‘Creative by Nature’, il binomio moda e natura a Pitti Uomo 101 nella mostra targata Manintown

Di Pitti Immagine Uomo numero 101, indicata quasi unanimemente, prima e dopo lo svolgimento, come l’edizione del ritorno alla sospirata normalità (beh, quasi), va sottolineata soprattutto la tenacia con cui gli espositori, unendo le forze in un momento tutt’altro che favorevole, segnato dagli scombussolamenti epocali degli ultimi due anni, sono tornati a presentare le novità stagionali nell’ambito del salone, impareggiabile quanto a reputazione e appeal su stampa e compratori del menswear.
Un segnale di speranza, si era detto giustamente alla vigilia, e in effetti i numeri finali sono confortanti, con 540 brand, quasi 5.000 buyer, 1.085 operatori dei media registrati, 8.000 presenze complessive. Certificano la vitalità del sistema moda italiano, centinaia di aziende di abbigliamento che costituiscono la spina dorsale del made in Italy.



Undici di esse hanno potuto beneficiare, nei giorni della fiera, di una cornice d’eccezione, la serra fredda del Giardino dei Semplici, un orto botanico modello, tra i più antichi del mondo, la cui storia data al XVI secolo, quando i Medici vollero instaurare nel centro di Firenze (non distante dalla sede principale di Pitti, la Fortezza da Basso) un vivaio di piante medicinali (i semplici, per l’appunto), teatro dal 10 al 12 gennaio della mostra Creative by Nature; abiti e accessori di griffe affermate ed etichette indipendenti, per le quali fatto a mano e identità creativa orgogliosamente italiana sono la propria ragion d’essere, sono stati calati in un’atmosfera a dir poco suggestiva, da giardino incantato, che ha amplificato il messaggio eco-conscious di produttori intenzionati ad unire la tradizione manifatturiera del Paese alle nuove tecnologie, sommandovi un quid fashion.


borsa De Marquet

Nelle parole di Federico Poletti, direttore di Manintown e curatore dell’exhibition, si è voluta «dare visibilità sia ad aziende più strutturate, sia a marchi di ricerca, tutti accomunati da un Dna artigianale in cui la tradizione è rivisitata in chiave contemporanea, con un occhio attento alla sostenibilità».



On show la camiceria d’auteur di Xacus, sintesi di expertise sartoriale e design caratterizzante, che ha varcato da tempo i confini nazionali, approdando nei mercati di riferimento, dagli Stati Uniti all’Europa del Nord; le rielaborazioni di capi vintage, stravolti nelle forme e nei fit, della designer di origini kazake Yekaterina Ivankova; il casualwear di Je Suis Vintage (risultato, come da nome, del riutilizzo estroso di indumenti dismessi e scampoli tessili), la pellicceria 2.0 di Sabelle Atelier, che dà nuova vita a vetusti fur coat, anche seguendo indicazioni e richieste dei singoli clienti.



Sul fronte accessori, gli zaini da viaggio Artichoke, tarati sulle necessità degli odierni globetrotter (il fondatore Lorenzo Scotto, golfista, ha viaggiato ovunque), nati dal reimpiego di vele dismesse, perfette quanto a resistenza e leggerezza del filato, l’upcycling in salsa sporty di BGBL Bouncing Bags, che recupera divise e attrezzature delle società sportive per farne tracolle, zainetti e secchielli dal design distinto, di produzione tassativamente artigianale, le borse dalle cover intercambiabili De Marquet, il cui elevato livello di personalizzazione non prescinde dall’irreprensibilità della pelletteria toscana. Ancora, le furlane The Scius Concept, che rendono le babbucce di velluto dalla calzata easy-on una scarpa di lusso made in Tuscany, prestando attenzione alla sostenibilità dei materiali, la capsule collection Fuori Contesto di Mani del Sud, in cui cappelli e foulard diventano, insieme ai papillon gioiello (capisaldi della label), i complementi ideali per rifinire l’outfit.




Presenti inoltre Rodo, maison fiorentina famosa per le borse intrecciate in paglia e midollino, con una capsule collection genderless, e l’haute joaillerie di Filippo Fürst, sublimazione dell’arte orafa attraverso creazioni dal valore inestimabile.



Collezioni dalla marcata sensibilità green, che i visitatori hanno potuto scoprire muovendosi tra palme, agrumi, succulente e cicadee, un’oasi rigogliosa per suggellare la correlazione tra moda e tutela del Pianeta, perché la tanto auspicata ripartenza, al Pitti come altrove, passerà inevitabilmente dalla consapevolezza ambientale. 


Camicia e papillon Mani del Sud

Credits:
Photographer & Creative Director Davide Musto
Stylist Alfredo Fabrizio
Make-up artist Romina Pashollari
Talent Riccardo Albanese

Nell’immagine in apertura, borsa De Marquet

‘Born in Italy – Travel and Joy’, a Noto la mostra che unisce tradizioni siciliane e innovazioni contemporanee

Patrimonio dell’Unesco dal 2002, riconosciuta universalmente come capitale del Barocco siciliano, finita tre anni fa sui radar di milioni di persone grazie a uno dei matrimoni più mediatici di cui si abbia memoria, quello dei Ferragnez, Noto vive una fase di vivacità che non accenna a diminuire, tutt’altro. Lo conferma un’iniziativa che, fino al prossimo 5 novembre, arricchirà ulteriormente la già movimentata scena artistica locale, Born in Italy – Travel and Joy, mostra o meglio, progetto culturale di ampio respiro, con opere disseminate in diverse sedi, dall’ex caserma Cassonello al Parco dell’Anima (suggestiva commistione di arte e agricoltura in un’area di 50 ettari immersa nella campagna netina), al centro espositivo di Palazzolo Acreide, comune poco distante da Noto.



L’exhibition segna la nascita del Museo dell’Anima, polo espositivo e di ricerca che intende affermarsi come un dinamico laboratorio di studio, sperimentazione, produzione e innovazione. Si compone di due sezioni, il Centro Espositivo Museale delle Tradizioni Nobiliari (che, forte della cospicua collezione di reperti, racconta una lunga storia familiare aristocratica di origini sciclitane) e quella di Arte Contemporanea, completamento del succitato Parco dell’Anima, inaugurato nel 2020.
Born in Italy – Travel and Joy, ideata da Alessia Montani e Federica Borghi, è stata realizzata da M’AMA.ART e Icons Productions, in collaborazione con il Sistema Museale Iblei, Luigi Grasso (presidente della sezione Arte Contemporanea) e Titti Zabert Colombo (a capo invece dei dipartimenti delle Tradizioni Nobiliari e Memoria storica), con il patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico.



