determinate pose ecc., mi è piaciuto molto, a fine giornata ero esausto ma soddisfatto».

Hai dei marchi o designer preferiti con i quali, magari, vorresti lavorare?

«Mi piace molto Maison Margiela, una griffe davvero particolare, come del resto sono “strani” i suoi modelli, con delle caratteristiche rare a trovarsi, anche a me piace avere un look alternativo, che non segua troppo i trend. Sotto questo aspetto, penso Margiela sia un marchio cui ispirarsi perché al di fuori dei canoni che vanno per la maggiore.
Sarebbe un sogno lavorare con Calvin Klein, uno dei principali brand di cui apprezzo molto l’immagine, ricercata senza essere eccentrica».

Un capo/accessorio che esprime il tuo stile?

«Ho un debole per i gioielli, non esco mai senza un paio di bracciali o una collana: la mia preferita è quella che mi ha regalato mia nonna con delle pietre di fiume. In generale mi piace vestire in modo abbastanza elegante, magari con camicie strutturate, per costruire il mio outfit però mi baso di più sugli accessori».

Cos’è per te lo stile?

«Secondo me una persona ha stile quando, al di là che risulti vestita bene o male, è convinta dei propri abiti e riesce così a distinguersi».

Social: quali usi e per quanto tempo.

«Ultimamente uso molto Snapchat perché mi permette di restare in contatto con gli amici all’estero, poi Instagram per prendere spunto in termini di stile, novità dei brand, canzoni e così via».


Santiago posa per Levi’s con la camicia Red Tab

Camicia in denim Levi’s Red Tab

Paris Fashion Week S/S 2022: un’edizione phygital sospesa tra escapismo e voglia di normalità

Raccogliendo il testimone dalle passerelle meneghine nell’anticipare le linee guida del menswear per la prossima stagione calda, la Paris Fashion Week – andata in scena fino al 27 giugno – ha mutuato da Milano Moda Uomo la formula phygital, crasi che indica la commistione di défilé fisici e virtuali, con una netta prevalenza dei secondi. A fronte di sei show in presenza, infatti, sono stati 68 quelli digitali, per un totale di 73 brand ripartito tra new talent di belle speranze e marchi esemplari della couture, un mix che si ritrova anche nelle collezioni prese in esame, tra designer smaniosi di cancellare le angustie della pandemia a colpi di colore e outfit fantasmagorici e altri che, all’opposto, optano per creazioni “rassicuranti”, ovviamente confezionate comme il faut. A seguire, le proposte di sei griffe che ben sintetizzano la dicotomia stilistica appena menzionata.

EgonLab

È un pot-pourri in bilico tra sartoriale rimaneggiato, tropi di derivazione street, echi 70s e leziosità (pseudo)nobiliari la sfilata Spring/Summer 2022 di EgonLab, label in rapida ascesa guidata da Florentin Glémarec e Kévin Nompeix; «Un invito alla libertà», nelle parole del duo, concretizzato in ensemble prorompenti che mescolano liberamente must-have dell’urban style (giubbetti smanicati, camicie boxy, bomber, windbreaker, frutto anche della co-lab con Sergio Tacchini) e vezzi da gentiluomo di campagna inglese (fantasie minute a quadretti, giacconi matelassé, trench stazzonati, uso copioso del beige ecc.), forme attinte dall’abbigliamento sartoriale degli anni ‘70 (sagomate nella giacca, a zampa nel pantalone) e stravaganze giocate sulle tradizioni aristocratiche o cavalleresche, reali o meno che siano; queste ultime si manifestano nei molteplici tocchi playful, dai pugnali infilati nella giarrettiera ai blasoni posati su scarpe e tessuti, dai colletti di pizzo al bric-à-brac tintinnante delle catenelle di metallo, ché per il marchio francese noblesse oblige è un invito a divertirsi, a osare uno stile variopinto e sopra le righe.



Rick Owens

Rick Owens ambienta nel Lido di Venezia Fogachine, il défilé S/S 2022 che chiude in bellezza la parentesi lagunare del designer, approdato in città nel 2020. La nebbia del titolo simboleggia, nella visione del brand, un’esperienza ambigua, quasi soprannaturale, e dopo le collezioni più recenti (oltremodo cupe e severe) si allude ora a un’ascesi, da realizzarsi – ça va sans dire – attraverso gli abiti. Le linee, tanto per iniziare, sono secche e precise, con una stratificazione appena accennata; fanno eccezione i pantaloni, che sebbene possano ridursi a lacerti di stoffa tagliati al vivo, il più delle volte risultano liquidi, oppure solcati da cerniere che ne estendono il volume.
I modelli avanzano sulle note techno di Mochipet indossando tuniche fruscianti, canotte sbrindellate, aeree o incollate sul corpo, e top velati, portati all’occorrenza sotto capispalla scattanti con spalle rinforzate, ciclopiche come da prassi owensiana. Altrettanto grintosi gli accessori, tra occhiali a mascherina specchiati, monili-scultura e stivali con maxi platform.




Dior Men

Avezzo alle collaborazioni con artisti di fama mondiale, per lo show Dior Men S/S 2022 il direttore creativo Kim Jones fa le cose (ancora più) in grande reclutando Travis Scott, stella di prima grandezza del rap abituata a infrangere record di visualizzazioni e vendite, per la gioia delle molte aziende che lo hanno ingaggiato, da McDonald’s a Nike.
L’intento, spiega una nota, è unire i codici della maison alla mole di input fornita dalla guest star di stagione, che immagina il Texas (suo stato d’origine) come un luogo dello spirito, tra paesaggi desertici e grafismi che afferiscono all’etichetta discografica – e marchio personale – Cactus Jack. In un setting vagamente lisergico sfilano quindi i fili conduttori dell’era Jones (tailoring magistrale, monogrammi, borse dalle dimensioni contenute e compagnia bella) aggiornati à la Scott: così sui blazer sciancrati, chiusi lateralmente e con i revers sollevati, si appuntano spille e catenine bling bling, i pantaloni si allargano sul fondo, il motivo Dior Oblique viene rielaborato per ottenere la scritta “Jack”; per non dire della Saddle Bag sdoppiata, dei camicioni graffitati da George Condo, della profusione di ricami più o meno naïf, delle cromie che, ad eccezione del verde lime, appaiono polverose, come riarse dal sole (caffè, terra di Siena, rosa baby, malva, ceruleo ecc).
Una collezione che si preannuncia tra le più desiderate dell’anno venturo, applaudita da un parterre de rois formato, tra gli altri, da Robert Pattinson, Kate Moss e Bella Hadid.




Hermès

Tra le poche griffe ad aver optato per una sfilata dal vivo, Hermès concepisce da sempre l’abbigliamento maschile come una naturale prosecuzione dei valori che hanno reso le sue borse la quintessenza del lusso, cioè savoir-faire e qualità senza pari al servizio di un’eleganza misurata ed effortless, ammantata di quel je ne sais quoi tipico dello stile parigino; i 41 outfit in passerella ne sono la dimostrazione lampante, uscite che trasudano sofisticatezza, nelle quali il superfluo è bandito e la figura alleggerita sia nei volumi, sia negli abbinamenti.
Parka, soprabiti, blouson e altri capispalla lineari esigono pantaloni relaxed fit o bermuda, trattenuti da cinture in corda d’ispirazione nautica, annodate sul fianco, ai piedi stivaletti Chelsea o sneakers minimaliste. Fanno la differenza, al solito, tagli, costruzioni e texture delle proposte, che nonostante l’impressione di grande scioltezza rivelano una perizia sopraffina nelle lavorazioni, dal suède impalpabile agli effetti dévoré passando per coccodrillo felpato, traforature che delineano i profili di selle, cavalli e altri stilemi equestri cari al brand, pelle resa sottile come carta velina e cuciture in rilievo.
Una semplicità (soltanto apparente) che Véronique Nichanian, direttrice artistica dell’uomo di Hermès, eleva a epitome dello chic.



