Manintown portraits: Peter White

A cura di Filippo Solinas e Benedetta Balestri

Ph: Luca Pipitone (@dopoesco)

Ex Magazzini, Marmo, Atlantico. Questi sono alcuni dei locali e club di musica dal vivo dove fino a qualche tempo fa eravamo abituati ad andare, a cantare a squarciagola i pezzi dei nostri cantanti preferiti. Il sogno di Peter White è di suonare all’Atlantico, e nell’attesa che la musica torni a suonare, ha dato vita ad un’iniziativa sui social a sostegno dei locali del suo cuore, lasciando di fronte alle loro porte una chitarra personalizzata da lui. Classe 1996, orgogliosamente romano, Peter White è tra i cantautori più conosciuti sulla scena indie-pop italiana, ama disegnare volti di donne, e ha personalizzato proprio con questi volti le chitarre lasciate in giro per l’Italia. La sua musica è fatta di fotografie nitide, emozioni che diventano immagini di esperienze, di emozioni, della sua città. Tra “notti sui tetti”, “appunti tatuati sulle mani”, e “stelle che sembrano fanali” attraverso le parole si vede il mondo dagli occhi di Peter, ed è un mondo sospeso a metà tra la malinconia del passato e le giornate storte che tutti viviamo ogni giorno.
La sua Narghilé su Spotify conta oggi quasi 18 milioni di streaming, e l’ultimo singolo “Gibson Rotte”, promette di accompagnarci nelle caldi notte estive, “tra il vino, il buio e il tempo dato da una cassa”.



Gibson Rotte sembra un primo passo verso la ripartenza, vuoi dirci qualcosa in più sul singolo?

“Gibson Rotte” è un brano che nasce in maniera spontanea. Ero in studio con i miei produttori Niagara (Gabriele Fossataro) e Polare (Paolo Mari). Quel giorno stavamo lavorando ad altro ma avevamo tutti voglia di fare qualcosa di nuovo.
Polare, ha iniziato a suonare il giro di chitarra che è poi diventato il fil rouge di “Gibson Rotte”.
Dopo venti minuti Niagara aveva già fatto registrare Polare e stava curando la parte ritmica, mentre io iniziavo il lavoro di scrittura. La fase di definizione è stata molto lunga…ogni brano ha la sua storia e il suo tempo. Se una canzone arriva alla fine della lavorazione merita di essere condivisa, il giudizio poi è compito del pubblico.



La fotografia del video, per la regia di Daniele Barbiero, trasporta lo spettatore in uno scenario cinematografico e anche la tua musica attinge molto dal cinema, quali sono i tuoi riferimenti?

Amo il cinema, e ti darò una risposta leggermente banale: mi piace spaziare tra vari generi e non mi pongo troppi limiti. Se dovessi scegliere una mia passione cinematografica tra tutte direi forse i film noir, soprattutto al livello fotografico.

Insieme al singolo hai lanciato anche una splendida iniziativa, vuoi parlarcene?

Si. Purtroppo il periodo storico che stiamo affrontando è complesso per tutti.
Il settore musicale è fermo da più di un anno e mezzo a causa della pandemia.
Bisogna evidenziare il fatto che annullando i concerti non si fermano solo gli artisti che vanno sul palco, ma c’è un mondo di addetti ai lavori che smette di esistere dietro le quinte: dagli impiantisti ai fonici, dai promoter ai gestori e dipendenti dei locali.
Per questo motivo ho voluto lanciare un appello di speranza: ho preso delle chitarre, le ho personalizzate e poi lasciate simbolicamente davanti ad alcuni luoghi di Roma, realtà importanti per il mio percorso artistico e per la musica in generale. Il mio intento, dopo aver scritto “Gibson Rotte”, era di rimettere insieme i pezzi, di riavvicinare tramite la musica.



Dal tuo primo singolo Birre Chiare nel 2017 ad oggi come si è evoluto Peter White?

Sono andato avanti senza farmi troppe domande. Credo di avere in tasca ancora gli stessi ideali.
Con l’uscita di “Birre Chiare” nel 2017 vedevo la musica ancora come un passatempo.
Nel corso di questi quattro anni ho imparato ad amare il mio mestiere anche se così complesso.
Il prezzo della vita è questo: andando avanti scambiamo un po’ di spensieratezza con un filo di esperienza.

Che rapporto hai con la scrittura?

Molto personale e altalenante. E’ forse la parte più difficile del mio lavoro: scegliere le parole giuste e riuscire a focalizzarle in una frazione di tempo.



Quali sono i tuoi artisti preferiti? Una nuova promessa che tutti dovrebbero ascoltare?

Chiunque mi conosca bene sa che adoro il cantautorato, in particolare Francesco De Gregori.
Nuova promessa senza pensarci due volte: Clied.

Hai in progetto un nuovo disco?

Assolutamente si. Non aggiungo ulteriori informazioni perché spero di far parlare la musica a tempo debito.

Salutiamo Peter, e qualcosa mi dice che la prossima volta che lo rivedrò sarà su un palco. Magari all’Atlantico.

Manintown Portraits: Lorenzo Seghezzi

La prima volta che ho incontrato Lorenzo Seghezzi eravamo in un caffè di Chinatown, era il 2018, Lorenzo studiava fashion design in Naba e aveva un appuntamento con una drag queen per consegnarle un abito fatto da lui.
Le sue idee erano già ben chiare due anni fa: lottare contro la mascolinità tossica, iniziare un dialogo sul mondo LGBTQ+, analizzare il binarismo di genere e utilizzare gli archetipi della moda per dare vita a un nuovo modo di concepire il guardaroba.
Nel frattempo Lorenzo si è diplomato, è stato selezionato per Milano moda graduate 2019 e Fashion Graduate Italia 2019, ha sfilato ad Alta Roma a gennaio 2020, è stato finalista degli Isko I- Skool Denim Design Awards 2020 e ospite speciale di Gender Project.
In questi due anni sono successe tante cose, il mondo queer ha cercato di far sentire la propria voce, il me too ha preso il sopravvento e abbiamo cominciato a porci diverse domande: Come si combatte il maschilismo? Possiamo mettere in discussione costruzioni sociali così longeve? Da dove partiamo per far sentire la propria voce? Come possiamo fare per creare una lotta sociale collettiva?
Ad alcune di queste domande è molto difficile rispondere, Lorenzo ha cercato di farlo all’interno delle sue prime tre collezioni, un’esplosione di riferimenti queer che ha un solo e unico obiettivo: combattere la mascolinità tossica attraverso l’abbigliamento.

Photographer Clotilde Petrosino/Vogue outtakes 

Producer & Stylist Alessia Caliendo 

MUA Romina Pashollari



Il tuo brand mette in discussione una serie di costruzioni sociali, vuoi parlarci un po’ del tuo percorso?
Sono Lorenzo Seghezzi, fashion designer milanese che va per i ventiquattro. Mi piace cucire capi d’abbigliamento che mettano in discussione tutti quei dogmi e quelle regole socialmente imposte per la società eteronormata cisgender ma troppo strette ed ostacolanti per tutte quelle persone che vengono collocate ai margini o addirittura escluse da essa. Cerco di esprimere questa sensazione di oppressione che la mia generazione (e non solo, ovviamente!) sente, tramite vestiti nei quali voglio integrare tecniche sartoriali e ispirazioni sempre diverse.
Creare vestiti è il mio sfogo personale, è quello a cui penso tutto il giorno e proprio per questo sto cercando di trasformare questa passione in un vero e proprio lavoro.