La curatrice Alessia Montani riassume così l’idea alla base dell’iniziativa: «Artisti di fama internazionale sono stati scelti per confrontarsi sul valore del recupero delle antiche tradizioni e dell’artigianato artistico in chiave innovativa, anche grazie all’ausilio delle nuove tecnologie digitali. Il ricamo, l’uncinetto, le luminarie, le incisioni, l’intarsio, la ceramica, i preziosi oggetti della tradizione – selezionati da Cetty Bruno – diventano, in Born in Italy, il filo rosso che unisce passato e futuro, tradizione e contemporaneità. Un progetto multidisciplinare, per recuperare le antiche colture e culture del Mediterraneo, patrimonio materiale e immateriale del nostro Paese, dove l’importanza della biodiversità è incisa nella terra e nel grano autoctono con l’opera Rebirth – Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, ormai simbolo di sostenibilità nel mondo». Proprio quest’ultimo artwork, una riconfigurazione del simbolo matematico dell’infinito con due cerchi contigui, rappresentanti i poli opposti di natura e artificio, cui si frappone un terzo anello (a indicare una possibile compenetrazione tra dimensioni teoricamente antitetiche), assurge in qualche modo a emblema della rassegna, tanto da venire proiettato, in forma di mapping, sulla facciata della cattedrale di Noto.
Oltre al lavoro di Pistoletto, esponente di rango dell’Arte Povera, i visitatori potranno ammirare un corpus decisamente nutrito di opere e installazioni site specific, realizzate tra gli altri da Domenico Pellegrino, Paola Romano, Titti Garelli, Julia Krahn, Franco Politano e Giulio Rigoni.



‘Azioni in Trama’: arte e moda si incontrano nella collaborazione tra Iuad Accademia della Moda e Marzotto Wool Manufacturing

Tra gli effetti nefasti della pandemia, ormai è assodato, rientrano le difficoltà patite dagli studenti, che nel caso delle scuole di design, fashion e discipline artistiche in generale (dove è fondamentale unire teoria e pratica) risultano oltremodo accentuate. Alla luce di questo assume grande valore, anche simbolico, un’iniziativa come Azioni in Trama, nata dal connubio tra Iuad Accademia della Moda e Marzotto Wool Manufacturing, eccellenze nostrane per quanto riguarda, rispettivamente, la formazione nella moda e nel design e i tessuti preziosi, espressione di sapienza artigianale e savoir-faire orgogliosamente italiani.
Attenendosi al briefing e alle indicazioni concordate con l’impresa tessile, gli allievi del 1° e 2° anno dello Iuad hanno avuto quindi l’opportunità di esporre le loro creazioni nella mostra L’Arte come Azione e Creazione, allestita nella cornice a dir poco suggestiva di Castel dell’Ovo, complesso monumentale del XII secolo che, stagliandosi sull’isolotto di Megaride, garantisce una vista impareggiabile sul golfo di Napoli.
Azioni in Trama è frutto di una sinergia professionale nel segno del Made in Italy e del design raffinato, e prevede una serie di workshop e incontri tra azienda e studenti che si terranno sia nella sede partenopea, sia in quella milanese della scuola. Il percorso progettuale intreccia la ricerca accademica alla pregevolezza dei filati Marzotto, trovando una prima sintesi nelle opere realizzate per l’exhibition, presentate in un vernissage lo scorso 22 luglio e rimaste esposte per i successivi quattro giorni.



Negli artwork sparsi all’interno del castello, assai diversi per tipologia, carattere e resa, risuonano temi di grande presa al giorno d’oggi (tra gli altri sostenibilità, riciclo creativo, inclusione, cambiamento climatico, hate speech), che i giovani autori affrontano cercando di fondere volontà di far riflettere e senso estetico, affinato in anni di studio, declinando inoltre in nuove, fantasiose configurazioni i tessuti messi a disposizione dalla società di Valdagno.
Nella prima sala ci si trova davanti a installazioni quali La bellezza salverà il mondo di Roberta Cicala, che oppone alle tante criticità del presente la celebrazione del bello, inteso “semplicemente” come tutto ciò che ci circonda, compresi oggetti all’apparenza privi di valore; ne risulta una scultura con al centro un cuore pulsante sferico, acceso dalla luce vivida del neon e ricoperto di fiori, fibre e simboli delle principali metropoli, contornato da ammassi di cianfrusaglie e objet trouvé (tappi, banconote, mozziconi, scampoli di cotone…) che, così disposti, acquistano una pregnanza inedita. A poca distanza The musician, di Jonah Mae Gardose, combina tecniche di free-motion e slashing (qui ricamando con la macchina da cucire le stoffe, là tagliandole per rivelarne gli strati sottostanti), delineando il profilo di un musicista.



Proseguendo nell’itinerario si incontrano altre opere degne di nota, tra cui quelle ideate da Erika Troiano e Antonio Tafuro: nella prima (Is beauty really in the eye of the beholder?) l’autrice rilegge il mito di Medusa, descritta da Ovidio come una splendida fanciulla, violentata da Poseidone sull’altare consacrato ad Atena e tramutata, per punizione, in mostro dai capelli di serpente, vista qui come una vittima, un essere fragile che piange lacrime fluorescenti; la seconda, The only place of freedom, consiste in una toilette schermata da pareti in tela quadrettata, i visitatori sono invitati a personalizzarle con pennarelli e bombolette spray, alludendo al graffitismo anarchico, spesso goliardico che caratterizza i bagni delle stazioni di servizio.
Non mancano poi proposte prettamente vestimentarie, su tutte la puffer jacket Right-hand di Valentina Turri (un capo 3 in 1 grazie al sistema di zip, pannelli e tasche che consente di trasformare il giubbotto originario, dal finishing laccato, in tote bag o cuscino da viaggio) e gli abiti rugginosi di Michela Gambi che, memore degli outfit di Hussein Chalayan sotterrati nei mesi precedenti alla sfilata (solo uno degli innumerevoli, visionari esperimenti fashion dello stilista turco-cipriota), ha deciso di applicare viti, bulloni e piastrine metalliche a un paio di pantaloni e una blusa, esponendoli per settimane alle intemperie, lasciandovi depositare aloni rossastri dalle forme e sfumature sorprendenti.



Nel commentare l’evento, il Ceo di Marzotto Wool Manufacturing Giorgio Todesco si dice «soddisfatto della collaborazione, riteniamo molto importante che gli studenti di questo prestigioso istituto possano entrare in contatto con l’azienda […] Attraverso Azioni in Trama potranno confrontarsi […], utilizzare la loro abilità per ottenere dai nostri tessuti creazioni che parlino di sartorialità, con uno sguardo all’innovazione». Gli fa eco Michele Lettieri, presidente dello Iuad, che definisce «del tutto naturale» la scelta di legarsi alla textile company veneta, aggiungendo: «La forza della scuola sta nell’insegnare i segreti dell’artigianalità praticandola in chiave moderna e sperimentale attraverso il design, l’arte, la ricerca, la progettazione, la comunicazione. I nostri giovani studenti […] saranno i futuri lavoratori di alcuni settori trainanti dell’economia italiana nonché identitari della cultura nazionale: moda, design, architettura di interni».

“RI-SCATTI”, al PAC la mostra delle prostitute che raccontano la strada

RI-SCATTI: PER LE STRADE MERCENARIE DEL SESSO – LA MOSTRA FOTOGRAFICA AL PAC DI MILANO 

Se ne parla ma mai abbastanza e soprattutto ci sono ancora moltissime zone d’ombra perchè paura e delinquenza cercano di occultare: è la prostituzione di strada, rappresentata al Pac di Milano con la mostra “ RI-SCATTI”. 
All’Associazione Lule Onlus che opera da più di vent’anni in aiuto alle vittime della tratta di esseri umani a scopo sessuale, verrà devoluto il ricavato della vendita di foto, in esposizione fino al 25 ottobre 2020“Ri-scatti: per le strade mercenarie del sesso”, vuole far luce su una realtà disperata e indicibile presente nell’area metropolitana di Milano, dove ragazze straniere sono schiave obbligate a vendere il proprio corpo per potersi guadagnare da vivere. 

