Sguardo al passato ed eleganza senza tempo: uno scorcio sulla Milano Fashion Week

La Milano Fashion Week donna ha chiuso i battenti, lasciandoci immersi nella moda per l’Autunno Inverno 2024 2025. Sfilate à gogo in calendario ufficiale e fuori, presentazioni acca ventiquattro sparse per il circondario della città meneghina e front row pullulanti di star e immancabili influencer provenienti da ogni dove. In questa terza tappa del tour delle capitali della moda, i designer hanno proposto per la donna  (e per l’uomo, se pensiamo alle innumerevoli collezioni co-ed) una visione per la stagione fredda che verrà che si manifesta attraverso un’eleganza sognante intrisa di pragmatismo. Da un lato, un’allure senza tempo che si intreccia con la voglia di sperimentare intrinseca del fashion world, dall’altro la praticità del quotidiano che si estende dai capispalla agli accessori. Una prospettiva questa, che fa da specchio al contemporaneo e ne soddisfa le esigenze sempre più esigenti: in un presente in cui tutto scorre all’impazzata, ma in cui la voglia di esibire uno stile impeccabile non tende a disinfiammarsi, l’eleganza per tous les jours, con accenti avanguardisti e nuances provocatorie, diventa l’unica forma di espressione possibile. 

Da Moschino a MSGM, da Fiorucci a Jimmy Choo, tra gli altri, tutti hanno portato in passerella (o altrove) un racconto avvincente di moda, design e identità che traduce questa rappresentazione semplice ed efficace della femminilità (e della maschilità) versione Autunno Inverno 2024 2025.

Moschino presenta durante la Milano Fashion Week la prima collezione Autunno Inverno 2024 2025 di Adrian Appiolaza

Azzerare per ripartire, questo l’intento di Adrian Appiolaza per la sua Collezione 0. Per il suo debutto come Direttore Creativo di Moschino, il designer si rivolge al prestigioso passato della maison e al suo fondatore Franco Moschino, attingendo a piene mani dal suo vocabolario per creare però, il suo di linguaggio.  E dunque, sartorialità e maestria artigianale e poi simboli e gesti che esprimono l’ideologia moschiniana di pace e amore, l’ironia, l’irriverenza, la provocazione e le immagini iconiche sono i points de départs di questa collezione donna Autunno Inverno 2024 2025, che però si rivolge a una nuova generazione di utenti. Appiolaza infatti, rovista nell’archivio della casa di moda e propone abiti e accessori già visti (e amati), ma li reinterpreta nelle proporzioni e negli intenti. Capi classici e dal taglio sartoriale svelano l’effetto sorpresa. Quel trompe l’oeil tanto amato da Franco Moschino diventa una costante: le perle e la cravatta, il foulard o il denim, scomposti e ricomposti, girati e ribaltati, divengono altro da sé fino ad essere totalmente normalizzati. I punti interrogativi che ricorrono su maxi abiti mettono tutto in dubbio e ci spingono alla riflessione. Una collezione, quella portata in passerella dal neo designato creative director, che ripercorre la storia di Moschino per scriverne una nuova, la sua. Ripescando dettagli dal sapore nostalgico – il trench, il cappello da cowboy, gli occhiali da sole e la gonna da flamenco in primis – Adrian Appiolaza si apre così al futuro, preservando e celebrando quell’idea potente di allegria e joie de vivre, tanto cara a Moschino. 

Milano Fashion Week Autunno Inverno
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James Long celebra il cinquantesimo anniversario di Iceberg alla Milano Fashion Week donna con la sua collezione per l’Autunno Inverno 2024 2025

La sfilata alla Pelota celebra il cinquantesimo anniversario del brand, nato nel 1974. Il direttore creativo James Long per l’occasione attinge a piene mani dall’archivio storico, ma con un obiettivo ambizioso: riportarne alla luce i tesori, proiettandoli in una visione avanguardista e dando nuovo slancio all’energia positiva, che esprime l’essenza stessa di Iceberg, da sempre portatore di una visione ottimista. Autenticità e alta qualità da un lato, audacia e stile incisivo dall’alto, riproposti e aggiornati secondo uno spirito innovativo. 

I coat a taglio vivo sono eleganti e versatili: double face – ecopelle da una parte e con un motivo a spina di pesce dall’altra – possono essere indossati da entrambi i lati. I cappotti scozzesi con cerniera metal rimandano  all’estetica Anni 80 del marchio. La maglieria, protagonista in casa Iceberg fin dalle prime collezioni, è riproposta da Long sotto forma di capi dalle estremità extralong e declinata su capispalla kinitted, easy to wear.  Lo stile everyday, che esemplifica appieno la filosofia della maison, è diluito su un  blazer a doppio petto caratterizzato da un fish bone pattern e maniche in finto montone, designato come capo iconico della collezione del cinquatesimo anniversario.  E ancora, su giacche da motociclista con frange in ecopelle soft e check shirt con pannelli a contrasto con motivi a plaid di varie dimensioni, che ricreano un effetto ottico dinamico.

L’heritage del marchio è  celebrata anche attraverso i dettagli iconici hardware come le cerniere e gli occhielli che si impongono su  tutti i capi della collezione: dal sofisticato dress in chiffon e il maglione a coste con collo a imbuto, fino ai tacchi e alle borse, tutte rifinite con l’inistinguibile monogramma del logo Iceberg.

Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Iceberg
Iceberg
Iceberg
Iceberg
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La collezione Autunno Inverno 2024 2025 di Calcaterra alla Milano Fashion Week donna è un tributo alla materia

La sfilata Autunno Inverno 2024 2025 di Daniele Calcaterra celebra la materia, intesa nel significato originale del termine, che attraversa tutta la collezione del brand e definisce una nuova evoluzione del designer, sempre animato da spirito da rabdomante. Nel vasto panorama della ricerca, lo stilista parte dalla sostanza delle cose e la plasma, attualizzandola e ridefinendone i volumi e dando vita a un’opera pregna di stile senza tempo e ugualmente sperimentale, eppure durevole. Lane preziose, cotoni, shetland, seta, alpaca e upcycled fur, la materia è lavorata e trasformata nelle geometrie. Un fil rouge è rappresentato dei simboli tratti dalla natura, come i due fiori che si riversano su tutte le proposte della collezione,  il giglio puro e la peonia.

Nemmeno la scelta dei colori è casuale, sottolineando il legame materico con il quotidiano ed evocando una palette autunnale tinta da bianco latte, grigio cenere, torba, zafferano, dattero e bordeaux.

Calcaterra
Calcaterra
Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Calcaterra
Calcaterra
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Rave Review per la collezione Autunno Inverno 2024 2025 prosegue il suo percorso sperimentale in un’ottica riflessiva

Marchio di moda con sede a Stoccolma  e fondato nel 2017 dalle designer Josephine Bergqvist e Livia Schüc, Rave Review combina sostenibilità e design d’avanguardia. Il brand, pur prestando grande attenzione all’artigianato, attinge a materiali deadstock in un’ottica di upcycling, e dando vita così ad un numero limitato di capi unici. 

Hauntology, questo è il titolo della collezione Autunno Inverno 2024 2025 del fashion brand che trasforma il passato in chiave contemporanea, si pone come un rimando alle esperienze personali, rimembrando i giorni di curiosità adolescenziale. Rave Review ci invita a rivivere l’emozione di esplorare il guardaroba come un tesoro dimenticato, riassemblando frammenti del passato in un connubio tra vecchio e nuovo. Gli abiti, realizzati con materiali riproposti, rievocano forme di epoche passate, abbracciando estetiche vintage che spaziano dagli anni Sessanta alla moda Y2K. L’essenza hauntologica permea l’intera collezione, in cui la chiave di lettura non è la nostalgia di un’epoca trascorsa, bensì il ricordo inquietante di un potenziale ormai perduto. Tartan, organza, maglie a rombi, stampe leopardate e una palette dai toni scuri contribuiscono a incarnare l’atmosfera di un “preppy gone wrong“. Silhouette destrutturate e l’uso sapiente del patchwork conferiscono uno stile punk ma raffinato, arricchito da accessori come calzini, collant e scaldamuscoli, realizzati in collaborazione con Happy Socks LAB.

La collezione non è solo un’ode al mix di stili audaci ma rappresenta anche un viaggio riflessivo per il marchio stesso. Rave Review riafferma la sua maturità attraverso questa collezione, sottolineando che crescere significa abbracciare con sicurezza le proprie stranezze e mostrarle con fierezza all’esterno.

Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Rave Review
Rave Review
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Il fotoromanzo di Fiorucci alla Milano Fashion Week donna

Anche Fiorucci alla Milano Fashion Week, per la sua collezione e Autunno Inverno 2024 2025 ha scelto di guardare indietro per raccontate il suo futuro. In particolare, il brand fashion ha recuperato un linguaggio narrativo molto popolare in Italia, dove è nato, negli Anni 60 e 70 e ormai andato in disuso:  il fotoromanzo, l’iconico racconto a immagini di storie d’amore. 

Fiorucci ha collocato una telecamera di fronte alla ricostruzione di una fermata del tram con una panchina. Elemento chiave nella storia è una signora eccentrica che dispensa caramelle colorate, dotate di un potere magico capace di suscitare innamoramenti. La concatenazione di avvenimenti conduce a sorprese, nuove connessioni, inaspettati ritrovamenti e, come da tradizione, ad un lieto fine. 

Milano Fashion Week Autunno Inverno
Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Fiorucci
Fiorucci
Fiorucci
Fiorucci
Fiorucci

Nella collezione per la prossima stagione fredda di Francesca Murri, Direttrice Creativa, presentata sullo sfondo di questa immersiva vicenda, i classici del guardaroba, in armonia con la visione utopica del marchio, sono ripensati e reinterpretati, instaurando un filo continuo tra heritage e sperimentazione

Dettagli versatili e trasversali si intrecciano armoniosamente con i tessuti delle collezioni maschili e femminili, abbracciando una vasta gamma di materiali che vanno dal denim alla lycra, conferendo un rinnovato carattere a ciascun capo. Il denim si afferma come un elemento indispensabile per il giorno, mentre la lycra si reinventa, adattandosi con eleganza alle atmosfere notturne. Ricami sofisticati e complessi adornano sia gli abiti formali che quelli in organza, mentre l’intimo, si integra all’outfit. La felpa classica rivisitata, diventa un eloquente statement quando indossata con reggicalze a vista, aprendo così nuove prospettive espressive. Gli accessori si trasformano in veicoli di una sorta di “sugar coating, esplorando simboli, colori e volumi che narrano storie audacemente fantasiose, come gli orecchini a forma di rossetto o lecca-lecca.

Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Fiorucci
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Fiorucci
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Fiorucci

La maglieria, con filati pregiati e naturali, sorprende per volumi inattesi e accattivanti combinazioni di materiali non convenzionali, ridefinendo gli equilibri estetici con un tocco contemporaneo. Stampe e artwork d’archivio, reinterpretati in chiave contemporanea, creano un legame cool che congiunge il passato con il futuro, conferendo dunque alle creazioni di Fiorucci una dimensione intramontabile.

MSGM porta alla Milano Fashion Week donna la sua visione di femminilità per l’Autunno Inverno 2024 2025

Trasportandoci nell’universo dei cigni aristocratici di Truman Capote, Massimo Giorgetti abbraccia con entusiasmo l’idea di una femminilità liberamente ribelle, immune all’ordinario. Se Capote narrava di “eroine tragiche” intrappolate in una gabbia dorata di codici e convenzioni, MSGM dà vita a una nuova generazione di donne che continuano a sovvertire le categorie esistenti e a infondere creatività là dove regna l’inerzia. Quasi come un’opera cinematografica, la collezione sembra seguire una sceneggiatura ispirata da Capote.  Il suo gusto per le atmosfere raffinate, le personalità uniche e i luoghi intrisi di piacere e cultura si fonde con l’ossessione di MSGM per i ritrovi urbani, come bar e ristoranti, dove le energie si intrecciano e la città prende vita. Attraverso la prospettiva di MSGM, le suggestioni della Côte Basque si riflettono dunque in una narrazione contemporanea dalle sfumature oscure. 

Il passato si svela attraverso una lente distorta, con l’heritage borghese dei cigni che si frantuma sotto l’azione decisa di zip e si punteggia di borchie di cristallo. L’evoluzione di MSGM si rivela sofisticata, più pulita e intensa: la palette dai toni smorzati fluttua tra il grigio mastice e l’antracite, crema e cipria, arricchita da accenti di lipstick red e azzurro ceruleo, immersa in un mondo deep black.

I piatti, i bicchieri e i lampadari di cristallo – simboli di salotti dell’upper class – sono trasposti sui capi attravero pennellate vivide, grazie all’opera dell’artista belga Jan De Vliegher. Gli ospiti dello show si immergono in un setting surreale che ricrea l’ambiente sfarzoso, ma al contempo benpensante, di un ricevimento newyorkese.

N21 porta l’anarchia sul catwalk della Milano Fashion Week

«Ho voluto raccontare un mondo femminile che non ha un solo punto di vista ma che riesce a contenere la drammaticità, la giocosità, la leggerezza e la sensualità. Tutto in un racconto disincantato che procede dall’osservazione del reale. Senza farmi condizionare e deviare da concetti e preconcetti». Così Alessandro Dell’Acqua, Direttore Creativo di N21, racconta la sua collezione Autunno Inverno 2024 2025 presentata durante la Milano Fashion  Week. 

Glamour Anarchico è il titolo di questo ultimo sforzo. L’intento messo in scena è quello di costruire un nuovo bon ton demolendone l’idea arcaica, pur preservando forma e volumi, tecniche di sartoria ed effetti. Come risultato la collezione emana un’atmosfera di Haute Couture degli anni Ottanta, con il fascino irresistibile degli abiti da cocktail e la praticità senza tempo dei tailleur in lana bouclé. «Ho affrontato il bon ton con il chiaro intento di distruggerlo e ho analizzato tutte le situazioni di costruzione che si presentavano nelle tecniche della Haute Couture del decennio 1980. È come se avessi affondato lo sguardo nelle immagini di una storia della moda che ripete sé stessa ma l’ho fatto riemergere pieno di lampi di luce nuova» spiega il designer. 

Milano Fashion Week Autunno Inverno
Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Milano Fashion Week Autunno Inverno

La Collezione prende il via con un tailleur in panno nero, tagliato al vivo e impreziosito da cristalli e jais, un punto cardine che ispira gli altri capi a riconsiderarsi attraverso audaci tagli e proporzioni. «Mi è nata una visione di erotismo nichilista che non deve richiedere un’autorizzazione per esprimersi e che ha in sé un pizzico di anarchia che sfocia in un senso di libertà. Ecco perché ho costruito look che nascono da abbinamenti inusuali utilizzando soluzioni basiche su soluzioni che esprimono una ricerca di immagini inconsuete capaci di riflettere situazioni non viste.» prosegue Dell’Acqua. 

Le gonne e gli abiti si costruiscono con pannelli aperti, incorporando sottovesti o perfino look nude, creando un’atmosfera di anarchia che si rifiuta di nascondere il manifesto distacco dalle regole convenzionali. Ci sono poi maglioni in marabu, come le stole che si sovrappongono ai cappotti in lana bouclé dal taglio maschile, appoggiati su camicie in crêpe de Chine e gonne in paillettes con dettagli floreali applicati. I cappotti in eco pelliccia animalier si abbinano al rosso dei guanti in pelle e coprono mini abiti  neri e in crêpe de Chine con orli ricamati.

Gli accessori sono essenziali e dialogano con la collezione e dunque, le iper-femminili  slingback con ricami di cristalli e stringhe che richiamano la linea dei bustier convivono con stringete dal moood più maschile. 

Ne emerge un insieme di immagini contrastanti che sembrano scaturire da uno spirito anarchico emancipato dalle consuetudini della cultura tradizionale. Ciò è reso possibile  grazie a una reinterpretazione dell’idea di libertà che la moda custodisce e diffonde attraverso uno storytelling privo di riferimenti e di convenzioni.

La collezione Autunno Inverno di MAX MARA è un’ode alla scrittrice Colette

Le parole profonde e appassionate di Colette permeano l’atmosfera dell’Autunno Inverno 2024 2025 di Max Mara. Con la stessa franchezza della famosa scrittrice (che dichiarava che “l’amore non è un sentimento onesto”) moderna, sobria e profondamente evocativa, il brand ne ripercorre il pensiero e gli intenti. La donna forte e indipendente incarnata da Max Mara si fonde così con lo stile Belle Époque, il glamour demi-monde e la sensualità

La collezione si ispira alle fotografie in bianco e nero delle bellezze della Belle Époque nel Bois. La silhouette ovoidale di influenza giapponese degli anni ’10 dà vita a nuovi cappotti, alcuni con maniche a kimono, altri con ampio volume sul retro. Realizzati in melton di cashmere e soffice tessuto di cammello e alpaca, o lavorati a maglia con bordi finiti al laser, questi capi esplorano nuove forme e volumi.

Milano Fashion Week Autunno Inverno
Milano Fashion Week Autunno Inverno
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Milano Fashion Week Autunno Inverno
Milano Fashion Week Autunno Inverno
Max Mara
Max Mara

Colette affermava che “esistono intenditori di blu proprio come esistono intenditori di vino“. Max Mara adotta allora un navy inchiostro scuro e un cobalto da abbinare al nero corvino e al grigio fumo. La collezione rievoca anche al gusto di Colette nel vestirsi da uomo e include i grandi classici del guardaroba come gli impeccabili cappotti da ufficio, i caban e le iconiche giacche Max Mara. 

Jimmy Choo riporta in auge il glamour degli Anni 90 per la sua collezione Autunno Inverno

Per la collezione Autunno Inverno 2024 2025, Jimmy Choo si ispira agli anni formativi della maison, rievocando lo stile paradossale degli Anni 90 attraverso una prospettiva contemporanea. Il risultato è una collezione di classici rivisitati che attinge alla ricca eredità del marchio per ribadire i suoi codici e la sua identità.

Sandra Choi, Direttore Creativo, spiega: «Questa collezione esplora un’estetica femminile tipicamente britannica. Stavo riflettendo su quel momento degli Anni 90 in cui mondi diversi si scontravano – modelle, YBAs e persone dell’alta società. È anche il periodo in cui è nato Jimmy Choo. C’era un distintivo minimalismo, un classicismo, ma sempre con un tocco di eccentricità.»

Jimmy Choo Autunno Inverno 2024 2025
Jimmy Choo Autunno Inverno 2024 2025

La collezione autunnale si sviluppa dunque lungo l’asse dei contrasti: look audaci e influenzati dallo stile biker che richiamano l’atmosfera delle strade convivono con linee raffinate dall’eleganza iperfemminile. La pelle nera morbida come la seta definisce silhouette eleganti, mentre i tacchi slanciati e i cristalli scintillanti conferiscono un tocco malizioso. Forme nitide e pelli morbide creano una dicotomia in ogni capo. In questo, si riscontra una fusione tra lo spirito di Londra e l’anima di New York, due città la cui estetica distintiva ha contribuito a definire il decennio: un connubio tra vecchio e nuovo, levigato e rifinito.

L’ispirazione per la collezione proviene dall’archivio di Jimmy Choo. Per il giorno, l’influenza classica del biker boot di Jimmy Choo si riflette in stili incisivi con un tocco ribelle e androgino. Il biker Brooklin, omaggio allo status cool del quartiere negli Anni 90, è proposto in varianti alla caviglia o al ginocchio, con una fibbia Diamond di Jimmy Choo.

Il Marlow Diamond è un mocassino street-smart con suola flatform dalle proporzioni creeper, mentre il modello Carolyn propone un gioco di trompe l’oeil, fondendo una sabot Mary Jane in pelle spazzolata color latte con uno stivale calza in tech-knit, blu navy.

Scarlett poi è un modello chiave, proposto in morbida pelle nappa rossa, declinato nella versione tacco a spillo o stivaletto e in diverse altezze applicate sull’iconico tacco Drop di Jimmy Choo, che ricorre anche sulla pump Ixia, con superficie a rete punteggiata di cristalli come gocce di rugiada.

Anche le borse riflettono le fusioni di stili e prospettive della collezione. Il Diamond Tote è la new entry della famiglia Jimmy Choo, proposto in morbida pelle oppure in versione a spina di pesce con cristalli applicati su tutta la superficie. La Diamond Shoulder, compatta e da portare sotto braccio, strizza l’occhio alla quintessenza degli accessori degli anni ’90 con un nuovo taglio Jimmy Choo, con una finitura lucida su tutta la superficie, accentuata dalla chiusura a busta con catena metallica Diamond.

La Bon Bon East West infine, proposta per l’estate, è in morbido vitello lucido color latte, con hardware Diamond che fa da contrappunto alla sua caratteristica morbidezza.

Nell’immagine in apertura un look dalla sfilata di Moschino

SALVATORE FERRAGAMO 1898-1960: la mostra a Firenze celebra il genio creativo, fondatore della Maison

Con una maestria che ha attraversato il tempo, Salvatore Ferragamo rimane una figura di spicco nell’industria della moda, non solo come creatore di calzature iconiche, ma come pioniere che ha ridefinito l’artigianato e il concetto di stile stesso. La retrospettiva Salvatore Ferragamo 1898-1960, aperta fino al 4 novembre 2024 al Museo Ferragamo a Firenze e curata dalla direttrice del museo Stefania Ricci, vuole essere un tributo a questo genio poliedrico. 

Mostra Salvatore Ferragamo
Ritratto di Salvatore Ferragamo

La retrospettiva a Firenze su Salvatore Ferragamo

Salvatore Ferragamo, nato nel 1898 a Bonito, Italia, si distingue come uno degli artigiani più rivoluzionari nel campo del fashion. Il suo percorso straordinario inizia con l’apprendistato nella tradizionale bottega di calzolaio della sua famiglia. Tuttavia, la sua sete di conoscenza e la sua passione per l’artigianato di alta qualità lo spingono oltre i confini locali. Il punto di svolta arriva quando Ferragamo emigra negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’20. Qui, apre un laboratorio a Santa Barbara e successivamente si trasferisce a Hollywood, dove rapidamente si guadagna la reputazione di “Calzolaio delle Star“. Celebrità del calibro di Marilyn Monroe, Audrey Hepburn e Greta Garbo diventano sue affezionate clienti ed evidenziando la sua abilità nel combinare design, comfort e savoir-faire.

Dalle botteghe artigiane italiane agli scenari glamour di Hollywood, la retrospettiva del Museo Ferragamo si concentra su questo periodo, esaminando da vicino le creazioni del designer per le celebrità e il modo in cui ha trasformato le calzature in veri e propri oggetti d’arte. Il suo approccio all’artigianato non si limita alla ricerca estetica, ma abbraccia anche uno studio approfondito dell’anatomia umana, dimostrando una dedizione straordinaria alla perfezione nella vestibilità e nel comfort.

Mostra Salvatore Ferragamo
Scarpa allacciata con tomaia in capretto e tacco decorato a mano a motivo floreale con l’etichetta Ferra-gamo Inc. Florence (Italy) – Hollywood (California), 1927

La mostra non solo celebra le sue creazioni senza tempo, ma offre uno sguardo approfondito sulla sua vita, evidenziando il suo spirito pionieristico e le relazioni che ha coltivato. Il 1923 in particolare è un momento chiave nella sua carriera, con l’apertura della sua prima boutique a Hollywood – l’exhibition, inaugurata a ottobre 2023, ne vuole celebrare il centenario. Annus mirabilis nel percorso del creativo, questo segna l’inizio della costruzione della sua eredità, soprattutto nel mondo della moda americana. L’esposizione esplora i momenti salienti di questo periodo, sottolineando il suo spirito imprenditoriale e la capacità di anticipare le tendenze, mettendo in luce altresì la sua abilità nel creare non solo calzature eleganti ma vere e proprie oeuvres d’art indossate da icone dello star system.

Mostra Salvatore Ferragamo
Palazzo Spini Feroni e il laboratorio di Ferragamo situato in alcune delle sale affrescate, 1938

La mostra come trait d’union tra le molteplici dimensioni di ricerca, esplorazione e ispirazione del pensiero di Ferragamo

Tuttavia, Ferragamo non è solo un innovatore nel campo delle calzature. La sua visione abbraccia anche la valorizzazione del Made in Italy e la promozione dell’artigianato italiano nel panorama internazionale. Salvatore Ferragamo 1898-1960 presenta infatti, una panoramica dettagliata di questo impegno, evidenziando il suo ruolo fondamentale nell’elevare lo status dell’industria italiana della moda. Documenti, oggetti, opere d’arte, foto e video, testimoniano la sua passione per l’artigianato e la sua straordinaria lungimiranza nel promuovere l’eccellenza nostrana nel mondo.

Mostra Salvatore Ferragamo
Modelli di décolleté creati da Ferragamo e appartenuti al guardaroba personale di Marilyn Monroe. Dalla metà degli anni Cinquanta, l’attrice acquistava sempre il famoso modello presso il negozio Ferragamo di New York

Dopo la prima retrospettiva itinerante inaugurata nel 1985 a Palazzo Strozzi – seguita dalla fondazione dell’Archivio Ferragamo e del Museo Ferragamo, questa nuova esposizione offre uno sguardo approfondito sulla complessità della figura di Salvatore Ferragamo, mostrando al pubblico studi anatomici, sperimentazioni cromatiche e audaci esplorazioni di forme e materiali.

Il suo ritorno in Italia nel 1927, a Firenze, diventa simbolico, unendo la sua visione all’eredità rinascimentale della città. La mostra esplora proprio questo ritorno alle radici italiane, mettendo in evidenza come la città del Rinascimento abbia influenzato ulteriormente la sua creatività e la sua maestria artigianale.

Mostra Salvatore Ferragamo
L’attrice Joan Crawford con Salvatore Ferragamo nell’Hollywood Boot Shop, anni venti

Il percorso espositivo della retrospettiva fiorentina su Salvatore Ferragamo: dalla biografia ai suoi brevetti

La mostra Salvatore Ferragamo 1898-1960 non solo celebra le creazioni di Salvatore Ferragamo, ma si propone di narrare la storia, dai suoi inizi umili alla fama internazionale, e di restituire l’essenza di un uomo straordinario, che ha lasciato un’impronta indelebile nell’industria della moda, aprendo la strada a una tradizione di eleganza e innovazione che continua a ispirare la Maison oggi. Questo viaggio è esemplificato in maniera avvincente dal percorso espositivo della mostra che racconta nella prima sezione la storia del maestro fino alla sua prematura scomparsa a Fiumetto nel 1960, all’età di 62 anni. Quarant’anni di ricerche biografiche che documentano la vita dello stilista nella prima metà del 900 e a cavallo tra due paesi (l’Italie e gli Stati Uniti) hanno restituito una diapositiva accurata e dettagliata della sua biografia.

La seconda tappa della rassegna è quella intitolata Hollywood Boot Shop: reperti unici e inediti raccontano il periodo trascorso a Hollywood, tra il 1923 e il 1927, con l’apertura della prima boutique di Salvatore Ferragamo, luogo in cui arte e artigianalità si fondono e che diverrà in breve tempo il place to be di star e celebrità internazionali tra le quali Pola Negri, Mary Pickford, Joan Crawford e Rodolfo Valentino.

Mostra Salvatore Ferragamo
Sophia Loren e Salvatore Ferragamo durante la serata presso l’Open Gate Club di Roma per celebrare il nuovo brevetto della pelle di leopardo marino. Ferragamo prova all’attrice una scarpa in merletto ad ago di Tavarnelle, 28 febbraio 1955

Una raccolta unica di pellami, oggetti e opere artistiche poi, popola la terza area della mostra, Materiali e Ispirazioni. L’obiettivo è quello di osservare più da vicino il lavoro di un artigiano che ha saputo rivoluzionare il mondo delle calzature lavorando con ogni tipo di materiale, al contempo attingendo a piene mani da diverse aree geografiche, culture e correnti artistiche.

Equilibrio e Anatomia è la sala dedicata agli studi che Salvatore Ferragamo ha fatto sulla struttura e sulla meccanica del piede. Grazie alle sue indagini e alla sua genialità, Ferragamo è stato in grado di individuare nuove soluzioni per la distribuzione del peso del corpo, al pari di un ingegnere o un architetto.

Mostra Salvatore Ferragamo
Le celebri forme di legno realizzate da Salvatore Ferragamo per le sue clienti più importanti

Fa seguito una piccola sezione – Forme architettoniche – nella quale otto modelli di chaussures scelte per la loro forma particolare e per l’assenza del colore, sono una dimostrazione dello studio quasi architettonico della calzatura condotto da Ferragamo, che concepiva la scarpa come un equilibrio armonico e perfetto di simmetrie, pesi e misure.

Oriana, scarpa chiusa in camoscio con bocchetta al centro che forma il motivo decorativo, 1947
Oriana, scarpa chiusa in camoscio con bocchetta al centro che forma il motivo decorativo, 1947

Collegata alla precedente, la sesta tappa della retrospettiva raccoglie i brevetti per la costruzione delle scarpe realizzati da Salvatore Ferragamo – sono 369 quelli da lui effettivamente depositati – che riflettono l’idea della riproducibilità adattata anche alle creazioni artigianali più esclusive. Tra i vari progetti spiccano quello del tacco a zeppa in sughero, del tacco a gabbia e della suola a conchiglia. 

l percorso espositivo della retrospettiva fiorentina su Salvatore Ferragamo: dal ritorno a Firenze alle star che hanno sfoggiato le sue creazioni

Con l’area sette si cambia capitolo e ci si addentra nel Nuovo Rinascimento. La tradizione artigiana fiorentina continua a ispirare un sentimento di rinascita, in cui la concezione di design è intrinsecamente legata alla ricchezza dei materiali e alla maestria artigianale. L’essenza del Made in Italy di Ferragamo si distingue per l’unicità dei motivi e delle lavorazioni, che richiamano le radici della tradizione orafa e l’eccellenza degli artisti rinascimentali del Cinquecento.

La Creatività a Colori è oggetto della sala otto, Le calzature custodite nell’Archivio Ferragamo rappresentano infatti un’espressione audace nell’uso del colore. Dalle monocromie primarie ai patchwork geometrici e agli effetti optical, le creazioni riflettono un’ispirazione variegata. Sono influenzate dalle avanguardie futuriste e cubiste, dai ricordi della terra natia e dai paesaggi della California, dalle tonalità del mare alle lucentezze dell’oro e dell’argento. Ma è il rosso, il colore prediletto da Salvatore, a emergere come simbolo di vita ed energia, conferendo alle sue opere un’anima vibrante e passionale.

La sezione finale vuole essere una celebrazione dei piedi più famosi che hanno avuto l’onore e si sono fatti ambasciatori delle creazioni Ferragamo. Star del cinema, aristocratiche e protagoniste del jet set internazionale, in tantissime hanno affidato i propri piedi alla maestria e all’estetica di Salvatore Ferragamo, abile calzolaio e creativo visionario, che prendeva personalmente le misure delle sue committendi non mancando di annotare anche le piccole fisse di ciascuna, le preferenze e i gusti personali di ogni eccezionale cliente. 

Anna Magnani e Salvatore Ferragamo a Palazzo Spini Feroni durante la prova del sandalo Ranina, 1955
Anna Magnani e Salvatore Ferragamo a Palazzo Spini Feroni durante la prova del sandalo Ranina, 1955

RECAP DELLA MILANO FASHION WEEK UOMO: PRADA, ZEGNA E FENDI

Dopo aver dato uno sguardo alle sfilate di Gucci, Dsquared2, MSGM e Dolce&Gabbana della Milano Fashion Week Men’s, è la volta di Prada, Zegna e Fendi e della loro visione dell’uomo per l’Autunno Inverno 2024 2025. Se come osservato, uno dei temi ricorrenti nella rappresentazione delle grandi maison è quello legato alla commutabilità del guardaroba (ovvero la concezione dell’abito o dell’accessorio, per lui in questo caso, progettato al di là del genere, pensato per essere versatile), tirando le fila di questa settimana della moda milanese maschile interpretata dai grandi brand del lusso, quello che ci ha paradossalmente più stupito è quanto di più ovvio dovrebbe essere. Come già visto nella collezione di Domenico Dolce e Stefano Gabbana – che forse più di tutti sono riusciti in questo esercizio stilistico – da Fendi a Prada, fino a Zegna, i designer hanno (ri)messo gli abiti al centro della scena. Che a dettare questa tendenza siano i cambiamenti culturali in atto che stanno colpendo (e trasformando) la società e che potrebbero indurre ad abbandonare il superfluo e a rivolgersi al passato e alla tradizione, alla ricerca di risposte e soluzioni, una cosa è certa: i colpi da maestro e i fuochi di artificio, le mosse di marketing e le scelte provocatorie che hanno creato un sussulto dalle passerelle delle sfilate delle scorse stagioni, hanno lasciato il posto al savoir-faire inteso come eleganza sartoriale. L’intenzione diffusa è quella di puntare sulla qualità dei capi e dei tessuti, sull’attenzione ai dettagli, sul recupero della maestria artigianale proponendo creazioni che si distinguono per tagli perfetti e proporzioni impeccabili.

Prada Fashion Show
Prada Fashion Show

Il ritorno alla natura di Prada

Per comprendere l’ultima sfilata di Miuccia Prada e Raf Simons, che ha dominato il terzo giorno della Milano Fashion Week Men’s, è necessario partire dalla scenografia, che gioca qui un ruolo chiave. Il défilé Prada si snoda in un’ambientazione che contrappone gli interni di un ufficio a un paesaggio naturale. Human Nature è, non a caso, il titolo della collezione uomo Autunno Inverno 2024 2025 che, rivelando la contraddittoria dualità tra questi due universi che coesistono, esamina le verità essenziali dell’umanità, i nostri impulsi innati e le nostre necessità emotive. Il set up mette a confronto due mondi antitetici – la natura al di sotto, separata da un vetro dal resto, e la vita quotidiana, fatta di sedie da ufficio, sopra. Questa dicotomia si ripercuote necessariamente anche nei capi presentati. Alla base di tutto, una dichiarazione semplice, che esprime un profondo e fondamentale bisogno umano di connettersi con il mondo circostante. La collezione Prada presentata durante la settimana della moda maschile affronta qualcosa di essenziale: l’istinto emotivo di mantenere legami con ciò che conosciamo, seguendo i cicli della natura. Si tratta di un mondo regolato dalle stagioni climatiche, non da una realtà artificiale. Come conseguenza, le creazioni di questa collezione incarnano l’idea dell’ambiente e delle stagioni. Si percepisce la sensazione dello spazio aperto, la presenza tangibile della natura e l’espressione immediata del desiderio di uscire e vivere appieno nel mondo. 

Caposaldo del guardaroba maschile per Prada, la cravatta, simbolo della divisa da lavoro ed elemento convenzionale e rassicurante, sovvertito però da dettagli stilistici controcorrente. L’obiettivo è di introdurre variabili che possano indurre ad entrare in contatto con ciò che è essenziale, immergendosi nella natura. Una tra tutte, la cuffia da bagno con texture che assume la forma di un berretto in lana e i sandali intrecciati in pelle (volutamente fuori stagione). Parte dell’universo tradizionale, che sancisce comunque una visione fatta di eleganza classica e altresì rassicurante (secondo una tendenza per la quale le maison pare stiano tornando a fare ciò che sanno fare meglio) sono i completi formali in tweed con enormi giacche, i cappotti sartoriali, la camicia e il trench evergreen. 

ZEGNA e le infinite possibilità e interpretazioni del cashmere

La trama della narrazione di Zegna per l’Autunno inverno 2024 2025 si svolge nll’Oasi del Cashmere, un laboratorio in cui avviene un rimodellamento della materia e una rimaterializzazione delle forme. Point de départ dunque di Alessandro Sartori, direttore artistico ZEGNA, è il cashmere, fibra prediletta durante la stagione fredda per la sua versatilità, preziosità e tracciabilità. Una montagna di cashmere in continua evoluzione domina la scenografia della location prescelta per la sfilata che chiude la Milano Fashion Week uomo, nell’area dell’ex Fiera Milano City. La collezione in passerella si presenta come un sistema aperto, fatto di elementi chiave che possono essere stratificati e combinati in molti modi, senza porre limiti alla libertà di espressione. Il dizionario di Zegna si compone di quattro vocaboli chiave – top, bottom, underpinning e accessori – che danno vita, sovrapposti e mixati, a frasi più complesse fatte di coordinate e subordinate. Nella collezione presentata a gennaio, le forme evolvono, sovrapponendosi e sviluppando elementi inediti come tasche generose e pratiche, maniche ampie, colletti, linguette, chiusure e coulisse. La polifunzionalità è ottenuta mediante una scrupolosa selezione e dettagli precisi, è dà vita a capi che offrono diverse possibilità d’uso. Tra questi: cappotti dai volumi generosi e piumini con cuciture a ultrasuoni, blazer con doppio collo e anorak senza colletto. Overshirt e giacche boxy con tasche strategicamente posizionate non suggeriscono solo funzionalità, ma anche una varietà di posture e atteggiamenti del corpo. Maglioni a coste e imbottiti sono concepiti come capispalla.

La stratificazione diviene la modalità che esprime il guardaroba maschile di Sartori e che si traduce tanto in una somma dei pezzi, quanto di colori, che a loro volta non sono monodimensionali, ma una sovrapposizione di tinte (nuance di bianco, ghiaccio, burro, accenti di asfalto, granito, nero opaco, foliage e blu inchiostro e pennellate di rosa alba si fondono in tinte monocromatiche o in vibranti miscele). Le texture aggiungono una dimensione tattile: shetland/cashmere multi mélange, beaver di puro cashmere, panno lavato, panno intarsiato, panno workwear 3D, pelle plongé doppiata di cashmere, spugna di puro cashmere, raw denim. 

«Come luogo fisico e modo di pensare, l’Oasi Zegna, il centro del nostro mondo, è un vero e proprio laboratorio: un luogo nel quale possiamo esplorare nuovi materiali, sviluppare nuove forme, ideare soluzioni di abbigliamento adatte al presente. Qui sperimentiamo con fibre e colori naturali, decodificando funzioni e ricodificando linee per creare un sistema aperto di elementi che libera l’interpretazione personale. Lo facciamo nella costante ricerca di bellezza ed eccellenza, con un impegno responsabile nei confronti dell’ambiente, seguendo un’idea sana di moda come trasformazione: di tessuti, colori, silhouette», spiega il direttore artistico di Zegna.

La libertà di espressione messa in scena da Zegna nella sua oasi è evidente anche nel cast che popola la scenografia, eterogeneo e inclusivo, che sfida età e genere, dando nuove interpretazioni a look identici ma ciascuno unico ed estremamente personale in cui sono le singole variabili a fare la differenza.

Fendi e il suo sogno country filtrato dallo spirito urban

La collezione FENDI uomo per l’Autunno Inverno 2024 2025 disegnata dal direttore artistico Silvia Venturini Fendi, prende ispirazione dal mondo dell’outdoor britannico filtrato dall’audacia urbana, esplorando la ricerca dei grandi spazi all’aperto. Grazie a un costante dialogo tra tradizione e tecnologia (da cui si innesca un tentativo di sperimentazione), nasce un guardaroba maschile che trae ispirazione dalla funzionalità e prende avvio dai grandi classici rivisitati, in cui spiccano pregiati dettagli sartoriali.

Fil rouge in passerella, giocando sulla dicotomia tra metropolitano e bucolico, lo spirito del kilt scozzese che si traduce in lunghi shorts plissettati accostati a stivali Wellington in pelle e calzini da trekking, e poi gonne plaid o classici pantaloni rivisti con pieghe lungo la gamba. Le silhouette abbondanti dei capispalla, con spalle raglan e bottoni in pelle, sono impreziosite da colli in pelle Selleria e in camoscio effetto velluto a coste. Fishermen coat tempestati di doppie effe, giacche cerate in tessuto impermeabile, sontuosi bomber e caban con dettagli e cuciture in shearling definiscono un guardaroba che fonde lusso e functional, attingendo a una palette invernale composta da testa di moro e granito, terra bruciata, carbone, e verde foresta, con lampi di blu, ciliegia, e giallo, in contrasto o tono su tono.

I materiali oltrepassano la stagionalità dei tessuti pesanti, includendo denim lavato e texture in lana mohair annodati, sfilacciati e lavorati a maglia a mo’ di pellicce frangiate. Parallelamente, pellami plissettati sono trasmutati in un incredibile trench e in una giacca bomber. Scintillanti satin e lurex poi, si riversano su evening dress su cui spiccano spille FF in cristallo disegnate da Delfina Delettrez Fendi, che fanno eco a una collezione sì, fatta di utility wear ma nella sua versione più raffinata. 

Restando in tema di accessori, oggetto del desiderio della collezione presentata alla Milano Fashion Week Men’s, lo speaker portatile FENDI x DEVIALET Mania. Testimone della ricerca di FENDI nei campi che vanno oltre la moda, esplorando le potenzialità della musica e della tecnologia, l’altoparlante luxury ideato dal team di ingegneri francesi di haute technologie della Devialet è racchiuso in un prezioso astuccio FF.

Recap della Milano Fashion Week Uomo: Gucci, Dsquared2, MSGM e Dolce&Gabbana

Les jeux sont faits: la quattro giorni della Milano Fashion Week Men’s ha chiuso i battenti per passare il testimone ai cugini francesi, ma non senza prima dire la sua sulla moda uomo per l’Autunno Inverno 2024 2025. Nonostante ci sia chi sostenga che la settimana dedicata alla moda maschile stia pian piano implodendo, i brand del lusso hanno portato avanti con maestria la missione avviata dal Pitti Uomo 105, di definire le tendenze del menswear per la prossima stagione fredda. Da Gucci e Dsquared2, passando per MSGM, Dolce & Gabbana e Fendi, fino a Prada e Zegna, i grandi marchi del fashion, in questo (freddo) gennaio 2024 hanno proposto la loro visione per lui e non solo; molte infatti sono state le sfilate co-ed in cui i due generi coesistono in un unico show. Uno dei grandi temi della Settimana della moda uomo ha a che fare in effetti un po’ con questo: il genderless come valore assoluto che parte fin dall’idea del capo. L’abito o l’accessorio per lui (o per lei) progettato al di là del genere, in una concezione ampia di commutabilità del guardaroba. Questo è evidente in Dsquared2, dove addirittura uno dei due designer è stato il grande ospite in passerella, sfilando a sorpresa in panni femminili, o in Gucci, che propone uno specchio al maschile della collezione donna presentata lo scorso settembre in occasione del debutto di Sabato De Sarno. Abbracciando questa tendenza, Zegna è andato oltre, facendo indossare nella sua Oasi del Cachemire la medesima creazione a modelli e modelle, mettendo in luce la transizione ininterrotta all’interno del guardaroba, in un concetto di fluidità estrema, dal maschile al femminile e viceversa. 