Photographer & stylist Rossocaravaggio

Model Giuseppe Forchia

Jewelry by Atelier Amaya

MUAH Mattia Andreoli




Recentemente hai subito un attacco di omofobia e cyberbullismo, cos’è successo?
Dieci giorni fa, un noto magazine ha pubblicato un bellissimo articolo riguardante il mio lavoro e la mia esperienza personale come parte della rubrica “The Queer Talks”, progetto fotografico di Clotilde Petrosino che vuole dare voce alla comunità LGBTQ+ raccontando le storie di coloro che ne fanno parte. L’articolo ha coinvolto un team eccellente che è riuscito a portare agli occhi di molti lettori tematiche di cui, a mio avviso, si parla ancora troppo poco. I problemi che il binarismo di genere arreca alla società in cui viviamo, i limiti imposti dalle etichette e dagli stereotipi e così via. L’articolo ha anche presentato una serie di miei ritratti scattati da Clotilde Petrosino stessa nei quali indosso capi delle collezioni di vari brand tra cui Versace, Vivienne Westwood e Antonio Marras selezionati dalla producer e stylist Alessia Caliendo e alcuni dei capi delle mie collezioni. Tra essi un corsetto che, a quanto pare, ha creato parecchio scalpore. Il pezzo ha avuto un riscontro molto positivo ma, come è normale che sia, ha avuto anche qualche commento negativo. Nulla di grave o che non mi aspettassi fino a quando più persone mi hanno fatto notare una serie di storie instagram pubblicate da uno stylist e fashion editor omosessuale abbastanza conosciuto nel settore della moda.
Questa persona ha criticato esplicitamente la mia figura dichiarando in modo becero quanto per lui un uomo con la barba e il corsetto faccia esteticamente schifo, quanto noi giovani siamo fissati ed invasati con i concetti di fluidità di genere, di non-binarismo e di lotta per i nostri diritti rimarcando quanto queste cose per lui siano superflue, urlate ed ostentate inutilmente. Non avendo inizialmente idea di chi fosse, ho pensato di lasciar perdere, ma poi ho saputo che questo comportamento era recidivo. Il mio tentativo di avere una conversazione e un confronto civile in privato è stato vano e ai limiti del surreale. Quando all’omofobia si aggiungono misoginia, transfobia e incoerenza totale, la situazione diventa ancora più grave. La quantità di sostegno e i messaggi positivi che ho ricevuto sono stati molto più di quelli che mi aspettavo. Spero vivamente che l’essersi confrontato con tutte le persone che gli hanno scritto dopo aver letto le mie storie lo abbia aiutato a capire che ha effettivamente esagerato e che un pensiero così chiuso non può più essere tollerato, nel 2021, da parte di una persona che vuole avere un ruolo nel mondo del fashion. Più di tutto mi auguro che questa spiacevole vicenda possa aiutare molte delle persone che si rivedono nel suo punto di vista a capire che non c’è bisogno di offendere, denigrare, sminuire il lavoro e la personalità altrui quando  si può parlare in modo civile ed educato.




Sono sempre di più le persone che gravitano intorno al mondo della moda che denunciano le malefatte di alcuni personaggi del settore, siamo finalmente pronti a un cambiamento?
Io sono convinto che il cambiamento stia già avvenendo in questo momento grazie a tutte le persone che trovano il coraggio e la forza di denunciare quello che è sbagliato e, vorrei aggiungere, controproducente per il settore stesso. Sono cresciuto sentendomi dire “preparati Lorenzo perché il mondo della moda è cattivo e meschino” ma sono pronto ad impegnarmi per renderlo un mondo stimolante ed onesto fondato sulla solidarietà e sull’unione delle menti creative.



Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
Sono tantissimi e diversissimi tra loro. Si passa dalle tavole anatomiche illustrate alla pittura surrealista di Ernst e Dalì, sono ossessionato dalle opere di Meret Oppenheim, di Alberto Burri e di Francis Bacon. Amo la letteratura di Pasolini e di Tondelli, il cinema di John Waters, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” di Greenway, le mie amiche drag e performer, la fotografia di Robert Mapplethorpe, le popstar e le rockstar degli anni 80, i vestiti di fine ottocento e inizio novecento, gli insetti, i rettili, gli uccelli, le venature del legno.




Sei stato ospite speciale di gender project dove hai presentato la tua ultima collezione “Queer Asmarina”, dicci qualcosa in più.
Ho avuto la fortuna di essere coinvolto nella seconda edizione di Gender Project, progetto nato a Londra dalla mente dell’artista, nonché ormai cara amica,Veronique Charlotte. Gender Project è un progetto no profit itinerante che ogni anno raccoglie i ritratti di cento persone della comunità queer di una città diversa per poi presentarli in una mostra Nel mio caso abbiamo pensato di approfittare del grande spazio per organizzare una sfilata di presentazione della mia collezione ss2021 “Queer Asmarina”. La collezione, realizzata durante il primo lockdown utilizzando materiali di recupero che avevo in casa, vuole essere un omaggio al rapporto più unico che raro tra la comunità africana e quella LGBTQ+ a Milano, in particolare nel quartiere di Porta Venezia. L’influenza della cultura africana nel quartiere è tanto forte che per decenni è stato chiamato “Asmarina” (“piccola Asmara”, capitale Eritrea) e negli ultimi anni è diventato punto di ritrovo per la comunità LGBTQ+ milanese. Basti pensare che in Eritrea, Repubblica Presidenziale monopartitica che di fatto è una dittatura totalitaria, l’omosessualità e il transgenderismo vengono, ancora oggi, puniti con la pena di morte per capire che questo è un fenomeno più unico che raro. Con zero budget, zero esperienza nell’organizzazione di eventi e in piena impennata di casi covid, insieme al mio compagno siamo riusciti ad organizzare un evento che ha avuto un riscontro positivo inimmaginabile per me e che ha coinvolto un sacco di persone fantastiche. Abbiamo addirittura dovuto ripetere la sfilata per due volte perché il numero di spettatori era troppo alto!



Quali sono i tuoi obbiettivi futuri?
Mi piacerebbe riuscire a definire il mio brand in modo ancora più professionale ed espandere la mia rete di vendita, arrivare ad avere una totale indipendenza economica, collaborare con altri artisti, organizzare nuovi eventi, migliorare le mie skills di sartoria e design, trovare nuove ispirazioni… Uno dei miei più grandi obbiettivi è quello di trovare uno studio spazioso adatto a lavorare in comodità. Mi piacerebbe anche molto comprare una macchina da cucire industriale.

Basta Tinder, nascono le nuove app per incontri esclusivi.

Ormai dal 2012 la piattaforma Tinder imperversa nelle metropolitane, nei bar e nelle case di tutto il mondo segnando un profondo cambiamento nelle modalità di dating. Uomini e donne hanno cominciato così a conoscere e selezionare le persone con cui uscire per un drink, una cena o perché no,  una sana serata di sesso tramite il proprio smartphone semplicemente scorrendo le foto dei futuri spasimanti. Se c’è il match allora si da al via alla chat, in teoria destinata ad un incontro faccia a faccia anche se spesso i match rimangono nella home page senza fruttare alcun tipo di conoscenza.
“Domani mi cancello da Tinder” è diventato più o meno come “Domani smetto di fumare” “Domani cerco un nuovo lavoro” o “Domani organizzo una cena con i compagni delle superiori” quelle cose che non si fanno mai, stare su Tinder è invece sempre più accettato e condiviso tanto da spingere attori e cantanti come James Franco, Hillary Duff, Orlando Bloom, Adele e Katy Perry a creare dei profili. Con il tempo però sono nate nuove piattaforme di dating app alcune destinate ad un pubblico più esclusivo altre con maggiori funzionalità.

Ormai dal 2012 la piattaforma Tinder imperversa nelle metropolitane, nei bar e nelle case di tutto il mondo segnando un profondo cambiamento nelle modalità di dating. Uomini e donne hanno cominciato così a conoscere e selezionare le persone con cui uscire per un drink, una cena o perché no,  una sana serata di sesso tramite il proprio smartphone semplicemente scorrendo le foto dei futuri spasimanti. Se c’è il match allora si da al via alla chat, in teoria destinata ad un incontro faccia a faccia anche se spesso i match rimangono nella home page senza fruttare alcun tipo di conoscenza.
“Domani mi cancello da Tinder” è diventato più o meno come “Domani smetto di fumare” “Domani cerco un nuovo lavoro” o “Domani organizzo una cena con i compagni delle superiori” quelle cose che non si fanno mai, stare su Tinder è invece sempre più accettato e condiviso tanto da spingere attori e cantanti come James Franco, Hillary Duff, Orlando Bloom, Adele e Katy Perry a creare dei profili. Con il tempo però sono nate nuove piattaforme di dating app alcune destinate ad un pubblico più esclusivo altre con maggiori funzionalità.

Raya: Appena lanciata sul mercato italiano, Raya è la più misteriosa delle app di incontri. Nata nel 2015 si propone come un app di incontri esclusivi, una sorta di Hermès delle dating app dove si paga una quota per iscriversi, i profili vengono selezionati uno ad uno e non c’è modo di influenzare le selezioni. Non si può rivelare l’identità di chi è su Raya e perché ha deciso di iscriversi anche se alcuni indiscrezioni dicono che tra i nomi più famosi ci siano vincitori di Oscar e Grammy, business man, modelle e attori. Il fulcro dell’app tuttavia sono i giovani creativi, la community ha inoltre la possibilità di accedere alla funzione “Work” dell’app, dove poter mettersi in contatto con potenziali dipendenti o datori di lavoro semplicemente con un click. Numero di follower o bellezza non sono caratteri decisivi per riuscire ad ottenere un profilo, gli unici due requisiti fondamentali sono la passione per la gente, la connessione con gli altri attuali membri della community e chiaramente l’immagine che si decide di voler dar di sé.