Sette tra queste donne, tre rumene, due nigeriane e due transgender peruviane, si sono prestate ad un workshop di fotografia notturno tenuto in un camper, per poter dar vita ad un racconto di immagini che è quotidianità, disperazione, orrore, solitudine e rassegnazione. Sono scene di vita quotidiana, la strada poco illuminata che è il luogo di lavoro, la piazzola che si paga 4000 euro, spese aggiunte al viaggio e al traghettatore (2000 euro + 400); oltre a quelle per vitto e alloggio (circa 1000 da dare allo sfruttatore), e 40 euro al giorno per il passaggio di andata e ritorno da casa alla piazzola, scortate come fossero assassini, controllate a vista da mane a sera. Un debito enorme da cui non ci si separa più, delle manette per la vita, infilate molto spesso dagli stessi fidanzati, uomini che le raggirano con false speranze, con la promessa di elevare il loro stile di vita e di risolvere i problemi economici che hanno al loro paese, luogo dove probabilmente hanno lasciato figli e famiglia. 

Hanno dai 19 ai 50 anni, vivono nell’hinterland milanese con mezzi da robivecchi, i bagni colmi di prodotti di bellezza acquistati al discount, saponi e shampi per levar via la memoria di dosso; nelle stanze i peluche della loro infanzia, unico legame con un mondo genuino e pulito che non hanno più, forse quei pupazzi di pelo sono il vero simbolo di speranza che hanno, più della Sacra Bibbia che tengono dentro al comodino

La cucina è un momento sacro, possono fare davvero quello che a loro piace e cioè cucinare le ricette della loro terra; dalle foto riconosciamo chi viene dall’Africa e chi dall’Est a seconda degli ingredienti che usano, chi carne e chi zenzero, chi aromi e chi spezie; ma in tutte rimane la rabbia verso l’uomo, questo essere ambiguo un po’ carne e un po’ bestia, e la loro rivalsa la vediamo rappresentata in una banana tagliata a pezzetti, chiaro simbolo di evirazione. 

Anche i polli squartati e lasciati alla camera a “gambe aperte” raccontano il loro dolore, carne da macello pronta ad essere usata, picchiata, abusata e buttata via; sonodonne lacerate e traumatizzate quelle che si raccontano, hanno il coraggio di andare avanti perchè dall’altra parte del mondo hanno lasciato un pezzo di cuore, i loro figli, è solo questo che le aiuta a sperare che un giorno ce la faranno e torneranno da loro ad amare la vita e riconciliarsi con loro stesse.

I numeri che escono da questo progetto sono impressionanti e vale la pena citarli: sono 9 milioni i clienti in Italia, 1 su 3 chiede prostitute di strada; l’80% di loro chiede di non usare il preservativo e il 43% tra questi ottiene risposta affermativa. Il 12% delle prostitute è sieropositiva; il costo medio di una prestazione sessuale per nigeriane è di 15/20 euro e di 30 euro per le donne dell’Est; i clienti italiani sono il 35%, preceduti dagli spagnoli 39%, seguiti da svizzeri 19%, austriaci 15%, olandesi 14%, svedesi 13%. 

Il reclutamento di queste donne avviene nel loro paese, adescate da un medio lungo corteggiamento, lo sfruttatore si finge fidanzato intento ad aiutarle e preoccupato per il futuro di entrambe; iniziano così una serie di richieste che prevedono lo sfruttamento e la vendita del corpo dietro regole ferree e codici consuetudinari che portano la donna ad uno stato totale di sottomissione. Nell’organizzazione del racket ROM questi uomini reinvestono i proventi delle attività illecite nella droga e nel traffico di armi. 

Inutile dire quanto sia importante far luce su questo argomento, ancora circondato da macchie scure; ricordiamo che lo sfruttamento della prostituzione è un reato disciplinato dalla legge n. 75 del 1958 e che il sistema italiano in aiuto alle vittime di tratta è considerato come un esempio da seguire a livello internazionale; ma i numeri non tendono a diminuire. 

La mostra del PAC, curata dal conservatore Diego Sileo, ha un risvolto charity e ha messo un seme a sostegno delle vittime di strada, su un terreno che speriamo, un giorno, possa far nascere solo cose belle.

LA MODA ENTRA IN SCENA ALLA GALLERIA CAMPARI

Tanti marchi italiani, nel tempo, hanno intrecciato il proprio business con la moda. Marchi il cui core è completamente diverso, ma che hanno ritrovato nell’universo del costume un’anima affine.
E’ il caso di Galleria Campari, chepresenta la mostra Storie di Moda. Campari e lo stile. Il nuovo progetto espositivo, aperto al pubblico da oggi, venerdì 5 ottobre 2018, a sabato 9 marzo 2019, dedicato all’esplorazione di una delle anime che compongono l’universo Campari: la profonda relazione tra il marchio e il mondo della moda, intesa come espressione di arte e costume.

Franz Marangolo, Bitter Campari, anni 60, © Galleria Campari
Franz Marangolo, Bitter Campari, anni 60, © Galleria Campari

L’exhibition è stata curata dalla giornalista Renata Molho, critica del costume e della moda per il quotidiano Il Sole 24 Ore dal 1991 al 2012. Docente di giornalismo di moda, autrice della prima e unica biografia di Giorgio Armani, Essere Armani (2006 e 2015, Baldini & Castoldi) e delle monografie 21 – Costume National (2007, Assouline) ed Etro (2014, Rizzoli). La curatrice struttura un percorso in cui i concetti di “stile” e “stili”, di cui la comunicazione Campari si è fatta testimone, bozzetti pubblicitari, fotografie, grafiche, abiti, riviste e accessori. Divisa in quattro sezioni tematiche, Elegance; Shape and Soul; Futurismi e Lettering, la mostra mette in dialogo opere provenienti dall’archivio di Galleria Campari con prestiti da case di moda, musei e fondazioni. Tra le altre, opere originali pensate e realizzate per Campari da Fortunato Depero, Bruno Munari, Marcello Dudovich, Franz Marangolo, accostate e integrate alle creazioni e ai bozzetti dalla Fondazione Gianfranco Ferré e agli abiti scultura dalla Fondazione Roberto Capucci.

La mostra rimarca anche lo storico legame tra Campari e il mondo del cinema. Il legame con la settima arte è presente anche in una serie di accessori disegnati da grandi stilisti per personaggi e occasioni cinematografiche, come le scarpe che Salvatore Ferragamo realizza per Judy Garland, o gli stivali cuissard, iconicamente rossi, di Fendi, indossati da Zoe Saldana in The Legend of Red Hand, cortometraggio firmato dal regista Stefano Sollima per Campari per il progetto Red Diaries 2018.