Il finale della sfilata di Dolce&Gabbana
Il finale della sfilata di Dolce&Gabbana

Il sequel impeccabile di Gucci

Lo show di debutto nel menswear di Sabato De Sarno ha aperto le danze della Milano Fashion Week. Il designer ha presentato la sua visione dell’uomo per l’Autunno Inverno 2024 2025 ripartendo là dove ci aveva lasciati lo scorso settembre. La sfilata del 12 gennaio è stata volutamente uno specchio della precedente: la location (l’ex fonderia Macchi) era sempre quella e poi, stesso layout, medesima coreografia e musica quasi identica (esplicativo il gran finale musicale con Ancora di Mina, in una versione remixata da Mark Ronson, come colonna sonora). Uniche varianti: il genere dei modelli e la stagionalità dei capi. E come logica conseguenza, gli abiti si sono adattati alle nuove silhouettes e alle temperature più basse, mantenendo una perfetta complementarietà con la collezione pour elle, in un continuo gioco di rimandi, evocazioni, citazioni. Insomma, l’attesissimo sequel – lucido e coerente – dello stesso film. La storia è De Sarno a raccontarcela nel suo Manifesto, Gucci Ancora: «È una storia che nasce dalla gioia di vivere. Dalla passione e dall’umanità, dalle persone e dalla vita reale, da un fascino irriverente, dalla provocazione e dalla sicurezza di sé, dalla semplicità, dalle sensazioni repentine e dalle emozioni. Da una forma d’arte precisa, fatta di parole – parole nelle opere, parole nelle foto, parole negli spazi, solo parole. È una storia di ricchezza e di desiderio».

Gucci
Milano Fashion Week Uomo
Milano Fashion Week Uomo
Milano Fashion Week Uomo
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Protagonisti assoluti della collezione proposta dal designer, i capisaldi del guardaroba maschile: il cappotto sartoriale in primis, per il quale lui stesso dichiara un amore viscerale, e che diventa qui fluido grazie ai profondissimi spacchi sul retro, che amplificano il movimento, la camicia e il mocassino in formato brothel creepers. La palette abbraccia le tonalità classiche del nero, del bianco e del beige con lampi di blu, verde e rosso ciliegia, nuance ormai iconica: «È una storia di ricchezza e di desiderio. Di rosso, ma anche di blu e di verde. Di flash e di spontaneità, di una festa alle prime luci del mattino». L’effetto è minimal, essenziale, sobrio, pur senza rinunciare a qualche vezzo come la sciarpa di seta al collo, i cristalli abilmente disseminati su colletti e gilet e i metallici collier: «È una storia di oggetti – lucenti, freddi al tatto ma caldi nell’anima e nel cuore. Oggetti attraenti e da collezionare, non per un museo, per essere indossati nella vita di tutti i giorni».

Gucci
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Gucci

Il gioco dei doppi di DSQUARED2

Ultimo appuntamento del primo giorno della Settimana della moda uomo milanese, Dean e Dan Caten, per la sfilata della collezione co-ed per l’Autunno Inverno 2024 2025 hanno proposto l’idea del doppio, portando in passerella coppie di gemelli (24 per l’esattezza tra maschi e femmine). E chi meglio di loro poteva proporre una riflessione sulla rappresentazione simmetrica della stessa realtà? In una modalità autobiografica, il duo di designer canadesi ha offerto infatti, giocando sul concetto del duplice, della diversità nell’uguaglianza, dell’affermazione prepotente della propria unicità, uno spettacolo divertente e provocante Caten-style. E dunque, va in scena un cast composto da coppie di twins che simulano una magia: uno dei due in look da giorno entra in una sorta di extreme makeover machine e ne esce con outfit da sera, generando un effetto wow in cui emerge con evidenza il divario tra ruvido e raffinato. Una vera e propria metamorfosi che mette in mostra i due stili che caratterizzano Dsquared2, esplorando così la poliedricità della maison.

Per il giorno domina il denim passe-partout, elaboratissimo e dove nulla è lasciato al caso (il jeans è macchiato ad arte di fango e neve), le camicie a quadri legate in vita e le felpe con strappi e catene in un mix sovrapposto di volumi ampi e linee aderenti. I tagli sartoriali si impongono invece sui look by night, sensuali e lucenti, impreziositi da luminose paillettes, preziosi velluti, pietre colorate e pelle lucida. Borse e calzature evidenziano ancor più il gioco antitetico: bag in suede consumato e borse Gothic Belt Bags in jacquard fanno da contraltare alle pochette D2 per entrambi i sessi, in raso e pelle stampata in pitone. Sneakers, anfibi e Sasquatch ai piedi, si contrappongono a stivali con tacco per lui e a décolleté con cinturino alla caviglia e tacco alto per lei. Uno show in cui provocazione e sperimentazione tengono banco rivela un finale del tutto a sorpresa che vede i due stilisti diventare protagonisti loro stessi dello show. Uno di loro sfila in passerella in tailored trousers e camicia semi trasparente tempestata di lucentissimi cristalli; superata la macchina della trasformazione, ne esce l’altro in versione sbalorditiva: sulle note di Freedom di George Michael, il fratello appare nei panni di una sexy drag queen in abito nero bustier e chioma rosso fiammante. Non solo quindi, una riflessione gioiosa sulla diversità e l’unicità di ognuno ma anche sul dualismo maschio/femmina che convive in ognuno di noi. 

Milano Fashion Week Uomo
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La velocità di MSGM

In un’epoca in cui la vita frenetica (che colpisce in particolari gli abitanti delle grandi metropoli) non lascia più spazio alla riflessione, al raccoglimento, alla meditazione intesa come rielaborazione del vissuto quotidiano, Massimo Giorgetti, per la sfilata della collezione uomo MSGM per la prossima stagione fredda, apre uno scorcio sul concetto di velocità (chè è ormai un’iper-velocità). Punto di partenza della sua riflessione è la città di Milano. Location prescelta per dare forma al suo pensiero, a un livello profondo, altresì sotterraneo, in tutti i sensi, è la fermata della metropolitana milanese Porta Venezia, già nota come rainbow station della città meneghina. Centro dinamico della metropoli lombarda, è il vero cuore pulsante e luogo di passaggio spesso frenetico dei milanesi che qui sono nati o che per lavoro ci sono arrivati.

Milano Fashion Week Uomo
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La collezione presentata in occasione del défilé Autunno Inverno 2024 2025 è il risultato di una collaborazione tra lo stilista e la Fondazione Franco Albini, nell’intento di celebrare il genio dell’architetto e progettista milanese che ideò la segnaletica e l’allestimento della linea M1 – meglio conosciuta dai milanesi come “la rossa” – nei primi anni ‘60. Nella pratica, il richiamo al lavoro di Albini si traduce nei corrimani tubolari, simbolo della metro, che assumono qui le sembianze di spille e intarsi sui capispalla. Come se non bastasse, Giorgetti parte per le stampe della collezione da immagini scattate utilizzando le funzionalità di Google Pixel 8, l’applicazione dotata di fotocamera basata sull’intelligenza artificiale. In questo modo, MSGM propone pattern unici, nati catturando immagini nella metro milanese che si impongono sulle polo. I capispalla sono over, cascate di cristalli si riversano su pull e shorts che si alternano a completi sartoriali in lana. Questo dialogo tra Google e la casa di moda è solo il primo di un percorso a tappe che si snoderà nei prossimi mesi. Infine Giorgetti, per non farsi mancare nulla, con la collezione Autunno Inverno svela anche una partnership con l’artista portoghese Tiago Alexandre, che si focalizza sulla velocità, qui sotto forma di motociclette i cui caschi sono protagonisti in stampe e dettagli. Lo show di MSGM vuole porsi dunque come un vero e proprio invito a rallentare: «Tutto in questa collezione è legato alla velocità, tutto va veloce; il tempo va più veloce di una moto? Una metropolitana? Della tecnologia? Potrebbe essere che questo sia ciò che chiamiamo crescere, invecchiare, vivere? Raggiungeremo mai veramente la maturità? Dobbiamo davvero andare così in fretta?».

Dolce&Gabbana e il ritorno all’eccellenza

Una prova di abilità sartoriale, un ritorno alle origini, alla tradizione, al savoir-faire, una lezione di stile o ancora un tentativo perfettamente riuscito di emancipazione dal superfluo per tendere all’essenziale. Sleek racconta, attraverso 62 look calibratissimi, che celebrano la sartoria di alta qualità, la storia tutta italiana raccontata da Dolce&Gabbana nella sfilata della loro collezione Autunno Inverno 2024 2025. Un tentativo, abilmente riuscito, di riportare la moda al centro della scena, quello messo in atto dalla coppia di designer già da qualche stagione, ma che qui raggiunge l’apoteosi in una dimostrazione di stile lucida e centrata, di eleganza e artigianalità made in Italy. Ben consapevoli del cambiamento in atto che sta colpendo la società, Domenico Dolce e Stefano Gabbana decidono di andare controcorrente puntando al recupero dei valori attraverso ciò di cui tanto loro stessi, quanto il nostro paese sono custodi: la qualità espressa attraverso gli abiti. Il colore dominante è il nero che si inserisce in una palette pulita e sobria in cui ritroviamo il bianco, il grigio e il cammello, con qualche accento di denim. I tagli sono perfetti e giacche e cappotti presentano proporzioni delicate, mai abbandonate a loro stesse: tutto è studiato nei minimi dettagli in un ensembe discreto ed essenziale ma estremamente sofisticato che attinge a elementi semplici. I designer portano in passerella i capisaldi della loro cifra stilistica elevandoli a simboli di eleganza senza tempo, pur senza abbandonare qualche chicca, come le paillettes total black e l’animalier del maxi cappotto, per un insieme ricercato fatto di virtuosismi e di abilità artigianale e in cui tutto è distintamente composto e nulla risulta fuori posto. 

Milano Fashion Week Uomo
Milano Fashion Week Uomo
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Milano Fashion Week Uomo

LE TRE SFILATE EVENTO A PITTI UOMO 105: MAGLIANO, TODD SNYDER E S.S. DALEY

Cala il sipario sull’edizione 105 di Pitti Uomo che, puntualissimo come ad ogni stagione, ha inaugurato l’anno nuovo della moda maschile – non a caso Pitti Time è il tema scelto per questo salone invernale – attraendo a Firenze migliaia di visitatori da tutta Italia e dall’estero. Per quattro giorni gli occhi sono stati puntati sulla Fortezza da Basso, storica sede della manifestazione, che per l’occasione è diventata palcoscenico d’eccezione della moda uomo Autunno Inverno 2024 2025.
Tra grandi debutti, conferme e riconferme, presentazioni, collaborazioni inedite e tantissime novità, tre sono stati gli eventi attesissimi, in formato sfilata, che hanno tenuto banco in questa edizione: gli show dei due Guest Designer con i loro brand Magliano e S.S. Daley e poi, il défilé del Designer Showcase, Todd Snyder.

Pitti Uomo 105
Magliano Fashion Show

Todd Snyder porta in passerella savoir-faire sartoriale e funzionalità, tra USA e Italia

La sfilata del brand eponimo di Todd Snyder, Designer Showcase designato di Pitti Uomo 105, è andata in scena il primo giorno di apertura della kermesse fiorentina, nella cornice della Stazione Leopolda. Acclamato come uno dei menswear designer statunitensi più influenti della sua generazione, lo stilista ha presentato alla stampa e al pubblico della manifestazione fiorentina la nuova collezione del marchio. Lo show si è confermato l’appuntamento internazionale di moda maschile più atteso nell’ambito della manifestazione, dopo ben quattro anni di assenza dello stilista dalle passerelle e per la primissima volta al di fuori di New York.

Nativo dello Iowa e di origini olandesi (coincidenza, il suo cognome significa sarto in olandese), lo stilista porta sul catwalk il proprio stile distintivo partendo dalle fondamenta del tailoring classico e presentando la sua capsule nata dalla collaborazione con Woolrich. Un point de départ per il 54enne americano che, dopo il successo in madrepatria – dove conta una quindicina di store, di cui quattro nella Grande Mela, e che dovrebbero diventare 20 entro fine anno – si apre così anche al mercato europeo, e lo fa con il botto.
Ben 81 look sfilano in passerella, di cui 31 tratti, appunto, dalla collezione Woolrich Black Label, di cui Snyder è direttore creativo da novembre 2023. Tra questi, spicca la rivisitazione in pregiato cashmere della Buffalo check shirt e una nuova interpretazione dell’Arctic Parka, capospalla ispirato alle epiche imprese dell’ammiraglio Richard E. Byrd alla fine degli anni Trenta, in particolare durante la prima missione scientifica americana nell’Antartide.

Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105

Dalla Leopolda si propaga la passione per la sartorialità di Todd Snyder, fatta di virtuosismi e savoir-faire artigianale, in una visione però che abbraccia anche la funzionalità. Nel suo ampio guardaroba convivono infatti con armonia outfit eleganti, caratterizzati da proporzioni ampie, e capispalla dall’anima sportiva e urban. I pantaloni, inclusi i bermuda, sono over e, nella maglieria, le fantasie, che evocano atmosfere nordiche, ben si conciliano con le fibre di qualità utilizzate. Il designer infatti, dedica particolare attenzione alla selezione delle materie prime, molte delle quali di origine italiana. Tra Stati Uniti ed Europa, attingendo tanto dal passato, quanto dal presente, contemplando contesti metropolitani e natura, in un mix di lusso e outdoor, emerge l’interpretazione della moda uomo di Todd Snyder che attraversa confini ed epoche, creando un connubio affascinante tra l’eleganza sartoriale à la Snyder e il vibrante spirito urbano newyorkese di cui si fa portavoce.

Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
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Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
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Luca Magliano fa sfilare la sua ‘Nostalgia’ al Pitti Uomo 105

Guest designer di Pitti Immagine Uomo 105, la sfilata del brand dello stilista di origini bolognesi, che ha avuto luogo il secondo giorno della manifestazione, è stato il vero evento nell’evento. Nello scenario del Nelson Mandela Forum, Luca Magliano ha fatto un salto indietro nel tempo, ripercorrendo gli esordi del suo marchio, che ha debuttato pubblicamente proprio al Pitti cinque anni or sono. Gli elementi portanti della scenografia diventano cardini attorno ai quali si snoda lo show; e dunque, la scala che unisce gli spalti del palazzetto assume un ruolo fondamentale altamente simbolico. Da qui scendono i modelli, personaggi quasi surreali, portatori sani di inclusività tipici nella poetica maglianese: loro potremmo essere noi. A passo lento procedono dall’alto verso il basso, per poi aggirarsi, talvolta noncuranti, altre volte con attitude incuriosita, tra il pubblico anestetizzato dalle note dei brani dell’artista inglese Okhy che riecheggiano nel buio della sala.

La collezione presentata è imprecisa, scomposta, indefinita e a tratti indecifrabile: un insieme rough di normalità sovrapposta, capisaldi stilistici e dettagli innovativi. First of all lo stilista classe ‘87 propone il classico secondo Magliano. Da una parte, due completi cuciti a mano realizzati in collaborazione con Kiton fanno un inchino alla sartoria napoletana e al savoir faire di cui l’Italia è ancora depositaria. Dall’altra, i blazer gessati, che quasi indomabili si sciolgono nelle loro parti di melton per aggrapparsi attorno al collo, si portano accoppiati con scarpe armate di temibili spuntoni. Il classico poi assume le sembianze del femminile in modalità sovraestesa che vale per tutto come regola assoluta altresì reversibile (altrimenti che regola sarebbe?). Si fanno portavoce di questa formula i binder curati da Untag – e chi se non loro – azienda olandese che del top a compressione ha fatto il suo baluardo, elevandolo a rivendicazione di un diritto di autodeterminazione, e che qui diventa nuovo fondamento dell’intimo. Le forme sono over e rilassate, i capi – camicie scivolate, pull, t-shirt con slogan e gonne che non identificano più un genere secondo la distinzione maschio/femmina – sono stratificati e giustapposti.

Magliano
Magliano
Magliano
Magliano

Nelle mani, sacchetti di plastica della spesa si alternano a maxi tote lucide e borsette sfiziose; in testa, i cappelli realizzati con Borsalino (il made in Italy ritorna prepotente); ai piedi le workshoes, stravolte nel design, create in partnership con U-Power e le pantofole e i mocassini da camera frutto della collab con UGG. La palette è cupa ma la volontà è fervente. La nostalgia è il motore di tutto (è Nostalghia, il film di Andrej Tarkovskij, ad aver ispirato la collezione) che esplode ne La domenica delle salme di De André, canzone iconica che sancisce il calo di sipario. Ciò che regna su tutto è un sentimento di umana autenticità che si esemplifica negli indumenti sotto forma di abiti che sono maschili e femminili, in un continuum in cui il non binario prende il posto del passato oppressivo, nel rispetto dell’alta qualità e secondo un’estetica potente e visionaria.

Magliano
Magliano
Magliano
Magliano
Magliano
Magliano
Magliano

S.S. Daley trasforma Il Pitti in un dorm-room e celebra il college-style rivisitato

Giovedì 12 gennaio è stata la volta dell’altro Guest Designer di Pitti Uomo 105, Steven Stokey-Daley, il giovane stilista inglese diventato famoso per aver vestito nientepopodimeno che Harry Styles. Dalla cornice suggestiva di Palazzo Vecchio, il designer ha catapultato gli ospiti in un dormitorio dell’Università di Oxford. Colonne di cuscini impilati hanno invaso il Salone del Cinquecento; all’ombra del Vasari, Daley, con 30 look uomo per l’Autunno Inverno 2024 25, ha celebrato il brit style diluendolo con un tocco sperimentale ed elevandolo secondo standard qualitativi che derivano dalla maestria sartoriale italiana. La maison ha infatti trasferito gran parte della sua produzione nel Bel paese: questo è evidente nel design raffinato e nelle forme precise che si impongono sulle spalle morbide degli abiti.

S.S: Daley
S.S: Daley
S.S: Daley
S.S: Daley
S.S: Daley
S.S: Daley
S.S: Daley
S.S: Daley

Nella sua eclettica visione per la prossima stagione fredda convive un connubio di stili che ridefinisce audacemente il guardaroba maschile. Nel dorm-room immaginario sfila un menswear che strizza l’occhio al college-style fatto di uniformi e simboli identitari ma al contempo all’undressing, alla libertà e alla dissolutezza. Il frac di Oxford perde gli inseparabili trousers oppure si fonde nelle sembianze di un trench, i bottoni sono slacciati, le forme over. Spicca un raincoat giallo limone e un camicia da notte con un maxi pesce blu dipinto. I modelli sfoggiano bowling bag e indossano sciarpe formato XL al collo e stringate in pelle ai piedi. Daley porta in scena un rinnovamento del guardaroba maschile, prendendo spunto da una reinterpretazione dei formalismi britannici, pur rimanendo fedele ai suoi canoni stilistici. Non a caso, casus belli o fonte di ispirazione per la collezione del brand S.S. Daley, nato nel 2020, è il romanzo A Story of a Panic di E.M.Forster del 1911, racconto della vicenda di un gruppo di turisti inglesi in vacanza in Italia. Il libro esplora i temi della paura, dell’isolamento e della rottura dell’ordine sociale: i codici più restrittivi vengono abbandonati e, come conseguenza, anche l’abbigliamento si libera aprendosi a nuove interpretazioni.

Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
Pitti Uomo 105
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Cittamani, a Milano il tempio gastronomico della cucina indiana, tra tradizione e modernità

La figura femminile del Buddah, espressione della saggezza: Cittamani è una parola carica di significato che dà il nome a uno dei ristoranti punto di riferimento a Milano per la cucina indiana, evocando un luogo di armonia e illuminazione culinaria. Tempio gastronomico e crocevia che fonde la ricchezza culinaria dell’India moderna con quella dell’Italia contemporanea, con evocazioni e riferimenti ai sapori internazionali, rispecchia fortemente lo spirito della sua fondatrice Ritu Dalmia. Chef di fama mondiale, dal talento innovativo, Cittamani è la summa del suo percorso professionale, durante il quale ha saputo interpretare i linguaggi internazionali della cucina e fonderli in modo armonioso con le radici della tradizione indiana. Confluiscono qui le sue esperienze nei vari paesi in cui ha lavorato, dedicandosi ad esplorare e apprezzare le diverse sfumature della cucina cosmopolita. 

Cittamani, il punto di riferimento della cucina indiana a Milano di Ritu Dalmia

Situato nel cuore dello storico quartiere Brera all’interno di un edificio del Novecento, Cittamani è un ristorante elegante e di design in cui i materiali di pregio come l’ottone, il marmo, la sucupira, e poi la pelle e gli specchi si sposano con i complementi e agli arredi creati artigianalmente in India. Caratterizzato da un interior elegante e raffinato, ma al contempo caldo e accogliente che, grazie alle ampie vetrate, si apre all’esterno creando un continuum con la città che lo ospita e con la quale intrattiene un forte legame. Milano è infatti il luogo scelto da Ritu Dalmia per dare avvio alla sua prima avventura europea (la chef gestisce già a Delhi il ristorante Diva Italian, la caffetteria The Cafe at ICC, il Latitude 28 e un altro Cafè Diva all’interno del Centro Commerciale Sangam a New Delhi).

La chef Ritu Dalmia, fondatrice del ristorante Cittamani

A condurla verso questa impresa è stato il suo grande amore per il Bel Paese, unito a una profonda conoscenza delle specialità gastronomiche del nostro territorio, che le ha fatto nascere un’intuizione: proporre agli italiani un punto di vista inedito sulla millenaria tradizione culinaria indiana con una prospettiva privilegiata, attraverso gli occhi della lungimirante chef. Il progetto di ristorazione, che si inserisce perfettamente in un contesto cittadino mutevole e sempre in fermento, ha preso forma grazie al sostegno nella società sudafricana Leeu Collection e del suo fondatore, l’imprenditore di origine indiana, Mr. Analjit Singh, che ha da subito creduto nell’intuito di Dalmia. 

Altro piatto servito al Cittamani
Una delle creazioni culinarie del ristorante Cittamani

Il menu del ristorante indiano Cittamani tra cultura e innovazione

Il menu di Cittamani propone una cucina indiana autentica e casalinga dai sapori delicati, nella quale le spezie sono utilizzate come vuole la tradizione, ma in maniera dosata, così da soddisfare i gusti locali. La proposta culinaria attinge a piene mani alla cultura gastronomica indiana, in particolare alla sua antica tradizione vegetariana, dando vita a una cucina moderna ed equilibrata, con ispirazioni provenienti dai piatti tipici regionali della Penisola. Non a caso, gli ingredienti utilizzati sono per la maggior parte di provenienza italiana, selezionati personalmente da Ritu Dalmia in occasione dei suoi lunghi viaggi, durante i quali è entrata in contatto con i piccoli produttori locali. Ça va sans dire, “Le spezie no”, afferma la celebrity chef, che assicura: “quelle provengono rigorosamente dall’India”. 

La carta dei vini conta circa sessanta etichette di cui il settanta per cento italiane. Tema cardine dell’offerta enogastronomica di Cittamani è il concetto di condivisione: è possibile scegliere tra una grande varietà di piatti in versione sia piccola che grande, così da degustare, sperimentare e, appunto, condividere un’esperienza variegata e multisensoriale, in cui i profumi e i sapori dell’india si mescolano a quelli a noi familiari. 

Intervista allo chef Bishnu Prasad Dhakal, alla guida del ristorante indiano Cittamani

Il team di Cittamani, multietnico e altamente qualificato, si compone di oltre dieci figure professionali con un background lavorativo internazionale. A guidare la cucina del ristorante di Ritu Dalmia, lo chef Bishnu Prasad Dhakal originario del Nepal. Professionista con una formazione culinaria nell’ambito dell’ospitalità, lo chef ha avuto l’opportunità di formarsi sotto la guida di Dalmia a partire dal 2004 presso i ristoranti Diva. Nel suo percorso ha intrapreso varie esperienze significative in India e all’estero, che gli hanno permesso di ampliare i suoi orizzonti attingendo da contesti culinari diversi e approfondendo ulteriormente la sua passione per l’arte del food.

«La filosofia culinaria di Cittamani ruota attorno a un equilibrio armonico di sapori, rispettando l’integrità di ogni ingrediente»

Lei è originario di Nuwakot, un villaggio del Nepal. Oggi è uno chef di fama con una formazione gastronomica internazionale. Come è evoluto il suo percorso culinario rispetto agli inizi e come le tradizioni e la cultura gastronomica del suo paese rivivono nei suoi piatti?

Il mio viaggio culinario è stato un’affascinante evoluzione dalle mie radici a Nuwakot, in Nepal. Traggo ispirazione dalle ricche tradizioni e dalla cultura gastronomica della mia terra d’origine, infondendole nei miei piatti per creare una miscela unica di sapori che riflettono la mia eredità.

Qual è la filosofia culinaria di Cittamani e come si riflette nelle vostre proposte culinarie?

La filosofia culinaria di Cittamani ruota attorno a un equilibrio armonico di sapori, rispettando l’integrità di ogni ingrediente. Questa filosofia è evidente nei nostri piatti, in cui ci sforziamo di offrire un’esperienza sensoriale che trascende i confini culturali.

«Bilanciare le tradizioni regionali indiane con i sapori locali italiani al Cittamani è un’arte»

Cittamani è noto per la sua varietà regionale di piatti indiani. Come equilibrate la tradizione regionale con l’adattamento ai gusti locali? Qual è il suo approccio nell’integrare ingredienti locali italiani senza compromettere l’autenticità dei piatti indiani?

Bilanciare le tradizioni regionali indiane con i sapori locali italiani al Cittamani è un’arte. Integriamo con cura gli ingredienti locali italiani senza compromettere l’autenticità dei nostri piatti indiani. È un processo delicato che implica la comprensione dell’essenza di entrambi i mondi culinari.

Quali sono gli ingredienti e le spezie che considera fondamentali per creare piatti indiani di alta qualità? Quali sono gli ingredienti chiave che definiscono la vostra cucina e come li selezionate?

Gli ingredienti chiave e le spezie svolgono un ruolo fondamentale nella preparazione di piatti indiani di alta qualità. In Cittamani diamo priorità a ingredienti come spezie aromatiche, erbe fresche e proteine di qualità, accuratamente selezionate per definire il carattere unico della nostra cucina.

«Cittamani è impegnato nella sostenibilità, che si riflette nella scelta di ingredienti di alta qualità e di provenienza etica»

Cittamani è impegnata nella sostenibilità e nell’utilizzo di ingredienti di alta qualità. Quali iniziative avete intrapreso a questo proposito?

Cittamani è impegnato nella sostenibilità, che si riflette nella scelta di ingredienti di alta qualità e di provenienza etica. Abbiamo implementato iniziative per ridurre gli sprechi alimentari, abbracciare fornitori locali e contribuire a una pratica culinaria più sostenibile e attenta all’ambiente.

Quali sono le sfide e le opportunità che dovete affrontare per portare la cucina indiana a Milano, considerando la diversità gastronomica della città e la vivace scena culinaria milanese?

Portare la cucina indiana a Milano comporta sfide e opportunità. Navigare nella variegata scena culinaria milanese richiede un approccio ponderato per distinguersi. Vediamo la diversità della città come un’opportunità per mostrare la ricchezza dei sapori indiani, creando uno spazio unico per Cittamani nel vivace panorama gastronomico milanese.

The St. Regis Rome e Coreterno: lusso e modernità, ospitalità e design, arte e savoir-faire

Un sodalizio tra due realtà di eccellenza in cui le peculiarità si intrecciano, dando vita a una sinfonia tra l’arte dell’ospitalità e l’estetica contemporanea, prende forma nella suggestiva cornice della Città Eterna. Un’armoniosa fusione di due mondi eterogenei, ciascuno caratterizzato da esclusività, maestria e savoir-faire, è alla base della straordinaria collaborazione tra il prestigioso The St. Regis Rome, punto di riferimento dell’hotellerie internazionale dal 1984, e la rinomata maison di lifestyle Coreterno. Un connubio inedito tra storia ed innovazione, quello tra l’iconica struttura di hotellerie e il brand romano, in cui la diversità diventa un punto di forza, generando nuove prospettive, idee e approcci creativi. Una sinergia questa, in cui la ricchezza delle differenze contribuisce a creare un’esperienza inattesa, volta a valorizzare il made in Italy attraverso l’alto artigianato. 

«Il The St. Regis Rome è il frutto del lavoro di grandi collezionisti che hanno portato qui pezzi unici. Ci sono ovunque riferimenti all’arte classica, greca, romana. In generale l’hotel mostra una grande attenzione per l’arte. È un ambiente molto classico che di fatto è il nostro punto di partenza da andare poi a reinterpretare, anche in maniera iconoclasta alcune volte, per rendere il tutto più vivo e contemporaneo. L’obiettivo più grande attualmente perseguito dall’albergo è infatti quello di costruire un’immagine del The St. Regis meno classica e più proiettata verso il futuro», spiega Michelangelo Brancato, direttore artistico di Coreterno.


La partnership tra The St. Regis Rome e Coreterno si esprime su un duplice fronte: da una parte, con il restyling della Blue Library, uno degli ambienti simbolo dell’hotel emblema dell’ospitalità italiana, nonché cuore pulsante della maestosa struttura; dall’altra, attraverso la collezione Visions of Grace, gamma di luxury amenities dall’anima contemporanea, creata per le suites dell’albergo.

Il restilyng della Blue Library al The St. Regis Rome

Inaugurato come Le Grand Hotel da Cesar Ritz nel 1894 su progetto dell’architetto Giulio Podesti e dell’artista Mario Spinetti, che ha curato gli affreschi interni, The St. Regis Rome, oggi completamente rinnovato, è l’hotel emblema della città di Roma. Sensibilità artistica e una visione creativa fortemente contemporanea, ma con uno sguardo verso il futuro sono le caratteristiche che accomunano il The St. Regis a Coreterno, brand romano con un’impronta cosmopolita e dedito alla costante ricerca del bello. 

La prima tappa della collaborazione tra The St. Regis Rome e Coreterno è stata il restyling della Blue Library dell’hotel. Ambiente fulcro della struttura di lusso, rifugio ideale per conversare di cultura e arte durante l’ora del tè pomeridiano o per un bicchiere di buon vino, Coreterno ha saputo trasformare questo spazio raccolto in una raffinata oasi color blu zaffiro, tonalità che ricorre nelle aree comuni dell’albergo. A dominare l’area firmata Coreterno è il grande visual su tela Believe in the beauty of your dreams.

Candele, profumi e cuscini – tutti prodotti esclusivi del brand e disponibili anche per l’acquisto – si integrano armoniosamente sugli scaffali, tra i libri e sulle sedute creando un continuum con i suoi lampadari in cristallo stile impero, lo specchio veneziano decorato e il camino in marmo nero. La Blue Library by Coreterno rappresenta così un luogo magico che sembra essere sospeso nello spazio e nel tempo: una stanza nella quale rifugiarsi dalla frenesia cittadina lasciandosi trasportare attraverso un’esperienza multisensoriale, in cui anche le note olfattive delle fragranze per ambiente del marchio romano giocano un ruolo importante. 

L’estetica di Coreterno si fonde con gli ideali di The St. Regis Rome

Nella Blue Library tutti i capisaldi alla base della filosofia di Coreterno sembrano raggiungere l’apoteosi, sposando gli ideali di bellezza e i canoni estetici di The St. Regis. Il jeu di contrasti, parte dell’immaginario di Michelangelo Brancato, trovano qui massimo risalto: luce e oscurità, vecchio e nuovo, sacro e profano si fondono in un baccanale contemporaneo che, non a caso, si compie sullo scenario della città capitale d’Italia. Due infatti, sono i luoghi geografici che hanno ispirato il designer: la Roma barocca, la città eterna, culla del marchio, e New York, metropoli dirompente e instancabilmente all’avanguardia, teatro della crescita professionale di Brancato. I riferimenti alle aree epoche storiche e ai movimenti artistici (dall’estetica punk rock all’arte rinascimentale), le suggestioni provenienti dalle diverse aree e contesti culturali, attingendo tanto dalle teorie del passato, quanto alle tecniche più innovative di arte digitale compongono un mosaico di reference che convivono in un mix sapientemente dosato e mai eccessivo. 

I prodotti Coreterno mostrano un'estetica peculiare, tra stile punk-rock e arte rinascimentale
I prodotti Coreterno mostrano un’estetica peculiare, tra stile punk-rock e arte rinascimentale

«Nascere a Roma è sicuramente una grande fortuna; sei costantemente circondato da opere d’arte e capolavori. Sei imbevuto nel mondo dell’arte. E proprio l’imprinting che Roma mi ha saputo dare è parte del mio progetto. Ispirato dalla bellezza della città ho voluto coinvolgere l’estetica classica e rinascimentale, ma anche quella vittoriana, elisabettiana e un po’ tutto lo stile dell’800.Coreterno riflette perfettamente la mia natura artistica e la mia passione nel collezionare opere antiche.» Così Michelangelo Brancato racconta il variegato universo di Coreterno. «Altra componente importantissima è la passione per la musica, in particolare la mia esperienza punk-rock. Il brand è una sorta di mix tra simbologia punk-rock anni ‘70/’80 ed estetica classica. Coreterno infatti attinge da una grande classicità ma è fondamentalmente molto proiettato verso il futuro.»

Inoltre, sapienza artigianale e scrupolosa attenzione ad ogni dettaglio definiscono tutte le creazioni della maison. Il risultato di questo incontro raffinato di mondi eterogenei, che si esprime a pieno nella Blue Library di The St. Regis Rome, è sbalorditivo da un lato e accogliente dall’altro. Stupefacente e magnetico, meraviglioso e avvolgente. 

Visions of Grace, la collezione di amenities by Coreterno

La seconda tappa della collaborazione tra The St. Regis Rome e Coreterno prende forma nella collezione Visions of Grace, una gamma di amenities realizzate per le suites dell’hotel in cui Il lusso si fonde con la sostenibilità. Punto di partenza è un pattern esclusivo – tocco distintivo di Michelangelo Brancato  – protagonista della collezione: il classico motivo ottocentesco di fondo con un foliage francese fa da cornice agli altorilievi neoclassici in stile romano. Così, Coreterno rende omaggio all’eredità ottocentesca dell’edificio che incontra, grazie alla creatività di Brancato, la classicità della città in cui si trova.

Pattern firmato Coreterno per The St. Regis Rome
Pattern firmato Coreterno per The St. Regis Rome

«Ci è stato chiesto di realizzare un pattern che potesse essere proprio dell’albergo per poi essere utilizzato su diversi materiali e oggetti (come vestaglie, ciabatte, cappellini ecc.). Anche se Coreterno nasce a New York, la collaborazione con il The St.Regis ci ha permesso di celebrare la città di Roma, dove il progetto del brand è stato inizialmente concepito», racconta il designer.

L’ispirazione invece, arriva dalla fragranza Punk Motel, eau de parfum signature del brand romano, luminoso e delicato ma allo stesso tempo di carattere e avvolgente. 

Sostenibilità e rispetto per l’ambiente poi, sono temi cardine nell’esperienza di lusso offerta da The St. Regis e Coreterno. Tutti i prodotti sono stati ideati infatti, secondo un concetto di circolarità, utilizzando materiali riciclati come alluminio, plastica riciclata e cotone organico. 
Visions of Grace include toiletries (tra cui balsamo labbra, colluttorio, sapone intimo – prodotti non sempre disponibili negli hotel) ispirate all’eau de Parfum Punk Motel, tote bags, bucket hats e roomware realizzati con tessuti pregiati. Nella zona vanity delle stanze spiccano due preziosi dispenser in ceramica contenenti crema corpo e sapone per le mani. Ai bordi della vasca i sali da bagno sono presentati in un packaging rigorosamente in alluminio, materiale eco-friendly.

La presentazione della partnership The St. Regis Rome e Coreterno al Lumen Cocktail&Cuisine

La collezione Visions of Grace è stata presentata lo scorso 28 novembre con un cocktail party presso il Lumen Cocktail&Cuisine, il lounge bar dell’hotel. Con il suo elegante bancone dai toni dell’oro e del nero incorniciato da una bottigliera di vetro blu retroilluminata, è il key point dell’albergo. Lumen pulsa di vita in ogni momento della giornata, con eventi di richiamo come le Lumen Society Nights, il brunch con concerti dal vivo di jazz d’autore e il dinner-show ReJezz del venerdì sera. Questo luogo simboleggia a pieno la façon de vivre del The St.Regis Rome esplicitando la filosofia alla base dell’albergo romano, l’expertise nel campo dell’ospitalità e la capacità di trasmettere la sensazione del sentirsi a casa in viaggio, unendo arte, cucina e musica tutti i giorni dell’anno attraverso un vivace calendario di eventi.

Per l’occasione, il mixologist e naso Oscar Quagliarini ha proposto un nuovo cocktail ispirato all’eau de parfum Punk Motel: realizzato con un liquore alla rosa, un bitter di bacche rosse, un sodato al bergamotto e pompelmo rosa creato in laboratorio dallo stesso Quagliarini. Prima che sia servito una fragranza edibile alla rosa bianca e bergamotto viene spruzzata per completare il cocktail signature che diventa così un vero e proprio viaggio multisensoriale.

Stasera si cena negli anni Ottanta (grazie alla Vodka Cabiria)

Come accostare la vodka premium Cabiria, distillato pregiato made in Italy, ai mitici anni Ottanta? Marco Schiavo propone le sue cene a quattro mani in giro per l’Italia

Alla radio imperversano le hit del momento, da Thriller, del re del pop Michael Jackson, a Like a Virgin di Madonna. Sul grande schermo Michael J. Fox – aka Marty McFly – viaggia nel tempo a bordo della sua ​​DeLorean e Sylvester Stallone, nei panni di Rocky, manda al tappeto Ivan Drago. Cindy Crawford e Naomi Campbell calcano le passerelle delle più celebri griffe della moda. In una notte d’estate, la Nazionale Italiana solleva la Coppa del mondo allo stadio Santiago Bernabéu di Madrid. Le strade sono un tripudio di spalline oversize, giacche di pelle, leggings fluo e accessori sgargianti. Sono gli anni Ottanta, l’epoca degli eccessi.

Trasformazioni sociali, cambiamenti culturali e un’esplosione di creatività in diversi settori hanno caratterizzato questo periodo, permeando la storia e la cultura popolare. Ma non solo nel cinema, nella musica, nella moda e in tutte le sfere creative: gli anni Ottanta hanno lasciato un’impronta indelebile anche in campo gastronomico. La cucina di questo decennio si è contraddistinta per le forti influenze internazionali e ci ha donato in eredità piatti e ricette che utilizzano ingredienti provenienti da tutto il mondo, come la vodka.

Questo distillato di origini russe era spesso utilizzato in cucina per insaporire salse, marinare carne e pesce. Oppure, semplicemente, per aggiungere un tocco di vivacità a piatti. La sua versatilità permetteva infatti di apportare un sapore unico e aggiungere profondità a diverse preparazioni culinarie.

Bottiglie di Vodka Cabiria
Bottiglie di Vodka Cabiria

L’avventura temeraria di Vodka Cabiria alla riscoperta dei piatti in auge negli anni Ottanta

In un momento in cui per creare cose nuove si guarda spesso al passato – non senza una certo senso di nostalgia – Marco Schiavo, quinta generazione alla guida dell’eponima distilleria di famiglia, a Costabissara, in provincia di Vicenza, tra le più antiche in Italia e da oltre un secolo specializzata nella produzione di spirit di qualità, si lancia in un’audace impresa.

Il temerario imprenditore veneto attinge a grandi mani alla cucina degli anni Ottanta a base di vodka, riportando in auge ricette andate ormai perse e facendo assaporare i piatti tipici di quell’epoca a chi quegli anni non li ha vissuti. Ovviamente, Schiavo aggiunge il suo tocco ai piatti, esaltando le ricette con la sua pregiata creazione: la vodka premium Cabiria – Nata dal Fuoco.

Ispirato alla pellicola del 1957 del regista riminese Federico Fellini, Le notti di Cabiria, quello della Distilleria Schiavo è un prodotto nobile, realizzato con l’ambizioso obiettivo di risalire all’essenza del distillato, andata perdendosi nel tempo a causa dei processi produttivi industriali.

«La nostra volontà è di andare controcorrente rispetto alle mode del momento per restituire, a un prodotto nobile come la vodka, il suo splendore degli anni ‘80», spiega Marco Schiavo.

La preparazione dei cocktail durante la cena a quattro mani
La preparazione dei cocktail durante la cena a quattro mani ispirate agli anni Ottanta

Marco Schiavo e la sua Distilleria Schiavo tra tradizione, savoir-faire e innovazione


La Distilleria Schiavo di Costabissara nasce nel 1887 per opera di Domenico Schiavo che si era cimentato originariamente nella distillazione a domicilio. L’azienda per cinque generazioni ha lavorato ininterrottamente fino ai nostri giorni continuando a ricorrere al metodo tradizionale discontinuo in alambicchi di rame, con vapore a bassa pressione. Questo sistema permette di produrre prodotti di nicchia e di altissima qualità, come la grappa di casa Schiavo.

Marco Schiavo, oggi al timone dell’azienda, non solo ha aperto la distilleria ai mercati europei e mondiali con nuove strategie di marketing e distribuzione, ma ha anche creato con successo il brand Gajardo Bitters, rivolto al mondo della miscelazione e vincitore del World Best Bitter nel 2019.

La preparazione dei cocktail durante la cena a quattro mani
La preparazione dei cocktail durante la cena a quattro mani ispirate agli anni Ottanta

Vodka premium Cabiria: altissima qualità e attenzione alla sostenibilità

Prodotto rigorosamente italiano, la Vodka Cabiria è il risultato di una lenta tripla distillazione di grani teneri italiani di eccellente qualità, sapientemente mescolati con l’acqua proveniente dal territorio vicentino. Questa scelta non solo conferisce al prodotto un tocco di territorialità, ma riflette anche un impegno per la sostenibilità ambientale, grazie inoltre all’utilizzo del filtro a carta micron che, da una parte esalta il sapore gentile e aromatico, dall’altra contribuisce all’impegno dell’azienda per il rispetto ambientale.

Il distillato Schiavo, si caratterizza per un aroma delicato e accenni erbacei che sono attribuibili alla presenza di nigella sativa, una pianta dall’utilizzo millenario nota per le sue proprietà emollienti, nutritive e lenitive, usata sia in fitoterapia che in omeopatia. La nigella, protagonista nella vodka Cabiria, non solo contribuisce ai sentori distintivi del prodotto ma anche alle sue proprietà benefiche. Questa presenza è raffigurata anche sull’etichetta del prodotto, adornata da due pantere e foglie della foresta, habitat naturale di questa pianta ricca di virtù.