Davi Paris

Nell’ultima prova della sua label Davi Paris, Davide Marello recupera mollezze e sensibilità cromatiche abbastanza inconsuete nel menswear, per quanto homewear e affini abbiano incoraggiato il vestire comodo. Il designer limita la scelta a pochi, ragionati evergreen (magliette, camicie, suit, tank top, pantaloni a gamba dritta e così via) che colpiscono per l’uso munifico e inventivo del colore: boccioli, petali e tralci sono pennellati sui tessuti in tonalità decise o flou, riprodotti ton sur ton sullo jacquard o sfocati in pattern vibranti, esplorando un ricco repertorio di nuance, dalla gamma dei blu al rosso, dal glicine al verde brillante. Le calzature (sandali in pelle a doppia fascia) si accordano al mood studiatamente languido delle mise, ideali per chi, nell’attesa di tornare in modo definitivo alla normalità, voglia liberare la fantasia almeno nel proprio look.





Birkenstock e Jil Sander: la collezione per il tempo libero e per la vita all’aria aperta

La collezione ideata dai Direttori Creativi Lucie e Luke Meier, è stata pensata per la vita all’aria aperta, le scarpe e i sandali unisex per Jil Sander+ fondono i concetti di lusso, comfort e design di Jil Sander con l’autentica silhouette Birkenstock. 


La linea presenta quattro differenti modelli: 

 tre reinterpretazioni radicali di classici modelli Birkenstock e un modello completamente nuovo. Bilanciando la creatività con il DNA e il know-how di Birkenstock, i Meier hanno trovato una sintesi, un punto in comune, tra funzione e design, infondendo uno spirito diverso a sandali che sono divenuti icone contemporanee. “Abbiamo scelto di collaborare con Jil Sander, credendo nella nuova interpretazione di Lucie e Luke Meier. Crediamo che abbiano offerto al brand rilevanza e autenticità. Insieme abbiamo ottenuto ciò a cui puntiamo sempre – vere novità e innovazione prodotto”. – Oliver Reichert, CEO di BIRKENSTOCK.



 Arizona , Milano e Berlin, questi i nomi dei tre modelli proposti presentano una silhouette esagerata con un profilo arrotondato più largo e alto e suole più grandi, per un look deciso e solido. La palette è chiara, grafica e naturale: crema, oliva e nero.

Tocco più delicato e grezzo grazie a cinturini, in puro suede o pelle di vitello tagliata a vivo, che vengono ora allargati e allungati . Nickel satinato per le fibbie . Tra le novità anche Il nuovo modello Velan , una nuova reinvenzione del sandalo a punta chiusa Berlin, con un morbido cinturino in nappa per avvolgere le caviglie. Indossiamo le Birkenstock da sempre. Sono confortevoli e allo stesso tempo ti fanno stare bene. Ci hanno accompagnato in luoghi speciali, in accampamenti nella natura selvaggia canadese come davanti a un caminetto nelle alpi svizzere. Tuttavia la qualità e integrità di Birkenstock ci hanno convinto a lavorare con loro”. – Lucie e Luke Meier, Direttori Creativi di Jil Sander.



La collezione sarà disponibile in esclusiva per una settimana su jilsander.com, 1774.com e mytheresa.com a partire dall’1 luglio e a seguire presso retailer internazionali e store Jil Sander selezionati dall’8 luglio. 

La moda uomo primavera/estate 2022: la creatività come propulsione della rinascita

La moda uomo riparte con uno slancio creativo inatteso: la primavera/estate 2022 segna una ripresa che tutti attendavamo già da tempo e a beneficiarne sarà lo stile, tra capi oversize, linee pure e destrutturate. Nel mix & match proposto dai designer, inoltre, non mancherà la fluidità che si traduce in giochi di ruoli che si affermano attraverso capi dall’allure femminile, come indicatori di una società che cambia aspetto, senza identificarsi nel genere.

Nei laboratori degli stilisti, dunque, si avverte quest’ondata di positività che è stata trasmessa sulle passerelle. È chiaro, dunque, che il principale intento dei creativi nostrani sia stato proporre tendenze che spingano l’uomo a ritrovare la sua libertà, esprimendola attraverso il suo guardaroba.



Una “stagione” della moda che mette sotto la lente d’ingrandimento anche il valore artigianale con il ritorno della lavorazione a maglia e la riconferma dell’upcycling che registra un aumento esponenziale di adepti nel fashion biz.

Ancora una volta, quindi, il valore della rinascita passa prima dalla consapevolezza di una tradizione che ha ancora un peso. Se la prossima primavera/estate 2022 sarà all’insegna dell’evasione, dovremmo dire grazie ad un abbigliamento casual che non dimentica, però, la sua storia con un’heritage (quello italiano) che fonda le sue radici nella cultura del bello e della preziosità.



Non è un caso, dunque, che il marchio di menswear Magliano abbia codificato il ritorno alla normalità attraverso un attento recupero del passato, mixando moda uomo e donna, per una fluidità che diventa un caposaldo dei trend futuri.
All’uomo della prossima stagione bella, dunque, si chiede un atteggiamento positivo nei confronti del suo presente, attraverso capi comodi e dalla leggerezza impalpabile; con quelle stampe decise, di tigri e rose, che fanno emergere i quattro fluidi umorali: Melanconico, Sanguigno, Flemmatico, Collerico, tanto cari ad Ippocrate.

Per Magliano, le giacche dal taglio classico, i pantaloni con pinces in evidenza, la guayabera (una camicia in tessuto naturale con quattro tasche sul davanti) e le t-shirt sono prerogativa per un 2022 tra casual e sartorialità.

Con la collezione S/S 2022 debutta il total look di PT Torino

Di fronte alle difficoltà e incertezze di questa fase storica, alcuni brand anziché tenere botta hanno deciso di rilanciare. È il caso di PT Torino, che ha fatto di trousers e cinquetasche in denim haut de gamme la colonna portante della propria attività sin dalla fondazione nel 2007: come spiega infatti Edoardo Fassino, Ceo di Cover 50 SpA (gruppo proprietario della griffe, ndr), l’ultimo anno è stato caratterizzato da «una profonda analisi che ha rimesso tutto in discussione, evitando di cadere nell’errore di considerare immutabili alcuni fattori di successo del passato».



Si è arrivati perciò a un ampliamento dell’offerta del marchio, con l’introduzione di camicie, capispalla, jersey e maglie, oltre 400 articoli in totale; una collezione a tutto tondo quindi, che affiancherà dalla Spring/Summer 2022 i pantaloni must di PT Torino e, come questi, aspira a sovvertire la nozione comune del “classico”, privandolo di sovrastrutture, elementi routinari e rigidità di ogni sorta, così da trasformarlo in un segmento del menswear contemporaneo e dal forte appeal, all’insegna di abbinamenti inusuali, virtuosismi costruttivi e un’attenzione meticolosa a forme e tessuti. D’altronde, continua Fassino, «Per noi un classico è ciò che riesce ad evolversi e restare sempre attuale senza perdere il suo valore intrinseco, è questo il concetto che vogliamo trasmettere».
Gli fa eco Domenico Gianfrate, direttore artistico del brand, che rivela come la spinta all’innovazione sia venuta «dalle lamentele dei nostri clienti e, in generale, dall’eccessiva staticità della categoria. Secondo noi, invece, i consumatori sono molto preparati e pronti a recepire le novità cui abbiamo pensato».



