SEXY E GLAMOUR: LA FOTOGRAFIA DI MODA SECONDO GIAMPAOLO SGURA

“NEVER CONFUSE FASHION WITH STYLE
AND SEX WITH LOVE!!!”
GIAMPAOLO SGURA

Uno dei fotografi italiani più acclamati e riconosciuti a livello internazionale, Giampaolo Sgura ci racconta la sua visione estetica e passione per la moda. Una vita intensa tra Milano, New York e Miami, ma anche un elogio alla semplicità di chi non ha perso di vista la bellezza dei gesti più quotidiani.

Raccontami del tuo percorso, dagli studi architettura al momento in cui hai capito avresti fatto il fotografo

Ho sempre sognato sin da piccolo di lavorare nella moda. Mi affascinava la rierca del Bello e della eccessiva creatività. Poi durante gli studi di architettura ho continuato a fare i miei reportage fotografici finchè un amico, che lavorava per Glamour, mi ha convinto a fare delle foto per una rubrica. Così pian piano mi sono addentrato. Un’avventura iniziata quasi per caso…

Quali sono stati per te dei maestri ed esempi che ti hanno ispirato e insegnato? 

Penso a grandi maestri come Steven Meisel, Richard Avedon, Irvin Penn, per me tutti grandi esempi e mostri sacri della fotografia.

Qual è stato il tuo primo importante lavoro che ti ha fatto capire stavi svoltando?
Di sicuro il mio primo editoriale per Vogue Paris

Proprio Vogue Paris ha descritto la tua visione della donna in equilibrio tra femminilità, sensualità e glamour. Che personaggi per te incarnano questi valori?

Purtroppo oggi più nessuno. La moda è’ ormai piena di tante cose diverse e ciò che manca sicuramente è proprio il vero glamour. E la parola stessa glamour suona male agli stessi addetti ai lavori. Per me la donna deve avere sempre questi tre elementi: femminilità, sensualità e glamour. E cerco di farlo emergere dalle mie foto, che sia un editoriale al mare o una storia moda in studio. Forse Carine Roitfeld è oggi l’unica donna che incarna questi tre valori nella moda! Le altre donne hanno troppa paura di osare.

Come vedi l’evoluzione della moda oggi, come sta cambiando in relazione ai social media?
La moda è pura democrazia oggi: la fanno tutti, la criticano tutti, si sentono tutti alla moda. Per me resta sempre un sogno, una visione. Instagram ha certamente reso la moda più accessibile e fruibile al grande pubblico.

Che pensi di questa ondata di sportswear nella moda uomo?
Io personalmente ho sempre vissuto e indossato in stile sportswear. E’ la mia divisa e oggi è di moda.

Raccontami un aneddoto relativo a un personaggio maschile che hai scattato e un personaggio che vorresti scattare nel futuro

Vorrei scattare Moby e Leonardo di Caprio perchè ammiro la loro perseveranza nel supportare le grandi cause del disastro ambientale e del climate change. Per me sono i veri eroi del presente….Moby for president! Tra gli aneddoti l’incontro con Timothée Chalamet, ragazzo davvero interessante, che si rivela essere anche un grande attore, una personalità incredibile.

Quando non lavori, le tue passioni…

Cose molto semplici: dormire, allenarmi, portare i cani al parco, andare a vedere mostre e cene con amici.

Quale la città che è ancora una fonte di ispirazione e quale in cui ti ricarichi?
Senza dubbio New York resta piena di stimoli e suggestioni, una città sempre in fermento creativo, mentre a Miami riesco veramente a rilassarmi. Miami mi regala inoltre la possibilità di fotografare usando una luce naturale e intensa. Miami mi trasmette un’energia molto positiva e mi sono trasferito lì. Vedremo come va…


 

Sexy & Glamourous: Fashion Photography, According to Giampaolo Sgura

“Never confuse fashion with style, or sex with love” – Giampaolo Sgura

One of the most acclaimed and internationally recognised Italian photographers, Giampaolo Sgura, tells us about his aesthetic vision and his passion for fashion. He lives an intense life between Milan, New York and Miami, but one that is also a tribute to the simplicity of someone who has not lost sight of the beauty in everyday moments.

Tell us about your journey, from studying architecture to the moment you realised you would be a photographer
I have always dreamed of working in the fashion industry since I was a child. I was fascinated with the search for beauty and the excessive creativity in fashion. While I was studying architecture, I did photographic reportages and a friend who worked for Glamour convinced me to take some pictures for a column. So, I got into it slowly. An adventure that started almost by chance.

Who were the masters and role models that inspired and taught you?
The great masters like Steven Meisel, Richard Avedon and Irvin Penn, were all terrific examples for me and sacred gurus of photography.

What was your first important job that made you realise this was becoming your career?
Absolutely it was my first editorial for Vogue Paris.

It was Vogue Paris that described your vision of women as a balance between femininity, sensuality and glamour. Who do you think embodies these values?
Unfortunately, no one of today does anymore. Fashion is now full of so many different things and certainly what is missing is true glamour. Even the word ‘glamour’ sounds bad to industry insiders. For me, women must always have those three elements: femininity, sensuality and glamour. And I try to make that emerge from my photos, whether in an editorial by the sea or a fashion shoot in the studio. Perhaps Carine Roitfeld is the only woman who embodies those three values ​​in fashion today. The rest of women are too afraid to dare.

How do you see the evolution of fashion today? How is it changing in due to social media?
Fashion is pure democracy today: everyone creates it, everyone criticizes it, and everyone feels fashionable. For me, fashion is still about a dream, a vision. Instagram has certainly made fashion more accessible and user-friendly to the general public.

What do you think of the rise of sportswear in men’s fashion?
Personally, I have always lived in sportswear style. It’s my uniform and today it’s fashionable.

Tell us a story about a male celebrity you shot, and someone who you’d like to shoot in the future.
I would like to shoot Moby and Leonardo di Caprio, because I admire their perseverance in supporting great causes against environmental disaster and climate change. For me, they are the true heroes of the present…. Moby for president! Among the those I’ve worked with is Timothée Chalamet, a really interesting guy who turns out to be a great actor with an incredible personality.

When you’re not working, what are your passions?
Very simple things: sleeping, working out, taking the dogs to the park, going to see exhibitions and dinner with friends.

Which city is still a source of inspiration for you and in which city do you recharge?
Without a doubt New York is full of stimuli and splendour, a city always in a creative buzz, while in Miami, I really can relax. Miami also gives me the opportunity to photograph using natural, intense light. It gave me a very positive energy, so I moved there. We’ll see how it goes….

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THINK POSITIVE! FABRIZIO SCLAVI & FRIENDS FOR ASA

Grande successo per l’opening del nuovo spazio di 10 Corso Como Tazzoli che ha inaugurato i nuovi spazi con la mostra Think Positive!Fabrizio Sclavi&friends per supportare ASA, Associazione Solidarietà Aids. Un happening per pensare in modo diverso alle persone che vivono con l’HIV. Al vernissage hanno partecipato, insieme a Carla Sozzani, i più importanti fotografi italiani noti a livello internazionale, Gian Paolo Barbieri, Maria Vittoria Backhaus, Maurizio Galimberti, Giovanni Gastel, Piero Gemelli, Ilaria Facci, Stefano Zarpellon ed Efisio Rocco Marras. Tutti i fotografi e creativi hanno donato un’opera per la mostra e in alcuni casi realizzato uno scatto ad hoc per raccontare iniziative importanti per ASA, come La Coperta dei Nomi (THE QUILT) ovvero le coperte disegnate e ricamate da amici o parenti di vittime dell’AIDS, affinché il loro ricordo non vada perduto. La serata, condotta da Fabio Marelli, voce di Discoradio, ha visto inoltre salire sul palco Angelo Di Genio, che ha ha recitato alcuni passaggi tratti dallo spettacolo “Processo a Nureyev” di Mario Acampa, e il duo Sem&Stenn con una live performance. Per l’occasione Manuel Ritz, brand con un dna ispirazionale legato all’arte e improntato a comunicarsi non solo attraverso le sue collezioni, ma anche attraverso un racconto di valori positivi, ha realizzato una limited edition di t-shirt per sostenere ASA nella lotta contro l’AIDS. L’art work impresso sulle magliette Manuel Ritz è proprio a firma di Sclavi, che coinvolge il brand dopo la prima già felice collaborazione per una capsule lanciata la scorsa Primavera-Estate 2018. Claim dell’evento e slogan sulla t-shrt U=U Undetectable Untrasmittable per informare che le persone sieropositive sottoposte a terapia antiretrovirale non sono contagiose. Manuel Ritz, proponendo le t-shirt anche nel suo monomarca milanese, vuole trasmettere lo stesso messaggio alla sua clientela, per far avvicinare a una corretta informazione e incoraggiare uno shopping benefico. La serata è stata inoltre accompagnata dalle bollicine di Valdo e dai drink preparati dai migliori mixologist a base di Tito’s Vodka, certificata “Gluten Free” e prodotta e imbottigliata artigianalmente. Tito’s Handmade Vodka, prende il nome del suo stesso proprietario, fondatore e mastro distillatore Bert “Tito” Beveridge che abbandona la professione di geologo e geofisico per dedicarsi totalmente alla sua passione: la vodka, che ama aromatizzare con particolari infusioni per poi regalarla agli amici per le festività. Una storia di passione e dedizione che lo porta a un rapido successo. Già molto sensibile a tematiche LGBT, Tito’s ha sostenuto il progetto chiedendo agli ospiti un’offerta simbolica per i drink e facendo poi una donazione ad ASA. Una serata di grande energia e solidarietà per combattere pregiudizio e stigma verso chi è sieropositivo: Think Positive!

Piero Gemelli – fotografo per THINK POSITIVE

Giovanni Gastel – fotografo per THINK POSITIVE

Giovanni Gastel e Maurizio Galimberti

Da sinistra: Giovanni Gastel, Gian Paolo Barbieri, Piero Gemelli e Maurizio Galimberti

Da sinistra: Piero Gemelli, Giovanni Gastel, Maurizio Galimberti, Gian Paolo Barbieri, Carla Sozzani, Fabrizio Sclavi

Maria Vittoria Backhaus – fotografa per THINK POSITIVE

Valdo – Dal 1926 a Valdobbiadene

Fabio Marelli introduce Sem&Stenn

Fabio Marelli e Fabrizio Sclavi

Valdo – Dal 1926 a Valdobbiadene

Tito’s Handmade Vodka

Tito’s Handmade Vodka

Limited edition T-Shirt by Manuel Ritz x ASA

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NON SOLO FITNESS: IL PERCORSO DI GIORGIO MERLINO

La “storia fitness” di Giorgio Merlino parte dal suo primo ingresso in palestra. La passione per lo sport e il benessere fisico c’è sempre stata, ma grazie ai molti mesi trascorsi a Los Angeles ha potuto comprendere che l’attività che lui riteneva fosse solo un hobby, si stava evolvendo in un vero e proprio stile di vita. Ha così iniziato a dedicare molto del suo tempo a questa disciplina, sotto ogni componente fondamentale – training, alimentazione e recupero – capendo che voleva poter dedicare tutto il suo tempo allo studio di questi aspetti. La sua passione si è così trasformata nel suo lavoro, con l’impegno di trasmettere sempre il messaggio di “non arrendersi” alle persone che lo seguono. Seguire i propri sogni è la giusta via per dare il meglio di se stessi. Attualmente ambassador di Nike e trainer in una delle più esclusive palestre di Milano, ecco l’intervista di Man in Town al talent del fitness.

– Come e ̀ nata la tua passione per lo sport e il training?
Quando racconto di come ero, nessuno mi crede! Ero una persona completamente diversa: molto introverso,
pigro, il classico bambino “imbranato” che preferiva saltare la lezione di educazione fisica per paura di fare
figuracce. Mi era stato anche diagnosticato un principio di obesità!̀ Si dice che siano proprio gli avvenimenti
più̀ toccanti a scatenare cambiamenti profondi ed è stato così anche per me. Mi sono detto che era giunto il
momento di cambiare: non solo la mia vita ma, cosa ancora più̀ difficile, cambiare me stesso.

– Come si articola la tua giornata tipo?
La mattina mi alzo dal letto abbastanza presto. Anche nel weekend la sveglia non suona mai dopo le 7:30.
Una bella doccia, colazione dei campioni (caffè, uova, avena e frutti di bosco) e si corre in palestra dove
trascorro gran parte della mia giornata. Se fino a poco tempo fa mi dedicavo solo ad allenare me stesso, da
qualche tempo ho sentito la necessità di trasmettere la mia passione per il Training non solo sui social ma
anche come Personal Trainer. Sono abitudini che mantengo sempre, ovunque mi trovi, a Milano come in
qualsiasi altra città. Ho infatti la fortuna di poter viaggiare molto spesso anche grazie al lavoro di mia moglie
Veronica.

– Raccontaci tua esperienza come primo Nike Training Ambassador italiano
Non mi sarei mai immaginato qualcosa di simile! E ̀ quindi più̀ di un “sogno diventato realtà”. Che si siano
appassionate di sport o meno, intere generazioni sono cresciute con un claim ben chiaro in testa: “Just Do
It”. Non è solo il nome della collezione che indosso, ma ci ispira a dare sempre il meglio di noi stessi.
La mattina in cui sono entrato per la prima volta al JDI HQ di Los Angeles, mi sono quasi commosso. È tutto
testimoniato anche in un video su YouTube.

– Training sportivo ma anche mentale come si può raggiungere un’esperienza di benessere
a tutto tondo?
Come dico sempre, il modo migliore per raggiungere un obiettivo è quello di creare una propria routine,
soprattutto nel fitness. Ci vuole veramente poco affinché qualcosa diventi una vera abitudine. È come un
circolo che può essere vizioso o vincente. Se siamo abituati a uscire dal lavoro e sederci sul divano per
mangiare un sacchetto di patatine, basta invertire il cerchio. Prima che ce ne si possa accorgere, lasceremo
l’ufficio con uno shaker proteico in mano, pronti per correre in palestra con gli amici.

– Come hai integrato nella tua esperienza e vita i 5 aspetti del training movement, mindset,
recovery, nutrition and sleep?
Tutti questi aspetti sono imprescindibili l’uno dall’altro. Alcuni possono essere più divertenti, ma nessuno più
importante.
Non potrei mai immaginare di allenarmi senza almeno sette ore di sonno alle spalle – è necessario dormire le
giuste ore di sonno perché aiuta il raggiungimento degli obiettivi, soprattutto nel fitness. Dormire risulta infatti
fondamentale sia che l’obiettivo sia la perdita di grasso corporeo, sia lo sviluppo muscolare.
È importante avere aver ben chiaro l’obiettivo fisico del periodo, ma cerco sempre di dare il massimo e
superare i miei limiti. Senza questo pensiero, mi sarei già annoiato da tempo. Penso di essere una persona
dotata di una grande forza di volontà, ma cerco di impegnarmi ogni giorno per migliorare questa mia
caratteristica. Il mio suggerimento è sempre quello di impostare e mantenere una routine.
Quando vado ad allenami non posso uscire senza essermi portato in sacca il mio pasto post-workout o
senza avere a portata di mano un foam roller o il numero del mio massoterapista di fiducia.

– Che obiettivi si possono raggiungere con il giusto training?
Tutto ciò che si vuole. Non ci sono limiti se non genetici, ma sono più marginali di quanto le persone
possano pensare. Non smettero ̀ mai di ripetere, e spero prima o poi di poter convincere chiunque, che il
fitness è come la matematica: 1+1= 2. Non ci sono scappatoie e pochissimo margine di errore.

– Cosa significa per te il claim “Just don’t quit”
E’ la risposta a tutti coloro che mi dicono che non riusciranno mai a fare uno squat, a cambiare le proprie
abitudini alimentari o che non troveranno mai il coraggio di abbandonare il lavoro che odiano per seguire la
passione di una vita. Conosco molte persone che hanno fatto tutto questo. Io sono una di quelle!

– Sui social sei molto seguito, che messaggio vuoi lanciare con la tua storia?
Ad un primo sguardo, può sembrare che sul mio profilo Instagram io parli solo di come mi alleno, di quanti kg
ho preso, perso o sollevato quel giorno. Avendo un po’ di pazienza a conoscermi meglio, potrete capire che
tutto ciò in cui credo veramente è di porsi un focus ben chiaro, non avere alcuna paura di raggiungerlo e
circondarsi di persone che tengono veramente a te. Nulla è più forte e contagioso della positività.

Il talent Giorgio Merlino indossa NIKE.

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Inside Ballantyne con Fabio Gatto

Oggi l’azienda scozzese fondata nel 1921 grazie alla guida di Fabio Gatto, si rinnova con nuovi progetti e aggiungendo nuovi intarsi figurativi e lavorazioni per creare spettacolari sfumature. Si rivisitano e decostruiscono i capi che hanno reso famoso Ballantyne come i pullover con intarsi a rombo fatti a mano, o quelli con lavorazioni e pattern iconici per il brand: aran, a treccia, tartan, fisherman. E nasce anche il Ballantyne Lab, un progetto di ricerca e sperimentazione che partendo dagli archivi storici propone capsule collection innovative, vendute in selezionati punti vendita. Ne parliamo con Fabio Gatto, designer e imprenditore visionario che ha saputo traghettare l’azienda verso nuove sfide e mercati.

FABIO GATTO
FABIO GATTO

Da stilista e imprenditore come sei riuscito a combinare queste due facce di un percorso anche molto diverso?
Diventi imprenditore dopo che questo lavoro inizi ad amarlo in maniera viscerale. Sono arrivato in Ballantyne per sistemare un po’ le cose e poi pensare al brand. Poi, come spesso è accaduto nel mio percorso professionale, il sentimento ha poi influenzato le mie scelte. Mi sono innamorato di questo marchio e davanti all’archivio ho capito quante persone hanno lavorato con sensibilità e lungimiranza. Ecco perche brand come Chanel o Hermes si affidavano per fare le loro maglie.

Non ho mai pensato all’aspetto solo economico e di business, ma a quello di dare nuovo lustro a questo brand, praticando delle strade diverse.

Tra Italia e Scozia come stai organizzando la filiera produttiva?
Agli inizi per recuperare credibilità il primo step è stato di tornare a produrre in in Italia, in modo da avere contatto diretto col prodotto e con la materia prima. Poi non abbiamo fatto solamente “l’operazione Italia”, ma abbiamo ripreso anche “l’operazione Scozia” dopo anni. Ci siamo approdati constatando che della Scozia, di quel periodo, è rimasto poco. Quando sono arrivato lì mi hanno detto: “Ma come? Lei vuole la maglia che lei ha nell’archivio? Ma non vuole il prodotto di Brunello Cucinelli? Perché noi facciamo la maglia di Cucinelli.” E mi sono detto “Ho sbagliato tutto.” Dunque è stato faticoso e adesso stiamo capendo che se vogliamo aumentare la produzione in Scozia (oggi è il 10%, la vorrei far diventare almeno un 30%) devo diventare assolutamente un partner e  dunque io devo essere lì con loro e coinvolto perché allora le cose si fanno come le vuoi tu, diversamente sei uno dei tanti clienti.