Roberto Capucci, Abito Fluorite, 1995, Foto di Fiorenzo Niccoli
Roberto Capucci, Abito Fluorite, 1995, Foto di Fiorenzo Niccoli

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“I HAD A DREAM” THE EXIBITION AT MOLESKINE FOUNDATION

La linea che separa l’arte dai brand che realizzano gli oggetti che usiamo quotidianamente non è sempre così netta. Molti label si approcciano al mondo artistico con iniziative e fondazioni, volte alla ricerca e al supporto di nuovi o vecchi talenti. Tra queste, Moleskine. Il brand collabora con la Moleskine Foundation, un’organizzazione completamente indipendente dalla società, ma il cui contributo è vitale per la Fondazione, che può così dedicarsi a iniziative d’impatto sociale.

Lo scorso 30 Agosto, la Moleskine Foundation ha inaugurato la mostra “I Had a Dream”, presso la Rinascente in Via del Tritone a Roma,  visitabile fino al 26 Settembre. Un’esposizione che raccoglie 54 taccuini realizzati dagli studenti che hanno partecipato ai workshop di AtWork, il progetto della Fondazione nato a Dakar che, partendo da lì, viaggia per il continente africano, incoraggiando i giovani al pensiero creativo.

Un format dedicato a chiunque voglia mettersi in gioco, che si abbraccia perfettamente con i progetti della Moleskine Foundation che mira allo sviluppo dell’Istruzione di Qualità e della Creatività, punti fondamentali per dare il via a quei cambiamenti positivi che ci aiuteranno a lavorare per un futuro migliore.
La mostra testimonia la varietà del pensiero creativo al giorno d’oggi, con lavori provenienti da 10 paesi.
Tutte le opere sono divise in sette isole tematiche, e attraverso queste pagine riusciamo a percorrere nuovi sentieri, scopriamo nuove identità, leggiamo di comunità lontane, memorie comuni e sogni condivisi.

 

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Una mostra d’archivio per celebrare i 50 anni di Ermenegildo Zegna nel prêt-à-porter

Uomini all’Italiana 1968. La confezione Zegna: dalla sartoria all’Industria è il titolo dell’esposizione ospitata dal 6 maggio al 28 ottobre 2018 a Casa Zegna a Trivero (Biella), dove ha sede lo storico lanificio del Gruppo, aperto da Angelo Zegna nel 1910. Con questa mostra d’archivio, la rinomata Casa di Moda italiana celebra il cinquantesimo anniversario del suo ingresso nel settore Ready-to-wear, onorando una storia che da sempre è volta ad anticipare e a cogliere profondamente l’identità maschile in perenne cambiamento. Il pubblico è immerso in fotografie, materiali d’epoca e capi d’abbigliamento vintage che raccontano il percorso del marchio dalla commercializzazione artigianale alla maestria sartoriale, che lo hanno eletto uno dei maggiori brand maschili di lifestyle di lusso a livello internazionale. Gli abiti storici del marchio, creati tra il 1968 e il 1970, sono indossati dai busti Bonaveri, divenuti ormai sinonimo di manichino nell’ambito della moda haute de gamme a livello mondiale. È stato proprio intorno al 1968 che i fratelli Angelo e Aldo, figli di Ermenegildo Zegna, hanno sentito l’esigenza di avvicinarsi al ready-to-wear, modernizzando la loro offerta, senza mai rinunciare all’eccellenza. L’esposizione ripercorre l’inizio di questo percorso, fino a esplorare il concetto di Italian Lifestyle, ricercato in tutto il mondo.

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ALBERT WATSON E BLUMARINE. IN MOSTRA A CARPI LE STORICHE CAMPAGNE DEL MARCHIO SCATTATE DAL FOTOGRAFO SCOZZESE

Dal 7 aprile al 17 giugno i Musei di Palazzo dei Pio ospitano Fashion, Portraits & Landscapes, circa cento stampe originali in bianco e nero, fotocolor e look book che raccontano l’idillio creativo tra Blumarine e Albert Watson.

«In tanti anni che ci conosciamo, Anna Molinari è sempre stata glamorous. Sono sicuro che se anche la svegliassi alle tre di notte, riuscirebbe a essere meravigliosa e a non rinunciare ai tacchi alti». Albert Watson, fotografo scozzese tra i più amati e significativi, e Anna Molinari, fondatrice di Blumarine, se la chiacchierano da vecchi amici poco prima della presentazione ufficiale di Fashion, Portraits & Landscapes, la mostra organizzata a Carpi per raccontare le dodici campagne realizzate tra il 1987 e il 1992 da Watson per la maison guidata dal figlio di Anna, Gianguido Tarabini.
Dal 7 aprile al 17 giugno i Musei di Palazzo dei Pio ospitano un centinaio di immagini, per lo più originali in bianco e nero, stampati da Watson in persona in camera oscura, accompagnati da fotocolor e look book d’epoca che riportano d’un balzo i visitatori a quell’epoca gloriosa in cui la moda amava scommettere sulla creatività a briglia sciolta.

L’allestimento, ricco e compatto, merita la visita per come Watson riesce a costruire un legame consistente tra gli abiti, le modelle e l’ambiente che le circonda. Un intreccio che esula dalla pura fotografia fashion, per trasformarsi in un universo a tutto tondo, affascinante anche per chi di moda non è esperto.
L’exhibition è il naturale proseguimento dell’appuntamento di due anni fa quando, sempre a Carpi, era stato rivissuto il sodalizio tra Blumarine ed Helmut Newton, nel periodo compreso tra il 1993 e il 1999. «Siamo stati felici di esplorare il dialogo avuto a suo tempo con Newton», ha spiegato Molinari, «ma tra tutti, Albert è stato quello che meglio ha interpretato l’essenza del nostro marchio, fatto di romanticismo, seduzione e femminilità. È stata mia figlia Rossella Tarabini, ai tempi referente di Watson per le nostre produzioni, a lanciare l’idea di aprire l’archivio aziendale. Riprendere in mano queste stampe e rivederle tutte insieme per noi è stato molto emozionante».
La stilista ha poi ricordato alcuni momenti particolari vissuti sui vari set. «Abbiamo scattato a Los Angeles, in Scozia, Las Vegas, Londra, New Mexico, San Francisco, Napoli, Miami, New Orleans e Watson sapeva sempre creare una relazione tra i luoghi e la nostra moda. Quanto alle modelle, abbiamo avuto alcune tra le donne più spettacolari di quell’epoca, da Cindy Crawford a Nadja Auermann, Helena Christensen, Michaela Bercu, Naomi Campbell e Carré Otis. Queste ultime due le scattammo insieme a Venezia ed erano caratteri totalmente diversi. Naomi, in ritardo cronico e con qualche capriccio. Carré dolcissima e sempre pronta a mettersi in gioco sul set. Al tempo era ancora legata a Mickey Rourke, che ogni giorno le faceva recapitare una corona di fiori accompagnata da un biglietto in cui minacciava di ucciderla, una volta rientrata a casa. Lei era molto turbata, ma Watson la rassicurava e la faceva sentire protetta: è sempre stato un vero gentiluomo».