È sufficiente, in effetti, uno sguardo alle immagini del lookbook che presenta il ready-to-wear S/S 2022 per rendersi conto del carattere sperimentale dell’operazione: se i volumi si mantengono clean, prevedendo linee morbide in alternativa a quelle più asciutte, le scelte dei colori e, soprattutto, quelle materiche ribaltano le consuetudini, optando per filati tecnici o mix inediti (ad esempio lana accoppiata a mohair o jersey ultraleggero, cotone mescolato a viscosa oppure lyocell). Lavorazioni e tagli studiati al millimetro donano freschezza e duttilità ai capi, tra bowling shirt dalla linea squadrata, trench minimalisti interamente termosaldati e nastrati, texture mosse da stampe o righe marinière, camicie tramutate ora in overshirt, ora in bomber décontracté.
La rivisitazione del classico non può non passare, infine, dal fiore all’occhiello del marchio, i pantaloni: se i jeans esplorano fit assai diversi (dalla vestibilità skinny del modello Rock a quella loose del Reggae, all’oversize del Rebel), i chinos scoprono nuove declinazioni grazie all’aggiunta di note grintose quali zip e coulisse, oppure si ibridano con i cargo pants, preservando sempre quell’eccellenza nella confezione che, da ora in poi, distinguerà anche il total look firmato PT Torino.

L’estate addosso nella collezione S/S 2022 di Iceberg, tra sportswear, street culture e Pop Art

East Coast e riviera adriatica, abbigliamento sportivo e utilitywear, tocchi artsy e sottoculture musicali, comics e attitudine street: la collezione di Iceberg per la Primavera/Estate 2022 è un amalgama di suggestioni attinte da ambiti disparati, riunite per l’occasione negli stabilimenti della costa romagnola che fanno da cornice agli scatti del lookbook Uomo e Donna, scenari evocativi di un’estate inconfondibilmente italiana, tra distese di ombrelloni a perdita d’occhio, feste notturne pieds dans l’eau e partite sul bagnasciuga.
Il trait d’union dei look, sia maschili che femminili, è rappresentato dallo spirito giocoso ed irriverente che permea ogni singola proposta, in un métissage di stili e riferimenti ad alto tasso di energia, l’ideale per lasciarsi definitivamente alle spalle (o quasi) il senso di oppressione dell’ultimo anno e mezzo, fantasticando sulle vacanze di là da venire. Quella delineata dal brand del gruppo Gilmar è infatti «una nuova era» – per usare le parole del direttore creativo James Long, che vede protagoniste «persone decise a “provarci”, senza farsi trattenere dalla paura».




Il designer approfondisce la tradizione del marchio in tema di athleisure dall’animo luxury, rifacendosi alle tenute da gioco di due sport enormemente popolari oltreoceano, baseball e basket: così ampi bermuda, sweatpants, polo rigate, blouson, maglie smanicate e felpe con lettere sovradimensionate puntellano outfit che trasudano rilassatezza e joie de vivre, passando con disinvoltura dai pantaloni dalla foggia militaresca ai pullover décontracté, dalle coulisse che rifiniscono gli orli agli anorak dagli accenti rosso fuoco, senza che vengano mai meno note sartoriali handmade e tagli puliti, confortevoli. Completano il quadro stampe audaci in tonalità vivide – una specialità di Iceberg – che accolgono, al solito, elementi sottilmente kitsch e personaggi dei cartoon (nel caso specifico, Charlie Brown e Snoopy), oltre a scritte che reiterano ad infinitum il nome del brand, striature fluo sulle superfici della maglieria e disegnature dal tratto pop, su tutte le banane di conio wharoliano.


La palette cromatica richiama i gusti dello snack estivo per antonomasia, il gelato, alternando nuance verde menta, cioccolato, giallo limone, arancio ecc., con l’aggiunta di campiture nere, bianche, beige e blu Klein. Gli accessori ricalcano il mood di stagione, a metà tra sporty-chic e utilitarismo, a partire da marsupi e borselli crossbody ricorrenti, per proseguire poi con cappelli (da baseball o bucket hat), occhiali da sole allungati, sneakers dalle linee marcate, sandali e ciabatte slides fornite di microscopico pouch.
Le mise femminili, infine, sono speculari al menswear, e puntano in particolare sul carattere active dei capi, tra grafiche dal tono vintage, volumi over, zip, techwear, tessuti naturali abbinati a materiali innovativi come il taffetà ricamato.




Il ‘ritorno alle origini’ della collezione Giorgio Armani P/E 2022, nel segno dell’eleganza timeless

La pandemia ha segnato inevitabilmente una cesura anche nel mondo della moda, facendo tabula rasa di molte dinamiche date per assodate e costringendo i vari brand a ripensare l’offerta di prodotto, in alcuni casi la propria stessa identità creativa. Nel caso di Armani, tuttavia, questo stravolgimento ha piuttosto rafforzato un’idea del (ben) vestire da sempre distinguibile per l’esattezza, la solidità e la coerenza della visione di Re Giorgio, una sorta di continuo labor limae dei capisaldi che hanno consacrato l’omonima maison nell’empireo del fashion.
La collezione Giorgio Armani Primavera/Estate 2022 è solo l’ultima, sontuosa testimonianza dell’assunto, significativamente intitolata Ritorno alle origini, al quartier generale del marchio di via Borgonuovo, nel cuore di Milano, là dove tutto è iniziato oltre quarant’anni fa. Un ritorno che il designer intende come un concentrato degli essenziali dello stile (termine che, ribadisce, preferisce alla parola moda), sui lemmi inequivocabilmente armaniani che consentono di riconoscere tra mille una sua creazione.





Nel cortile dello storico palazzo meneghino sfila, dunque, una summa dell’eleganza maschile made in Armani, soffusa e superbamente noncurante, che vira sullo sportswear pur senza rinunciare al «senso di appropriatezza» – così lo definisce lo stilista – traducibile come un secco rifiuto degli eccessi, delle stravaganze fini a se stesse. Ci sono pertanto i pantaloni con le pinces, che scivolano languidi sulla gamba oppure carrot fit, dal fondo assottigliato, e i blazer destrutturati di prammatica, dalla proporzioni armoniose, che si accompagnano a maglie sottili, blouson o camicie intonse, e da sostituire all’occasione con combinazioni inedite, ad esempio giubbino e pants nel medesimo tessuto gessato, oppure con bomber, capispalla chiusi da zip e gilet, indossati anche a pelle; qui e là si stagliano fiori stilizzati, motivi geometrici dal sentore etnico e le iniziali del fondatore e direttore artistico, effigiate sulle texture a mo’ di sigillo di garanzia. Per la sera, ecco poi l’immediatezza, per certi versi radicale, delle bluse con collo a listino sui pantaloni scuri.
Le uscite trasmettono leggerezza e comfort, tra materiali ariosi che appaiono privi di peso e forme lineari che accarezzano il corpo, una sensazione accentuata dalle sfumature della palette cromatica, che vanno dal blu oltremare a sprazzi di rosso e verde, dal bianco gesso al greige, una tonalità quest’ultima in puro Armani style, come del resto l’intero show.