Come sei riuscito a rileggere in modo moderno un elemento così riconoscibile come il rombo?
Questo era un sacrosanto dovere, noi dovevamo pensare di interpretare il passato con nuove vestibilità e colori. Il progetto del Lab deve servire a questo, per raccontare in chiave attuale e sperimentale il passato. La collezione, non dico conservatrice, ma rassicurante c’è sempre ma il Lab deve servire a comunicare il nostro pensiero. Io spero che un giorno questi pezzi saranno nell’archivio per testimoniare questo importante momento di cambiamento.

Sul Lab pensi anche di coinvolgere dei designer emergenti?
Sicuramente ci sarà un grandissimo lavoro sul Lab e tantissime novità. Questo è solamente un inizio per capire il sentimento e avere un primo feedback. Per questo ho deciso che non più di 13-15 punti vendita avranno in vendita la collezione del Ballantyne Lab. Saranno limited edition perché prima di tutto è impensabile industrializzare questo prodotto realizzato in una sorta di atelier dove viene costruita questa capsule. Questo però non vuol dire che non potrà avere uno sviluppo, anzi questo mi ha dato la possibilità di muovermi liberamente per quanto riguarda tempi e modi. Non sarà forse rivoluzionario, ma di sicuro molto moderno per approccio e design.

Come vedi il fenomeno del retail online?
Sappiamo che oggi c’è una minore frequentazione dei negozi, però non possiamo secondo me abbandonare e spostarci tutti sull’online, perderemmo una parte di italianità. E quell’idea di negozio-bottega che solo in Italia abbiamo. Sarebbe come perdere il Colosseo… Dunque noi dovremmo fare di tutto per conservare i nostri negozi, e non è una cosa impossibile, anche perché se tu analizzi, l’online è una cosa molto più fredda: tu clicchi, fai il tuo ordine, ti arriva, te lo guardi, capisci se piace o non. Vuoi mettere il calore di entrare in un negozio e trovare persone competenti che capiscono quello di cui tu hai bisogno, anche fosse il desiderio, mentre acquisti una maglia, di raccontare che ieri sei andato a vedere una mostra. È un aspetto da non trascurare, i negozi devono servire anche a questo. Io sto lavorando su questo anche per il nuovo e-shop di Ballantyne in modo da renderlo più accogliente se virtuale.

Cosa pensi di questa esplosione di Instagram come social media?
Penso che è un frutto di questi momenti, che non va demonizzato, anzi cerchiamo di estrapolarne il buono. Vedo sempre il bicchiere mezzo pieno rispetto al mezzo vuoto. Non è qualcosa che si può fare part-time, senza un pensiero, come l’online. Prima era sufficiente fare la foto e chi la indossava poteva essere banale, e solitamente lo era, il fotografo doveva fare una foto tecnica. Oggi secondo dobbiamo entrare nella sfera più emozionale.

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Prossime sfide e progetti?
Sicuramente la Ballantyne Lab è una sfida e un progetto, insieme a tutta la nuova parte accessori che ci sta regalando grandi soddisfazioni ed è andata subito in sold-out. È incredibile. Il mondo degli accessori deve essere ancora sviluppato bene perché è molto interessante e molto promettente.


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Il bello del nuoto: a tu per tu con Luca Dotto

Non solo un campione di stile libero con una profondo amore per il mare, ma anche un modello realmente appassionato di moda e social media, come dimostrano le sue collaborazioni con brand come Armani e Baume & Mercier. Classe 1990, orgogliosamente veneto (nato a Camposampiero in provincia di Padova ma di base a Roma), Luca si sta preparando per difendere a maggio il suo primato europeo a Glasgow.  Lo abbiamo incontrato sul set del nostro servizio curato da 3.

Quando hai sentito saresti diventato un nuotatore?
Ho capito sin dalle elementari che volevo fare il nuotatore e rappresentare l’Italia in giro per il mondo. Anche se da piccolo non ero così bravo rispetto ai miei compagni, ma sentivo che quella sarebbe stata la mia strada

Quale la figura che ti ha ispirato?
Un grande maestro è mio padre, che è l’uomo che ammiro più di tutti e invidio (in senso buono, ride) perché è capace di fare tutto, ed è un uomo molto pratico. Per me è un esempio di onestà  e mi ha davvero ispirato e incoraggiato molto.

Come hai scoperto la tua inclinazione per lo stile libero?
Quando ero più giovane avevo iniziato con le gare a dorso e non riuscivo mai a vincere. Poi per caso un anno, nel 2005,  ho partecipato a una gara di 50 stile libero e ho vinto subito. Da lì ho capito che stavo sbagliando tutto e ho iniziato un nuovo percorso.

Raccontami delle tue passioni…
Amo moltissimo viaggiare e ascolto sempre musica con le cuffie perennemente addosso. Sono un fan di Spotify e mi piace scegliere una colonna musicale adatta a miei viaggi. Sin da piccolo seguo la musica rap e in particolare 2Pac (rapper americano e attore Tupac Amaru Shakur ndr). Ultimamente ascolto molto Post Malone con brani come Congratulations e Psycho. Mi piace molto anche leggere le storie di intrighi di Dan Brown o libri molto specialistici sul mare che parlano di archeologia marina.

Documenti i tuoi viaggi su Instagram?
Sono una persona molto social e amo postare le foto dei miei viaggi e dei miei allenamenti sul mio account @dottolck

Raccontami del tuo ultimo viaggio
Il mio ultimo viaggio è stato Turks e Caicos, un arcipelago corallino nelle isole caraibiche con la mia fidanzata. Un’esperienza incredibile, avevo casa di fronte all’Oceano e ho fatto escursioni in bicicletta in mezzo alla natura incontaminata tra grandi barbecue al tramonto.

Quale dei diversi luoghi ti ha maggiormente colpito?
Due i posti che mi hanno davvero impressionato: il deserto di Abu Dhabi e le spiaggia deserte delle Bahamas, dove riesci a dimenticarti della nostra vita frenetica.

Cosa non manca mai nella tua valigia? E un tuo consiglio per chi viaggia.
Non mancano mai i costumi di Arena! Perché se non viaggio per nuoto, viaggio per andare al mare! E poi la macchina fotografica perché amo documentare i miei viaggi. Per essere sempre comodi con stile porto sempre un Jeans, una camicia bianca e un maglioncino. Un passe-partout che consiglio sempre.

Come nata la collaborazione con la moda?
E’ nata per caso con le Olimpiadi di Londra nel 2012. Armani, che era sponsor, aveva selezionato degli atleti per rappresentare il brand. Mi hanno notato dopo i primi shooting e poi proposto di collaborare sulla linea underwear, per gli occhiali e per il profumo Acqua di Giò. Grazie a questa esperienza ho avuto la fortuna di conoscere un mondo molto diverso dallo sport di cui spesso non si capisce tutto il lavoro che è dietro le quinte.

Le prossime sfide?
Mi sto preparando per gli europei che si terranno a Glasgow a metà agosto dove devo difendere il titolo europeo dei 100 stile. Quindi sono molto concentrato per raggiungere questo obiettivo, oltre a quello di migliorare continuamente me stesso per sfidare i limiti. Questa è la parte più importante del mio lavoro, che è poi la mia vera passione.

Discover the editorial by StefanoGuerrini, shot by Alisson Marks on manintown.com

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Wine experience su misura: House Of Vino

Il mondo dei vini si apre a nuove e più personali esperienze grazie a House of Vino, un progetto nato dall’intuizione di un giovane imprenditore Luca Genova, manager della comunicazione e appassionato da sempre di eno-gastronomia. House of Vino propone degustazioni private a casa (o in location su richiesta specifica del cliente) per trascorrere una serata diversa alla scoperta di sapori, odori e colori unici. Una serata tra amici si trasforma così in un’esperienza speciale e inconsueta che può basarsi solo sul vino o essere arricchita grazie all’accompagnamento di cibo, musica e momenti di intrattenimento. Un’esperienza multisensoriale che si può arricchire di volta in volta anche tramite collaborazioni con producer musicali, piccoli produttori, artisti e tutto ciò che possa rendere l’esperienza unica ed irripetibile. Abbiamo infatti incontrato Luca e House of Vino durante una speciale degustazione di bollicine per l’opening del GUM Bar, una nuova iniziativa di GUM SALON di Milano.

Di dove siete e come è nato il progetto?
Io sono siciliano, il mio socio friulano. Vivo a Milano da dieci anni. Vengo dalla comunicazione, ho lavorato per 9 anni con Lapo (Elkan, ndr) e ho una mia agenzia di comunicazione, Dreamers&Makers. Ho fondato House of Vino con un approccio legato a una comunicazione più da storytelling che da tecnico del vino. Parallelamente abbiamo, poi, una linea di business che sviluppa progetti di comunicazione legata al Food & Beverage, con cui aiutiamo cantine, istituzioni o consorzi attraverso consulenze e progetti nel mondo del vino. Sentiamo la necessità di svecchiare il settore. Il Food, grazie agli chef e ai grandi marchi, non fa fatica, ma gli altri comparti sì e non riescono a togliersi la polvere di dosso, vuoi perché siamo poco ricettivi alle innovazioni o perché abbiamo sempre paura e non siamo in grado di fare squadra. Il vento sta cambiando, però.

Quali le proposte di House of Vino?
Eventi privati di degustazione, abbinati a cene o aperitivi, in base al format richiesto. Lavoriamo molto sulle cene di business, con persone che vogliono avere un approccio più forte sui propri clienti o fornitori. Le persone chiedono qualunque cosa, dalle degustazioni di coppia a quelle per il papà, o da soli. Da ogni mail o telefonata, nasce qualcosa di nuovo. Creiamo progetti tailor made, sulla base delle informazioni o delle richieste. Vogliamo avvicinare le persone al vino, non spaventarle. Le degustazioni private sono per piccoli gruppi, facili da gestire e con cui avere rapporto più diretto. Oltre le quindici persone progettiamo eventi ad hoc, considerata la necessità di appoggiarsi a supporti diversi, come il catering.

Per Gum Bar hai scelto una degustazione di Champagne…
Per due ragioni: la prima è che Stefano Terzuolo (founder di GUM, ndr) ne è un amante; la seconda è la location, così accogliente, con i velluti e lo stile vintage – da Francia del 700 – che poteva accompagnarsi solo a dello Champagne.

Quali sono le differenze tra i tre Champagne scelti?
Sono tre vini provenienti dalla stessa cantina. Uno è il Tradition, classico Champagne composto da Pinot nero, Chardonnay e Pinot Meunier. Il secondo è un gradino più su, prodotto da una selezione degli stessi vitigni: un millesimo della medesima annata. Il Brut Selection, più complesso, strutturato e avvolgente. L’ultimo, Fleur de Vigne, dalla bottiglia particolare, è un assemblaggio contente anche piccoli vitigni autoctoni, in percentuale minore, ma capaci di conferire una freschezza diversa, rendendolo un vino più facile. Se ne potrebbe bere una bottiglia senza accorgersene, al contrario degli altri, più stucchevoli.

Qual è la degustazione più creativa che vi sia stata richiesta?
Abbiamo lavorato anche con clienti stranieri, progettando degustazioni dal budget molto alto, con bottiglie da due/tremila euro ciascuna. La costruzione dell’evento è più impegnativa ma interessante. Si sfida un terreno molto forte. A noi, poi, piacciono molto i percorsi regionali particolari. In Sardegna, ad esempio, siamo partiti dai bianchi, dai Moscati secchi, per arrivare a delle bollicine di Vermentino pazzesche, affinate sott’acqua, nella Riserva Marina di Alghero. C’è anche Giovanni Montisci, proprietario di una cantina sotto casa sua e produttore di un Cannonau in purezza, dalla forte gradazione alcolica, il Barrosu. Un’elegenza e una raffinatezza egregie, difficile da catalogare, con una ricerca di varie eccellenze regionali.

 Come gestite la ricerca delle piccole cantine?
La portiamo avanti personalmente con molto piacere e tanta fatica, ma è un aspetto fondamentale del lavoro. Ci aiuta, questa vicinanza al prodotto, alla cantina e al contadino stesso, perché possiamo farcene forza quando lo proponiamo a progetti anche con aziende. Non è una cosa scontata. È facile pensare a un progetto di comunicazione di un vino, ma conoscerlo, servirlo e aver parlato col contadino ti dà una serie di nozioni utili per un approccio diverso. Teniamo molto a questa ricerca, e lavoriamo con cantine piccole che stanno tracciando la linea dei vini naturali, trend nascente, in Italia. Siamo la nazione con più autoctoni al mondo, con più varietà di uva, anche rispetto alla Francia e alla Spagna e alla Napa Valley in California. Questo ti dà l’idea di cosa si potrebbe scoprire nell’arco di un viaggio in Italia.

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JACK SAVORETTI, LA FORZA DELLA MUSICA TRA ITALIA E UK

Una voce ruvida, profonda e nostalgica e una chitarra. È Jack Savoretti, nome d’arte di Giovanni Edgar Charles Galletto Savoretti, cantante britannico di origini anglo-italiane: il padre, Guido, è genovese. L’esordio musicale avviene con due duetti, presenti nell’album del 2005, della cantautrice britannica Shelly Poole, mentre il suo vero primo disco, Between The Minds, arriva sul mercato nel marzo 2007, debuttando alla posizione numero 5 della UK Indie Charts. Fattosi notare anche in Italia, grazie ad alcune collaborazioni live con Elisa e con il cantautore genovese Zibba, ha pubblicato il suo ultimo album, Sleep No More, dedicandolo, interamente, alla moglie. Recentemente è stato anche scelto da GQ Italia tra i 30 uomini più eleganti durante la serata GQ Best Dressed Man.

Il tuo pubblico ti ama e ti segue soprattutto per i bellissimi live che proponi, in cui risulti molto coinvolgente e autentico.
Credo sia dovuto, anche, a chi ci segue e ci ascolta. Siamo riusciti, come in tutte quelle amicizie che crescono lentamente e non si basano su una moda, a creare un rapporto più vero. Chi viene a vederci ci conosce da molto e noi lo percepiamo.
Sappiamo il motivo per cui sono ai concerti, perché si sono informati per esserci: anche perché noi non veniamo ospitati su tutti i canali TV o in tutte le emittenti radio. In qualche modo, sono usciti dalla loro vita quotidiana per scoprire il nostro lavoro e ciò è fonte di rispetto reciproco. In più, è bello non solo per il pubblico, ma anche per noi. Ho tanti amici in questo business, molti hanno avuto successo e, spesso, soffrono, in quanto suonano per due ore davanti a un pubblico interessato a una sola canzone. Certo, aver creato un tormentone permette di avere alcuni lussi, ma da artista non è bello sapere che la gente è lì solo per quello. Non riesci a creare una connessione.

Quindi, il non avere un tormentone, ti ha permesso una maggiore libertà nell’esprimerti artisticamente?
Sì, è stata, un po’, la mia fortuna. In alcuni momenti – nei più difficili – sarebbe stato bello averlo creato, ma solo perché ti permette di guadagnare tanto da poter fare le cose a cui si è davvero interessati.

Forse, questo, è uno dei motivi per cui sei andato via dall’Italia?
Non sono mai partito dall’Italia, anzi, qui sono arrivato molto tardi. È stato molto difficile perché, senza il loro aiuto (Elisa e Zibba, con cui ha collaborato, ndr), l’industria musicale mi avrebbe sbattuto la porta in faccia. Sono italiano, ma non abbastanza, perché non canto in italiano. Io e la mia band partiamo dai live. Volevo che la gente ci conoscesse realmente, ma, in Italia, esistono dinamiche diverse: o vai in tv e in radio o nulla. Noi come band veniamo dalla scuola di Guccini, Paolo Conte e Capossela. Abbiamo iniziato, ed è durato tre anni, dalle osterie e dalle pizzerie. Tutti ci dicevano che in quel modo non saremmo andati da nessuna parte, ma, poi, sono arrivati i teatri e, piano piano, siamo diventati ciò che siamo adesso, con un bel tour in programmazione. Ora, abbiamo degli amici in Italia ed è sempre un gran piacere tornarci, per la sua calda accoglienza e per il nostro seguito.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Sono cresciuto ossessionato da Lucio Battisti: è morto che avevo 13 anni ed era proprio l’età in cui scoprivo cosa significasse, per me, la musica. Prima di allora, era un qualcosa da suonare a una festa e basta. In quegli anni ho scoperto Simon & Garfunkel e Bob Dylan e sono rimasto sconvolto dal potere della musica italiana, vedendo reagire mio padre all’ascolto di Battisti: una montagna, un gigante (papà è sempre papà) intoccabile. Quando da immigrato italiano viveva a Londra, si stendeva quasi in lacrime e diceva: «ascolta questo». Diventava un altro uomo, un cucciolo e io ero affascinato da come questa musica potesse trasformare una montagna in un bambino. Da lì, ho ascoltato molta musica italiana per riuscire ad avere lo stesso effetto su mio padre.

Sono state importanti la tua famiglia e la sua storia, nella decisione di dedicarti alla musica?
In parte. Il motivo per cui mi sono buttato sul mercato italiano è legato alla passione e alla mia famiglia. Professionalmente, era un’idea sciocca. Tutti i contatti, con cui lavoravamo all’estero, erano contrari a questa scelta. Non funzionava, non vendevamo dischi, giravamo per suonare. A Londra e nelle osterie, qui. «Perché lo fate? È un mercato piccolo e non vi sta aiutando». Io volevo farlo per l’affezione alla musica italiana.

Una domanda di stile: cosa porti con te nei tuoi viaggi, come definiresti il tuo stile, cosa ti piace nella moda?
Adoro la moda, ma ho paura dei trend. Come vedi non sono trendy, mi piacciono le cose che avrebbe potuto mettersi mio nonno e che spero possa indossare mio figlio. Mi piacciono tutti quei capi senza tempo.

Cosa non può mancare in valigia?
Un bel cardigan di cashmere, soprattutto qui a Cortina (dove si è esibito ndr). Un cappellino è sempre importante e utile; gli occhiali da sole – specialmente nel nostro mestiere, in cui a volte si fa tardi – bisogna sempre averne un paio dietro; dei jeans che ti stiano bene addosso come fit.

Come ti rapporti ai social media?
Sono il brutto, il bello e il buono, dipende da come li usi. Io ho scelto Instagram, perché adoro le fotografie e mi piace, ma lo uso solo per lavoro. Ho un’unica regola: no family.

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MATTHEW ZORPAS

Nato a Cipro e trasferitosi a Londra per studiare Pubbliche Relazioni, Matthew Zorpas ha lanciato “The Gentleman Blogger” nel 2012, per mostrare al mondo la propria evoluzione in un moderno gentiluomo. Al secondo posto nella classifica “Best Dressed Man” del 2010 di Esquire UK e indicato da GQ, in tempi più recenti, come uno dei dieci instagrammer meglio vestiti, Matthew ha collaborato come consulente creativo per numerosi brand high level. Ambassador, da ormai due anni, di IWC Schaffhausen e nuovo Nespresso Global Ambassador, i suoi contenuti social promuovono i propri i consigli di stile e condividono l’esperienza acquisita nei viaggi intorno al mondo, così da ispirare chiunque lo segua. Oggi, è uno dei più importanti web influencer a livello mondiale.