Un Martini Cocktail preparato con la Vodka Cabiria
Un Martini Cocktail preparato con la Vodka Cabiria

La tappa milanese del menu anni Ottanta di Marco Schiavo al Café Gorille

Per realizzare il suo coraggioso progetto e far riscoprire l’uso della vodka in cucina, Schiavo se ne va in lungo e largo per l’Italia e organizza cene a quattro mani, proponendo ai suoi ospiti piatti dal sapore anni Ottanta enfatizzati dalla sua vodka Cabiria.

Per la tappa milanese, complice della sua temeraria avventura è stato Emanuele Coronini, titolare del Café Gorille, locale punto di riferimento da quasi un decennio nel vibrante quartiere Isola. I due, con sfrontatezza e un pizzico di incoscienza, hanno presentato un menù che è un triplo tuffo carpiato negli anni Ottanta, scandito da quattro piatti accompagnati da altrettanti drink d’autore: come antipasto, cocktail di gamberetti in salsa rosa; a seguire, pennette alla vodka; poi, manzo alla Stroganoff; infine, salame al cioccolato.

In abbinamento ai piatti, Schiavo e Coronini hanno proposto quattro cocktail realizzati ad hoc, tutti rigorosamente a base di vodka Cabiria: French 75 twist vodka ad accompagnare l’antipasto, Bloodymary da sorseggiare con il primo, Martini Cocktail con il secondo ed Espresso Martini per concludere il pasto. Il risultato: un menù retrò ma dal carattere innovativo, ricette dai sapori intensi e avvolgenti e piatti gustosi e quanto mai contemporanei. 

La pasticceria incontra la couture per il Natale 2023: il Panettone d’Oro Moschino per Martesana

Italianità, ricerca, altissima qualità e attenzione meticolosa per i dettagli, uniti a passione, savoir-faire e creatività. Questi sono i fondamenti cardine alla base della prestigiosa collaborazione tra Moschino e la storica insegna milanese di pasticceria, Martesana.

Il pretesto per questa iconica partnership è duplice: da un lato i quarant’anni della celebre maison fondata da Franco Moschino nel 1983; dall’altro, il periodo più magico dell’anno, il Natale. Il risultato di questa unione tra haute couture e haute pâtisserie assume le sembianze del dolce meneghino delle festività per eccellenza, tanto apprezzato e amato in ogni dove, rivisitato per l’occasione in chiave fashion. Il lievitato natalizio milanese, nelle mani sapienti del Maestro Vincenzo Santoro – patron di Pasticceria Martesana – rende omaggio al fondatore della casa di moda italiana e alla sua inestimabile eredità. La partnership plasma quello che è già destinato a diventare l’oggetto del desiderio per gli amanti del bello e del buono: il Panettone d’Oro

Il Panettone d'Oro Moschino per Martesana
Il Panettone d’Oro Moschino per Martesana

Moschino per Martesana: una limited edition ispirata all’arte manifatturiera italiana

Una scintillante glassa dorata, nocciole IGP Piemonte e granella di nocciole vestono il panettone tradizionale Martesana, creato, o meglio disegnato, dal Maestro Santoro: nasce così il Panettone d’Oro Moschino per Martesana. Un rivestimento prezioso questo, che cela un panettone classico di altissima qualità, dall’impasto lavorato 48 ore e preparato con uno dei lieviti madre più antichi di tutta la città. Arancia italiana candita in due varianti, uvetta golden e vaniglia Tahiti coronano il dolce meneghino, regalando quegli irresistibili profumi e sapori tipici del Natale.

Una raffinata creazione, quella nata dal sodalizio tra i due marchi d’eccellenza che consegna un oggetto in limited edition che rimanda all’arte manifatturiera italiana. Il Panettone d’Oro sembra infatti, quasi un gioiello, custodito, non a caso, all’interno di una cappelliera da collezione nera con i loghi sfavillanti dei due brand. Risultato della collaborazione tra la maison celebre per il suo stile unico, ironico e provocatorio e l’insegna che da oltre cinquant’anni scrive la storia della pasticceria italiana è dunque un vero capolavoro artigianale. 

Panettone Moschino Martesana
Il Panettone d’Oro Moschino per Martesana

Una sana contaminazione 100% Made in Italy tra cibo e moda

«Questo progetto vuole essere un racconto dedicato a Milano, oltre che un tributo a due pilastri indiscussi del Made in Italy: il cibo e la moda. Una sana contaminazione di storia, creatività e sostanza con l’obiettivo di promuovere una cultura del dolce all’insegna del saper fare italiano. È stato un onore aver potuto collaborare con un mostro sacro della moda dal calibro di Moschino». Così ha affermato Marco Marsico, head of sales & marketing di Martesana, entusiasta della partnership.

Il Panettone Moschino limited edition è disponibile sul sito ufficiale di Pasticceria Martesana e nelle botteghe Martesana di Milano (Cagliero, Sarpi, Porta Romana, S. Agostino e Mercato Centrale). È inoltre acquistabile sull’e-commerce di Moschino e presso le boutique del brand. 

Puglia Paradise: alla scoperta dell’incantevole Valle d’Itria, la terra dei trulli

In un’area della Puglia centrale, a metà strada tra Bari, Brindisi e Taranto, lontano dai clamori della costa salentina, si estende la Valle d’Itria, una destinazione meno battuta dai principali itinerari turistici e forse, già solo per questo, meta ideale per evadere dalla frenesia e beneficiare di un’atmosfera unica ed autentica, scandita da ritmi lenti e tranquilli.
Meno gettonata sì, eppure qui, le peculiarità paesaggistiche e il patrimonio artistico-culturale definiscono un luogo carico di fascino. Questa zona merita infatti, un viaggio attraverso le ricchezze naturalistiche che delineano il territorio: a picco sul mare cristallino, disegnato da dolci colline e da file infinite di uliveti secolari, la Valle d’Itria coincide con la parte meridionale dell’altopiano delle Murge. Inoltre, tra le bellezze artistiche (la zona è conosciuta anche come la Valle dei trulli, fra i quali spiccano i celebri trulli di Alberobello, Patrimonio Unesco dal 1996), la storia e l’enogastronomia (le prelibatezze non mancano, dalla pasta fresca fino ai prodotti locali come l’olio e il vino), la Valle d’Itria si afferma come tappa obbligata alla scoperta dell’Italia del sud.

  Trullo Pia, Valle D'Itria
Trullo Pia

La Valle d’Itria, la terra deI trulli 

Autentici gioielli architettonici, simboli della tradizione e dell’ingegno umano, i trulli sono costruzioni tradizionali della Valle d’Itria, risalenti al XVII secolo. Queste singolari abitazioni dalla forma circolare sono caratterizzate da muri di pietra a secco e tetti a cupola conici e sono decorati con pinnacoli bianchi che, con le loro forme geometriche elaborate, aggiungono un tocco decorativo e simbolico alla struttura. Gli interni presentano spesso archi in pietra, pavimenti a mosaico e nicchie per conservare oggetti.

La tecnica costruttiva, tramandata di generazione in generazione, è un esempio straordinario di come gli usi e i costumi locali siano in grado di fondersi con la funzionalità, creando un patrimonio architettonico unico al mondo. Testimonianza tangibile della creatività e della maestria artigianale locale, la forma conica non solo è esteticamente gradevole, ma ha anche una funzione pratica. La cupola, realizzata senza l’uso di malta, permette di mantenere l’interno fresco in estate e caldo in inverno, creando un ambiente confortevole per gli abitanti.

Esterni del trullo Atena
Esterni del trullo Atena

Nel cuore della Valle d’Itria si trova Alberobello, la città dei trulli per eccellenza. Questo grazioso centro abitato è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1996, che ne ha riconosciuto il valore inestimabile. Gli oltre 1.500 trulli di Alberobello attirano visitatori da tutto il mondo, offrendo loro un’esperienza indimenticabile attraverso secoli di tradizione e bellezza architettonica, in una terra in cui una comunità ha saputo plasmare il suo ambiente con creatività e ingegno.

Esterni del trullo Atena, Valle D'Itria
Esterni del trullo Atena

Una collezione di trulli di lusso 

Se la Valle d’Itria attira e affascina per i suoi caratteristici trulli, un’esperienza immersiva ed esclusiva in questa area della Puglia, può definirsi tale se include un magico soggiorno all’interno di una di queste tradizionali costruzioni. Questo è possibile grazie all’idea geniale di Puglia Paradise, società di gestione di trulli e ville di lusso, con una straordinaria collezione di 21 proprietà prestigiose con servizi premium di eccellenza qualitativa. L’azienda, innovativa nel settore dell’hospitality, è stata fondata da Massimo Valentini, visionario di origini pugliesi con una specializzazione in ingegneria, un approccio internazionale, esperienze in importanti multinazionali e una passione per l’alta ospitalità.
Si tratta di un ambizioso progetto di ‘lusso diffuso’ che combina i comfort di un hotel a cinque stelle con la libertà e l’autenticità di una villa privata che si fonde nell’ambiente circostante, nonché con la tradizione architettonica locale, in un territorio ricco di storia, tradizione, cultura. Con metrature che variano dagli 80 ai 300 metri quadri, le proprietà sono caratterizzate da design sofisticato, dettagli ricercati e ampi spazi esterni con piscine e giardini scenografici. 

L’esperienza autentica ed esclusiva di Puglia Paradise

L’elemento distintivo di Puglia Paradise è il Guest Angel, l’angelo custode personale che accompagna gli ospiti durante tutto il soggiorno, secondo un metodo studiato su misura. Questo servizio di concierge personalizzato per ogni clientela offre assistenza totale, garantendo un’esperienza immersiva sin dall’inizio della prenotazione. In questa fase infatti, è già possibile selezionare tutti i servizi necessari e individuare le esperienze da vivere durante il soggiorno. Gli chef a domicilio, le lezioni di cucina, le escursioni personalizzate, o ancora le sessioni di yoga mattutine, Puglia Paradise offre, in un’ottica di estrema personalizzazione del soggiorno, tutte le competenze e le conoscenze per creare tailor-made la permanenza dell’ospite). Il Guest Angel, il sarto dell’ospitalità, è il punto di riferimento dedicato per soddisfare ogni desiderio degli ospiti.

La filosofia di Puglia Paradise si basa sulla creazione di valore in ogni fase, con una gestione professionale delle proprietà e un approccio boutique all’ospitalità. La flessibilità nelle prenotazioni, la varietà di servizi premium e i prezzi smart contribuiscono a posizionare l’azienda come un innovatore nel settore. Attraverso partnership solide e una mentalità internazionale, la società mira a valorizzare il territorio, offrendo agli ospiti un’esperienza autentica e indimenticabile in Puglia. Puglia Paradise si impone quindi come la scelta ideale per coloro che cercano il massimo del lusso, dell’autenticità e dell’ospitalità personalizzata nella suggestiva cornice della Puglia. 

Trullo Ermes
Trullo Ermes

Un’esperienza fine dining sul Lago di Como al ristorante Visteria a Varenna

Wisteria è il nome scientifico di un genere di piante rampicanti originarie dalla Cina, più note con il termine comune di glicine. In primavera il glicine fiorisce producendo splendidi grappoli color lilla, rosa o bianco. Un magnifico pergolato di glicine campeggia all’esterno dell’hotel Royal Victoria – antica dimora patrizia che sorge nel centro storico del grazioso borgo medievale di Varenna –, regalando tra aprile e maggio scenografiche e suggestive fioriture che tingono di viola e inondano con il loro avvolgente profumo tutto lo scenario, dando vita a un quadro incantevole.
Affacciato direttamente sul lago di Como, da qui, come dalle vetrate della terrazza del ristorante dell’hotel, Visteria, si gode di una vista incantevole sulle sponde lariane. Visteria, il cui nome si apre dunque a una duplice interpretazione, rimandando alle bellezze del luogo, è il fine dining restaurant dell’hotel del gruppo RCollection, nonché il punto di riferimento su questa sponda del lago per gli amanti della cucina raffinata.

Hotel Royal Victoria Varenna
Vista dell’Hotel Royal Victoria a Varenna

Visteria, il ristorante esclusivo dell’hotel Royal Victoria a Varenna

Se qui i nomi non sono mai casuali, l’hotel Royal Victoria deve il suo alla Regina Vittoria di Inghilterra che, in visita a Varenna, vi soggiornò nel 1838. La struttura fa parte del quartetto del lusso sul lago di Como, targato RCollection, gruppo alberghiero italiano guidato dalla famiglia Rocchi, orginaria di Como, appunto. Tra le altre frecce al loro arco: l’hotel Villa Cipressi a Varenna (adiacente al Royal Victoria – i due condividono magnifico Giardino Botanico che si distende dolcemente sul lago), il Grand Hotel Victoria a Menaggio, che osserva il Royal Victoria dalla sponda opposta e il Regina Olga a Cernobbio, ultima acquisizione della catena di hotellerie.

Sulle rive del Lario, l’hotel Royal Victoria si specchia nelle acque del lago, regalando scorci suggestivi a chi soggiorna in questo splendido hotel ottocentesco e agli ospiti del fine dining restaurant, Visteria, inaugurato lo scorso maggio. Aperto anche ai visitatori esterni, Visteria è il luogo perfetto per un’esperienza culinaria immersiva, sotto la guida sapiente dello Chef Francesco Sarno

Lo Chef Francesco Sarno, alla guida del ristorante Visteria

Di origini campane e con un solido background nell’ospitalità di lusso, nonostante la sua giovane età, Francesco Sarno propone una cucina ricercata esaltando i sapori della tradizione italiana. Partendo dalle materie prime, di altissima qualità e legate al territorio, rivisita i piatti tipici nostrani, in chiave contemporanea e internazionale, ma con un forte rimando ai sapori del sud Italia, di cui è portavoce, oltre che dei luoghi della sua storia personale e professionale (dalla Toscana alla Lombardia, fino all’Emilia-Romagna). Non a caso, tra i cavalli di battaglia dello Chef, troviamo il risotto limone, scampi e bufala e il bottone bufala e melanzana. 

Terrazza ristorante Visteria
Vista sul Lago di Como dalla terrazza del ristorante Visteria

Ripercorrendo il suo percorso professionale, che lo ha portato fino alla guida del risotarente Visteria a Varenna, Sarno ha mosso i suoi primi passi in una una tipica osteria campana, alla scoperta della valorizzazione di una cucina ricca di prodotti autentici e genuini. Nel tempo si è approcciato poi a diverse esperienze di ristorazione, specializzandosi nella cucina gourmet e nell’ospitalità di lusso (presso Acqua.petra Resort e SPA, luxury hotel in provincia di Benevento, e poi presso vari ristoranti stellati: I Portici Hotel di Bologna con lo chef Agostino Iacobucci, Il Castello di Spaltenna, una stella Michelin, nella brigata dello Chef Vincenzo Guarino, e il Capri Palace, due stelle Michelin).

Lo Chef Francesco Sarno alla guida del ristorante Visteria

Il menù à la carte offre una ricercata e interessante selezione di piatti: raffinate pietanze a base di carne, pesce e verdure ma con grande attenzione anche alle declinazioni vegetariane e gluten free. Inoltre, per esplorare la cuisine eccellente firmata Visteria, suggestivi percorsi di degustazione di quattro o sei portate accompagnano alla scoperta delle prelibatezze della casa, che si distinguono per l’utilizzo di ingredienti mediterranei sempre in dialogo con il territorio. 

Piacere per il palato e per gli occhi sul Lago di Como

Non solo un tempio del gusto, ma anche un luogo dal forte impatto estetico: un design ricercato contraddistingue gli interiors del locale, dove nulla è lasciato al caso. L’atmosfera ospitale e al contempo esclusiva è enfatizzata dalla scelta di materiali e delle texture: il marmo si armonizza al legno dei tavoli e al velluto delle sedute, creando un fil rouge con le trasparenze delle luminose vetrate che dominano il ristorante e ricreando così un ambiente essenziale e sofisticato.  Inoltre, in un sapiente gioco di opposizioni, si alternano nuance calde come il mattone, che richiama la storicità del luogo e l’importanza della tradizione della struttura, al blu, che ricorre nelle tende, rimandando alle suggestive sfumature del lago, che qui al Royal Victoria a Varenna è il vero protagonista.

Visteria Varenna Lago di Como
Visteria, il ristorante dell’Hotel Royal Victoria a Varenna

Assisi: spiritualità, cultura ed enogastronomia

5 luoghi da visitare, una food experience extravergine presso Il Frantoio, un momento di streetfood gourmet da Ribelle e un tuffo nel passato con vista mozzafiato al Fontebella Palace

“Fui ad Assisi: è una gran bella cosa, paese, città e santuario, per chi intende la natura e l’arte nei loro accordi con la storia, con la fantasia, con gli affetti degli uomini. Sono tentato di far due o tre poesie su Assisi e San Francesco.“ così Giosuè Carducci parlò della città umbra dopo avervi soggiornato per qualche mese nel 1877.  Assisi è situata alle pendici del monte Subasio, in cima ad una collina che si affaccia sulla valle Umbra. Di origine romana (Assisium era il nome con cui era chiamata dai suoi abitanti fino alla caduta dell’Impero), la città di Assisi è, a giusto titolo, inserita, a partire dall’anno 2000, nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, grazie all’unicità di “paesaggio culturale”. Sono ben cinque i criteri che ne hanno decretato l’inclusione, il primo dei quali recita:  “Assisi rappresenta un insieme di capolavori del genio creativo umano come la Basilica di San Francesco, riferimento fondamentale per la storia dell’arte in Europa e nel mondo”. Qui trovarono i natali San Francesco nel 1226 e Santa Chiara nel 1194, due figure fondamentali per la storia del Crisitanesimo e tutt’oggi la città è divenuta centro spirituale e meta di pellegrinaggi da parte di fedeli e devoti che vi giungono per visitare la Basilica di San Francesco e quella di Santa Chiara, oltre alla miriade di chiese (non a caso il capoluogo umbro è noto anche come “Città delle cento chiese”), le cripte e i luoghi sacri e miracolosi. 

Assisi però, non è solo destinazione prediletta per un turismo spirituale, ma cela molti interessanti gioielli da scoprire, come la sua Rocca, la Pinacoteca Civica, il Tempio della Minerva e la sua Piazza del Comune, che ne fanno un luogo ideale per una vacanza in modalità slow travel all’insegna del benessere interiore e alla scoperta del patrimonio paesaggistico (numerosi sono gli itinerari e i sentieri da intraprendere a piedi o in mountain bike all’interno del Parco del Monte Subasio) e culturale, in qualsiasi momento dell’anno. Senza dimenticare ovviamente, l’ampia offerta enogastronomica, espressione della tradizione umbra e dei prodotti di eccellenza della regione italiana, primo fra tutti: l’olio extra vergine di oliva.

Cinque luoghi da visitare ad Assisi

1 La Basilica di San Francesco ad Assisi

Due anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1226, Francesco fu proclamato santo da Papa Gregorio IX. Nel 1230, a meno di quattro anni dalla sua scomparsa, la Basilica di San Francesco si erigeva maestosa ad Asissi. Da secoli meta privilegiata di fedeli, appassionati di arte e di storia e turisti, la Basilica attira ogni anno migliaia di visitatori da tutto il mondo. Seppur nell’insieme il complesso appaia come una roccaforte, è composto in realtà da due chiese sopvrapposte: la Basilica inferiore, che custodisce la cripta con la tomba del Santo, e la Basilica superiore. Entrambe rappresentano un esempio di gotico italiano, un cantiere artistico che ha permesso l’incontro degli artisti più importanti dell’epoca (tra cui Giotto, Cimabue e Simone Martini) che qui si sono cimentati nella sperimentazione di nuovi linguaggi. Tanto quella inferiore, quanto quella superiore, celano innumerevoli capolavori dell’arte italiana come la Cappella della Maddalena affrescata da Giotto o l’affresco di Cimabue nel transetto o ancora i 28 affreschi di Giotto nella Chiesa Superiore, che narrano la vita di San Francesco.

Basilica di San Francesco ad Assisi
Basilica di San Francesco ad Assisi

2 La Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola ad Assisi

Situata a quattro chilometri dal centro, la Basilica di Santa Maria degli Angeli è la seconda chiesa della città umbra ed è stata costruita con l’obiettivo di proteggere alcuni luoghi fondamentali nel percorso di vita e nel cammino spirituale di Francesco. Tra questi, la piccola chiesetta nota come Porziuncola, luogo dove il Santo compose il Cantico delle Creature e morì il 3 ottobre 1226. Inoltre, qui si trova anche il celebre Roseto con le rose senza spine (Rosa Canina Assisiensis) in cui, secondo la leggenda, una notte Francesco si rotolò per combattere contro il dubbio e la tentazione. Infine, qui ha sede anche un museo che ospita importanti opere (tra le quali, una tavola raffigurante san Francesco, attribuita al Cimabue).

Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola ad Assisi
Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola ad Assisi

3 La Basilica di Santa Chiara ad Assisi

Nel centro storico di Assisi, in stile gotico-umbro e affine alla Basilica superiore del complesso francescano, la chiesa dedicata alla Santa fondatrice dell’Ordine delle Clarisse fu costruita dopo la sua morte, tra il 1257 e il 1265. Caratterizzata da un interno a croce latina con un’unica navata, qui nel 1849 fu realizzata la cripta che oggi custodisce i resti di Santa Chiara, all’interno di un sarcofago in pietra del Subasio. Dietro l’altare si può accedere all’Oratorio del Crocifisso o delle Reliquie, dove si conserva sopra l’altare l’originale Crocifisso di san Damiano che parlò a San Francesco nell’eremo di San Damiano (il Poverello stava pregando dianzi a questa croce quando ricevette la richiesta del Signore di riparare la sua casa). Dietro una grata inoltre, sono esposte alcune reliquie dei due Santi di Assisi, tra cui il camice da diacono di san Francesco ricamato da santa Chiara, la tonaca, il mantello, il cordone di santa Chiara e un cofano coi suoi capelli.

Basilica di Santa Chiara, Assisi
Basilica di Santa Chiara, Assisi

4 La Rocca Maggiore di Assisi

Si raggiunge facilmente con una bella passeggiata dal centro di Assisi, inerpicandosi fino al colle che sovrasta la città: la Rocca Maggiore, ovvero la fortezza del borgo medioevale, risale al XII secolo, quando fu costruita come punto di avvistamento. Sopravvissuta fino ai giorni nostri, Il suo Maschio, la torre più alta, spicca al di sopra delle mura del castello e da qui si può godere di un panorama stupefacente su tutta la regione, tra i più suggestivi in Umbria: lo sguardo si perde sulle colline da Perugia a Spoleto. Nelle sale, oggi visitabili, si possono osservare ricostruzioni tematiche ispirate alla vita medioevale. Gli interni della Rocca Maggiore inoltre, fecero da sfondo nel 1972 ad alcune scene del film Fratello sole, sorella luna, diretto dal regista Franco Zeffirelli.

Rocca Maggiore Assisi
Rocca Maggiore, Assisi

5 Palazzo Vallemani e Pinacoteca Comunale di Assisi

Nelle sale al piano nobile di Palazzo Vallemani, forse il più bel palazzo di Assisi, una splendida dimora barocca dalle volte affrescate da artisti umbri e toscani seicenteschi, in Via San Francesco, a pochi minuti da piazza del Comune, ha sede la Pinacoteca Comunale di Assisi. La collezione qui in mostra raccoglie affreschi di epoca medioevale e rinascimentale provenienti da edifici civili e religiosi della città e dintorni, oltre ad alcuni dipinti su tavola e su tela dei secoli XIV-XVII. La nascita di questa raccolta avvenne a fine Ottocento, a seguito dell’Unità d’Italia (1859), con l’obiettivo di limitare la dispersione del patrimonio artistico della città con la soppressione delle corporazioni religiose a cui le opere appartenevano. Oggi, i pezzi principali dell’esposizione sono la Maestà attribuita a Giotto, un gonfalone di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno e la Vergine col Bambino, staccata da porta San Giacomo, attribuita al giovane Perugino. Al piano terra del palazzo è allestita una sala multimediale che documenta la storia della città attraverso la sua evoluzione urbanistica. Inoltre, all’interno della pinacoteca è aperta al pubblico la mostra Museo della Memoria, Assisi 1943-1944, che vuole salvaguardare il ricordo di ciò che Assisi fece per salvare gli ebrei negli anni tra il 1943 e il ’44, raccontando il ruolo svolto dai cittadini del capoluogo umbro che durante l’occupazione tedesca si prodigarono per evitare la deportazione di circa 300 loro concittadini. Sono raccolti qui numerosi documenti inediti, foto e testi relativi al periodo della Shoah e ai personaggi che si adoperarono in prima persona.

Dove mangiare ad Assisi

Il Frantoio di Assisi, Miglior ristorante d’Italia 2022 per l’Associazione Città dell’Olio 

Guidato dallo chef Lorenzo Cantoni, Ambasciatore del Gusto italiano nel mondo e Miglior Chef dell’Olio 2021 per A.I.R.O., il Frantoio, un ristorante che propone una cucina raffinata in grado di coniugare tradizione e innovazione, ricerca e creatività gastronomica. Con le sue proposte inedite, Il Frantoio è in grado far vivere ai suoi ospiti un viaggio enogastronomico gourmet nel cuore di Assisi. Un hub dell’olio extravergine di oliva, qui l’oro verde è diventato l’ingrediente principe capace di esaltare ogni piatto. Cantoni, nel menù de Il Frantoio, coniuga l’amore per la tradizione e la cultura gastronomica del proprio territorio e lo studio approfondito di un elemento fondamentale per un’alimentazione vocata all’idea di benessere, ovvero l’olio extravergine di oliva, appunto. Tre i percorsi gastronomici tra cui scegliere – eloquenti fin dal nome – come alternative alle proposte alla carta: “L’Umbria, il bosco ‘in questo momento’”, “Ti racconto la mia storia. Un viaggio dal 2001” e “Giorno dopo giorno, un lab continuo. Estratto di idee di una brigata sempre in movimento”. Un fil rouge collega le varie possibilità: le ricette create dallo chef sono tutte fondate su una fine selezione di oli extravergine di oliva per una food experience extravergine unica in Italia. Inoltre, tutte le pietanze prendono vita a partire dalla territorialità degli ingredienti (dalle verdure, alle carni, alla selvaggina, fino al pesce, con uso di erbe aromatiche e spontanee), dei sapori e dei profumi di stagione, partendo dalla tradizione, per elevarsi, attraverso una minuziosa ricerca, secondo le versioni declinate dallo chef, sempre attento a creare un equilibrio di contrasti.

Elena Angeletti e Lorenzo Cantoni

Notevole e interessante qui anche l’offerta enologica: oltre 400 etichette di vini pregiati e verticali di altissimo livello compongono la ricca enoteca de Il Frantoio per garantire abbinamenti ideali con i piatti. Oltre alle canine nazionali e internazionali, per suggellare il legame alla terra di origine e alla tradizione umbra, protagonista della carta è l’etichetta “Donna Elena”, (da Elena Angeletti, titolare dell’attività): il “Donna Elena Rosso” è un Montefalco rosso a prevalenza Sangiovese, con Merlot e una piccola percentuale di Sagrantino. Il “Donna Elena bianco” invece, è un blend di Trebbiano spoletino, Viognier e Chardonnay.

Inserito all’interno di una storica dimora nobiliare, Palazzo Illuminati Benigni (dove ha sede anche il Fontebella Palace Hotel), nel cuore del centro storico della città, presso Il Frantoio si cena all’interno di una sala che affaccia sulla vallata umbra, ammirando un meraviglio panorama godibile tutto l’anno grazie alla vetrata che delimita la parete esterna. D’estate invece, si mangia nel lussureggiante giardino sotto i portici, godendo del clima fresco di questi luoghi.

Ribelle, miglior locale Street Food 2023

Una proposta gastronomica diametralmente opposta, ma sempre attenta alla qualità degli ingredienti e agli accostamenti di sapori, partendo dalla tradizione locale per dare vita a proposte contemporanee. Locale perfetto per una pausa pranzo all’insegna dei sapori genuini, nato dall’idea di proporre cibo di strada a chilometro zero, Ribelle è una piccola paninoteca situata in via san Rufino, nel centro città. Guidata dallo stesso chef già al timone de Il Frantoio, è stata eletto campione regionale streetfood 2023 da Gambero Rosso. Il prestigioso riconoscimento le è stato conferito grazie alla sua offerta di panini gourmet caratterizzati da una combinazione attenta di pane, carne, pesce e verdure, declinata in quattro ricette esclusive: Pork (con spalla aromatizzata alle erbe spontanee, cotta a bassa temperatura per 38 ore),  Wild Boar (al cinghiale), Fish (con prosciutto di baccalà in umido), Pink (con mortadella fatta con maialino brado e composta esclusivamente da parti nobili), Red (con salamella di cervo cotto a 68 gradi) e Vegan (con burger di farro e ceci).

Con l’obiettivo poi, di diffondere anche al di fuori di Asissi i gusti locali e genuini e valorizzare le eccellenze gastronomiche umbre, nasce Ribellino. Secondo un’idea di Elena Angeletti, general manager dell’azienda, Ribelle, da paninoteca gourmet stanziale nella città di San Francesco, ha inaugurato il suo food truck per girare l’Umbria e l’Italia su quattro ruote, proponendo i panini ideati dallo chef Cantoni, rivisitati per l’occasione.

Ribelle, locale street food ad Assisi
Ribelle, locale street food ad Assisi

Dove soggiornare ad Assisi

Fontebella Palace, un hotel con vista mozzafiato nel cuore di Assisi

L’Hotel Fontebella Palace sorge all’interno di Palazzo Ferri Benigni Illuminati Scatena, un’antica dimora restaurata in via Fontebella 25, ad Assisi. Fondata nel 1971 da Giovanni Angeletti, figura di riferimento a livello nazionale per il mondo dell’ospitalità e dell’enogastronomia – Angeletti è stato socio fondatore di Federalberghi Umbria e Presidente dell’AIS Umbria, contribuendo sempre alla valorizzazione del patrimonio locale – da oltre 50 anni la struttura contribuisce alla crescita turistica del territorio. Nel corso del tempo, l’hotel a 4 stelle è divenuto infatti il “salotto culturale ed enogastronomico” della regioneoltre che punto d’incontro per i personaggi di spicco della ristorazione e dell’enologia italiana. Oggi, alla guida del Fontebella c’è la figlia Elena, general manager della struttura, che porta avanti la filosofia del padre: il piacere dell’ospitalità perseguendo sempre l’obiettivo di far sentire gli ospiti come a casa propria.

Fontebella Palace
Fontebella Palace

Ogni momento della giornata al Fontebella racconta la storia della dimora in cui si trova, dalla colazione, allestita nella sala Medievale, al tramonto nel giardino, lo splendido Rose Garden, fino all’aperitivo accompagnato dal suono delle campane della limitrofa torre del Monastero di San Pietro, contribuendo a ricreare momenti indimenticabili. Dalla sala del camino, subito all’ingresso della struttura, con lo stemma nobiliare, alla sala meeting, ogni angolo ripercorre l’illustre passato di questo palazzo. Le camere poi, sono ambienti molto diversi tra loro, a seconda del piano in cui si trovano, poiché ognuno appartiene a periodi storici diversi e si caratterizza dunque per uno stile differente, dal medievale, al rinascimentale, fino al seicentesco. 

Vista panoramica sulla città di Assisi
Vista panoramica sulla città di Assisi da una delle camere del Fontebella Palace

Ma non solo un hotel esclusivo nel cuore della città francescana, il Fontebella Palace si pone anche come un punto di incontro culturale, luogo per eventi ed esposizioni. Una mostra dedicata ad Andy Warhol a cura di Adelinda Allegretti, aperta al pubblico fino a gennaio 2024, è stata inaugurata negli spazi comuni della struttura. La rassegna presenta oltre 50 opere tra litografie e serigrafie ’after’ riunendo molti tra i soggetti più iconici dell’artista, come le zuppe Campbell’s, Marilyn Monroe, Superman, Mickey Mouse, Donald Duck e Liza Minnelli. Quella dedicata al padre della Pop Art è la prima di una serie di progetti volti ad aprire un dialogo effervescente e proficuo con la città e con i suoi abitanti.

Estate a Livigno: 5 esperienze inedite nel Piccolo Tibet

ll piccolo Tibet è l’appellativo coniato dallo scrittore Alfredo Martinelli per Livigno, località alpina dell’Alta Valtellina situata a 1816 metri di altitudine. Con un’estensione di ben 227 chilometri quadrati, Livign (così è chiamata la cittadina nel dialetto locale), è il più vasto comune della provincia di Sondrio, di cui fa parte. Un nome non casuale quello ideato dal Martinelli (autore di un libro del 1967 intitolato proprio Livigno piccolo Tibet) poiché condivide non poche caratteristiche geografiche con la regione dell’Asia orientale alla quale viene paragonata: il borgo, così come l’area himalayana, situato ad un’altitudine elevata, è inserito nell’ambito di un ampio altopiano circondato da catene montuose. Una sorta di luogo ideale nel punto più settentrionale della Valtellina tanto in inverno, quanto in estate: aria pulita, paesaggi incontaminati, scorci suggestivi sulle Alpi Retiche occidentali, patrimonio gastronomico e culturale locale e una variegata offerta di attività sportive ed escursionistiche. Fiore all’occhiello poi, nonché interessante attrattiva turistica, è la ricca proposta di esperienze lifestyle, prima fra tutte, lo shopping: Livigno gode dello status di zona extradoganale ed è quindi esente da alcune imposte; in altre parole, i prezzi di alcune tipologie di prodotti, come gli alcolici e i profumi, qui sono molto più convenienti che altrove. Tante anime diverse dunque, convivono armoniosamente in un unico luogo caratterizzato da uno scenario naturalistico mozzafiato. Se durante la stagione fredda infatti, Livigno è un vero e proprio paradiso per gli amanti degli sport sulla neve, affermandosi come una delle migliori stazioni invernali a livello mondiale per lo sci freestyle e lo snowboard (la località valtellinese ospiterà, insieme a Milano, Cortina d’Ampezzo e Bormio le gare delle Olimpiadi invernali del 2026), anche d’estate è la meta perfetta per una vacanza all’insegna dell’avventura, del relax e del buon cibo. 

Veduta sulla valle di Livigno

Estate a Livigno: 5 cose da fare

Livigno durante la stagione estiva si trasforma in una palestra a cielo aperto, dove praticare attività ideali per ogni livello, età e preferenza. La località alpina è il luogo perfetto per le discipline più classiche in montagna: mountain bike (principe degli sport estivi – nell’area si possono esplorare sulle due ruote 3.200 chilometri mappati GPS), hiking, trekking (alla scoperta di 1.500 chilometri di percorsi e sentieri che si snodano tra i boschi fino a 3000 metri di altitudine), escursionismo e arrampicata. Ci si può inoltre dilettare in una tra le tante discipline outdoor, tra cui equitazione, parapendio, golf, tennis e pesca. A Livigno d’estate, le opzioni per un’esperienza sportiva coinvolgente e a stretto contatto con la natura non mancano. E oltre alle molteplici attività all’aria aperta, ecco a seguire cinque esperienze da vivere assolutamente nel territorio dell’Alta Valtellina durante la bella stagione, tra cultura, gastronomia, e benessere di anima e corpo.

1 Mungere una mucca e assistere alla preparazione del formaggio all’Alpe Livigno

A Livigno si trovano le malghe o i ristori, luoghi tipici montani dove gustare i sapori locali, scegliendo tra le pietanze tipiche realizzate secondo le ricette originali con prodotti a km0. Alpe Livigno gestisce due alpeggi: l’Alpe Vago e l’Alpe Mine, quest’ultima ospita anche un Agriturismo. Con una piacevole passeggiata lungo la vallata omonima, dopo aver attraversato boschi di conifere e prati fioriti, lungo un suggestivo percorso botanico, si raggiunge prima l’Alpe Vago e, poco dopo, l’Agriturismo Alpe Mine, visitabili entrambi durante l’estate. Una tappa nella prima è d’obbligo per assistere al processo della mungitura delle mucche, prendendone parte in prima persona, guidati dal piccolo Joele, uno dei tre bimbi della giovane famiglia che gestisce l’azienda, e assaggiando infine, il latte appena munto. Nella seconda poi, ancora inebriati dall’esperienza appena vissuta, si entra ancor più in contatto con gli animali dell’alpeggio – capre, maiali, conigli, galline e vitellini – dando loro da mangiare. Presso l’Alpe Mine inoltre, si può assistere alla spiegazione della produzione del formaggio, scoprendo tutti i segreti della lavorazione del bitto, secondo le procedure di una volta. 

Terminate le fatiche, è il momento finalmente, di assaporare tutti i prodotti genuini della malga: i prelibati formaggi e prodotti caseari (bitto, primo fiore, scimudin, burro, ricotta) e i salumi (speck, slinzega, pancetta, salami, violini, salamini, salsicce e prosciutto), con vista imperdibile sulle montagne di Livigno. Dopo aver sorseggiato una taneda (dolce digestivo valtellinese a base di un’erba che cresce solo a queste alture) intorno al falò, è il momento di abbandonarsi a sonni tranquilli in una delle tre camere calde e accoglienti dell’agriturismo. Un vero e proprio luogo incantato fuori dallo spazio e dal tempo, dove dimenticare lo stress cittadino e lasciarsi guidare solo dai ritmi della natura e, di notte, addormentarsi cullati dallo scampanio delle mucche e dal fluire lento del ruscello. E una volta essersi lasciati alle spalle questa oasi alpina, è possibile portare a casa i sapori qui scoperti, acquistando i prodotti di Alpe Livigno presso il punto vendita nel centro della città, in via Plan 93. 

I prodotti da assaporare all’Agriturismo Alpe Mine

2 Fare una maratona del gusto attraverso la valle del Vago: il Sentiero Gourmet

Giunto nel 2023 alla sua settima edizione, il Sentiero Gourmet, è l’appuntamento annuale volto a valorizzare la tradizione enogastronomica livignasca, promosso dall’Associazione Cuochi e Pasticceri di Livigno (ACPL). Un percorso lungo 5 chilometri attraverso la rigogliosa natura della Valle del Vago, lungo il quale sono state allestite sei postazioni, ciascuna dedicata a uno dei momenti del pasto (antipasto, primo, intermezzo, secondo, dolce e caffè), ognuno interpretati dai cuochi dell’ACPL e da cinque chef dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto (ADG), da sempre impegnata nella valorizzazione e promozione della cucina italiana di qualità. Proposte formato finger food – tra pietanze calde e fredde, di terra e di mare – hanno espresso a pierno i sapori della regione alpina secondo la visione degli chef. Ogni portata è stata accompagnata da una selezione di vini serviti “al buio”: le etichette sono state svelate solo al termine della degustazione.

Per questa ultima edizione che ha avuto luogo nel mese di luglio, Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta sono le regioni alle quali gli chef hanno dedicato le loro creazioni, dando vita a un viaggio di gusto, una food experience di alto livello, tra i sapori del Nord Italia. 

Luca Moretti, Presidente e Amministratore Delegato di APT Livigno ha dichiarato: “Il Piccolo Tibet sta diventando sempre di più un luogo cui i cittadini e turisti di tutto il mondo possono andare alla scoperta dei sapori tradizionali valtellinesi e livignaschi – anche rivisitati in chiave innovativa e moderna – e trovare un’elevata attenzione alla qualità delle materie prime e ricercatezza negli abbinamenti.” 

Uno scatto dalla settima edizione del Sentiero Gourmet – ph. Fabio Borga

3 Scoprire la storia locale visitando un’antica dimora al Mus! Museo di Livigno e Trepalle

Visitare le stanze di un’antica abitazione di fine Settecento, dalla cucina con il focolare alla camera da letto, e al contempo scoprire la storia di Livigno, le tradizioni e la cultura locale è possibile al Mus! Museo di Livigno e Trepalle. Situato in quella che una volta era la dimora in muratura e legno dei coniugi Enrico Silvestri (1874-1947), un mercante di mucche, e Domenica Bormolini (1880-1959), con un percorso innovativo attraverso gli ambienti domestici ricostruiti fedelmente, il museo etnografico testimonia lo spirito di adattamento e l’arte di arrangiarsi con poche risorse, sviluppati dagli abitanti del posto nel corso dei secoli. I livignaschi infatti, sono riusciti a creare nel tempo un equilibrio fragile in un prolungato isolamento, dando vita a un complesso di usi e costumi peculiari e diversi da quelli dei territori circostanti. Ogni area della casa è dedicata a un’interessante sezione tematica, dall’arte del riuso e del riciclo, alla competenza chimica dei casari, alle credenze popolari, alla gastronomia locale e alle tradizioni che ancora oggi sopravvivono. Mobili d’arredo, quadri di famiglia, oggetti d’uso quotidiano, documenti cartacei, Visitare il Mus! è un’occasione per fare un viaggio nel tempo e nella vita quotidiana del passato di questo popolo così caparbio e resiliente.

Al MUS! il cucinino posto al piano superiore, dedicato alla gastronomia locale

4 Divertirsi, rilassarsi e allenarsi in altura all’Aquagranda

Un centro fra i più grandi in Europa, un luogo unico in grado di coniugare il divertimento per le famiglie, nell’area Slide&Fun, il benessere per tutti nella zona Wellness&Relax e lo sport nella zona Fitness&Pool. Aquagranda Slide&Fun, con la piscina baby, il castello con scivoli d’acqua, gli acquascivoli adrenalinici, gli idromassaggi e i getti d’acqua, è il parco acquatico più alto d’Europa offre uno spazio protetto e unico per il divertimento dei più piccoli. Per godersi un momento di relax invece, presso l’Aquagranda Wellness&Relax è possibile immergersi nella tranquillità e nel silenzio, in un percorso tra saune, bagni di vapore curativi, piscina con acqua salata, percorso Kneipp e lettini riposanti, oppure concedendosi un esclusivo massaggio o ancora un trattamento viso e corpo. Aquagranda Fitness&Pool è una palestra di 350 mq all’avanguardia e equipaggiata con le attrezzature per la preparazione atletica e il fitness e adatta agli sportivi di tutte le discipline. Livigno è infatti il secondo altopiano più alto al mondo e il primo in Europa e ciò lo qualifica come il posto ideale per qualsiasi atleta che deve allenarsi in altura. La piscina da 25 metri è un luogo ideale per la preparazione di squadre e atleti.

Diventato solo pochi mesi fa centro di preparazione olimpica per gli atleti italiani, non a caso, team italiane e straniere e di ogni disciplina scelgono Aquagranda per i propri ritiri di preparazione in vista della stagione agonistica. 