L’eterno ritorno del preppy, lo stile college che piace (anche) a star, marchi street e Gen Z

Dopo mesi e mesi trascorsi prevalentemente in casa, vestiti alla bell’e meglio con tute informi, pigiami & Co., curando il look al massimo dalla vita in su per adeguarsi ai canoni dello zoomwear (l’abbigliamento formato videochiamata), è alquanto strano immaginarsi alle prese con camicie button down, cardigan, pullover a trecce e altri punti fermi del preppy, l’abbigliamento “perbene” diffusosi negli Stati Uniti dagli anni ‘50 attraverso le divise degli studenti delle preparatory school (preppy è appunto un’abbreviazione del termine) e delle università appartenenti al titolatissimo circuito Ivy League. Eppure non ci sarebbe nulla di strano nel fatto che un periodo a dir poco complicato venga seguito dal ritorno a uno stile habillé, curato fin nei minimi dettagli: interpellato dal sito Oracle Time a gennaio, il direttore del corso in Fashion Design della University of Westminster Andrew Groves spiega, infatti, che «In tempi di crisi economica, disoccupazione e futuro incerto […] adottiamo un approccio molto tradizionale e formale a ciò che indossiamo».
A ben guardare, effettivamente, nei reami della moda – fenomeno ciclico in sé – lo stile college è un fiume carsico che appare e scompare a intervalli più o meno regolari, e mettendo in fila una serie di elementi c’è da credere che sia arrivato l’ennesimo affioramento; ruota ovviamente intorno ai cardini della categoria (penny loafer spazzolate, pantaloni con la piega, maglie da rugby, varsity jacket e via discorrendo), conferendogli però un quid disinvolto, in ossequio a quella spigliatezza nel vestire che un anno e passa di pandemia ha reso un dogma inderogabile.




Il mese prossimo, tanto per cominciare, debutterà su Hbo Max il reboot di Gossip Girl, telefilm cult nel primo decennio del 2000, incentrato su un gruppo diliceali dell’altà società newyorchese tutti party, limousine, shopping sfrenato, beghe familiari e amorose spifferate dall’anonima ragazza del titolo. La nuova versione si preannuncia inclusiva e queer friendly, a partire dal cast totalmente rinnovato che va da Evan Mock, skater e modello dall’inconfondibile buzz cut rosa bubblegum, all’ex enfant prodige dell’editoria digitale Tavi Gevinson; vestiranno i panni (azzimati, of course) dei rampolli dell’Upper East Side di Manhattan, tra chinos color sabbia, cravatte a righe portate lasche sulle camicie, mocassini lucidati a specchio, blazer e felpe rifinite dagli stemmi dei (fantomatici) istituti d’élite frequentati.

Ci sono poi le iniziative di griffe come J.Crew o Gap, gloriosi simboli del casualwear made in Usa costretti a fare i conti con travagli economici e una generale perdita di appeal, soprattutto tra le giovani generazioni, che la chiusura dei negozi dovuta al Covid-19 ha ulteriormente accelerato. Il primo nel 2020 ha addirittura dichiarato bancarotta, avviando una fase di ristrutturazione culminata con la nomina di Brendon Babenzien alla guida della divisione maschile.
Il nome a molti non dirà granché, ma si tratta del designer che ha guidato per anni l’ufficio stile del brand street per eccellenzaSupreme – e del co-fondatore di Noah, label particolarmente apprezzata per l’abilità nel rivisitare gli essentials dell’abbigliamento di stampo classico (polo a maniche lunghe, pantaloni con le pinces, doppiopetto pied-de-poule, completi in velluto a coste ecc.) elevandoli al rango di novelli desiderata maschili grazie all’aggiunta di tocchi spesso imprevisti e scanzonati, che siano ghirigori floreali, fodere in tartan dagli accenti flashy o righe multicolor, che ha collaborato tra le altre con Barbour (marchio preppy in purezza) scombussolando l’aplomb british delle giacche cerate preferite dai Royals a colpi di paisley, tonalità evidenziatore, adv d’archivio e zebrature.

Il suo è dunque il nome giusto, in teoria, per ridare slancio a un’azienda appannata come J.Crew, che ha costruito la sua fortuna sui pezzi basici e rischia adesso di risultare passé.




Un discorso simile vale per Gap, nato nel lontano 1969 e divenuto un colosso dell’abbigliamento riempiendo i negozi di maglie d’ispirazione collegiale, articoli in denim, calzoni khaki e altri American classics dall’invidiabile rapporto qualità-prezzo, fino agli odierni periodi di magra. La proprietà prova a superarli, da un lato, annunciando un drastico taglio dei punti vendita, dall’altro mettendosi nelle mani di colui che nel bene o nel male (de gustibus) ha segnato le cronache modaiole degli ultimi anni, ovvero Kanye West. Il rapper, produttore ed ex marito della bombastica Kim Kardashian firmerà una collezione in esclusiva per la catenaribattezzata Yeezy Gap, l’equivalente a buon mercato della linea di streetwear con cui ha ottenuto successi planetari. Un assaggio si è avuto con l’uscita del primo frutto della collaborazione, un giubbino in nylon imbottito azzurro dalla silhouette aerodinamica, ovviamente sold out a tempo di record.


Una spinta non secondaria l’hanno data anche, di recente, alcuni big dell’industria musicale come Tyler, The Creator, Pharrell Williams e Asap Nast, decisamente a proprio agio con indosso gilet, blouson zippati, maglioni con scollo a V, suit dai toni cipriati e tutto il corollario guardarobiero degli studenti di buona famiglia che, a suo tempo, tracciarono le coordinate del college style, contribuendo inoltre, con la loro personalità istrionica, a stemperarne la marcata connotazione wasp (letteralmente white anglo-saxon protestant, i cittadini bianchi appartenenti alle classi più abbienti degli Usa) che lo ha accompagnato fin troppo a lungo.
Last but not least, i circuiti ufficiali della moda: va citata, in primo luogo, la capsule collection Boss x Russell Athletic, presentata a marzo con uno show-evento che ha coinvolto una pletora di influencer, celebrità e top model (da Bella Hadid a Lucky Blue Smith passando per Keith Powers e Ashley Graham) in un trionfo dell’iconografia preppy in salsa sportiva, tra cardigan, felpe logate da campus universitario, camicie Oxford, completi dégagé rosa salmone o blu navy, spolverini tagliati da bande ton sur ton e via così.



Pullulano di spunti collegiali pure le sfilate per la stagione in corso, a partire dalla Ouverture of Something that Never Ended di Gucci (svelata nella già mitologica miniserie diretta da Gus Van Sant), in cui appaiono polo color block, maglioni a rombi e abiti madras, spesso appaiati a bermuda sartoriali, calzettoni al ginocchio e loafer; la collezione S/S 2021 di Rhude, invece, è colma di giacche varsity, mocassini scamosciati e maglieria in nuance terrose, mentre da Maison Kitsuné abbondano capi fantasiosi in stile rugby, girocollo bon ton e tessuti finestrati. E ancora, nella sfilata di Amiri campeggiano giacche collegiali di ogni tipo, minimaliste oppure profuse di stemmi e toppe, da Lacoste l’aspetto compìto di pullover profilati, gilet e shirt viene ravvivato da sfilacciature e tinte piene, mentre Ernest W. Baker propende per soprabiti scivolati, quadretti gingham e iniziali ricamate sui taschini.