Qual è la tua definizione di influencer/blogger/ambassador? Le definiresti delle professioni?
Un imprenditore, un creativo multitasking. Una persona che usa internet per creare contenuti stimolanti per altri, influenzando lo stile di vita dei propri followers, le loro abitudini d’acquisto e la loro visione e comprensione globale del mondo. Uno che vi tiene connessi. Soprattutto per la mia generazione, sì, la definirei una professione.

Come immagini l’evoluzione del mondo social e del tuo lavoro?
Il mio lavoro continuerà a evolversi e ad adattarsi ai nuovi scenari e alle nuove circostanze. Nonostante il settore moda sia diventato più democratico, immediato e stimolante, grazie a noi influencers, molti altri campi sono ancora indietro rispetto alla rivoluzione digital. Anche l’arredamento, l’arte, il cibo e l’alberghiero dovrebbero essere trasformate in attività più dirette e incentrate sul cliente.

Quale sarà il social del futuro?
Molti continueranno a nascere e a scomparire. Abbiamo bisogno di piattaforme che siano più dirette e intime, possibili da controllare da noi al 100%.

Ci sono lati negativi nel tuo lavoro?
Il tempo. Non ho trascorso più di 48h a casa negli ultimi due mesi. Devo vedere così tanto, esser stimolato più di quello che riesco a recepire, e incontrare troppe persone troppe volte.

Quanto guadagni con questo lavoro? I numeri del tuo business, se ti va di mostrarli. Stai pensando di lanciare un brand?
Abbiamo orgogliosamente superato il mezzo milione quest’anno. Siamo un brand che si distingue.

Come immagini sarà il tuo lavoro da vecchio?
Uguale. Creerò sempre contenuti, ma sarò più saggio e vecchio.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
Con rispetto per il mio lavoro, ogni post è al tempo stesso sincero e sponsorizzato. Testo ogni prodotto, visito ogni hotel che recensiamo. Creiamo contenuti che siano stimolanti e che promuovano un prodotto o una location a cui siamo interessati noi stessi o che crediamo possa interessare ai nostri followers.

Cosa conta di più, una bella foto o un buon contenuto?
Un buon contenuto. Con Photoshop puoi creare una bella foto, ma non migliorare il contenuto. La prima prende molti likes, il secondo risulta stimolante.

Quanto tempo dedichi alla preparazione dei look che posti?
Di solito sono 2-3 ore per la preparazione e 3-4 ore per produrre il singolo scatto.

Quali applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto?
Usiamo solo Lightroom, per correggere le luci. Niente di più, niente di meno.

Quali sono i brand che preferisci? Perché?
I brand che mi hanno supportato dall’inizio e hanno compreso il mio modo di vedere. IWC, miei compagni da ormai quasi due anni, Nespresso, il nostro nuovo partner, per la sua organicità e, sicuramente, Hugo Boss, per la loro visione e direzione. Mi piacciono i brand che investono senza paura e, vedendo un ritorno, ci restano accanto.

I brand preferiti di accessori?
I cappelli di Christys, le scarpe di Santoni, i gioielli di Nikos Koulis, le cravatte di Tom Ford e le borse di Prada.

Alcuni consigli beauty per gli uomini e le donne che vogliono sempre presentarsi al meglio.
La pulizia, la tonificazione e l’idratazione sono importanti per entrambi. E non dimenticate la crema occhi, ogni mattina e prima di andare a letto.

Le mete dei tuoi sogni? I tuoi consigli personali.
Il Brasile. Cinque anni dopo la mia prima visita, potete ancora trovarmi lì, quattro volte all’anno, a cercare l’ispirazione e la pace. I colori, l’energia, la magia di questo Paese non sono reali e al tempo stesso sono così diversi da quello che mi è familiare dai miei viaggi in Europa. Personalmente, andrei al Kenna Resort, in Barra de Sao Miguel. Un resort eco-chic che mi ha conquistato.

@matthewzorpas 184K

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FABIO ATTANASIO: il nuovo sguardo sull’eleganza classica

Suits: Sartoria Dalcuore, Shirt: Sartoriale, Tie: F. Marino Napoli, Glasses: TBD Eyewear

Non chiamatelo #fashionblogger. Fabio Attanasio, il fondatore di The Bespoke Dudes, la piattaforma dedicata alla sartoria e all’artigianato di qualità, è diventato il punto di riferimento dei gentleman 2.0. Nel 2015 ha sviluppato anche un progetto di eyewear, realizzato a mano da specializzati artigiani italiani. La sua grande passione per la sartoria e per l’hand made lo hanno reso l’ambassador perfetto per brand illustri, contribuendo a diffonderne la conoscenza e l’eleganza.

Qual è la tua definizione di influencer/blogger/ambassador?
È una nuova forma di media legittimata dal basso, dai lettori/utenti del web. È anche un’evoluzione del giornalista, del classico editore e, in alcuni casi, della figura del modello e dello scrittore.

Come vedi l’evoluzione del mondo social e del tuo business?
Ottimisticamente mi dico che non morirà, ma che si evolverà. Almeno per chi ha dei contenuti veri e parla a un pubblico reale.

Qual è il social del futuro?
Sembrava fosse Snapchat, poi Instagram e le sue Stories ci hanno dimostrato il contrario. Credo che chi ha qualcosa da dire troverà sempre il modo di parlare al suo pubblico, a prescindere dalla piattaforma utilizzata.

Qual è il lato negativo della tua professione?
Così come lo sport agonistico è inquinato dal doping, questo settore è rovinato dalla pratica, purtroppo molto diffusa e non sanzionata, dell’acquisto di follower e interazioni in generale. Speriamo che Instagram faccia presto una nuova pulizia. Un altro lato negativo è rappresentato da alcune digital agency, che sono solo dei meri intermediari tra l’influencer e il brand. Spesso non sanno nulla sull’influencer, eccetto quel numeretto che vedono scritto sul suo profilo IG (il numero dei follower), che oggi sembra diventato tristemente importante. Alla stregua di un titolo di studio. Io ho co-fondato un marchio di occhiali, quante volte credi che mi sia stato proposto da queste magnifiche agenzie di lavorare per dei miei competitor? Non erano arrivati a leggere nemmeno il terzo rigo del mio profilo dove c’è scritto Co-founder of TBD Eyewear.

Questa professione quanto ti rende economicamente?
Per fortuna non posso lamentarmi.

Quanti dei tuoi consigli sono sinceri e non sponsorizzati?
In generale non lavoro con aziende che non sposano il mio concetto di qualità, qualunque sia il budget sul tavolo. E se lavoro con un marchio che mi piace, mi ritaglio sempre il mio spazio di libertà per esprimere le mie opinioni liberamente ed educatamente, per me è importante esprimere un’opinione sempre, anche se al cliente può non piacere. Breve aneddoto: qualche anno fa un marchio coreano mi offrì €50.000 per due giorni di shooting. Avevano un nome e un look italiano, mancava solo l’ambassador italiano che li sdoganasse. Ho rifiutato l’offerta, perché non lo sentivo affine al mio gusto, perché ritenevo che l’attività non fosse coerente con la mia ricerca sartoriale delle eccellenze artigianali. Oggi voglio credere che se lavoro con alcuni marchi importanti quali Omega, Vacheron Constantin e Montblanc è anche perché ho preso e continuo quotidianamente a prendere decisioni di questo tipo.

La professione dell’influencer ha una data di scadenza? Come immagini il tuo lavoro da vecchio?
È già da un po’ che ho smesso di chiedermi quanto e se durerà tutto ciò, preferisco fare del mio meglio per continuare a innamorarmi quotidianamente del mio lavoro. Se non perdi l’entusiasmo per quello che fai, non c’è data di scadenza che tenga. Il difficile è tenere viva quella fiamma. Bisogna sapersi evolvere, adeguare e adattare in tempo al cambiamento.

Quale applicazioni usi per ritoccare le foto e quanto ritocchi per creare lo scatto perfetto?Snapseed, Photoshop Express e Touch Retouch.

Quali sono, secondo te, le 10 sartorie italiane/internazionali da tenere d’occhio?
Caraceni, Ministro della giacca milanese
Musella Dembech, una giovane giacca meneghina
Liverano, la giacca fiorentina per eccellenza
Habitus, giovani romantici romani con suggestioni da tutto il mondo
Eduardo De Simone, la giacca napoletana contaminata da un un know-how di haute couture
Rubinacci/Ciardi/Solito/Panico/Dal Cuore i maestri della giacca napoletana
Sciamát, rivoluzionari pugliesi
Crimi, La giacca siciliana

Photo| Karel Losenicky
Stylist| Lucio Colapietro
MUA & Hair| Giuseppe Giarratana
Fashion Collaborators| Orsola Amadeo and Dario Amato

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Da Parigi, 7 cult brand per lui

Dopo Milano, la moda internazionale si sposta a Parigi con un calendario sempre ricco di fashion show ed eventi, tra marchi consolidati e label emergenti. Abbiamo selezionato per voi 7 cult label da non perdere.

LOEWE
Proprio durante la settimana della moda uomo di Parigi, LOEWE – maison di lusso spagnola fondata nel 1846 e oggi diretta da Jonathan Anderson – svela la sua nuova campagna pubblicitaria attraverso 5000 cartelloni esposti in tutta la città per 12 giorni. Protagonista di questa campagna l’attore inglese Josh O’Connor, nuovo volto di LOEWE Uomo e giovane stella di God’s Own Country, per il quale lo scorso mese ha ricevuto il premio come Migliore Attore ai British Independent Film Awards. L’attore è stato ritratto da Steven Meisel, che lo ha colto mentre è immerso nella lettura di un’edizione speciale di Madame Bovary
con copertina rigida LOEWE e custodia con Amber Valetta (sempre dello stesso Meisel che apparse originariamente in un servizio pubblicato nel 2006 da Vogue USA). Un gioco di rimandi tra letteratura, moda e glamour che apre le porte a una collezione di classici letterari che saranno pubblicati durante il corso del 2018, riproponendo altri iconici scatti di Meisel.

STELLA McCARTNEY
Da Parigi a Los Angeles, tra moda e musica, Stella McCartney celebra il lancio delle nuove collezioni uomo e donna grazie a straordinarie performance musicali di BØRNS, Leon Bridges, Dr. Pepper’s Jaded Hearts Club Band, Grimes, St. Vincent e Beck. L’uomo di Stella Mc Cartney, come per la donna, mostra una sensibilità forte verso l’ambiente e la sostenibilità: protagonista della collezione è Loop, la nuova sneaker realizzata con tomaia elasticizzata e prodotta senza l’uso di colla. Le sneaker sono caratterizzate da una suola in gomma in TPU biologico proveniente da risorse rinnovabili. Capi confortevoli che rivisitano motivi della tradizione, ma abbinati e ripensati in modo imprevisto, come il disegno quadrettato o lo stile mimetico militare. La campagna arriva in città grazie alle immagini della fauna selvatica realizzate dall’artista Martin Ridley e stampate su camicie e t-shirt di popeline organico, e ai maglioni nelle tonalità kaki e grigio in tessuto spazzolato con stampe animalier.

3.PARADIS
A Parigi non solo big brand, ma anche molti marchi di tendenza e innovazione come 3.Paradis, label fondata nel 2013 dai designer Emeric Tchatchoua e Raymond Cheung. I due designer provengono da due angoli opposti del mondo (Parigi e Hong Kong) con una visione artistica comune e il sogno di unire culture differenti. Di base tra Parigi e Montreal, 3.Paradis prende ispirazione dalla cultura pop e dallo streetwear giapponese ed è animata da un senso di ribellione. Racconta lo stesso Emeric Tchatchoua: “ il ‘3’ sta per equilibrio e ‘Paradise’ [‘paradiso’] simboleggia la felicità e l’equilibrio che arriva dal mio lavoro. 3.PARADIS rappresenta la perfetta armonia tra mente, corpo e anima.”Una marchio da tenere d’occhio.

ISABEL MARANT
Uno stile rilassato ma che si accende con accenti rock and roll caratterizza anche la silhouette maschile di Isabel Marant. Per celebrare il lancio della linea uomo la designer ha organizzato un evento con cena privata nella sua showroom di Place des Victoires. La serata è stata animata da una live performance del giovane rapper Lomepal, una delle figure più interessanti della scena musicale parigina. Appassionato di skate e di rap, Antoine Valentinelli aka Lomepal, a soli 26 anni, ancor prima di lanciare il suo primo album Flip, ha raccolto intorno a sé una grande community di appassionati e rap addicted. Quando la moda si sposa perfettamente con la musica.

HOLIDAY BOILEAU x VESTIARE COLLECTIVE
Per tutti i fan del denim, durante la settimana della moda uomo a Parigi ha debuttato la collaborazione tra Vestiaire Collective e Holiday Boileau, brand di lifestyle francese, che ha sviluppato una serie di giacche in jeans vintage in edizione limitata acquistabili su vestiairecollective.com. Ciascuno pezzo, che si ispira allo stile esuberante degli anni Ottanta, è ricamato con il logo del marchio parigino. Commenta Gauthier Borsarello, direttore crreativo di Holiday Boileau: “A Holiday Boileau sviluppiamo le nostre collezioni rielaborando pezzi iconici. La collaborazione con Vestiaire Collective è stata naturale in vista della comune passione per il vintage e il loro catalogo ricco di pezzi eccezionali! Da non perdere per tutti gli online shopper!

JULIEN DAVID
Parigino di nascita, classe 1978, Julien David dopo New York (dove ha studiato alla Parsons School of Design) si è trasferito poi a Tokyo nel 2006 dove ha poi fondato la sua label. Dal 2012 è una presenza fissa nel calendario della moda parigina e si è imposto per uno stile molto ironico tutto giocato con stampe e colori. Oggi le sue collezioni sono vendute in negozi come Dover Street Market, 10 Corso Como, Galleries Lafayette, Isetan, tanto per citarne alcuni. Per la prossima stagione David propone un guardaroba per l’uomo moderno, che deve mostrare la sua personalità, cultura, passione e interessi. Uno stile adatto a occasioni diverse, come ci mostra in modo ironico nella sua presentazione durante la Paris Fashion Week.

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FROM HERE ON mostra di Francesca Galliani

FROM HERE ON è il titolo della mostra e intervista esclusiva con Francesca Galliani, artista che sin dagli anni Novanta ha mostrato tramite le sue opere, la forza e la bellezza di uomini e donne transessuali, che vivono ai margini delle tradizionali categorie con cui definiamo la società e i ruoli. Storie di coraggio che celebrano la diversità e il diritto di essere veramente se stessi.

Quando hai realizzato di voler diventare un’artista?
Mi sono trasferita negli Stati Uniti che avevo diciannove anni, per frequentare una scuola d’arte a Washington D.C. Mi sono laureata alla Corcoran School of Art. Ho seguito anche un corso base di fotografia in cui ho imparato come usare al meglio la macchina. Mi sono immediatamente innamorata della fotografia, e ho trascorso molto tempo chiusa nella camera oscura a lavorare sulle foto. Il mio insegnante mi ha poi supportata e incoraggiata a coltivare questa nuova passione. Così ho scoperto quanto vita potesse darmi la fotografia e in quanti modi riesce ad arricchirmi.

Che legame hai con l’Italia e con New York?
Le mie radici sono italiane, ma sono orgogliosamente newyorkese. Devo così tanto a questa città. Mi è stata di fondamentale aiuto per arrivare a conoscermi davvero, per accettare e celebrare la donna che sono. È una città che pulsa di libertà, tolleranza, accettazione, apertura mentale e che celebra le differenze. New York è una città che prospera e si espande grazie alle differenze, alle diverse culture e religioni, alla sessualità e al gender.

Parlaci del tuo processo creativo.
La prima cosa di cui ho bisogno è fare silenzio dentro di me, ascoltare cosa viene fuori e, senza pormi domande, dargli vita. La mia tecnica supporta l’urgenza espressiva. Nella camera oscura ho sperimentato metodologie personali, modificando a mio piacimento antichi processi: tonalità seppia eseguite a mano, punzoni di selenio e sbiancamento. Interventi materiali sulla superficie dell’immagine, che la rendono unica.

Come sostenitrice della comunità LGBTQ, in che modo ti relazioni all’attuale clima politico e come utilizzi il tuo lavoro per trasmettere un messaggio?
Come artista ho la responsabilità di difendere la libertà di espressione, i diritti umani fondamentali e la libertà civile e politica che è tuttora soppressa nella nostra società moderna, che purtroppo ha fatto grandi passi indietro dopo i risultati delle ultime elezioni americane. È una realtà che l’arte aiuta a cambiare il mondo, e la mia intenzione e passione è quella di contribuire a questo cambiamento con i miei lavori.

Qual è la tua definizione di ‘gender’ e cosa vorresti trasmettere con la tua arte?
“You are more than just neither, honey. There’s other ways to be than either-or. It’s not so simple. Otherwise there wouldn’t be so many people who don’t fit.”(Leslie Feinberg, Stone Butch Blues 1993)
Come mezzo per la scoperta di sé, ho fotografato persone transgender sin dagli anni Novanta, mostrando la dignità, la forza e la bellezza di essere esseri umani con qualunque aspetto estetico si scelga, e ciò include anche la transessualità. Fotografo uomini e donne transessuali che vivono ai margini delle tradizionali categorie con cui definiamo la società e i ruoli. Spesso questi ritratti alludono agli aspetti più tragici della vita: “basta sofferenza”, “spazzatura”, “difenditi”, “distruggi l’oppressione dei gay”. La tensione in queste opere si manifesta dalla combinazione di volti e corpi di genere apparentemente non ambigui, con espressioni emotive che variano da seduttive, tenere ed introspettive a scoraggiate, di sfida, e trionfanti.

Com’è nato il progetto ‘Made In Me 8’?
‘Made In Me 8’ è nato da solo. È stato un processo stimolante, iniziato durante il Gay Pride del 2015, alcuni giorni prima che la Corte Suprema approvasse il matrimonio omosessuale in tutti e cinquanta gli Stati. Ho deciso di dipingere alcune t-shirt con la frase ‘love wins’ (coniata dal Presidente Obama dopo la legalizzazione dei matrimoni gay). È stato tra la folla, marciando sulla 5th Avenue, che ho trovato una nuova piattaforma. Ho visto l’opportunità di rendere la mia arte pubblica, indossabile a un prezzo accessibile, per renderla fruibile da un pubblico più vasto. Le magliette serigrafate sono realizzate con l’opera originale stampata. Ho scelto lavori che esprimono il mio punto di vista. Fanno nascere un dibattito, che è un tema molto difficile in questo clima di tensione. Le t-shirt trasmettono messaggi forti di speranza e accettazione. Le parole portano con sé molto potere e attirano ancor di più quando vengono usate al di fuori del solito contesto.

Cosa esporrai a Milano? Cosa ti lega a questa città?
Esporrò due serie: una composta da ritratti di uomini e donne transessuali e una legata alla continua evoluzione di New York. Nonostante faccia parte del passato, Milano vive ancora dentro di me, un posto un po’ lontano, ma mai dimenticato.

Photos by Francesca Galliani

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WEEKEND A CORTINA

Cortina d’Ampezzo resta una meta ideale per un week end lungo, tra sport, attrazioni turistiche, food &wine, ma anche fashion. Lo dimostra l’evento Cortina Fashion Weekend, che segna l’inizio della stagione invernale all’insegna dello shopping e con eventi organizzati dai diversi negozi. Qui alcuni indirizzi da non perdere per un week end in alta quota ma con stile.

