Spirito punk e ispirazioni artsy nella F/W 2022 di John Richmond

Rock Royalty, Punk Couture, Sophistication: sono queste le parole chiave della proposta Fall/Winter 2022 di John Richmond, Lead me to temptation. Una tentazione, quella cui allude il titolo, squisitamente fashion; la collezione è stata infatti concepita come un viaggio stilistico, che attinge a pieni mani ad immaginari musicali e artistici, cari da sempre alla maison.

Uno stile timeless, in equilibrio tra tailoring e casual

Tanto nel menswear quanto nel womenswear, Il designer riversa un métissage di concetti e riferimenti, forgiando uno stile unico nel suo genere, che gli appassionati possono far proprio e adattare a qualunque occasione d’uso. Un mix and match che fonde armoniosamente un lato tailoring, sempre presente nelle collezioni della griffe, ed uno più basic, centrato su must dell’estetica urban (felpe, maglieria, t-shirt, pants cinquetasche, anfibi, leather jacket…) arricchiti da applicazioni e disegni sui generis. Sugli outfit si stagliano infatti grafismi, stampe particolareggiate, i simboli del brand (Snake e teschio JR in primis) rielaborati; una profusione di borchie e catenelle di metallo, poi, si impossessa di pezzi d’impronta casual e capi in denim.

Il gioco degli opposti caratterizza in egual misura i look uomo e donna: convivono micro e macro, lungo e corto, vestibilità aderenti e ampie. Per lei, una serie di minidress e abiti che segnano la silhouette, esaltando le forme attraverso lunghezze studiate al millimetro, trasparenze e spacchi, accostati a capisaldi del guardaroba femminile quali blazer, cappotti, longuette e pullover, impreziositi da dettagli strong (qui le iniziali ricamate del marchio, là texture cosparse di strass, zip e punti luce, o ancora scritte a mo’ di graffito e lucentezze metalliche). Per lui, un compendio di evergreen del menswear (dal perfecto al bomber) nobilitati da decorazioni in puro stile Richmond, tra loghi, scritte e motivi tattoo.

La palette cromatica alterna l’immancabile combo black & white alle sfumature del rosso, che contrastano con nuance più accese come verde acido e rosa. Un’allure 80s permea mise che vedono protagonista la pelle, emblema di quella sensualità ribelle che Richmond maneggia alla perfezione, fedele al motto per cui è tutta questione di attitudine, più che di moda in quanto tale.

Seletti 4 Ceramica Bardelli, la capsule collection in cui tutto diventa possibile

Da una parte eccellenza artigianale, tradizione e altissima qualità, dall’altra estro artistico, design innovativo e vocazione provocatoria: da qui nasce l’iconica collezione Seletti 4 Ceramica Bardelli.
Un incontro inedito, ma probabilmente predestinato, quello tra il leader internazionale nel settore delle piastrelle in ceramica e il brand creativo – e a tratti irriverente – di oggettistica e arredo. Un’unione tanto inaspettata quanto inevitabile tra arte e materia, che ha dato vita alla capsule collection Tiles (R)evolution: una gamma di superfici per pavimenti e rivestimenti dall’impatto estetico sorprendente e realizzate con materiali di altissima qualità.

Seletti Ceramica Bardelli
Seletti 4 Ceramica Bardelli: la linea Distortion

Tiles (R)evolution Seletti 4 Ceramica Bardelli:  l’arte incontra la materia

“L’incontro con Stefano Seletti rappresenta la concretizzazione di un sogno, ovvero la realizzazione di una collezione capsule 2D con l’estetica e il design tipicamente 3D per parlare al mondo dell’architettura con un linguaggio originale. L’obiettivo comune? Stravolgere le logiche della decorazione e della composizione moderna ed andare oltre gli schemi! Ed è così che insieme apriamo le porte alla (R)ivoluzione nel design nel mondo della ceramica!”. Così Gianmaria Bardelli, amministratore delegato del gruppo di cui fanno parte, oltre a Ceramica Bardelli, anche Ceramica Vogue e Appiani, racconta del sodalizio con Seletti, azienda che dal 1964 rivoluziona il modo di vedere, interpretare e utilizzare gli oggetti di uso quotidiano.

Non a caso “(R)evolution is the only solution” è lo slogan del marchio guidato da Stefano Seletti. E con Seletti 4 Ceramica Bardelli, la rivoluzione si sposa con il know-how indiscusso del prodotto ceramico scatenando una vera rivoluzione nel mondo delle superfici decorative e dando vita a Tiles (R)evolution, la gamma di piastrelle pensate per ogni ambiente, dalla casa all’hotel e fino al contract.

Ceramica Bardelli Seletti catalogo
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Black&White

Le cinque linee sorprendenti della capsule di superfici Tiles (R)evolution

Cinque linee dirompenti – Distorsion, Diamond, Black&White, Elements 1 – Nuvole e Elements 2 – Acqua – con cui ricreare ambienti immersivi e onirici, vanno a comporre la capsule collection Seletti 4 Ceramica Bardelli, contemporanea e fuori dagli schemi, realizzata a quattro mani dalle due eccellenze italiane.

Distortion è una piastrella in gres porcellanato, che nei motivi e nelle geometrie reinterpreta l’iconico pattern bianco e nero di Seletti traendo ispirazione dall’immaginario di Maurits Cornelis Escher e dalle prospettive paradossali, i pattern ipnotici, i cortocircuiti percettivi caratteristici delle sue opere.
Diamond invece, piastrella tridimensionale disponibile con finitura lucida nei colori bianco, nero, arancione, senape e rosso, raggiunge il suo massimo splendore nella versione Mirror.