Allargando lo sguardo alla stagione fredda che verrà, la musica non cambia: si notano elementi preppy in quantità su molteplici passerelle, da Isabel Marant a – di nuovo – Boss, da Wales Bonner a Etro. La tanto agognata ripartenza post-Covid, insomma, potrebbe essere all’insegna di un dress code che, nonostante sia comparso decenni or sono, dimostra di poter ancora fare scuola – o meglio, college.

Vìen: la collezione uomo primavera/estate 2022. La musica che mixa casual e sartorialità

Vincenzo Palazzo, fondatore del marchio Vìen, mi racconta la sua incredibile storia, in una calda giornata di giugno. Ironizziamo molto sulle nostre origini e sul divario, incredibile, che separa la musica italiana da quella inglese contaminata, negli anni Ottanta e Novanta, da quel che rimaneva della straordinaria stagione della Swinging London.

La sua collezione uomo primavera/estate 2022, che è presentata in digitale durante la Milano Moda Uomo il 22 giugno, si ispira proprio alla musica, sua primaria fonte di ispirazione. Passione ereditata dalla sua famiglia allargata, composta anche da zie e cugine, che ascoltavano l’Hacid House e il rock, negli ultimi decenni del Novecento.

Giacca Vìen dal taglio sartoriale realizzata in denim blu
Abito lungo della collezione donna Vìen presentato alla Milano Fashion Week
La felpa Vìen multicolore che abbina casual e glamour
Completo kaki corto alla sfilata Vìen della collezione primavera/estate 2022
Smanicato in denim su camicia bianca sulla passerella Vìen della Milano Fashion Week

In Puglia conosce Elena, il suo braccio destro. A lei, affida la modellistica mentre lui, schizza gli abiti. La prima collezione del marchio nasce a sei mani con l’aiuto di una sarta pugliese, che traccia le linee dei cartamodelli a mano. Come si faceva una volta ma lontano dai laboratori di lusso.

Quello con Elena è un sodalizio vincente che continua dal 2017. Da quando Vìen, insomma, debutta sulla scena glamour e conquista la fashion week milanese.

Anche per questa sessione di presentazioni, causa limitate libertà attuate per fronteggiare la pandemia da Covid-19 in corso, Vìen presenta il suo progetto in digitale. A corredo della collezione, il video che Vincenzo esibisce durante MFW si ispira, per le suggestioni psichedeliche e i riferimenti, al “Twenty-Four Hour Party People”: film documentario di Michael Winterbottom del 2002, che racconta la Manchester di quegli anni. L’intero progetto è stato girato nel tempio delle discoteche milanesi, I Magazzini Generali, e la colonna sonora del video è stata stampata in vinile su edizioni Vìen e distribuita come invito a vedere il video in remoto sul sito di Camera Moda.

Completo grigio chiaro della collezione Vìen Primavera/estate 2022
Collezione Primavera/Estate 2022 Vìen: Completo fantasia in bianco e nero con camicia abbinata
Abito e caposcala per lei in fantasia bianco e nero alla sfilata Vìen della Milano Fashion Week
Completo sartoriale classico realizzato da Vìen in denim blu

Vincenzo, a cosa si ispira la collezione uomo primavera/estate 2022?

Un eco di ricordo della mia gioventù. La scena Baggy di Manchester è stata l’apripista del trip hop con band come Stone Rose. L’inghilterra da sempre ha influenzato l’arte, la musica e anche la moda. È stata madre delle maggiori rivoluzioni culturali della nostra era come la Swinging London, il punk e anche il baggy. Manchester è diventata la discoteca moderna con il celeberrimo club “The Haçienda” e Vièn, sin dal suo giorno zero, si è sempre lasciata ispirare dalla musica”. 

Qual è il punto di forza del marchio?

Vìen è un brand che fa della contaminazione stilistica il suo punto di forza. Sartorialità e moda casual coabitano assieme per un mix culturale che di base convince sia donne sia uomini. 

Chi è l’uomo che veste Vìen?

L’uomo che veste Vìen è moderno, ma ha la capacità di proiettarsi nel futuro. Allo studente, imprenditore o semplice impiegato riconosco anche l’abilità di riconoscersi nelle mode del passato. 

Qual è il mood della collezione?

La collezione uomo spring/summer 2022 presenta una varietà di capi; i pantaloni modello cargo (in gabardine) con pinces non sormontate da cintura si mixano a felpe intarsiate con jersey e denim. La grisaglia in fresco lana, dal taglio classico, è abbinata al jersey d’ispirazione psichedelica. Le silhouette si sovrappongono e creano look che si adattano per essere indossati senza alcun genere.

WAD – WE ARE DREAMERS, il nuovo brand per non smettere di sognare

Se siete sognatori incalliti dovete assolutamente conoscere la nuova tappa del percorso di vita di Luca Tommassini: il lancio di un brand che invita a inseguire e realizzare i propri sogni, un progetto nel segno dell’inclusione, che aggrega e coinvolge una “dreamer community” di giovani creativi nelle arti performative, musica e cinema.


WE ARE DREAMERS è nuova linea, un collettivo di amici, un pensiero rivolto a tutti i guerrieri dei sogni e nasce dall’incontro tra Luca Tommassini, talent scouter e direttore creativo notoa livello internazionale, Federico Poletti (giornalista e founder di Manintown Magazine) e Alfredo Fabrizio, direttore creativo, che segue lo sviluppo delle collezioni moda e accessori del marchio. Proprio in un periodo difficile e di crisi è nata una collezione che vuole incoraggiare tutte le persone a riconquistarsi una vita migliore. Il primo statement  è  DON’T FUCK WITH MY DREAM, un invito a combattere per i propri sogni che si ritrova sulle felpe, t-shirt e il baseball cap. La prima capsule collection si compone di modelli leisure caratterizzati da grafiche new optical, grande attenzione ai dettagli e slogan dal forte impatto.

Il marchio debutta il 20 giugno con un evento a Milano Moda Uomo e un progetto speciale legato a Fondazione Pangea Onlus, organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne e delle loro famiglie che hanno subito violenze e vogliono ricostruirsi una vita. Grazie ad una speciale t-shirt “DON’T FUCK WITH MY DREAM” il brand ha deciso di supportare i sogni di mamme e bambini, che grazie alle attività di Fondazione Pangea Onlus possono ricominciare una vita serena insieme.

Si prevedono due uscite l’anno (AI e SS), oltre ai diversi special project collegati al mondo del cinema, musica e spettacolo che scaturiscono dalla creatività vulcanica dello stesso Luca Tommassini che racconta: “DON’T FUCK WITH MY DREAM è una frase che mi porto dietro da tempo, un mio modo per difendermi e urlare al mondo di non rovinarmi i sogni, di non frenare e fermare la voglia di conquistare i sogni. Un monito a scendere in campo dopo un periodo così difficile. WE ARE DREAMERS sarà indossata da tutti i sognatori nel campo delle arti e da tutte le persone che torneranno a vivere i propri sogni e conquistarli con coraggio”.