HOTEL & SPA. Per un soggiorno all’insegna del relax da provare il Cristallo Resort & Spa l’unico 5 stelle delle Dolomiti che propone una vera “epicurean experience” che coinvolge ogni aspetto del soggiorno, dalla gastronomia al Coach della Salute,  un’esclusiva del 5 stelle: un professionista del benessere a tutto tondo, che accompagna gli ospiti, seguendoli individualmente e occupandosi di tutte le dimensioni del wellness, comprese alimentazione, sonno, movimento. Un approccio personalizzato che si sposa perfettamente a tutte le attività fisiche praticabili in inverno a Cortina, approfittando di un territorio eccezionale sul piano paesaggistico e votato allo sport.  Altro hotel e ristorante da provare è il Rosapetra Spa Resort, che sorprende per il design curato da Carlo Samarati, che ha firmato spazi, volumi ed essenze del resort. Dalla Spa al ristorante vivrete un’esperienza di totale relax con vista ineguagliabile sulle Dolomiti.

SHOPPING @ FRANZ KRALER. Cortina è anche una meta dove sta crescendo la passione per la moda. Cuore pulsante dello shopping di Cortina, in Corso Italia, i Kraler, storica famiglia di ceppo asburgico attualmente composta da Franz, la moglie Daniela e il figlio Alexander, hanno recentemente inaugurato il più grande department store italiano in Corso Italia 119 suddiviso in corner dedicato ai brand top della moda, ospitando l’exclusive dj set del leggendario compositore Giorgio Moroder e un’installazione a cielo aperto del giovane artista internazionale Stefano Ogliari Badessi.  Raffinato e versatile, si sviluppa su due piani, con la zona calzature al primo livello interrato e la zona abbigliamento al piano terra. Al piano rialzato le ampie vetrine si affacciano sulla piazza antistante e godono della fantastica prospettiva di tutto il Corso fino al campanile della chiesa. In contemporanea con l’apertura invernale della luxury boutique di Corso Italia, Kraler ha anche ampliato il luxury department  di Dobbiaco,  dove è stata presentata  la prima collezione leisurwear  di Fendi dedicata all’alta montagna all’interno di un suggestivo chalet gonfiabile.  Commenta Daniela Kraler: “Ho voluto collegare il tessuto urbano con una serie di negozi che proponessero un customer journey, un’esperienza di shopping che va al di là del semplice acquisto. Tutto questo risistemando edifici relativamente nuovi, regalando alla loro architettura un carattere inconfondibile, un’anima per offrire una degna cornice alle maison più importanti del mondo.”

Sempre nel segno del glamour è la sesta edizione del WinteRace, la gara d’auto d’epoca invernale, tra le più attese della stagione, che si svolge dal 1 al 3 marzo, con partenza e arrivo a Cortina d’Ampezzo.

Info utili

http://www.cortinadolomiti.eu/it
http://www.franzkraler.it
http://cortinafashionweekend.com

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Talent Made in Italy: RAMODESIGN

Esplorare tutte le potenzialità del legno per dare vita a oggetti dal design unico che prendono forma dalla potenzialità dello stesso materiale. Questa la filosofia di RAMODESIGN, ideato da Omar Cosentino, giovane talento che abbiamo incontrato nel suo studio di Via dell’Orso 16 nel cuore di Brera a Milano.

Parlaci della tua formazione

Sono a nato e cresciuto a Milano. Dopo aver studiato come grafico pubblicitario, ho deciso di dedicarmi a materie tecniche, perché la mia passione è sempre stata creare e capire come sono realizzati oggetti meccanici ed elettronici. Dopo aver lavorato per alcuni anni nel settore della meccanica, ho iniziato un nuovo percorso cambiando radicalmente vita, e dedicandomi alla realizzazione di oggetti di arredo con materiali naturali.

Quando hai iniziato a lavorare nell’interior design?

Sicuramente la spinta iniziale è venuta da mia moglie, che mi ha sempre sostenuto e spinto a sperimentare e approfondire la mia passione per l’artigianato. Nel 2015 ho deciso di dare forma alla mia passione, realizzando una serie di oggetti di design unici fatti a mano come tavolini, lampade, quadri, cornici, sculture e altri piccoli accessori in legno.

Come nascono i tuoi lavori? Da dove prendi ispirazione?

Ogni oggetto è realizzato interamente a mano da me. Dopo aver selezionato diversi tipi di legno di recupero, studio e analizzo la forma del materiale da cui nasce l’ispirazione per il design del pezzo. Nascono così lampade fatte da un unico tronco o tavolini, che poggiano su grosse radici nodose; utilizzo resine per incastonare sezioni di rami per creare mosaici di legno che diventano quadri o mattonelle per pavimenti. E’ proprio il legno che mi ispira e dal quale trovo l’idea per ogni mio pezzo di design. Il motivo che mi ha spinto a scegliere il legno naturale come strumento per creare i miei oggetti, è proprio perché il legno stesso racchiude già un’idea di design, che deve essere solo portata alla luce, senza stravolgerne la naturale bellezza.

Le tecniche di lavorazione

Utilizzo diversi tipi di tecniche, a seconda di quello che devo realizzare. Ogni lavorazione è fatta a mano, dall’intarsio alla levigazione del legno alla saldatura delle strutture metalliche. Molto spesso sperimento tecniche nuove per ottenere risultati inediti, soprattutto con le pitture e le resine, con le quali realizzo quadri che abbinano il legno a tecniche pittoriche. L’applicazione del colore su alcuni oggetti viene effettuata facendo colare la pittura, che dona effetti marmorei ottenuti quasi casualmente. Il colore che prediligo utilizzare è il blu in tutte le sue sfumature.

Quali sono i tuoi pezzi più rappresentativi?

Di sicuro un tavolino realizzato con più di mille pezzi tutti tagliati a mano, che compongono un mosaico di cerchi tenuti insieme da una resina trasparente da cui emergono tutte le venature dei venti tipi di legno utilizzati; e anche una lampada scaturita da una enorme radice di faggio capovolta su cui poggia un paralume di carta.

Sogni e progetti per il futuro

Vorrei che questa mia passione mi portasse sempre di più a padroneggiare ogni tecnica di lavorazione del legno e del ferro per realizzare tutti gli oggetti che visualizzo nella mia mente. Condividere le mie creazioni con chi apprezza le lavorazioni artigianali mi spinge a continuare a crescere e a concepire sempre nuovi design.

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MARCO CARTASEGNA: L’INFLUENCER MULTITASKING

Modello, blogger e influencer, ma anche imprenditore di successo e volto televisivo. A soli 27 anni, Marco Cartasegna, fondatore del blog YourGentleman, ha messo a frutto il suo Master in International Management con specializzazione in Digital Business, coniugandolo alla sua innata passione per la moda. Per questo, oltre ad essere socio della startup informatica iGenius.net, è anche tutor di stile ed esperto del mondo digital nel celebre programma pomeridiano di Rai2 Detto Fatto, dopo essersi fatto conoscere al grande pubblico per la sua esperienza come tronista a Uomini e Donne, in onda su Canale 5. MANINTOWN l’ha incontrato per voi.

Cosa o chi ti ha spinto ad aprire il tuo blog personale un paio di anni fa?
La mia voglia di mettere insieme i miei studi, in particolare il Master in Digital Business, con la mia passione per la moda, campo nel quale avevo comunque già accumulato esperienza, avendo fatto il modello durante gli studi. Ho quindi fatto un business plan e mi sono lanciato in questa avventura.

Cosa significa per te essere un influencer?
Avere un pubblico che per qualche motivo ti segua e soprattutto ti ascolti. Devi essere credibile nei confronti dei tuoi follower per essere un influencer, non basta avere grandi numeri. Si deve anche essere coerenti con quello che si comunica e con il proprio pubblico. Non pubblicizzo mai prodotti che non siano in linea con quello in cui credo io, sarebbe come tradire chi mi segue.

Tu stesso ti ispiri a qualcuno nella tua vita quotidiana?
Sicuramente ci sono personalità dal grande stile, non semplicemente nel look, ma in toto, che mi piacciono. Ad esempio, un grandissimo calciatore come David Beckham, che ha saputo essere uno tra i top player al mondo, maestro di stile e padre di una famiglia che sembra amarlo molto.

Qual è la tua più grande passione?
Oltre alla moda, il calcio. Ho sempre fatto molti sport, il tennis, ad esempio, è stato la mia vita durante il liceo, ma il calcio mi regala emozioni uniche. Ora sto cominciando con il golf, lo sport più completo che ci sia.

Per te avere stile è….
Lo stile, a differenza della classe, si può acquisire con il tempo, anche se molto più spesso è innato. Penso anche che lo stile evolva nel corso della vita di una persona, il fil rouge deve sempre essere il proprio gusto estetico, quello non si può acquisire, e fa anche sì che, quando lo stile cambia, lo faccia sempre senza snaturarsi.

Sei socio di una startup informatica, come riesci a conciliare le tue molteplici attività con il tuo ruolo di imprenditore?
È molto complicato! Non ho tempo di seguire quotidianamente la start up, anche se sta andando molto bene, abbiamo infatti raccolto 2,5 milioni negli ultimi mesi. Per ora mi dedico alla mia passione, la moda, ho diverse attività in cantiere che vorrei lanciare.

Recentemente sei entrato come tronista nel programma di Maria De Filippi Uomini e Donne. Parlaci di questa esperienza.
È stata una bellissima esperienza, la mia prima nel mondo della TV. L’ho fatta principalmente per curiosità. Mi hanno proposto di fare altri programmi da concorrente, ma ho declinato le offerte, al momento non mi interessa. Invece ho da poco cominciato Detto fatto sui Rai 2, esperienza molto interessante, perché mi mette alla prova nella conduzione al fianco di Caterina Balivo, in qualità di tutor di Digital, Moda e Lifestyle.

Un’esperienza che sogni di fare?
Il giro del mondo.

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IL GIRO DEL MONDO IN 90 GIORNI

Esattamente 77 anni dopo il suo primo volo, il leggendario Breitling DC-3 è partito da Ginevra e ha compiuto, tra marzo e settembre, un eccezionale giro del mondo a tappe, tra cui quella a Milano, scandite da eventi e partecipazioni a manifestazioni aeree.
Il DC-3, “l’aereo dello sbarco in Normandia”, riconosciuto dal generale statunitense Eisenhower come uno dei quattro pilastri della vittoria alleata in Africa e in Europa, oltre ad aver segnato la storia dell’aviazione militare, civile e commerciale, quest’anno ha stabilito un nuovo record, diventando il velivolo più antico a intraprendere un simile giro del mondo.
Insieme all’equipaggio, ha viaggiato ai loro polsi anche un’edizione limitata di 500 esemplari di Navitimer, i cronografi d’aviazione dotati di un sistema con doppio fuso orario, garantiti da un certificato firmato dallo stesso comandante. Questi orologi specializzati rappresentano un vero e proprio oggetto di culto tra gli appassionati di aeronautica sin dal 1952, con il loro quadrante circolare, da cui è possibile gestire tutte le operazioni relative alla navigazione aerea.
Grazie a questo volo straordinario, Breitling vuole dividere la sua grande passione per l’aeronautica con un vasto pubblico in tutto il mondo. Breitling, d’altronde, supporta da sempre grandi eventi aeronautici, dirigendo numerose formazioni d’eccezione e collaborando con l’élite mondiale dei piloti e delle squadriglie, inoltre, è fortemente impegnato nella tutela e nel restauro di apparecchi ormai mitici, tra cui il Douglas DC-3, che hanno segnato la storia dell’aviazione.

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Alessandro Egger: poliedrico e talentuoso

Alessandro Egger, serbo di nascita e milanese d’adozione, è da poco tornato dai red carpet della Mostra del cinema di Venezia. Modello, attore, musicista, è passato dalle sfilate di Versace e Dolce&Gabbana alla serie The Band, in cui recitava ancora minorenne. Una figura poliedrica che, costruendo il proprio successo partendo da zero, vuole essere di ispirazione per chi crede ancora d’avere ‘sogni troppo grandi’. Selezionato per l’ultima edizione di Pechino Express si racconta su queste pagine, tra un preparativo e l’altro, lo vedremo nel viaggio che lo porterà ad attraversare Filippine, Taiwan e Giappone, in compagnia della mamma Cristina (gli #Egger).

Attore, modello e paroliere: molti talenti, alcuni anche diversi fra loro. Come sei riuscito a coltivarli tutti?
Hai ragione, sono molti! La musica è stato il primo che ho coltivato, perché era la forma di comunicare e narrare storie, sogni e ambizioni dell’ambiente in cui mi trovavo che prediligevo. Facendo rap il modo di muoversi e costruire lo “show” diventa scenografico a tal punto da trasformarsi quasi in uno sketch che va oltre la musicalità e lirica dei testi. Da lì sono arrivati i primi suggerimenti degli amici: “Dovresti andare a Hollywood” o “Sei nato per fare l’attore”. Prendendo con serietà l’opinione sincera delle persone, mi sono trasferito da Como a Milano, rischiando e ottenendo i primi ruoli. Dopo i 20 anni divenne complesso trovare un ruolo adatto, a causa dei drastici cambiamenti fisici che portarono ad un forte contrasto tra l’altezza (189cm) e il volto, lontano dallo stereotipo del comune ragazzo italiano. Dovevo trovare una soluzione perché non potevo star fermo. Mentre lavoravo in una showroom, arrivarono (quasi) inaspettatamente i primi lavori nella moda, un colpo di fulmine che travolse completamente la mia vita. Con gli anni ho imparato a fare convivere le mie passioni, utilizzandole come mezzo comunicativo anche nella vita quotidiana. A settembre, ad esempio, ho un pezzo in uscita con Laioung. La canzone si chiamerà “Ginger”

I tuoi ricordi in Serbia. Qual è l’essenza del tuo Paese?
E’ un Paese che ha subito molti squilibri a causa della guerra e dei bombardamenti ma la sua essenza è nel legame con le persone, una grande sinergia che agisce in maniera pura e forte allo stesso tempo. Nel quartiere si cresce grazie agli adulti, che insegnano a rispettare i genitori, la famiglia e la propria terra. Se non impari, ci pensano i fratelli maggiori, quelli ‘acquisiti’, a farti capire le cose. Usano i metodi più duri che sono anche i più efficaci. (Ride). Cresci rispettando gli anziani e la famiglia, apprezzando la vita, i soldi, la scuola, l’aria che respiri. E’ gente che ha un storia da raccontare, molta tristezza negli occhi, ma anche una grande voglia di rivincita.

Raccontaci del tuo percorso come attore e dei primi successi con la serie The Band.
‘The Band’ è stato il mio primo grande amore, una serie che ho amato da tutti i punti di vista e in ogni momento, dal camerino, alla sala costumi, dall’unica e sola Silvia Gandolfi (che mi ha scoperto), donna che rimarrà sempre nel mio cuore, ai miei compagni di set, con i quali ho condivo così tanto. Mi ricordo che il successo fu così incredibile che ogni mattina c’erano gruppi di ragazze ad aspettarmi davanti casa e io uscivo senza rendermi nemmeno conto di cosa stesse accadendo.

Quali sono i registi con cui hai avuto il piacere di lavorare e quali quelli con cui vorresti farlo?
Ho lavorato con Brizzi, Genovese e Samen, il duo esplosivo che sono sicuro realizzerà grandi cose, ma quello con il quale adoro lavorare di più è Angelo Guarracino. Siamo amici da 10 anni e abbiamo sempre coltivato la nostra passione cercando di creare dei prodotti video emozionanti e quest’anno abbiamo collaborato per produrre e dirigere video per Rocco Hunt, Laioung, Gue Pequeno. In futuro mi piacerebbe lavorare in America, magari con Scorsese o con uno dei miei compaesani più illustri, Kusturica, facendo da spalla a Jim Carrey o a Leonardo di Caprio, che adoro e stimo. Forse sogno in grande, ma i sogni sono fatti per questo!

Com’è nata la tua carriera da modello? Quali sono gli aspetti che ami di questo lavoro?
La mia carriera da modello è nata per caso. Avevo lasciato un curriculum da Versace candidandomi come venditore, cameriere o per qualsiasi altra posizione e invece venni visto dallo ufficio stile e dal casting director, che mi diede la possibilità di lavorare con loro. Ho quindi cercato un’agenzia che mi rappresentasse e da lì è iniziata la mia ascesa. Della moda mi piace tutto, dalla creazione di un capo alla sfilata stessa, ma la cosa che amo di più è la possibilità che offre di viaggiare molto e scoprire posti meravigliosi! Amo viaggiare, è un’esperienza che mi arricchisce molto!

Qual è la tua idea di stile e cosa porti sempre con te in valigia?
Lo stile è prima di tutto è saper sdrammatizzare l’eleganza con l’attitudine. Ovviamente l’abito non manca mai. Tagli sartoriali, pelle ricamata: voglio che l’outfit abbia un colore deciso e racconti una storia.

L’ultimo libro o brano musicale che ti ha regalato un’emozione.
L’ultimo libro che ho letto è di Charles Bukowski, ‘Post Office’, una gran storia sui cambiamenti e gli stravolgimenti della vita. Vivo constantemente su Spotify, quindi musicalmente seguo tutte le ultime tendenze. Tra i brani più ascoltati ci sono ‘Thunder’ degli imagine Dragons e ‘Young Dumb’ di Khalid.

Alessandro Egger e i social media: come li usi, cosa ti piace postare e cosa no.
Cerco di impostare i social su quello che i miei follower amano di più, comunicando con loro e postando le principali notizie che mi riguardano. Le foto sono principalmente quelle di shooting professionali, pochi selfie. Per me è fondamentale dare un messaggio positivo e spronare chi ne ha bisogno a raggiungere i propri sogni, spesso sfruttando la mia stessa storia, essendo anche io partito da zero.

Una o più luoghi dove vorresti andare e dove ti ricarichi quando non lavori.
Mi piace andare in posti incontaminati, immergermi nel silenzio e nella natura. Pratico la meditazione, fa benissimo.

Ti piace scrivere canzoni… quali gruppi e cantanti segui? Con chi ti piacerebbe collaborare?Prediligo gli artisti che riescono a comunicarmi qualcosa intensamente come R Kelly, Beyoncé, Otis Redding, Jamie Foxx. Sono cresciuto con la musica Black. Presto uscirà un pezzo in collaborazione con Laïoung, artista con il quale sfogo tutta la mia energia. Mi piacerebbe collaborare con Pharrel Williams o William Adams, meglio noto come Will.i.am.

Una o più luoghi che sono per te ricchi di ispirazioni?
Qualunque luogo può essere d’ispirazione se si vive pienamente!

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Photographer| Fabrizio Cestari
Stylist| Stefania Sciortino
Grooming| Emanuela Di Gianmarco using Sisley Paris

matthew zorpas. athens calling

Gentleman di nome e di fatto, è considerato uno dei più importanti web influencer del momento. Non posta e basta, racconta storie di stile, dispensa consigli su come comporre i look, attraverso i suoi viaggi ispira un seguito di followers da tutto il mondo. Parliamo di Matthew Zorpas, blogger e fondatore di thegentlemanblogger.com. Matthew è anche un creative consultant e, attualmente, brand ambassador di IWC Schaffhausen. Nato a Cipro, Matthew studia e si trasferisce a Londra per ritornare alle origini trasferendosi di recente ad Atene. Proprio per il suo compleanno (festeggiando i 30 anni con tanto di #mz30th) lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare il suo punto di vista su una delle città più affascinanti al mondo per storia, cultura e continuo fermento.