Ceramica Bardelli collezioni Seletti
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Distortion

Black&White è un mosaico in cui si esprime appieno l’expertise dell’azienda nell’immaginare soluzioni che superino i tradizionali confini della decorazione, unita all’approccio visionario di Seletti. La linea  si contraddistingue per un gioco di bianchi e neri dalle infinite combinazioni di creatività.

Elements infine, nelle sue due varianti Nuvole e Acqua, è una serie che vede protagonista la natura e i suoi elementi, con la quale realizzare ambientazioni incantate, portando nell’interior la magia del mondo esterno e rendendo possibile l’impensabile: camminare sulle nuvole o tra azzurre acque cristalline; la percezione si ribalta trasformando radicalmente gli spazi interni.

Seletti Bardelli sito ufficiale
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Nuvole

“In Seletti una cosa che sicuramente non manca è l’entusiasmo nello sperimentare; infatti, quando Gianmaria Bardelli mi ha proposto di immaginare un progetto insieme ho subito detto di sì”, spiega Stefano Seletti a proposito della collab. E prosegue: “Ho scoperto che il mondo del rivestimento ha qualcosa di magico, delle potenzialità in parte vicine a quelle dell’arte”.

Seletti Bardelli catalogo
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Acqua

Un ricordo di Nino Cerruti, principe del tessuto

Che la morte di Nino Cerruti – il “signor Nino”, come lo chiamavano tutti – abbia almeno una funzione, oltre al dolore che ci fa sentire più orfani di uno tra i più grandi autori del Made in Italy: la convinzione e il dovere di dire al mondo che è grazie al tessile, a cui poi il designer dà forma e contorno, se siamo i primi nel mondo a creare moda che è anche abbigliamento, capacità inventiva che è anche modalità vestimentaria, stile che è anche funzione.
Se, come fa dire Shakespeare a Prospero ne La tempesta: «Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni», la moda è fatta della stoffa prodotta da imprenditori illuminati, che spessissimo danno il la alla creatività dei designer che proprio da una certa consistenza, da una “mano” più o meno vellutata o più o meno scattante innescano il loro estro. Il tessile rappresenta un’importante voce dell’economia italiana: è importante sottolinearlo perché anche noi addetti ai lavori tendiamo a dimenticarlo, regalando tutto il merito a chi disegna i vestiti ma non a chi ne ha disegnato la sostanza nella quale sono ritagliati.


Nino Cerruti nel 1987, photo by Raphael Gaillarde/Gamma-Rapho via Getty Images

Il pullover giallo pallido buttato sulla spalla «perché è un amuleto», l’eleganza che sprigionava un’aura di internazionalità non legata a nessun territorio (e questo, alla faccia di chi ritiene “provinciale” chi non sia nato a New York, Parigi, Londra o Milano), il biellese Cerruti ha introdotto il “casual chic” nell’abbigliamento maschile di fascia alta inventando la prima giacca decostruita negli anni Settanta, con la complicità di un giovane stilista, Giorgio Armani, che aveva conosciuto una decina di anni prima.
Nasce per sua natura come maestro della raffinatezza rilassata, ma sente presto che il termine eleganza” ha «un terribile sapore di vecchio», cui preferisce sostituire il concetto di “stile”: «Avere stile è mescolare cultura e arte».
Un dato interessante: avrebbe voluto diventare un giornalista o un filosofo. Purtroppo, la morte del padre Silvio lo costringe ad abbandonare gli studi per rilevare l’azienda di famiglia, famosa soprattutto per la trama e gli orditi delle lane.


Cerruti con una modella a Capri, nel 1968
Cerruti (al centro, con il pullover giallo sulle spalle) al termine della sfilata F/W 1997-98 a Parigi, ph. Condé Nast Archive

«Da lui ho appreso non solo il gusto della morbidezza sartoriale, ma anche l’importanza di una visione a tutto tondo, come stilista e come imprenditore», ha scritto Armani sul suo profilo Instagram: «Aveva uno sguardo acuto, una curiosità vera, la capacità di osare». Quella con il designer piacentino è una relazione in cui l’uno sostiene l’altro nella creazione di una silhouette maschile e femminile completamente rinnovata grazie a tessuti morbidi, lievi, senza genere, diremmo oggi: Armani disegna la prima collezione di abbigliamento del signor Cerruti, il cui lanificio di famiglia data al 1881.
La linea si chiama Hitman, ed è tra le prime dedicate al prêt-à-porter maschile, tanto che il tessitore-imprenditore aveva già aperto nel ’65 una sua boutique parigina a pochi passi da Rue Cambon, “il” regno di Mademoiselle Coco Chanel, di cui diventa amico, la quale indossa solo pantaloni firmati Hitman. Pochi anni dopo vi affiancherà la linea più sportiva Flying Cross.


Nino Cerruti con Sharon Stone al Festival di Cannes del 1992

Aperto alla contemporaneità, la fa disegnare da Vico Magistretti: il successo è tale che Oltralpe viene denominato come “il più francese dei couturier italiani” e a chi lo conosce negli anni successivi, Cerruti preferisce parlare direttamente in francese. O in inglese: è tra i primi, insieme con Armani, a vestire il Gotha dell’Hollywood che conta, non solo sui red carpet, ma anche come costumi di film come Pretty woman, Il silenzio degli innocenti, Basic Instinct, Philadelphia, Wall Street, Attrazione fatale, Proposta indecente.
Manager, imprenditore, creatore, conosce successi crescenti: l’invenzione del colore ottanio, i profumi, gli occhiali, la linea femminile («amo le donne in pantaloni»), i primi accordi di licenza in Giappone e negli Stati Uniti. Nominato Cavaliere del Lavoro nel 2000, è stato anche designer ufficiale della scuderia Ferrari di Formula 1 nel 1994. Il figlio Silvio inizia ad affiancarlo nel lavoro.