Ph: Davide Musto

Serhat Işik e Benjamin A. Huseby, i nuovi designer di Trussardi che hanno raggiunto il successo con il collettivo GmbH

Lo scorso martedì Trussardi ha annunciato la nomina dei nuovi direttori artistici Serhat Işik e Benjamin A. Huseby, duo dietro il collettivo GmbH. Il marchio del levriero tenta così di ritrovare lo smalto dei tempi migliori, che dagli anni ‘70 l’avevano visto trasformarsi da guanteria di lusso a una delle stelle più luminose nel firmamento del nascente prêt-à-porter nostrano, per conoscere poi un periodo di appannamento, tra il passaggio al fondo QuattroR (la famiglia ha mantenuto una quota di circa il 30% della società), la razionalizzazione di un’offerta a lungo frammentata in varie linee young e contemporary, i cambi di guida creativa e le sporadiche capsule collection con designer emergenti, chiamati a reinterpretare gli archivi. A Işik e Huseby spetterà il compito di risollevare una griffe che, come hanno precisato loro stessi commentando la notizia, «si distingue per il suo heritage e il suo enorme potenziale».



In attesa della prima collezione per Trussardi, si può approfondire il percorso compiuto dagli stilisti alle redini del brand berlinese, creato nel 2016 e affermatosi rapidamente come il più interessante e dinamico della scena tedesca. Già il nome GmbH (acronimo corrispondente al nostro S.r.l.) è una dichiarazione d’intenti perché, andando oltre il significato in senso stretto, suggerisce la volontà di porsi come una pagina bianca da riempire volta per volta di contenuti dissimili, aprendosi a qualsivoglia suggestione ma rifuggendo etichette e dogmatismi. Una label legata a doppio filo con Berlino, di cui dà l’impressione di aver introiettato la natura costantemente in fieri, il fervore di una città crogiolo di etnie e culture, nonché mecca europea – se non mondiale – del clubbing grazie a locali che hanno scritto la storia dell’elettronica e della techno, uno su tutti il Berghain.

I due fondatori, in effetti, si conoscono proprio in una discoteca e trovano subito una certa affinità: entrambi figli di operai e impiegati emigrati nel Vecchio Continente dall’estero (Işik ha origini turco-tedesche, Huseby pakistano-norvegesi), condividono un’indole creativa che li ha avvicinati alla moda da prospettive diverse ma complementari, il primo come designer, il secondo come fotografo con all’attivo editoriali per un gran numero di magazine (i-D, Dazed & Confused, W e Purple tra gli altri); danno vita quindi a GmbH, stabilendo il proprio quartier generale nell’animato quartiere di Kreuzberg. 

Nella sintassi di stile del marchio confluiscono le ossessioni del tandem, che attinge da ambiti in teoria distanti: l’estetica abrasiva dei raver si mescola così al vestiario un po’ sottotono della working class, la trasgressione dei look che animano le serate nei club cittadini (harness, jockstrap, indumenti dalle lucentezze viniliche ecc.) ai codici utilitaristici dell’abbigliamento di carpentieri, falegnami e altri lavoratori, e si potrebbe continuare. Una tensione che si rispecchia anche nelle proporzioni e vestibilità degli ensemble, in cui il sopra inguainato in maglie disegnate sulla pelle collide con i pantaloni ampi del sotto, o viceversa i capi scultorei, possenti della parte superiore si accompagnano a biker pants affilati.
Un pilastro fondamentale per il brand è poi quello della sostenibilità: i tessuti sono per il 90% eco-friendly, provenienti soprattutto da deadstock di fabbriche italiane; una scelta che, se all’inizio è dettata dalla necessità di contenere i costi, nel tempo viene abbracciata convintamente, e ora tra i materiali più ricorrenti nelle collezioni si contano ad esempio pelle vegana, lana vergine e mischie di filati organici o riciclati.




Altro elemento su cui Işik e Huseby mettono volentieri l’accento è la collegialità, un fil rouge che intesse la pratica di GmbH nella sua interezza, tale per cui ogni dinamica rimanda a un «senso di comunità e famiglia», come dichiarato in un’intervista ad AnOther; una famiglia allargata a numerosi membri della comunità Lgbtq+ e di minoranze etniche.
L’ethos progressista informa tutte le attività della griffe, dai casting per i défilé (che arruolano spesso artisti trans, modelli dalla sessualità fluida e amici del team come Honey Dijon, Fatima Al Qadiri o lo stilosissimo ex direttore creativo di Zegna e Saint Laurent Stefano Pilati) agli spunti disseminati negli stessi, critici verso il sentimento di crescente ostilità all’immigrazione o il conformismo di una parte non trascurabile del mondo fashion che secondo i designer, al netto dei proclami, privilegia tuttora un immaginario alquanto stereotipato, per lo meno in Germania («basta prendere una pubblicità tedesca a caso: è come se la gente di colore non esistesse»), alla comunicazione; emblematica, da quest’ultimo punto di vista, la campagna Europe Endless di tre anni fa, con protagonisti ragazzi immigrati di seconda generazione di origine azera, indiana o srilankese, immortalati in pose plastiche che riecheggiano quelle delle top model Versace nelle adv degli anni ‘80 e ‘90.




Guardando alle collezioni, sebbene già la prima del 2016 avesse colto nel segno, finendo sugli scaffali del concept store Opening Ceremony, il salto di qualità avviene con la Spring/Summer 2018: una show in calendario alla fashion week maschile di Parigi, dove fanno la loro comparsa i futuri must del marchio, dai jeans relaxed fit con patta incorniciata da due zip ai top stretchati, dai pantaloni in Pvc riflettente ai massicci pullover di pile, per non dire di tropi quali spalle bombate, colli montanti e tasche a profusione.
Ugualmente degne di nota le sfilate successive, che affinano il blend di clubwear, passatismo vestimentario e suggestioni industrial distintivo di GmbH: ad esempio nella S/S 2019 il titolo Survival Strategies si invera in outfit pensati come armature, tra imbottiture sui cargo pants, cinture con fibbie triangolari simil-scudo e strisce di tessuto a rinforzare busto e spalle; nella F/W 2020, invece, la successione di coat, trench e giubbotti stentorei, che sovrastano i pantaloni sfinati, è inframezzata da dolcevita traforati e top a fascia, cesellati sulla silhouette, oppure da capi con fregi zodiacali.
Nell’ultima collezione in ordine cronologico, la F/W 2021, il clash di forme, tagli e consistenze si fa ancora più ardito, con texture incrociate sul torace, scolli generosi e cerniere che fendono diagonalmente le superfici di abiti e calzature. Il défilé registra inoltre il debutto del progetto demi-couture: quattro mise viste in passerella potranno essere realizzate in atelier con tutti i crismi del bespoke, seguendo le indicazioni del cliente.

Bisogna poi accennare alle collaborazioni, divenute ormai un efficace barometro per valutare lo status di un brand: la prima, nel 2018, coinvolge Helly Hansen, risultando in una serie di giacconi color block sovradimensionati; l’anno seguente la scelta ricade sul jewelry designer Alan Crocetti, che accessoria i look della griffe con i suoi caratteristici gioielli bold; sempre nel 2019 prende il via la co-lab con Asics, per cui Ia coppia di stilisti rinnoverà diverse trainers, dalle Gel-Kayano 5 (dad shoes vecchia maniera declinate in cromie pastellate quali menta e crema) alle Gel Quantum 360, sneakers multimateriche dall’effetto screziato.
Il lavoro fin qui compiuto da Işik e Huseby viene ora coronato dall’approdo chez Trussardi. Il debutto coinciderà con la stagione F/W 2022, nel frattempo si può star certi che il duo berlinese continuerà a far parlare di sé per le creazioni audaci e politicamente impegnate di GmbH. 