Watson dal canto suo, ha sottolineato la libertà d’azione garantitagli dal brand. «Nessuna di queste foto è stata sottoposta a post-produzione. All’epoca non c’era il foto ritocco, bisognava ottenere l’effetto desiderato direttamente sul set e Anna si fidava completamente di me, senza mai pormi vincoli o limiti. Certo sono immagini forti, di grande carattere, una caratteristica sempre meno presente nella fotografia contemporanea, ma sono sempre state costruite rispettando sia le modelle e sia gli abiti. Penso, ad esempio a certi scatti con le gambe aperte: per me non erano atteggiamenti provocatori, ma semplici stratagemmi per tracciare linee grafiche nella  composizione dello scatto. Soprattutto, non ho mai imposto a una modella una posa, le ho sempre proposto l’idea, cercando di capire se si sentiva a suo agio».

®Riproduzione Riservata

FRANCESCA GALLIANI – FROM HERE ON

Giochi di sovrapposizioni tra fotografia e interventi pittorici, lettering con messaggi di forte impatto politico e sociale e grafiche tratte da pubblicità e giornali d’arte, storia e letteratura, hanno caratterizzato la speciale installazione FROM HERE ON dell’artista Francesca Galliani, presso lo Studio TiEpolo 38 a Roma durante ALTAROMA.

Oltre alla serie dei Transgender, in cui l’artista mostra la forza, la dignità e la bellezza di uomini e donne transessuali, che vivono ai margini delle tradizionali categorie con cui definiamo la società e i ruoli, è stata esposta la collezione ‘Made In Me 8’, con protagoniste t-shirt e felpe serigrafate e dipinte a mano, con slogan come “love wins” o “No Sexual Activity Allowed”, il mezzo espressivo più efficace per diffondere un’idea, un valore e per poterlo condividere in modo molto personale.

Credito Photo – Andrea Sgambelluri

®Riproduzione Riservata

L’editoria indipendente va in mostra a Bologna

Fruit Exhibition è un festival e un market internazionale dell’editoria d’arte indipendente, che avrà luogo nel Palazzo Re Enzo dal 2 al 4 febbraio 2018, a Bologna. In sostanza, un’opportunità per tutti gli appassionati di editoria, arte visiva e design, di partecipare a conferenze, workshop, mostre e installazioni e di acquistare libri d’artista, cataloghi, progetti di graphic design, periodici e zines, introvabili nelle librerie di catene.
La selezione in mostra comprende un centinaio tra i migliori editori indipendenti italiani, come ad esempio Gram Publishing, legato all’arte visiva underground e stranieri; quale l’olandese Monorheotrik, che unisce arte e musica dell’artista Matt Plezier; o l’inglese Ottographic, che raccoglie poster serigrafati del designer e artista Otto Dettmer.
I due trend culturali scelti quest’anno e su cui focalizzare l’attenzione sono il “queer” e il “fashion”.
Lets Queer! raccoglie una selezione worldwide di pubblicazioni in differenti formati, che analizza il tema della “differenza” attraverso la performatività dell’identità di genere.
Il tema del queer, inevitabilmente, ci conduce all’idea di costume e quindi di fashion; protagonista del secondo focus è Saul Marcadent (Università IUAV, Venezia) con Fashion Documents, con una raccolta selezionata di produzioni editoriali, riviste e libri, che utilizzano la lente della moda per osservare l’orizzonte contemporaneo.
Se nel weekend dal 2 al 4 febbraio vi capita di trovarvi a Bologna, non potete perdervi la sesta edizione di Fruit Exhibition e, nel caso non vi troviate nel bolognese, è comunque una buona scusa per una gita fuori porta.

®Riproduzione Riservata

FROM HERE ON DI FRANCESCA GALLIANI APRE A ROMA

Dopo l’inaugurazione a Milano presso il M.A.C., in occasione del party di MANINTOWN, venerdì 26 gennaio presso lo Studio TiEpolo 38 di Roma apre la speciale installazione FROM HERE ON dell’artista Francesca Galliani che torna in Italia con un progetto in esclusiva per MANINTOWN, magazine di lifestyle maschile online e on paper.
Proprio in occasione di ALTAROMA, Francesca Galliani espone un’inedita serie di ritratti fotografici dedicati ai Transgender in cui l’artista mostra la forza, la dignità e la bellezza di uomini e donne transessuali, che vivono ai margini delle tradizionali categorie con cui definiamo la società e i ruoli. Storie di coraggio che celebrano la diversità e il diritto di essere veramente se stessi, un omaggio alla fragilità, alla fugacità e alla natura sempre mutevole di identità e memoria.
Oltre alla serie dei Transgender, l’installazione di Roma prevede anche alcune opere da cui sono tratte le stampe per il progetto ‘Made In Me 8’, una collezione di t-shirt e felpe serigrafate e dipinte a mano. La fotografia, applicata a un tema molto caro all’artista, come quello del gender e del diritto all’amore tra tutti gli esseri umani, ha portato in modo naturale e organico a Made In Me 8, che vede protagoniste alcune T-shirt con slogan come “love wins” o “No Sexual Activity Allowed”, il mezzo espressivo più efficace per diffondere un’idea, un valore e per poterlo condividere in modo molto personale.
Giochi di sovrapposizioni tra fotografia e interventi pittorici, lettering con messaggi di forte impatto politico e sociale e grafiche tratte da pubblicità e giornali d’arte, storia e letteratura.
Il risultato è sempre di grande intensità narrativa e simbolica, grazie anche alle manipolazioni degli elementi chimici in camera oscura.

Francesca Galliani – From Here On
A cura di Federico Poletti

Opening su invito
venerdì 26 gennaio 2018 dalle 16.00 alle 20.00

Mostra aperta fino a domenica 28 gennaio
Orari mostra
Sabato 27 gennaio, dalle 16.00 alle 24.00

Domenica 28 gennaio, dalle 16.00 alle 22.00

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Jil Sander in mostra a Francoforte con “Present Tense”

Dal 4 novembre 2017 al 6 maggio 2018 il Museum Angewandte Kunst di Francoforte, accoglie la mostra “Jil Sander: Present Tense”, la prima mostra indipendente di una delle fashion designer più influenti della sua generazione, Jil Sander. L’esibizione segue un itinerario: tramite installazioni multimediali, fotografie, abiti e oggetti la designer mette in scena il suo approccio estetico e il suo stile. Bonaveri affianca Jil in qualità di partner della mostra e ha selezionato per l’occasione dei busti uomo e donna su misura. Tessuti, finiture e le composizioni degli elementi sono stati poi discussi direttamente con la stilista. Curata da Matthias Wagner K in stretta collaborazione con Jil Sander, la mostra è suddivisa in sezioni tematiche: pista, backstage, studio, linee di abbigliamento, accessori, cosmetici, fotografia di moda e campagne pubblicitarie, moda e arte, architettura e arte del giardino.

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CESARE LEONARDI, L’ARCHITETTO DELL’ARTE

Cesare Leonardi, 1965 ca. Courtesy Archivio Architetto Cesare Leonardi.