9-things-you-need-to-know-about-secretive-celebrity-dating-app-raya-10Luxy:  La più capitalista delle Dating App, Luxy è come Tinder ma solo per milionari. Per iscriversi bisogna di dimostrare di guadagnare più di 200.000 dollari all’anno, la metà dei membri attivi guadagna più di 500.000 dollari e il 41% degli iscritti è milionario. Al momento dell’iscrizione vengono richieste svariate informazioni personali tra cui il brand preferito così da facilitare i membri nell’incontrare l’anima gemella con la quale puoi condividere lo shopping perfetto. Bando alle ciance ed ai moralismi vari, se sei ricco e cerchi un partner del tuo stesso tessuto sociale  allora questa è l’app di incontri perfetta per te, d’altronde negli Stati Uniti sono sempre di più gli americani che preferiscono un partner con lo stesso livello di scolarizzazione, e nel nuovo continente spesso questo ancora significa maggiore reddito.

sharefb

Happn:  Avete avuto un colpo di fulmine in metro e non sapete come approcciarvi? Non disperate c’ Happn, la dating app francese che funziona con la geo-localizzazione e vi permette di contattare le persone che avete incontrato durante la vostra giornata a patto che siano iscritte ad Happn.  Le funzionalità sono più o meno le stesse di Tinder, puoi inserire la tua libreria Spotify, i tuoi interessi e quello che vai cercando, se sei interessato ad un utente basta mandare una richiesta di conversazione  e, in caso di risposta positiva potete iniziare a chattare. Attenzione però, ogni chat costa un credito, i crediti si possono ottenere invitando altre persone o comprandoli, per esempio 100 crediti costano 16.99 €.

Happn-10

Ormai dal 2012 la piattaforma Tinder imperversa nelle metropolitane, nei bar e nelle case di tutto il mondo segnando un profondo cambiamento nelle modalità di dating. Uomini e donne hanno cominciato così a conoscere e selezionare le persone con cui uscire per un drink, una cena o perché no,  una sana serata di sesso tramite il proprio smartphone semplicemente scorrendo le foto dei futuri spasimanti. Se c’è il match allora si da al via alla chat, in teoria destinata ad un incontro faccia a faccia anche se spesso i match rimangono nella home page senza fruttare alcun tipo di conoscenza.
“Domani mi cancello da Tinder” è diventato più o meno come “Domani smetto di fumare” “Domani cerco un nuovo lavoro” o “Domani organizzo una cena con i compagni delle superiori” quelle cose che non si fanno mai, stare su Tinder è invece sempre più accettato e condiviso tanto da spingere attori e cantanti come James Franco, Hillary Duff, Orlando Bloom, Adele e Katy Perry a creare dei profili. Con il tempo però sono nate nuove piattaforme di dating app alcune destinate ad un pubblico più esclusivo altre con maggiori funzionalità.

Once: Avete visto la puntata Hang the dj della quarta stagione di Black Mirror?  Quella dove un sistema gestisce tutte le relazioni amorose accoppiando le persone e definendo quanto tempo devono stare insieme? Ecco non siamo troppo lontani da quel futuro dispotico descritto nella serie tv anglosassone più chiacchierata degli ultimi anni. Once infatti è una vera e propria rivoluzione del sistema dating app; all’utente viene notificato un profilo al giorno selezionato tramite criteri di affinità stabiliti dall’app, successivamente i match hanno 24 ore per contattarsi. Once vuole portare avanti l’idea qualità sopra la quantità abbattendo così le infinite chat inutili con utenti che non ci interessano alle quali tutti rispondiamo o per noia o per cortesia.

App Once-2

Presenti online anche siti come Gnoccatravels per info su viaggi piccanti in Italia e all’estero. 
®Riproduzione riservata

Festival mix 2020, ospiti e anteprime della kermesse dedicata al cinema queer

Un’edizione, quella del 2020, che si svolgerà dal 17 al 20 settembre attraverso una formula ibrida; ai tre giorni di proiezioni digitali in collaborazione con la piattaforma MyMovies si affiancheranno quattro serate di proiezione fisiche al Piccolo Teatro Strehler e al Piccolo Teatro Studio Melato.

Mix, dal 1986 rassegna cinematografica simbolo della comunità LGBTQ, sceglie così questa formula inedita per garantire al meglio le norme di distanziamento sociale, continuando a dare voce ai registi indipendenti più interessanti del panorama Queer.



Noi di Man in Town abbiamo intervistato per l’occasione Andrea Ferrari, CO-direttore artistico del Festival Mix:

Com’è stata l’organizzazione del festival in un anno così particolare? Ovviamente è’ stato molto complicato ma la forza del nostro progetto sta anzitutto in un lavoro di squadra che è costante durante tutto l’anno. Senza il nostro affiatato team nulla si sarebbe potuto realizzare in un periodo “normale”, figuriamoci nei mesi scorsi….e per quanto mi riguarda il mio primo pensiero e ringraziamento va a Debora Guma e Paolo Armelli che insieme a me dirigono il Festival.



Chi saranno gli opiti di questa edizione?

Con orgoglio posso dire che sarà consegnato il riconoscimento #MoreLove a Gino Strada e quindi come di consueto incoroneremo le nostre Queen.La Queen of comedy 2020 è Paola Cortellesi; la Queen of Music 2020 è Miss Keta. Ci sarà anche spazio per la musica dei Booda freschi di X-Factor e un’esibizione di vogueing della grande La B Fujiko. Non mancheranno momenti di comicità con Michela Giraud e Paolo Camilli….e tanto tanto altro. 



Considerazioni sul ddl zan in discussione in parlamento?

Posso solo dire una cosa che mi sembra scontata…. ma purtroppo non lo è per alcuni politici; una legge come questa può solo portare beneficio … non solo alla comunità lgbt ma alla società tutta e trovo veramente fastidioso che il dibattito in corso, come spesso accade quando si affrontano certi temi cari alla comunità lgbt, riesca solo a tirare fuori il peggio da certi personaggi pubblici, con affermazioni che quando non sono offensive  sono come minimo di una stupidià disarmante.


Due film in programma che non possiamo perderci?
And Then We Danced sull’amore contrastato di due ballerini georgiani e poi Welcome To Chechnya, testimonianza durissima sulla feroce oppressione antigay nel Caucaso, ma ce ne sono molti altri da non perdere.

Il ricordo di Germano Celant: cinque opere per scoprire l’importanza che l’arte povera ha ancora oggi

Viene a mancare all’età di 80 anni il critico e curatore genovese Germano Celant, dopo due mesi in terapia intensiva al San Raffaele per complicazioni dovute al COVID – 19.

Identificato come il fondatore dell’arte povera, movimento della seconda metà degli anni sessanta che pone il rapporto Uomo – Natura alle sue fondamenta, Celant fu tra i primi a privilegiare il “gesto artistico” mettendosi in forte contrapposizione con le tendenze consumistiche che in quei tempi stavano sempre più prendendo piede nel mercato dell’arte. 

Il mondo dell’arte italiano perde così una delle sue figure più importanti, autore di più di cinquanta pubblicazioni Celant è stato curatore del Guggenheim di New York, direttore della prima Biennale di Firenze Arte e Moda e della Biennale di Venezia nel 1997.

Nel 2015 la sua carriera raggiunge l’apice grazie alla nomina come direttore artistico di Fondazione Prada. 

Anche il direttore artistico del Museo Novecento ha voluto ricordare Germano Celant: “E’ un giorno triste per il sistema dell’arte del nostro paese. La pandemia ha strappato, all’affetto dei suoi cari e degli amici artisti, Germano Celant, straordinario protagonista della critica e della curatela in arte. Imprescindibile punto di riferimento per  il suo magistero teorico e il suo approccio nella organizzazione delle mostre, da quelle collettive alle personali, sempre impostate in condivisione con gli artisti, dei quali Celant non era solo interprete teorico, ma compagno di avventura fin dalla fine degli anni Sessanta. Ebbe allora la felice intuizione di scavalcare le storie personali di molti di loro per raggrupparli sotto il termine di Arte Povera, un’attitudine poetica e immaginativa che ha segnato l’evoluzione dei linguaggi contemporanei. Ricordo con emozione la sua ultima grande prova, la mostra antologica di Jannis Kounellis a Venezia lo scorso anno. L’omaggio di un grande critico a un gigante dell’arte contemporanea scomparso nel 2017”.

L’importanza dell’arte povera: Gli anni sessanta sono caratterizzati da un periodo di enorme cambiamento favorito dalle rivolte studentesche e le manifestazioni di dissenso contro la guerra del Vietnam e contro le repressioni nei paesi latini americani.

Sono anni particolari che avranno una forte ripercussione anche nell’arte, in particolare grazie a quella Povera che riflette una necessità di cambiamento nei contenuti ma anche nella sua natura vitale, un approccio non più statico ma mutevole. 

Gli esponenti dell’arte povera utilizzano così materiali alternativi come terra, legno, ferro e scarti industriali attraverso i quali ci comunicano i loro messaggi di stampo intellettuale. 