Fiore all’occhiello del centro è la nuovissima piscina di 50 metri. Larga 25 metri e con dieci corsie, si afferma come la piscina olimpionica più in alta quota d’Italia, nonché la seconda in Europa dopo quella spagnola di Sierra Nevada.

5 Fare trekking assieme a un lama o un alpaca dell’Agiturismo la Tresenda

Un’esperienza più unica che rara, una formula di pet therapy inedita, questo è quanto proposto da La Tresenda, un agriturismo che ospita due specie di animali tanto insolite in questi luoghi, quanto estremamente socievoli: i lama e gli alpaca. Questi animali, cordiali e mansueti, scorrazzano liberamente negli spazi aperti di questa fattoria alpina, facendo compagnia agli ospiti che soggiornano in una delle confortevoli junior suite arredate secondo lo stile tipico di uno chalet di montagna, o pranzano qui (assaporando i piatti tipici della tradizione valtellinese – i pizzoccheri, la polenta, gli sciatt o i taroz, la Bresaola – o la carne grigliata al momento e a vista all’aperto). Ma non solo, La Tresenda offre infatti la possibilità di fare una suggestiva passeggiata lungo i percorsi verdi intorno all’agriturismo con uno di questi amabili quadrupedi a seguito. Natura incontaminata e stretto contatto con gli animali sono gli ingredienti di un’attività speciale e probabilmente curativa, quantomeno per l’umore. 

Dove mangiare e dove soggiornare a Livigno

Oltre ai luoghi già citati, ci sono almeno altri tre indirizzi da segnare per una vacanza a Livigno: La Latteria, Al Mond Vei e Li Anta Rossa. Quest’ultimo è un nuovissimo hotel 4 stelle che si caratterizza per un connubio sublime tra design moderno e stile tipico, caldo e avvolgente degli arredi alpini. Uno chalet di montagna con pittoresche finestre rosse, è dotato di centro wellness con sauna, bagno turco e idromassaggio: un luogo caldo e accogliente, ma al contempo moderno e curato nei dettagli. In posizione ottimale, vicino al centro pedonale e alla pista ciclabile, a colazione sono servite delizie homemade e spremute fresche e nel pomeriggio è possibile godersi una meritata merenda gustando i sapori locali, seduti vicino al camino nella sala relax. A pochi passi da qui, immersa tra pascoli d’alta quota e verdi boschi, la Latteria di Livigno è il luogo dove gustare il vero latte di montagna e tutti i prodotti derivati (formaggio e ricotta che vanno ad arricchire panini, piadine e insalate, ma anche coppe di yogurt e gelato). Nata negli anni ‘50, la Latteria, oltre che un locale perfetto per un pranzo o una pausa dolce durante la giornata, con una splendida terrazza all’aperto con vista sulle montagne, è un luogo dedito alla promozione e lo sviluppo dell’ambiente montano e della sua economia, offrendo a residenti e turisti la possibilità di assaporare e godere del latte e dei suoi derivati magistralmente prodotti in questa valle. Infine, Al Mond Vei, che tradotto dal dialetto livignasco significa “il mondo di una volta”, è un ristorante dagli interni tipici, caratteristico e accogliente, che propone un menù tradizionale e contemporaneo al contempo. Un luogo conviviale che propone una cucina montanara con un’impronta moderna – un mix sapiente di tradizione, innovazione e qualità. Le materie prime sono ben selezionate e fresche e i piatti seguono la stagionalità degli ingredienti. E oltre alle ottime pietanze , se si è fortunati, all’ultimo piano dell’elegante chalet, è possibile curiosare nell’immensa collezione di campanacci centenari raccolti dalle varie generazioni al timone del ristorante. 

Andy Warhol. Serial Identity, a San Marino la mostra racconta l’artista geniale

Con una mostra aperta al pubblico fino all’8 ottobre, la Città di San Marino rende omaggio al genio indiscusso, e non sempre compreso, Andy Warhol. Andy Warhol. Serial Identity è il titolo della rassegna dedicata al padre della Pop Art che, dopo il successo riscosso al museo MA*GA di Gallarate, va in scena nella repubblica sammarinese, la quale al contempo vuole affermare sempre di più la propria vocazione artistica. Andrea Belluzzi, Segretario di Stato per l’Istruzione e la Cultura della Repubblica di San Marino, spiega: «L’esposizione si inserisce nell’ambito delle ‘Grandi Mostre’ di artisti contemporanei e classici promosse dalla Segreteria di Stato per l’Istruzione e la Cultura e finalizzate a qualificare l’offerta culturale della nostra Repubblica e a incrementare le presenze turistiche. Dopo gli anni della pandemia, questa Segreteria di Stato è impegnata ad aprire una stagione di rinascita culturale, tornando a far rivivere i luoghi espositivi più suggestivi della nostra Repubblica.»

Un corpus di 60 opere provenienti da importanti collezioni private e da istituzioni internazionali, tra le quali l’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, selezionate da Maurizio Vanni ed Emma Zanella, è esposto nelle due sedi di Palazzo SUMS e della Galleria Nazionale – luoghi simbolo della Città di San Marino, recentemente restituiti alla loro funzione di spazi espositivi – secondo un percorso volto a presentare l’universo creativo di una delle figure più emblematiche dell’arte americana e non solo. «L’esposizione, curata da Maurizio Vanni ed Emma Zanella, mira a ricostruire la continua evoluzione identitaria del genio di Pittsburgh, che è stato in grado di innovare l’arte del Novecento cimentandosi in diversi ambiti quali il disegno, la pittura, la fotografia, il cinema, la musica, per poi approdare alle più famose serigrafie», aggiunge Belluzzi.

Andy Warhol, Black Lenin, 1987
Black Lenin, 1987, serigrafia su carta – The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts

Il percorso espositivo della mostra: gli inizi come illustratore e la serialità

Ad aprire l’esposizione, alcuni disegni che raccontano e ripercorrono gli inizi della carriera di Andy Warhol a New York negli anni Cinquanta, come illustratore per riviste di moda e agenzie di pubblicità, senza tralasciare la sua passione per le scarpe. Nel 1955, Andrew Warhola Jr – questo il suo nome all’anagrafe – fu scelto infatti, come disegnatore per la campagna pubblicitaria delle calzature Miller, allora molto in voga. Grazie a questo lavoro, riuscì presto ad affermarsi come apprezzatissimo designer di scarpe.

Andy Warhol's Fifteen Minutes,
Andy Warhol’s Fifteen Minutes, 1985 – The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts

La serialità, tema chiave nella cifra stilistica di Warhol, che caratterizza il suo lavoro a partire dai primi anni Sessanta, è protagonista poi delle tappe successive della mostra. Emblema di questo processo sono alcuni lavori esposti a Palazzo SUMS, che si annoverano tra le più famose opere serigrafiche dell’artista. Tra queste, la serie Marilyn Monroe e Mao, dedicate ai due personaggi.

Dopo la tragica morte dell’attrice hollywoodiana nel 1962, il maestro – interessato a mostrare nelle sue opere prodotti di largo consumo – inizia a produrre molteplici tele che la ritraggono, restituendola proprio come un altro risultato della cultura popolare e avviando così, un discorso sulla giovinezza e sulla morte stessa. Nello stesso filone, rientra la serie su Mao Tse Tung, leader delle forze comuniste in Cina, e negli anni Settanta forse, il personaggio pubblico con più potere dell’epoca, nonché primo volto politico ritratto da Andy Warhol, che in questo modo riesce ad abbinare questa sfera alla cultura pop, rendendo ancor più sottile il confine tra status politico e celebrità.

Sempre in rappresentanza della serialità, sono esposte negli spazi della mostra le serie Flowers e Cow, forse meno apprezzate, e quella consacrata alla celeberrima Campbell’s Soup, punto focale della sua arte. Grazie a questa brillante intuizione, Warhol arriva a trasformare ed elevare ad opera un oggetto di uso quotidiano e noto a chiunque e parallelamente riesce a far sì che, il medesimo oggetto, universalmente riconoscibile, sia poi automaticamente associato al creativo – così come accade anche per la banconota da un dollaro. 

Gli anni Settanta delle celebrities e delle drag queen

L’itinerario prosegue con i ritratti di personaggi celebri nel mondo dello spettacolo, dell’arte e della moda come Liza Minnelli e Joseph Beuys, che nel corso degli anni Settanta Andy Warhol realizza nell’intento di arricchire la sua ricerca con contenuti e nuove immagini tratte dai mass media. La serie Ladies and Gentlemen del 1975, dedicata a travestiti e drag queen di origine afroamericana ed ispanica, che restituiscono uno spaccato della scena queer newyorkese degli anni Settanta, trova spazio in questa volontà di indagare le diverse sfaccettature della cosiddetta ‘Società dello spettacolo’.

 Liza Minnelli, 1978,
Liza Minnelli, 1978, serigrafia su cartone – The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts

La documentazione della video compilation Andy Warhol’s T.V. – Special Project, presentata in mostra, offre poi una visione privilegiata sulla narrazione artistica di Warhol negli anni Ottanta. Un dettagliato e interessante résumé del panorama artistico internazionale di quel periodo, caratterizzato da un accurato montaggio di interviste, défilé e hit musicali, abbracciando tutti gli ambiti indagati ed esplorati dal genio originario di Pittsburgh.

Le cover degli album – dai Velvet Underground ai Rolling Stones – e Interview magazine

Una sezione collaterale, esposta nella Galleria Nazionale, raccoglie i vinili delle celebri rockband di cui Andy firmò le cover, tra i quali i Velvet Underground, con i quali l’artista ha dato vita a un sodalizio intellettuale e creativo che ha inciso in maniera significativa sula storia della musica e dell’arte. Indelebile nella mente di tutti è la cover dell’album del 1967 dei Velvet Underground & Nico con la banana gialla – noto oggi anche come Banana Album – frutto divenuto oggetto d’arte (pratica tipica nella poetica di Wahrol) e simbolo di una generazione.

Celebre e presentata qui al pubblico poi, la copertina realizzata per l’album Sticky Fingers del 1971 dei Rolling Stones – consegnata alla storia come la cover più famosa, nonché irriverente, di sempre – apertamente provocatoria: un paio di jeans con un inequivocabile rigonfiamento sul davanti che ovviamente, non mancò di fare scandalo quando uscì. Nel medesimo spazio sono esposti i libri di cui Andy Wahrol è stato autore e illustratore e poi un corner è dedicato a Interview, mitico magazine fondato dallo stesso artista nel 1969 assieme a John Wilcock e Gerard Malanga, che si occupava di celebrità e nel quale hanno mosso i primi passi fotografi del calibro di Bruce Weber e David LaChapelle.

Portrait of Madame Smith 1974,
Portrait of Madame Smith 1974, acrilico e serigrafia su tela – The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts

Infine, a chiusura della mostra Andy Warhol. Serial Identity un focus sul tema Death and Disasters con le celebri Electric Chair. Anche la morte tragica infatti, diviene per il creativo fonte di ispirazione, offrendogli l’assist per avviare una critica nei confronti del voyeurismo tipico della cultura moderna, particolarmente attratta dal macabro, osservato morbosamente attraverso i media. 

Maurizio Vanni e Emma Zanella, i curatori dell’esposizione

«Andy Warhol è uno di quegli artisti eletti nati per fare e rimanere nella storia, esaltando gli equilibri sociali e culturali di una città in un determinato momento storico. Un artista dentro che, nel suo vivere lucidamente il caos di una vita talvolta estrema e dissoluta, ha pianificato la sua ascesa, assecondando le proprie asimmetrie identitarie, sfruttando le occasioni che solo la New York degli anni Sessanta poteva offrire.» racconta Maurizio Vanni, uno dei due curatori dell’antologia sammarinese su Andy Wahrol, cercando di tirare le fila sulla figura geniale dell’artista. E prosegue: «Da una parte aveva l’opportunità di vivere nel paese che stava diventando l’indiscusso propulsore economico e culturale del mondo, dall’altra la possibilità di rappresentarlo con ironia, di sintetizzarlo con acutezza, di riassumerlo con cosciente follia, di raccontarlo con originalità e perspicacia comunicativa, di metterlo a nudo con tagliente cinismo, ma anche di amarlo in modo incondizionato, mettendosi sempre e comunque in discussione attraverso le mille rappresentazioni di sé.»

“Un artista dentro che, nel suo vivere lucidamente il caos di una vita talvolta estrema e dissoluta, ha pianificato la sua ascesa”

Vesuvius, 1985
Vesuvius, 1985, acrilico su tela, collezione privata, Napoli – The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts

Emma Zanella, co-curatrice, parallelamente, nel tentativo di tracciare un bilancio sul lavoro artistico del controverso artista, dice: «È vero che nella cultura pop Warhol si è subito imposto come un leader scegliendo, con grande coraggio, come proprio terreno di indagine la realtà americana più sciatta e diventando, egli stesso, una icona riconoscibile da chiunque. Egli tuttavia ha esteso a dismisura il proprio repertorio fino a raggiungere dimensioni inaspettate, ed è entrato praticamente in ogni ambito dell’arte, della comunicazione, del cinema, dell’editoria, della televisione, della promozione, in un infinito cinegiornale in espansione capace di raccontare il suo e il nostro tempo, dai più clamorosi accadimenti come il suicidio di Marilyn Monroe o l’assassinio di Kennedy, all’ascesa della Cina popolare, dalle reazioni post-Hiroshima nei confronti della morte e del disastro fino alle icone del mondo dell’arte, la Gioconda o Il Cenacolo e della religione, Cristo o Budda

“Egli ha esteso a dismisura il proprio repertorio fino a raggiungere dimensioni inaspettate, ed è entrato praticamente in ogni ambito dell’arte, della comunicazione, del cinema, dell’editoria, della televisione, della promozione”

Andy Warhol's Fifteen Minutes, 1985,
Andy Warhol’s Fifteen Minutes, 1985 – The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts

E conclude : «Warhol osserva tutto, inventaria tutto, introita tutto: la sedia elettrica e le moderne modalità di morte, gli incidenti automobilistici, i suicidi, gli orrori tecnologici, le specie in estinzione umane, gli animali, il repertorio di esseri mitici, da Babbo Natale a Topolino; i simboli della contemporaneità, il dollaro, la Falce e Martello, il sesso, il corpo come strumento di piacere e oggetto meccanico. Questo immenso repertorio in espansione è letteralmente tenuto insieme da alcuni pensieri intrusivi che riaffiorano senza tregua nel corso degli anni e che, oltre a contribuire a creare il personaggio dalle molteplici identità che tutti conosciamo, influenzano potentemente la sua immensa opera.»


Andy Warhol. Serial Identity

Città di San Marino

Palazzo SUMS, Via Piana, 1 e Galleria Nazionale, Logge dei Volontari, Giardin dei Liburni

8 luglio – 8 ottobre 2023


Federica Sabatini, un’attrice alla ricerca della sua verità

Federica Sabatini, 31 anni, di Roma, protagonista femminile della cover story cinema di MANINTOWN, si racconta senza timori, lasciando trasparire la sua attitude sognante e rivelando una verve new age, che si esprime attraverso la sua spiritualità e le sue passioni. Tra queste: la pittura (a olio), la fotografia (su pellicola) e poi i tarocchi, l’esoterismo e la psicomagia: “Metodi di varia natura che sono stati per me fonti di grandi rivoluzioni interiori ed esteriori.” Sguardo profondo e labbra carnose, un’allure un po’ parigina che si fonde ad una sensualità innata, l’attrice di Suburra – La serie pare quasi inconsapevole – o forse noncurante  – del suo fascino ammaliante: “Per me la bellezza assoluta è nella natura e nella qualità del tempo speso”, ci dice con voce calma. 

Dal carattere introspettivo ma al contempo forte e determinato, fin da giovanissima Federica capisce che la recitazione è la sua strada. Un percorso che non ha mai più abbandonato da quando verso i 13/14 anni le sue sorelle le hanno regalato un contratto con un’agenzia, spiega la Sabatini, riavvolgendo la pellicola fino alla sua infanzia. L’amore per il cinema e per il teatro la spinge poi – irrimediabilmente – nel 2010, verso gli studi di recitazione con Gisella Burinato (attrice e docente, madre dell’attore Pier Giorgio Bellocchio, ndr) e dal 2013 al 2015, al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma

Federica Sabatini, Nadia in Suburra

Il successo la travolge nel 2019, anno in cui la Sabatini è tra le nuove protagoniste della seconda stagione di Suburra – La Serie, sua prima produzione di respiro internazionale, nella quale interpreta il ruolo di Nadia (figlia di un piccolo boss di Ostia che instaura un legame sentimentale e di affari con Aureliano, interpretato da Alessandro Borghi, ndr), personaggio che la proietta verso l’olimpo del cinema. “Mi ricordo l’emozione di quando mi avevano scelta per Nadia”, racconta Federica, riconfermata anche per la terza ed ultima stagione del serial.

Total look Valentino
Total look Valentino

Dagli inizi della sua carriera ad oggi

La Sabatini però, qui non ci arriva per caso: nel 2016 si era già fatta notare nella serie di Francesco Pavolini Tutti insieme all’improvviso e in Un passo dal cielo 4 di Jan Maria Michelini. È la volta poi del film per Rai Uno Nozze romane, di Olaf Kreinsen, e la fiction Provaci ancora Prof ! – 7. Successivamente, recita nella pellicola Saremo giovani e bellissimi, per la regia di Letizia Lamartire e, nel 2019, nel lungometraggio di Rai Uno Liberi di scegliere, diretto da Giacomo Campiotti. Ma è solo l’inizio: dopo varie interpretazioni tra cinema e televisione, infatti, nel 2021, l’attrice viene scelta per vestire i panni di Rania (personaggio che la 31enne definisce com “l’antime”), nella seconda stagione del thriller Toy Boy, serie Netflix per la regia di Javier Quintas e Laura M. Campos. Questa esperienza le offre uno sguardo privilegiato su una nuova realtà permettendole di lavorare su un set spagnolo e di cimentarsi per la prima volta con una cultura cinematografica straniera.

Un viaggio nel mondo di Federica

Reduce dalle riprese di Suburra Eterna, attesissimo spin-off della serie pilota, Federica Sabatini ci parla della sua carriera e delle sue passioni più grandi, aprendoci uno spiraglio sulla sua interiorità. Dal suo rapporto con la bellezza e con il corpo, passando per la moda, fino ai suoi progetti futuri, ci confessa: “Mi piace esprimermi e il mezzo cambia a seconda del periodo.” Per MANINTOWN, l’interprete romana si esprime in maniera sublime davanti all’obiettivo di Davide Musto. Piume e ruche, tessuti fluidi che si alternano a capi strutturati – uno smoky eye le incornicia gli occhi, mettendole ancor più in risalto lo sguardo ipnotico – in uno scenario che pare prescindere il qui e ora, dominato solo da chiaroscuri, luci e ombre, Federica sembra quasi provenire da un’altra epoca, portando in scena un’eleganza senza tempo, tra pose da equilibrista e movenze da incantatrice. 

Sei stata tra i protagonisti del thriller spagnolo Toy Boy. Ci racconti di questa esperienza ?

Toy Boy è stata un’esperienza divertente che mi ha aperto una seconda vita in Spagna. Ho una serie di colleghi che sono ormai diventati carissimi amici, tra il cast e la troupe. Mi mancano molto e li sento spessissimo. È stato molto bello lavorare fuori dall’Italia, conoscere un nuovo paese per questo lavoro.

“Rania è un personaggio che mi ha divertito interpretare perché è l’antime.”

Interpreti il personaggio di Rania: oscura, a tratti ambigua ma con un’anima combattiva. Cosa ci hai messo di tuo e come lo hai costruito?

Rania è un personaggio che mi ha divertito interpretare perché è l’antime. Più le cose sono lontane da me e più mi divertono. È l’ antime perché usa delle strategie psicologiche, emotive e di azione che io non userei mai, che non riuscirei mai a prendere in considerazione. È molto più scaltra, stratega e manipolatrice di me. È combattiva, va dritta per i suoi obiettivi. 

Si tratta del primo set estero in cui hai lavorato. Come è stato prendere parte a un progetto straniero internazionale confrontandoti con una cultura cinematografica diversa e soprattutto, recitando in una lingua differente dalla tua?

Il primo mese è stato molto difficile, è servito più che altro per capire. Quando sono arrivata e abbiamo iniziato a girare eravamo nel periodo del secondo lockdown. Era tutto chiuso e io ho trascorso un mese durante il quale non potevo nemmeno visitare il posto in cui mi trovavo. Ancora non avevo recuperato del tutto la lingua: lo spagnolo l’ho studiato al liceo e per l’occasione mi sono rimessa sotto in Italia e Il primo mese è stato molto difficile, è servito più che altro per capire. Quando sono arrivata e abbiamo iniziato a girare eravamo nel periodo del secondo lockdown. Era tutto chiuso e io ho trascorso un mese durante il quale non potevo nemmeno visitare il posto in cui mi trovavo. Ancora non avevo recuperato del tutto la lingua: lo spagnolo l’ho studiato al liceo e per l’occasione mi sono rimessa sotto in Italia e quando sono tornata lì ho continuato a studiarlo. Però, il primo mese è stato di totale ambientazione: avevamo orari molto ristretti, come in Italia. È stato un impatto emotivo molto forte. Tuttavia, la mia fortuna è stata di trovare dei colleghi, tra cast e troupe, super accoglienti che mi hanno aiutata a integrarmi, hanno velocizzato il processo e sono stati pazientissimi con la lingua. Per quanto riguarda il lavoro sul set, è stato affascinante, perché ho avuto modo di scoprire abitudini molto vicine, ma al contempo molto diverse. È un’altra cultura, tra le più vicine che abbiamo, ma completamente diversa.

Total look Taller Marmo
Total look Taller Marmo

“Mi ricordo l’emozione di quando mi avevano scelta: avevo una voglia pazzesca di riuscire a sentirmi all’altezza di quella produzione, del set, del progetto”

Hai raggiunto la notorietà grazie alla tua interpretazione del ruolo di Nadia nella serie Suburra. Polimorfa e con un’emotività complessa: com’è il tuo rapporto con questo personaggio?

Io Nadia la amo follemente. Abbiamo appena finito di girare lo spin-off (Suburra Eterna, ndr). Nadia è un personaggio che ho sotto pelle, le devo tantissimo. Interpretare questo ruolo è stato un momento di crescita essenziale. Mi ricordo l’emozione di quando mi avevano scelta: avevo una voglia pazzesca di riuscire a sentirmi all’altezza di quella produzione, del set, del progetto. È stato molto, molto bello.

Come ti sei avvicinata al mondo della recitazione e quando hai capito che quella era la tua strada?

Da bambina, tra le cose che volevo fare c’era l’attrice. Era un constante per me copiare tutto quello che vedevo tra video musicali e film. Ero molto timida, abbastanza introversa e quando guardavo alcune scene nei film e vedevo le emozioni così forti che gli attori riuscivano a trasmettere interpretando i loro personaggi – avevo 8 anni – mi sono detta che volevo fare questo e ho insistito con tutta la mia famiglia, fino a quando, verso i 13/14 anni, le mie sorelle mi hanno regalato un contratto con un’agenzia, in accordo con i miei genitori. Da quel momento ho iniziato a cercare di capire come potevo funzionare io in rapporto a questo lavoro. È stata una cosa molto divertente e faticosa al tempo stesso, che è stata possibile grazie a loro che mi hanno aiutato a creare questa occasione. 

“Uno degli obiettivi più grandi della mia vita è lavorare per la mia verità: per la verità di me stessa e per la mia crescita spirituale e personale”

So che sei un’appassionata di tarocchi, esoterismo e psicomagia. Da dove arriva questa passione e come questa eventualmente influenza la tua vita quotidiana e il tuo lavoro?

Io faccio molti percorsi spirituali e tra questi sono incappata in varie letture e varie tecniche. Uno degli obiettivi più grandi della mia vita è lavorare per la mia verità: per la verità di me stessa e per la mia crescita spirituale e personale. Sono tutti i metodi di varia natura che sono stati per me fonte di grandi rivoluzioni interiori ed esteriori. Mi influenzano nel mondo di lavorare perché è come se avessi una scala di valori settata spiritualmente Inoltre, la curiosità che mi spinge sempre a cercare, mi mantiene viva su più fronti. Come quando fotografo in pellicola o dipingo – non sono né fotografa né pittrice, però, quella ricerca di contatto, di creazione delle immagini mi aiuta molto nel lavoro. Mi aiuta anche se fotografo colleghi ad esempio, perché mi spinge a osservare e l’osservazione è come la meditazione: l’osservazione interiore e l’osservazione esteriore sono delle fonti inesauribili di input artistici.

“L’osservazione interiore e l’osservazione esteriore sono delle fonti inesauribili di input artistici

Hai posato davanti all’obiettivo di Davide Musto per la cover story del prossimo numero di MANINTOWN. Come è andata?

Con Davide (Musto, ndr) mi sono divertita da morire. Ero in una giornata in cui ero fisicamente KO. La troupe è stata  molto paziente con me: sai quando l’universo ti manda delle persone carine attorno proprio nel momento in cui ne hai bisogno, se no non potresti sopravvivere a te stessa? È stato come lavorare in una bolla. Un bel lavoro di squadra. 

Che rapporto hai con la moda?

Avevo un rapporto travagliato con la moda quando ero più piccola, adesso mi diverte un sacco. Per me la moda non significa solo sfoggiare qualcosa che fa tendenza, ma indossare delle cose, anche vintage (sono una grande fan dell’armadio di mia madre e dei suoi anni Settanta), ed esprimermi: e lo faccio sia quando mi vesto completamente di nero, che quando mi riempio di brillantini, vado da un eccesso all’altro. Per me la moda quindi, dipende da come mi sento in quel momento e se voglio essere in un determinato modo, mi sento libera di farlo e mi diverte molto.

Cos’è per te la bellezza?

La bellezza è una sorta di crisi sociale: per fortuna non vuol dire niente e purtroppo vuol dire tutto. È una cosa che è oggettiva solo rispetto a dei canoni imposti socialmente e non è così importante rispetto a ciò che per noi è soggettivamente bello. Dunque, ho un rapporto molto travagliato e personale con la bellezza che mi genera molta fatica. Nella società in cui viviamo, questo concetto è utilizzato in genere nella visione più bassa, ovvero solo nelle forme (che poi è normale perché sono quelle che colpiscono l’occhio). Secondo me la bellezza è un concetto molto estendibile in realtà a tante altre sfaccettature che sono quelle che forse mi rappresentano di più perché mi riempiono di più personalmente.

Secondo me la bellezza è un concetto molto estendibile in realtà a tante altre sfaccettature che sono quelle che forse mi rappresentano di più perché mi riempiono di più personalmente

jacket and trousers Alessandro Vigilante hat Alfonso D'Este bracelets Indigeno
Jacket and trousers Alessandro Vigilante hat Alfonso D’Este bracelets Indigeno

Ti va di condividere qualcuna di queste sfaccettature?

Per me la bellezza assoluta è nella natura e nella qualità del tempo speso: questi per me sono respiri per l’anima. È lì che la trovo principalmente. 

E qual è il tuo rapporto con il corpo?

Possono esserci dei giorni in cui percepisco il mio corpo come una gabbia, come per tutti, perché viviamo tutti in un sistema culturale e sociale che ci impone una serie di cose. E poi ci sono momenti in cui sento il corpo come la mia casa che mi può proteggere ed è per me, il miglior posto in assoluto dove stare. 

Che progetti hai in cantiere?

Sto pensando molto al teatro. Poi studio all’università, psicologia. Vorrei riuscire a fare delle cose da sola, vorrei smuovere un po’ di energia creativa per scrivere qualcosa finalmente. Mi piace scrivere ma soprattutto, mi piace esprimermi e il mezzo cambia a seconda del periodo. Scrivo molto per me. Scrivo cose veloci, flussi di pensiero, cose creative, spirituali, ma mi piace di più scrivere i progetti che vorrei realizzare, le idee che ho. Ce la farò prima o poi. 

Credits

Talent Federica Sabatini

Editor in Chief Federico Poletti

Text Giulia Cangianiello

Photographer Davide Musto

Stylist Vanessa Bozzacchi, Sara Castelli Gattinara @othersrl

Styling Assistant Bianca Giampieri 

Ph. Assistant Valentina Ciampaglia

Make up: Eleonora Mantovani 

Make-up assistant Gaia Melmeluzzi  

Hair Giuseppe Criscio @germanohr @ simonebelliagency

Una vacanza esclusiva su misura al Grand Hotel Bristol a Rapallo

Un mode de vie spensierato, dedito alla mondanità. Quell’attitude che rimanda all’epoca a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, alle atmosfere scanzonate del periodo del boom economico, alla voglia di vivere e di godersi i piaceri, la bellezza e i divertimenti, all’insegna del glamour. La dolce vita, in una dimensione ridisegnata – secondo un concept contemporaneo che unisce ospitalità e comfort esclusivi – rivive sulla Portofino Coast, al Grand Hotel Bristol, pentastellato gioiello della tradizione della grand hotellerie ligure. A picco sul suggestivo golfo del Tigullio, il maestoso edificio in pieno stile Liberty, immerso nella macchia mediterranea, risale al 1908. La recente opera di restyling è stata in grado di conservare l’aura di tradizione e di splendore che lo ha caratterizzato fin dalla sua inaugurazione, pur ridefinendo il concetto di ospitalità, perseguendo un approccio in grado di offrire un’esperienza tailor made multisensoriale. Da poco membro di Small Luxury Hotels of the World, il Bristol oggi, è il luogo perfetto per una vacanza rilassante e haut de gamme

La facciata liberty del Grand Hotel Bristol immerso nel verde

Il Grand Hotel Bristol a Rapallo

Membro di R Collection Hotels, gruppo alberghiero di proprietà familiaresorge a Rapallo, località accogliente della riviera di levante, circondato da un rigoglioso giardino. Un’oasi verde che si fonde armoniosamente con gli spazi interni della struttura, creando un continuum perfetto tra natura, architettura e design, nonché con il territorio circostante in cui è incastonato (una piacevole passeggiata sul lungomare conduce facilmente al centro della cittadina). Con 83 camere e suites e una splendida terrazza panoramica, che si affaccia a sua volta su una piscina a sfioro sul mare, la struttura offre suggestivi panorami sull’intero promontorio ligure. L’offerta food & beverage è ampia e onnicomprensiva: presso il ristorante fine dining Le Cupole, situato sul rooftop, lo chef Graziano Duca e il suo team combinano sapientemente tradizione, creatività e innovazione; il bistrot italiano La Veranda, sulla terrazza panoramica, propone piatti autentici italiani; The Silk Lounge Bar, è un ambiente intimo dove sorseggiare cocktail d’autore creati dal Bar Manager Erwan Garofalo; infine, il Flamingo Pool Bar&Pizzeria gourmet è situati a bordo piscina. La Erre Spa – con sauna, bagno mediterraneo, percorso kneipp, aree multisensoriali e spazi relax a tema, una piscina coperta e cabine massaggio – rifugio per il corpo, la mente e lo spirito, è il fiore all’occhiello del Grand Hotel Bristol.

La piscina del Grand Hotel Bristol

La dolce vita ridisegnata e l’ospitalità su misura

Riccardo Bortolotti, General Manager del Bristol, spiega: “Al Grand Hotel Bristol ‘La Dolce Vita’ è un mood of life – senza tempo, che abbraccia generazioni, che racchiude il meglio dell’espressione italiana per la bella vita”. Questa filosofia di dolce vita “ridisegnata” si concretizza nell’idea di viaggio su misura con esperienze personalizzate ad hoc per il cliente. Come afferma Ludovica Rocchi, Brand Director:Il nostro obiettivo è garantire un modello di ospitalità esperienziale in sintonia con l’anima, la storia, i profumi e i sapori del territorio con proposte esclusive che possano sorprenderlo. La centralità dell’ospite è il tratto distintivo della nostra ospitalità. La nostra accoglienza è su misura”.

Una camera dell’hotel

L’approccio multisensoriale

Dal benessere psicofisico, grazie alle proposte della spa, la più grande in una struttura alberghiera in Liguria, al piacere del palato, con le offerte culinarie genuine e i piatti tipici della tradizione regionali preparati sotto la guida eccezionale dello chef Duca, in un contesto avvolgente in cui anche la musica e i profumi giocano un ruolo fondamentale, nulla è lasciato al caso e tutto è volto a stimolare emozioni visive, tattili, olfattive e sonore. Le musiche signature che riecheggiano nelle aree comuni, i ristoranti e i bar, sono create appositamente da music designer di un’azienda londinese – per ispirare umore e sensazioni tramite i bpm delle tracce, con playlist studiate per ciascun ambiente. Mentre, il profumo che inonda dolcemente gli spazi, rimanda alla fragranza creata per la struttura: la Portofino Forget Me Not, firma del Grand Hotel Bristol, un’essenza femminile che richiama il vento caldo proveniente dal mare e si disperde nell’aria rilasciando dolci note di borotalco. Simona Guarraci, Creative Director del Gruppo R Collection Hotels, racconta: “Bisogna creare una identità importante per farci riconoscere. Desideriamo offrire ricordi sensoriali legati alla eccellenza dei prodotti che utilizziamo”. 

Il Grand Hotel Bristol a Rapallo

E inoltre, gli ospiti possono cimentarsi in attività legate all’enogastronomia, studiate per coinvolgere, intrattenere ma anche vivere e assaporare le peculiarità del territorio, come i momenti di Wine Tasting, alla scoperta dei pregiati vini locali; oppure di oil tasting, a tu per tu con il miglior olio extra vergine di oliva, accompagnati dal sommelier Andrea Levaggi; o ancora, la Pesto Cooking Class, per addentrarsi nei misteri del condimento ligure per eccellenza, assieme allo chef Duca. 

Vista dalla terrazza del ristorante Le Cupole

La musica, l’arte e il cinema al Grand Hotel Bristol

Per la stagione estiva 2023 il Grand Hotel Bristol propone un programma ricco di eventi e serate musicali: Presso la Terrazza The Silk, per due date a settimana è possibile godere di un aperitivo vista Portofino con deejay set al tramonto. Grazie alla partnership con il Sibelius Festival poi – dedicato al celebre compositore finlandese che soggiornò a Rapallo all’inizio del Novecento – che prevede una serie di concerti incentrati sul repertorio nord-europeo, il Grand Hotel Bristol accoglie artisti internazionali con appuntamenti musicali e culturali.

Dalla musica all’arte, l’hotel ha dato il via a una partnership con la Nuar Gallery, fondata da Valentina Ferrari e Flaminia Ciattini, che promuove una fitta programmazione di eventi durante tutta la stagione estiva all’interno della galleria d’arte permanente inaugurata negli spazi del Resort, oltre a performance di arte dal vivo. Infine, anche il cinema trova ampio spazio al Bristol, con il Festival del cinema di autore, in collaborazione con il comune di Rapallo, che prevede la riproduzione dei migliori film girati nella riviera ligure, proiettati all’esterno, a bordo piscina sotto il cielo stellato della Liguria.

Vista dalla terrazza panoramica dell’hotel

Milano Fashion Week Uomo: il meglio dalle sfilate

Artwork di Jacopo Ascari
Artwork di Jacopo Ascari

Cala il sipario sulla Milano Fashion Week Uomo, la versione meneghina della Settimana della Moda in cui è andata in scena la moda maschile per la primavera estate 2024. Un calendario lungo 5 giorni e scandito da 27 sfilate di cui ben 22 live. Firme del lusso, marchi affermati del Made in Italy e brand emergenti, i designer hanno fornito la loro visione fashion, declinata al maschile, per la bella stagione che verrà, definendone e talvolta riscrivendone i codici stilistici. Accessori destinati a diventare cult, nuove tendenze sotto forma di capi basic diluiti su materiali innovativi, forme inedite e volumi azzardati, riaffermazione potente (e assordante) del genderfluid e ritorni a un passato dominato dal sartoriale, riscoperto e rivisitato in chiave hic et nunc. Da Prada a Dolce&Gabbana, da Zegna a Magliano, passando per Dsquared e JW Anderson, tra gli altri, in una Milano infiammata dal caldo africano, un recap della moda uomo spring summer 2024 vista sulle passerelle di giugno.

Dolce&Gabbana, lezione di Stile

Uno show, quello tenutosi al Metropol, headquarter della Maison, a due passi da Porta Venezia, che assume i connotati di un bilancio da parte del brand sulla propria identità, la storia, nonché i canoni stilistici del duo di designer. Stile è il titolo del défilé che ha visto sfilare sul catwalk poco meno di ottanta look, summa di tutti i capisaldi del codice estetico del marchio. A dominare la scena sono la sartorialità, da un lato, e l’uso dilagante del bianco e nero, dall’altro. E poi, ricorrono le canotte, la coppola, il rosario, il pizzo, le trasparenze, i ricami preziosi – simboli del patrimonio dell’Italia del sud, da sempre fonte di ispirazione per Dolce&Gabbana – e le stampe a pois che si armonizzano a completi gessati, pantaloni con le pinces, shirts con maniche extralong, leggings a coste, camicie bowling embroidered e ballerine per lui. E ancora, il cappotto dal taglio impeccabile e il bomber maxi. Tutte le tessere queste, che compongono il mosaico della cifra di Domenico Dolce e Stefano Gabbana: il loro Stile. Un tentativo sapiente, quello messo in atto durante show principale della seconda giornata della Milano Fashion Week Uomo, di recuperare le radici della Maison, per rafforzarle e affermarle ampliandole a nuove interpretazioni e innescando una nuova idea di mascolinità composta e composita, impeccabile ma dalle molteplici nuances

Le architetture fluide di Prada

Quella di Prada, per la primavera estate 2024 è tutta una questione di fluidità, che passa attraverso i corpi, gli abiti e va oltre, imponendosi nello scenario in cui i modelli si aggirano. Non a caso, colate ipnotiche di slime fluidissimo cadono ininterrottamente dal soffitto del Deposito della Fondazione Prada, penetrando nel suolo: incollandosi al pavimento, sedimentandosi, mettendo le radici nell’ambiente in cui si trovano gli spettatori, immersi in questo show potentissimo, portando così il cambiamento di cui Prada è fautore, all’interno della società stessa. La moda come veicolo, attraverso un racconto che parla di libertà di vestirsi e di esprimersi. L’accessorio cult: un cerchietto nero intrecciato, assolutamente genderless. L’utilitywear assume le forme di un gilet cargo con tasche e taschini funzionali declinato in mille e una variabile. Il fulcro della collezione uomo disegnata da Raf Simons e Miuccia Prada però, è la camicia, must-have del guardaroba maschile, capo semplice ed essenziale, che diventa per l’occasione una tela bianca su cui scrivere e creare. Rivista, ripensata, destrutturata, si evolve nelle forme e nelle proporzioni: spalle scese, maniche extra lunghe, scollo profondo e punto vita accentuato. Abbinata a bermuda oppure a pantaloni con pinces. Non mancano poi le stampe con dragoni, i fiori applicati e le frange. Si impone ancora il mocassino, dalla punta squadrata, indossato con calzino a tinta unita fino al polpaccio: declinato in vari colori che esplorano una palette azzardata (oltre al bianco, nero e marrone, spiccano le versioni pink, rosso fuoco o verde lime), affermandosi come scarpa passe-partout. Le borse da portare a mano o sottobraccio sono ampie, morbide e capienti. Secondo la tendenza molto diffusa ultimamente di andare verso oriente per reclutare i propri ambassador, ospite d’eccezione, acclamatissimo tra i più giovani, Jaehyun, cantante della band sud-coreana NCT (composta da ben 20 membri) che da solo conta sui social oltre 15 milioni di followers.

Prada - artwork di Jacopo Ascari
Prada – artwork di Jacopo Ascari

L’universo sexy di Dsquared

Sulle note soft di Love To Love You Baby di Donna Summer, il re del filone più peccaminoso dell’arte cinematografica – aka Rocco Siffredi – è protagonista del catwalk dello show ipnotico (seducente, provocatorio, spudorato, che assume i connotati di un set di un film hard) che ha animato il primo giorno della Milano Fashion Week Uomo. Il pornodivo ha calcato la passerella di Dsquared portando con sé tutti gli elementi dell’immaginario estetico del mondo da cui proviene, miscelati a quelli dei tennis club. Essenziali dell’universo preppy legati a dettagli audaci in un mélange dichiaratamente provocatorio e dissacrante dell’estetica borghese. La coppia creativa di Dean e Dan Caten ha attinto a piene mani dal suo linguaggio estetico, catapultandoci in una scena osé e ricreando outfit maschili (e femminili) per la primavera estate 2024 in cui imperano i colori, le stampe extra, i micro top, i glitter, il denim, gli strappi e i tagli fatti ad arte per un ensemble sfacciato e multisfaccettato. L’uomo (e la donna) immaginato dai designer-gemelli è a dir poco fluido, genderless e irriverente.

Luca Magliano, lavori in corso

«It’s a beautiful feeling to be seen», sono le parole che riecheggiano di Luca Magliano da poco insignito del prestigioso premio Karl Lagerfeld al LVMH Prize. Per la sua sfilata primavera estate 2024, al Pala Magliano (il Palazzo del Ghiaccio riconvertito per l’occasione in un cantiere avvolto da teli bianchi), il designer bolognese ha portato in passerella un uomo abbigliato con tute workwear, giacche antivento, completi sartoriali relaxed fit e capi sovrapposti. Come sua abitudine, lo stilista parte dai fondamenti del guardaroba classico maschile per ricreare la sua personale concezione – una celebrazione dell’universo queer che la sua griffe incarna – sfacciata ma meno ardita del solito, con un tocco glamour, quasi come se ora non dovesse più dimostrare, ma solo mostrare (il suo genio di enfant prodige del Made in Italy). Le silhouette sono composte, i materiali preziosi, come la seta ricamata delle t-shirt e la maglieria ultrafine. I modelli – per i quali l’attitudine in passerella non è affatto una pratica lasciata al caso, mostrando un’eleganza innata che si nasconde sotto un’aria da ragazzaccio con mani in tasca e sigaretta accesa – sfoggiano top in pizzo, giacche destrutturate, accessori intricati da indossare sopra capi basic fatti di catene e monete tintinnanti, tessuti annodati e pantaloni con pinces o coulisse. E ancora, piccoli vezzi come sciarpe boa e borse formato marsupio. Un ensemble raffinato enfatizzato però dall’ironia tutta alla Magliano (la scritta in diagonale Miss Magliano strizza l’occhio all’ambito award da poco conquistato dal designer, mentre il disegno di un’isola-vagina su una mannequin donna sposa le cause femministe).