Oggi, venerdì 15 settembre, nell’ambito del festivalfilosofia 2017, dedicato alle Arti, viene inaugurata la mostra monografica Cesare Leonardi. L’Architettura della Vita, che occuperà fino al 4 febbraio gli spazi di Palazzo Santa Margherita e della Palazzina dei Giardini di Modena. A cura di Andrea Cavani e Giulio Orsini, il grande evento espositivo è organizzato e prodotto dalla Galleria Civica di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di ModenaArchivio Architetto Cesare Leonardi.
La prima grande retrospettiva dedicata a Cesare Leonardi presenta in tutte le sue sfaccettature l’eclettico artista modenese, che si è occupato di architettura, urbanistica, fotografia, design, pittura e scultura, ricercando costantemente il limite tra progettazione e pratica artistica. La mostra espone la ricca raccolta di opere e documenti che sono conservati nella sua casa-studio, attualmente sede dell’Archivio. La Poltrona Nastro, il Dondolo, la Poltrona Guscio e molti altri arredi sono comparsi su riviste e libri di design internazionali degli anni ‘70 e sono esposti nei più importanti musei del mondo, dal MOMA di New York al Victoria and Albert Museum di Londra, fino al Vitra Design Museum di Weil am Rhein.
Più che una semplice mostra di architettura, l’esposizione si ripropone di illustrare la visione dell’artista sul concetto di progettualità a tutto tondo, che attraversa diverse aree disciplinari senza soluzione di continuità. Poltrona Nastro e Solidi si trovano in un accostamento antitetico, quasi fossero stati progettati da autori diversi, mentre, invece, rappresentano il punto di partenza e l’esito di un percorso – dall’oggetto perfetto al sistema artigianale – che si è sviluppato con gradualità e coerenza. Un percorso controcorrente rispetto ai canoni della contemporaneità.
Illustra la mostra il catalogo Cesare Leonardi. L’Architettura della Vita, disegnato da Bunker, che si è occupato anche del progetto grafico e del sito web della mostra.

Cesare Leonardi. L’Architettura della Vita
15 settembre 2017 – 4 febbraio 2018

Galleria Civica di Modena
www.galleriacivicadimodena.it

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Donne Concept Gallery

A Cagliari nasce DONNECONCEPTGALLERY, un nuovo spazio espositivo dedicato alla fotografia di moda, design e arte curato dalla fotografa Stefania Paparelli.
Il programma prevede almeno sei mostre all’anno e sarà il punto di partenza per l’attivazione di progetti di residenze artistiche che portino gli scenari di Cagliari e della Sardegna sotto i riflettori della fotografia internazionale, facendo della galleria un centro di produzione e scambio tra fotografi, tecnici e creativi del settore.
La galleria inaugura il 22 giugno con la mostra The Light Prayer, a cura di Francesca Sassu, che racchiude vent’anni di immagini realizzate per riviste internazionali dalla fotografa Stefania Paparelli, di origine romana ora residente a Cagliari, grande professionista e in primis donna dall’energia speciale alla ricerca di stimoli continui.

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Premio Carmignac di Fotogiornalismo

©Narciso Contreras for the Fondation Carmignac

Non è facile vedere a Milano, nella sede storica e istituzionale di Palazzo Reale, un progetto fotografico così forte e drammaticamente attuale, come quello firmato da Narciso Contreras Libya: A Human Marketplace. Si tratta del reportage incentrato sul traffico di esseri umani, che il fotografo documentarista messicano è riuscito a realizzare nell’arco del 2016, dopo aver vinto il Prix Carmignac, premio di fotogiornalismo di grande importanza internazionale, ideato e promosso dalla Fondation Carmignac.
Contreras, dalla poetica dura e decisa nei suoi scatti, ha voluto concentrare tutto il suo lavoro sulla brutale realtà della tratta di schiavi ai confini della Libia post-Gheddafi, mettendo in luce una vera e propria crisi umanitaria che vede migranti, rifugiati e richiedenti asilo ritrovarsi in balia delle milizie, che li sfruttano a fini commerciali ed economici. Il Prix Carmignac di fotogiornalismo ha lo scopo di sostenere, ogni anno, un reportage fotografico e giornalistico d’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani e della libertà d’espressione nel mondo, mettendo a disposizione un fondo di 50.000€.
La mostra è già stata ospitata all’Hôtel de l’Industrie, nel cuore di Saint-Germain-des-Prés a Parigi e, subito dopo Milano, partirà per Londra, alla Saatchi Gallery.

www.palazzorealemilano.it
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ESTETIZZARE IL FUTURO CON LE FOTOGRAFIE DI ANNE DE CARBUCCIA

Credit cover: Echinodermi, Tobago Cays – Antille, Ottobre 2014 

Prendersi cura del nostro pianeta è da un lato una missione ambiziosa, dall’altro anche un percorso individuale di riflessione verso il futuro. Certamente è difficile per “Il singolo” farsi carico di questo argomento, fa subito sentire piccoli e impotenti, generalmente. Una buona dose di coraggio e un punto di partenza interessante ce lo dà l’artista e fotografa francese Anne de Carbuccia. Aprendo per la prima volta al pubblico la sede italiana della sua fondazione, la Time Shrine Foundation, con la mostra ONE – One Planet One Future. Gli edifici milanesi di una vecchia fabbrica degli anni Venti, di Lambrate, riconvertiti seguendo i più alti standard di sostenibilità, ospitano le grandi opere fotografiche di Anne divise in 4 temi: ENDANGERED SPECIES, WATER, WAR, TRASH. Anne ha girato per tre anni il mondo, realizzando le sue fotografie che fanno uso dell’iconografia della vanitas tipica dei secoli XVI e XVII, inserendo il teschio e la clessidra come classici simboli della vanità umana e del tempo che fugge. Questi oggetti, insieme a elementi organici trovati in loco, costituiscono degli altari atti a onorare le bellezze che il pianeta ci ha donato. Anne con il suo lavoro estetizzante solletica il nostro senso di responsabilità, idealizzando e cementificando nel nostro immaginario proprio quel futuro di cui dobbiamo prenderci cura.

ONE – One Planet One Future
Fino al 12 Aprile, 2017 | dalle 10.00 alle 19.30
Via Conte Rosso 8 – 20134 Milano
www.oneplanetonefuture.org