Richard Gere e Julia Roberts in Pretty woman: nel film l’attore americano indossa abiti disegnati da Cerruti

Michael Douglas in Wall Street: il guardaroba del suo Gordon Gekko è firmato Cerruti

Un’altra delle sue scoperte è Véronique Nichanian, ora da decenni direttrice creativa della collezione uomo di Hermès, che Cerruti nota diciannovenne ai corsi della Chambre Sindacale de la Couture. Il tutto sempre soffuso di una certa nonchalance striata di snobismo e di grazia, che gli permette di dare giudizi soavi e spesso tranchant.
Di vestiti, non vuole buttarne via uno, anche dopo anni. Sono il racconto dell’intera sua esistenza: «Dagli inizi degli anni Cinquanta ho tenuto tutto quello che compravo e tutti i prototipi che facevo realizzare. Col mio mestiere, poi, era facile abituarsi ad amare una cosa diversa ogni mese. È come vedere una foto dello stile attraverso gli anni. Oggi, riesco ancora a indossare qualcosa. E qualcosa viene ancora indossato dalle nuove generazioni venute dopo me», disse quando nel 2015 la Fondazione Pitti Discovery dedicò una mostra all’archivio di una vita, la sua, che s’intitolava “Il signor Nino”, curata da Angelo Flaccavento.


Una sala della mostra “Il signor Nino”, allestita al Museo Marino Marini di Firenze nel 2015

Purtroppo, aver venduto la sua maison a un gruppo di imprenditori italiani non si è rivelata la sua decisione più saggia, visto che doveva essere il primo mattone di un polo del lusso italiano che mai vide la luce. Il Lanificio Cerruti ora fa parte del fondo anglo-londinese Njord Partner; il signor Nino ne conservava una quota del 20 per cento e la carica di vicepresidente.

Principe del tessuto, il signor Nino, lungo il telaio della sua vita, ha tramato e ordito perché ciò che sapeva fare diventasse indispensabile alle persone eleganti di oggi: costruire tra di loro un “tessuto connettivo”, una Rete prima della Rete, diventando egli stesso un social vivente molto prima dei social, che riunisse tutti e tutte gli amanti del bello, dell’armonia, dell’arte e della gentilezza dei modi.


Un ritratto del 1993 dello stilista e imprenditore biellese

In apertura, Nino Cerruti nel 1987, photo by Raphael Gaillarde/Gamma-Rapho via Getty Images

I gioielli che piacciono (anche) alla Gen Z da scoprire ora

Quello secondo cui l’orologio è l’unico gioiello da uomo è stato a lungo un assioma incontrovertibile o quasi, cui derogavano solo personalità del mondo dello spettacolo, rapper ed eccentrici di professione; erano ammesse eccezioni per gemelli e fermacravatta, accessori però più funzionali che decorativi. Dogmatismi simili erano destinati inevitabilmente ad incrinarsi, e adesso la Generazione Z (termine che, come precisa la Treccani, indica i «nativi digitali nati tra il 1997 e il 2012»), stando alle ricerche la più inclusiva e libera da preconcetti di sempre, appare determinata a frantumare convenzioni percepite come insensati anacronismi da boomer, giustappunto.


Harry Styles, Timothée Chalamet, Damiano David


Da esibire “IRL” o negli spazi ormai onnicomprensivi del web, tra dirette streaming davanti al pc, selfie e video su TikTok, con bracciali, catenine, necklace, bijoux vari ed eventuali i Gen Zers procedono anzi per accumulo, perché rappresentano uno strumento per raccontare qualcosa di sé, definire il proprio personaggio (reale o virtuale, poco conta), lanciare messaggi attraverso scritte oppure, in maniera più soft, scegliendo pietre, forme o tipologie di monili considerati per molto (troppo?) tempo appannaggio esclusivo delle donne.

Basta volgere lo sguardo alle star elette dai giovanissimi a role model, del resto, per rendersi conto di come impilare orecchini, braccialetti & Co., meglio ancora se mutuati dalla gioielleria pour femme o genderless, sia diventata la norma: Harry Styles innanzitutto, che fa suoi con assoluta noncuranza ornamenti reputati femminili (di nuovo, etichette di dubbia sensatezza), infilando abitualmente grappoli di anelli sulle dita e fili di perle al collo, mentre Timothée Chalamet, arbiter elegantiae contemporaneo di cui appositi account Instagram provvedono a passare ai raggi X ogni outfit, ha un penchant per collane (compatte oppure a maglie sottili), spille (spesso vintage) e rings in metalli preziosi. Damiano David dei Måneskin, invece, da buon epigono del glam rock qual è, ricorre volentieri a pendenti elaborati, da portare su entrambi i lobi, choker e altri fronzoli ora a modino, ora dal retrogusto fetish. L’importante, alla fin fine, è mettere da parte inibizioni e (presunte) regole effettivamente stantie in nome di un solo, sacrosanto principio, ovvero il proprio gusto.