Magliano - artwork di Jacopo Ascari
Magliano – artwork di Jacopo Ascari

La sperimentazione continua di JW Anderson

Sollievo, così si intitola la collezione uomo primavera estate 2024 che il designer nordirlandese ha presentato a Milano in contemporanea alla Resort donna 2024. Jonathan Anderson porta in scena uno show in apparenza semplice – polo da college, leather coats, camicie cropped e pantaloni scivolati – ma accuratamente studiato nei dettagli. I basici del guardaroba maschile si trasformano in pezzi unici (il cui senso di tridimensionalità è potenziato), a partire dai bermuda, realizzati con un pannello di tessuto che avvolge i fianchi a formare un unicuum che si espande oltre il corpo. Costruzione e decostruzione, partendo dall’essenziale per virare verso il surreale, pratica usuale questa nel lavoro creativo di Anderson. Una collezione, quella firmata JW Anderson, esaustiva e complessa in cui spicca la sua innata attitudine da sperimentatore con le silhouettes, i punti a maglia e le lavorazioni tridimensionali: gilet componibili, abiti in maglieria con dettagli volumetrici, maglioni pop simili a gomitoli di lana o con frange, dress dalla linea a trapezio e maxi pois. Il linguaggio proprio dello stilista è presente e riconoscibile, con accessori inediti: sabot simil zampa (di gatto), nuovissime tote bag da portare a spalla, borse a uncinetto, zoccoli holland con platform. In questo insieme le ispirazioni giungono da campi diversi, incluso l’arredo e il décor (non è un caso che il setting richiami le nuances delle ceramiche Cornishware – celebre brand britannico di stoneware dall’iconico design a righe larghe bianche e blu).

JW Anderson - artwork di Jacopo Ascari
JW Anderson – artwork di Jacopo Ascari

Zegna, tra savoir-faire e sostenibilità

Quasi 200 balle di lino grezzo provenienti dalla Normandia delimitano un’assolatissima piazza San Fedele, nel cuore di Milano, dietro Piazza Duomo. Qui, Alessandro Sartori, direttore creativo di Zegna, fa sfilare la sua collezione primavera estate 2024. Oasi di Lino, questo il titolo dello show che sottolinea l’impegno della Maison in ambito ambientale. L’obiettivo, che è una promessa, è quello di certificare le fibre di tessuto come 100 % tracciabili entro la fine dell’anno. Partendo dunque, da questo tessuto naturale (che per il designer è l’equivalente estivo del cashmere per l’inverno), il brand porta sul catwalk capi che parlano di savoir-faire e tradizione sartoriale, design curato, leggerezza e sostenibilità – il lino tornerà a Trivero, in Piemonte, per essere trasformato in filo, in tessuto e quindi, in abito. Tagli morbidi, linee pulite, spalle scivolate, tessuti leggeri e fluidi, tonalità neutre della terra accostate a sobrie tinte pastello compongono un insieme semplice ma prezioso, in cui nulla risulta fuori posto. Un intero guardaroba fatto da diversi elementi da mixare in infinite combinazioni secondo il concetto di efficienza: giacche destrutturate senza collo e con bottoni a pressione nascosti, pantaloni e bermuda ampi con cerniere celate, tute che sostituiscono il classico completo formale – sia in versione intera che componibile, infilando la giacca nei pantaloni –, smanicati, giubbini di nappa e lino, camicie di seta e tshirt a collo tondo. La collezione Zegna si rivela concettuale ma semplice, minimal ma attuale, elegante ma senza tempo, in una parola: impeccabile.

Dhruv Kapoor in equilibrio 

I capisaldi dell’estetica di Dhruv Kapoor permangono nella collezione primavera estate 2024 presentata durante l’ultimo giorno di sfilate in presenza della Milano Fashion Week Uomo, ma si evolvono verso uno stile più essenziale. Colori, ricami, stampe e slogan, simboli riconoscibili della cifra stilistica del designer indiano ritornano ma in un mix sapiente con pezzi basici che strizzano l’occhio al concetto di comfort e praticità. Fantasms, questo il nome dello show, porta in passerella capi che possono assumere una valenza diversa a seconda dell’occasione d’uso: i colletti in versione bijoux sono staccabili, i pantaloni cargo con zip trasformabili in shorts. Gli accostamenti enfatizzano ancor più l’idea di equilibrio tra quotidianità e glamour: felpe maxi con fiori embroidered sono abbinate a tank top e bermuda, mentre le giacche sartoriali con inserti argentati sono in match con gonne black a pieghe e pantaloni scivolati. Le stampe, se pur sempre presenti e talvolta allover – con motivi surrealisti, grafiche sci-fi, pattern psichedelici, pop e floreali – sono mitigate dalle tinte unite e dai toni neutri. Due dei cardini del suo linguaggio continuano ad essere presenti nella collezione svelata a Milano: l’arte del ricamo in primis – heritage questa della maestria artigianale del suo paese, che diviene per lui nucleo del suo processo creativo, un virtuosismo che si traduce in lavorazioni complesse handmade e tessuti confezionati a telaio, dilaganti anche in questa collezione. E poi, l’impegno sostenibile che da sempre ne caratterizza l’operato (Kapoor è reduce dalla sua partecipazione al progetto S|Style di Pitti) e che si esprime qui attraverso l’utilizzo di circa il 40 % di tessuti di recupero.

Pitti Uomo 104, dall’estro creativo di Eli Russell Linnetz al savoir-faire di FENDI, un’edizione all’insegna del gioco

“Un grande tavolo da gioco sul quale divertirsi”. Così Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine, descrive i saloni di Pitti Uomo 104, la manifestazione fiorentina dedicata alla moda maschile. Non a caso, Pitti Games è il tema scelto per questa edizione estiva della kermesse, in scena dal 13 al 16 giugno 2023 nella consueta cornice storica della Fortezza da Basso. Un leitmotiv, quello della dimensione ludica, che ricorre attraverso i contenuti della quattro giorni – dalle collaborazioni internazionali, i debutti e le presentazioni con focus mirati, fino agli eventi esclusivi e i progetti speciali – e attraverso la regia di Leonardo Corallini e il coordinamento del creative director Angelo Figus.

«Ho immaginato che i prossimi saloni si potessero aprire come un invito alla community di Pitti a fare il proprio gioco. Una sorta di operazione inclusiva che – dalle carte alla dama, trasformate in segni grafici – raccontasse strategie e modalità diverse», racconta il direttore creativo. «Naturalmente il riferimento al mondo tessile è costante: check, zig zag, linee verticali vengono scomposti e ricomposti nello scenario del salone».

Giocare dunque, è il mot d’ordre della manifestazione fieristica, palcoscenico di debutto della nuova stagione moda Primavera/Estate 2024 declinata al maschile. Presentata al pubblico lungo un percorso dinamico e fluido tra le differenti aree del polo espositivo, l’obiettivo che si ripropone Pitti Uomo è quello di offrire una visione precisa e puntuale delle dinamiche in atto nelle principali scene internazionali: i designer da osservare, i brand emergenti e i progetti speciali dei grandi protagonisti del fashion system.

Pitti Uomo 104
Pitti Games, tema di Pitti Uomo 104

Eli Russell Linnetz, guest designer della 104esima edizione del salone

L’asso nella manica per questa edizione è la firma del creativo californiano Eli Russell Linnetz, guest designer dell’edizione 104 della fiera. Founder e Creative Director della sua label ERL (a maggio 2022 ha collaborato con Dior, come guest designer per la collezione menswear Spring 2023, realizzando una capsule nata dal dialogo con Kim Jones), l’artista presenterà la nuova collezione del suo brand con un fashion show, in programma giovedì 15 giugno nel capoluogo toscano. Il designer offrirà al contempo, una rappresentazione del suo concept – caratterizzato da una combinazione simbiotica tra moda, cinema, fotografia e musica – attraverso un’installazione inedita.

Russell Linnetz, tra immaginazione e creazione, tra vero e verosimile, trasformerà il piazzale centrale della Fortezza da Basso in un set cinematografico, con riferimento a un celebre cult hollywoodiano, dando vita a storie in technicolor alle quali assistere come spettatori o partecipare come attori. «Un eclettismo consapevole di riferimenti culturali e di genere. Un talento nell’unire fiuto commerciale e libera creatività. Una rilettura originale, spesso ironica e dissacrante, dei luoghi comuni dell’America, quelli eterni e quelli di oggi. Sono questi gli elementi del profilo di Eli Russell Linnetz che hanno acceso il nostro interesse e la voglia di invitarlo a Firenze», commenta Lapo Cianchi, direttore comunicazione ed eventi speciali di Pitti Immagine.

Fendi, la sfilata nella Factory della maison, special guest di quest’anno

FENDI Special Guest di Pitti Uomo 104: questo poi, l’altro atout su cui può contare la kermesse toscana per l’edizione di giugno 2023. La Maison presenterà infatti, la collezione uomo Primavera/Estate 2024 a Firenze, in occasione della manifestazione dedicata alla moda maschile, con una sfilata speciale in programma il 15 giugno presso la FENDI Factory, il polo d’eccellenza del marchio italiano di lusso, recentemente inaugurata a Capannuccia, nel cuore della campagna toscana.

«Sono entusiasta che la prossima sfilata uomo si tenga in una location per me così speciale, il cuore pulsante di FENDI, un luogo simbolo della creazione dove sviluppo, innovazione, formazione artigianale e produzione sono uniti sotto lo stesso tetto», dichiara Silvia Venturini Fendi, Artistic Director of Accessories and Menswear di FENDI. «Con Silvia Venturini Fendi abbiamo un legame particolare – aggiunge Raffaello Napoleone, Amministratore Delegato di Pitti Immagine – costruito negli anni grazie a collaborazioni di diverso tipo, sempre a sostegno dei nuovi talenti. E soprattutto siamo fan della sua visione del vestire e del lifestyle maschile, della sua capacità di fondere in modo armonico e moderno elementi classici e spinte di radicale innovazione».

Pitti Uomo Fendi
Fendi Factory e gli artigiani Fendi, Capannuccia, Toscana (ph. Andrea Ferrari)

Dal classico all’informale, il percorso espositivo della fiera

825 marchi, dei quali il 41% proveniente dall’estero, popoleranno dunque gli spazi espositivi della Fortezza da Basso, attraverso le cinque le sezioni che compongono l’itinerario composito e poliedrico del Pitti Uomo: Fantastic Classic, Futuro Maschile, Dynamic Attitude, Superstyling e I Go Out. In un percorso integrato dal classico all’informale, senza tralasciare il campo della ricerca e della sperimentazione, saranno presentate le collezioni Primavera/Estate 2024, alla scoperta non soltanto del menswear, ma anche del lifestyle e del mondo articolato dell’outdoor – dal beachwear agli accessori per camping e walking.

Fantastic Classic e Futuro Maschile

L’evoluzione del classico nelle sue versioni più innovative e contemporanee trova ampio spazio in Fantastic Classic, che propone una selezione di brand autorevoli i quali partono dai codici del classico maschile, alla ricerca di dettagli e accostamenti inediti, dando vita a collezioni che guardano oltre la tradizione, pur rimanendo ancorati all’idea di un guardaroba ineccepibile. Futuro Maschile, una delle sezioni più visitate di Pitti Uomo, propone un viaggio attraverso gli stili del contemporary menswear più evoluto, raccontando l’attitudine disinvolta di un abbigliamento consapevole, che mixa tra classico e sportswear.

Dynamic Attitude e Superstyling

Nell’area Dynamic Attitude si incontrano brand simbolici, capaci di fondere nelle proprie collezioni capi assolutamente contemporanei tra sport e streetwear. Libertà e comfort diventano qui diktat quotidiani, declinandosi però in un design elegante, ma anche innovativo, con un’anima tecnologica. Brand internazionali ad alto tasso creativo sono presenti nella divisione Superstyling, il luogo dove trovano voce la ricerca di nuovi canoni stilistici che anticipano le tendenze e le scelte estetiche fuori dai soliti schemi, supportate da abilità sartoriale e da una visione in costante trasformazione.

I Go Out

Infine, I Go Out è la sezione del salone che interpreta il trend contemporaneo dell’outdoor style, ospitando la sua proposta trasversale di brand internazionali di abbigliamento, accessori e oggetti per la vita all’aperto, capaci di dialogare con il contesto urbano e la moda di ricerca. In Sala della Ronda, I Go Out si presenta con un nuovo allestimento curato da Sebastiano Tosi, designer svizzero che spazia dall’interior design all’advertising, il quale impiega per questo progetto un materiale innovativo, i-Mesh, un tessuto tecnico, sostenibile e personalizzabile creato per l’architettura.
Inoltre, grazie alla partecipazione speciale del brand giapponese Snow Peak, la sezione si estende anche all’esterno dell’area, in uno spazio all’aperto in Fortezza da Basso, dove l’outdoor trova nuove declinazioni, con una proposta di outfit e accessori legati ai mondi della bicicletta, della camminata, del campeggio. 

Conferme e debutti: i focus e le collab principali

Tra i focus speciali, S|Style, il progetto espositivo di Fondazione Pitti Discovery curato dalla fashion journalist Giorgia Cantarini, giunge alla sua settima edizione investendo su una selezione di brand eco-responsabili, innovativi e di ricerca. S|Style è il risultato di uno scouting tra le giovani generazioni di designer che fanno della sostenibilità ambientale e del rispetto per il Pianeta due presupposti imprescindibili per avviare la propria attività creativa. Inoltre, la sezione accoglie per la prima volta una partnership esclusiva con Kering Material Innovation Lab, Centro di ricerca interno al gruppo Kering impegnato a favore della riduzione dell’impatto ambientale. Nell’ambito di questa collaborazione, il Kering MIL mette a disposizione dei designer di S|Style una biblioteca di materiali e tessuti certificati per la realizzazione di una capsule che debutterà al Pitti.

Il ritorno di Pittipets

Dopo il successo della scorsa edizione invernale poi – grazie alla quale Pitti Uomo è riuscito a intercettare un segmento di mercato in forte crescita – torna Pittipets, l’area dedicata agli accessori e al lifestyle per gli animali (cani e gatti). La sezione, espressamente disegnata da Ilaria Marelli, architetto e designer che ha firmato importanti allestimenti per brand lifestyle internazionali, mette in mostra i brand che con le loro creazioni – abbigliamento, accessori, prodotti per la cura degli animali, oggetti e arredi per la casa – stanno rivoluzionando il mondo degli animali domestici.

Inoltre, con una speciale installazione alla Sala delle Nazioni, Chulaap è il Designer Project di Pitti Uomo 104. Marchio di abbigliamento maschile audace e vivace, che si è guadagnato un seguito globale grazie al suo approccio unico e innovativo alle stampe, Chulaap illumina la fortezza con l’Happy Fashion di cui si fa abile interprete e portatore. E il 14 giugno, è anche protagonista di una presentazione tenuta dal fondatore Chu Suwannapha, noto anche come il The Prince of Prints per la sua abilità nell’uso delle forme, dei motivi e dei colori.

Pitti Uomo 104 brand
Pitti Games, tema di Pitti Uomo 104

Designer, brand e progetti di caratura internazionale a Pitti 104

Il capitolo delle collaborazioni internazionali a Pitti Uomo trova infine, nuovo vigore e slancio in questa edizione. Sono riconfermati innanzitutto, i progetti espositivi Scandinavian Manifesto, che premia la scena della moda nordica più innovativa, e J∞Quality, che riunisce cinque realtà manifatturiere giapponesi certificate. Debutta a giugno poi, il progetto speciale Detroitissimi che presenta un collettivo di sei brand basati a Detroit – Michigan, importante distretto manifatturiero di abbigliamento e accessori.

Uno showcase che vuole esprimere il meglio della creatività made in Detroit: dal denim handmade agli accessori, dai tagli sartoriali allo streetwear sostenibile. Anche lo spazio espositivo sarà animato dal graffiti artist Mike Han, che porta in Fortezza la street art di Detroit con performance dal vivo. Tra le altre novità provenienti dall’estero, anche l’azienda cinese Consinee, player di riferimento nel mondo della filatura, che presenta a Pitti Uomo uno special project curato da Labelhood, incubatore fashion e tra i più innovativi retailer in Cina, svelandoci le caspule di una selezione di designer di ricerca realizzate con i filati sostenibili del marchio orientale.

Antonio Folletto: talento, entusiasmo e passione

Tra i più amati interpreti del cinema italiano, Antonio Folletto, 35 anni, è reduce dal successo della serie RAI Il nostro generale, incentrata sulla figura di Carlo Alberto dalla Chiesa, in cui recita accanto a Sergio Castellitto. Diplomato all’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico, ha raggiunto la notorietà tra il grande pubblico nel 2016 grazie al ruolo di ‘o Principe nella seconda stagione della serie di culto Gomorra.
Napoletano, con la passione per il calcio, nel 2015 lo avevamo già visto al fianco di Juliette Binoche nel film L’attesa di Piero Messina, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Successivamente, viene scelto da Carlo Carlei per I bastardi di Pizzofalcone e nel 2019 è sul red carpet della Festa del Cinema di Roma con La vacanza, per la regia di Enrico Iannaccone.

Nel 2021 poi è protagonista con Francesco di Leva nella pellicola Come prima del regista francese Tommy Weber, e nel cast della serie Sky diretta da Gabriele Muccino, A casa tutti bene. Una carriera tra teatro prima e cinema dopo, ma se gli si chiede quale sia tra tutti il ruolo che ha amato di più, ci risponde che è difficile scegliere. Riconfermato nel ruolo del fedifrago Diego, nel cast della seconda stagione di A casa tutti bene, Folletto è il protagonista della digital cover di MANINTOWN.

Antonio Folletto 2023
Total look Dior Men

“C’è sempre qualcosa di tuo in ogni personaggio, devi sposarne la causa e cerchi comunque in qualche modo di proteggerlo”

Sei reduce dal successo de Il nostro generale, accanto a Sergio Castellitto, che ha riscosso un grande consenso da parte della critica e del pubblico. Come valuti questa esperienza?

È stata una grande esperienza, mi ha dato modo di lavorare a qualcosa di molto importante con grandissimi professionisti. Sono davvero contento soprattutto che i giovani abbiano seguito la serie, perché non c’è molta conoscenza di un periodo che invece è stato determinante per quello che siamo oggi, e sicuramente è stata un’ottima opportunità di studio anche per me, che in quegli anni non c’ero.

Sei tra i protagonisti del cast di A casa tutti bene – La  serie, diretta da Gabriele Muccino e giunta alla seconda stagione. Sei legato al personaggio di Diego? Cosa ci hai messo di tuo per costruirlo?

Sono molto legato al personaggio, è inevitabile in qualunque ruolo interpreti. Qui ho avuto l’opportunità di lavorare con Gabriele, un grandissimo regista e un grandissimo direttore di attori. È un piacere quando un regista dirige e ha perfettamente chiaro il quadro d’insieme.
C’è sempre qualcosa di tuo in ogni personaggio, devi sposarne la causa, poi ovviamente non sono d’accordo con tutto quello che fa Diego, però cerchi comunque in qualche modo di proteggere il tuo alter ego, di aderire il più possibile alle sue emozioni, al motivo per cui le prova, al perché fa degli errori. Qualsiasi attore è un filtro e si mette a disposizione della storia, dunque provo sempre a dare tutto me stesso affinché quella storia vada come la sceneggiatura richiede.

“Qualsiasi attore è un filtro e si mette a disposizione della storia”

Come evolve il tuo personaggio nei nuovi episodi della serie?

Diego cerca di sopravvivere al turbine degli eventi che gli sono accaduti. Per lui è una reazione a catena continua, è come se non si fermasse mai, qualunque cosa gli accada, non si ferma e prova costantemente a venire fuori da determinate situazioni.

Come ti sei avvicinato al mondo della recitazione e quando hai capito che era quella la tua strada?

Ho frequentato la scuola di recitazione Teatro Azione e poi ho avuto la fortuna di essere preso all’Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio d’Amico. Quando inizi a frequentare una scuola simile, ti rendi conto che non puoi fare questo mestiere se veramente non lo desideri, perché ti impegna tanto, la frequenti dal lunedì al sabato, da mattina a sera, impegnato a fare prove, a leggere, a studiare, quindi se non hai veramente una passione, se non sei dedito a questo al 100%, sicuramente non riesci.
Prima di quello, non ho avuto l’illuminazione, credo però ci sia sempre stata una fascinazione per il cinema. Quando da piccolo vedevo i film in sala ed ero così tanto colpito da ciò che mi comunicavano, che desideravo farli anch’io. La presa di coscienza del fatto che tutto questo fosse possibile è avvenuta quando ho iniziato a lavorare, vedendo che potevo pagarmi da vivere con la mia passione.

Antonio Folletto
Sweater Polo Ralph Lauren

“Se non hai veramente una passione, se non sei dedito a questo lavoro al 100%, sicuramente non riesci”

Il ruolo a cui sei più legato?

È difficile scegliere, sarebbe come fare un torto agli altri. Sicuramente quello di Gomorra è stato un bellissimo viaggio, lo porto sempre con me. Anche A casa tutti bene, non mi aspettavo che le persone si affezionassero a una canaglia come Diego. C’è un ruolo in particolare a cui sono legato, è quello in Ho amici in paradiso (per la regia di Fabrizio Maria Cortese, ndr), un film in cui interpreto un ragazzo che ha il morbo di Pott.  Abbiamo girato a Roma, nella Casa San Giuseppe dell’Opera Don Guanella, dove ci sono vari ospiti, ognuno con una malattia diversa. Nel cast ci sono gli attori, dunque io, Fabrizio Ferracane e Valentina Cervi, tra gli altri, e poi ci sono loro, quelli “veri”. Ecco, questa è una cosa che porto cara nel cuore, è stato davvero gratificante lavorare a questo progetto.

Antonio Folletto serie
Total look Zegna

Autori o generi di riferimento?

Mi piace guardare e seguire tutto ciò che mi emoziona, che mi stupisce, che mi insegna qualcosa, tutto ciò che è un’opportunità di crescita a livello umano. Certo, ho i miei miti: Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Totò, Massimo Troisi. E poi i registi Dino Risi e Mario Monicelli. Guardo a nomi del genere con molta nostalgia, mi rendo conto che quei film erano dei capolavori assoluti ma ho fiducia, perché c’è una nuova generazione davvero in gamba, che sta crescendo parecchio.

“Spero sempre che il viaggio più bello sia quello che verrà”

Hai posato davanti all’obiettivo di Cosimo Buccolieri per la fashion story di MANINTOWN. Com’è andata e che rapporto hai con la moda?

Mi sono divertito veramente tanto. Posare per degli scatti fashion è assai diverso dal girare sul set di un film, un altro mondo. Però mi diverto molto, ci gioco, cerco di non prendermi troppo sul serio e credo che per me sia l’unico modo di farlo, altrimenti non ci riuscirei, mi paralizzerei.
La moda mi piace, è uno stimolo continuo.

Hai altre passioni al di fuori del cinema?

La mia più grande passione è il calcio, sono un grande tifoso del Napoli, questo è un anno molto bello. Poi la cosa che mi piace di più è viaggiare.

Il viaggio più bello?

Una decina di anni fa, un viaggio-lavoro in Sudamerica. Sono stati sei mesi bellissimi, tra l’Uruguay e l’Argentina. Ma tutti i viaggi che ho fatto sono indimenticabili, spero sempre che il più bello sia quello che verrà.

“Vorrei fare questo mestiere finché mi fa battere il cuore e mantenere sempre un sano entusiasmo”

A cosa stai lavorando attualmente? Film, serie o altri progetti in arrivo nei prossimi mesi di cui puoi anticiparci qualcosa?

Uscirà un film a cui tengo tanto, Shukran, che abbiamo girato quest’estate (diretto da Pietro Malegori, ndr). Poi sto lavorando a un film, Sottocoperta (per la regia di Simona Cocozza, ndr).

Qual’è il tuo sogno professionale più grande?

Fare questo mestiere finché mi fa battere il cuore, spero dunque per tanto tempo, e mantenere sempre un sano entusiasmo.

Antonio Folletto film
Total look Brunello Cucinelli

Credits

Talent Antonio Folletto

Editor in Chief Federico Poletti

Text Giulia Cangianiello

Photographer Cosimo Buccolieri

Stylist Stefania Sciortino

Grooming Marco Roscino

Ph. assistant Antonio Crotti

Stylist assistant Federica Mele

Nell’immagine in apertura, Antonio Folletto indossa total look Dior Men

Giulia Schiavo, attrice centrata e consapevole

27 anni, originaria di Orvieto, giovane e talentuosa attrice italiana, Giulia Schiavo fa il suo debutto in televisione nel 2017 nella quarta stagione della serie Rai Che Dio ci aiuti. L’anno successivo viene poi scelta per il ruolo di Alice nel cast della serie di successo Skam Italia, diretta da Ludovico Bessegato, parte che le regala grande notorietà di pubblico. Approda quindi al cinema nel film di esordio di Francesco Carnesecchi, La partita. Sempre nel 2018, la ritroviamo nella soap opera di culto Rai, Un posto al sole, nei panni della bella e ambiziosa Vera Viscardi e poi, nella seconda stagione de L’allieva. Due anni dopo, Giulia è Mara nel film Netflix Sotto il sole di Riccione, diretto dagli YouNuts!.

Giulia Schiavo
Dress H&M Innovation

Il ruolo nella serie Mediaset Il Patriarca

L’orvietana, diplomata all’accademia YD’ Actors, sarà coprotagonista affianco a Claudio Amendola nella nuova serie Mediaset Il Patriarca: «È stata un’esperienza che mi ha regalato tanto, un viaggio durato sei mesi molto intensi, tra Lazio e Puglia, su un set in cui si respirava ogni giorno una grande umanità», ci racconta. E aggiunge, a proposito dell’interprete romano, con cui ha avuto l’opportunità di collaborare per questo progetto: «Penso che Claudio sia come un padre artistico per me, ha saputo guidarmi in questo viaggio con una generosità e dolcezza come non se ne trovano quasi mai».

In Il Patriarca, la Schiavo veste i panni di Nina: «Il personaggio che interpreto è una ragazza molto ambiziosa, borghese e dall’aria sofisticata che sogna di diventare un’artista di successo a Parigi. Non appena torna a Levante, dalla sua famiglia, si trova coinvolta in dinamiche molto più grandi di lei che non sarà affatto facile gestire».

Giulia Schiavo attrice
Dress stylist’s archive

“Con la recitazione ho capito di aver trovato il mio posto”

Una carriera in forte ascesa quella dell’attrice umbra dunque, da sempre affascinata dal mondo della recitazione: «Da piccola mi divertiva osservare e imitare gli animali, un piccolo spazio diventava una scenografia di cui dovevo decidere ogni dettaglio. Crescendo ho realizzato che intrattenere un pubblico e connettermi con esso stava diventando un’esigenza. Mi sono trasferita a Roma per studiare le tecniche cinematografiche e quando sono iniziati ad arrivare i primi risultati ho capito di aver trovato il mio posto».

Occhi azzurri e sguardo ammaliante, Giulia Schiavo è protagonista della fashion story di MANINTOWN: «Scattare con Davide Musto è stato bellissimo, è un artista incredibile. Tendo ad essere molto critica nei miei confronti e mi è spesso capitato di non vedermi bene in foto. Quando ho visto le anteprime degli scatti di Davide sono rimasta impressionata da quanto avesse capito la mia essenza, è stato come se mi avesse letto dentro. Una sensazione che solo i grandi possono restituirti», ci dice. «Mi sono divertita tantissimo a giocare e cambiare mood tra un look e l’altro. La moda, nel mio immaginifico, è la personificazione della nostra energia, in continua trasformazione. Un concetto che mi affascina», conclude l’attrice.

Giulia Schiavo 2023
Shirt and skirt Alessandro Enriquez, shoes Vic Matié

Giulia Schiavo serie
Jacket Veronica Iorio

Credits

Talent Giulia Schiavo

Editor in Chief Federico Poletti

Text Giulia Cangianiello

Photographer Davide Musto

Stylist Andreas Mercante

Stylist assistant Valentina Calicchio, Edoardo Andrini

Ph. assistant Valentina Ciampaglia

Make-up Lorena Leonardis @Cotril

Make-up assistant Anna Gioia Catone

Nell’immagine in apertura, Giulia Schiavo indossa abito H&M Innovation

Stranizza d’Amuri: l’inno alla vita di Giuseppe Fiorello

Golden Goose si fa promotore del film poetico del neoregista, celebrando l’universalità dell’amore

Il delitto di Giarre è un fatto di cronaca che ha segnato l’Italia negli anni Ottanta: era il 31 ottobre del 1980 quando, in un paese in provincia di Catania, Giorgio e Antonio furono uccisi. La loro unica colpa era quella di amarsi. Questo terribile episodio, rimasto impunito, è diventato fondamentale nella storia del movimento di liberazione omosessuale italiano, portando alla fondazione del primo circolo Arcigay. Da questa vicenda trae ispirazione Stranizza d’Amuri, film intenso e autentico che celebra l’esordio alla regia di Giuseppe Fiorello. A supportare la realizzazione del lungometraggio, il brand Golden Goose che si fa promotore dei valori di libertà e universalità dell’amore.

Locandina di Stranizza d’Amuri di Giuseppe Fiorello

Vero e proprio inno alla vita, per rendere memoria alle due vittime indimenticate, Beppe Fiorello pesca tanto dalla cronaca, quanto dalla memoria, quella della sua giovinezza in Sicilia, e riadatta la narrazione trasportandola nel 1982, durante la celebre estate dei mondiali della nazionale di Bearzot.

Stranizza d’Amuri di Giuseppe Fiorello: una narrazione genuina e autentica

Sullo sfondo del racconto spiccano gli scenari tipici isolani, caratterizzati da forti e talvolta violenti contrasti paesaggistici e cromatici che fanno da contrappunto a quelli culturali. Da una parte il mare cristallino, con i suoi infiniti colori, e la campagna, nella quale si svolgono scene quotidiane di vita caratterizzate da convivialità e condivisione; dall’altra le ciminiere, le cave e i luoghi chiusi e claustrofobici che vanno a braccetto con la mentalità ottusa e patriarcale, maschilista e omofobica che caratterizza tradizioni e modi di pensare dominanti in queste aree. La storia – di amicizia e amore – si snoda lentamente nel mezzo di questi estremi. Protagonisti del legame forte e intenso e, al contempo, puro e innocente, sono Gianni e Nino, interpretati da Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto (volto noto di Amici di Maria de Filippi).

I due protagonisti Gianni e Nino (interpretati da Gabriele Pizzurro e Samuele Segreto) in una scena del film

Non un semplice film LGBTQ+ di denuncia, ma un messaggio potente, poetico e genuino, delicato e travolgente, duro e drammatico. Una storia multidimensionale raccontata senza filtri o retorica mettendo in luce al di là del pregiudizio, un sistema di valori violenti e discriminatori che rappresentano un’intera società.

Giuseppe Fiorello e Samuele Segreto sul set di Stranizza D’Amuri

Stranizza d’Amuri “storia di un’amicizia e di un amore senza tempo” e il supporto di Golden Goose

Golden Goose, la cui filosofia aziendale condivide i valori di rispetto e inclusività, nonché dell’universalità dell’amore, ha supportato la pellicola, contribuendo alla realizzazione di questo progetto.

In Golden Goose crediamo che ogni piccola azione, fatta assieme, possa rendere il mondo migliore. Insieme, fieri di chi siamo e orgogliosi della nostra autenticità”, afferma il CEO, Silvio Campara – “Quella intrapresa dal nostro brand è per definizione una ‘storia d’amore’ in ogni sua dimensione: da tutti gli artigiani che creano il nostro prodotto fino a tutte le persone che ogni giorno lo vivono e lo raccontano in modo unico nel mondo”. 

Il titolo Stanizza d’Amuri è preso in prestito da un brano di Franco Battiato, cantautore siciliano di cui Fiorello è grandissimo fan. “Stranizza d’Amuri è la storia di un’amicizia e di un amore senza tempo, mai consumato e per sempre ricordato ma è anche titolo di una canzone di Franco Battiato – autore alle cui canzoni sono legati miei personali ricordi ed emozioni di una adolescenza trascorsa tra i quartieri e le strade della mia Sicilia”, commenta il regista. “I due giovanissimi attori protagonisti e tutto il cast hanno saputo dare grandissima profondità e umanità ai personaggi. Sono ancora molto emozionato, soprattutto per la storia che ho deciso di raccontare, un fatto di cronaca che non ho mai dimenticato.”

A Milano va in scena la fotografia con MIA Fair 2023

MANINTOWN per il secondo anno è presente in fiera come Media Partner

Fino a domenica 26 marzo 2023 Milano è protagonista della fotografia con MIA Fair 2023, la più importante fiera italiana interamente dedicata all’immagine fotografica, che quest’anno giunge alla sua XII edizione. Per la terza volta, gli spazi espositivi del Superstudio Maxi diventano palcoscenico internazionale per oltre 100 espositori: 80 gallerie, di cui il 30 % provenienti dall’estero (che compongono la Main section della manifestazione), e ben 16 progetti speciali. Per la prima volta, MIA Fair opera, sotto il profilo organizzativo, con Fiere di Parma, dopo il suo ingresso nel gruppo. La città meneghina, grazie a Milano Image Art Fair, rassegna ideata da Fabio Castelli, diventa così il cuore pulsante dell’arte fotografica, rafforzando il rapporto con la comunità internazionale di artisti, curatori e galleristi del mondo della fotografia. E dopo il successo dello scorso anno con la mostra Nuovo Cinema Purgatorio di Davide Musto, anche quest’anno MANINTOWN – a sottolineare la sua vocazione allo scouting di nuovi talenti anche nel campo dell’arte fotografica – consolida il suo legame con la manifestazione, questa volta in qualità di Media Partner.

Davide Bramante, MIA MI, 2022, dalla serie Città Ideali, c-print. Courtesy Fabbrica Eos Milano

Come ogni edizione, l’immagine coordinata della fiera è affidata a un artista particolarmente significativo nel panorama internazionale: quest’anno a rappresentare l’evento è Davide Bramante, fotografo siciliano di Siracusa, figura di spicco nel campo, con la sua opera MIA MI, appartenente alla serie Città ideali. In MIA MI, che vuole mettere il luce in maniera significativa la forte connessione di MIA Fair con Milano, il Duomo, simbolo della città, si mescola a immagini che rimandano ad altre suggestioni, evidenziando il carattere multiculturale e cosmopolita della città.

I Premi di MIA Fair 2023

BNL BNP Paribas, Main Sponsor della fiera, promuove il Premio BNL BNP Paribas, riconoscimento che sottolinea il forte interesse di BNL BNP Paribas nello sviluppo della cultura e nella ricerca dell’arte contemporanea in Italia. Quest’anno la giuria ha premiato Miss Butterfly di Shadi Ghadirian, presentata dalla Galleria Podbielski Contemporary di Milano. “L’artista è riuscita a creare un’immagine emozionale, che con forza poetica parla a tutti noi e di tutti noi. C’è una ragnatela tra noi e la luce, la libertà al di là delle sbarre. C’è la volontà del volo e la speranza di superare la ragnatela” spiega la Giuria.

Vincitrice Premio BNL BNP Paribas – Shadi Ghadirian, Miss_Butterfly, 2011 @ Podbielsky Contemporary Milano

Tra gli altri partner storici di MIA Fair, Eberhard & Co. promuove il progetto di Riccardo Boccuzzi (Monopoli, BA, 1986), regista, sceneggiatore ed esperto di new media, dal titolo Artificial Hell: una sequenza di opere inedite creata raccontando l’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri a una Intelligenza Artificiale. In particolare, Boccuzzi ha tradotto la cantica dantesca in descrizioni ed informazioni affinché l’intelligenza artificiale potesse comprenderla e trasformarla in arte figurativa.

La fiera si ditingue ogni anno Kiu per la qualità e la varietà dei premi assegnati. Tra questi, si segnala la IV edizione del Premio New Post Photography, curato da Gigliola Foschi, aperto a progetti di autori senza limiti di età o di nazionalità e senza vincoli tematici, che si propone di promuovere le tendenze più significative e innovative nell’universo dinamico e molteplice della fotografia contemporanea.

Inoltre, torna per la seconda volta il Premio IRINOX SAVE THE FOOD, a cura di Claudio Composti, supportato da Irinox S.p.A. che promuove artisti i quali, attraverso l’uso dell’immagine, hanno affrontato il tema cibo, argomento quanto mai presente nella storia dell’umanità non solo come bisogno primario, ma portatore di forti simbologie e di importanti implicazioni antropologico-sociali. 

Vincitrice Premio Irinox Save The Food – Maria Giovanna Giuliano, Ordinary Pleasures, 2022, fotografia digitale, stampa digitale cromogenica

I Pogetti Speciali presentati al MIA Fair

 Oltre alla Main section e ai premi, MIA Fair si completa con una serie di Progetti speciali.

Reportage Beyond Reportage, curato da Emanuela Mazzonis di Pralafera, vuole evidenziare le diverse sfumature che il reportage ha assunto oggi, sia esso declinato sotto forma di fotografia documentaria, fotogiornalismo o street photography. Non è più da considerarsi essenzialmente come una testimonianza di eventi cruenti, insoliti o straordinari, ma un racconto potente di una storia normale, che accade nella quotidianità e che diventa unica. La sezione propone le immagini di fotografi rappresentati da gallerie presenti a MIA Fair, il cui lavoro racconta storie di vita, di guerra, di flussi migratori, di libertà, di speranza, di disastri naturali e climatici, di sport e di condivisione.

La sezione Beyond Photography – Dialogue, curata da Domenico de Chirico, è rivolta alle gallerie con un’attività focalizzata sulla promozione di artisti internazionali, il cui progetto espositivo è volto alla creazione di un dialogo tra fotografia e altri media come scultura, installazione, pittura e video.

BDC – Bonanni Del Rio Catalog, polo culturale di Parma promuove invece, la seconda edizione di La Nuova Scelta Italiana. Il Premio mira a valorizzare il lavoro di quegli artisti che stanno segnando l’evoluzione del linguaggio fotografico, nomi degni di essere affiancati ai grandi fotografi del passato che compongono l’originaria raccolta Bonanni Del Rio Catalog. Gli artisti vincitori di quest’anno sono Luca Campigotto e Paola De Pietri che espongono le loro opere a MIA Fair 2023.

Di grande intensità è il progetto Underskin, Stories from Iran che si focalizza sull’Iran, analizzando, attraverso l’arte e la fotografia, la delicata situazione politica e sociale che in cui si trova il Paese.  Il progetto, a cura di Rischa Paterlini, presenta alcune opere di artisti iraniani, emergenti e affermati, residenti in Iran o all’estero e rappresentati da gallerie provenienti da diversi continenti.

Giuseppe Lo Schiavo, Daphne and the Ocean, 2023. Courtesy Giuseppe Lo Schiavo, Spazio Nuovo

L’Area Talk di MIA Fair ospita infine un ricco programma culturale e di presentazioni editoriali: il calendario completo è su www.miafair.it.

MANINTOWN Magazine, edito da MI-Hub Agency, è presente in fiera nell’area dedicata ai media partner. Sono esposti e offerti ai visitatori tutti gli ultimi numeri cartacei del magazine, nei quali la fotografia è assoluta protagonista, grazie ai numerosi servizi editoriali in-house scattati da diversi talentosi fotografi italiani, che vedono protagonisti gli artisti emergenti del mondo della musica e del cinema di cui MANINTOWN si fa scouter e promotore.

Emma Summertone, Motel 8, 2005. Courtesy Cristophe Guye Galerie

MIA Fair | Milan Image Art Fair 2023

Milano, SUPERSTUDIO MAXI (via Moncucco 35 – MM Famagosta)

23 – 26 marzo 2023

Orari:

Giovedì 23 marzo, 12.00 – 21.00

Venerdì 24 marzo, 12.00 – 21.00

Sabato 25 marzo, 11.00 – 20.00

Domenica 26 marzo, 11.00 – 20.00

Gian Paolo Barbieri: Unconventional, una mostra a colori

Il titolo della mostra, Gian Paolo Barbieri: Unconventional, rivela subito il taglio inedito della personale dedicata al grande maestro della fotografia. Una selezione di scatti a colori che mette in luce una parte meno conosciuta della vasta produzione dell’artista – tra i fotografi internazionali più influenti nell’ambito della moda – è esposta al pubblico presso 29 Arts in Progress. La galleria d’arte fotografica, situata nel quartiere milanese Sant’Ambrogio, che ha sempre rappresentato, fin dalla sua apertura, il lavoro di autori riconosciuti a livello internazionale e si concentra in particolar modo sul ritratto e sulla fotografia di moda, celebra Gian Paolo Barbieri con un’esposizione senza precedenti.

Fino al 25 marzo 2023 è possibile ammirare, infatti, una serie inconsueta di scatti, non immediatamente riconducibili all’obiettivo del creativo – vincitore nel 2018 del premio Lucie Award come Miglior Fotografo di Moda Internazionale. Si tratta di una sequenza di immagini innovative per location e styling, che si distinguono per un carattere ironico e provocatorio, ma al contempo ricercato e sofisticato. I rimandi alla storia dell’arte, alle ambientazioni eclettiche in luoghi esotici e i richiami a citazioni cinematografiche – provenienti, queste, dalle esperienze giovanili di Barbieri presso gli studi di Cinecittà a Roma, si susseguono nel percorso espositivo.

Luca Casulli, direttore della galleria meneghina, ci spiega: «La mostra si propone di far conoscere al pubblico un Gian Paolo Barbieri più contemporaneo attraverso scatti ambientati in location all’aperto, privilegiando l’outdoor rispetto allo studio, oltre a modelle e, in generale, pose e composizioni più spontanee, a volte ironiche, senza però mai rinunciare alle citazioni legate alla storia dell’arte e a quella letteraria e cinematografica, che rappresentano la cifra dell’autore».

Gian Paolo Barbieri top model
Alberta Tiburzi, Kenya, 1969 – Courtesy of Fondazione Gian Paolo Barbieri _ 29 Arts in Progress gallery

Un corpus fotografico meno noto, ma emblematico della cifra autoriale di Barbieri

Un ensemble anticonvenzionale nella poetica dell’artista, che si distacca radicalmente dal resto del suo lavoro, anche e soprattutto per l’uso dei colori. Il bianco e nero infatti, l’artificio prescelto da Barbieri per ritrarre i suoi soggetti, caratterizza la cifra stilistica del fotografo milanese. Un virtuosismo che permette di restituire figure che appaiono, così, distanti e inarrivabili, austere e sofisticate. Nelle immagini in mostra, il colore svolge invece una funzione inattesa, permettendo all’artista di fornire un’interpretazione  personale e innovativa della moda e della bellezza femminile: le donne si liberano per l’occasione delle pose più canoniche della fotografia fashion e assurgono a testimoni di una nuova eleganza, che ne sottolinea l’anima più disinibita e sensuale.