Cinque opere per ricordare l’importanza comunicativa dell’arte povera: 

Senza titolo – 12 cavalli 1967 – Kounellis


Igloo con Albero 1968 – 1969 – Mario Merz 


Quadro di fili elettrici 1957 – tenda di lampadine – Mario Pistoletto 


Famigliole 2010 – Piero Gilardi 


Mare  1967 – Pino Pascali

FASHION ARCHITECTURE E NON SOLO: A TU PER TU CON FABIO FERRILLO

Specializzato nella progettazione di interni di lusso e spazi commerciali per prestigiosi marchi italiani e non solo, Fabio Ferrillo sviluppa il suo stile peculiare formandosi a Milano per poi trasferirsi a Parigi. Nel 2010 rientra nella città meneghina per fondare Off Arch, studio di progettazione di interni e di prodotto capace di creare una perfetta armonia grazie agli interessanti riferimenti ai maestri del passato, che incontrano sapientemente nuove accattivanti prospettive.

Il tuo percorso passa per due città (Milano e Parigi) che sono un concentrato di Design.
Quanto hanno influito sulla tua visione architettonica?

Entrambe, profondamente. Milano è il luogo in cui ho studiato e mi sono formato come professionista, mi ha sedotto quando ero studente e mi ha accolto di nuovo quando ho fatto ritorno, portando stavolta con me il progetto OFF Arch. Parigi è la mia seconda casa, una città in cui mi sono riconosciuto, in cui ho imparato il rigore e la follia e che mi ha regalato alcune tra le più grandi soddisfazioni professionali. Lavorare ma soprattutto collaborare in una lingua che non è la tua insegna a sviluppare di sé il senso della disponibilità, della generosità e di una sana allegria. Parigi è stata ed è tuttora per me un luogo del cuore, della creatività e del pensiero.

Cosa ti ha spinto a scegliere Milano per aprire il tuo studio?

Aver vissuto per anni lontano da questa città mi ha permesso di apprezzarne il cambiamento col vantaggio della prospettiva. Milano vive un momento di grande energia culturale, è capace di accogliere realmente nuovi contenuti. Il più grande progetto che si sia visto a Milano negli ultimi vent’anni è Milano stessa. Era il posto giusto in cui tornare, forte di un progetto preciso. E come spesso accade le ragioni personali e emotive si organizzano attorno alle decisioni più importanti, a rendere ancora più evidente la scelta da farsi.

Hai realizzato concept store e shoowroom per Pucci, Chiara Ferragni MSGM e Moschino. Presente, passato e futuro convivono perfettamente con la tua visione, ce ne puoi parlare?

I quattro brand che hai citato nascono da esperienze e percorsi davvero differenti, alcune molto recenti, altre che affondano le proprie radici nella grande tradizione dello stile italiano. Tutte, però, hanno in comune un tratto fondamentale: la contemporaneità, che si è tradotta nella realizzazione di spazi che parlano una lingua attuale ed esprimono, nel rispetto del DNA di ciascuno, la tensione verso il futuro.

Per Msgm hai rivalutato una vecchia officina di fabbri trasformandolo in uno spazio industriale contemporaneo, quanto è importante l’attenzione al sostenibile nel tuo lavoro?

Molto, non ancora abbastanza. Credo che non solo il mondo dell’architettura, ma anche quello dell’interior design, oggi, abbiano il dovere di farsi carico di temi e contenuti quali la sostenibilità, l’approvvigionamento energetico, l’eco-compatibilità dei materiali, dei processi produttivi e, dunque, delle scelte progettuali. Esiste un tema etico legato alla professione che è strettamente connesso all’attenzione al sostenibile, sul quale abbiamo il dovere di formarci molto più di quanto noi professionisti non facciamo. E infine credo sia fondamentale comprendere quanto questi temi siano potenti in termini di comunicazione dell’identità dei progettisti stessi.

I tuoi lavori non girano solamente intorno al mondo della moda, hai anche collaborato con Campamac, ci sono alti progetti per il food & beverage?

Il food & beverage è un territorio per me elettrizzante. Il Campamac è stato un progetto amato, studiato, coltivato davvero con grandissima passione e che è stato occasione di grande approfondimento tecnico specifico. Rispondendo alla tua domanda, sì, senza dubbio sì e ne sono davvero orgoglioso, ma non posso dirti di più. Stay tuned.

Hai anche realizzato un concept store in Vietnam, ci puoi parlare di quel progetto?

Runway, ad Hanoi, costituisce un momento cruciale nella mia carriera. Il progetto nasce dal desiderio di unire i colori, le forme e le sensazioni dell’eccezionale vegetazione vietnamita alle linee essenziali della storia del design italiano, realizzando uno spazio fortemente contemporaneo. Coordinare il mio ufficio di Milano con le maestranze vietnamite e una squadra di fornitori tanto europei quanto asiatici non è stato semplice, ma la collaborazione sincera e l’accoglienza straordinaria dell’azienda e del suo presidente, Anh Tran, non solo hanno reso possibile che questo concept store nascesse, ma hanno permesso che si instaurasse tra OFF Arch e Runway una profonda fiducia che ci porterà presto a nuove esperienze laggiù. Ne vado davvero fiero.

Quali sono i progetti futuri?

La collaborazione con Moschino prosegue, stiamo lavorando a diverse nuove realizzazioni in Europa e negli Stati Uniti. Contemporaneamente lo studio sta sviluppando nuovi spazi commerciali per Twinset Milano, sul concept che abbiamo inaugurato con il recente store di c.so Vittorio Emanuele qui a Milano. Come ti accennavo le incursioni nel mondo del food & beverage saranno diverse qui in Italia ma ci porteranno inoltre di nuovo in Vietnam, dove sono allo studio in queste settimane anche progetti per nuovi departement store. OFF Arch si occupa poi con continuità di progetti di carattere residenziale su scale diverse, tra le altre sono prossime le realizzazioni di alcune ville nelle Langhe in Piemonte.

Runway Store, Hanoi

Runway Store, Hanoi

MSGM sede produttiva Filottrano
Credits: Lorenzo Fanfani

MSGM sede produttiva Filottrano
Credits: Lorenzo Fanfani

Credits: Elena Datrino

Moschino Paris
Credits: Elena Datrino

Campamac
Credits: Carmine Conte

®Riproduzione riservata

Bottega Veneta : la prima campagna di Daniel Lee

E’ il tempo il vero lusso, ed è proprio sotto questo concetto che Daniel Lee, nuovo direttore artistico di Bottega Veneta, vuole celebrare la sua prima campagna.
Non c’è futuro senza passato, ma il risultato è paradossalmente senza tempo. Attraverso un’analisi dell’heritage della maison italiana, l’ex direttore di Celine vuole attuare un riposizionamento del brand nel panorama attuale della moda, una celebrazione del significato più profondo di Bottega Veneta che guarda al passato ma con un occhio verso il futuro.

Il fotografo Tyrone Lebon scatta uomini e donne che, prendendo in prestito il glorioso cinema neorealista italiano, ci mostrano la visione che Lee ha per Bottega Veneta, un calderone di personaggi appartenenti a generazioni e backround diversi ma che si riuniscono sotto lo stesso concetto di comunità, modelli e modelle che, se messi in contrapposizione, riescono a far risaltare ciò che li unisce, non ciò che li separa.
In una casa privata sull’isola di Ischia, giorno e notte fanno da sfondo a figure immerse in acqua, adagiate su una sedia o posizionate davanti a un balcone in pieno stile italiano. Ma è la pelle intrecciata la prima e vera protagonista, il simbolo indiscusso del brand vuole in questo contesto sottolineare le sue affinità con la pelle umana di una schiena nuda.

La moda è messa a nudo con l’intento di raggiungere la sua forma più pura, ed è identificando abiti e accessori simbolo della maison Italiana, in una perfetta unione tra passato presente e futuro, che è definita l’anima di Bottega Veneta.

®Riproduzione riservata

Alessandro Borghese brand ambassador di Fielmann: Ecco gli occhiali da 10.

L’azienda eyewear tedesca sceglie il celebre chef e conduttore televisivo come brand ambassador per l’espansione sul territorio italiano. Una scelta ponderata che rappresenta una novità in casa Fielmann

“Avere un testimonial è una grande novità per Fielmann. Abbiamo scelto Alessandro Borghese perché incarna i principi del nostro marchio. Anche Alessandro Borghese mette sempre la felicità dei suoi ospiti al primo posto. Nella nuova campagna pubblicitariaAlessandro Borghese è un cliente che ha scelto Fielmann come ottico di fiducia. Siamo sicuri che i valori di Chef Borghese, uniti alla nostra filosofia, ci accompagneranno nell’espansione in Italia” spiega Ivo Andreatta, country manager Fielmann Italia.