Il ritorno dei cappelli Von Dutch, tra social e nostalgia degli anni 2000

Gli anni Zero sono diventati una sorta di golden age della moda da cui mutuare innumerevoli trend: dopo i revival di pantaloni a vita bassa, cinture con fibbia-logo de rigueur, occhialoni a mascherina et similia, ora sembra sia il turno dei trucker hat, o meglio del brand che nella prima decade del nuovo millennio ha reso il cappello con il retro in mesh traforato, usato perlopiù dai camionisti americani (da cui il nome), uno dei più venduti – e vituperati – accessori del periodo.
Si parla di Von Dutch, label californiana che raggiunse l’acme della popolarità negli anni Duemila, quando i berretti in questione erano un tormentone perfino tra star e starlette (Madonna, Justin Timberlake, Jay-Z, Britney Spears e Ashton Kutcher, solo per citarne alcune), per poi entrare in crisi e finire rapidissimamente nel dimenticatoio.

Adesso, a quanto pare, sarebbe pronta per un ritorno in grande stile nell’agone del ready-to-wear, proponendosi addirittura come marchio “pigliatutto” che al numero sterminato di varianti dei citati cappellini affianca magliette, calzature, borse e una linea in edizione ultralimitata, che consta per esempio di jeans stampati e bauletti tempestati di paillettes, cristalli e broderies dai prezzi non proprio ecumenici.
Gli indizi del comeback di Von Dutch, sotto questo punto di vista, ci sono tutti: limitandosi ai più recenti, vanno registrate la notizia di una docuserie prevista entro l’anno su Hulu, che ne racconterà ascesa e caduta, e la presentazione di una collezione di denim pants dall’allure esclusiva prodotti in Italia, che comprende modelli maschili dai lavaggi spericolati o istoriati dal lettering della griffe.


Justin Timberlake (Photo by James Devaney/WireImage)

Per comprendere come un brand epitomo di un’estetica parecchio discutibile, archiviata da tempo, stia raccogliendo favori tra celebrità e frotte di imberbi tiktoker, è bene anzitutto riavvolgere il nastro, tornando alle imprese del capostipite Kenneth Graeme Howard, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Von Dutch.
Precursore di quella Kustom Kulture che si sarebbe diffusa negli Stati Uniti dalla metà del secolo, Howard lavorava come meccanico nei sobborghi di Los Angeles. Alla fine degli anni Trenta perfeziona la tecnica del pinstriping, tracciando sulle superfici di auto e moto grafiche come il Flying Eyeball, l’occhio alato assurto in breve a simbolo dell’attività.

Quattro anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1992, le figlie cedono il nome agli imprenditori Michael Cassel e Robert Vaughn, che nel ‘99 fondano la Von Dutch Originals, inaugurando l’anno seguente un flagship store a L.A., su Melrose Avenue.

È l’inizio di una parabola fulminea, sospinta anche dal contemporaneo, improvviso interesse per il mondo del tuning innescato dal primo film della saga di Fast & Furious: il trucker hat viene adottato dal gotha di Hollywood, che ne fa l’accessorio prediletto per le uscite off-duty; i più temerari lo sfoderano addirittura sui red carpet, mentre le prezzemoline à la Paris Hilton ne calcano uno praticamente h24.

Il novello oggetto del desiderio, un semplice berretto da baseball in cotone e rete, non può certo definirsi un capo di pregio, ma tant’è. L’azienda, ovviamente, asseconda la mania, declinando i cappellini in ogni alternativa possibile e immaginabile, dal denim raw alla pelle, passando per fantasie camouflage, tie dye, glitter, eccetera. La fiammata però si esaurisce presto, e nel 2004 lascia l’incarico lo stilista Christian Audigier, autore degli stravaganti design che avevano inaspettatamente fatto sfracelli tra vip e non; il marchio si trascina ancora qualche anno finché, nel 2009, viene ceduto alla società francese Groupe Royer.
Ad ogni modo, il successo di Von Dutch era figlio soprattutto della celebrity culture degli anni Zero veicolata da videoclip, reality show e siti di gossip; venuta meno quest’ultima, il declino era per molti versi inevitabile.



Nel 2016, tuttavia, a risollevare le sorti del Flying Eyeball è nuovamente una celebrità, stavolta 2.0: nel feed della regina di Instagram Kylie Jenner spuntano i famigerati trucker hat, seguiti in successione da bra, minigonne, giubbotti e altri indumenti con la scritta ricurva di Von Dutch bene in vista. Che sia un’ingegnosa trovata pubblicitaria o il ghiribizzo di turno della star poco importa, la strada per il revamp della griffe è ormai tracciata, e come non bastasse lo strapotere mediatico di Jenner arrivano gli esempi di rapper, supermodel e influencer, vale a dire le personalità che hanno ormai scalzato i divi “tradizionali” quanto a capacità di condizionare i gusti dei consumatori.
Il copricapo Von Dutch torna a essere un feticcio ostentato da Travis Scott, Megan Thee Stallion, DaBaby, Tyga e altri assi del rap, così come dalle modelle du moment (Bella Hadid, Kendall Jenner) e star del web quali Emma Chamberlain e Jordyn Woods, tutti accomunati dall’enorme seguito di cui godono nel pubblico più giovane.
D’altronde il rinnovato interesse per il brand sembra attecchire principalmente tra adolescenti e affini: ad esempio su TikTok, social d’elezione della generazione Z, l’hashtag #TruckerHats conta 1,4 milioni di visualizzazioni. Von Dutch beneficia insomma della riscoperta generalizzata di marchi in voga almeno una ventina di anni fa, trascinata da un pubblico di nativi digitali abituato ad attingere in massima libertà dalle tendenze passate più diverse, traslando nell’abbigliamento il concetto di anemoia, la “nostalgia per un tempo che non si è mai vissuto” che connota quest’epoca più liquida che mai.



In tutto ciò, la label prova a sfruttare al meglio il momentum: distribuzione e direzione creativa delle collezioni tornano in house; si dà fondo all’archivio, traendone oltre ai berretti camicie dal retrogusto workwear, bowling bag e altri prodotti che hanno segnato gli anni d’oro; nell’ottica di riannodare i fili con lo show business hollywoodiano, viene riaperto il negozio di Los Angeles; infine arrivano le collaborazioni, che oggi rappresentano la via maestra per rinfrescare la grammatica di stile dei brand e aprirsi a nuovi clienti.
Nel settembre 2020 ecco allora la co-lab con Puma, una capsule collection che glorifica l’estetica (fin troppo) irruenta e appariscente dei 2000, tra nuance pastellate, grafismi che ibridano i segni distintivi delle due griffe e pattern retrò a quadretti, con l’ovvia prevalenza di felpe, tute, sneakers e altri essenziali dello streetwear imperante.

Lo scorso marzo, invece, esordisce nella sfilata Fall/Winter 2021 di Koché una partnership incentrata su proposte quali maglie adorne di piume e cappelli puntinati da borchie cilindriche. Commentando lo show, la stilista Christelle Kocher appariva entusiasta della collaborazione con «un marchio street che ammiro e finalmente vive un rilancio»; e se a parlare così è una delle designer più autorevoli della sua generazione, vincitrice di un Andam Prize e direttrice artistica della prestigiosa Maison Lemarié, c’è da credere che la rentrée di Von Dutch sia definitiva.  