Gian Paolo Barbieri campagne
Gian Paolo Barbieri – Eva Herzigova, Milano, 1997 – Courtesy of Fondazione Gian Paolo Barbieri _ 29 Arts in Progress gallery

Quella messa in scena da Gian Paolo Barbieri: Unconventional è una narrazione attenta nella quale immagini più intime e spontanee di modelle e personaggi celebri come Eva Herzigova, Isa Stoppi e Donatella Versace, si alternano a fotografie iconiche tratte da alcune leggendarie campagne pubblicitarie, realizzate dall’artista per brand di moda italiani e internazionali, come Versace, Ferré, Vivienne Westwood, Dolce & Gabbana, Valentino e Armani. 

«In una sala, dedicata alla produzione di Barbieri degli anni Novanta, sono raccolte foto (tutte inedite) di campagne realizzate tra gli altri per Versace, Valentino e Ferré, che citano l’immaginario del film La dolce vita. Altri due scatti per Vogue Italia, con le veneziane abbassate e la luce soffusa, omaggiano invece American Gigolò. Qui Barbieri voleva veicolare
il fenomeno (in via di sviluppo) dell’edonismo di massa, caratteristico di un periodo, quello dei primi anni Ottanta, in cui cominciava ad imporsi il culto, la ricerca ossessiva della bellezza», ci racconta Casulli.

I riferimenti letterari, cinematografici e artistici da cogliere nelle immagini

Tra ritratti inediti e immagini dipinte a mano, l’exhibition di 29 Arts in Progress racconta la creatività e l’irriverenza di un artista, il quale ha sempre attinto al mondo delle arti visive per valorizzare e supportare quello della moda, elevata in tal modo al di sopra del proprio valore d’uso e della sua funzionalità. «Da sempre amo l’arte, in tutte le sue declinazioni. Fin da piccolo l’ispirazione al teatro e al cinema furono una spinta importante. Poi leggendo tanto, studiando l’arte classica, guardando ai maestri del passato o semplicemente guardandomi intorno e prendendo spunto da ciò che si animava intorno a me, sviluppavo il mio occhio artistico. Immaginavo e disegnavo nella mia mente ciò che avrei voluto fosse il risultato del servizio, costruivo i miei set in maniera impeccabile, sempre con una citazione, più o meno esplicita, all’arte, al cinema o all’architettura» (Gian Paolo Barbieri).

Il direttore di 29 Arts in Progress ci svela poi alcuni retroscena relativi agli scatti in mostra.

«In scatti più recenti, del 2016, per omaggiare i 400 anni dalla scomparsa di Shakespeare, Barbieri ha reinterpretato i cardini dell’opera del grande drammaturgo inglese, nel caso specifico ha trasformato Ofelia in una figura maschile, un supermodel brasiliano, riprendendo la tradizione del teatro settecentesco, in cui anche i personaggi femminili venivano impersonati da uomini».

Gian Paolo Barbieri arte
Gian Paolo Barbieri, Ophelia, Milano 2016 – Courtesy of Fondazione Gian Paolo Barbieri _ 29 Arts in Progress gallery

In mostra scatti di campagne per le maison più prestigiosi e omaggi a opere d’arte immortali

«Anche questo scatto, che ritrae la danzatrice di burlesque Janet Fischietto, si ispira all’opera di
Shakespeare. Barbieri ne ha curato anche lo styling, usando sandali di Giuseppe Zanotti creati ad hoc per lo scatto, intitolato La bisbetica domata. Anche qui si gioca con ironia sulla tragedia shakespeariana, la teatralità di Barbieri viene declinata in una chiave più moderna, grafica».

Gian Paolo Barbieri Shakespeare
Gian Paolo Barbieri – La Bisbetica domata, 2017 – Courtesy of Fondazione Gian Paolo Barbieri _ 29 Arts in Progress gallery

«Questa foto appartiene a una campagna per Vivienne Westwood degli anni Novanta, la modella in realtà non è seduta, l’effetto è dato dalla falsa prospettiva; qui Barbieri ha realizzato anche dei fondali, dipinti a mano, e per dare l’effetto sfocato che si nota nell’immagine ha applicato della vasellina sull’obiettivo fotografico. Oltre a scattare, Barbieri ha sempre coltivato altre passioni e abilità, in primis la pittura e il disegno, il suo lavoro è sempre stato multidisciplinare, trasversale».

Gian Paolo Barbieri citazioni
Gian Paolo Barbieri – Vivienne Westwood Londra 1998 – Courtesy of Fondazione Gian Paolo Barbieri _ 29 Arts in Progress gallery

Il lavoro immenso di un maestro dell’obiettivo che, col suo lavoro, ha contribuito a plasmare la fotografia di moda

Gian Paolo Barbieri, che ha riempito, con i suoi scatti iconici e senza tempo, per interi decenni, le pagine di Vogue Italia, Vogue Paris, Vogue America, L’Officiel, GQ e Vanity Fair, ed è inserito all’interno delle più prestigiose collezioni museali (tra cui il Victoria and Albert Museum e la National Portrait Gallery di Londra, il Kunstforum di Vienna, il Palazzo Reale di Milano, il MAMM di Mosca e il Musée du quai Branly di Parigi), è celebrato a Milano attraverso un corpus di immagini che, seppur meno noto, non tradiscono lo stile autoriale del fotografo.

La collezione esposta anzi, aprendo un varco nuovo che ci rivela infinite possibilità, propone una visione da un punto di vista inconsueto dell’opera dell’artista e offre una comprensione ancora più approfondita, seppur non esaustiva, del lavoro immenso di Gian Paolo Barbieri, che conta oltre un milione di scatti, ciascuno dei quali portatore di una propria simbologia e di un significato intrinseco, che ne fa un’opera d’arte unica e inconfondibile.

La mostra ha accompagnato anche l’uscita nei cinema italiani del primo docufilm sull’opera e la vita dell’artista, L’uomo e la bellezza, già vincitore del premio del pubblico al Biografilm Festival 2022 di Bologna.

Nell’immagine in apertura, Alberta Tiburzi, Kenya, 1969 – Courtesy of Fondazione Gian Paolo Barbieri _ 29 Arts in Progress gallery

Couturier visionario, artigiano spericolato, creativo controverso: addio a Paco Rabanne

Quasi 60 anni dopo il lancio della sua prima collezione, il cui titolo fu una sorta di manifesto della sua poetica, le métallurgiste de la mode (così lo definì Coco Chanel, non senza una vena polemica), è scomparso a Portsall all’età di 88 anni. Francesco Rabaneda y Cuervo, in arte Paco Rabanne, designer, artigiano, artista o vero e proprio genio – secondo le parole di Salvador Dalí, che di lui disse: “È il secondo genio più grande della Spagna, dopo di me” – se ne è andato, lasciandoci in eredità uno stile avveniristico, che si esprime con un linguaggio futuristico ancora prepotentemente attuale. Innovazione, sperimentazione, avanguardia, audacia e sfrontatezza, con una buona dose di provocazione: queste sono le caratteristiche che definiscono – seppur in maniera non esaustiva – la cifra stilistica di Paco Rabanne, potente e visionaria, che ha influenzato profondamente la moda a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Fu tra i massimi esponenti (assieme ad André Courrège e Pierre Cardin) dell’estetica Space Age, espressione di un’epoca della storia contemporanea scandita da sviluppi tecnologici, esplorazioni spaziali e corsa al progresso e che trova il suo momento simbolo nel 1969, con lo sbarco sulla Luna. Il suo immaginario era popolato da donne guerriere dalle apparenze robotiche, attraversate da bagliori lucenti; eroine postmoderne ricoperte da armature scintillanti fatte di metallo fluido – che assumono talvolta le sembianze di tute spaziali. Artista e artigiano esperto e curioso, con la verve da fabbro e un know-how da designer di gioielli, era capace di lavorare sapientemente materiali fino ad allora mai usati nel prêt-à-porter: le pinze e le tenaglie nelle sue mani sostituivano ago e filo per creare abiti e accessori – forgiati più che cuciti – a partire da metalli, come alluminio e lamine d’argento, ma anche plastica, plexiglass, carta e rhodoïd. 

Dalla Spagna alla prima emblematica sfilata: la storia del designer della Metal Couture

Paco Rabanne nasce nel 1934, nei Paesi Baschi, in Spagna, alla vigilia dello scoppio della Guerra Civile Spagnola. Per sfuggirvi, all’età di cinque anni si trasferisce in Francia assieme alla madre, ai tempi capo cucitrice dell’atelier Balenciaga (non conobbe mai il padre, un generale repubblicano fucilato dall’esercito di Franco). É proprio lei, tempo dopo, a indirizzarlo verso la moda. All’inizio degli Anni ’60, spinto dalla necessità di finanziarsi i suoi studi (dal 1952 al 1964, segue i corsi di architettura all’École Nationale des Beaux-Arts di Parigi), il giovane Francisco vende i suoi disegni e gli accessori da lui realizzati a Charles Jourdan e Roger Model: borse, bijoux, cappelli e fermagli. In parallelo, inizia a creare accessori di lusso artigianali per Givenchy, Pierre Cardin e Courrèges.

Più interessato all’innovazione che alla moda, nel 1965 l’architetto, influenzato dai movimenti d’avanguardia della Pop Art e dell’Arte Cinetica, abbraccia la rivoluzione dei materiali in atto in quell’epoca e lancia una sua linea di gioielli in rhodoïd, un materiale plastico a base di acetato di cellulosa leggero e rigido: la collezione, firmata Paco Rabanne, è un vero successo. Siamo nel 1966 quando fonda il suo brand omonimo, con una sfilata che assume le sembianze di un documento programmatico: all’Hotel Georges V di Parigi, i dodici abiti della collezione dal titolo eloquente (12 robes importables en matériaux contemporains) sono indossati da modelle di colore – sfidando i dettami etici, oltre che i codici linguistici, dell’allora rigido sistema moda –, che sfilano in passerella marciando sulle note di Marteau sans Maître di Pierre Boulez (mai prima di quel momento la musica aveva accompagnato un défilé). La sfilata del ’66 segna un momento emblematico nella storia del fashion, sancendo una rivoluzione che decreta una rottura con l’estetica vigente e dando vita a una nuova forma espressiva, in grado di minare le fondamenta della struttura dell’haute couture, ostinatamente radicata sulle sue convinzioni. I capi, caratterizzati da costruzioni inedite e dall’uso non convenzionale dei materiali, esprimono l’attitude sperimentale e avanguardista di Monsieur Rabanne, maestro nell’arte dell’assemblaggio: dodici abiti scultorei, costruiti con lastre di alluminio e rhodoïd unite da anelli metallici quadrati e rettangolari.

Ça va sans dire, l’evento fa scandalo nella Parigi di quei tempi e il couturier attira critiche da tutti i fronti, perfino da una Coco esterrefatta, la quale partorisce l’appellativo con cui oggi è celebrato, di “metallurgico della moda”: da lì in poi è ufficialmente riconosciuto come l’inventore della Metal Couture

Sperimentazione e savoir-faire: i codici del linguaggio avveniristico di Paco Rabanne

Un precursore che si muove con dimestichezza nel panorama dell’Alta Moda francese, lo sdegno del fashion system, lungi dal fermarlo, lo spinge ad andare oltre e ad esplorare ossessivamente i meandri della sperimentazione, coltivando la cosiddetta art du détournement. Sostituendo la tecnica della rivettatura alla cucitura, Paco Rabanne crea i suoi celebri abiti costituiti da piastre di alluminio che richiamano la cotta di maglia e che lasciano maliziosamente scoperte ampie parti del corpo. Progressivamente, introduce nella moda nuovi materiali: la carta, la corda, il legno e il vinile; è il primo a lavorare a maglia la pelliccia; è in grado di sottomettere al suo estro e alla volontà di testare, materiali improbabili come il vetro olografico o il tessuto a nido d’ape utilizzato dalla NASA. Rabanne non è interessato al comfort o alla comodità del capo, secondo lui, piuttosto: “La haute couture doit être importable. C’est un manifeste de rêve ”. 

La conferma della sua intuizione giunge un paio d’anni dopo quando Françoise Hardy, cantautrice e attrice, simbolo della generazione yéyé, per un concerto al cabaret Savoy di Londra nel 1968, indossa una creazione di Rabanne: una tuta metallica di 16 chili, così rigida da impedirle i movimenti sul palco. Ma il look avanguardistico della Hardy, che sul finire degli Anni ‘60 è considerata l’ambasciatrice della moda francese, rimane negli annali. E così, lo stilista basco inizia a vestire tutte le donne moderne e libere del suo tempo. 

Non solo in passerella: i tessuti luminescenti e i sottili fogli metallizzati di Paco Rabanne appaiono anche sul grande schermo. Prima, Audrey Hepburn nel 1967 nel film Two for the road indossa un abito simbolo della vocazione sperimentale del designer, plasmato a partire da piccoli dischi di plastica (e che si può ammirare oggi al Metropolitan Museum of Arts di New York). Poi, Jane Fonda, nel 1968, nei panni dell’avventuriera spaziale, protagonista della commedia fantascientifica Barbarella, sfoggia i tessuti fluidi e luminescenti dei capi inconfondibili dello stilista. E anche i personaggi simbolo dell’epoca, come Jane Birkin e Sylvie Vartan si fanno immortalare con addosso le creazioni iridescenti del maestro spagnolo. 

Uno sguardo proiettato al futuro: ricerca continua e uso sfrontato dei materiali

Instancabile nel suo obiettivo di ricerca e sperimentazione, l’artista prosegue per tutti gli anni successivi arricchendo continuamente le sue collezioni con materiali anticonvenzionali, tenendosi sempre al passo con i progressi scientifici e tecnologici: fogli metallizzati, tende di perle di legno, giornali, spugne, bottiglie d’acqua. Negli Anni ’90 poi, esplora le potenzialità sartoriali dei dischi laser, la fibra ottica e il plexiglas. Insieme al collega André Courrèges, si avvicina alla Sputnik couture, che si ispira ai romanzi di Asimov e Dick, dando vita a una “moda metallica”. Come conseguenza, le sue sfilate sono momenti attesissimi: delle odissee fantascientifiche in cui le mannequin si aggirano in passerella con sembianze robotiche, abbagliando con luci, riflessi e fulgori cosmici e mettendo in scena uno spettacolo futuribile, un connubio di estro creativo, savoir-faire, tecnica manifatturiera, sperimentazione e arte. Indimenticabile nel 1991, una Naomi Campbell che sembra arrivare direttamente dal futuro, ricoperta solo da un costume da bagno realizzato in maglia di metallo, diventato capo iconico della Maison.

La consacrazione nell’olimpo della moda arriva nel 1990, ventiquattro anni dopo la sua prima sfilata, quando Paco Rabanne viene insignito del Dé d’Or, il più prestigioso riconoscimento della Haute Couture. Ma lui, istrionico e, non a caso, passato alla storia anche come l’enfant terrible della moda francese, all’apice della sua carriera, afferma: “non è proprio il mio centro di interesse”. Eppure, il suo impero, venduto al gruppo spagnolo Puig nel 1986 (Rabanne continua a mantenere il suo ruolo a capo della direzione artistica della casa di moda fino al suo ritiro nel 1999), si dirama nei cinque continenti attraverso una miriade di licenze e alcune gemme, o meglio pietre miliari – best seller formato boccetta – nel campo dei profumi: Calandre, XS e poi One Million e Invictus. Inconfondibile la bottiglietta di Phantom, più recente, che emula le sembianze di un robottino. 

Il ritiro e il ritorno alle origini di Paco Rabanne

Il 1999 rappresenta l’Annus horribilis nella biografia di Paco Rabanne che, in accordo col gruppo Puig, si ritira dalla scena dell’alta moda, appendendo al chiodo i suoi attrezzi da saldatore. Austero, sempre in abito nero di rito e barba ben curata, Rabanne, uomo illuminato, colto e riservato, pioniere di un linguaggio futurista ma dall’anima nostalgica, decide di concludere la sua vita ritornando alle origini, quelle di Portsall. Il couturier si ri-trasferisce infine nel villaggio costiero affacciato sull’Oceano Atlantico, estrema punta della Bretagna, dove era cresciuto dopo essere stato sradicato dalla natia Spagna. 

Bisogna dare libero sfogo alle proprie intuizioni”, questo era il suo credo. Il suo carattere e il suo approccio al lavoro è stato plasmato durante gli anni tumultuosi della sua infanzia, divisa tra una madre militante marxista, che lo educò al pragmatismo, e una nonna esperta di esoterismo, che alimentava la sua fantasia con i suoi segreti di guaritrice. Negli ultimi due decenni è riapparso occasionalmente, ma sempre in veste di pittore o designer di arredi e mai in connessione con il marchio che porta il suo nome.

A partire dal 2013, Julien Dossena, dopo aver militato in Balenciaga, prende le redini della Maison francese come direttore creativo, raccogliendo un lascito complesso, e nel suo ruolo riesce a dare un nuovo slancio allo spirito avanguardista del brand.

Ad annunciare la scomparsa di Paco Rabanne, couturier visionario, artigiano spericolato, creativo controverso, i cui influssi sono evidenti nel lavoro di molti altri designer, è stato il gruppo Puig, il 3 febbraio 2023. Sull’account Instagram del brand si legge:

“La Maison Paco Rabanne desidera onorare il suo visionario stilista e fondatore, scomparso oggi all’età di 88 anni. Tra le figure più importanti della moda del XX secolo, la sua eredità rimarrà una costante fonte di ispirazione. Siamo grati a Monsieur Rabanne per aver creato il nostro patrimonio d’avanguardia e per aver definito un futuro di possibilità illimitate.”

This is! Undressed, il nuovo profumo di Zadig&Voltaire tra moda, design e sostenibilità

L’ispirazione arriva dalle creazioni del direttore creativo del marchio, Cecilia Bönström. Così nasce Undressed, ultima edizione di This is Her! e This is Him! di Zadig&Voltaire, brand francese di prêt-à-porter creato nel 1997 da Thierry Gillier. Un profumo cristallino dall’anima essenziale e pura, caratterizzato da un accordo olfattivo inedito, che evoca la sensazione inequivocabile della pelle nuda. Eau de parfum unica e senza tempo, Undressed si declina in due fragranze, per lui e per lei. Le due essenze, dalle note peculiari, dialogano e si completano dando vita a una storia di amore e di passione, come quella raccontata nella campagna adv di This is! Undressed. Protagonisti della narrazione i due modelli Maya Stepper e Mikkel Jensen che formano una coppia autentica, unita da un’alchimia perfetta – sul set come nella vita. Il racconto, ambientato in una Parigi romantica e bohémienne, è scandito in quattro capitoli in cui ogni momento di vita intima, dagli inizi fino alla passione crescente, fa riferimento a una delle fragranze della saga olfattiva This is! .

This is him! Undressed, il nuovo profumo per lui di Zadig&Voltaire

Un profumo dal design essenziale che richiama le collezioni del brand fashion

Anche il design minimalista e grafico di Undressed rimanda ai capi iconici di Zadig & Voltaire: dalle maxi etichette bianche dei flaconi e del packaging, che sono le stesse che si ritrovano sui vêtement delle collezioni del brand francese, alle ali simbolo del marchio, che appaiono sotto forma di decalcomania sul retro, fino agli slogan delle t-shirt con il collo alla tunisina stampate sulla confezione.

“Volevo mantenere il flacone il più puro possibile, trasferendogli, allo stesso tempo, l’identità delle mie collezioni uomo e donna. L’etichetta sulle fragranze si ispira a quella sui blazer da uomo. Le ali ora sono su ogni capo, non solo sui nostri accessori. Osservando il flacone vieni trascinato nell’universo Zadig&Voltaire. Non c’è bisogno di altro», spiega Cecilia Bönström, direttore artistico.

Due declinazioni per un profumo: This is her! e This is him! Undressed

Un profumo cristallino e avvolgente, Undressed rievoca la sensazione sensuale della pelle salata: l‘essenza interagisce con la pelle, in un equilibrio perfetto, proprio come un abito con il corpo e crea un connubio sensoriale tra chi la indossa e l’entourage. This is her! Undressed è una fragranza floreale boisé e speziata creata da Sidonie Lancesseur. La pelle salata riscaldata dai raggi del sole è l’immagine da cui scaturisce questa eau de parfum preziosa e sensuale: “This is Her! Undressed è una fragranza intima e sensuale. È un profumo personale e avvolgente, che dà fiducia in sé. Le note di fondo esprimono la personalità di una donna forte, libera, che infrange le regole”, racconta il naso della fragranza femminile.

This is her! Undressed, la nuova fragranza per lei di Zadig&Voltaire

This is him! è invece, una miscela legnosa speziata, ideata da Nathalie Lorson, rinvigorente ed energizzante, come la pelle che sa di sale dopo un bagno nell’oceano. “This is Him! Undressed è la fragranza per gli edonisti che amano il profumo naturale della pelle, per tutti coloro che desiderano affermare la propria personalità con la sua scia boisé e ambrata. Ma è anche per gli spiriti curiosi alla ricerca di nuove emozioni. Le note minerali sono arricchite dal sentore di muschio di quercia, un vero e proprio ingrediente per intenditori”, dice Lorson.

Dalla moda ai profumi, la sostenibilità come fil rouge di Zadig&Voltaire

Così come l’ispirazione dietro la nascita di Undressed, anche l’attenzione alla sostenibilità viene dalla filosofia di Zadig&Voltaire, nel rispetto dell’iniziativa VoltAIRe, l’ambizioso programma di Corporate Social Responsibility del marchio. Entrambe le fragranze, This is Her! e This is Him! sono state sviluppate con attenzione, optando per processi responsabili: le formule vegane prediligono gli ingredienti naturali e biologici come lo zenzero. Gli ingredienti poi, tra i quali i fiori d’arancio, l’ylang ylang e il legno di sandalo, sono raccolti secondo processi etici. Lo stesso principio ecologico è alla base anche della realizzazione del packaging: il flacone è prodotto in una versione alleggerita di vetro riciclato, mente Il materiale per gli astucci esterni proviene da foreste gestite in maniera sostenibile.

Gisada: “Artigianato olfattivo e precisione svizzera” nel mondo dei profumi

Un connubio sublime tra artigianato olfattivo e precisione svizzera nel mondo del lusso”. La storia di Gisada è iniziata a Zurigo nel 2013 da un sogno, quello di due fratelli con il desiderio di esprimere la loro passione per i profumi in modo inedito e innovativo, collaborando al contempo con nasi dalla visione chiara e lungimirante. Oggi, la Maison di fragranze, il cui logo prende ispirazione dall’idea sublime del volo, è sinonimo di eleganza moderna unita agli standard di eccellenza svizzeri. In pochi anni, l’azienda ha raggiunto un grande successo, con una distribuzione internazionale in quasi tutti gli stati europei, nei paesi balcanici, negli Emirati Arabi Uniti, in Asia e in Africa. In casa Gisada, il savoir-faire e l’altissima qualità, tipicamente elvetiche, incontrano la maestria nell’arte profumiera, dando vita a essenze esclusive, che rivelano composizioni sorprendenti, caratterizzate da un raffinato equilibrio. Tutto è curato nei minimi dettagli: dalla piramide olfattiva, fino al packaging dei flaconi, dal design sempre elegante, sobrio e raffinato. 

Ambassador Men, la fragranza maschile di Gisada

Gisada ci racconta il suo mondo di profumi di lusso

Ambassador Men, aromatico e accattivante, che trae ispirazione dalle terre d’Oriente, e la sua controparte femminile, Ambassador Women, un’Eau de Parfum ammaliante che combina note fruttate, orientali e floreali, sono i due fiori all’occhiello del brand. A questi si affiancano Ambassadora, una composizione unisex, sensuale e sofisticata, con un bouquet fruttato, dolce e avvolgente, e Ambassador Intense. “Intense love lasts forever” è il claim scelto per la campagna dell’ultimo sillage da uomo, che reinterpreta Ambassador Men, conferendole un carattere ancora più intenso, vivace e maschile. Testimonial della nuova profumazione Gisada è l’attore, cantante e modello italiano Michele Morrone, celebre per la sua interpretazione nel film 365 giorni, in cui veste i panni di un carismatico boss mafioso, Massimo Torricelli. Affascinante e dallo sguardo ipnotico, il sensualissimo sex symbol milanese incarna perfettamente l’uomo Gisada, interpretando in maniera eccellente la nuova fragranza. Un jus penetrante, la cui freschezza agrumata si fonde amabilmente con aromi più delicati, mentre in profondità si percepiscono gli accordi speziati, che infondono nel bouquet di Ambassador Intense la sua essenza magnetica ed esplosiva. 

A svelarci il mondo della Maison di profumi esclusivi, confezionati in Svizzera, è Klevis Kurtaj, Country Manager di Gisada, che racconta come, nella filosofia aziendale, sia fondamentale costruire un rapporto di fiducia con i clienti, un traguardo possibile solo proponendo loro prodotti di altissima qualità, realizzati con la massima cura nella ricerca degli ingredienti. “Do good and talk about it” afferma, e spiega come tutte le fragranze del marchio made in Switzerland presentino un carattere unico, grazie all’importante percentuale di essenze in ogni bouquet, ridefinendo in questo modo il concetto stesso di profumo.

Gisada Ambassadora
Ambassadora, la fragranza genderless di Gisada

“Un profumo del marchio incarna i valori positivi della Svizzera, ispira i suoi estimatori più sofisticati”

Com’è nato Gisada, da dove arriva l’idea e qual è la filosofia dietro la nascita del brand?

Gisada Parfum ha ripreso sapientemente il desiderio umano di volare e lo ha inserito sotto forma di logo nelle etichette dei flaconi. Il raffinato marchio con l’ala è una creazione svizzera dell’azienda Swiss Fragrance. La storia del brand inizia nel 2013 a Zurigo, grazie alla visione di due fratelli imprenditori che hanno dato vita a linee di profumi accattivanti e accessori sofisticati. Il loro obiettivo era quello di esprimere la loro passione per i profumi in un modo nuovo e, allo stesso tempo, di lavorare con nasi rinomati, con una visione chiara. Gisada rappresenta un connubio sublime tra artigianato olfattivo e precisione svizzera nel segmento del lusso. Un profumo del marchio incarna infatti i valori positivi della Svizzera, ispira i suoi estimatori più sofisticati. La libertà e la leggerezza del volo si ritrovano in ogni singola, preziosa goccia di profumo Gisada. La Maison si impegna a raggiungere livelli di eccellenza, di perfezione, per soddisfare le richieste dei clienti più esigenti. La ricerca di qualità è sottolineata soprattutto dal fatto che la percentuale di essenze di profumo nelle fragranze è superiore rispetto a quella abituale.

“I profumi del brand rivelano composizioni dal carattere deciso, realizzate con ingredienti di altissima qualità”

Le Eau de Parfum Gisada si caratterizzano per l’esclusività e gli elevati standard di qualità made in Switzerland. Quali sono le peculiarità dei vostri profumi e cosa li distingue dagli altri competitor, rendendoli unici?

Le nostre fragranze sono caratterizzate da precisione ed equilibrio, qualità che si esprimono attraverso prodotti realizzati con la massima cura. Sensuali e misteriosi, ma allo stesso tempo connotati da sobrietà, eleganza, chiarezza e leggerezza, i profumi Gisada rivelano composizioni dal carattere deciso, realizzate con ingredienti di altissima qualità. Sempre alla ricerca dell’equilibrio perfetto, questi prodotti esclusivi e senza tempo rappresentano la qualità, l’artigianalità e la precisione elvetica in ogni singolo dettaglio.

Tutto, nella Maison, è curato nei minimi dettagli: dalla piramide olfattiva delle fragranze, al packaging dei flaconi. Quanto conta per voi l’immagine?

Fai le cose per bene e parlane”, lo dicevano già i nostri nonni. Sappiamo tutti che le nostre buone azioni e i nostri successi hanno un effetto esterno solo se “non nascondiamo la fiaccola sotto il moggio”. Ciò che è giusto su piccola scala, lo è ancora di più su grande scala. Naturalmente, non si tratta di promettere al cliente la luna. I consumatori moderni sanno riconoscere subito le promesse vane, non si lasciano abbindolare da tattiche da quattro soldi. La fiducia crea una buona immagine; una buona immagine, a sua volta, crea fiducia, quindi le due cose dipendono l’una dall’altra. Ma nessuno nasce con entrambe.
Queste qualità devono essere coltivate. Raramente ciò avviene da un giorno all’altro, richiede invece molto tempo e forza di volontà. Una buona immagine e la fiducia della clientela si ottengono principalmente con servizi e prodotti di alta qualità. Il rapporto qualità-prezzo dev’essere corretto. Per questo motivo, le nostre fragranze vengono sottoposte a numerosi test di controllo, per garantire al cliente la migliore esperienza.

“Gisada è sinonimo di eccellenza e di moderna eleganza made in Switzerland

Gisada Ambassador Women
Ambassador Women, la fragranza femminile di Gisada

Ambassador Intense è il nuovo nato in caso Gisada. Qual è l’ispirazione della nuova profumazione? In che modo il claim “Intense love lasts forever” la descrive?

Ancora più intenso, ancora più vivace, ancora più maschile! Gisada è sinonimo di eccellenza e di moderna eleganza made in Switzerland, e ora ha arricchito la sua linea di fragranze maschili più vendute, Ambassador, con il nuovissimo Ambassador Intense. Il claim recita: “Intense love lasts forever”; come indica già il nome, si tratta di un jus di successo, che è stato reinterpretato in una versione ancora più intensa. Le note aromatiche maschili sono rafforzate e completate da caldi accordi orientali.
Il profumo Ambassador Intense – come la fragranza partner già esistente – emana una freschezza piacevolmente agrumata di pompelmo, bergamotto, lavanda, mandarino, pepe rosa e cardamomo.
Il flacone moderno, sobrio, di altissima qualità, interamente in nero opaco e con raffinati accenti dorati, riflette, in modo straordinario, l’esclusività della qualità e dell’artigianato svizzeri.

Se doveste scegliere un profumo che avete creato per rappresentare il brand, quale sarebbe?

Sarebbe senza dubbio il nostro Ambassador Men! Una fragranza vivace, fresca e intensa, che presenta accenti leggermente orientali. Le note fruttate e acidule del mandarino conferiscono alla composizione un’impronta iniziale di freschezza agrumata. Questi accordi si combinano poi con le note speziate delle peonie e del patchouli. I sentori ambrati sono accompagnati dagli aromi delicati della vaniglia. Il risultato è un blend olfattivo che permette di esprimere il proprio stile elegante.

“Sono la produzione e gli ingredienti, nonché la storia che sta dietro a ogni creazione e al marchio, a rendere speciali le fragranze esclusive Gisada Luxury”

Ci raccontate qualcosa della vostra luxury line e del concept che unisce i profumi di questa gamma esclusiva?

Gisada Luxury è una gamma preziosa di profumazioni unisex. Sono la produzione e gli ingredienti, nonché la storia che sta dietro a ogni creazione e al marchio, a rendere speciali queste fragranze esclusive; conquistano i loro estimatori con miscele di essenze inedite, realizzate attraverso un processo di lavorazione estremamente complicato.
Tutte le Eau de Parfum Luxury sono accuratamente realizzate a mano in Svizzera, sottoposte a un rigoroso controllo di qualità. Sono racchiuse in una scatola di pregiato legno laccato con l’incisione Gisada, avvolta in un elegante sacchetto di velluto. Il fondo è decorato con un tappeto sempre in velluto, e il contenuto è impreziosito da vere e proprie foglie d’oro 24 carati, per valorizzare il motivo Luxury. Per queste fragranze vengono utilizzate solo le migliori materie prime, provenienti da tutto il mondo, e si distinguono dagli altri prodotti presenti sul mercato in questo segmento per l’altissima percentuale di essenze di profumo. 

Nell’immagine di apertura Ambassador Intense, la nuova fragranza maschile di Gisada

Il Ghetto di Venezia: alla scoperta del quartiere ebraico più antico al mondo

Lontano dai riflettori della Mostra Internazionale Cinematografica e dai clamori del Lido, oltre i bagordi e gli eccessi del suo celebre Carnevale e le bellezze artistiche dell’Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia è una città magnifica da visitare in ogni periodo dell’anno. Una metropoli d’arte e di storia, unica al mondo, la perla lagunare, al di là degli itinerari canonici che percorrono i suoi principali punti di interesse (dal Canal Grande a piazza San Marco con la sua Basilica, dal Palazzo Ducale al Ponte dei Sospiri, fino a quello di Rialto, solo per citarne alcuni), a pochi minuti a piedi dalla sua stazione ferroviaria, nasconde un luogo affascinante, poco noto ai più.

Vera e propria città nella città, la cui storia trova le sue radici in quella dell’Italia intera, il Ghetto di Venezia, ovvero il quartiere ebraico più antico del mondo, oggi fulcro della comunità locale e sede delle sue istituzioni religiose, merita una visita accurata, alla scoperta dell’urbe più autentica, tra segregazione razziale ed emancipazione economico-culturale.

La nascita del Ghetto di Venezia: storia ed etimologia

Situato nel Sestiere Cannaregio, la fondazione del Ghetto di Venezia risale al 1516, per volere dell’allora Doge della Serenissima Repubblica di Venezia, Leonardo Loredan, il quale dispose che, a partire dal 29 marzo di quell’anno, l’area dove sorgevano le fonderie urbane diventasse il quartiere ebraico, residenza obbligatoria per tutti i giudei. Nonostante il termine “Ghetto” abbia acquisito nei secoli un’accezione ben precisa, legata all’idea di segregazione, discriminazione e antisemitismo, la sua etimologia è da rintracciarsi proprio nella storia del quartiere veneziano.

Con un significato totalmente neutro, nella Venezia del Cinquecento, Il “Geto” (questa era la pronuncia locale della parola) indicava la zona cittadina delle fonderie, dove venivano “gettati” – ovvero fusi – i resti del rame e del bronzo, la lega di metalli che era poi usata per la costruzione dei cannoni delle galee di San Marco (le navi militari della Serenissima). Proprio qui fu istituito il suddetto quartiere ebraico nel 1516, con due porte di accesso, aperte all’alba e chiuse a mezzanotte, al cui controllo erano poste quattro guardie cristiane – pagate dai giudei stessi – che vegliavano sul rispetto del coprifuoco imposto agli abitanti della zona. Il termine (da “Getto” divenne “Ghetto”, così come era chiamato dagli ebrei di origine tedesca) poi, per estensione, entrò in uso per identificare il luogo di confino della popolazione ebraica (e di altre minoranze culturali, politiche e religiose), fino all’Olocausto, quattro secoli dopo.

Campo Ghetto Novo, Venezia

Una sorta di enclave nel capoluogo veneto, il Ghetto di Venezia (o “Gheto”, per i locals), si distingue in tre aree adiacenti, tre isole unite da ponti: il Ghetto Vecchio, che al contrario di quanto si potrebbe pensare è invece la più recente, il Ghetto Nuovo e il Ghetto Nuovissimo, di formazione antecedente. Gli aggettivi che le definiscono non si riferiscono, infatti, alla loro data di fondazione, ma alle fonderie che si trovavano in queste zone, più o meno antiche.

Cosa visitare nel Ghetto di Venezia: le Sinagoghe e il Museo Ebraico

Poiché lo spazio a disposizione nel Ghetto era limitato, a fronte dei frequenti flussi migratori che hanno interessato questo quartiere nel corso dei secoli, le abitazioni sono molto piccole e spesso frazionate, locali angusti dai soffitti bassi. Inoltre, con l’aumentare della popolazione gli edifici si sono sviluppati in altezza fino ad arrivare a 8-9 piani, caratteristica visibile ancora oggi. Oltre alle residenze degli abitanti, molti punti cardine della comunità locale sono sopravvissuti alle vicende storiche e rappresentano oggi il patrimonio artistico-culturale del Ghetto di Venezia.

Tra questi si annoverano senza dubbio le sue sinagoghe, cuore pulsante della vita religiosa ebraica. I cinque edifici sacri (chiamati Scuole: La Scuola Grande Tedesca, la Scuola Italiana, la Scuola Canton, la Scuola Levantina e la Scuola Ponentina) sono tutti situati sulla sommità di altre strutture di realizzazione precedente (la religione ebraica impedisce infatti, di elevare costruzioni sopra i luoghi di culto) e non sono facilmente individuabili dall’esterno – secondo la regola del Ghetto per la quale le sinagoghe non dovessero essere riconoscibili. Osservando con attenzione, è possibile comunque individuarle, perché sulle facciate spiccano cinque grandi finestre allineate, che corrispondono ai cinque libri della Torah, e da iscrizioni in lingua ebraica sui muri. Seppur dall’esterno appaiano sobrie e pressoché anonime, le sinagoghe, tutte con pianta rettangolare, presentano, quasi a contrasto, interni sontuosi, con ricchi decori e arredi di pregio. 

Il Museo Ebraico, fondato nel 1953, si trova nel Campo del Ghetto Nuovo, esattamente tra la Scuola Grande Tedesca e quella Canton, ed è una tappa fondamentale per una maggiore comprensione della complessa storia della comunità ebraica nel quartiere e della vitalità delle sue tradizioni. Suddiviso in due poli, il primo è dedicato alla liturgia ebraica e alle feste principali e qui si possono ammirare manufatti in oro e argento, tessuti preziosi e altri cimeli legati alla ritualità religiosa e alla vita domestica, oltre a documenti e libri antichi custoditi nelle teche del museo. Il secondo, invece, narra la storia della persecuzioni del popolo ebraico con testimonianze che partono da lontano e giungono fino ai campi di concentramento del Novecento.

Il Banco dei Pegni nel Ghetto di Venezia

Storicamente noti per la loro attività di prestito dei capitali monetari – gli ebrei difficilmente investivano negli immobili e conservavano quindi in contanti i guadagni delle attività commerciali – che erano tra l’altro vietate ai cristiani, i mercanti di Venezia vi si rivolgevano per ottenere somme di denaro. Nel Ghetto esistevano tre banchi di pegno, situati tutti nel Campo del Ghetto Nuovo: il Rosso, il Verde e il Nero (pare che le espressioni “andare in rosso” o “essere al verde” derivino proprio dalle denominazioni di queste attività di lucro).

Il Banco Rosso è stato recentemente restaurato e rappresenta l’ultimo testimone del ruolo strategico giocato dalla comunità ebraica nel tessuto urbano ed economico della Serenissima. Con tre porte, ciascuna delle quali corrispondeva a una diversa tipologia di prestito, gli scaffali di questi luogo erano affollati da piccoli oggetti di valore che venivano impegnati, ovvero dati a garanzia del debito contratto.

Tra tradizione e cultura: la cucina kosher del Ghetto

Uno degli aspetti di maggior importanza della cultura ebraica è la sua cucina, fortemente legata alla religione e alle festività. La cucina del Ghetto di Venezia è conosciuta come kosher, termine che indica le preparazioni che rispettano i dettami della religione ebraica sull’alimentazione. Il termine significa “adeguato”, nel senso quindi che si adatta alle regole alimentari stabilite dalla Torah (la dottrina scritta ebraica). La tradizione culinaria del Ghetto, inoltre, è stata profondamente influenzata dalle contaminazioni con la cultura veneziana e da questo incontro sono nati i piatti più conosciuti della zona, come le sarde in saor (preparate con aceto, cipolla, uvetta e pinoli) e i bigoli in salsa (pasta fresca con una salsa di acciughe e cipolle). 

Tra i piatti più tipici della cucina kosher da assaggiare nel Ghetto, la fugazza cole gribole, una focaccia impastata con dei pezzetti di pelle d’oca fritta, e il riso zalo, preparato con lo zafferano e servito con uvetta e zucca. Il ristorante Gam Gam è il baluardo della cucina kosher nel ghetto veneziano e non solo, dove assaporare le pietanze autentiche della tradizione gastronomica giudea. Il Panificio Volpe, bottega storica nel cuore del quartiere, è invece il luogo dove gustare specialità dolci, come le orecchiette di Amman, biscotti triangolari ripieni di marmellata oppure di cioccolata e frutta secca e l’impadè, un pasticcino ripieno di pasta di mandorle.

Veduta dall’esterno del Radisson Collection Hotel Palazzo Nani di Venezia

Dove soggiornare: il Radisson Collection Hotel Palazzo Nani

Il Radisson Collection Hotel Palazzo Nani di Venezia si trova nel Sestiere di Cannaregio. L’edificio che ospita l’hotel è un palazzo storico signorile del Cinquecento appartenuto alla famiglia nobile veneziana Nani.
Nel corso degli anni, si sono succedute varie proprietà e il palazzo ha cambiato più volte destinazione d’uso: da residenza privata è divenuto caserma Austriaca e poi una scuola. Inaugurato nel 2022, Radisson Group ha trasformato questa dimora nobiliare in un hotel di 52 camere e suites e 3 appartamenti privati tutti dal design ricercato, con un attrezzatissimo centro fitness.

Per questo progetto, Concreta (l’azienda di Postalesio specializzata nel contract d’eccellenza per alberghi, spazi commerciali e aree residenziali e leader a livello internazionale) ha realizzato tutti gli spazi comuni su progetto dello Studio Marco Piva, che ha ideato un concept di arredo ‘box-in-the-box’ volto a preservare l’identità del palazzo, arricchendola con un linguaggio raffinato e contemporaneo. La particolare natura di questo antico edificio veneziano e la complessa logistica che l’esecuzione di lavori in laguna richiede, hanno rappresentato una vera sfida, che Concreta ha saputo raccogliere portando avanti una strategia dicotomica vincente, puntando sull’attenzione al dettaglio da un lato, e sulla globalità nell’approccio dall’altro.

Il Salone Nobile di Palazzo Nani al primo piano

Gli spazi di Palazzo Nani, ampi e luminosi, alcuni dei quali con affaccio sul Canale di Cannaregio, si caratterizzano per le cromie che richiamano le tonalità dei soffitti affrescati. Le sedute dai colori intensi  rimandano invece alle nuances del territorio: le sfumature dell’acqua, i riflessi del vetro e gli interni delle gondole.

Il Giardino di Palazzo Nani

Significativa, nel progetto, la realizzazione delle aree comuni. L’hotel è stato concepito infatti come luogo di ospitalità non chiuso ed esclusivo ma, al contrario, aperto alla città e fruibile da parte di coloro che desiderano accedere al ristorante e dell’atmosfera rilassante del lounge bar e delle lobby. Inoltre, gli ospiti possono godere dell’incantevole giardino ‘segreto’ di 350 metri: nel verde sono posizionate sculture, statue, panche, divanetti e due grandi vasche da bagno in pietra.