Per la collaborazione, Fielmann ha realizzato uno spot pubblicitario con protagonista Alessandro Borghese che effettua un simpatico esame della vista. Al posto delle avanzate tavole ottometriche degli store Fielmann ci sono delle simpatiche tavole a tema food, i quattro asset, stile, prezzo, qualità e servizio vengono enfatizzati in linea anche con la filosofia di Borghese.

La campagna è inoltre accompagnata dal lancio di due nuovi modelli di occhiali 100% made in Italy, sviluppati in collaborazione con Marco Collavo e disponibili negli store Fielmann a partire dal 5 Febbraio 2019.

®Riproduzione riservata

Man in Italy: Il musical a cavallo tra moda e bellezza Italiana.

Danza, moda, musica e italianità, il nuovo spettacolo teatrale scritto e diretto da Alfonso Lambo “Man in Italy” in scena al teatro Ciak, è questo e molto di più.
Il musical nasce dalla volontà di voler raccontare la bellezza italiana attraverso il suo aspetto più caratterizzante: La moda, e vanta la partecipazione di nomi del mondo dello spettacolo come Iva Zanicchi, Alex Belli, Bianca Atzei, e Jonathan Kashanian.
La maison “Man in Italy” diretta dalla cinica Norma (Iva Zanicchi) è pronta ad affrontare nuove sfide grazie all’arrivo della creativa Emma (Beatrice Baldaccini), colei che sconvolgerà la vita di Alex (Alex Belli).
Nel mentre il testimonial Samuel (Daniel Balconi) si innamora di Sara (Bianca Atzei) la figlia dell’irriverente direttrice, a far da cornice alla storia ci saranno una serie di teatrali fashion show a metà tra sfilate e concerti e il corpo di ballo “Angels” che interpreterà le coreografie di Bill Goodson.
Moda e vita di tutti i giorni convivono all’unisono in questo particolare progetto ispirato dal celebre romanzo di Lauren Weisberger “Il diavolo veste Prada” dal quale è stato tratto il celebre film del 2006 con Meryl Streep, Stanley Tucci e Anne Hathaway, l’impianto scenico vedrà l’utilizzo di un’enorme passerella mentre la colonna sonora è un sentito omaggio alle più celebri hit degli anni ottanta.
Dopo Dirty Dancing, Fame, The Body Guard e West Side Story, la Wizard Production propone un nuovo contenuto accattivante e originale, un vero inno alle passerelle, all’italianità e ai sfavillanti anni ottanta, in replica al teatro Ciak di Milano fino al 20 gennaio.

®Riproduzione riservata

GIVENCHY: LA SPRING SUMMER 2019 SARÀ LEONINA

La pre-collezione Spring 19 di Givenchy sarà un omaggio al segno più fiero del mondo dello zodiaco: il leone.
Il tema identifica le sue radici nella più antica tradizione del brand parigino, il re della savana era infatti una grande passione del conte Hubert de Givenchy, fondatore del brand scomparso lo scorso marzo, ma è anche ispirato al segno zodiacale di Clare Waight Keller, direttrice artistica del brand.
La nuova punta di diamante della maison, prima donna alla guida della maison francese, riprende ancora una volta il mondo dello zodiaco dopo averci deliziato con una collezione di gioielli ispirati ai 12 segni dell’oroscopo.

Il suo innovativo spirito urban si trasferisce così nei capi, giacche, bomber in pelle e denim, felpe con cappuccio in ecopelle e T-shirt nere oversize, maglie a maniche lunghe o corte, che per la prossima collezione spring 19 si arricchiranno inoltre della storica firma di Hubert de Givenchy ricamata in rosso.

®Riproduzione riservata

DISARONNO WEARS TRUSSARDI: LA LIMITED EDITION 2018

Siamo arrivati alla sesta edizione delle collaborazioni Disaronno, è infatti dal 2013 che il liquore italiano più venduto al mondo presenta a collezionisti e amatori una bottiglia in collaborazione con i brand dell’alta moda italiana.
Abbiamo avuto il piacere di ammirare la storica bottiglia in vetro martellato decorata con i cuoricini di Moschino, il baroccato di Versace, il motivo paisley di Etro, lo storico zig zag stripes di Missoni e, quest’anno, l’inconfondibile texture di Trussardi che incontra il monogramma Levriero.
Le collaborazioni Disaronno uniscono due dei simboli del lifestyle italiano (fashion & beveraggi) portando in alto la nostra tradizione in Italia e all’estero.

“La Limited Edition rappresenta da anni un momento clou per la visibilità del nostro marchio”, commenta Augusto Reina, Amministratore Delegato di Illva Saronno Holding. “Disaronno è apprezzato in tutto il mondo come un simbolo dell’Italian Style e siamo orgogliosi di presentarci quest’anno con una veste particolarmente raffinata ed elegante che riflette pienamente il nostro animo contemporaneo”.

“La storia di Trussardi è fatta di innovazione, scoperta, contaminazione. Vestire l’iconica bottiglia Disaronno, oltre a consolidare il legame fra due aziende che rappresentano l’italianità nel mondo, va a sottolineare ancora una volta che Trussardi continua a essere un brand lifestyle a 360 gradi” replica Tomaso Trussardi, Amministratore Delegato dell’omonima azienda.

A cavallo con le festività di fine anno, l’edizione limitata sarà disponibile in due diverse confezioni mignon, entrambe composte da tre bottiglie in formato mini da collezione.
Non sapete come accogliere i vostri ospiti per le cene natalizie? Un Disaronno sparkling è quello che fa per voi, un cocktail semplice ma efficace composto da una parte di Disaronno, tre di prosecco e decorato con un rametto di ribes.

®Riproduzione riservata

CHRISTIAN LOUBOUTIN LANCIA LA SUA PRIMA COLLEZIONE DI CINTURE

Non solo scarpe e borse, per la spring/summer 2019 la prestigiosa maison francese Christian Louboutin amplierà la sua gamma leather goods anche alle cinture uomo.
La prima collezione belt comprenderà quattro diverse categorie di cinture interamente prodotte in Italia. Louboutin è pronto a sbarcare su uno degli accessori più importanti dell’outfit maschile, e per l’occasione propone dei prodotti adatti a qualsiasi stile, che sia esso business casual, urban o formale.

Ricky Design: disponibile in tre diverse finiture, back rust gold, black red e black incarna a pieno l’anima Louboutin grazie alla firma a mano, agli iconici strass tono su tono e alla pelle rossa, da sempre rappresentativa del brand.

Etarnalou style: una cinta adatta a tutte le occasioni, è disponibile in black e brown ma la vera novità sta nella fibbia, dalle ipnotiche forme metalliche in rosso o argento.

Louis Style: Una vera e propria celebrazione alle scarpe che hanno fatto la storia della maison. Le Louis sono anche le prime sneakers disegnate da Christian Loubuotin. La fibbia è adornata dai celebri spikes e le piccole curve metalliche, che insieme al pellame raffinato costituisce un accessorio must have del gentleman Louboutin, rigorosamente da abbinare alle Louis sneakers.

CL Logo: semplice, classica e logata. L’elegante design della fibbia è perfetto per un look forte, la cintura è reversibile da rosso a nero e altri colori. Un accessorio semplice che donerà ai vostri outfit quel qualcosa in più.

La collezione sarà disponibile da dicembre 2018.

®Riproduzione riservata

CINQUE MOTIVI PER VEDERE “A STAR IS BORN”

Lui è un musicista country affermato, in declino a causa della sua dipendenza dall’alcool. Lei di giorno fa la cameriera mentre la sera si esibisce in un drag bar, lui s’innamora di lei, della sua voce e la aiuta a lanciare la sua carriera.
Bradley Cooper e Lady Gaga hanno sbancato al botteghino nel quarto riadattamento cinematografico di “A Star Is Born”, consacrando in modo definitivo la carriera di attrice di Lady Gaga e lanciando quella di Bradley Cooper dietro la macchina da presa. Mentre a Hollywood già si parla di un successone ai prossimi Academy Awards, la domanda che si stanno facendo tutti è “vale davvero la pena di vedere di film?” Che siate amanti o meno dei musical la risposta è assolutamente sì. Ecco perché:

1) Bradley Cooper alla regia.

Dopo aver recitato in 35 film in soli 17 anni di carriera, Bradley Cooper ha deciso di mettersi dietro la macchina da presa e esordire come regista. Il risultato? Ottimo, ma non eccezionale. Il film attira l’attenzione dello spettatore sin dalla prima scena, e la scenografia scritta con Eric Roth e Will Fetters si sposa perfettamente con le canzoni originali. Tuttavia rimane un’aria patinata tipica dei musical hollywoodiani che, nel caso di una storia così attuale, perde di credibilità nello spettatore.

2) Lady Gaga acqua e sapone è fenomenale.