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Real Haring a Palazzo Reale

Fino al 18 giugno, Palazzo Reale aprirà nuovamente le porte a una mostra eccezionale, su uno dei più importanti esponenti dell’arte americana del secondo dopoguerra: Keith Haring.
Perché dovreste andare a vederla? Vi proponiamo 5 ragioni, che da sole, valgono il costo del biglietto.
1 – Una mostra che soddisfa. L’esposizione è ricchissima, completa e, varcandone la soglia, non potrete assolutamente uscirne delusi: sono infatti esposte ben 110 opere, alcune di dimensioni monumentali, altre per la prima volta mostrate in Italia, il che la rende assolutamente un unicum.
2 – Haring e Basquiat. Fino allo scorso febbraio, abbiamo avuto modo di ammirare al MUDEC le opere di Jean-Michel Basquiat e ora sarà possibile conoscere meglio un artista che, proprio come lui, è stato uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano e ha avuto il merito di portare questa forma d’arte dalle strade fin nelle sale nobili delle gallerie e dei musei. Entrambi maledetti e dissacranti, entrambi scoperti e amati da Andy Warhol, il re indiscusso della pop art, che li ha introdotti nella sua corte, The Factory.
3 – LHaring sconosciuto. I più identificano il pittore come l’artista degli omini, ma siamo sicuri che sia stato davvero solo questo? Certamente l’omino colorato compare nei modi più diversi: in aggrovigliate composizioni, su ispirazione di derivazione michelangiolesca (l’avreste mai detto?), ma anche da solo, isolato. Colpisce molto vederne uno disegnato con un buco in pieno stomaco, immagine che – per stessa ammissione dell’artista – gli è stata suggerita dall’assassinio di John Lennon. La sua arte però, non si è limitata a questo multicolore soggetto: avrete la possibilità di vedere immagini, segni, linguaggi espressivi, che Haring ha recuperato dalla grande arte del passato. Dall’arpia color inchiostro, che viene mutuata dall’antica ceramica attica, a figure nere del VI sec a.C., alla pala in bronzo e oro bianco su ispirazione dei capolavori lignei propri della nostra arte italiana del XIV sec.
4 – Essere protagonisti. Molte volte, davanti all’opera di un artista, ci siamo chiesti: “Che cosa avrà voluto dire? Haring, nel recuperare il linguaggio espressivo dei maestri di ogni tempo che l’hanno preceduto (Bosch, Pollok, Picasso, e molti altri ancora), ha voluto che fosse chi guarda a caricare le immagini, i segni, i simboli, del proprio personale significato. “[…] È responsabilità dello spettatore o dell’interprete che riceve le mie informazioni farsi le proprie idee e interpretazioni al riguardo” (Keith Haring, 12 gennaio 1979). Siate perciò protagonisti.
5 – Colori tra moda e arte. Farsi letteralmente rapire dei colori e dalla ricchezza dell’immaginario di Keith Haring, è inevitabile. A questo proposito, come non ricordarsi di Elio Fiorucci, che nel 1984 ha chiamato proprio lui a Milano, il quale ha lavorato per due giorni e una notte per lo stilista, trasformando lo storico negozio di Galleria Passarella in un’opera d’arte? I colori e il genio dell’artista americano e quelli del grande hippie della moda, non potevano non incontrarsi e non illuminarsi a vicenda. Ora tocca a voi esserne abbagliati.
Credo che ci siano, perciò, diversi motivi per non farvi scappare un’occasione unica come questa mostra, quindi: non resta che andare a Palazzo Reale.

ORARI DI INGRESSO:
Lun: 14:30 – 19:30
Mar: 09:30 – 19:30
Mer: 09:30 – 19:30
Gio: 09:30 – 22:30
Ven: 09:30 – 19:30
Sab: 09:30 – 22:30
Dom: 09:30 – 19:30

Rankin in mostra alla CAMERA WORK GALLERY

La CWC GALLERY di Berlino ospiterà un’esibizione delle opere di Rankin, uno dei fotografi viventi più rispettati al mondo. La mostra, intitolata semplicemente “Rankin”, include più di 50 opere create dall’artista dal 1995 a oggi. I visitatori sono invitati ad accedere al suo affascinante mondo. I lavori presentati appartengono a progetti differenti- includenti gli iconici nudi di top-model come Heidi Klum, Kate Moss e Gisele Bündchen, ritratti di artisti celebri, per esempio David Bowie. Tutti i capolavori vanno oltre le convenzioni, Rankin ha l’abilità di attraversare le frontiere artistiche, creando la sua idea di bellezza e degli standard al di fuori della consueta ordinarietà insita nelle fotografie.  Le sue opere sono parte di collezioni private e pubbliche e sono state esposte in tutto il mondo, ancge al NRW Forum a Dusseldorf, al Kunsthalle Rostock e al National Portrait Gallery di Londra.
RANKIN
dal 25 Febbraio al 1 Aprile 2017
CWC GALLERY
Augstrasse 11-13
10117 Berlino- Germany
rankin.co.uk
camerawork.de
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Perceptive Variations: non perdetevi la mostra milanese

Photo by Jill Schweber

Davanti alla molteplicità dell’esistenza, non potremo fare a meno di porci un’importante questione: che cosa significa “Io” oggi?
Perceptive Variations, la seconda mostra fotografica del progetto THIS IS ME NOT BEING YOU – TIMNBY, a cura di Micaela Flenda in collaborazione con The Candy Box, Studio Modulo e Graficartiere, indaga come la contemporaneità, la tecnologia e I social media abbiano creato nuovi esseri, corpi, icone, divinità fittizie, che racchiudono in sè l’esigenza esoterica di un’identificazione collettiva. Il desiderio feroce di identità è tornato urgente e necessario e la collettiva composta da 8 autori internazionali: Linda Brownlee, Cristina Coral, Can Dagarlsani, Parker Day, Polly Penrose, Katrin Olafs, Camille Rouzaud e Jill Schweber, lo dimostra magnificamente.

Dal 23 al 26 Novembre 2016
via Circo, 1 Milano
Opening 23 Novembre ore 18.30-21.00

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Helmut Newton, innovazione e potenza comunicativa del nudo

Saddle I from the series Sleepless Nights Paris 1976
© Helmut Newton Estate

Arte della fotografia, genialità della composizione, fascino della moda, ma soprattutto potenza comunicativa di un corpo femminile nudo. È la sintetica ed efficace descrizione di uno dei fotografi di moda più amati e chiacchierati della seconda metà del Novecento: Helmut Newton. C’è chi lo ama follemente, chi è allo stesso tempo attratto e perplesso dal suo lavoro, ma di una cosa si può essere certi, gli scatti di Newton non lasciano mai indifferenti. Lo ha confermato la mostra Helmut Newton. Fotografie. White Women / Sleepless Nights / Big Nudes, una raccolta di immagini dei primi tre libri pubblicati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, tornata in Italia, a Genova, presso il Sottoporticato del prestigioso Palazzo Ducale e che sarà possibile visitare fino al 22 gennaio 2017. L’esposizione, ideata dalla vedova dell’artista June, si sviluppa esattamente come nei libri, in un vero e proprio viaggio che ripercorre il processo creativo dell’artista. Un lavoro particolare, quello del fotografo, che ha dedicato la sua vita allo studio del corpo femminile in tutte le sue sfaccettature, introducendo per la prima volta il nudo e l’erotismo nel mondo della moda. Come suggerito dal titolo, il percorso all’interno della mostra si suddivide in tre step: White Women / Sleepless Nights / Big Nudes. Appena entrati nella prima sala ci si ritrova immediatamente avvinti dalle immagini della sezione White Women, una raccolta di foto a colori e in bianco e nero, innovative, crude e provocanti, sia se viste attraverso gli occhi dell’epoca, sia per quelli moderni. Le scene, quasi cinematografiche – dove la donna ha sempre un atteggiamento di superiorità e di forza rispetto all’uomo – hanno l’obiettivo di testimoniare la trasformazione del ruolo femminile nella società occidentale. Il viaggio continua con le immagini della raccolta Sleepless Night. Qui modelle seminude, con indosso corsetti ortopedici o bardate in selle di cuoio e quasi sempre in atteggiamenti sensuali e provocanti, interpretano la fotografia di moda con un appeal nuovo e molto personale. Infine, la mostra si conclude con la sezione più significativa: Big Nudes, gigantografie di nudo scattate in studio. Imponenti e ipnotiche diventano per Newton un marchio di fabbrica che ha affascinato tutto il mondo. L’ossessione per il corpo femminile, per la moda e l’uso della luce naturale hanno portato Helmut Newton a entrare prepotentemente nella storia della fotografia di moda, modificandone l’immaginario collettivo attraverso composizioni erotiche, ma mai volgari. Attualmente il lavoro del grande fotografo è conservato e tutelato grazie all’impegno di sua moglie June e alla Helmut Newton Foundation, a Berlino.