Radisson Collection Hotel, Palazzo Nani Venezia – Fondamenta Cannaregio, 1105, Venezia, 30121, Italia

In apertura: Campo Ghetto Novo, Venezia. Foto di Massimo Adami su Unsplash

Honey Fucking Dijon x Scholl: la capsule collection

Un incontro inedito, tanto sorprendente, quanto predestinato, quello da cui nasce la capsule collection di shoes in edizione limitata Honey Fucking Dijon x Scholl. Da un lato, la creativa internazionale, innovativa, anticonformista, dirompente: un’artista poliedrica in moto perpetuo. Dall’altro, il brand storico di calzature ortopediche, noto per qualità, eccellenza e savoir-faire, autore dell’originale zoccolo in legno, immancabile nella scarpiera delle nostre madri e nonne dagli Anni 60 in poi (e forse fin da prima). Comodità e glamour, comfort e coolness, due caratteristiche che, quando si tratta di scarpe, difficilmente sembrano coesistere. Eppure, la partnership tra Honey Dijon – dj, musicista e produttrice di linee di abbigliamento, scarpe, gioielli e accessori – e Scholl, marchio statunitense di chaussures che non necessita di ulteriori presentazioni, ha reso possibile l’impossibile, creando un connubio – quello sopracitato – indissolubile.

Sperimentazione e know-how per la collezione in edizione limitata Honey Fucking Dijon x Scholl

Per quanto possano sembrare due mondi molto distinti, qualcosa in comune ce l’hanno fin da subito. Sia l’icona della musica elettronica contemporanea (che qualche anno fa ha lanciato il suo brand in collaborazione con Comme des Garçons, Honey Fucking Dijon), che Scholl, sono nati a Chicago, la “città del vento”, metropoli in grande fermento culturale, culla del blues. E come se non bastasse, i due condividono un amore per il linguaggio del design degli Anni 70. Proprio da qui ha origine la limited edition Honey Fucking Dijon x Scholl. La creativa, qui in veste di designer, presenta al Dover Street Market di Londra (che è solo un punto di partenza per un progetto pronto a riscuotere un successo internazionale) la sua interpretazione dello zoccolo in legno più celebre dell’azienda, il
Pescura
. Ogni modello della linea si impone sprigionando un’energia propria e scrivendo un dialogo inaspettato tra materiali di alta qualità e dettagli audaci in metallo lucente come borchie e fibbie che si affermano su strutture dalle linee ardite. Prendendo sempre avvio dal classico sandalo in legno Scholl, i primi tre modelli della collezione, tutti rigorosamente total black e ognuno portatore di una visione unica, risultato della genialità esplosiva della stilista, riflettono il desiderio di Honey di sfidare lo status quo.

Honey Dijon in un’immagine della campagna per la capsule collection HFD X SCHOLL


In maniera quasi naturale, il ritmo della capsule collection Honey Fucking Dijon x Scholl è stato concepito per seguire l’evoluzione immaginaria di un DJ Set: “Sono entusiasta di collaborare con il leggendario brand Scholl e soprattutto sul loro iconico sandalo Pescura. Per creare questi modelli mi sono ispirata ai giorni spensierati degli anni ’70, un’epoca sensuale e divertente, quando, indossando lo zoccolo Pescura, si poteva andare direttamente dalla spiaggia al club per poter liberare le proprie inibizioni”, racconta Honey Dijon.

Quelle presentate e Londra a ottobre 2022, sono solo per prime tre creazioni della linea, disponibili in un range di taglie completamente inclusivo: dal 35 fino al 46 EU.

Honey Dijon in un’immagine della campagna per la capsule collection HFD X SCHOLL


“Non c’è quasi nessuno più stimolante e rappresentativo di Honey Dijon nel suo campo in questo momento. Per il nostro prodotto iconico questo è un abbinamento perfetto. Sono grato che abbia scelto di collaborare con noi ed entusiasta di poter offrire ad un talento così unico una piattaforma per l’esplorazione creativa. Continuiamo a spingere i confini per Scholl, un marchio con un patrimonio immenso che miro ad esaltare come uno dei brand più eccitanti nel mondo del lifestyle” racconta, Tobias Klaiber, CEO di Scholl.

Uno dei modelli della capsule collection HFD X SCHOLL


La campagna della capsule collection in edizione limitata Honey Fucking Dijon x Scholl è stata realizzata a Berlino dal fotografo Davit Giorgadze con lo styling di Christian Stemmler.

Lorenzo Richelmy, un attore senza confini

Nato a La Spezia e cresciuto a Roma, Lorenzo Richelmy è un attore eclettico, orgogliosamente italiano – seppur molto atipico («Tra una pizza, un piatto di pasta e una bistecca sceglierò sempre la bistecca» ci dice) – con una carriera internazionale. Da Marco Polo, serie televisiva statunitense di Netflix del 2014, fino a Hotel Portofino, period drama britannico del 2022, e tante cose in mezzo, Richelmy ha consolidato le sue consapevolezze di attore cosmopolita: «Sono contento di dire che la mia generazione di attori in Italia è al livello di quella americana e internazionale».

Lorenzo Richelmy attore
Total look and sunglasses Dolce&Gabbana, rings Bernard Delettrez

32 anni a marzo sotto il segno dell’ariete, cresciuto a pane e teatro – i suoi genitori sono entrambi attori teatrali – avverso ai social network, ma con un passato da nerd e una grande passione per il viaggio, «zaino in spalla, verso una destinazione semisconosciuta e a piedi», lo spezzino racconta e si racconta.

E con un balzo da acrobata, l’attore de Il Talento del Calabrone (film del 2020 con Sergio Castellitto, ndr), passa dal cinema al fashion, posando con disinvoltura davanti all’obiettivo di Davide Musto per la fashion issue di MANINTOWN, Youth Babilonia. Un «esperimento», come lo definisce lui, in cui la recitazione incontra la moda, dando vita a scatti dinamici nei quali Lorenzo Richelmy interpreta il ruolo di un supereroe contemporaneo.

Lorenzo Richelmy intervista
Total look and sunglasses Dolce&Gabbana, rings Bernard Delettrez

Lorenzo Richelmy per Youth Babilonia

In uno scenario urbano post industriale, a tratti decadente, l’attore, sguardo glaciale e tagliente, travalica i confini di sé stesso, attingendo all’arte del trasformismo. Nei panni di un Matrix moderno, con soprabito see through, combat boots e occhiali scuri, si aggira per la città, cambiando pelle e rivelando pattern pitonati che si celano sotto trame principe di Galles. Dall’anima irrequieta, il protagonista della cover story di MANINTOWN sfoggia con disinvoltura giacche in pelliccia dai colori jungle, che alterna a completi sartoriali reinterpretati in chiave quasi futurista. 

Lorenzo Richelmy porta in scena il suo spirito ribelle e camaleontico, muovendosi con agilità nei meandri del prêt-à-porter, così come farebbe sulle diagonali di un palcoscenico teatrale: «Sono ancora un turista della moda, magari nei prossimi anni cercherò di entrare a gamba tesa in questo campo, tentando di portare una mia idea, non come modello ma come attore». 

Cinema, teatro, moda, viaggi, videogame e social network: a tu per tu con Lorenzo Richelmy

Sei reduce dal successo di Hotel Portofino, nel quale interpreti il figlio di Daniele Pecci, un conte tra gli avventori dell’hotel al centro della storia. Cosa ti è rimasto di questa esperienza e in che modo hai costruito il tuo personaggio di giovane aristocratico italiano?

Mi sono divertito molto a girare Hotel Portofino. Desideravo lavorare in un progetto che mi mettesse in panni diversi e sicuramente questo ruolo mi mancava, quello del ricco posh borghese dell’Italia di inizio ‘900. Quello di Roberto Albani è un personaggio molto estetico e piuttosto statico. Io sono un attore fisico e cerco di dare dinamicità ai personaggi che interpreto solitamente, anche quando sono un po’ statici. Potremmo dire che la serie in generale è statica, improntata su costumi e società, gli abiti e le ambientazioni fanno tanto. Il mio personaggio nel corso degli episodi è molto presente ma parla poco, mai inglese. Potremmo definirlo come lo stereotipo del dandy all’italiana, mi sono divertito a cercare di metterne in scena uno che non fosse troppo aderente ai canoni del passato.

Hai già preso parte in passato ad altri progetti internazionali, tra i quali Marco Polo. Come è stato far parte di un cast internazionale bilingue e, tra la prima esperienza e l’ultima, cosa è cambiato per te?

Quello di Marco Polo è stato il primo set americano sul quale ho lavorato. Chiaramente è stato difficile: il primo anno è stata pura sopravvivenza. Andavo sul set con la paura di non riuscire ad essere all’altezza dei colleghi oltreoceano. Perchè poi, noi italiani abbiamo un po’ la “sindrome del fratello scemo” e quando andiamo all’estero pensiamo sempre di essere i più “sfigati”, invece non è così. Marco Polo mi ha insegnato questo. Il primo anno è stato quindi molto difficile, poi dalla seconda stagione ho iniziato a rilassarmi. Da lì in poi, in tutte le altre produzioni internazionali per le quali ho lavorato, mi sono sentito assolutamente integrato come attore internazionale. Tolta la capacità produttiva americana, che è sicuramente superiore alla nostra, sono contento e orgoglioso di poter dire che la mia generazione di attori in Italia è al livello di quella americana e internazionale.

Lorenzo Richelmy Marco Polo
Faux fur N°21, pendant necklace Bernard Delettrez

Sei nato a La Spezia e cresciuto a Roma. Oggi vivi tra l’Italia e gli Stati Uniti. Qual’è il tuo rapporto con la tua patria e come, attraverso la tua carriera internazionale, riesci a mantenere e a esportare la tua italianità?

L’Italia per me è la mamma. Sono un italiano atipico per alcune cose, perchè non mi piacciono la pasta e la pizza, però ode all’Italia, alla bellezza e al saper vivere all’italiana. Quando giravo Marco Polo a Los Angeles, ho capito di voler invecchiare qui. Ho fatto quindi una grande scelta all’epoca, tornando in Italia. L’America dal punto di vista professionale è magnetica. Gli americani hanno una dimensione del successo e dell’industria del cinema che è più interessante e moderna della nostra, ma il tipo di vita non mi piace, la gente non comunica. Però sono nato nel ‘90 e comunque la cultura americana, cinematografica e non, mi ha cresciuto. Per me Italia e America rappresentano due modi di fare e vivere diversi, ma complementari. Per come sono fatto io, giostrare la mia vita tra queste due nazioni è l’ideale. Non potrei mai vivere solo negli Usa, potrei vivere solo in Italia, ad ogni modo in questo momento mi godo la complementarietà dei due stati e delle loro differenze. 

Quando hai capito che volevi fare l’attore e che quella del cinema sarebbe stata la tua strada?

Non c’è stato un momento preciso, l’idea di voler fare l’attore è sempre stata in me. Mio padre e mia madre sono entrambi attori di teatro e quando ero piccolo andavo in giro con loro. Sono stato affascinato fin da piccolissimo dal mondo dello spettacolo. Sia dal teatro, grazie ai miei genitori, sia dalla televisione, attraverso i cartoni animati, le serie televisive e persino la pubblicità. Da bambino, se mi avessi chiesto cosa volevo fare da grande, la risposta sarebbe stata: l’attore.

Lorenzo Richelmy Netflix
Shirt Alexander McQueen

Quindi, tra il teatro, il cinema e la televisione, cosa sceglieresti?

Il teatro è degli attori, il cinema è dei registi, la televisione sta in mezzo. Ricollegandoci al discorso di prima, è come se l’Italia fosse il teatro e l’America il cinema. Sono molto contento di fare sia teatro, che cinema, non potrei vivere di solo cinema ma potrei vivere di solo teatro, anche se ne ho fatto poco e questo mi dispiace, essendo cresciuto in un ambiente familiare in cui il palcoscenico era di casa. 

Recentemente sono stato impegnato in uno spettacolo teatrale in Calabria, La Follia di Shakespeare – Macbeth vs Romeo e Giulietta, di Max Mazzotta. Stella Egitto ed io eravamo protagonisti, entrambi con doppi ruoli: Stella interpretava Giulietta e Lady Macbeth, mentre io Mercuzio e Macbeth. Mazzotta è un artista che stimo tantissimo, allievo di Strehler che ha fatto un po’ di cinema e poi si è ritirato in Calabria a insegnare teatro all’università, perché questo è ciò che vuole fare nella vita. Gestisce inoltre una compagnia teatrale di giovani e noi siamo andati per un mese a immergerci in questo mondo parallelo di Mazzotta e dei suoi ragazzi. Questa è un’esperienza che il cinema non ti permetterà mai di vivere. Teatro e cinema sono dunque complementari tra loro, ma per un attore, il teatro è imprescindibile. Mette davvero alla prova e un interprete che ha passione per il proprio lavoro, non può negarselo.

Hai posato davanti all’obiettivo di Davide Musto per la Fashion Issue di MANINTOWN, Youth Babilonia. Qual è il tuo rapporto con la moda e come è stata questa esperienza per te?

Il mondo della moda di prima acchito mi repelle per tutto quello che c’è intorno, eventi, mondanità ecc, mentre la moda in sé mi interessa tantissimo. Con Davide Musto ci siamo ritrovati a fare un esperimento: facevo l’attore e penso che dalle foto emerga questa mia intenzione. Con la moda mi cimento sempre assai poco ma per fare delle cose molto specifiche e particolari, come questo servizio. Per me infatti è come il teatro, una grande passione, dunque proprio perché mi piace non riesco a vedere cose non fatte bene. Sono ancora un turista della moda, magari nei prossimi anni cercherò di entrare a gamba tesa in questo campo, tentando di portare una mia idea, non come modello ma come attore.

Lorenzo Richelmy Instagram
Total look Gucci

Oltre al cinema e al teatro, quali sono le tue passioni?

Il viaggio è la mia passione più grande. Zaino in spalla, verso una destinazione semisconosciuta e a piedi: questa è la dimensione in cui mi trovo più comodo e mi sono trovato più comodo negli ultimi anni. Ho viaggiato tanto quando ero bambino grazie al marito di mia madre, professore all’università di biologia, grande amante del viaggio, con cui ho girato tutto il sudest asiatico. Ce ne andavamo per un mese, un mese e mezzo verso luoghi meno battuti, con l’obiettivo di scoprire. Ci teneva a sottolineare la differenza che c’è tra il turista e il viaggiatore. Questa filosofia, del viaggiatore che abita un po’ ovunque, me la sono portata dietro.

Un’altra mia grande passione è quella dei videogiochi. Sono un nerd. Giocavo in chat con persone da tutto il mondo: giochi di ruolo, giochi di strategia… Non è un caso che da alcuni anni l’industria dei videogiochi abbia superato il comparto cinematografico e i più grandi sceneggiatori e registi siano stati comprati dalle case di videogame.

Che rapporto hai con i social network?

Pessimo. Penso che siano poco utili e contribuiscano ad aumentare le nostre insicurezze. Poi chiaramente ogni strumento ha la sua utilità. Fui obbligato ad aprire un account Instagram quando giravo Marco Polo. Mi feci convincere solo a patto di non dover pubblicare selfie, ma solo foto di cose che mi piacevano. Avevo quindi iniziato a scattare e condividere foto di street art, altra mia grande passione, ma non avevo follower. Non voglio fare promozione o pubblicità, il mio mestiere è fare l’attore, andare in scena. Finalmente l’anno scorso me ne sono liberato. Non ho una visione positiva dei social network. La relazione umana è una delle cose più preziose che abbiamo e penso che i social la stiano minando.

Che progetti hai in cantiere?

Sto per iniziare a girare una serie britannica di Amazon. Si tratta di una serie contemporanea sul mondo del tennis, ambientata a Londra e Wimbledon e che mi vedrà impegnato da luglio a ottobre. Interpreterò il ruolo di un tennista un po’ folle, un Andre Agassi moderno, che veste in maniera strana, un tipo ribelle, una sorta di George Best del tennis. Originariamente il personaggio sarebbe dovuto essere greco, poi però, dopo avermi preso, hanno deciso che sarà italiano. Questo un po’ mi dispiace, in quanto il mio mestiere implica il non avere confini. Sono molto contento comunque e lotterò, come ho sempre fatto, per dare un’’immagine dell’italiano meno stereotipata.

Ho fatto il provino per la serie mentre stavo girando un film, L’Uomo sulla Strada. Opera prima di Gianluca Mangiasciutti, è un thriller prodotto dalla Eagle Pictures, con cui avevo già lavorato per Il Talento del Calabrone

Qual’è il tuo sogno professionale più grande? 

Il mio sogno sarebbe quello di interpretare il protagonista di un videogioco. Coronerebbe tutti i desideri più reconditi e inconsci che avevo fin da bambino. 

Lorenzo Richelmy series
Total look Zegna

Lorenzo Richelmy actor
Total look N°21

Credits

Talent Lorenzo Richelmy

Photographer Davide Musto

Stylist Stefania Sciortino

Stylist assistant Federica Mele

Make-up Marco Roscino

Nell’immagine in apertura, Lorenzo Richelmy indossa total look e occhiali Dolce&Gabbana, anelli Bernard Delettrez

Rimini oltre la movida, tra cinema, street art e sperimentazione

Lunghe distese di spiagge disegnate da file infinite di ombrelloni e sdraio colorati: Rimini è solitamente associata nell’immaginario collettivo all’idea di villeggiatura estiva. Meta della vacanza all’italiana per eccellenza, proprio qui, a metà dell’Ottocento, fu inaugurato il primo lido attrezzato d’Italia, Il Grandioso stabilimento balneare. Simbolo della Dolce Vita della riviera romagnola, il nome stesso rimanda inoltre, irrimediabilmente, al concetto di movida, tra locali e discoteche storiche diventate oggi dei luoghi cult. Ma non solo mare e vita notturna, Rimini, al di qua del bagnasciuga, nasconde sorprendentemente un lato artistico e culturale di grande rilievo. Monumenti, cinema e teatri storici, street art, musei interattivi e strutture ricettive innovative e sperimentali: la capitale della “piada” merita di essere osservata con attenzione da un punto di vista inedito, alla scoperta di angoli inaspettati.

Rimini spiagge 2022
Vista aerea di una spiaggia riminese

La città di Amarcord : il Fellini Museum e il Cinema Fulgor a Rimini

Federico Fellini nasce a Rimini il 20 gennaio 1920, un mese dopo che la sua famiglia vi si trasferisce. “Rimini è una dimensione della memoria“, così il regista parla della sua città natale, un luogo per lui a metà tra sogno e realtà. Con il suo Grand Hotel, elegante edificio in stile liberty inaugurato nel 1908, reso celebre dal grande maestro nel film Amarcord del 1973, la città di Rimini ricorda tutt’oggi l’artista, dedicandogli numerose vie, strade e luoghi iconici. E per celebrare il grande lascito del genio del cinema, nel 1921 è stato inaugurato il Fellini Museum.

Fellini set Amarcord
Fellini sul set di Amarcord

Museo Fellini 2022
Il Fellini Museum (ph. ©Riccardo Gallini/GRPhoto)

Tappa obbligata se ci si trova a Rimini, il museo si sviluppa tra tre spazi: Castel Sismondo, Palazzo del Fulgor e Piazza Malatesta. Vero e proprio polo creativo che non intende interpretare il cinema del regista riminese come opera in sé conclusa, ma tende piuttosto a esaltare l’eredità culturale di uno dei più illustri film-maker della storia. Questo hub culturale, riunendo in un unicum concettuale e spaziale più luoghi del cuore cittadino, dà vita a un percorso di narrazioni che rendono il visitatore protagonista di una esperienza immersiva. Partendo da Castel Sismondo, la rocca malatestiana del Quattrocento al cui progetto contribuì Filippo Brunelleschi, si passa per il Palazzo del Fulgor, edificio di origine settecentesca.

Cnema Fulgor Fellini
Il Cinema Fulgor, autentica istituzione riminese

Al piano terra del Palazzo ha sede il Cinema Fulgor, divenuto leggendario grazie alla pellicola Amarcord – e dove un Fellini bambino guarda il suo primo film, Maciste all’Inferno. Il Fellini Museum si esaurisce in piazza Malatesta, una vasta area urbana pedonale. Con aree verdi, arene per spettacoli, installazioni artistiche, un immenso specchio d’acqua, a rievocare l’antico fossato del castello, e una grande panca circolare, la piazza rappresenta un inno alla vita, alla solidarietà e alla voglia di stare assieme.

Il Teatro Amintore Galli, il tempio della musica di Rimini

Come un grande luogo dei sogni, piazza Malatesta abbraccia in un anello il polo culturale che ha al suo centro il Fellini Museum, ma che comprende anche il Teatro Galli e il PART – Palazzo dell’Arte Rimini, centro d’arte contemporanea che trova spazio all’interno di due palazzi del Trecento.

Il Teatro Amintore Galli è il teatro comunale di Rimini, un gioiello architettonico inaugurato il 16 agosto 1857 con l’Aroldo di Giuseppe Verdi. Il progetto originario porta la firma di Luigi Poletti, architetto e ingegnere dello Stato Pontificio, legato alla scuola neoclassica purista romana. Poletti concepisce il Galli come tempio della musica ispirandosi alla solennità e alla sontuosità dei templi romani. Inizialmente chiamato Teatro Nuovo, poi dal 1859 Teatro Vittorio Emanuele II e solo nel 1947 intitolato al compositore Amintore Galli, si impone subito come uno dei teatri più grandi d’Italia: la sala con i palchi e i loggioni contiene oltre mille posti a sedere. La sua ultima stagione risale alla primavera del 1943, poiché l’edificio è in gran parte distrutto durante la seconda guerra mondiale, nel corso di un bombardamento aereo. Nel dopoguerra poi il teatro è occupato dai militari e successivamente, dai riminesi stessi, saccheggiato di arredamenti, mobili e lampadari al fine di utilizzare i materiali per ricostruire le abitazioni distrutte dalla guerra.

Teatro Galli Rimini
Il Teatro Galli a Rimini

Nel 2010, dopo un lungo dibattito culturale, è finalmente approvato il progetto di ricostruzione di uno dei luoghi simbolo di Rimini. Il 28 ottobre 2018 dunque, il Teatro Amintore Galli torna a splendere grazie ai lavori voluti dalla Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali dell’Emilia Romagna, che restituisce alla città di Rimini uno dei suoi pilastri della cultura. Ricostruito nel solco del teatro neoclassico, rispettando i disegni originali sia degli spazi che dell’apparato decorativo, il Galli nasconde un cuore modernissimo, in grado di coniugare alla bellezza e all’eleganza del teatro storico all’italiana, l’efficienza che le più recenti strumentazioni tecnologiche possono offrire.

Il progetto di wayfinding di Apir: funzionalità ed estetica

Il restauro di questo tesoro per tanti anni nascosto e oggi finalmente visitabile a Rimini, è stato possibile anche grazie al contributo di Apir. Azienda artigiana con sede nella vicina Repubblica di San Marino, Apir disegna e realizza segnaletica da interno e da esterno. E ancora: complementi d’arredo, accessori ed interruttori elettrici per hotel, appartamenti, ville ed uffici di lusso in Italia e in tutta Europa. Per il Teatro Amintore Galli, l’azienda sammarinese, in occasione del suo centenario, è stata sponsor ufficiale. Apir ha realizzato gratuitamente un’opera di wayfinding, fortemente voluta dal proprietario Pietro Angelini, attraverso la quale ha prodotto e installato la segnaletica per la valorizzazione dei percorsi del nuovo teatro. Appositamente studiata nei materiali e nei caratteri, la segnaletica – fondamentale per indirizzare il pubblico ai vari piani e orientarlo per individuare aree, palchi, posti, servizi e percorsi di sicurezza –, ha anche un un importante valore estetico, integrandosi e armonizzandosi perfettamente nell’ambito dell’intero design.

Teatro Galli Rimini storia
La segnaletica del teatro, prodotta e installata da Apir

Rimini e la street art: il Borgo San Giuliano e il Ponte di Tiberio

Borgo San Giuliano arte
Un murales a Borgo San Giuliano

Piccole vie lastricate di pietra che si intrecciano tra loro, case colorate e piazzette nascoste dentro il centro storico di Rimini: il Borgo San Giuliano è uno dei luoghi più caratteristici della città romagnola. Un tempo borgo di pescatori e oggi chiuso al traffico cittadino, questo angolo urbano è diventato, a partire dal 1980, l’area della street art riminese. È possibile ammirare qui infatti i variopinti murales eseguiti da pittori riminesi e non solo, che parlano del borgo stesso e dei suoi abitanti, oltre a celebrare i film e la vita del maestro Fellini. I disegni rappresentano personaggi che hanno fatto la storia dei vicoli, antichi mestieri e paesaggi di mare. Non solo artisti locali, ma anche i più celebri street artist rinomati a livello internazionale hanno scelto i muri di Borgo San Giuliano come tele per le loro opere, dislocate un po’ ovunque qui. Tra questi: Ericailcane, Bastardilla e il riminese Eron. Quest’ultimo, uno dei writers riminesi maggiormente riconosciuto nel mondo, ha regalato a Rimini una delle sue opere più suggestive, Soul of the wall, posta sulla facciata della casa in via Marecchia 1, affianco al Ponte di Tiberio.

Ponte Tiberio Rimini 2022
Il Ponte di Tiberio

Costruito circa duemila anni fa, il ponte romano collega il centro storico della città all’antico borgo di pescatori. A monte di questo attraversamento è stata costruita la Piazza sull’Acqua, un’opera di legno e acciaio. Polmone verde di Rimini, offre uno scorcio incantevole sul ponte, sulle acque – sempre illuminate la notte  –, e sulla città. Dall’altra parte del Ponte di Tiberio, sono state poste due passerelle galleggianti che permettono rispettivamente di camminare sull’acqua e di passeggiare lungo un fianco del canale.

Ponte Tiberio Rimini
Un’altra veduta del Ponte di Tiberio (ph. Alessandro Moresco on Unsplash)

Dove alloggiare a Rimini: il DEMO Hotel, tra design e sperimentazione

Tra le tante pensioni tipiche romagnole e il Grand Hotel si fa spazio il DEMO Design Emotion, più che un hotel, un’idea visionaria trapiantata nel contesto del litorale romagnolo. Partendo dal recupero di una pensione locale in disuso, il progetto ha previsto il coinvolgimento di quattordici studi di architettura chiamati a ripensare gli spazi per dare vita a un hub di sperimentazione dell’hospitality. Diventato oggi un punto di riferimento nel settore dell’hotellerie, DEMO nasce da un’intuizione di Mauro Santinato. Il Presidente di Teamwork Hospitality ha affidato la progettazione e la realizzazione delle camere ognuna a un differente architetto che ha dato voce alla sua personale idea di ospitalità. L’hotel si compone di nove suite dal carattere onirico, fantasioso e surreale, e poi una lobby, un’area co-working, una lavanderia e servizi al piano terra. Ogni spazio ha una propria identità e permette di vivere un’esperienza immersiva, unica e creativa.

Demo Hotel Rimini 2022
L’area Cerco l’estate tutto l’anno del DEMO Hotel, progettata dallo studio CaberlonCaroppi (ph. Flavio Ricci)

Il concept di questo laboratorio artistico però non si esaurisce nel design innovativo e provocatorio. Concepita come una struttura smart, è completamente non gestita, affidandosi a tecnologie che coniugano massimi livelli di funzionalità alla semplicità d’uso.

E anche in questa occasione Apir ha dato il suo contributo per definire e dare vita alla segnaletica che ricopre all’interno di questo hub un ruolo essenziale, puntando sulla luce, spesso a neon, e sui colori accesi. Toni vividi e scritte lucenti sono quindi i tratti distintivi in questo contenitore di idee, diventando un vero linguaggio che sottolinea e definisce l’identità all’avanguardia del DEMO Design Emotion.

Demo hotel suite
La suite Tropicana Club, ideata da Rizoma Architettura (ph. Francesca Pagliai)

Demo Hotel Design Emotion
Tropicana Club (ph. Francesca Pagliai)

Nell’immagine in apertura, file di ombrelloni sulla spiaggia riminese nel 1997, in uno scatto d’autore di Massimo Vitali

Youth Babilonia: Giuseppe De Domenico

Voce calma, carattere introspettivo, fascino misterioso. Giuseppe De Domenico, classe 1993, originario di Ganzirri, una piccola frazione di Messina, mentre parla con noi si trova a Lipari, nelle isole Eolie, che tanto ama. Ma c’è stato un momento in cui ha rinnegato la sua sicilianità, per accorgersi presto che invece era ciò che lo differenziava. Con la passione da bambino per Kobe Bryant e un grande sogno nel cassetto, l’attore di Bang Bang Baby e ZeroZeroZero ci parla del suo ultimo personaggio, della sua carriera tra teatro, cinema e tv, e dei suoi progetti, senza tralasciare l’incontro con l’obiettivo di Davide Musto per la Fashion Issue Youth Babilonia, che gli ha permesso di «riscoprire una parte espressiva di sé che non trova altrove la possibilità di esprimersi». 

Hai interpretato il ruolo di Rocco Cosentino in Bang Bang Baby, serie di successo di Prime Video del 2022 ambientata negli anni ‘80. Puoi raccontarci di questa esperienza e del tuo personaggio? 

Sono stato molto contento di interpretare questo ruolo che mi ha dato l’opportunità di divertirmi all’interno di un progetto ambizioso. Venendo da ZeroZeroZero (miniserie televisiva del 2020 creata da Stefano Sollima e tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, in cui De Domenico interpreta il nipote di un boss della ’ndrangheta, ndr), avevo bisogno di fare un’esperienza nuova, che toccasse delle corde diverse, più leggera, più istintiva e meno razionale. Rocco è una persona istintiva: tanto corpo e poca testa, se dovessimo riassumerlo.

Nel cast di Bang Bang Baby troviamo attori affermati, tra i quali Adriano Giannini, Antonio Gerardi, Lucia Mascino, Dora Romano e Carmelo Giordano, accanto a talenti emergenti, come Arianna Becheroni, la protagonista della serie. Come è stato recitare all’interno di questo gruppo?

Con quelli della mia generazione, come Arianna e Pietro (Arianna Becheroni interpreta il personaggio della protagonista, Alice Barone, mentre Pietro Paschini ricopre il ruolo di Jimbo, migliore amico della prima, ndr), si è creato un legame forte, come all’interno di una compagnia di amici: ci supportavamo a vicenda. Mentre con i grandi, è stato stupendo vedere la loro umiltà e la loro disponibilità a raccontare e supportarci attraverso la loro esperienza. Il gruppo che si è creato era magico, caratterizzato da un grandissimo senso di unione trasversale tra le varie generazioni. 

Rocco Cosentino è un ragazzo bello e affascinante, picciotto di fiducia della famiglia Barone la cui personalità nel corso degli episodi evolve, rivelando aspetti inediti. Cosa ci hai messo di tuo nel personaggio che hai interpretato e come lo hai costruito?

Da una parte, era importante per me che venisse meno l’immagine di un personaggio stereotipato. Avevo voglia di trovare all’interno di quel ragazzotto di bell’aspetto, che fa tutto quello che gli viene detto e che si diverte a fare il cattivo, un accenno di dolcezza. Secondo me, questo bilanciamento lo rende molto umano. Ho cercato di essere credibile sia quando Rocco fa il belloccio con la pistola in mano, sia quando si denuda e si mostra ad Alice in tutta la sua delicatezza e rivela il suo dispiacere nel perdere quella possibilità. Infatti, lui cambia in virtù dell’amore che sente nei confronti della protagonista. L’immagine che volevo emergesse era quella di una persona che è nata ed è sempre rimasta bloccata all’interno di meccanismi sbagliati, quelli della mafia, ma che riesce, attraverso l’amore, a trovare un minimo di redenzione personale.

Dall’altra, sia in fase di provino che di costruzione del personaggio, mi sono ricordato di un compagno di liceo, dal quale ho preso spunto per costruire il modo di parlare e di muoversi di Rocco. Dopo aver visto gli episodi, tra i miei compagni storici del liceo sono emersi paragoni tra me e Gianluca, il mio amico a cui mi sono fortemente ispirato per tirare fuori un Rocco Cosentino che mi appartenesse.

Come ti sei avvicinato al mondo del cinema e quando hai capito che quella era la tua strada?

Ho iniziato per amore del teatro. Quando a 19 anni sono andato via di casa per fare l’attore di teatro, non avevo una pianificazione a lungo termine. Fu la mia insegnante storica di Genova a suggerirmi di provare a fare televisione. Lì per lì mi sembrò quasi un fallimento, perché il mondo del teatro è sempre molto affascinante, mentre la televisione la si considera quasi come un passo indietro, come dire: “non sono abbastanza bravo per fare teatro”. Invece, lei aveva scorto in me una volontà di ricerca di una verità costante che attraverso la telecamera riusciva ad emergere meglio, rispetto a quanto accade sul palcoscenico. Con il tempo e l’esperienza, ho capito quindi che la necessità di fare l’attore derivava non solo da una mia esigenza di essere visto e riconosciuto, ovvero di un’affermazione personale mossa dall’ambizione, ma da una necessità di sentire e legittimare i miei sentimenti. 

Sei nato a Messina dove sei rimasto fino a 19 anni. Puoi raccontarci qualcosa della tua infanzia in Sicilia e del tuo rapporto con la tua terra d’origine?

Da bambino mi dicevano che ero discolo, dispettoso. Amavo giocare a basket e pensavo che quella potesse diventare la mia professione in futuro. Il mio idolo era Kobe Bryant, avevo i suoi poster attaccati per tutta la stanza. 

Fino a 19 anni sono cresciuto in Sicilia, in un piccolo paese, dove regna quel legame popolare e di rispetto fra tutti, dove incontri una persona per strada e la saluti anche se non la conosci. Queste sono piccole cose che mantengo tutt’ora. 

Ciò che ti rimane addosso della Sicilia è un grandissimo senso di ospitalità e di cortesia. Anche oggi invito spesso a casa i miei colleghi che vengono a Roma, cucino e riservo loro attenzioni e cortesie da vero oste siciliano. Ci fu un periodo in cui volevo rinnegare tutto questo, per stupidità, per sentirmi più continentale, più internazionale. Mi comportavo come pensavo fosse giusto nell’ambiente dello show business, della moda, ma poi mi sono accorto che stavo sbagliando. Perché la cosa che mi avrebbe differenziato da tutti gli altri era proprio il fatto di mantenere le mie origini e non di rinnegarle per inseguire un modello generico e standard. 

Dal cinema alla moda. Hai posato davanti all’obiettivo di Davide Musto per la Fashion Issue di MANINTOWN, Youth Babilonia. Cosa ha rappresentato per te questa avventura in campo moda e cosa ne pensi delle immagini del servizio di cui sei protagonista?

Per quanto senta il mondo della moda lontano dal mio background, mi sono accorto con Davide, durante lo shooting, che quello che facevo spontaneamente lui lo riconosceva esattamente come ciò che voleva vedere. Per me è stata quindi, un’esperienza stupenda perché è come se avessi, grazie a voi, riscoperto una parte espressiva di me che non trova altrove la possibilità di esprimersi. È stata anche una conferma di quanto mi affascini e mi diverta esplorare questa estetica. Spero che si sia trattato solo del primo di tanti servizi, perché in queste foto sono venuti fuori tantissimi personaggi. Davide è riuscito in poco tempo a tirare fuori tanti estremi.

Progetti per il futuro?

Due in sospeso. Uno spero di poterlo comunicare al più presto. E poi siamo in attesa che ci confermino la seconda stagione di Bang Bang Baby.

Un tuo sogno professionale?

Mi piacerebbe riuscire a produrre una serie tv ambientata totalmente in Sicilia. La vorrei realizzare da produttore e non necessariamente da attore. In questo momento infatti, sono circondato da persone con talento straordinario: scrittori, fotografi, video maker ecc…, ai quali manca però un collante e io, sempre per quella mio indole siciliana di creare ambienti ed essere disponibile, mi sono accorto nel tempo, che riesco a mettere insieme gruppi di persone e a far fare loro delle cose. Il mio sogno più grande sarebbe quello di vederli soddisfatti di aver creato qualcosa tutti insieme. Per il nostro futuro c’è bisogno di collettività, siamo troppi individui con troppi egocentrismi.

Total look Trussardi

“Tutto è già stato di qualcun altro” è la frase in bio del tuo account Instagram. Cosa significa per te e in che modo ti rappresenta?

È un reminder che mi sono fatto recentemente dopo alcune riflessioni legate al materialismo. Nella nostra società occidentale siamo spinti all’accumulo, al successo, alla proprietà, a un qualcosa che, se ci pensi, già qualcun altro ha avuto, già qualcun altro ha posseduto. E anche se diventassimo padroni del mondo, nel momento in cui moriremo quelle cose saranno di qualcun altro. È un effetto domino. Qualsiasi cosa che è tridimensionale è già stata di qualcun altro e sarà ancora di qualcun altro. Si tratta quindi di un reminder di distacco da desideri prettamente materialistici per ricordarsi di quanto la scienza stessa ci dice, ovvero che la realtà è composta da più di tre dimensioni, con l’obiettivo magari di aspirare a concepire delle nuove dimensioni. Questa sarebbe la cosa più saggia da fare, piuttosto che continuare a pretendere, possedere.

Giuseppe De Domenico passa senza colpo ferire dai set alle collezioni più avant-garde della nuova stagione. Nell’editoriale per l’ultimo numero di MANINTOWN, Youth Babilonia issue, l’attore sfoggia infatti total look griffati Marni, Fendi e McQueen, oltre alle creazioni edgy del duo creativo alla guida di Trussardi, Serhat Isik e Benjamin A. Huseby.

Credits

Talent Giuseppe De Domenico

Photographer Davide Musto

Stylist Other Agency

Photographer assistant Valentina Ciampaglia

Make-up Flavio Santillo @Makingbeautymanagement

Pitti Immagine Uomo, la moda maschile torna in scena a Firenze

Un’isola che non si isola”, al via a Firenze il Pitti Immagine Uomo, il salone dedicato alla moda maschile che per l’edizione estiva numero 102 allarga i suoi confini temporali e fisici: “Un’isola che si rapporta con la terra ferma in uno scambio continuo, in un colloquio costante di spirito e di percorso”. Dal 14 e fino al 17 giugno la Fortezza da Basso fa da scenario alla kermesse fashion che quest’anno propone nuovi contenuti, collaborazioni inedite e anteprime assolute. Una quattro giorni ricca di eventi e lanci internazionali, collaborazioni straordinarie e progetti speciali: “Un’isola come uno spazio concentrato, laboratorio che sperimenta, amplifica, diversifica.

L’Isola immaginaria di Pitti Immagine Uomo 102

Pitti Island è il tema guida dell’estate 2022 di Pitti Immagine Uomo, un concept ideato dal creative director Angelo Figus e dai Narente, Lucio Aru e Franco Erre, a cui è stata affidata la parte visual. L’isola diventa il fil rouge di tutta la comunicazione adv, video e social. “Una terra dalla botanica selezionata, socievole e aperta, a volte divertente, riflessiva e coinvolgente, sensibile alle idee, per incontrarsi, per stare insieme prima di riprendere, ciascuno, il proprio viaggio”, racconta Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine. Il tema dell’isola, un’isola immaginaria, ricorre e si rincorre con forza anche negli allestimenti della Fortezza da Basso, disegnati dall’architetto Alessandro Moradei, dove le immagini della campagna pubblicitaria fuoriescono dagli spazi bidimensionali trasformandosi in suggestive installazioni con le quali interagire: “Le foto usciranno dai limiti della loro cornice acquistando profondità e prospettiva, moltiplicandosi nei piani e nelle trasparenze” spiega Figus.

Un percorso espositivo tra passato e futuro, artigianalità e sperimentazione a Pitti Immagine Uomo

Le nuove collezioni menswear vanno in scena a Pitti Immagine Uomo 102 lungo un percorso espositivo più ampio e dinamico che si snoda tra cinque sezioni: Fantastic ClassicFuturo Maschile, Dynamic AttitudeSuperstyling, con il progetto S|Style sustainable style di Fondazione Pitti Discovery, dedicato alla moda uomo responsabile. 640 brand, di cui il 38% circa proveniente dall’estero, prendono parte alla manifestazione fashion. 

Fantastic Classic è la macrosezione dedicata all’eleganza maschile, dal British tailoring al savoir-faire italiano. Qui espongono, tra le altre, le aziende che hanno esportato e reso celebre il Made in Italy nel mondo. Partendo dall’artigianalità di altissima qualità, il formale è l’elemento che guida attraverso contaminazioni contemporanee: tradizione e sperimentazione si fondono, i codici classici sono reinterpretati secondo declinazioni personali, dando vita a capi e accessori senza tempo ma dal twist contemporaneo.

Il Piano Attico del Padiglione Centrale è consacrato poi a Futuro Maschile, un vero e proprio viaggio tra le evoluzioni del menswear contemporaneo che si traduce in un‘eleganza decontratta, con uno sguardo rivolto oltre il formale. 

Lo stile urban e outdoor è protagonista dell’area Dynamic Attitude, dove gli stili metropolitani mixano outfit sportivi con occhio attento sulle performace dei materiali. Libertà e comfort sono le parole chiave che si esplicano in design innovativi su capi multitasking e tecnologici. 

Nell’area Superstyling poi, tradizione e sperimentazione si incontrano offrendo una una visione fuori dagli schemi, agender e no-season, in continua trasformazione, che intercetta nuove urgenze espressive, puntando sui valori di ecosostenibilità e contaminazione culturale.

S|Style sustainable style infine, al Piano Inferiore del Padiglione Centrale, è il progetto espositivo di Fondazione Pitti Discovery, supportato da UniCredit e curato dalla fashion journalist Giorgia Cantarini, che ad ogni nuova edizione presenta un accurato lavoro di scouting tra le realtà giovani e i designer più cool che creano e producono rispettando criteri di eco-responsabilità. 

Designer d’eccezione, progetti speciali e collaborazioni esclusive 

Wales Bonner, fashion designer di origini anglo-giamaicane, è la Guest Designer di Pitti Uomo 102. In una sfilata evento, la stilista classe ‘92 ha presentato in anteprima il 14 giugno nel capoluogo toscano la nuova collezione Spring-Summer 2023 del suo brand Wales Bonner. Con il marchio omonimo, animato da un’ampia ricerca culturale abbracciando una molteplicità di prospettive, la Bonner propone una visione unica di lusso culturale che fonde heritage europeo e spirito afro- atlantico.