Gucci Link to Love


I brand, da parte loro, fiutando lo Zeitgeist vengono incontro alle mutate esigenze dei clienti, giovani o meno, con linee di gioielli prive di connotazioni di genere o, nel caso queste vengano nominalmente mantenute, ampliano il range di taglie, così da renderli adatti a uomini e donne. In vista delle festività imminenti, si possono perciò vagliare le collezioni di numerose griffe, per regalare – o regalarsi – un prezioso up-to-date.
I suddetti Styles e David, ad esempio, sono fan devoti degli accessori di Gucci, e osservando la gioielleria del marchio fiorentino è facile capire il motivo: la collezione Link to Love, in particolare, rispolvera geometrie Eighties in purezza, sulle quali interviene però montandovi gemme preziose o semipreziose, dai diamanti alle tormaline; soprattutto, si invita la clientela a creare i propri set, sbizzarrendosi con finiture, nuance e combinazioni, affiancando magari volumi netti e spigolosi ad altri più delicati.


Swarovski Collection II, ph. by Mikael Jansson


Anche la storica maison di cristalleria Swarovski, su spinta della Global Creative Director Giovanna Engelbert, adotta un approccio il più inclusivo possibile, evidenziando le potenzialità del cristallo «come strumento di espressione della propria individualità»: così la fashion icon a proposito della Collection II disegnata per la griffe austriaca, un caleidoscopio di luccichii all’insegna del more is more, tra brillanti “tuttifrutti” tagliati in un’infinità di modi (dai classici cushion e pear a quelli che ne aguzzano la silhouette) e linee accentuate, qua aspre, là sinuose.


Tom Wood


Da Tom Wood rigore e minimalismo, connaturati a una label scandinava (nata a Oslo, nel 2013, da una manciata di anelli con sigillo realizzati dalla fondatrice Mona Jensen), vengono sfumati dall’incontro con pietre quali onici, granati, opali e ametiste, oppure da levigature e cesellature che ingentiliscono il risultato finale, nella gran parte dei casi unisex.


Jiwinaia


Apprezzatissimi da nativi digitali e millennial sono poi gli accessori ludici e irriverenti firmati Jiwinaia, marchio con base a Milano della creativa coreana Marisa Jiwi Seok (indicata, poche settimane fa, dal Financial Times tra i giovani capifila del «fashion renaissance» italiano), un calderone in cui si mescolano senza soluzione di continuità attitudine playful, kitsch, nostalgia per i ninnoli dell’infanzia e divertissement che fanno il verso al surrealismo; ne escono, tra gli altri, orecchini-emoticon, faccine o frasi ironiche riprodotte su massicce perle (finte), cerchi tempestati di zirconi, clip a forma di ragnatela.


Timothée Chalamet con una collana Vita Fede; alcuni gioielli del brand; Kendall Jenner con gli orecchini Milos


Ambisce a delineare, coi suoi gioielli fatti a mano in Italia, un’estetica globale e però unica nel suo genere la founder di Vita Fede Cynthia Kozue Sakai, che infonde un mix di ispirazioni asiatiche, americane ed europee in oggetti dalle proporzioni fluide, armoniose, che si sono guadagnati il favore di idoli della Gen Z come il citato Chalamet e Kendall Jenner. Di tutt’altro segno le creazioni outré di Alan Crocetti, designer brasiliano con studi alla Central Saint Martins (fucina dei migliori talenti della moda made in Uk), intenzionato col suo brand a stravolgere la nozione stessa di gioielleria, sfocando i confini tra maschile e femminile attraverso anelli, ear cuff, collane e face jewels che lui considera estensioni del corpo, e sviluppa ibridando forme anatomiche e influenze artistiche in arditi ornamenti, come il “cerotto” per il naso d’oro o argento 925 (indossato anche dall’attore Omar Ayuso nel video di Juro Que, singolo di Rosalía), che hanno subito trovato ammiratori d’eccezione, da Lady Gaga a Mahmood, da Miley Cyrus a Luke Evans.


Alan Crocetti, ph. n 1 by Gorka Postigo, nell’ultima foto Mahmood con una creazione del designer


Inequivocabile, infine, il claim della collezione XX/XY di Eva Fehren («Per lui. Per lei. Per loro. Per noi»), dai tratti slanciati come quelli dei grattacieli di New York, dove vive e lavora la direttrice artistica Eva Zuckerman, che trasla i profili tesi e scattanti dell’architettura della metropoli su gemelli, broche, rings e monili in oro 18k, talvolta incastonati con diamanti dal taglio angolare.


Eva Fehren collezione XX/XY, ph. by Herring & Herring


A prescindere dai singoli nomi, è bene comunque ricordare che, come riassunto da Jensen al Guardian l’anno scorso, «poiché le idee tradizionali su ciò che è femminile e maschile vanno sfumandosi […] uomini e donne vestono allo stesso modo, e i gioielli in quanto accessorio chiave seguono naturalmente questa tendenza». Difficile, se non impossibile, darle torto.