Dal suo album di esordio The Fame (2008) Lady Gaga ha sempre saputo attirare l’attenzione mediatica su se stessa grazie anche al suo eclettico trasformismo. Il suo esordio come attrice protagonista ha però visto la cantautrice newyorkese spogliarsi delle sue mille maschere e mostrarsi al naturale, con le sue fragilità e imperfezioni che sono confluite in un’interpretazione eccellente. Stando ai rumors, il merito è proprio di Bradley Cooper che ha voluto vederla senza trucco sin dal primo giorno di riprese. Il risultato? Grandioso. Lady Gaga continua le sue battaglie dando voce alle donne che non si sentono a proprio agio con se stesse.
a-star-is-born-2

3) Tratta di argomenti importanti.

Il film tratta di diversi argomenti importanti e attuali, come depressione, alcolismo e declino, che girano principalmente intorno al personaggio interpretato da Bradley Cooper. E’ molto interessante come il declino del cantante country vada a pari passo con la crescita del successo della sua amata. Il filo conduttore rimane la storia d’amore, il regista ha però il merito di aver trattato argomenti sociali importanti e necessari, ma soprattutto di averlo fatto con estrema professionalità.

p06jyq93

 

4) La colonna sonora.

Dimentichiamoci i musical noiosi, dove le canzoni sembrano sempre le stesse e hanno la sola e unica funzione di portare avanti l’intreccio narrativo. La colonna sonora (curata da Lady Gagà) è pazzesca e sono i numeri a dimostrarlo. Il debutto alla #1 nella Billboard 200 con oltre 231.000 è valso alla cantante un nuovo record: 5 album in top 1 in una decade. Un’artista incredibilmente versatile capace di eccellere in diversi stili musicali, (Dance, Edm, Jazz e Country) e ora anche nei musical, il talento di Lady Gaga è finalmente innegabile.

5) A Hollywood si aspettano già una pioggia di candidature agli Oscar.

Il film è un successo al botteghino e la sfida non era di certo semplice. Lady Gaga interpreta la protagonista di un film che è stato già girato quattro volte, interfacciarsi con due mostri sacri del musical come Barbar Streisand e Judy Garland poteva avere due risultati, una caduta a picco verso il dimenticatoio o un grande successo. Ad Hollywood sono per il secondo risultato, infatti si parla già di piogge di candidature ai prossimi Academy Awards. Il dado è stato tratto, ora aspettiamo solo di vedere Lady Gaga in una veste diversa dal suo personaggio musicale, magari  in quella di un’attrice da record.

®Riproduzione riservata

venice-a-star-is-born

UNLOCK THE CITY TIMBERLAND – INTERVISTA A COMA_COSE

Lo scorso 3 ottobre Carl Brave, Coma_Cose e Rkomi hanno infiammato il palco di Unlock The city, l’evento voluto da Timberland per presentare le nuove sneakears cityroam.
Il viaggio dal sapore urbano è iniziato con la pubblicazione di video-documentari con protagonisti i tre artisti, che hanno raccontato come e quanto la città abbia influenzato il loro percorso.
Grazie alla partnership con Asian Fake, label musicale rap, durante l’evento è stata inoltre presentata una capsule collection di tre t-shirt dedicate ai musicisti coinvolti nel progetto, già in vendita nel flagship store di Milano.
Abbiamo avuto poi l’occasione di fare due chiacchiere con i Coma_Cose, il duo che racconta la città di Milano da un punto di vista diverso, attingendo tanto dall’urban quanto dalla nostra tradizione cantautoriale.

“Da dove nasce il nome Coma_ Cose?”

L’imput primario è stata la voglia di cambiare vita. Il nome vuole proprio esorcizzare la parola Coma, quel Coma in cui ci trovavamo Francesca ed io un anno e mezzo fa che è il bivio tra un lavoro precario e qualche bozza di canzone nel computer. A un certo punto ci siamo chiesti “Cosa facciamo?” quindi partiamo con questa esperienza e chiamiamola Coma e abbiamo poi successivamente aggiunto Cose.

“In un universo musicale dove la descrizione di città di appartenenza passa soprattutto per lo scimmiottamento del modello statunitense, voi avete portato originalità e freschezza. Ci potete parlare dell’universo milanese nella vostra musica?”

Noi cerchiamo di raccontare la nostra vita e cerchiamo di raccontarla in maniera sincera, questo vivendo a Milano è venuto molto naturale. Probabilmente quello che ci diversifica è la nostra poetica che è molto italiana in primis, ci piace quello che hanno fatti i nostri predecessori della scuola più classica del cantautorato italiano e cerchiamo di farli convivere con noi.
Questa è la freccia del nostro arco che ci distingue da quello che c’è adesso in circolazione.

“ Se doveste paragonare la vostra vita a quella di un film quale sarebbe e perché?”

Buffalo 66, io sono un vecchio matto e Francesca si prende cura di me.

“Credo ci voglia del sangue freddo per omaggiare Battisti, tuttavia con Anima Lattina ci siete riusciti in pieno. Avete altri punti di riferimento così forti?”

Ci piacciono molto Guccini e De Gregori. Abbiamo ascoltato tutta la musica cantautoriale italiana, e continueremo a cercare di omaggiarli con ironia.
L’artista da cui prendiamo più ispirazione è Guccini per la sua sfacciataggine, ha un istinto punk e una metrica da rapper.

“Se doveste raccontare ad un alieno la vostra musica e definirla con 3 aggettivi quali scegliereste?”

Terrestre, almeno già restringiamo il campo. Aliena, e universale così abbiamo preso tutti.
L’alieno arriva e dice “Ah sono terrestri, però sono alieni, stai tranquillo però alla fine è universale”

“Qual’è il vostro rapporto con i social network?”

Facebook ci piace definirlo come quando incontri un tuo amico delle medie si è sposato e ha tirato su famiglia. Instagram ci piace ma non siamo dei matti dei social, li utilizziamo il giusto.

“Timberland ha scelto voi, Carl Brave e Rkomi per Unloack the city. Non sembra anche a voi che l’approcio in generale alla musica indipendente stia attraversando un ‘epoca d’oro?”

Sicuramente sì, rispetto a 3 o 4 anni fa quando il panorama era più Indie Rock si è trasformato in una cosa più urban e che arriva a più persone. E’ cambiata la metodologia di far uscire gli artisti allo scoperto. Poi per colpa o per fortuna ci sono stati tanti anni di talent che hanno portato al collasso del talent stesso, questo ha fatto sì che gli artisti indipendenti riuscissero a fiorire.

“Ci potete dire qualcosa in più su questa collaborazione con Timberland?”

E’ stato sicuramente un piacere che ci abbiano contattati. E’ bello avere conferma che siamo degli artisti apprezzati in questo momento. Noi parliamo di città, quindi siamo contenti che ci abbiano riconosciuti come artisti che la sanno raccontare. Si sono proposti a noi con un linguaggio vicino al nostro, quello urbano, e abbiamo subito sentito affinità. Ci piace anche il brand, tendenzialmente ci vestiamo sempre casual e sportivi e crediamo ci rispecchi.

“Quanto è importante il binomio musica/moda nel vostro progetto?”

La moda non ci interessa particolarmente, sicuramente ci piacciono i bei vestiti, apprezziamo tutti e due l’estetica e crediamo sia molto importante in generale nella vita. La parola moda però ci fa un po’ paura, siamo molto attenti a noi stessi ma ci interessiamo poco di quello che succede fuori. Sicuramente dal punto di vista iconografico troviamo molto interesse, le cose più classiche della moda come per la musica.

®Riproduzione riservata

 

XzuOZUI8u4UgQS78

FERRARI TRENTO: AMBASCIATORI DELL’ARTE DI VIVERE ITALIANA.

Era il 1902 quando Giulio Ferrari realizza il  sogno di dare vita ad un Vino Trentino capace di competere con le più grandi eccellenze dello Champagne Francese, il resto è storia.
Il sogno di Giulio Ferrari si è con gli anni tramutato in realtà, non avendo figli decide di affidare la sua azienda a Bruno Lunelli, titolare di un’enoteca con cui collaborava. L’azienda ha continuato la sua scalata verso il successo senza mai abbandonare l’attenzione alla qualità nella quale credeva il suo fondatore, oggi è guidata dalla terza generazione che giorno dopo giorno si fanno ambasciatori dell’italianità nel mondo. Tra loro c’è Camilla Lunelli che abbiamo avuto il piacere di intervistare dopo aver visitato le loro cantine aperte in occasione del lancio della Sauna Perlage Ferrari, in collaborazione con Qc Terme. Un progetto unico nel suo genere, rivestita all’esterno con oltre 150 bottiglie Ferrari incastonate in posizione remouage, tecnica di rotazione periodica delle bottiglie volta a eliminare i depositi originatisi in seguito alla fermentazione. Per l’interno abbiamo visto invece il riutilizzo di casse in legno e più di 500 tappi di sughero sistemati nella seduta. Abbiamo inoltre preso parte ad un pranzo stellato presso la meravigliosa Villa Margon, una delle più importanti residenze signorili della zona, edificata nel 500 e oggi appartenente alla famiglia Lunelli.
qc-terme-trentino-4-1537888782-2

qc-terme-trentino-5-1537888802
Quali sono i motivi della partnership con Qc Terme?