Cosa ti piace di Atene?
Atene è in gran fermento al momento. È una città che negli ultimi anni ha sofferto, ma recentemente ha iniziato a respirare di nuovo. Piccole aperture, negozi popup, bar e ristoranti sono a ogni angolo, offrendo l’eccellenza nel design, gusto e servizio. È l’inizio di una nuova era, di nuove idee, di un nuovo sistema. Io voglio esserne parte.

Cosa mettere in valigia?
Viaggiate leggeri! Diventa caldissimo in estate. Mettete in valigia creme solari, il vostro cappello di Panama (soprattutto se volete fare una passeggiata sull’Acropoli), una camicia di lino bianca o azzurra (vi adatterete perfettamente ai greci), le vostre espadrillas alla moda e alcune paia di calzoncini. Non dimenticate il vostro zaino, per mettere i vostri autentici souvenir ateniesi da Plaka!

I 5 posti più importanti da visitare ad Atene (ristoranti, spiagge, hotel, discoteche, negozi)?
Il mio ristorante preferito nel centro di Atene è Nolan, cucina fusion giapponese e greca. Spiagge: a 40 minuti in barca, assicuratevi di visitare Agkistri, una delle isole più vicine ad Atene con acque cristalline. Aponhsos è uno dei miei punti preferiti dell’isola. Hotel: Electra Metropolis è una delle ultime aperture in città e con la migliore roof top. Discoteche: l’area Gkazi è dove accade la magia. Dai bar greci alle feste speciali con dj internazionali, succede di tutto intorno a questa piazza. Negozi: Paraphernalia è la destinazione perfetta per gli amanti del design.

Un ricordo particolare riferito a questa città?
La festa per il mio compleanno dei 30 anni con i miei amici, venuti da tutto il mondo. È stato un momento davvero speciale e indimenticabile per me, qui ad Atene.

A chi consiglieresti questo viaggio?
Agli amanti, a chi ama il sole, l’estate, la storia, la bellezza, la natura, agli amanti della Grecia.

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JAMES JAGGER, UN UOMO, DIECI RISPOSTE

Da piccolo ascoltava a ripetizione la canzone “Johnny Be good” di Chuck Berry e confessa di avere ancor oggi una passione irrefrenabile per i film gangster. James Jagger, figlio di un più noto Mick, ha iniziato la sua carriera nel cinema, ma non solo, è anche un ambientalista convinto, e parte del progetto “The wave walk”, che coinvolge artisti e scultori e designer per realizzare varie opere a NYC che sensibilizzino le comunità sui temi della salvaguardia dell’ambiente marino. In attesa di vederlo anche in un film del regista Christopher Nolan – un suo desiderio svelato – non vediamo l’ora di (ri)vederlo sul grande schermo nella pellicola 747, che uscirà a breve.

Gli esordi da attore
Già al liceo, a 16 anni. Interpretando un ruolo in uno spettacolo scolastico capii che comunque quella poteva essere una strada, la mia strada. Così mi iscrissi ad un corso di recitazione a Londra e poi a New York (la verità è che a quel tempo passavo più serate alle feste che ore a provare il copione) ma una parte di me lo sentiva, sapeva che voleva andare no in fondo.

Tutto è pronto per il nuovo film 747
È stata un’esperienza molto piacevole, ho trovato dei grandi amici e degli ottimi professionisti. Non ho grandi aspettative per il suo successo (il mix di ingredienti che rende vincente un film è davvero vasto e bisogna avere talento e fortuna perché tutto si amalgami in maniera perfetta) ma personalmente sono davvero soddisfatto.

Il sogno nel cassetto
Ce ne sono molti ma se devo sceglierne uno, adesso, vorrei lavorare con Christopher Nolan (super): Inception, Intestellar, woow, sono pellicole invincibili. Lui è un talento prodigioso e per me sarebbe davvero un sogno poterci collaborare. Lui è uno di quei registi che anche con grandi budget riesce ancora a rischiare, a puntare su copioni innovativi e di livello. Il problema del cinema contemporaneo, infatti, è che le cose più belle vengono fatte con pochissimi soldi, da autori emergenti e che fanno moltissima fatica per affermarsi, mentre con le produzioni più grandi si pecca di buona qualità, si fa intrattenimento più che arte.

Un attivista convinto
La verità è che siamo un’associazione molto piccola, ci sono dentro soltanto sei persone e cerchiamo nuove fonti di crowdfunding per i nostri progetti: ogni anno ci battiamo per una causa specifica legata alla tutela delle coste e alle fonti di inquinamento marino e adesso, per esempio, abbiamo dato vita ad un progetto molto interessante, a New York, in partnership con La Mer, si chiama “The wave walk” e coinvolge artisti e scultori e designer per realizzare varie opere, in tutta la città, che sensibilizzino i passanti, la comunità, sui temi della salvaguardia dell’ambiente marino.

Il volto delle fragranze Armani
Girare la serie di short film per le fragranze Armani mi ha soddisfatto…Fabien Constant è stato un director straordinario, e la cosa davvero meravigliosa è che oltre alla promozione di un prodotto, nella sua idea c’è uno script, una storia reale, ci sono emozioni e sentimenti. E per un attore questa è pura vita. Con Matilde Lutz, mia partner nei film, abbiamo trovato immediatamente una sintonia ed un feeling piacevole, tanto che Fabien spesso filmava anche nei momenti di pausa. La spontaneità e la naturalezza che si creano sul set sono importanti per creare un prodotto autentico.

matilda lutz: an italian talent in hollywood

Milanese di nascita, ma con vocazione internazionale, Matilda Lutz è un talento che sta vivendo il suo sogno americano. Dopo l’incontro con Muccino e il suo trasferimento a Los Angeles la carriera della giovane Matilda (ventiseienne) è in rapida ascesa, tanto che Giorgio Armani l’ha scelta come protagonista, insieme a James Jagger, di una serie di brevi film diretti da Fabien Constant per il lancio di due nuove fragranze per Emporio Armani. L’abbiamo incontrata a Milano per farci raccontare come è iniziato il suo amore per il cinema, la sua vita a Los Angeles e i suoi prossimi lavori in uscita.

Com’è nata la tua passione per la recitazione?
In realtà un po’ per caso. Ho frequentato il liceo scientifico ed ero molto timida, avevo paura che la recitazione non facesse per me, solo il pensiero di stare davanti al pubblico mi terrorizzava. Dopo il liceo sono andata a New York, dove ho fatto un corso di recitazione, giusto per provare e sconfiggere la mia timidezza. in realtà mi sono accorta che recitando e interpretando dei ruoli mi sentivo veramente libera. Non mi sentivo giudicata. Potevo dire e fare quello che volevo, perché le persone non giudicavano me, Matilda, ma guardavano al personaggio. Da questo sentimento di libertà completa mi sono innamorata della recitazione.

Com’è avvenuto l’incontro con Gabriele Muccino?
Lavoravo in un ristorante italiano a Los Angeles e lui era a cena con sua moglie. Il proprietario del locale, che mi conosceva molto bene, sapeva che mi piaceva Muccino e me l’ha presentato. Io seguivo i post che scriveva sulla sua pagina di Facebook sulle differenze tra americani e italiani, su quello che gli piaceva e non degli Stati Uniti e dell’Italia. Così gli ho scritto un pensiero ispirandomi a uno dei suoi post, ma non credevo l’avrebbe mai letto. E invece ho catturato la sua attenzione e mi ha chiesto di fare un provino per il film.

Come è stato lavorare con lui?
Un’esperienza incredibile. Già solo per le location dove abbiamo girato. Siamo andati a a girare a Cuba, San Francisco, Roma e New Orleans, insieme a Brando Pacitto e Taylor Frey, con cui sono diventata subito amica. Abbiamo creato fuori dal set quella chimica che abbiamo riportato nel film. Uscivamo sempre insieme, passavamo le serate a chiacchierare tutti insieme. Una sera ricordo che a Cuba siamo andati a sentire una band dal vivo e ci sembrava realmente di vivere nello stesso film.

E l’incontro con Armani?
La prima volta che ho incontrato Mr Armani è stata alla prima a Milano del film di Muccino L’estate addosso. Alla presentazione del film, tra amici e la famiglia, c’era anche lui tra il pubblico e io ero in ansia (ride, ndr). Dopo la proiezione del film è venuto a farci i complimenti. Tra l’altro mio padre aveva fatto una campagna proprio per Armani. L’altra coincidenza è che quando avevo 17 anni mi avevano chiesto di intervistare Beyoncé a Madrid per il suo concerto. Un progetto che era pensato proprio per il lancio del nuovo profumo Diamonds di Emporio Armani. Ho fatto queste tre pagine di diario in cui, come fan, andavo a intervistarla ed ero la più giovane corrispondente del tempo.

Quando ti sei trasferita a Los Angeles?
E’ da tre anni che sono lì stabilmente. I primi sei mesi ho fatto avanti e indietro con l’Italia per lavoro, perché stavo girando una serie. E dopo un anno dal trasferimento è arrivato il primo film.

The Ring, il tuo primo film americano, un film horror in 3 D
In realtà non sono una grande fan degli horror, perché mi fanno molta paura, inizio a vedere e a sentire cose, non riesco a dormire, quindi evito di guardarli. Però girarne uno è stato proprio divertente per le scene d’azione. Essendo il mio primo film americano ho fatto molte prove con lo stunt coordinator, uno dei più importanti di Hollywood. Poi tanti trucchi del backstage, gli effetti speciali, basti pensare che per realizzare il trucco del personaggio di Samara ci vogliono sei ore.

Come ti trovi a Los Angeles?
Quando mi sono trasferita tutti mi parlavano male di Los Angeles. Mio fratello già viveva lì e sono andata a trovarlo inizialmente e poi sono rimasta. Mi è piaciuta tantissimo per la sua energia e per il fatto di poter essere in mezzo alla natura, pur rimanendo in città. E di poter condurre una vita sana: tutti si svegliano presto, vanno a letto presto, perchè i locali chiudono alle due, mangiano quasi tutti in modo salutare e praticano un sacco di sport all’aria aperta. La cosa più bella di Los Angeles è il fatto che tutti i quartieri hanno uno stile di vita diverso: a Silver Lake trovi la vita newyorkese, un po’ underground e rock and roll; se sei a Santa Monica c’è il mare, il surf, la corsa al tramonto, a West Hollywood ci sono più discoteche e vita sociale.

Ti manca l’Italia?
Mi manca tantissimo il cibo, dopo tanti mesi negli Stati Uniti quasi ci si dimentica del sapore vero del cibo, come le fragole. Mi manca l’aperitivo con i miei amici e camminare nei vicoletti delle nostre città.

Quando non lavori, quali sono le tue passioni?
La cosa che mi piace di più è viaggiare; infatti adesso mi sono presa una settimana di vacanza e sono andata ogni giorno in un poso diverso. Mi piace scoprire posti nuovi. E vivere le città e i luoghi anche quando si gira un film e vivi in un posto per due mesi non come una turista, ma come una del luogo, grazie al fatto che parte della crew è del posto e ti porta in giro.

Il tuo ultimo viaggio?
Ho girato Lerici, Sestri Levante, Portofino. Poi sono andata a Firenze e Pietrasanta. A Firenze sono andata al Teatro della Pergola, in cui non ero mai stata, poi ho preso la bicicletta e sono andata in giro per tutta la città, senza una meta precisa per perdermi e scoprire senza programmare niente. 

Together Stronger la serie per Emporio Armani. Come è stato il feeling con il regista Fabien Constant e James Jagger?
Sia James, sia Fabien, il regista, hanno reso l’atmosfera sul set veramente tranquilla. C’era un copione ma senza battute scritte, quindi Fabien ci ha lasciato spazio per improvvisare. Tutti i momenti di chimica tra di noi, in cui giochiamo, ci rincorriamo in questa storia d’amore li abbiamo creati noi due sul set. James è una persona fantastica e abbiamo giocato come quando ci si innamora tornando un po’ bambini.

La serie è ambientata a New York e tu sei Laura, una scrittrice.
Il mio personaggio è una scrittrice, ma fa anche fotografia. E’ un po’ come mi sento io in realtà. Mi piace tutto ciò che è creativo, la fotografia, la recitazione, scrivere, mi piacerebbe provare la regia un giorno. Laura è una donna spensierata, sicura di sé, fa quello che si sente, segue l’istinto.

Tra le scene qual è quella che ti è piaciuta di più?
Mi ha divertito tantissimo quella del taxi, mi sentivo un po’ in un film degli anni ’60 e un po’ in Sex and the city. Correre sui tacchi, mentre mi vesto con jeans, t-shirt e Converse.

Un sogno nel cassetto?
Nel futuro penso alla regia. E anche mi vedrei come Bond girl, recitare in un film d’azione. Mi piacerebbe un ruolo drammatico, la mia attrice preferita è Meryl Streep.

Hai trovato l’amore? E dove ti vedi fra qualche anno?
Forse (ride, ndr). Mi è molto difficile pensare di trovare l’amore, nonostante sia metà americana mi sento molto europea e ci sono tante cose che mi fanno pensare che un giorno tornerò in Italia. Non presto, perché sono contenta di stare a Los Angeles, dove vedo un sacco di opportunità, imparando tantissimo. Vado ai provini e competo con nomi molto importanti e conosciuti, una cosa che fa paura, ma allo stesso tempo mi dà la carica per migliorare ogni giorno e mi tiene con i piedi per terra.

Matilda Lutz @Elite Milano
All photos by Luigi Miano

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gaetano pesce. if ideas had no boundaries.

Quattro decenni di carriera improntata alla creatività fanno di Gaetano Pesce una delle voci più autorevoli del design italiano. A lui, nato a La Spezia nel 1939, si devono creazioni che spaziano dall’architettura all’interior design, così come sculture, vasi e perfino gioielli. Convinto assertore che l’intuizione ideativa sia liberatoria, Pesce, per spiegare presente e futuro, parla del passato; per raccontare la sua coerenza creativa spiega l’incoerenza del linguaggio espressivo. Pluralismo e mutevolezza sono per l’architetto-scultore-designer i fondamenti di ogni processo, così come nuovi materiali e nuove forme sono alla base di nuove semantiche estetiche.

È un creativo a tutto tondo: mi parla del suo processo ideativo? Come cambia progettare un vaso, una lampada, l’interior design no all’architettura?
La creatività non ha barriere e le idee nemmeno. Alcune di queste possono essere delle ottime ragioni per fare dell’architettura, altre possono essere utili per creare degli oggetti, altre ancora per musica o poesia. Questa si chiama multidisciplinarietà o pluridisciplinarietà. Per capire quanto sto affermando, si guardi al comportamento di certi importanti artisti del Rinascimento. Raffaello disegnava le uniformi delle guardie del Vaticano, allo stesso tempo tratteggiava l’urbanismo della città del Papa, oltre a, come tutti sanno, dipingere le straordinarie tele che onorano l’Italia e sono presenti nei maggiori Paesi del mondo. Non occorre parlare di Leonardo nè di Michelangelo e di altri artisti multidisciplinari del Rinascimento. Per andare da un oggetto, a una architettura a una scultura niente cambia, se non la scala. Le motivazioni del progetto sono le stesse, espresse con diversi media.

La sua ricerca sui materiali: schiume, resine e polimeri. Quanto la materia è al servizio della creatività? Come governa la materia sulla forma?
Ci tengo a essere sincero con il mio tempo quindi, come uso tutti i progressi che esso mi o re, sono anche dell’idea che devo impiegare i materiali scoperti nei momenti della mia vita. Comunemente si chiamano sostanze “di sintesi” e, a mio modo di vedere, sono dei mezzi molto più performanti delle materie del passato. Nei processi creativi lascio questi materiali liberi al 30-40%, perché la loro ricchezza supera molte volte quella della mia mente.

La relazione tra gli oggetti e il corpo. La sicità nelle sue creazioni.
Ritengo che l’espressione astratta è da tempo superata dalla realtà. Ecco perché le figure appaiono nel mio lavoro, perché sono riconoscibili dal fruitore, aiutano la comunicazione e rivelano il contenuto delle opere. Da circa 50 anni la Figurazione è un elemento importante del mio operare. La componente figurativa è quella che parla al di là dei diversi linguaggi, delle diverse culture del mondo. Più recentemente, il computer comunica nello stesso modo per utenti provenienti da diversi Paesi.

La presenza dell’elemento antropomorfo nei suoi lavori?
Il linguaggio che uso non è sempre coerente, perché dipende da quanto avviene nella realtà. Ritengo che l’Arte sia un commento di quello che avviene nel nostro tempo. Questo è prima di tutto organico e, in particolare, liquido perché in esso avvengono valori contrastanti, contraddittori, che si presentano alla nostra attenzione, svaniscono e riappaiono. È come il movimento delle onde del mare, avvengono con rumore e svaniscono. Il mio linguaggio non è unico e dipende dagli argomenti che tratta, per questo non è coerente e a volte non è riconoscibile a chi segue il mio lavoro. Gli architetti che seminano nei diversi Paesi delle opere che dipendono da uno stile unico, sono persone che appartengono al passato. In realtà, se si rispetta il luogo dove si costruisce si deve dare la precedenza alla sua identità, se si costruisce in diversi luoghi le nostre risposte architettoniche devono necessariamente essere diverse e quasi irriconoscibili. Il design, per la stessa ragione, dovrebbe essere in grado di esprimere l’identità dei luoghi dove l’oggetto è prodotto, senza dire che dovrebbe essere in grado di dichiarare l’identità dell’autore e sfuggire all’astrazione dell’anonimato. Più in generale, direi che i musei d’arte contemporanea, che mostrano in diverse Nazioni le stesse collezioni, sono anacronistici e non rispettano la loro funzione di esprimere le diverse culture del mondo.

the uncommon rise of RYAn COOPER

cover_Blazer PORTS 1961; Coat ACNE

Ryan Cooper alterna disinvoltamente set fotografici di moda e red carpet cinematografici. È lui il volto nuovo del cinema internazionale. Con la sua faccia che buca lo schermo (e l’obbiettivo), con il suo fisico scolpito – è stato anche carpentiere – questo ragazzone della Nuova Guinea ha convinto tutti e, dalle campagne pubblicitarie di Armani Exchange, DKNY, Hugo Boss e Trussardi Jeans è passato al grande schermo e presto lo vedremo al fianco di Scarlett Johansson in, Crazy Night.

Raccontaci delle tue radici e della tua famiglia. Come hanno influenzato la tua vita?
Sono cresciuto senza molte cose, vivendo in paesi del terzo mondo con persone che non possedevano molto ma erano molto felici e generose. Questo ti fa apprezzare le cose che hai ma di cui non hai bisogno. Mi ricordo che spesso nella nostra colazione c’erano degli insetti a causa dell’umidità. Mio padre era un missionario e ha instillato fortemente le sue credenze in noi. Era un gran lavoratore e questa caratteristica mi ha sicuramente aiutato entrando in questo business. Trattare bene le persone e lavorare duramente, quando si lavora tutto il giorno e ho bisogno di energia. Ho fatto turni di 20 ore per lavori di edilizia in passato e questo mi ha preparato a stare sul set per 12 ore.