Guida al peacoat, il capospalla dal fascino navy perfetto per l’inverno

Inglesi e americani lo chiamano peacoat (o pea coat), i francesi caban, la sostanza non cambia: a distanza di secoli dalla sua comparsa, il giaccone doppiopetto corto in vita mantiene intatta la propria compostezza e il flair marinaresco che nella moda, specialmente maschile, non guasta mai.
Come altri capi outerwear codificati da tempo nei canoni dello stile pour homme, infatti, il capospalla in questione deriva dal mondo militare, nello specifico da quello della marina di parecchi decenni or sono, sebbene le ipotesi sulle origini siano discordanti: la più accreditata vuole che a utilizzarlo per primi siano stati i marinai olandesi che, intorno alla fine del ‘700, indossavano pesanti paletot denominati pijjakker (crasi tra pij, ossia il ruvido tessuto di cui era composto, e jakker, “giacca”), altre ne attribuiscono l’introduzione alla Royal Navy britannica del XIX secolo, seguita presto dall’omologo corpo statunitense, mentre l’azienda di abbigliamento Camplin (fornitrice, dal 1857, proprio della marina di Sua Maestà) ne rivendica con orgoglio l’invenzione come parte delle uniformi dei sottufficiali, il cosiddetto petty coat, abbreviato in p coat (da cui il nome attuale). Di sicuro, nel 1869 Tailor & Cutter, giornale di sartoria diffuso tra i gentleman dell’epoca, pubblica il figurino di una giacca assimilabile al caban odierno, indicata come “pea-jacket”.



Ad ogni modo, la storia dell’indumento afferisce a una tradizione evocativa di atmosfere d’antan, viaggi in mare aperto e un confronto costante con la potenza degli elementi primordiali, cui si devono le sue peculiarità, concepite per agevolare in tutto e per tutto la vita di bordo. La forma, svelta e dritta, sfinata ma senza eccessi, con lunghezza a metà coscia, ampi revers (che, nel caso, si possono serrare fissandoli al sottogola) e chiusura incrociata a sei bottoni, distribuiti su due file parallele (in ottone dorato o corno, solitamente incisi con il simbolo marittimo per definizione, l’ancora, e piuttosto grossi, così da maneggiarli senza difficoltà anche con le dita bagnate o intirizzite) facilita i movimenti; la corposità della stoffa, i baveri e le tasche a filetto verticali, in cui affondare le mani, proteggono invece da schizzi d’acqua, vento e clima rigido.
Tutti attributi che, mutatis mutandis, possono far presa anche sui civili e su chi, pur non avendo mai messo piede sul ponte di una nave, cerca semplicemente un giubbotto essenziale, caldo e robusto. Non sorprende affatto, perciò, che alla fine del secondo conflitto mondiale, con le società subissate dalle eccedenze di abbigliamento militare e i soldati che fanno ritorno nei rispettivi paesi, il peacoat finisca per attrarre cittadini di ogni sorta, dai beat – e aspiranti tali – agli animatori dell’ondata hippie e pacifista degli anni ‘60, dalle rockstar ai membri più in vista dell’intellighenzia europea (di nomi se ne potrebbero fare a bizzeffe: Albert Camus, Jean Cocteau, Alberto Moravia, Lou Reed, Bob Dylan, Serge Gainsbourg, i Rolling Stones…).



Svuotato di qualsiasi connotazione militaresca (d’altronde meno evidente rispetto a capi quali trench o bomber), ad imprimere al caban il suggello della coolness arriva poi il cinema, con alcuni personaggi indimenticabili: come non citare Joseph Turner/Robert Redford ne I tre giorni del Condor, Henry Adams/Gregory Peck de Il forestiero o, per restare a pellicole più recenti, il trafficante interpretato da Johnny Depp in Blow, oppure Daniel Craig – alias James Bond – in Skyfall?


Prada, Neil Barrett, Stefan Cooke


Stilisti e maison non impiegano molto ad appropriarsi del capo, per riproporlo in fogge più o meno aderenti all’originale, sfruttandone l’indubbia versatilità; in effetti si sposa alla perfezione con look casual a base di dolcevita, pullover e jeans, ma non stona neppure se abbinato a camicie o pantaloni dal piglio formale, oppure sovrapposto a giubbini di minor spessore, come quello denim.
Le sfilate Fall/Winter 2021 ci consegnano uno stuolo di nuovi varianti del peacoat: in casa Saint Laurent, tanto per cominciare, c’è l’imbarazzo della scelta, tra modelli rigorosi nel total black di prammatica per la griffe, in tessuto irsuto effetto orsetto, ossequiosi del passato marinaro o profilati da passamanerie in corda bianca.
Dirompente la rielaborazione di Prada, un paletot paffuto dal taglio squadrato, che perde i revers a favore del colletto a camicia, lavorato in jacquard, e si dota di bottoni sovradimensionati con impresso il caratteristico triangolo del marchio.


Missoni, Dolce&Gabbana, Dior Men, Giorgio Armani


Neil Barrett, dal canto suo, scompagina la precisione sartoriale del doppiopetto cammello con un’ondulatura scura che sembra incorniciarne la sagoma, suggerendo uno stacco cromatico che trova conferma sulla schiena, mentre Stefan Cooke, wunderkind della moda d’oltremanica, prova a ingentilire l’aria marziale del capospalla attraverso piccole sfere di tessuto ton sur ton, impilate su spalle e collo.
Da Missoni l’audacia della fantasia animalier viene smorzata, in parte, dall’accostamento tra il nero delle strisce e il fondo blu, Dolce&Gabbana dà sfogo alla vis decorativa tipica del brand con patchwork di stoffe dai pattern più vari (tra cui spigati e pied-de-poule) e profili segnati da catene di perle.
I giacconi compìti, nei toni del borgogna o taupe, in passerella da Dior Men sono la logica conseguenza del mood alla ufficiale gentiluomo scelto per la collezione, stesso aplomb nello show di Giorgio Armani, che opta per modelli a motivi chevron o in panno color navy screziato di grigio.