Siamo entrambi due aziende fortemente italiane, entrambe di origine famigliare e devo dire che quando abbiamo cominciato a collaborare insieme c’è stata una sintonia molto forte. Credo che una cosa che ci accumuni sia l’attitudine all’accoglienza, Qc Terme è per sua natura un luogo di accoglienza e questo ci accomuna molto. Per noi è fondamentale non solo quando accogliamo gli ospiti nelle nostre cantine, nei nostri ristoranti o nei nostri vigneti, ma è un po’ il senso di piacere e di condivisione che speriamo di poter accompagnare con una bollicina Ferrari.
qc-terme-sauna-cantine-ferrari-1537888885
Quanto è importante per voi il Binomio Ferrari con la concezione di lifestyle?

Per noi è sicuramente un aspetto molto importante, ci tengo a puntualizzare che il nostro focus principale è la qualità del prodotto. Quando siamo sereni di aver fatto un lavoro di qualità allora andiamo a lavorare molto sul messaggio di italianità che ci sta a cuore. Ci piace proporci, principalmente all’estero, come ambasciatori dell’arte di vivere italiana. Lavoriamo spesso in collaborazione con Qc Terme e  con altre eccellenze italiane. Questo messaggio all’estero viene apprezzato molto, noi italiani spesso non abbiamo piena conoscenza di quanto il nostro stile di vita, che passa da la nostra cucina, i nostri vini e le nostre produzioni di eccellenza, sia apprezzato all’estero.

Questo messaggio di italianità vi ha portato ai brindisi degli Emmy Awards, ci può dire qualcosa rispetto a questa collaborazione?

E’ un segno molto importante di quanto stia cambiando l’approccio a livello internazionale alle bollicine. E’ inoltre il quarto anno consecutivo che ci scelgono. In tutta franchezza, 20 anni, fa la bollicina di qualità nell’immaginario specialmente american era solo lo Champagne. Adesso è normale che ci siano anche le bollicine italiane in eventi di questo calibro. Noi siamo felicissimi tra le altre cose, crediamo che gli Emmy Awards siano lo specchio di un cambio dei tempi, di una televisione che sta cambiando forma, che è sempre più dinamica e che non è più la serie b del cinema ma qualcosa di diverso.

General view of atmosphere at the 2015 Creative Arts Governors Ball at LA LIVE on Saturday, Sept. 12, 2015 in Los Angeles. (Photo by Colin Young-Wolff/Invision for the Television Academy/AP Images)

Avete già una varia gamma di prodotti di prima scelta ma ci sono delle novità alle porte?

Ci sono delle grandissime novità molto importanti per noi in quanto riguardano l’alta gamma. Ma non posso anticipare nulla. Ci faremo risentire tra poco perché è una novità che uscirà veramente a breve.

®Riproduzione riservata

Rahul Mishra trionfa nel menswear della Indian Couture week.

Rahul Mishra ha trionfato con il suo debutto menswear alla Indian Couture Week con una collezione che sembra parlarci di nuovo ed antico, tutto maestosamente concepito sotto la stessa idea di eleganza.
Maraasim significa “relazione” in Urdu ed è proprio così che il premio Woolmark 2014 e Brand Ambassador dell’Istituto Marangoni di Milano, dove il designer ha speso un anno di studi, ha voluto chiamare la sua prima collezione menswear. Vi è infatti un continuo richiamo alla tradizione Mughal, la magnifica India intellettuale dalle architetture maestose, tessuti pregiati e meravigliosi dipinti, raccontata attraverso una visione contemporanea.
“L’estetica Mughal non è stata frutto della creatività di un unico artista né di un gruppo di artisti, piuttosto si è trattato di una fusione di pratiche artistiche persiane, influenze europee di commercianti e missionari e la ricca tradizione indiana. Non si può creare nulla in isolamento, è stata la contaminazione di idee che ha portato a un’estetica del tutto unica e unificata, estetiche che erano tutte espressioni di un’autentica gioia per la creazione della bellezza.” spiega Mishra.
Un vero tributo alla cultura Mughal quella della collezione Marasmi che, vuole anche esplorare il complesso rapporto tra natura ed architettura sia nel tradizionale che nel moderno. Queste due realtà se mescolate riescono a creare opere d’arte su tessuti fatti a mano. Una significativa  testimonianza dei particolari più fini inerenti all’artigianato indiano. Pochi Designer hanno un dialogo così forte con la propria cultura tanto quanto Mishra che per l’occasione ha impreziosito la collezione con dettagli a goccia di rugiada Swarovsky, una collaborazione forse destinata a ripetersi.

®Riproduzione riservata

 

K-WAY X KAPPA

Era il 1965, in una giornata di pioggia Leon Claude Duhamel osserva i passanti e pensa ad un’alternativa allo scomodo ombrello: una giacca leggera, pratica e soprattutto impermeabile da indossare nelle giornate uggiose. Il resto come si dice è  storia. Negli ultimi anni abbiamo un rilancio del brand che ha dell’incredibile, grazie anche alle collaborazioni con Versus Versace,  N. 21 e Dsquared2.
Dall’altra parte è Kappa, azienda con focus sportivo fondata a Torino nel 1978,  che è riuscita a cogliere perfettamente il boom dello sportswear. Celebrities come Kendal Jenner iniziano a postare diverse foto sui social con i loro capi ritrovati in qualche mercatino vintage. E’ il momento migliore per rilanciarsi e Kappa diventa uno tra i millennials brand più solidi, collaborando con nomi come Marcelo Burlon e  Gosha Rubchinskiy.
Ed è proprio per la nuova stagione che i due marchi  lanciano un co-branding Kappa X K-Way: una capsule collection colorata e unisex, caratterizzata da maxi loghi e da una vestibilità over. Il tricolore giallo, arancio e blu incontra l’iconica banda Kappa per un sodalizio interno tra due realtà simbolo dello streetwear e dell’outerwear che finalmente trovano un punto di incontro.
Le 6 proposte della capsule collection K-Way X KAPPA (felpe, giacche e pantaloni impermeabili) sono state presentate nel flagship K-Way di Covent Garden a Londra lo scorso 6 settembre con un lancio fortemente social. La co-lab è in vendita nei K-Way store e in selezionati multibrand di tutto il mondo.

®Riproduzione riservata

ECO & STREETWEAR A BERLINO: BREAD && BUTTER BY ZALANDO

Si è chiusa la terza edizione di Bread&&Butter by Zalando che all’Arena di Berlino ha presentato oltre 40 marchi con possibilità di fare acquisti tramite il sistema “see now, buy now”, attivazioni per personalizzare prodotti, ma anche intrattenimento musicale, show pop-up, dibattiti e una line-up musicale di primo livello. Un programma ricco di eventi e prodotti esclusivi, il tutto a ritmo di musica e street food. Oltre 70 artisti tra cui evian christ, hamza, kitty ca$h, luciano, paigey cakey, princess nokia, sheck wes, stefflon don, ufo361, yung hurn e molti altri. Tra i Brand Pop-Up visitabili erano presenti tutti i big player del mondo sportswear, da adidas Originals che ha portato a B&&B lo spirito originario anni ’90 dei suoi esclusivi modelli Falcon assieme alla performance live dei MØ.Converse ha accolto il pubblico presso ‘The Converse One Star Salon’ – un salone di bellezza Pop-Up ospitato da ISLA Berlino, con un menù di trattamenti speciali e un servizio di personalizzazione delle sneaker. Un’esperienza multisensoriale per Puma che ha utilizzato la tecnologia degli anni ’80, mentre i tecnici del suono di Roland hanno permesso ai visitatori di agire interattivamente con sintetizzatori come parte di un’istallazione. Tra i debutti invece The North Face che ha giocato sulla contaminazione di spazi aperti, moda, design e musica con un’offerta esclusiva creata appositamente per B&&B. Mentre Timberland ha creato un vero spazio verde, Timberland Park, che ha permesso ai visitatori di riconnettersi con la natura, rilassarsi e scoprire l’impegno del brand nel diventare sempre più un marchio socialmente responsabile. L’attenzione all’ambiente di Timberland tuttavia non si ferma qui. Il brand ha inoltre presentato la capsule collection di Timberland in collaborazione con  il designer inglese Christopher Raeburn. Con un’etica fondata su tre principi etici- REMADE, REDUCED, RECYCLED, Christopher Raeburn sposa perfettamente il costante impegno di Timberland nel creare nuovi prodotti responsabilmente e con un utilizzo sempre maggiore di materiali riciclati, organici e rinnovabili. L’idea di sostenibilità si incontra con artigianalità, qualità e innovazione per la realizzazione dei 17 capi Mainline e gli 11 modelli in Limited Edition, che includono una gamma iconica di pezzi, come shorts e magliette a manica lunga, felpe girocollo e con cappuccio, joggers e pantaloni cargo oltre ad una serie assortita di capispalla. Gli 11 modelli in Limited Edition saranno disponibili in esclusiva nei negozi selezionati a partire da ottobre, mentre i 17 capi appartenenti alla Mainline avranno una distribuzione più ampia e venduti sul sito timberland.com. Ogni pezzo è realizzato utilizzando una gamma di materiali eco-compatibili tra cui cotone organico e PET riciclato (derivato da bottiglie di plastica), sulla base dell’impegno comune nel cercare i materiali più sostenibili e collaborare con partner che producono responsabilmente per ridurre maggiormente l’impatto ambientale. Proprio Berlino sarà inoltre protagonista del progetto “My Playgreen” che, a seguito delle attivazioni passate su Londra e Milano, arriva nella capitale tedesca per il 2018, rafforzando ulteriormente il ruolo chiave della sostenibilità ed evidenziando la dedizione del brand alla riqualificazione degli spazi pubblici urbani esterni.