Come hai iniziato la tua carriera di modello?
Fare il modello è stato un colpo di fortuna. Un amico mi ha chiesto di fare un servizio fotografico per un negozio in Nuova Zelanda quando ero nel campo delle costruzioni. Poi un altro amico voleva sistemarmi con un’agenzia, in cui, appena mi hanno visto, mi hanno detto che non avrei mai lavorato. Tuttavia, il mio attuale manager ha visto le mie foto e da quel momento in poi mi ha spinto a viaggiare e lavorare, cosa che mi ha permesso di trascorrere qualche anno divertente, viaggiando e scattando per il mondo.

Quando hai deciso di entrare nel mondo cinematografico e come è successo?
A New York ho incontrato il mio attuale manager che mi ha chiesto se fossi interessato a recitare e che mi ha coperto le spalle da allora. Onestamente, non ci avevo più pensato da quando partecipavo a spettacoli scolastici da bambino. Mio padre mi incoraggiava a trovarmi “un vero lavoro” e così ho fatto, nel settore dell’edilizia. Mentre stavo viaggiando/facendo il modello avevo l’opportunità di imparare da alcuni meravigliosi coach a New York e Los Angeles e ora essere in grado di lavorarci è fantastico.

Qual è stato il tuo debutto nelle fiction e nel cinema?
Il mio primo lavoro sono state piccole parti in film indipendenti poi un breve periodo nella soap “Una vita da vivere”, prima che questa produzione di lunga durata esalasse l’ultimo respiro. Mi sento un po’ responsabile per questa morte (ride,ndr)!

Christian Pellizzari, il volto indipendente della moda

Essere indipendente, per lui, vuol dire evolversi libero da imposizioni creative e da legacci economici. Christian Pellizzari, giovane stilista trevigiano, preferisce crescere e camminare nell’agóne del fashion system con le sue gambe. Classe 1981, con un importante background cominciato al Polimoda di Firenze e proseguito nell’ufficio stile di Tonello e poi come guest designer all’Armani Teatro, Pellizzari basa la sua creatività sulla mescolanza di generi, solo in apparenza contrastanti. In bilico tra Venezia e Los Angeles, quali città ispiratrici, Pellizzari si racconta attraverso le stampe, che declina al maschile e al femminile, mentre progetta l’apertura di una boutique/atelier, dove poter mostrare ai clienti tutte le fasi ideative e produttive dei suoi capi, riportando in auge il rapporto stilista-cliente, che si è disperso con la diffusione di massa. MANINTOWN l’ha incontrato per voi.

Come sta evolvendo il brand?
Essendo un marchio indipendente, stiamo continuando a crescere stagione dopo stagione, gradatamente e secondo le nostre possibilità. Siamo presenti in sempre più punti vendita in giro per il mondo e le collezioni crescono e migliorano sempre di più, ma voglio che si cresca per gradi e stabilmente, in modo da poter seguire in prima persona tutto il percorso.

Quali le città, i luoghi che ti ispirano maggiormente?
Sono molte, ma diciamo che ultimamente soffro di una “bipolarità ispirazionale”, tra Los Angeles e Venezia. La prima è molto stimolante e sta vivendo un ottimo momento a livello culturale e artistico, e il clima aiuta rendere il tutto perfetto. Venezia, invece, in questo periodo e diventata fondamentale per me: sto cercando di passarci più tempo possibile e ogni giorno noto la sua bellezza e la sua anima che mi sorprendono continuamente, voglio vedere e scoprire tutto e voglio soprattutto perdermi. Sono, comunque, due città che mi inspirano e mi ricaricano, dei luoghi multiculturali dove tutto si fonde perfettamente, ed è una filosofia che uso anche per il mio lavoro: mescolare e mettere insieme elementi apparentemente distanti tra loro.

Personaggi (uomini e donne) che vorresti vestire? O che hai vestito perché rappresentativi del tuo stile?
Non ho mai avuto ambizioni su questo fronte. A dire il vero, sono sempre entusiasta quando qualcuno reinterpreta i miei capi, che siano personaggi noti o gente comune.

Il pezzo per te iconico del brand?
Faccio fatica a sceglierne uno solamente, Ultimamente, però, ho una passione per le camicie stampate: non toglierei mai quelle della mia ultima primavera/estate. E poi le giacche, con tessuti speciali, stampe particolari, che non mi bastano mai.

Prossimi progetti e sogni che vorresti realizzare?
In primis, essere sempre più libero e indipendente, poter continuare il mio percorso e l’evoluzione del marchio è per me molto importante. Un sogno è quello di aprire al più presto una boutique-atelier, dover poter mostrare ai clienti quello che facciamo, il lavoro che si nasconde dietro la costruzione di un abito, la ricerca delle stampe e tutti i processi che portano al prodotto finito.
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Uomini e media: il caso di FourTwoNine

In un momento in cui le dinamiche del web stanno cambiando anche le logiche dell’editoria, al contrario di ogni previsione stanno nascendo e affermandosi nuovi magazine indipendenti, a cavallo tra onpaper e digital. Il fascino della carta resiste alla velocità del consumo web. Lo dimostrano le diverse pubblicazioni di lifestyle ad alto tasso creativo in cui la fotografia e la direzione artistica sono assoluti protagonisti. E proprio nel supporto cartaceo trovano una piena espressione. La sfida più grande sia per le nuove piattaforme editoriali, sia per quelle già consolidate, sempre più ricche di contenuti e interattive, è proprio ritrovare il legame diretto con la loro audience. Di questi temi ne abbiamo parlato con Richard Klein, fondatore di Surface Magazine e ora publisher di FourTwoNine, e con Maer Roshan, giornalista tra i più affermati, chiamato a dirigere il magazine lanciato nel 2013. Un progetto nato in modo indipendente e che è partito proprio come aggregatore di un pubblico attraverso talk e incontri per diventare poi un magazine cartaceo patinato che riunisce alcuni degli scrittori più importanti, editori, artisti e fotografi. Ogni numero di FourTwoNine mette in evidenza le ultime novità di cultura, stile, sport, tecnologia, affari e politica, puntando un riflettore su leader e innovatori che stanno guidando e influenzando la contemporanea cultura.

Come ha iniziato la sua esperienza nel campo dell’editoria? E il lancio di Surface?

Richard Klein: Ho un background in design e art direction. Ho dato inizio a Surface a San Francisco mentre ero ancora un giovane ventenne. Surface è stato lanciato originariamente come una galleria. Uno spazio sociale nel distretto SOMA di San Francisco, che punta i riflettori sui giovani artisti e crea uno spazio in cui persone creative si sarebbero radunate per socializzare e scambiarsi idee creative. Non è molto diverso da come abbiamo lanciato FourTwoNine, utilizzando però come elemento aggregatore la tecnologia e i social network. Produciamo una serie di eventi con conversazioni che però comprendono dei leader mentre parlano di un soggetto particolare sul palco e cocktail party ed happening in tutti gli stati. Abbiamo fatto crescere Maer Roshan per creare un nuovo sviluppo di FourTwoNine. Maer ha un ampio background nell’editoria, dal New York Magazine, details, Radar, Talk e l’ Hollywood Reporter.

Come è nata l’idea di FourTwoNine?

Richard Klein – Maer Roshan: FourTwoNine è partito quattro anni fa come magazine e social network che era indirizzato direttamente a uomini gay, influencer e leader creativi che erano concentrati nei più importanti centri urbani dell’America. La nostra attuale incarnazione riconosce quel pubblico importante, ma lo espande anche. L’orientamento sessuale è cambiato molto nel corso degli ultimi dieci anni, le barriere tra i gay e gli eterosessuali sono molto più allentate, soprattutto tra le generazioni più giovani. La sensibilità gay – irriverente, creativa, che supera i limiti – è condivisa da molti uomini di città che non si identificano come gay. Abbiamo notato che molti eterosessuali e persino alcune donne erano fan entusiasti del magazine. Così mentre il sito e la rivista continueranno a includere alcuni contenuti gay, la maggior parte delle nostre storie, delle ricerche e dei servizi di stile saranno sufficientemente generali da attrarre un’audience più vasta.

Come vede l’evoluzione dei magazine in relazione al web?

Maer Roshan: Le pubblicazioni stampate e quelle online hanno diversi punti di forza e metabolismi, così abbiamo messo a fuoco FourTwoNine di conseguenza. Il web è ideale per mantenere i lettori il più aggiornati possibile con notizie dell’ultima ora e informazioni d’attualità, e il nostro sito web riflette questo. Cerchiamo di tenere il passo con l’attualità e la politica, così come con i trend nell’arte, musica e moda. La sfida per le riviste nell’età del digital è quella di produrre qualcosa che non può essere replicato sul web. Per me si tratta essenzialmente dell’estetica e dei sensi. Attribuiamo grande importanza alla fotografia e alla direzione artistica: la nostra testata include alcuni dei migliori fotografi sul mercato così come alcuni dei più talentuosi fotografi emergenti. Non c’è niente di meglio che sedersi con una rivista stupenda e sfogliarla. Una fotografia a colori su carta speciale non ha lo stesso impatto sul web. Inoltre, c’è qualcosa di più duraturo e speciale in un magazine che puoi tenere tra le mani. È un ricordo, mentre molti contenuti web sembrano così effimeri. Sto addirittura programmando un’edizione profumata, che permetterà ai lettori di annusare certe fragranze, che accompagnano le storie contenute nella rivista. Questo non si può fare su Internet.

Da San Francesco a Los Angeles, mi racconti la nuova direzione del magazine

Maer Roshan: FourTwoNine è una rivista nazionale, ma a differenza di altre pubblicazioni, che sono concentrate a New York, la nostra base a Los Angeles ci dà una prospettiva fresca e unica. Negli anni recenti il pendolo della cultura è oscillato drammaticamente da Est a Ovest. Ovviamente Hollywood è lì e la Silicon Valley a San Francisco e la scena musicale di Seattle. Ma città come Portland e San Diego stanno anche stabilendo dei trend in politica, musica, arte, moda e cibo. Poiché questo sta accadendo proprio qui  vicino, daremo a queste storie l’attenzione che sfugge a molti magazine, pur continuando a parlare ad un pubblico nazionale.

Come pensa di evitare stereotipi gay e cliché, offrendo un punto di vista più stimolante?

Maer Roshan: Sono allergico ai cliché e agli stereotipi e credo che il magazine rifletta questo. La nostra ultima edizione comprende quattro copertine, Trevor Noah protagonista del Daily Show, Ashton Sanders, la star di Moonlight, l’iconico regista John Waters e Brian Anderson, la prima superstar omosessuale al mondo. Tra di loro essi riflettono la diversità dei nostri interessi e mostrano che non esiste un solo modo di essere gay. Non sento che abbiamo bisogno di focalizzarci ossessivamente solo su tematiche gay. Le persone omosessuali vivono in un mondo molto più vasto e i lori interessi sono vari. Invece di un magazine che si concentra solo su contenuti gay, abbiamo una rivista che è costruita sulla sensibilità gay, creativa, che si spinge al limite in ogni modo, che è irriverente e alla moda.

Quali i progetti per il futuro?

Maer Roshan: Speriamo di far crescere il magazine e di rendere il nostro sito web ancora più dinamico e reattivo con notizie sempre più aggiornate e trend. La nostra serie di eventi e conferenze attraverso l’America han riscosso molto successo, per questo ne faremo molte altre.
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No Waste Philosophy: Freitag apre il primo store a Milano

A pochi metri da due vie di richiamo dello shopping milanese, Corso Como e Corso Garibaldi, è da poco aperto il primo store italiano di Freitag, brand svizzero famoso per le borse ricavate con teloni di camion riciclati, sarà il primo in Italia e si caratterizzerà anche per l’alto impatto estetico della location che di fronte alla fondazione Giangiacomo Feltrinelli, si colloca esattamente al crocevia fra commercio e cultura. Il monomarca, situato in un tipico edificio industriale del XIX secolo, con pilastri in granito e volte in cotto, ospiterà 1500 pezzi unici fra borse e accessori iconici del brand, oltre che la collezione biodegradabile F-ABRIC prodotta interamente in Europa con materiali riciclati e tessuti ricavati da fibre di lino e canapa, filati anche in zone del milanese. Back to basics, come si dice. Per l’occasione MANINTOWN ha incontrato Daniel e Markus Freitag, i due fratelli fondatori del brand.

Il primo store italiano. Come mai avete scelto proprio questa location?
È stata una ricerca lunga e ben ponderata. Milano è un mix elettrizzante, una fucina unica e continua di idee, designer, stimoli. Volevamo uno store facile da raggiungere, per i turisti, ma anche per le persone che vivono in città. Uno spazio dove creare anche installazioni, e poi volevamo che fosse vicino a luoghi “rintracciabili” e d’interesse culturale e architettonico, proprio come la Fondazione Feltrinelli.

Quale l’identikit dei vostri clienti italiani?
Creativi, designer, architetti, persone anche molto giovani. Ci piace molto l’idea che, in un Paese di riferimento per il fashion system come l’Italia, il nostro concept, che è lontano dalle logiche della moda, sia stato apprezzato moltissimo in questi anni.

Avete in mente di proporre qualche limited edition per l’inaugurazione?
Potrebbe essere, ma ancora non abbiamo pianificato nulla. Anzitutto vogliamo proporre l’intera collezione di abbigliamento completamente sostenibile e accessori, come in tutto il resto dei punti vendita nel mondo. In seguito, magari, vista l’enorme curiosità e il vivacità creativa che ruota intorno a Milano, qualcosa tireremo fuori.

Riguardo ai materiali che utilizzate, sappiamo che ci sono nuove idee su cui vi state focalizzando.
Abbiamo iniziato a lavorare con i teloni riciclati dei camion negli anni ‘90, oggi abbiamo voglia di sperimentare, di esplorare nuovi territori. L’idea di base è fondata sulla sostenibilità e sul riciclo, un impegno che ci caratterizza da sempre.
La nostra identità è finalizzata all’attenzione etica e qualitativa verso i materiali che utilizziamo, i metodi di lavorazione, il ciclo produttivo e industriale. Disegniamo e realizziamo solo modelli di accessori e vestiti che indosseremmo anche noi o faremmo indossare al nostro team. Sono prototipi che, spesso, per essere sviluppati richiedono un grande investimento di energia e di denaro; amiamo molto i Paesi orientali proprio perché lì il prezzo dei nostri item viene percepito senza interferenze di nessun tipo, sanno quanto ci vuole a realizzare interamente una borsa o un capo. A fare tutto da soli e in maniera equosolidale.

Qual è il processo creativo del vostro lavoro?
Partiamo spesso dalle problematiche. Facciamo lunghi brainstorming col nostro team – la collaborazione è tutto, nella nostra azienda – dove parliamo del fitting, ma anche di ciò che non va, solleviamo obiezioni e da lì traiamo spunto per nuovi progetti e alternative. Finiamo spesso per arrivare molto lontani dal punto di partenza, ma questo è parte integrante del viaggio, no? L’essenziale, per noi, è pianificare le nostre energie, sapere come e in che direzione le spenderemo, ad esempio, nelle prossime tre settimane. L’impegno ci gratifica, purché sia sempre ottimizzato.

Fate molte lavorazioni sul mono-materiale dei teloni?
In realtà no, molte meno di quello che vorremmo fare. Il fatto è che specialmente quando è molto usurato, si tratta di un materiale che può subire poche variazioni, non si può nemmeno stamparlo. Avremo intenzione di calcare di più la mano, di osare, ma non sempre è possibile. E questo è un altro dei motivi per cui vogliamo provare a esplorare altri universi stilistici e con nuovi materiali.

Da dove nasce l’ispirazione del vostro progetto?
Diremmo da molto lontano, addirittura dai primi viaggi in India, da giovanissimi. Vedevamo tutte queste persone che raccoglievano spazzatura dalla strada per trasformarla in altro. Poi abbiamo preso le nostre strade, nella grafica pubblicitaria, l’arte, il visual e ci siamo resi conto di quante energie sprecano quei settori, tutt’oggi. E Freitag è nato proprio allora, insieme alla consapevolezza di voler creare qualcosa che guardasse alle risorse e fosse davvero utile e resistente.

Pensammo ai messenger bike e a chi girava Zurigo, da Nord a Sud, in bicicletta per andare a lavoro. Col tempo è arrivata l’idea dei teloni, i primi prototipi che facemmo fare a San Francisco e a New York, mecca per eccellenza dei bike messenger e gradualmente, col tempo e tanto impegno, sono arrivati i risultati. Lo store di Milano, fra pochi giorni, è un altro dei gratificanti coronamenti del nostro percorso.

Qual è la vostra più grande ambizione in termini, anche ideali, riguardo al riciclo e al vivere sostenibile?
D’istinto diremmo gli hotel, e i condomini. Progettare una serie di oggetti e prodotti per il vivere in albergo, che rendano l’esperienza stessa del soggiorno una sorta di percorso esperienziale su come e quanto si potrebbe fare per stare bene senza produrre spazzatura o sprecare risorse. Tuttavia, anche il settore del biking, e gli accessori per trasportare meglio le proprie cose per chi ama pedalare. Ci piacerebbe investigare molto quell’ambito, forse perché amiamo andare in bicicletta e conosciamo bene le varie problematiche funzionali e pratiche che talvolta si possono incontrare.

FREITAG STORE MILANO
Viale Pasubio 8, 20154 Milano

www.freitag.ch
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Il quotidiano maschile visto da Elisa Fuksas

Un breve fashion film, che racconta il quotidiano maschile, fatto di istanti catturati da un hashtag di Instagram e trasformati in corto dalla capacità espressiva di Elisa Fuksas, visionaria e giovanissima regista, figlia d’arte. Protagonisti della nuova campagna di Manuel Ritz, e dell’obbiettivo di Elisa, sono gli uomini che indossano i capi di questo dinamico brand, immortalati attraverso i momenti che raccontano storie di vita. Perché la vita (di ognuno) is made of moments, come recita il claim. MANINTOWN ha incontrato la talentuosa regista.

Per te cos’è la quotidianità e come l’hai interpretata?
La quotidianità, tutto quello che c’è dietro è l’idea di amplificare il momento piccolo, quello che trascuri e tralasci, a cui non fai più caso. Per me, invece, la quotidianità è proprio un particolare. A causa di una patologia che mi affligge vedo il mondo per dettagli, ad esempio, attraverso l’abbigliamento delle persone, adesso, crescendo, sto imparando anche a riconoscere frammenti fisici, come il suono della voce, e cerco dettagli meno effimeri, per evitare piccoli inconvenienti con i familiari ma anche con le persone più note e famose. Il dettaglio è la mia quotidianità, mi permette di orientarmi nel mondo.

Da dove sei partita per la realizzazione di questo short film per Manuel Ritz?
Sono partita da Instagram, su cui passiamo molte ore e che ormai è diventato una fonte inesauribile di informazioni.