Saint Laurent, Giorgio Armani, Sealup


Perfetto per affrontare il freddo senza ingolfarsi in stratificazioni disperate o piumini ipertrofici, il peacoat è un alleato di stile ideale, da acquistare ora per indossarlo nei mesi – e anni – a venire; un’eventuale rosa di dieci “candidati” potrebbe includere cinque nomi citati in precedenza (nello specifico Saint Laurent, Prada, Neil Barrett, Missoni, Giorgio Armani), a cui sommare proposte come quella di Sealup, vagamente dandy grazie alla luminosità del velluto a coste blu notte (acuita dai bottoni color oro), oppure il caban in lana di Hevò dal fit asciutto, in una calda nuance caramellata; da valutare anche il fascino un po’ ruvido, da gentiluomo di campagna, del cappotto mélange MP Massimo Piombo, quello revivalistico di Sandro (che recupera il tocco squisitamente Seventies del montone sul collo) e la versione filologica di Polo Ralph Lauren, in lana mista a nylon, dalla vestibilità comoda. Una buona varietà di modelli, tra cui scegliere quello che più risponde al proprio gusto, certi di puntare su un capo che, al netto di inclinazioni personali e vague passeggere, consente di navigare sicuri nei mari perigliosi della moda.


Hevò, MP Massimo Piombo, Sandro, Polo Ralph Lauren


Immagine d’apertura: ph. by Matthias Vriens

I nuovi talenti di 080 Barcelona Fashion puntano su ricerca e sostenibilità

Svoltasi dal 25 al 28 ottobre, la 080 Barcelona Fashion, tra le principali kermesse di moda del Sud Europa, ha avuto come (spettacolare) cornice l’Espai XC a Esplugues de Llobregat, un’infilata di archi, cortili e ambienti dall’elevata scenograficità che fu la dimora dello scultore Xavier Corberó. Un’edizione al 100% digitale, centrata su innovazione, creatività e sostenibilità (pilastri ormai irrinunciabili per l’industria fashion nel suo complesso), cui hanno preso parte brand noti e newcomer per un totale di 22 label.
Ad accomunare le quattro collezioni a nostro avviso più interessanti, elencate di seguito, è la sensibilità verso l’impatto ambientale ed etico della produzione, punto di partenza per una sperimentazione a tutto tondo – dall’origine e lavorazione dei materiali alla modellistica, alla valorizzazione dell’artigianato, così da coniugare design accattivante e green attitude.



Eñau

Giunto alla quinta collezione, il marchio di abbigliamento eticamente sostenibile Eñau trae ispirazione dall’osservazione dei flysch, strati di arenarie, calcari e altri sedimenti depositatisi gli uni sugli altri nell’arco di milioni di anni; trasla quindi le sfumature pietrose degli stessi (piombo, ardesia, bianco sporco, nero) nella palette, restituendone la caratteristica stratificazione attraverso l’alternanza tra morbidezza e rigidità, fra tessuti consistenti (lana rigenerata, tricot, pelle vegana…) e tenui come il poliestere riciclato.
Righe, pieghe e ondulature (frequenti su tank top e maglie finemente plissettate, camicie dal taglio squadrato, pantaloni slouchy che non vanno mai oltre la caviglia) rimandano invece all’aspetto frastagliato di queste formazioni detritiche, e non mancano neppure riferimenti più espliciti al tema, sotto forma di stampe fotografiche che ritraggono pareti rocciose, scogliere a picco sul mare o distese sabbiose.
Le silhouette si mantengono clean e lineari, il tocco finale è dato dagli accessori artigianali, realizzati appositamente dal gioiellere Tó Garal e dal brand di borse Nonnai.



Júlia G. Escribà

Júlia G. Escribà, giovane creativa catalana, prova a rispondere alle sfide del cambiamento climatico combinando soluzioni al limite dell’avveniristico e design di qualità, concepito per superare tendenze effimere, sovrapproduzione e altri (discutibili) riti che caratterizzano tuttora la moda. Si spiega così l’impiego della tecnologia di termoregolazione Outlast®, che permette agli indumenti di adattarsi alle variazioni della temperatura esterna, assorbendo e rilasciando calore; nello show Spring/Summer 2022 all’uso del brevetto, sviluppato originariamente per la Nasa, si unisce il focus su materiali dalle naturali proprietà termiche quali lino – green per definizione – o cupro, fibra setosa e carezzevole, declinati in nuance armoniche suggerite da Neil Harbisson, artista capace di “sentire” i colori grazie a una speciale antenna impiantata nel cranio.
Il titolo scelto, Utopia, sintetizza in maniera efficace l’ambizione di comporre un guardaroba all’avanguardia e timeless allo stesso tempo. Gli outfit, fluttuanti e dalla linea scivolata, comunicano un senso di purezza che ben si accorda ai valori professati dalla stilista, tra jumpsuit ariose, maxi bluse, ampi pantaloni cropped, coroncine bucoliche, orli e abbottonature asimmetriche.



LR3 Louis Rubi

Fondata a Barcellona nel 2019 da Louis Rubi e Daniel Corrales, LR3 intende porsi come una griffe realmente inclusiva, pertanto elimina i dogmi e le limitazioni che hanno irreggimentato nei decenni il mondo fashion per concentrarsi su pezzi one size, che valorizzino chiunque scelga di farli propri, indipendentemente dalla sua età, fisico, sesso o cultura di appartenenza.
A indossare le novità del marchio è un cast a dir poco eterogeneo: modelli e modelle occasionali si muovono in totale libertà all’interno dell’Espai XC, favoriti in questo dai volumi dilatati, quasi fuori scala degli abiti, perlopiù capispalla di foggia classica come blazer, car coat e spolverini, ripensati nelle proporzioni puffy, per l’appunto. I toni neutri – dal khaki al cammello, dal nocciola al verde oliva, si scontrano con sprazzi fluo (qua una pennellata arancione che fende il completo over, là una colata di fucsia sul maglione), una vivacità cromatica che acuisce l’impressione generale di compiaciuta giocosità, di assenza di regole della sfilata, a ribadire l’irriducibile diversità di ciascuno che, alla fine della fiera, è l’essenza stessa del vestire.