®Riproduzione riservata

 

BRAND ALERT: DZHUS

L’Ucraina sta sempre di più facendo parlare di sé grazie ai numerosi designer di avanguardia presenti nel territorio e alla Mercedes Benz di Kiev, ormai diventata un establishment nella scena emergente. Un successo planetario quello dei designer dell’est, arrivato durante un periodo di situazione politica critica, che ha dato vita ad una generazione di creativi con un approccio nuovo ed indipendente. Dzhus, della designer Ucraina Irina Dzhus, viene proprio da questo universo: tagli innovativi, indumenti multifunzionali, ispirazione industriale ed un occhio attento all’ambiente danno vita ad un brand d’avanguardia ma funzionale, che ha portato la designer Ucraina a sfilare anche nella capitale francese. Durante gli studi alla Kiev National University of Technologies and Design, Irina Dzhus ottiene un internship presso Krasnova, dove riesce ad entrare in contatto con i complessi processi del mondo fashion e le innovazioni tecnologiche, ambiti poco trattati in ambiente accademico. Al termine dei suoi studi nel 2010 lancia Dzhus, perseguendo una concezione di moda che utilizza il minimalismo privo di ornamenti per trasferire le complesse forme architettoniche della natura nelle sue creazioni, creando delle vere e proprie armature dove le donne possono trovare un rifugio distinguendosi dalle regole del fashion. Dzhus nasce inoltre con il desiderio di portare alla luce una nuova moda interamente dedicata alla natura e all’ambiente, che si configurano non solo come principale fonte d’ispirazione della designer, ma trovano un loro spazio in una nuova corrente di moda animalista, già rivendicata da Brand come Stella McCartney, Vivienne Westwood e Tommy Hilfiger. Escapism, la sua collezione autunno/inverno 2018, prende vita dal concetto di evitare la frustrazione quotidiana, focalizzandosi su una utopia soggettiva ed individuale. Un tipo di innovazione radicale quello che la designer Ucraina ha presentato nella sua ultima collezione, dove utilizzando geometrie astratte, monocromi ascetici, strutture complesse e pezzi multiuso si pone l’obbiettivo di creare un’alternativa al moderno conformismo: creazioni innovative che perseguono forse la più ambiziosa delle mission del brand. Per Irina Dzhus non c’è motivo per un designer di creare dei pezzi già presenti sul mercato, perché lo slow fashion deve poter fornire pezzi unici e spesso multifunzionali, non presenti nei negozi mainstream, e rivolti ad un pubblico attento alle innovazioni e al futuro del fashion. Certo il paragone con Rei Kawakubo, Yoshi Yamamoto e Martin Margiela è piuttosto semplice, ma la Dzhus tuttavia ha più volte affermato che i suoi lavori si ispirano solamente all’ambiente e alle sue forme, indirizzandosi verso un’estetica “Anti-fashion” che non deve e non vuole seguire il trend del momento, ma risaltare la bellezza pura ed essenziale. Una missione che non vuole solo rendere omaggio all’avant-garde, ma vuole farlo utilizzando materiali sostenibili e cruelty- free, vestendo donne intelligenti, aperte ed attente all’ambiente.

®Riproduzione riservata

Muore Oksana Shachko fondatrice di “Femen”

È stato rinvenuto ieri nel suo appartamento di Parigi il corpo senza vita di Oksana Shachko, fondatrice del movimento femminista “Femen”. Si parla di suicidio, l’ultimo post di Instagram recita “Siete tutti Fake”.

La Schacko fonda il movimento nel 2007 a Kiev e ha iniziato con lo slogan “L’ucraina non è un bordello”, con cui voleva combattere, attraverso la lotta politica del gruppo, la cattiva reputazione dell’Ucraina post sovietica in tema di prostituzione. Il movimento proponeva l’utilizzo del corpo nudo come strumento per attirare l’attenzione mediatica; le fondatrici hanno spiegato che in uno stato come l’Ucraina il femminismo tradizionale non avrebbe funzionato, hanno così deciso di adattare la lotta al modello ucraino spogliandosi perché era l’unico modo per essere ascoltate.

Qualche anno dopo il movimento si trasferisce in Francia, dove le attiviste ottengono asilo politico in seguito alle manifestazioni di solidarietà in favore delle Pussy Riot, altro movimento femminista russo, che al tempo finì sotto i riflettori per una serie di problematiche legate al governo russo di Vladimir Putin.

Femen activist Inna Shevchenko sits with her computer in an apartment in Kiev
Oksana è stata la prima attivista del gruppo ad aver manifestato in topless, attirando numerosi consensi ma altrettante critiche dovute all’atto, dai più considerato osceno. La Schacko si è così difesa: “Non dovrebbe spaventare il seno, è meraviglioso, è il simbolo della maternità. Se una donna allatta suo figlio per strada non dovresti sentirti spaventato e con le nostre proteste è la stessa cosa.” Nel 2014 era stata estromessa dal gruppo da Inna Schevchenko e si era dedicata alla pittura, con la quale comunicava la sua lotta per l’emancipazione femminile.  L’attuale leader Inna Schevchenko ha dato la notizia della morte quest’oggi, ricordandola così. “Oksana è una delle più grandi donne della nostra epoca, una delle più grandi combattenti che hanno lottato duramente contro le ingiustizie della nostra società, che ha combattuto per se stessa e per tutte le donne del mondo. Siamo sopravvissute alla foresta bielorussa insieme dopo essere state torturate e abbiamo camminato per le strade di Parigi formando un nuovo battaglione di donne combattenti. Oksana ci ha lasciato ma è qui e ovunque. Lei è in ognuna di noi, è nella sua pittura attraverso la quale esprimeva le sue doti artistiche. È nella storia del femminismo”.

®Riproduzione riservata

Reda Active LIFEPROOF, la nuova frontiera dell’actiwear

Da sempre attenti alla qualità e all’ambiente grazie all’impiego di energia solare, filtraggio delle acque e gestione e controllo diretto di tutta la filiera produttiva, Reda, la storica azienda Biellese leader nel settore tessuti di lusso, lancia Reda Active LIFEPROOF,  una nuova membrana composta da polimeri resistenti ma biodegradabili nel tempo. La membrana si adatta bene allo sviluppo di prodotti moda sportswear e actiwear dove, oltre al design, è importante la funzionalità e performance dei capi che spaziano dai kway e scarponi di Rossignol, giubbotti antivento, t-shirt fino ai caschi e scarpe firmate Barracuda. La nuova creazione dell’azienda biellese è stata presentata al pubblico in anteprima assoluta durante Pitti Immagine Uomo 94 nella cornice di  I GO OUT, spazio dedicato al mondo dell’outdoor, e successivamente a Milano Unica, il Salone Italiano dei tessuti e degli accessori di alta gamma.

“Siamo molto contenti di prendere parte a questo nuovo e originale progetto lanciato da Pitti Immagine per presentare la nostra nuova membrana Reda Active LIFEPROOF, – ha affermato Ercole Botto Poala, Amministratore Delegato di REDA. “La nostra azienda è da sempre molto attenta alla sostenibilità e crediamo sia fondamentale preservare l’ambiente riducendo al minimo gli sprechi e progettando capi sempre più eco-friendly”.
Reda, da sempre impegnata nel menswear lancia una sfida eco innovativa, dimostrando ancora una volta che innovazione tecnologica e sostenibilità possono andare a pari passo e lo fa indirizzandosi verso il mondo activewear e athleisure.

®Riproduzione riservata

Sotto una serie di prodotti sportswear con vari tessuti Reda Active.