Palazzo Ducale
Genova – 14.09.16>22/01/17

Collective Visions: la mostra fotografica per chi passa da Firenze

Si è inaugurata giovedì 29 settembre a Firenze nella suggestiva location delle Murate, ex carceri fiorentine completamente riadattate a spazio exhibition, la prima delle tre mostre fotografiche riguardanti il fiume Arno, e che si protrarrà fino al 13 ottobre con il nome di Collective Visions. La mostra promossa dalla fondazione Studio Marangoni vuole mettere in evidenza il rapporto esistente fra la città di Firenze e i suoi abitanti con il fiume che lo attraversa tramite una serie di immagini proposte da 9 fotografi selezionati da Jay Wolke, docente di fotografia della Columbia University di Chicago. La mostra chiuderà a novembre, mese di anniversario dei 50 anni dell’alluvione che danneggiò gravemente il capoluogo toscano, procurando ingenti danni a molte opere d’arte. Le foto spaziano da momenti di vita quotidiana in città a canoisti sul fiume, immagini di alloggi e affacci sul fiume, flashback affascinanti. Estremamente suggestive sono poi le fotografie dell’area naturalistica fra Brozzi e Campi Bisenzio, che si mostra come una verde foresta da esplorare. Si possono vedere anche le piante che costeggiano il lungo fiume mentre una video proiezione – Panta Rei – accompagna il fluire del visitatore lungo la mostra: scorrere come il fiume, gli eventi, l’arte.

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I MIGLIORI ALBUM DELLA NOSTRA VITA

Cover credit: Bruno Prosdocimi, Gino Bartali , Fausto Coppi, Ok VIP Panini, Modena (1973)

Al Mata di Modena, nell’ambito del festivalfilosofia dedicato all’Agonismo, dal 16 settembre al 26 febbraio 2017 prende vita la mostra I migliori album della nostra vita. Storie in figurina di miti, campioni e bidoni dello sport, curata dal giornalista Leo Torrini. Un percorso emozionale per ammirare le figurine che ritraggono i personaggi/simbolo della storia dello sport, quelli che ci hanno fatto vivere i momenti esaltanti della vittoria o i cosiddetti “bidoni”, responsabili di cocenti delusioni sportive.

Un’occasione per riscoprire il valore sociale e politico delle figurine utilizzate sia come mezzo di comunicazione, sia come celebrazione di grandi uomini che hanno lanciato messaggi importanti, come lo statunitense di colore Jesse Owens, stella dei Giochi olimpici di Berlino del 1936, che furoreggiò in pieno regime nazista. Non mancano anche i collegamenti con il mondo dello spettacolo, uno fra tutti l’indimenticabile nuotatore Carlo Pedersoli, più noto al grande pubblico come il “gigante buono” Bud Spencer.

L’esposizione permette anche di vivere differenti esperienze interattive e multisensoriali, dai percorsi ludico-didattici per piccoli e grandi, a vere e proprie simulazioni di gioco. A completare il tutto, il catalogo omonimo con le immagini delle figurine in mostra e l’Enciclopedia Panini del calcio italiano, disponibili nel bookshop.

La rassegna è realizzata dal Museo della Figurina del Comune di Modena con il sostegno di Fondazione Cassa di risparmio di Modena e Gruppo Hera, mentre parte del materiale esposto è stato donato al museo da Panini spa. Main partner dell’evento sono Regione Emilia-Romagna, Apt e Città d’arte dell’Emilia-Romagna.

Parallelamente all’esposizione, sarà possibile visitare il Museo della Figurina di Modena (Corso Canalgrande 103), dove circa tremila immagini raccontano la storia di questo piccolo, diffusissimo, mezzo di comunicazione, nato nella seconda metà dell’Ottocento e rendono omaggio alle Olimpiadi, protagoniste di un percorso tematico sugli anni Ottanta e Novanta, anche con il nuovissimo album Panini “Italia Team – Rio 2016, dedicato alla nazionale italiana.

Per finire, venerdì 16, sabato 17 e domenica 18 settembre (ore 10-13 e 15-19), di fronte al Mata, alla Manifattura Tabacchi di Modena, le figurine sono ancora protagoniste con i giochi del campionato di figurine CeloCeloManca: un vero e proprio villaggio, in collaborazione con Panini spa, dove cimentarsi in gare di lancio di figurine in impianti appositamente ideati o partecipare a quiz per mettere alla prova la propria conoscenza sportiva.

Inaugurazione al MATA
venerdì 16 settembre ore 17

MATA
via della Manifattura Tabacchi n. 83 – Modena

Museo della figurina
Palazzo S. Margherita, Corso Canalgrande n. 103 – Modena

www.museodellafigurina.it
www.mata.modena.it
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On board: la mostra all’inizio della creatività

Come nasce una collezione di moda? Qual è il punto di partenza? Qual è il motivo ispiratore? A tutte queste domande (e altre ancora) risponde la mostra On board – il principio della creatività, una collettiva curata da Simone Marchetti e ospitata nei nuovi padiglioni di Milano Unica a Rho Pero fino all’8 settembre, che poi approderà nel calendario ufficiale della Camera Nazionale della Moda durante la prossima Milan Fashion Week. L’esposizione sonda i percorsi creativi di alcuni fra gli stilisti più talentuosi del panorama contemporaneo internazionale attraverso il loro moodboard, ovvero il cuore pulsante di quella creatività che poi si vede sfilare in passerella e che occhieggia dalle vetrine delle boutique. Questo viaggio estetico alle radici della moda racchiude in sé tutte le suggestioni ideative di cui ogni griffe si appropria, passando dagli input del contesto sociale a quelli culturali, senza tralasciare l’analisi geo politica del momento e lo sguardo al futuro che verrà. Incasellati in uno scenario a riquadri singoli, i moodboard mantengono quel respiro privato che spinge l’osservatore a focalizzare l’attenzione sull’incipit del designer. Diciannove i protagonisti: Antonio Marras, Arthur Arbesser, Blumarine, Etro, Fausto Puglisi, Fendi, Marco De Vincenzo, Marni, MSGM, N.21, Philosophy di Lorenzo Serafini, Ports1961, Prada, Pucci, Salvatore Ferragamo, Stella Jean, Trussardi, Valentino, Versace a cui si aggiungono i lavori della Parson School di New York e della Central Saint Martins di Londra. Non mancano le realtà di domani, gli elaborati dei migliori studenti provenienti da IED, AOFL, Domus Academy e Istituto Marangoni. Dopo Milano Unica, On board si trasferirà al Padiglione Visconti di via Tortona, 58 a Milano dal 22 al 26 settembre e sarà aperta al pubblico.

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