Heron Preston, il designer innamorato del workwear che ha conquistato la Nasa


Se a 38 anni possiedi un brand presente nel calendario della fashion week parigina, tra i tuoi apprezzatori si contano The Weeknd, Hailey Bieber e Travis Scott, nel tuo cursus honorum campeggiano mostri sacri dello showbiz (leggi Kanye West) e marchi iconici come Nike o Levi’s, vuol dire che hai già conquistato un posto d’onore nell’affollatissimo milieu della moda contemporanea. Le informazioni appena snocciolate si riferiscono a Heron Preston, titolare dell’etichetta eponima con cui, dal 2017, è impegnato a sfumare sempre di più i confini tra lusso, abbigliamento street e workwear.

Sanfranciscano ma newyorchese adottivo, incarna alla perfezione quella poliedricità che oggi sembra essere la carta vincente per gli stilisti, destreggiandosi agevolmente tra passerelle, graphic design, fotografia, dj set e consulenze per il citato West, che in passato gli ha affidato la direzione artistica di numerosi progetti, dalla linea ready-to-wear Yeezy all’album ‘The Life of Pablo’. Un autentico factotum della creatività, dunque, la cui formazione non poteva non essere sopra le righe.



Nato e cresciuto nella Bay Area, il nostro per sua stessa ammissione è uno smanettone fissato con internet che, nel tempo libero, sperimenta con la serigrafia e non disdegna lo skate.
Nel 2004 si trasferisce nella Grande Mela, dove studia alla Parsons School of Design, inserendosi rapidamente nei giri giusti ed entrando in contatto con Aaron Bondaroff, ex gallerista della Morán Morán (all’epoca OHWOW Gallery); è quest’ultima a pubblicare, nel 2008, il photobook ‘The Young and the Banging’, una sorta di annuario fotografico zeppo di polaroid scattate da Preston, che fin dal suo arrivo in città si diletta a immortalare la meglio gioventù creativa di Downtown. Tra gli sponsor dell’iniziativa c’è Nike, che finisce per assumere l’autore, nominandolo in breve Global Digital Strategies della divisione NikeLab.
Nel 2012 viene contattato da Virgil Abloh e Matthew M. Williams, allora due designer semisconosciuti, che lo invitano a unirsi a loro da Been Trill, un collettivo che nel suo triennio di attività sarà assai chiacchierato, ma lancerà definitivamente le carriere dei membri più in vista. In questo periodo, Preston continua a stringere relazioni con i nomi che contano nell’industria modaiola e affina ulteriormente la sua estetica, tutta giocata sulla manipolazione spigliata di codici e suggestioni provenienti dagli ambiti più eterogenei.

Conclusa la parentesi di Been Trill, si dedica a vari progetti una tantum, ad esempio affastellando loghi disparati su magliette rinominate ‘NASCAR Factory Defeat’, oppure customizzando un paio di Nike Air Force 1 con patch a forma di stella (una copia dichiarata del simbolo della label Bape) ritagliate da uno scampolo di tessuto Gucci GG Supreme.
Nel frattempo, turbato dal ritrovamento di un sacchetto di plastica nel mare di Ibiza, prende consapevolezza dell’urgenza della questione ambientale e si associa al Department of Sanitation di New York per la capsule Uniform, in cui vengono riciclate proprio le vecchie uniformi dei netturbini dell’ente che gestisce la raccolta rifiuti, convertite in borsoni dalle tonalità fluo, giubbini a stampa foliage, felpe e t-shirt dall’aria un po’ dimessa.
A quel punto – siamo nel 2016 – Preston si convince a seguire le orme degli ex colleghi Abloh e Williams, che cominciano a fare faville rispettivamente con Off-White e 1017 Alyx 9SM, e lancia l’e-store HPC Trading Co., preludio alla nascita della griffe col suo nome che arriverà un anno dopo.



Il designer ha ormai definito il proprio vocabolario di stile, i cui lemmi sono presto detti: in primo luogo, la fascinazione per le uniformi dei lavoratori (operai edili, poliziotti, vigili del fuoco ecc.), con collezioni che largheggiano in nuance evidenziatore, bande catarifrangenti, tag identificativi, nastrature, abrasioni, cinture a guisa di imbracatura e chi più ne ha più ne metta, una caterva di riferimenti al workwear combinati al repertorio ormai consolidato dello streetwear, che prevede felpe, pantaloni cargo, denim jacket, smanicati e altri capi easy, dalle forme anabolizzate e il tono rude quanto basta.
In secundis, il ricorso copioso alle stampe, che siano scritte icastiche come la quasi onnipresente dicitura in cirillico стиль (che sta per “stile”), print che rimandano alla grafica basilare dei primi pc o raffigurazioni variegate dell’airone, animale feticcio del marchio, un calembour che gioca con il significato dell’inglese heron, airone appunto.
Da ultimo, una certa, costante dose di sfrontatezza, che lo spinge di volta in volta ad (auto)ironizzare su tic e contraddizioni degli influencer (categoria di cui fa parte, d’altronde), oppure a stampigliare sulle magliette vendute nella boutique moscovita KM20 l’immagine di Vladimir Putin che inforca gli occhiali da sole.



Il novero delle collaborazioni di riguardo si infoltisce velocemente, a cominciare dalla doppietta dello show F/W 2018 in cui Preston presenta le capsule collection con Carhartt e Nasa: se la prima codifica la sua affinità con l’abbigliamento da lavoro in diciotto proposte di chiara derivazione utilitaristica, tra giacche chiazzate di vernice, gilet zippati e maglie slabbrate, la seconda omaggia la storia dell’agenzia spaziale statunitense, facendo largo uso di materiali futuribili quali nylon ripstop e alluminio per zaini che imitano il jetpack e abiti ricalcati sulle tute degli astronauti, con un afflato avveniristico degno delle visioni Space Ace di André Courrèges, Paco Rabanne e Pierre Cardin.
Nello stesso anno mette mano agli Ugg, i famigerati stivaletti foderati di pelliccia, apponendovi le sue caratteristiche linguette in colori flashy, un’iniziativa bissata e allargata ad altre calzature dell’azienda nel 2019, quando ha l’opportunità, tra le altre cose, di ibridare le silhouette di due celebri modelli Nike Air Max (95 e 720), ottenendo una sneaker bombata e avvolta in strati di TPU traslucido, e di intervenire sui 501 Levi’s, i jeans per definizione, divertendosi a decolorarli e maltrattarne il tessuto.

Nel 2020 si concede un coup de théâtre con il dentrificio – tanto per cambiare – arancione per Moon, co-firmato dalla supermodel Kendall Jenner e in tiratura ovviamente limitatissima. 

L’ultima collaborazione risale invece alla fine di aprile e coinvolge Calvin Klein, un’istituzione del casual a stelle e strisce di cui Preston ha aggiornato i pezzi più pratici e discreti (jeans a gamba dritta, tee, intimo ecc.) in chiave unisex e sostenibile.
Le prossime collaborazioni, con tutta probabilità, non tarderanno ad arrivare, per convincersene è sufficente riprendere le parole del diretto interessato, che già nel 2006, parlando con il magazine Freshness della propria imprevedibilità, aveva fornito una summa del Preston-pensiero: «Non voglio che le persone mi comprendano appieno perché sarei noioso. Saprebbero cosa aspettarsi. Se [invece] con Heron Preston creo un contrasto, facendo un giorno qualcosa su Warren Buffett, quello dopo su Huf [brand di skatewear, ndr] o sulla sicurezza di internet, susciterò una certa attrattiva e le farò tornare».


Backstage at Heron Preston Men’s Fall 2020, photographed in Paris on Jan 16, 2020.