Ora la moda si sta avvicinando molto al cinema grazie ai fashion film
Sì infatti, a me piace lavorare nella moda perché mi costringe a vedere il mondo, il mercato, le persone, di osservare questa realtà. Quando si lavora da soli, racchiusi nel proprio autismo, non vi è questa possibilità. Però, preferisco la pubblicità al fashion film, mi interessa più come lingua e come accessibilità, come diffusione. Con la pubblicità puoi entrare nella vita degli altri, come dei puntini subliminali di bellezza, se semini un principio positivo, raccoglierai i suoi frutti. Un messaggio pubblicitario si può sedimentare anche positivamente nelle persone, non solo in modo negativo.

Com’è nato quest’incontro con Manuel Ritz?
Spesso il mio lavoro attrae marchi di moda o lifestyle maschile. In generale con la moda ho un rapporto ambiguo, un po’ la odio, un po’ la amo. Sono un po’ come ne: “Il diavolo veste Prada”, quando lei arriva con il suo golfino infeltrito (Anne Hathaway, n.d.r.). È come una specie di, “Comunque noi organizziamo tutto questo, decidi tu se vestirti bene o male”. Questa è la mia storia con la moda e i negozi, in cui non riesco a entrare, oppure entro, compro, esco, non provo mai niente, perché penso che mi stia tutto male. Quindi, quando mi è stato chiesto di pensare a una campagna con loro e per loro, sono partita da un banalissimo hashtag #manuelritz, perché volevo vedere chi compra questi capi e come li indossa. Oggi l’hashtag è importante, perché individua una categoria di persone. Se clicco Gucci mi compare un tipo di persona, così come con Valentino. Ciò che è venuto fuori è un pubblico trasversale, che usa questi abiti in occasioni disparate, da un matrimonio alla passeggiata con il cane. Questo mi ha fatto capire tutto il mondo che ruota attorno a questo marchio, altrimenti diventa difficile comunicare con qualcuno che non conosci. Ho deciso di sintonizzare tutto sul sentimento, così abbiamo fatto un distillato di questi momenti che vedevo su Instagram, di persone sconosciute, fino a unirli e farli diventare uno spot di poco più di un minuto.

Quali prossime collaborazioni ti piacerebbe realizzare?
L’ultima collezione Gucci mi è piaciuta molto, ho amato molto gli animali feroci, visto che una volta ho anche girato un film con delle fiere a Roma…

Dove vorresti girare un tuo prossimo film?
L’installazione meravigliosa di Anish Kapoor, al Grand Palais di Parigi del 2011, un Leviathan, aveva trasformato quei saloni in un enorme ventre rosso. Ecco, lì vorrei girare un film, mi piacerebbe anche viverci. I luoghi in cui giro sono dei posti che mi appartengono.

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Paul Smith is back at Pitti Uomo

Un grande sorriso e un entusiasmo travolgente. Così si presenta Paul Smith, che torna a Pitti Uomo, dopo più di vent’anni, come special guest per il lancio della collezione PS by Paul Smith per l’Autunno/Inverno 2017. La collezione celebra l’essenza del brand “Classic with a twist” e propone abiti dalle linee classiche ma con inconfondibili dettagli inaspettati che rendono ogni capo unico e particolare. Paul Smith è stato il primo designer ad essere invitato nel 1991 a sfilare a Pitti Uomo, come racconta lui stesso durante l’intervista in esclusiva per MANINTOWN, e questo lo rende ancora più contento e orgoglioso di tornare a Firenze. In questi anni la moda è cambiata radicalmente e ha acquistato una dimensione fortemente internazionale, diventando accessibile in qualsiasi luogo e momento con un semplice click. Lo stilista britannico ammette, con un po’ di rammarico, che l’avvento di internet ha rivoluzionato completamente le modalità di acquisto, determinando di fatto una crisi dei negozi fisici, a favore dell’online shopping. Per scoprire altre curiosità, guarda la video intervista.

www.paulsmith.co.uk

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SUKET DHIR indo-centric abbigliamento contemporaneo maschile

Tra i Paesi ricchi di tradizione e sempre più dinamici per la moda, è l’India che stupisce per l’estro creativo dei suoi talenti. Tra i nomi per il menswear spicca Suket Dhir, che arriva per la prima volta a Milano all’interno di WHITE MAN & WOMAN, presentando una collezione introspettiva e all’insegna dell’artigianalità di nuova generazione. Premiato con l’autorevole International Woolmark Prize 2016 Mr. Dhir, dal suo piccolo studio nel quartiere di Lado Sarai, ultimo hub creativo di Nuova Delhi, trae ispirazione dai ricordi atavici di una giovinezza pura, che rilegge la memoria del nonno con l’ombrello al braccio – prototipo ideale di un’eleganza scevra da sovrastrutture – no alle vacanze estive tra i frutteti di mango e le piantagioni di un’India molto diversa da quella attuale, ma sempre ricca di suggestioni: uomini composti, con un senso altissimo della forma e delle proporzioni. Linee pulite e senso del colore sono i tratti fondamentali di questo designer, che si è diplomato al National Institute Fashion Technology di Nuova Delhi. Poi, anche grazie all’International Woolmark Prize, il successo è arrivato col giusto clamore anche grazie al supporto della moglie-manager in grado di gestire abilmente il marketing del marchio e l’animo mite di un Punjabi Hindu. Una sorta di outsider del fashion system indiano, artefice di una moda sinonimo di artigianato raffinatissimo e caratterizzata da una palette di colori intensi. Dhir attua una sintesi armoniosa fra geometrie contemporanee, silhouette portabili e un gusto etereo, utilizzando tessuti prevalentemente ecologici di alta qualità come cotone, lino, bamboo, mussola ne, seta e lana. Forme in apparenza classiche, che nascondono un twist eccentrico e molto ricercato.
A WHITE MILANO Suket Dhir debutta con la sua attesa collezione The Royal Within, un viaggio unico attraverso espressioni artigianali differenti, tra scoperta e gioco, per poi approdare a tratti più elevati. Un nome e una moda da tenere d’occhio nel panorama del menswear internazionale.

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IN CONVERSATION WITH AARON DIAZ

TOTAL LOOK ALL SAINTS

Dalle soap al cinema, passando per la musica, l’attore messicano si rivela un artista eclettico.

Sei davvero una persona multitasking, dalla recitazione al canto. Quando e dove hai imparato a interpretare tutti questi ruoli?
Mi piace esprimermi in modi diversi…recitare…cantare…dipingere…scrivere…sono tutte forme di espressione e non posso fare solo una cosa… Da quanto posso ricordare mi sono sempre annoiato a fare la stessa cosa, per questo mi piace sempre alternare tra una cosa e un’altra.

Tua madre è irlandese americana e tuo padre messicano, che influenza esercita questo mix su di te? Quali sono le tue città preferite e le fantasticherie su questi luoghi?
Le nostre origini significano molto…anche il luogo in cui si cresce influenza una persona. Mi sento fortunato ad avere i genitori che ho e a possedere questo mix genetico. Crescendo, ho trascorso gran parte della mia adolescenza in una bellissima città messicana chiamata San Miguel de Allende e in seguito dalla mia adolescenza in poi ho vissuto a Palo Alto nel nord della California. Non saprei dirti quali sono le mie città preferite perché sia il Messico sia gli Stati Uniti hanno città meravigliose, mentre l’Irlanda è verde e questo nei miei libri rappresenta la bellezza.

Hai recitato per molto tempo in molte soap opere diverse. Dal celebre teen drama Clase 406 a Talisman e molti altri… guardando indietro a queste serie, quali sono i tuoi ruoli preferiti? Cosa cambieresti?
Il primo personaggio in assoluto che ho interpretato avrà sempre un’importanza speciale per me. Le persone ancora parlano di questo personaggio tutto il tempo. Ha lasciato un segno nei fan e sicuramente ha lasciato un segno in me. Questo è successo 14 anni fa… non ho mai smesso di lavorare da quel giorno. E’ stato il personaggio a darmi l’opportunità di costruire una carriera.

Quali sono i tuoi registi preferiti che ti sono di ispirazione e con cui vorresti lavorare?
Ci sono molti grandi registi là fuori. È impossibile sceglierne solo alcuni, ma sono davvero orgoglioso dei film che stanno girando i migliori registi messicani. Certo, mi piace anche il cinema italiano…ovviamente ci sono molti film e registi italiani classici. Mi piace il lavoro di Sorrentino, è favoloso.

Sei stato nominato tra gli uomini più sexy del mondo. Cos’è sexy per te? Un suggerimento a tutti gli uomini per essere affascinanti.
Essere sexy e affascinante per me significa essere se stessi. Essere una persona buona. Essere gentile con tutti. Essere trasparente e onesto.

Come è capitata la campagna di intimo OVS?
Ho incontrato Bruno, il proprietario di Brave Models e gli ho detto che volevo apparire in una campagna di intimo. Un paio di mesi dopo ero a Londra a scattare la campagna. Così.

Quando hai incontrato Lola per la prima volta, cosa hai pensato di lei? Quando hai deciso di sposarla?
Quando ho visto Lola per la prima volta ho pensato wow… la mia bocca si è spalancata e non potevo distogliere lo sguardo da lei. Ho deciso che l’avrei sposata in quel momento esatto.

Com’è il tuo giorno tipico?
Ogni giorno è diverso, non importa se sto girando o se sono in vacanza. L’unica differenza tra quando sto lavorando e quando sono in vacanza sta nel fatto che quando sono in vacanza non indosso scarpe e solitamente sono nell’oceano.

Cosa non può mancare nella tua borsa quando viaggi?
Il passaporto.

Come definisci il tuo stile?
Unico (ride, ndr.)

Oltre al canto, quali sono le tue passioni?
Lo sport. Qualsiasi cosa che abbia a che fare con l’aria aperta.

I tuoi prossimi progetti e sogni per il 2017?
Continuare a divertirmi. I progetti arrivano al momento giusto. Devi solo essere pronto quando arrivano.

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Nuovi codici di eleganza maschile. L’active tailoring firmato Patrizia Pepe

Quali le frontiere della nuova eleganza maschile?
A Pitti Uomo 91, manifestazione leader per il menswear di scena a Firenze due volte l’anno, si possono osservare e cogliere le tendenze della prossima stagione, per capire come evolve l’eleganza da uomo. Tra le diverse proposte, una direzione appare essere molto chiara: il nuovo formale per lui sarà sempre meno rigido e si contaminerà con lo sport, per diventare più funzionale e seguire l’uomo nella vita quotidiana. Così Patrizia Pepe, azienda fondata nel 1993 da Patrizia Bambi e dal marito Claudio Orrea, interpreta in chiave active il tailoring maschile, con una collezione costruita intorno ai capi timeless del guardaroba, sono resi più attuali da dettagli e influenze sportswear e street. Fil rouge della collezione autunno/inverno 2017-18 è l’eleganza dal tocco sempre un po’ rock e grintoso, che nasconde dettagli e rifiniture, come le zip catarifrangenti sull’abito classico, le gommature sui jeans, fino ai tocchi fluo sulle calzature, tra il ginnico e il classico. Un active tailoring per affrontare la giungla metropolitana, che si declina in cappotti e montgomery in panno, ma personalizzati da rete in nylon, abiti slim fit con interni sorprendenti per il mix di cromie e per la tecnicità dei materiali utilizzati. Un guardaroba all’insegna del comfort e di una confezione che punta sul dettaglio e su accostamenti imprevisti tra tessuti più classici e morbidi e quelli sportivi e iper tecnici. Così, l’abito elegante è spezzato da morbidi pull in maglia o abbinato a T-shirt con effetti a rilievo, mentre il pantalone sartoriale può essere accostato a una giacca in nylon e dal taglio sportivo. Interpreta bene il mood di questa collezione la nuova campagna scattata dal fotografo Mauro Puccini, che ha colto i movimenti acrobatici di una tribù metropolitana di parkour, vera e propria arte che fonde la disciplina atletica con lo stile di vita urbano, capitanata da un inedito Marco Bocci. Il risultato è un racconto dinamico e corale, dove si fondono perfettamente i codici di una nuova eleganza con la passione e la sfida dei propri limiti fisici. Un vero e autentico active tailoring.

www.patriziapepe.com

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Nuovi modelli di fashion retail

Se la moda complice il web con il recente fenomeno del See Now Buy Now sta conoscendo una delle sue più profonde rivoluzioni, anche il mondo del retail ripensa le sue logiche con nuovi modelli di servizio. Per lo sviluppo commerciale dei brand diventa sempre più importante ripensare a una strategia retail che si deve confrontare con il marketing e i tempi dei social media. Ne parliamo con Stefano Martinetto, che ha lanciato nel 2010 Tomorrow una piattaforma di distribuzione internazionale integrata a diversi servizi per offrire ai designer un supporto completo.

Dalla fondazione nel 2010 di Tomorrow l’azienda è in continua crescita e rappresenta una sorta di unicum nel panorama del fashion business. Ci racconti qualche dettaglio su come sta evolvendo.
Tomorrow è un’azienda cresciuta in dimensioni e fatturato e profittabilità, oggi contiamo 80 dipendenti – con i temporanei arriviamo a 115 persone – e produciamo utili da tre o quattro anni con un ottimo giro di affari che si aggira sui 65 milioni di euro di gross upsails. Nel 2015, i Soci Fondatori di Tomorrow Saturday Group con cui io e Giancarlo Simiri abbiamo dato via al progetto hanno manifestato l’idea di cedere le loro quote, perché già soddisfatti del piazzamento di mercato ottenuto. Così io e Giancarlo, dopo attenta valutazione, nel novembre dell’anno scorso abbiamo personalmente acquistato le loro quote. Grazie al Fondo di private equity Three Hills Capital Partners guidato da Mauro Moretti, io e il mio socio Giancarlo Simiri abbiamo acquisito il 47,5% delle quote dei nostri soci co-fondatori che sono rimasti col 2,5. L’investimento ha permesso di acquisire le quote e mettere a riserva un capitale per espandere il business, aprendo un ufficio a New York e Hong Kong, assunto circa 18 persone, e pensare a delle acquisizioni che stiamo tuttora valutando.

La peculiarità di Tomorrow?
Nel business delle showroom e della distribuzione ci sono validi player unipersonali ma manca un consolidatore. Nel 2016 abbiamo sviluppato una nuova strategia per Tomorrow, che è quella di uscire dalla pura gestione delle vendite, come agente e distributore, oltre ad essere finanziatore degli stilisti, che era già una caratteristica di Tomorrow. E abbiamo deciso di diventare una realtà diversa che si riassume nel payoff: multibrand, multiservice omnichannel. Multibrand, perché siamo un vero e proprio Department Store B2B e la showroom di Parigi lo comunica in modo efficace. Abbiamo dei visual merchandiser, una fashion direction, quattro piani diversi con le categorie: Designer, Advanced Contemporary, Contemporary, Accessori + lifestyle. Siamo anche un multiservice, perché abbiamo raccolto una straordinaria quantità di informazioni molto pratiche, grazie a una distribuzione wholesale internazionale, 4000 punti vendita e ai 67 brand in portfolio, che ci permettono di analizzare il mercato e i suoi player. Si tratta di una quantità di dati utilissimi per le scelte di merchandising e distribuzione non solo dei nostri clienti, ma anche per tutte quelle realtà che non necessariamente sono all’interno di Tomorrow. Da qualche mese è inoltre entrata nel CDA di Tomorrow London Alessandra Rossi, come consigliere d’amministrazione e responsabile per tutti i progetti digitali e di comunicazione dell’azienda. Con il suo ingresso abbiamo sviluppato un ramo interno dell’azienda con l’obiettivo di gestire consulenze per diversi marchi in tema di branding, distribuzione, politica e-commerce e social media. Il tutto è mirato al trade marketing e all’ingresso del marchio nei negozi (la strategia di advisory è tutta focalizzata non al consumer ma B2B). Abbiamo costruito un team interno per offrire questi servizi diventando sempre più multiservice. Omnichannel è un obiettivo: stiamo investendo una quota importante sulla digitalizzazione e riorganizzazione interna dei processi di Tomorrow, dall’acquisizione ordine in formato digitale, che potrebbe svilupparsi in un vero e proprio digital showroom, fino alla gestione delle inventory. A differenza di tutte le altre showroom noi gestiamo lo stock delle collezioni tramite nostri magazzini. Puntiamo quindi a un live broadcasting delle collezioni. L’idea è che un buyer possa guardare dentro il nostro magazzino per riordinare i pezzi e il prodotto, ma anche il magazzino stesso possa essere di supporto nei confronti del sell out, essendo live su una piattaforma di affiliazione online: un progetto in progress e un’impresa enorme, che implica nel medio periodo un investimento importante nella digitalizzazione di Tomorrow. In quest’anno abbiamo anche iniziato a guardarci intorno per acquisire società di servizi per completare la nostra offerta o più forti di noi su certe categorie di prodotto.

La figura di Renzo Rosso nel Cda di Tomorrow sicuramente per voi è un punto di forza, come è nata la sua proposta?
Renzo Rosso mi è stato sempre di supporto, una figura di vero mentore. Dopo un periodo di collaborazione diretta tramite Marni ha ritenuto che il servizio offerto fosse di qualità e ha pensato che l’espansione di Tomorrow meritasse un investimento. E’ stato lui a interessarsi a Tomorrow, chiedendo di investire nel nostro progetto e abbiamo formalizzato il suo ingresso con il suo fondo famigliare Red Circle srl all’interno della holding che controlla Tomorrow. Rosso ha accettato di far parte del CDA di Tomorrow, che è costituito da me, Giancarlo Simiri (Operating Board), Renzo Rosso, Mauro Moretti (fondatore di Three Hills Capital Partners socio investitore), Julie Gilhart (prima Fashion Director di Barneys New York e molto sensibile sulla social responsability e sostenibilità del mondo moda) e Alessandra Rossi.
Con Renzo Rosso e la sua azienda vedremo dove saranno possibili alcune sinergie: se i nostri designer volessero produrre una capsule di Denim ora potranno farlo, così come saranno valutate sinergie di brand e distribuzione tra le due aziende. Rosso avrà inoltre accesso allo scouting continuo che Tomorrow porta avanti e potrà seguire le performance di alcuni stilisti con cui decidiamo di collaborare. E avvicinarsi anche alla creatività inglese, visto il nostro DNA e sede a Londra. Grazie a Rosso si apre una porta su un mondo più grande per i nostri designer che potranno avere accesso a una serie di servizi, dal branding alla parte finanziaria e di investimento.

Come vedi la commistione del modello showroom col nuovo mondo digital?
Da distributore fisico sto guardando al digitale per sviluppare il mio business, anche se è un pericolo che il digitale possa soppiantare il fisico. Ritengo che la digitalizzazione dei processi sia inevitabile. Tuttavia ritengo che l’emozione di una sfilata resti unico. La showroom virtuale può supportare il buyer nella quantificazione degli ordini. Una sorta di magazzino virtuale in cui il buyer può fare una sorta di memo visivo su capi e sulla quantità, una volta finito il momento emotivo della sfilata. Questo è il mio obiettivo, ovvero fornire la miglior esperienza virtuale. Un buyer internazionale ha bisogno dell’esperienza e della visita in showroom: l’emotività del momento, dei molti viaggi nelle capitale internazionali della moda durante il corso dell’anno, la partecipazione alle sfilate, il mood del fashion insomma, sono qualcosa di assolutamente insostituibile. Con il virtuale possiamo aiutare i buyer che vengono a Parigi o Milano per le main season, ma potrebbero così comprare a distanza anche le precollezioni. E’ un processo lungo e complesso, che coinvolge la parte tecnologica, ma anche i contenuti che rendono unica la shopping experience.