Martín Across

Una condizione di sospensione, di tensione continua tra dimensione onirica e slanci futuristici è il tratto peculiare del prêt-à-porter di Martín Across. L’ultima collezione dell’etichetta creata da Martín Maldonado, On the fragile nature of life, esplora i possibili significati del termine movimento, da intendere come individuale o collettivo, concreto o psicologico, graduale o impetuoso. Tutto questo viene tradotto, nei look, in pattern multicolor che smuovono le superfici, zigzagano su giubbetti, felpe e soprabiti, simulano il moto delle onde, i riflessi dell’acqua o, ancora, i diversi colori dei sedimenti, generando sorprendenti effetti cromatici.
Accessori utility quali bucket hat, tracolle a rete e sneakers in gomma si mescolano a capi dall’appeal classico (dai dolcevita ai gilet di maglia, ai pants segnati da profonde pinces), tutti realizzati a mano in Ecuador, paese d’origine del direttore artistico, usando materiali locali. 



K-WAY X KAPPA

Era il 1965, in una giornata di pioggia Leon Claude Duhamel osserva i passanti e pensa ad un’alternativa allo scomodo ombrello: una giacca leggera, pratica e soprattutto impermeabile da indossare nelle giornate uggiose. Il resto come si dice è  storia. Negli ultimi anni abbiamo un rilancio del brand che ha dell’incredibile, grazie anche alle collaborazioni con Versus Versace,  N. 21 e Dsquared2.
Dall’altra parte è Kappa, azienda con focus sportivo fondata a Torino nel 1978,  che è riuscita a cogliere perfettamente il boom dello sportswear. Celebrities come Kendal Jenner iniziano a postare diverse foto sui social con i loro capi ritrovati in qualche mercatino vintage. E’ il momento migliore per rilanciarsi e Kappa diventa uno tra i millennials brand più solidi, collaborando con nomi come Marcelo Burlon e  Gosha Rubchinskiy.
Ed è proprio per la nuova stagione che i due marchi  lanciano un co-branding Kappa X K-Way: una capsule collection colorata e unisex, caratterizzata da maxi loghi e da una vestibilità over. Il tricolore giallo, arancio e blu incontra l’iconica banda Kappa per un sodalizio interno tra due realtà simbolo dello streetwear e dell’outerwear che finalmente trovano un punto di incontro.
Le 6 proposte della capsule collection K-Way X KAPPA (felpe, giacche e pantaloni impermeabili) sono state presentate nel flagship K-Way di Covent Garden a Londra lo scorso 6 settembre con un lancio fortemente social. La co-lab è in vendita nei K-Way store e in selezionati multibrand di tutto il mondo.

®Riproduzione riservata

Burberry: una nuova collezione per Kris Wu

Burberry ha rivelato la sua recentissima collaborazione con il musicista, attore e suo ambasciatore, Kris Wu. La collezione verrà lanciata il 16 dicembre e consterà di 19 capi creati e curati dallo stesso Kris e da Christopher Bailey. La collezione è caratterizzata da capi sui quali sono stampati e ricamati i tattoo e i testi delle canzoni del musicista. Le magliette a stampe, sono, come lo stile dell’artista, comode e confortevoli, in una parola, oversized; la collezione include anche una giacca in pelle appositamente pensata per i biker, oltre a un trench e a un monopetto resistenti all’acqua, in un design relaxed-fit. In onore di questa collaborazione, Kris ha realizzato una nuova traccia nella quale condivide l’esperienza che ha vissuto con Burberry.

Link alla nuova traccia di Kris Wu intitolata ‘B.M.’
https://empire.lnk.to/BM  

®Riproduzione Riservata

Scritta al neon “REPLICANT”

The Woolmark Company e il designer belga Raf Simons si sono riuniti, martedì 11 luglio, nel cuore del quartiere di Chinatown – sotto il ponte di Manhattan a New York – per presentare il menswear della primavera/estate 2018. L’incontro creativo è nato lo scorso inverno, con lo sviluppo della collezione A/I 2017-18, che ha sfilato il durante la New York Fashion Week
L’azienda australiana, assieme al designer belga, ha fatto sfilare 50 outfit con cappelli larghi, pantaloni ampi, maglioni oversize, impermeabili lucidi, galosce a tutta gamba e anche zaini, in collaborazione con Eastpak. Inoltre, Simons ha anche presentato le nuove Adidas Detroit Runners e Adilette Slides. Il tutto sotto le lanterne cinesi stampate con opere d’arte del graphic designer Peter Saville per il New Order. Nel parterre: celebrità come ASAP Rocky, il campione dell’NBA Andre Iguodala, Julianne Moore, Jake Gyllenhaal, Ashton Sanders e Marc Jacobs.
Durante il fashion show, i modelli, di ambo i sessi, hanno attraversato la passerella sotto gli ombrelli, replicando una scena di Blade Runner, dove il personaggio di Harrison Ford, Deckard, si dirige verso Chinatown. Con scritte al neon che indicavano la parola “REPLICANT”, un riferimento agli androidi bio-robotici del famoso film del 1982. «Ci sono molti riferimenti ai miei primi giorni e al perché abbiamo iniziato a realizzare la collezione che abbiamo fatto sfilare – ha affermato Simons durante un’intervista – Con forti richiami musicali dal passato, ma ci sono anche accostamenti scomposti, scollegati dal contesto; si tratta di film, di culture che scivolano insieme. Questo è il messaggio più importante per me. Come captare elementi e buone vibrazioni. Volevo che fosse energica».
La linea è nata dalla passione per la fibra di The Woolmark Company e di Raf Simons, con l’obiettivo di creare una collezione primaverile incentrata su lane lavorate con tecniche di fabbricazione inusuali. L’intento è quello di spingere l’acceleratore sul côté sportivo, come sottolinea il global advisor di The Woolmark Company, Fabrizio Servente: «Questa fibra vive un momento di grazia, con grandi novità dal punto di vista del prodotto. La rivoluzione è nel mondo sportivo, dove la lana, in precedenza soppiantata dalla fibre tecniche, torna alla ribalta con tessuti incredibili, apprezzata anche dal pubblico più giovane».