Ann Demeulemeester invece, celebre stilista belga, è la Guest of Honour di Pitti Immagine Uomo. La designer stessa ha curato il progetto speciale dedicato a lei e al brand che porta il suo nome, con il grand opening di mercoledì 15 giugno in Stazione Leopolda. “Finalmente Firenze e Pitti Immagine sono pronti a celebrare lo straordinario lavoro di Ann Demeulemeester, una storia iniziata quarant’anni fa ad Anversa e oggi rafforzata dal nuovo corso avviato in seguito all’acquisizione del brand da parte di Claudio Antonioli: un approccio che, tra recupero e autonomia, mette in risalto i caratteri distintivi e persistenti della moda Ann Demeulemeester, soprattutto una sensibilità verso il proprio tempo sviluppata senza ansie di omologazione e la capacità di rinnovarsi lasciando inconfondibili le intuizioni e le forme iniziali.” racconta Lapo Cianchi, direttore comunicazione &  eventi di Pitti Immagine.

Tra i progetti speciali a Pitti poi, quello di Soulland, brand basato a Copenaghen dedicato a un futuro socialmente giusto e responsabile, con una visione della moda uomo senza tempo ma al tempo stesso impegnata. Il marchio guidato da Silas Oda Adler presenta la sua collezione SS2023 con una sfilata-evento Pitti Uomo. Inoltre, il designer Giulio Sapio svela la collezione SS23 del brand omonimo all’interno dello Spazio Discovery, contenitore-galleria nella sede di Pitti Immagine, a pochi metri dalla Fortezza da Basso.

Infine, anche collaborazioni internazionali animano la kermesse, come Scandinivian Manifesto che ritorna nella cornice del Pitti e porta in Italia l’innovazione proveniente dalla scena fashion nordica. Brand di riferimento e fashion designer emergenti provenienti da Danimarca, Svezia e Norvegia propongono le loro collezioni. Tra i marchi presenti: Soulland, Les Deux, Palmes, Adnym Atelier, BLK DNM, Wood Wood, Berner Khul, Rue de Tokyo, By death. 

Secondo i diktat attualissimi dell’inclusività, del dialogo, dell’accoglienza, della solidarietà, valori oggi imprescindibili, a Pitti approda anche il progetto speciale che coinvolge una selezione di fashion designer e brand ucraini. Tra questi: T. Mosca, Katerina Kvit, The Coat, Poustovit, Ksenia Schneider, Bobkova e Litkovska, e le creazioni “arts & crafts” di Olk Manufacture e Gunia Project.

Seletti 4 Ceramica Bardelli, la capsule collection in cui tutto diventa possibile

Da una parte eccellenza artigianale, tradizione e altissima qualità, dall’altra estro artistico, design innovativo e vocazione provocatoria: da qui nasce l’iconica collezione Seletti 4 Ceramica Bardelli.
Un incontro inedito, ma probabilmente predestinato, quello tra il leader internazionale nel settore delle piastrelle in ceramica e il brand creativo – e a tratti irriverente – di oggettistica e arredo. Un’unione tanto inaspettata quanto inevitabile tra arte e materia, che ha dato vita alla capsule collection Tiles (R)evolution: una gamma di superfici per pavimenti e rivestimenti dall’impatto estetico sorprendente e realizzate con materiali di altissima qualità.

Seletti Ceramica Bardelli
Seletti 4 Ceramica Bardelli: la linea Distortion

Tiles (R)evolution Seletti 4 Ceramica Bardelli:  l’arte incontra la materia

“L’incontro con Stefano Seletti rappresenta la concretizzazione di un sogno, ovvero la realizzazione di una collezione capsule 2D con l’estetica e il design tipicamente 3D per parlare al mondo dell’architettura con un linguaggio originale. L’obiettivo comune? Stravolgere le logiche della decorazione e della composizione moderna ed andare oltre gli schemi! Ed è così che insieme apriamo le porte alla (R)ivoluzione nel design nel mondo della ceramica!”. Così Gianmaria Bardelli, amministratore delegato del gruppo di cui fanno parte, oltre a Ceramica Bardelli, anche Ceramica Vogue e Appiani, racconta del sodalizio con Seletti, azienda che dal 1964 rivoluziona il modo di vedere, interpretare e utilizzare gli oggetti di uso quotidiano.

Non a caso “(R)evolution is the only solution” è lo slogan del marchio guidato da Stefano Seletti. E con Seletti 4 Ceramica Bardelli, la rivoluzione si sposa con il know-how indiscusso del prodotto ceramico scatenando una vera rivoluzione nel mondo delle superfici decorative e dando vita a Tiles (R)evolution, la gamma di piastrelle pensate per ogni ambiente, dalla casa all’hotel e fino al contract.

Ceramica Bardelli Seletti catalogo
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Black&White

Le cinque linee sorprendenti della capsule di superfici Tiles (R)evolution

Cinque linee dirompenti – Distorsion, Diamond, Black&White, Elements 1 – Nuvole e Elements 2 – Acqua – con cui ricreare ambienti immersivi e onirici, vanno a comporre la capsule collection Seletti 4 Ceramica Bardelli, contemporanea e fuori dagli schemi, realizzata a quattro mani dalle due eccellenze italiane.

Distortion è una piastrella in gres porcellanato, che nei motivi e nelle geometrie reinterpreta l’iconico pattern bianco e nero di Seletti traendo ispirazione dall’immaginario di Maurits Cornelis Escher e dalle prospettive paradossali, i pattern ipnotici, i cortocircuiti percettivi caratteristici delle sue opere.
Diamond invece, piastrella tridimensionale disponibile con finitura lucida nei colori bianco, nero, arancione, senape e rosso, raggiunge il suo massimo splendore nella versione Mirror.

Ceramica Bardelli collezioni Seletti
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Distortion

Black&White è un mosaico in cui si esprime appieno l’expertise dell’azienda nell’immaginare soluzioni che superino i tradizionali confini della decorazione, unita all’approccio visionario di Seletti. La linea  si contraddistingue per un gioco di bianchi e neri dalle infinite combinazioni di creatività.

Elements infine, nelle sue due varianti Nuvole e Acqua, è una serie che vede protagonista la natura e i suoi elementi, con la quale realizzare ambientazioni incantate, portando nell’interior la magia del mondo esterno e rendendo possibile l’impensabile: camminare sulle nuvole o tra azzurre acque cristalline; la percezione si ribalta trasformando radicalmente gli spazi interni.

Seletti Bardelli sito ufficiale
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Nuvole

“In Seletti una cosa che sicuramente non manca è l’entusiasmo nello sperimentare; infatti, quando Gianmaria Bardelli mi ha proposto di immaginare un progetto insieme ho subito detto di sì”, spiega Stefano Seletti a proposito della collab. E prosegue: “Ho scoperto che il mondo del rivestimento ha qualcosa di magico, delle potenzialità in parte vicine a quelle dell’arte”.

Seletti Bardelli catalogo
Seletti 4 Ceramica Bardelli: Acqua

Milano Beauty Week 2022: Milano Verticale e Dr. Hauschka celebrano la bellezza

Dal 3 all’8 maggio, la Milano Beauty Week 2022 promuove la cultura della bellezza e del benessere

Dal 3 all’8 maggio va in scena nel capoluogo meneghino la prima edizione della Milano Beauty Week 2022, una settimana tutta all’insegna della bellezza e del benessere che si pone come obiettivo la promozione del valore sociale, scientifico ed economico del settore cosmetico.

Si tratta di un progetto firmato da Cosmoprof in collaborazione con Esxence che, come la Design Week o la Fashion Week, ambisce ad affermarsi come un appuntamento fisso annuale tra i più attesi. Pronta ad attirare centinaia di migliaia di persone tra gli operatori del settore – che nel 2021 ha generato fatturati per ben 11,7 miliardi di euro – e i tantissimi appassionati del mondo beauty, la Milano Beauty Week 2022 avrà il suo headquarter nel prestigioso Palazzo Giureconsulti, in pieno centro, che si trasformerà in un vero e proprio Beauty Village.

Milano Verticale | UNA Esperienze e Dr. Hauschka protagonisti della Milano Beauty Week 2022

Ma oltre al cuore pulsante, in piazza dei Mercanti, dove avranno luogo mostre, laboratori ed iniziative di vario tipo, la Milano Beauty Week 2022 prevede appuntamenti imperdibili in altre aree strategiche della città. Tappa obbligata di questa sei giorni è Milano Verticale | UNA Esperienze, che ospita al suo interno la Spa milanese di ultima generazione firmata Dr. Hauschka e che per questa sei giorni di beauty si trasforma nella base e punto di riferimento del brand pioniere nel campo della cosmesi naturale dal 1967.

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La facciata dell’hotel Milano Verticale | UNA Esperienze

Urban hotel dal carattere internazionale, destinazione esclusiva per cene gourmet e indirizzo da segnare per un drink in città, il flagship hotel di Gruppo UNA è un luogo di business, un hub innovativo per eventi mondani in linea col contesto urbano, vivace e in pieno fermento; simbolizza appieno l’essenza dell’evoluzione della zona Porta Nuova – Garibaldi, in cui sorge. E fino all’8 maggio, nella piazzetta antistante la struttura sarà presente l’esclusivo Pop-up all’interno di un Trailer Airstream vintage – iconica roulotte in alluminio ideata da Wally Byam – logato Dr. Hauschka.

Le iniziative beauty firmate Dr. Hauschka a Milano Verticale | UNA Esperienze

All’interno del veicolo, trasformato per l’occasione esclusiva in una sorta di agorà del benessere, gli esperti del marchio faranno conoscere i loro cosmetici di alta qualità e la loro linea di make-up nutriente. Ma soprattutto, i visitatori potranno ricevere gratuitamente consulenze, con la possibilità di provare i trattamenti naturali all’avanguardia finalizzati alla rigenerazione fisica e mentale, eseguiti da tutte le estetiste specializzate Dr. Hauschka.

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L’area garden dell’hotel

Inoltre, in occasione della Notte Bianca a Milano, venerdì 6 maggio – organizzata in collaborazione con Confcommercio – il giardino urbano di Milano Verticale | UNA Esperienze, oasi di mille metri quadri che raccoglie l’eredità dei giardini nascosti milanesi reinterpretandoli in chiave contemporanea, sarà la cornice esclusiva di un aperitivo con Dj Set.

Durante tutta la Milano Beauty Week 2022 poi, l’hotel accoglierà conferenze, masterclass e sessioni di yoga del viso come quella in programma sabato alle 11 e alle 15 nel garden. I trattamenti 100% naturali della linea sono disponibili tutto l’anno nella Private SPA dell’hotel, dotata di ampia vasca idromassaggio con cromoterapia, sauna, bagno turco, area relax e, secondo disponibilità, in una camera del settimo piano adibita a cabina, con vista unica sulla città.

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La Spa dell’hotel Milano Verticale | UNA Esperienze

Nell’immagine in apertura, il Pop-up Dr. Hauschka nella piazza davanti l’hotel Milano Verticale | UNA Esperienze

Grand Hotel Victoria Menaggio, il lusso tra storia e design sul Lago di Como

Il Grand Hotel Victoria Menaggio Concept & Spa, Lago di Como

Con vista incantevole fronte lago, proprio sul punto di incontro tra i due rami, il Grand Hotel Victoria Menaggio Concept & Spa, hotel a 5 stelle, con una L in più che esplicita chiaramente il concetto di lusso, domina il lungolago di Menaggio. Elegante borgo dalle origini antiche, Menaggio si trova sulla sponda occidentale del Lago di Como, all’inizio di una valle che lo collega al Lago di Lugano. Grazie alla sua posizione privilegiata tra lago e montagna – da qui è possibile ammirare il massiccio delle Grigne – il clima mite, il suggestivo borgo antico da visitare e il lido accogliente e ben curato con piscina e spiaggia, il paese si afferma come rinomata località di villeggiatura da oltre un secolo.

E infatti, già durante la Belle Époque, il Grand Hotel Victoria Menaggio ospitava nobili e abbienti famiglie inglesi, tedesche e russe che scendevano dall’Engadina, con un carico di bagagli a seguito, per godersi un soggiorno in un luogo affascinante e dalle tante sfaccettature.

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Grand Hotel Victoria Menaggio, gli esterni visti dall’alto (ph. Giacomo Albo)

Grand Hotel Victoria Menaggio: una storia centenaria

Nonostante sia stato oggetto di un’importante opera di ristrutturazione voluta dalla famiglia Rocchi, proprietaria del gruppo alberghiero R Collection, di cui il Grand Hotel Victoria Menaggio fa parte, l’albergo ha saputo mantenere l’allure legata alla sua storia centenaria. Lo splendore dello stile Liberty continua a trionfare attraverso le sontuose scalinate, i grandi lampadari e gli stucchi e i fregi dorati che ornano le sale. Ma la maestosità e i materiali dell’epoca sono stati accostati, e in parte mitigati oggi, da un design attuale, caratterizzato da linee e forme essenziali e da arredi attuali e funzionali.

Il risultato è una struttura classica dal fascino moderno, in cui la luce naturale illumina gli ambienti penetrando dalle ampie vetrate. In un continuum tra passato e presente, il Victoria si compone di un edificio storico, la Villa, e di una struttura recentissima, il Palazzo, collegati tra loro da un tunnel in vetro lungo circa 30 metri, che simboleggia così l’unione tra tradizione e contemporaneità. Le due strutture, in un contesto architettonico armonioso, racchiudono un’area piscina con open bar – il Bar Griso – immersa nel verde, e i dehors dei ristoranti e dei lounge bar, delineando una sorta di oasi silenziosa e tranquilla.

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Il grande camino classico del bar

La Villa e il Palazzo, in un continuum tra passato e presente

Ottantuno tra camere e suite di design, dotate di ogni comfort e nelle quali nulla è lasciato al caso, si distribuiscono tra la Villa e il Palazzo. Tutto qui è domotizzato, per garantire un impatto ambientale orientato alla massima sostenibilità. L’edificio originale, la Villa, ristrutturata recentemente, affaccia sul lungolago e dispone di un pontile privato con servizio di limousine sull’acqua. La reception, situata all’ingresso, è inondata dalla luce naturale. Le tinte dominanti sono il bianco, il crema, il verde ottanio – nuance che ricorre in tutta la struttura – e l’oro. Qui, sono stati preservati i lampadari e gli antichi camini, oggi funzionanti a vapore. E poi, gli stucchi d’epoca, messi in risalto dal grigio dei soffitti, e la scalinata storica, che affiancati a complementi d’arredo di design definisco un layout classico, sobrio e raffinato.

Il Palazzo, la parte nuova del Grand Hotel Victoria Menaggio, sorge sull’impianto architettonico di un antico convento. Al piano terra spicca la zona piscina, uno scrigno di pace e relax, confinante con la modernissima palestra, sempre aperta. I colori usati nella Villa si rincorrono qui creando una gradevole coerenza stilistica.

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Suite con vista lago
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Una suite del Grand Hotel Victoria Menaggio
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Gli esterni dell’hotel con la piscina

Il Ristorante Lago e il Ristorante 1827: attenzione per le materie prime e altissima qualità

Il Ristorante Lago si trova al piano terra della Villa e offre uno scorcio suggestivo del Lago di Como, con vista su Bellagio. Un all-day-dining restaurant con una piacevole veranda, aperto tutto il giorno a partire dalla sontuosa colazione e fino al dopo cena, propone una cantina a vista con una variegata selezione di etichette. Il Ristorante 1827, vero e proprio gourmet restaurant, ha sede invece nel Palazzo. I tavoli sono divisi tra loro da cortine di catenelle in metallo, che creano delle isole private sapientemente illuminate. La cantina è completamente climatizzata e offre la scelta fra più di quattrocento etichette. Ogni bottiglia è qui codificata e un gioco di luci va ad illuminare di volta in volta quella prescelta dal cliente.

Prima di accedere al Ristorante 1827, il passaggio è d’obbligo attraverso la Erre Boutique che propone magnifici prodotti made in Italy, delle vere e proprie gemme rare, tra le quali una selezione di gioielli, capi di abbigliamento e accessori per la casa.
A guida delle cucine del Grand Hotel Victoria Menaggio, il giovane chef Gabriele Natali vanta una carriera consolidata tra i fuochi di rinomati ristoranti stellati, tra i quali il ristorante di Enrico Bartolini al Mudec, a Milano, e il locale guidato da Paolo Griffa a Courmayeur. Attentissimo all’utilizzo delle materie prime locali di qualità, seguendone la stagionalità, e con uno sguardo rivolto verso il biologico, Natali interpreta le ricette tradizionali dando vita a percorsi gastronomici mirabilmente abbinati alle ricchissime potenzialità dei vini presenti. Con una visione della cucina come convivialità e condivisione, per il ristorante gourmet, lo chef mette in scena un menù dedicato all’arte, al mondo della letteratura e della poesia.

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Grand Hotel Victoria Menaggio, il ristorante

I Promessi Sposi rivivono al Grand Hotel Victoria Menaggio

Il progetto di ristrutturazione dell’albergo ha voluto evidenziare ulteriormente il forte legame tra la struttura e il territorio. Il Bar Manzoni, l’american bar dell’hotel, è stato così nominato in onore all’autore dei Promessi Sposi, ambientato proprio su queste sponde. Il Bar Manager Antonio Notarnicola mette a punto la carta del beverage e aggiunge un tocco personale di creatività e gusto estetico, esaltando ogni drink – tra cui cocktail classici e innovativi, distillati ma anche analcolici – e trasformando ogni sorso in una suggestiva experience.

Sulla scia manzoniana poi, anche il ristorante gourmet deve il suo nome alla data di uscita della prima edizione dell’opera di Renzo e Lucia.
Il fil rouge del lago torna, invece, nelle stampe fotografiche antracite che ricoprono le pareti delle aree comuni e che descrivono, con taglio grafico, paesaggi e scorci del lago di Como.

Infine, Il Tunnel dei Promessi Sposi – illustrato da episodi del romanzo realizzati a mano da un artista che lavora per Wall&Deco – permette di accedere direttamente all’area Spa dalle camere della Villa Storica.

Benessere e design in un viaggio tra corpo e mente alla Erre Spa

La Erre Spa si sviluppa su 1200 metri ed è il luogo ideale per ritrovare un perfetto equilibrio di corpo e mente. Bagni a vapore mediterraneo e turco, percorsi aroma e cromo terapici delle water paradise e docce emozionali. E ancora, saune soft e finlandese, percorso Kneipp, stanza del ghiaccio con la crioterapia, vasca privata illuminata dal cielo starlight ed una piscina di venti metri con postazioni relax jacuzzi, incorniciano il percorso benessere.
Respiro, Equilibrio, Energia ed Armonia sono le cabine dal design moderno e curato, adibite ai trattamenti viso e corpo che, assieme alla cromoterapia delle luci soffuse, delle spotlights e delle candele aromatiche, personalizzano il rituale rigenerante psicofisico. I quattro elementi – il legno, l’acqua, l’aria, il fuoco – convivono alla Erre Spa per un’esperienza immersiva multisensoriale.

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La Erre Spa del Grand Hotel Victoria Menaggio

Torna a Milano MIA Fair 2022, la prestigiosa fiera internazionale d’arte dedicata alla fotografia in Italia

MIA Fair 2022, Milano

Dopo le date autunnali del 2021, torna quest’anno a Milano l’atteso appuntamento primaverile dedicato al mondo della fotografia. Dal 28 aprile e fino al 1° maggio il Superstudio Maxi, con i suoi ampi spazi in via Moncucco, ospita MIA Fair 2022 – Milan Image Art Fair, che ritrova così la sua finestra temporale usuale. Fabio Castelli Ideatore e Direttore di MIA Fair e Lorenza Castelli, Direttore Organizzativo della manifestazione artistica, raccontano: “Ci tenevamo molto che MIA Fair rientrasse nel suo consueto ambito temporale primaverile. E, pur avendo a disposizione solo pochi mesi per lavorare, siamo riusciti a organizzare una nuova edizione della fiera che proporrà, come sempre è avvenuto negli anni precedenti, tante e interessanti novità”.

Fabian Albertini, Black Sea #2, 2020, Fotografia stampata su tela, sovradipinta con colore acrilico, cornice in ferro 150 x 120 x 4 cm, Pezzo unico, Courtesy Fabian Albertini/Galerie Palü
Théo Gosselin, Lost and Found, 2019, Inkjet on archival paper, 60x40cm, edizione: 1/7, Courtesy Fisheye Gallery

L’XI edizione della più prestigiosa fiera italiana in questo settore si pone l’obiettivo di esplorare ulteriormente i campi disciplinari legati all’immagine fotografica e di mettere a fuoco la trasversalità dei linguaggi artistici contemporanei. Portavoce di questa mission sono 97 espositori provenienti dall’Italia e dall’estero che propongono ai visitatori le molteplici sfaccettature e le migliori interpretazioni dell’espressione fotografica: “In questi anni, abbiamo imparato a conoscere MIA Fair non solo come una fiera, quanto come un hub culturale dove professionisti e appassionati possono approfondire la trasversalità dei linguaggi artistici contemporanei e monitorare lo stato della fotografia attuale a livello globale”, spiegano Fabio e Lorenza Castelli.

Larissa Ambachtsheer firma l’immagine di MIA Fair 2022

Larissa Ambachtsheer, Red Lemon, 2017, Fine Art Print on dibond framed, 94 x 134 cm, edizione di 5, Courtesy Project 2.0 / Gallery

A firmare l’immagine coordinata di MIA Fair 2022, raccogliendo il testimone da Rankin (che ha dato il volto all’edizione 2021 con le sue immagini dal progetto Saved by the Bell, 2018), è l’artista olandese Larissa Ambachtsheer, con alcune opere tratte dalla sua serie You Choose, I seduce, del 2017, attraverso le quali indaga il comportamento umano. In questo lavoro, La Ambachtsheer crea set e messe in scena, per realizzare nature morte, e si interroga sul ruolo del colore nel cibo e su come lo si possa utilizzare come strumento di manipolazione. A partire da questa edizione, Mia Fair poi, entra nel gruppo Fiere di Parma: “Consideriamo quella che stiamo per inaugurare – dicono Fabio Castelli e Lorenza Castelli – l’edizione zero di una nuova avventura che ci vede unire le forze con Fiere di Parma con l’obiettivo di dare ulteriore impulso al mercato della fotografia, e di attrarre gli investimenti non solo dei collezionisti e dei buyer internazionali, ma anche per stimolare l’interesse del pubblico appassionato d’arte e, in particolare, di fotografia”.

Il percorso espositivo e i progetti speciali di MIA Fair 2022

Gabriele Basilico, Hardelot Plage, 1985, stampa ai sali d’argento, cm 50×60, edizione di 15, Courtesy Gabriele Basilico / Photo&Contemporary
Manon Hertog, Blossom, 2022, Fine Art Print on dibond framed, 106 x 140 cm, edizione di 5, Courtesy Project 2.0 / Gallery

Tra le varie sezioni e iniziative messe in campo nell’edizione 2022 di Mia Fair, la Main Section, cuore della manifestazione, accoglie un panel di espositori selezionato da Fabio Castelli, direttore, Gigliola Foschi ed Enrica Viganò, advisor della manifestazione. Beyond Photography – Dialogue, curata da Domenico de Chirico, che ha scelto con le gallerie invitate artisti consolidati ed emergenti, ricrea un dialogo tra opere di fotografia intesa come linguaggio d’arte contemporanea e altri medium quali  scultura, pittura e installazione. Anche Eberhard & Co., da 10 anni partner della fiera, propone un progetto per la divulgazione di una parte dell’archivio di Adriano Scoffone, contenente circa 40.000 lastre e pellicole realizzate dal fotografo piemontese. La mostra Quei temerari delle strade bianche. Nuvolari, Varzi, Campari e altri eroi alla Cuneo – Colle della Maddalena, a cura di Giosuè Boetto Cohen, racconta attraverso 20 immagini – che vedono protagonista Tazio Nuvolari, uno dei più grandi nomi dell’automobilismo mondiale –, la sfida automobilistica Cuneo-Colle della Maddalena, tra il 1925 e il 1930, considerata per difficoltà e lunghezza come una delle corse più pericolose dell’epoca.

©Roberto Polillo, Marocco Rabat, 2008

Anche una serie di progetti speciali animano e definiscono l’evento culturale. tra questi, BDC – Bonanni Del Rio Catalog, polo culturale di Parma, promuove la prima edizione di La Nuova Scelta Italiana, che mira a valorizzare il lavoro di tre artisti individuati come eredi dei grandi maestri della fotografia italiana. Roberto Polillo, uno dei più conosciuti fotografi italiani a livello internazionale, porta a MIA Fair 2022 il suo progetto Invisibile. Curato da Denis Curti, racconta la ricerca dell’artista milanese. Animica è il titolo del progetto speciale di Barbara Pigazzi, curato da Angela Madesani, in cui la protagonista è la laguna veneta fra le provincie di Padova e Venezia, patrimonio dell’UNESCO. La Galleria Project 2.0 de L’Aia, Paesi Bassi, con il progetto Dutch Talent Pavillion, presenta 5 tra i fotografi più originali della nuova scena olandese contemporanea tra i quali proprio Larissa Ambachtsheer, che ha firmato l’immagine dell’evento. Anche in questa edizione, MIA Fair rinsalda la collaborazione con Photo Independent, la fiera di fotografia di Los Angeles che sonda le nuove generazioni di fotografi indipendenti e che, per l’occasione, presenterà una mostra immersiva e una selezione dei più interessanti autori, scelti tra i molti che hanno esposto nella rassegna californiana.

Matteo Procaccioli Della Valle, Serie Time Suspended, San Francisco, 2019, Polaroid, mvlm, tiratura mvlemsòv, Courtesy Raffaella De Chirico Arte Contemporanea
Annamaria Belloni, Supernatura #33, 2017, fine art inkjet-print, cm 50×75, edizione: 3/6 + 1AP, fiVe Gallery

La partnership con ManInTown Magazine: Nuovo Cinema Paradiso by Davide Musto

Grande novità dell’XI edizione della manifestazione culturale è la partnership con ManInTown, che sarà presente a MIA Fair 2022 con una mostra dedicata al cinema – Nuovo Cinema Paradiso – a cura di Davide Musto. La mostra esplora la nuova generazione del cinema italiano, un panorama di nuovi talenti che negli ultimi anni sta riscuotendo un successo internazionale grazie alle nuove piattaforme. Davide Musto, fotografo di origine palermitane di base a Roma, segue da anni questo panorama magmatico di giovani e talentuosi artisti; il suo occhio attento allo scouting gli ha permesso di catturare molto in anticipo sui tempi molti volti che oggi sono diventati popolari, come Rocco Fasano, Lorenzo Zurzolo, Edoardo Purgatori, Matilde Gioli, Eduardo Scarpetta, tanto per citarne solo alcuni, che saranno presenti nella mostra. La ricerca di Musto è un mix di sensualità ed estetica attenta alla moda, una visione ricca di contrasti proprio come la sua terra d’origine, la Sicilia.

Inoltre, ManInTown sarà presente a MIA Fair 2022 con il nuovo numero di aprile, un’edizione con sei diverse cover che vuole offrire uno spaccato del cinema e della musica italiana più cool del momento.

Matilde Gioli, ph. by Davide Musto
Lorenzo Zurzolo, ph. by Davide Musto

I premi di MIA Fair 2022

Fin dalla sua prima edizione, MIA Fair si è contraddistinta per la qualità e la varietà delle proposte e dei premi, frutto di collaborazioni con diverse istituzioni e partner culturali. Tra questi, il Premio New Post Photography, curato da Gigliola Foschi, promuove le tendenze più creative e innovative nel mondo della fotografia contemporanea e si pone come una vetrina in grado di registrare e mettere in luce i cambiamenti in atto. MIA Fair 2022 accoglie anche la prima edizione del Premio Irinox Save The Food, a cura di Claudio Composti, aperto a progetti di artisti che abbiano una relazione con il tema del cibo in ogni sua forma.

Silvia Papa, Sintomalia #05 (Prometeo), 2019, FINE ART PRINT, 100X52X5  CM, edizione 1 di 5 +ap, Courtesy Shazar Gallery
Thomas Jorion, Voyage #11, 2019, Digital print on Canson paper and framed, 64 × 80 cm, edizione di 5, Curtesy Podbielski Contemporary

Infine, accanto al percorso espositivo, MIA Fair 2022 propone un interessante programma culturale che, nei giorni di apertura della manifestazione, prevede incontri, conferenze, talk su alcuni dei temi più attuali nel campo dell’arte e della fotografia.

Luca Campigotto, Hong Kong, 2016, Stampa ai pigmenti montata su dibond, cm 150×200,  edizione: 1/15, Courtesy Luca Campigotto
Carlo Orsi, Milano, anni 60 @ Archivio Carlo Orsi

MIA Fair 2022 | Milan Image Art Fair

28 aprile – 1° maggio 2022

Superstudio Maxi

Milano, via Moncucco, 35

In apertura: Larissa Ambachtsheer, Red Lemon, 2017, Fine Art Print on dibond framed, 94 x 134 cm, edizione di 5, Courtesy Project 2.0 / Gallery

Tradizione, piacere e benessere sulla Riviera di Levante al Grand Hotel Bristol Resort & Spa

La Dolce Vita rivive a Rapallo al Grand Hotel Bristol Resort & Spa

Una raffinata dimora storica risalente al 1908 in stile Liberty, il Grand Hotel Bristol Resort & Spa si affaccia sul suggestivo Golfo del Tigullio. In un susseguirsi di piacevoli insenature, invitanti spiagge attrezzate e porticcioli in cui attraccano barche di pescatori e yacht, questo tratto della Riviera Ligure, meta negli anni Cinquanta e Sessanta del jet-set internazionale, è divenuto luogo simbolo della Dolce Vita italiana. Tra paesaggi incantevoli, clima mite e piccole località eleganti, l’area è tutt’oggi un luogo ambito per una vacanza rilassante ed esclusiva.
Il Grand Hotel Bristol Resort & Spa, gioiello della tradizione della grande hotellerie ligure, immerso nella macchia mediterranea, sorge a Rapallo, località accogliente della riviera di levante. Con il suo centro storico pittoresco e colorato, il lungomare Vittorio Veneto all’ombra delle palme, gli stabilimenti balneari e due piccoli porti, il borgo è il luogo ideale anche per esplorare le bellezze dei dintorni. Il Santuario di Montallegro, facilmente raggiungibile con una funivia di inizio secolo, svela uno splendido panorama sul golfo, mentre Portofino, con le sue case colorate e la celebre piazzetta, dista solo pochi chilometri, così come l’elegante borgo di Santa Margherita Ligure e le magnifiche e scenografiche Cinque Terre.

Il Grand Hotel Bristol Resort & Spa, con 83 camere e suites, circondato da un rigoglioso giardino di vegetazione mediterranea, si distingue per la sua facciata in pieno stile Liberty che si armonizza perfettamente con il linguaggio moderno degli interni e dei decori. Un’oasi verde che si fonde con lo spazio circostante a rappresentarne quasi un continuum, la struttura si apre su un’ampia terrazza panoramica, che si affaccia a sua volta su una grande piscina a sfioro, con una posizione privilegiata a strapiombo sul mare. Il Pool Bar, informale e accogliente, offre la possibilità di consumare un light lunch o magari, di sorseggiare un drink al tramonto a bordo piscina, nella quale immergersi con uno sguardo proiettato verso l’orizzonte.

Alla scoperta della tradizione enogastronomica ligure al Grand Hotel Bristol

Punto di forza del Bristol è il Ristorante Le Cupole, sul rooftop dell’hotel, con vista mozzafiato sul promontorio di Portofino e su tutto il Golfo del Tigullio. Qui, lo chef Graziano Duca alterna sapientemente tradizione, creatività e innovazione grazie ad una cucina ligure vera e genuina, sublimata dall’utilizzo di ingredienti del territorio di alta qualità. I prodotti utilizzati per esaltare i piatti provengono da coltivatori e artigiani della zona così come i vini liguri, attentamente selezionati.
Duca racconta così la sua idea di cucina che punta sulla riscoperta dei sapori autentici reinterpretati in chiave contemporanea: “La tradizione è rimasta una componente fondamentale nelle mie proposte. Mi piace riscoprire piatti evergreen come la cima alla genovese o il classico vitello tonnato che, rivisitati e reinterpretati con tecniche moderne diventano dei piatti prelibati, un connubio perfetto tra tradizione e contemporaneità. Il mio stile di cucina è autentico e genuino, ma dai sapori nitidi, pochi ingredienti ma con tanto gusto e sapore”.

Il ristorante Le Cupole
Il bar

A completare l’offerta gastronomica dell’hotel, il Bristol Bistrot, con ampie vetrate che illuminano lo spazio interno, è il luogo per consumare una ricca colazione o cenare scegliendo tra piatti e vini tipici locali. E dopo cena, il bar La Via della Seta, che si distingue per la sua selezione di cocktail attenta e ricercata, permette di vivere un’esperienza sofisticata in un’atmosfera lounge.

Una pausa di benessere per corpo e mente sulla Riviera di Levante

Un vero e proprio rifugio rigenerante al Grand Hotel, la Erre Spa Bristol si sviluppa su due mila metri quadri e apre le porte verso una dimensione orientata al benessere psico-fisico: trattamenti viso e corpo, programmi diversificati e personalizzati ed esperienze multisensoriali. Sauna, bagno turco, bagno mediterraneo, piscina coperta, zone idromassaggio, idrogetti, docce emozionali, cascata di ghiaccio, percorso Kneipp, zone relax a tema e una tisaneria offrono una pausa rinvigorente in una cornice suggestiva.

La Spa
La Spa

Struttura di prestigio parte del Gruppo R Collection Hotels – che attraverso la sua visione mette al centro il territorio, la sua storia e la sua identità – il Grand Hotel Bristol Resort & Spa, con il lussureggiante giardino, la grande piscina, il ristorante gourmet Le Cupole, il bar all’avanguardia La Via della Seta e la Spa, angolo avvolgente ed energizzante, è quindi il luogo perfetto per vivere una vacanza all’insegna del piacere e del comfort in uno scenario naturale mozzafiato.

Sheraton Milan San Siro, un rifugio verde dove condividere esperienze

In via Caldera, nel cuore di Quarto Cagnino, quartiere residenziale milanese a ovest della città, poco distante dallo storico Stadio Meazza, sorge lo Sheraton Milan San Siro, hotel dal design elegante e contemporaneo, progettato come un luogo in cui connettersi e condividere esperienze. Situato in un ex borgo agricolo medievale, oggi circondato da alcuni tra i maggiori polmoni verdi della città – il parco di Trenno, il Boscoincittà e il parco delle Cave – lo Sheraton rappresenta un rifugio tranquillo, lontano dalla frenesia urbana, seppur sapientemente collegato agli aeroporti e ai maggiori punti nevralgici della città meneghina. Proprio grazie alla sua posizione strategica, la struttura è stata progettata pensando sia a coloro che si trovano nel capoluogo lombardo per motivi di affari, che agli ospiti in viaggio di piacere, che soggiornano qui per esplorare Milano e i suoi dintorni.

Courtesy of Sheraton Milan San Siro

Nato a seguito del restyling del preesistente Grand Hotel Brun, un imponente edificio degli anni Ottanta, il nuovo Sheraton Milan San Siro è un progetto ideato, elaborato e disegnato dallo Studio CaberlonCaroppi Italian Touch Architects, che ha preservato l’architettura delle origini – con l’iconica forma curva e modernista del corpo principale dell’edificio dalla peculiare pianta a Y. Le zone comuni sono state realizzate sinergicamente da Concreta, azienda valtellinese basata a Postalesio che, con un approccio sartoriale, cuce i progetti intorno ai desideri dei clienti. Il pool di architetti si è ispirato per questo concept alla città che lo ospita: Milano. I colori, le linee, gli interiors ne esprimono la dinamicità. Concreta ha sviluppato su misura tutti gli arredi e i complementi delle ampie aree condivise in linea con l’idea e lo stile dell’hotel.

Courtesy of Sheraton Milan San Siro

Un’architettura modernista e curvilinea domina la struttura, riflettendosi tanto sugli spazi interni comuni, quanto nelle aree private: 310 tra camere e suite distribuite su sei piani, sobrie e lineari, caratterizzate da una palette di colori neutri, in cui spiccano elementi blu e viola e nelle quali la contemporaneità e l’eleganza si fondono con la funzionalità. Il risultato è un hotel dal design pulito, definito da una combinazione di stili, finiture, materiali di pregio, preziosi elementi tessili, arredi su misura dalle linee essenziali, motivi geometrici e tinte naturali che contribuiscono a ricreare un’allure tipicamente anni Sessanta.

Courtesy of Sheraton Milan San Siro

Una pausa di fitness e benessere allo Sheraton Milan San Siro

Tutte le stanze, tra le quali la suite Presidential di 90 metri quadri, offrono inoltre la possibilità di provare le esperienze offerte dall’hotel, come lo Sheraton Club, luogo ideato per una sessione di lavoro o per un momento di pausa. All’ultimo piano dello Sheraton Milan San Siro, con vista sulle Alpi, la SPA Elite Spa & Wellness, in un ambiente caratterizzato da colori tenui e luci soffuse, è un’oasi di quiete dove prendersi cura del proprio equilibrio corpo-mente, grazie ai servizi di benessere e ai trattamenti estetici mirati. Il centro Sheraton Fitness, l’area palestra, è aperto tutti i giorni senza limiti di orario e offre agli ospiti la possibilità di mantenere la propria routine di allenamento anche in viaggio.

Suite Presidential (ph. courtesy of Sheraton Milan San Siro)
La SPA Elite Spa & Wellness (ph. courtesy of Sheraton Milan San Siro)

Gli esterni, così come l’interior design dell’hotel, sono stati progettati come un continuum della zona verde circostante, creando equilibrio tra la struttura e i suoi dintorni, che si fonde così armonicamente nell’ambiente: giardini fioriti, terrazze, un’area giochi per bambini e una grande piscina con solarium, tavolini esterni e un bar – il Pool Oasis Bar  – circondata da una rigogliosa vegetazione. Gli spazi interni e quelli all’aperto sono stati pensati per agevolare l’interazione sociale e per infondere un forte senso di comunità. Luogo cosmopolita quindi, destinato sia agli ospiti dell’hotel ma anche ai milanesi stessi, Lo Sheraton Milan San Siro si pone come un catalizzatore culturale che rafforza l’incontro tra la comunità locale e quella internazionale a Milano.

Courtesy of Sheraton Milan San Siro

La proposta gastronomica ricercata e raffinata: dall’Italia all’Argentina

Al piano terra, nella zona esterna, si trova anche il El Patio del Gaucho, Javier Zanetti, rinomata steakhouse argentina che propone piatti di carne e pietanze d’ispirazione moderna a base di pesce e verdure. Totalmente progettato dallo studio CaberlonCaroppi, l’idea prende origine dalla volontà di raccontare il legame tra l’hotel e il vicino stadio Meazza, legandosi indissolubilmente con una leggenda del calcio giocato, l’ex capitano dell’Inter Zanetti. Già il Grand Hotel Brun era infatti noto per aver spesso ospitato le squadre di Serie A e la nazionale italiana di calcio. Qui, tradizione culinaria argentina e innovazione si mescolano dando vita a un menu che offre un viaggio alla scoperta di sapori tipici e inediti del paese sudamericano. Fedele alla cultura argentina, l’asador de El Patio del Gaucho regna sul ristorante dalla sua postazione davanti alla parrilla, la grande griglia su cui cuoce i tagli più pregiati delle migliori carni, nel rispetto delle usanze locali. Il luogo si ispira al tema del menu: ardesia, legno e cuoio si fondono negli interni in una sinfonia di consistenze e trame. I bauli posti all’entrata ricordano il legame tra i due paesi, l’Italia e l’Argentina, e la storia della nostra immigrazione verso questa terra. Gli spazi sono pensati per richiamare le vecchie case di famiglia, piene di oggetti legati alla memoria, con una disposizione un po’ caotica degli arredi. Al centro della sala, una grande tavolata è un luogo di condivisione che si riaggancia senza soluzione di continuità ad uno dei concetti che ha ispirato la progettazione dell’hotel: la connessione e interconnessione tipica della società contemporanea.

El Patio del Gaucho, Javier Zanetti (ph. courtesy of Sheraton Milan San Siro)

Il luminoso Silene Bar & Restaurant interno completa l’offerta gastronomica dello Sheraton Milan San Siro. Il ristorante propone diverse opzioni lungo tutto l’arco della giornata con una selezione artigianale di piatti e prodotti del nord Italia e si pone come punto d’incontro conviviale, per un caffè, un pranzo di lavoro, un aperitivo tra colleghi, una cena in famiglia o ancora un drink tra amici. Qui, lo Chef Pasquale D’Ambrosio mette in scena uno spettacolo di colori, profumi e sapori in piatti che raccontano le eccellenze del nostro territorio, tramandando ricordi attraverso la cucina italiana autentica, fatta di creatività, tradizione e semplicità. Legato alla Campania, sua terra d’origine, D’Ambrosio porta in tavola sinergie inattese di sapori, esaltate da un’estetica curata, prestando attenzione anche al benessere e alle proprietà salutistiche dei piatti e alla sostenibilità, che si traduce nell’utilizzo di materie prime stagionali, frutto del lavoro di piccoli produttori locali. L’ambiente è caratterizzato da un gioco di luci e design che, in un alternarsi di consistenze e colori, dà vita ad un luogo calmo e armonioso immerso nella luce naturale. La palette di colori riflette la natura rigogliosa che abbraccia l’hotel e che si scorge oltre le ampie finestre. Interamente arredato su misura da Concreta, un grande tavolo comune spicca nel locale incoraggiando in modo spontaneo la condivisione e la flessibilità.

Silene Bar & Restaurant (ph. courtesy of Sheraton Milan San Siro)

Sheraton Milan San Siro: il luogo ideale per un’esperienza meeting

Una collezione di sale per conferenze, che ospitano eventi privati o aziendale, copre una superficie totale di 2.500 metri quadrati, e sottolinea  l’inclinazione dell’hotel e l’expertise nel mondo degli eventi su larga scala, riconducibile già alla storia del precedente albergo. Lo Sheraton Milan San Siro offre un’esperienza meeting rispondendo alle molteplici esigenze congressuali della zona, dove si trovano il Centro Congressi MiCo, il Business Park Caldera, Fiera Milano Rho e Fiera Milano City. Con un ingresso indipendente, la struttura conta ventuno stanze riunioni, di cui diciannove illuminate dalla luce naturale, con arredi dalle linee sobrie e colori neutri. L’area congressi comprende inoltre due sale da ballo.

Courtesy of Sheraton Milan San Siro

Più che un hotel, Sheraton Milan San Siro quindi, è un vero e proprio hub, un convogliatore sociale, un luogo di incontri e connessioni e di relax.

Sheraton Milan San Siro

Via Caldera, 3 | 20153 | Milano

+39 02-915221

sheratonmilansansiro.com