www.woolmark.com
rafsimons.com

®Riproduzione Riservata

INEDITA COLLABORAZIONE LOUIS VUITTON x SUPREME

Louis Vuitton ha aperto un pop up store a Londra, che resterà fino al 21 luglio, in cui ha presentato una preview della collezione maschile per l’Autunno/Inverno 2017 e ha rivelato l’esclusiva collaborazione con il brand Supreme. La cultura dinamica newyorkese del recente passato degli anni ’70, ’80 e dei primi anni ’90 fornisce l’ispirazione per la collezione dedicata alla prossima stagione. La collection vuole essere un’ode al caleidoscopio di stili che coesistono e si mescolano nella città di New York. Lo stesso concetto di collaborazione suggerisce la fusione armonica di due parti distinte, un viaggio creativo che porta a un nuovo insieme. Questa inedita unione fra lo spirito viaggiatore della maison francese e lo stile giovane e ribelle di Supreme coglie le suggestioni provenienti da tutti gli aspetti della vita nella Grande Mela, che hanno caratterizzato i tre decenni e che restituiscono un’immagine della mascolinità ricca di sfaccettature.

www.louisvuitton.com

www.supremenewyork.com

®Riproduzione Riservata

MCS collezione AI 2016: L’anima urban country che domina il guardaroba

MCS è lo storico brand d’abbigliamento maschile che interpreta l’essenza del West americano, coniugando lo spirito originale del country all’anima urban di uno stile italiano, tipicamente casual. Da sud a nord, il lungo viaggio del brand nell’iconico paesaggio di frontiera americano, si esprime attraverso una collezione giovane e di qualità, contemporanea ma dal sapore vintage. Praticità, comfort, eleganza e semplicità, sono gli aggettivi che riassumono l’intera collezione AI 2016 dove la maglieria cresce di volume: morbidi e avvolgenti cardigan di lana, con zip e collo alto o con chiusura ad alamari e cappuccio, diventano comodi e pratici se indossati a strati su t-shirt, camicia e jeans, per un look più urban in città.

mcs.com

@Riproduzione Riservata

Il giusto mix Wrangler: camicia in denim tropical e classic Chino

Per la SS16, Wrangler propone un look dal mood tropicale e uno più classico per un uomo sempre attento alle ultime tendenze. Regular short in denim abbinati ad una camicia dalle stampe tropicali sono un mix perfetto per gli aperitivi sulla spiaggia o una passeggiata sul lungo mare in compagnia dell’avventura estiva. Cavalcare le onde con gli short Wrangler è l’imperativo dell’estate grazie al fit rilassato, risvolto al fondo e dettagli tipici del brand come le cuciture a W sulle tasche posteriori e il logo in vera pelle.
Chino dalle tonalità ocra insieme alla camicia bottom down blu creano il look ideale per un giro in moto al tramonto o una serata nel club più in voga del momento.
In cotone comodo e traspirante con un tocco di stretch per assecondare i movimenti, i chino Wrangler 5 pocket sono perfetti per l’estate 2016.

www.wrangler.it

@Riproduzione Riservata

From Seoul to Rio: due esclusive release Diadora

DIADORA celebra l’evento sportivo dell’anno con un progetto straordinario che mette insieme il gotha mondiale delle sneakers per una esclusiva capsule la cui ispirazione è tratta da due modelli della collezione Diadora del 1988. Protagoniste di queste rielaborazioni assolutamente uniche sono infatti due scarpe del catalogo running che furono create nel 1988 appositamente per gli atleti Diadora che andarono a Seoul: IC 4000 e Intrepid.
IC 4000 fu progettata per il piano o per superfici asfaltate ed è diventata famosa per il suo sistema di “impact control” mentre INTREPID è una scarpa costruita per la velocità sulle medie e lunghe percorrenze.
Ogni release sarà accompagnata da un pack abbigliamento che comprende una giacca, una t-shirt e una borsa, anche queste interpretazioni esclusive dei modelli d’archivio Diadora indossati dagli atleti nel 1988. Tutti i capi sono rivisti nei materiali e nei colori, ma mantengono il design, i tagli e lo style dei modelli originali.
A settembre tutti i pack saranno disponibili in esclusiva presso due temporary store dedicati “From Seoul To Rio” a Roma e a Tokyo.

www.diadora.com

@Riproduzione Riservata