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Il fashion food arriva al cuore

Kris Torta alle carote

“Attraverso il cibo si parla al cuore delle persone, lo hanno capito anche i marchi di moda e del lusso”. Parola di Anna Marconi, ideatrice e fondatrice di Taste of Runway, il blog di fashion food che oggi è diventato un vero e proprio punto di riferimento di lifestyle.

Come vedi la relazione tra cibo e moda e il crescente interesse per il mondo del food?
Negli ultimi anni ho assistito a un grande cambiamento, a un interesse profondo verso il mondo del food. Specialmente da parte della moda. Quando ho lanciato Taste of Runway, nel 2011, non esisteva nulla di tutto quello che vediamo oggi, il connubio fashion-food non c’era. Prima di dare vita al sito, e quindi alla mie ricette, ho speso molti mesi a fare ricerca e ho capito che sul web, tantomeno nel mondo fisico, non esisteva nulla del genere. Così ho capito che era la strada giusta da intraprendere. Poi, nel corso dei mesi e degli anni la tendenza è esplosa, gli chef sono diventati star televisive, il fashion system ha iniziato a creare eventi che ruotano attorno al food. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe, ad esempio, nata “La vendemmia di Montenapoleone”? Anche i brand del lusso hanno capito che attraverso il cibo si parla al cuore delle persone.

Quali sono le ultime tendenze moda che hai interpretato nelle tue ricette?
Per ora sto lavorando sulla collezione fall-winter. Si vedrà molto tartan entrare nella mia cucina, un tocco di giallo mischiato ai colori tipicamente invernali e anche dell’argento che, con la carta stagnola, ci sta una meraviglia.

Non solo food, ma anche drink & people, come evolve il progetto?

È in continuo movimento. Sono passata dal fashion-food, al lifestyle, al creare intere collezioni di drink, a incontrare persone per poi cucinare i loro look. L’ultima rubrica nata grazie ad una collaborazione un po’ misteriosa è “La Jole in cucina”, una donna senza età che fa bene da mangiare, ma che ama male. Ci terrà compagnia a lungo con le sue ricette sentimentali e con lezioni di vita quotidiana. Taste of Runway nel 2011 era un blog pieno di speranze e sogni, oggi è un mini-magazine, ma sogni e speranze non sono passati.

Il tuo piatto e drink preferito?
Tantissimi! Amo preparare da mangiare, passo intere giornate davanti ai fornelli. Se proprio dovessi scegliere ti direi la pizza fatta in casa, quella che devi curare per ore prima di poterla assaporare in tutta la sua meraviglia. Anche i carciofi ripieni, la crema di zucca e patate e le polpette vegetariane. Sono la maga delle polpette e sul sito ci sono tantissime ricette. Drink preferito? In assoluto il Margarita, con sale affumicato.

Quali i tuoi posti preferiti da visitare e da gustare a Milano, Londra, Parigi e New York?
Milano sta offrendo tante novità dal punto di vista culinario e non solo. I luoghi sono tanti, ma cerco di organizzarli in una giornata. Colazione: Pavé. Pranzo: alla Latteria di via San Marco. Pomeriggio: Fondazione Prada, Mudec, o Armani Silos e una passeggiata a caso nella città correndo anche il rischio di perdersi. Cena: fusion da Wang Jiao (da provare le loro tagliatelle di riso fatte in casa).
Londra. Coffee works in Islington, un luogo molto carino dove poter lavorare. Ottolenghi per cena, cucina israeliana e medio orientale molto cool, Barbican e Tate Modern come musei. Shoreditch e East London per uscire la sera.
Parigi. Un classico al caffè de Flore. Museo al Palais de Tokyo, 404 e Petit Lutetia come ristoranti. Bon Marché per lo shopping.
NY. Per mangiare: Eleven madison park, The musket room (265 elizabeth street –  una stella michelin), Spice market (403 West 13th Street – meatpacking) asiatico fusion, chef’s table brooklyn fare (3 stelle michelin – 18 posti – solo prenotazione). Cocktail da apotheke. Maison premiere (ostriche e assenzio. ambiente stile anni ’20).

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Moda dal mondo: Portugal Fashion Week

Si è chiusa con successo e crescente entusiasmo la 39ima edizione di Portugal Fashion, uno dei più importanti eventi fashion della Penisola Iberica degli ultimi vent’anni, che mostra la capacità produttiva e creativa portoghese, puntando i riflettori anche sui giovani talenti, grazie al progetto Bloom. Quest’ultimo consiste in una piattaforma sperimentale creata nell’ottobre 2010 che mira a supportare, promuovere e pubblicizzare promettenti stilisti portoghesi, i quali, come suggerisce il nome Bloom, sbocciano, fioriscono e poi risplendono sulle passerelle, contribuendo a diffondere a livello internazionale un’immagine creativa e moderna della nazione. Questa piattaforma è stata fortemente voluta da Portugal Fashion e il suo successo si deve all’attenta supervisione del professore e designer Miguel Flor, che si occupa di selezionare gli stilisti e fornisce il suo prezioso contributo alla progettazione delle sfilate.

Tra gli altri emergenti da tenere d’occhio è Estelita Mendonça, che si è diplomato alla Fashion Academy di Porto. Le sue collezioni sono state presentate al Bloom Space del Portugal Fashion fin dall’inizio, nell’ottobre 2010. È stato vincitore dei Fashion Awards Portugal nel 2012 nella sezione Nuovi Talenti e nel 2015 ha ricevuto una speciale menzione dall’International Fashion Showcase e un premio nell’ambito di Prémios Novos nella categoria Fashion. Una moda che guarda molto alle istanze sociali, tradotte con un linguaggio casual ma ricco di dettagli e materiali inusuali.

Eduardo Amorim ha presentato la collezione “Seattle Mes” che rappresenta l’atteggiamento di sfida del Grunge degli anni ’90 applicato a questo modo contemporaneo in continuo cambiamento e che mette tutto in discussione. I modelli oversize ritraggono un’andatura e una posa scomposte, le rifiniture sono volutamente imperfette e i tessuti sono tinti attraverso processi naturali.

Tra i giovani designer che hanno debuttato è David Catalán che con la sua collezione “Forget about it” che offre una sorta di oasi dove rifugiarsi per sfuggire alle triviali questioni della vita quotidiana, uno spazio unico dove confluiscono contemporaneamente atmosfere più leggere e più pesanti. Total look stampa si alternano a colori neutri e delicati, oltre al total black e white, maglie e pantaloni esaltati dalle lavorazioni a traforo.

Hugo Costa è un giovane designer di 29 anni che, grazie alla piattaforma Bloom di Portugal Fashion, fin dall’ottobre 2010 fa sfilare sulle passerelle le collezioni che portano il suo nome. Già vincitore di numerosi premi internazionali, come “Best Male Coordinate” per due anni consecutivi, nel 2009 e nel 2010, e del “Children’s Fashion” nel 2011, quest’anno ha debuttato a livello internazionale come stilista alla Fashion week maschile parigina, con il supporto di Portugal Fashion.

Tra i brand menswear consolidati e vera star della Portugal Fashion è Miguel Vieira, designer che produce le sue collezioni dal 1988, un talento che è stato riconosciuto a livello internazionale da diversi premi importanti, come il “Golden Globe for the Best Fashion Designer”. A settembre di quest’anno ha debuttato alla New York Fashion week con Portugal Fashion. La sua collezione “Out of Africa” è una vera e propria immersione nei colori e nei profumi dell’Africa: grafismi tribali, reminiscenze di tramonti mozzafiato ed elementi naturali, come camouflage di animali che ricordano la bellezza maestosa del continente africano. Una collezione uomo luxury e sofisticata sia nei tessuti, sia nei tagli.

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Eleganza al maschile. Un libro ne spiega i significati

“Gli abiti parlano, dicono chi siamo e, talvolta, chi vorremmo essere”. Questo lucido inciso di Giuseppe Ceccarelli spiega esattamente il perché del viaggio intrapreso dal giornalista di moda e costume nel fashion system maschile, attraverso la nitida analisi delle sue icone e iconografie, classiche e moderne. E il volume Eleganza al maschile. 20 intramontabili icone dello stile, edito da White Star, ne è la summa. Nel libro, corredato da splendide tavole fotografiche, il giornalista traccia il racconto del saper vestire attraverso alcuni capi che, nel corso degli anni, sono diventati imprescindibili nel guardaroba per lui, fino a diventarne iconici. Dal trench di Humprey Bogart alla T-shirt bianca di Marlon Brando – giusto per citare due tra i più radicati nell’immaginario collettivo – passando per l’abito tre pezzi, per i gemelli e gli accessori, Ceccarelli segue, con precisione entomologica, ognuno di questi capi nel proprio percorso di vita, con l’aiuto del cinema e dei suoi divi, dei sarti e della loro arte, della moda e della sua potenza comunicativa. MANINTOWN l’ha intervistato per voi, “perché vestirsi è una cosa seria. Soprattutto per l’uomo”.

Come è nata l’dea del libro?

In realtà mi è stata proposta dalla stessa casa editrice, che stava cercando un giornalista di moda maschile per la stesura di questo testo e, tramite passaparola, sono arrivati a me. Comunque l’idea, che poi insieme è stata sviluppata, nasce dal fatto che comunemente la moda uomo non si presta a trattazioni “leggere”, ma è sempre legata all’idea di leggi rigorose e immodificabili, di uno status cristallizzato nel passato. Pur essendo questo in parte vero e con un grande valore stilistico e culturale, abbiamo cercato di dare a questo mondo, cioè al guardaroba maschile, un taglio più legato al costume, al cinema, all’evoluzione della cultura popolare dalla fine dell’Ottocento a oggi, anche per sottolineare un passaggio fondamentale nell’abbigliamento uomo, cioè una certa “deregulation”, diffusasi negli ultimi decenni, che è ormai strutturale nella concezione del vestirsi, ma che convive ancora con la tradizione fortemente salda.

Cosa significa per te eleganza?

Sembrerò antiquato, ma trovo fondamentale – soprattutto in questo momento storico e soprattutto in relazione a temi come l’eleganza, lo stile e la moda – riportare tutto ad un livello zero di significato e ripartire dall’etimologia delle parole, i cui significati ormai spesso subiamo. Nella moda c’è una confusione quasi inestricabile su cosa queste parole indichino. Eleganza viene dal latino eligere che significa “scegliere” e per me l’eleganza è proprio questo: saper scegliere ciò che corrisponde alla rappresentazione che ognuno di noi ha di se stesso, identificare l’atto comunicativo che sta dietro al gesto del vestire e realizzarlo. Quella che comunemente e ormai secondo me banalmente, viene indicata come attitudine naturale è proprio la sovrapposizione perfetta del pensiero di sé e della sua rappresentazione. Tendo ad eliminare, come dico nella prefazione, qualsiasi sovrastruttura percettiva e connotazione stilistica, perché trovo che intendere l’eleganza come un insieme di regole, diremo tecniche, non ha senso, non più per lo meno. Io sono molto legato alla tradizione, ma credo che sinceramente, come osservatore e analista di questo mondo, sia necessario essere onesti e evidenziare che le regole del vestire evolvono, e lo sono molto in questi ultimi 30 anni, e quindi lo è anche l’idea di eleganza. Anche se questo cambiamento può non piacere. L’eleganza in senso moderno è ciò che siamo, indipendentemente da ciò che questo può essere. Siamo ancora vittime di una concezione di eleganza e di vestire legata agli anni ’50 in cui queste parole erano sinonimo di ordine e equilibrio. Ciò non è più così oggi e forse è un bene che non lo sia. Una cosa sono le regole e una struttura di riferimento, altra cosa è una generica dittatura del gusto che opprime la nostra libertà di eligere chi siamo a dispetto delle stesse regole.

Quali sono gli errori più comuni nella moda maschile?

Gli errori più comuni sono dati dal fatto che non si conosce la sintassi stilistica che presiede a certo abbigliamento. Le regole dell’abbigliamento formale sono molto articolate quindi la nostra conoscenza è parziale, ricevuta da una tradizione orale spesso lacunosa o da patetici programmi televisivi o dai giornali, che semplificano per non essere noiosi. Comunque direi che di errore si può parlare solo nell’abbigliamento formale e i più comuni sono: scelta errata della cravatta e del nodo; tessuti non adatti al modello del suit e all’occasione; scelta sbagliata delle scarpe.

Come hai scelto le 20 icone del guardaroba maschile?

Nella prefazione dico che “Icona” significa “raccogliere su di se le istanze di un momento storico e renderle universali”. Questo è stato il parametro principe per la scelta dei capi. In questo senso il cinema, ad esempio, ha molto aiutato questo processo di iconizzazione, perché ha trasportato semplici capi di abbigliamento, come la T-shirt bianca, in un universo di significati sociali e culturali inaspettati. Allo stesso tempo, però la grammatica forte e complessa delle regole vestimentarie che discendono dall’aristocrazia inglese fanno di alcuni capi, come le scarpe o il tre pezzi, degli oggetti di rappresentanza socio-culturale formidabili, che li trasformano in icone direi così ante litteram. Con queste idee ho proceduto alla selezione dei 20 elementi per me più rappresentativi. Per parlare di loro, ma allo stesso tempo di come è cambiata la percezione dell’uomo in relazione al vestirsi.

Quale tra i capi è quello che si è rinnovato maggiormente e quello più conservativo?

Il più conservativo è probabilmente la cravatta anche se, come racconto, ci sono stati dei tentativi interessanti di aggiornamento anche da brand storici come Hermès. Mentre il più innovativo è sicuramente la sneakers, che ha un Dna fortemente votato al futuro e all’innovazione tecnologica.

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Al Mudec in scena l’artigianalità di oggi e di domani

Una mostra che spiega come artigianalità non sia una parola obsoleta, ma viva e vitale, capace di integrare le tecniche espressive del passato con la creatività di oggi e l’innovazione rivolta al domani. Tutto questo e molto di più va in scena al Mudec, il Museo delle Culture di Milano, in via Tortona 56, fino al prossimo 13 ottobre.
Crafting The Future: Storie di Artigianalità e Innovazione è un percorso espositivo voluto da Camera Nazionale della Moda Italiana, con il supporto del Ministero per lo Sviluppo Economico e ICE, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Il progetto – curato da Franca Sozzani, con la direzione artistica di Luca Stoppini, co-curatrice Sara Maino e il coordinamento di Federico Poletti – non si limita a mostrare visivamente la stretta correlazione tra il fatto a mano e la tecnologia, bensì ne spiega i passaggi salienti, grazie al supporto tecnico e fattivo di una nutrita serie di eccellenze del Made in Italy. La peculiarità dell’esposizione è incentrata sul dialogo costante e continuo tra le migliori realtà produttive e i designer più creativi, per realizzare una serie di progetti ideati appositamente e già pronti per essere messi in vendita. “Passato e futuro si fondono e si contaminano”, ha affermato Ivan Scalfarotto, sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico. Anche per Michele Scannavini, presidente di ICE, “la tradizione artigianale italiana rappresenta una ricchezza da valorizzare”. Secondo Carlo Capasa, presidente di C.N.M.I., “Con questa mostra continua l’impegno di Camera Moda nel valorizzare e promuovere la manifattura italiana, una risorsa unica al mondo”. Per Franca Sozzani, l’artigianalità è “la forza di un Paese che in ogni regione, da Nord a Sud, vanta distretti specializzati, ricchi di tradizione e saper fare”.

www.mudec.it
www.cameramoda.it

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Tra heritage e new tech: il nuovo corso di C.P. Company

C.P. Company reinterpreta lo sportswear italiano fin dalla fine degli anni ’70, quando il suo fondatore – il graphic designer bolognese Massimo Osti – universalmente considerato “il padrino degli abiti sportivi”, inaugurò uno dei periodi più esplosivi e magici della creatività stilistica Made In Italy, cominciando a fondere classici punti di riferimento del design funzionale (abbigliamento sportivo high performance, divise militari, abiti da lavoro e il tradizionale abbigliamento outdoor Inglese) con un’innovazione tessile tutta artigianale e con ingegnose tecniche di tintura dei capi, per produrre una serie di indumenti spiccatamente easy-to-wear.

C.P. Company, che è stata acquistata dal gruppo di Hong Kong Tristate Holdings nel novembre 2015, punta oggi sulla ricerca tecnologiaca per creare un urban sportswear con tecniche innovative come lo sviluppo della tecnica component dyeing (tintura per singoli componenti), una gamma completa di giacche con cuciture Ultrasonic e Thermowelded (saldate a caldo) che eliminano l’uso di cuciture o fili o lo sviluppo di un tessuto tecnico in lino, il Vanguard, che riesce a simulare le caratteristiche performanti dei filati tecnici mantenendo al tempo stesso le peculiari irregolarità e l’apparenza autentica del lino.

Abbiamo parlato del presente e futuro dell’azienda con Peter Wang, Presidente e Fondatore Tristate Holdings Ltd che ci ha raccontato: “Seguo e amo il brand fin dagli anni ’80, ho provato a collaborare con CP company due volte ma entrambe le opportunità, per un motivo o per l’altro, poi sono sfumate. Sono entrato nel gruppo occupandomi di pubblicità e adesso sono entusiasta di farne parte attivamente: CP Company ha una storia incredibile, che dura da anni seppur con qualche battuta d’arresto”.

Quali i progetti per il futuro del brand? Così risponde Wang: “L’idea è quella di ripartire, oggi, seguendo l’heritage di altissima qualità e riconoscibilità legato alla nostra storia, unendo l’estrema attenzione e ricerca in ambito qualitativo: è proprio sull’aspetto “tecnologico” delle fasi di lavorazione che ci siamo concentrati maggiormente. La composizione dei capi, la pesantezza dei filati: non tralasciamo nessun aspetto e con macchinari di altissimo livello abbiamo cercato di realizzare una collezione estremamente, facile da indossare, capi reversibili e dagli accenti casual, un forte richiamo alla contemporaneità, tessuti ultra-leggeri e i colori sono dosati ad arte senza eccessi, in maniera fluida e basata sull’equilibrio. Infine guardiamo al mondo web e alle nuove esperienze di shopping che si svolge pressoché online, senza perdere mai in riconoscibilità, perché il bagaglio del nostro marchio è importante e da questo non possiamo prescindere.

www.cpcompany.com

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Peter Wang e Lorenzo Osti
Peter Wang e Lorenzo Osti

Timeless: la mostra di Massimo Piombo sul Made in Italy che supera i confini del tempo

Massimo Piombo celebra il Made in Italy in modo esclusivo e originale come è nel DNA del marchio: la Palazzina Piombo (ex spazio Gae Aulenti) a Milano ha ospitato la mostra itinerante con una selezione di 15 tessuti provenienti dall’archivio e che testimoniano le caratteristiche peculiari e il talento del designer: innovazione e atemporalità.
Timeless è una raccolta di materiali, colori e tessuti che sono emblema del Made In Italy, ma anche i prodotti più raffinati provenienti dal resto del mondo: lane norvegesi, check inglesi, mohair scozzesi, eclettici mix di artigianalità e sguardo al futuro.
Esposte in cornici ad hoc, il senso delle opere – e dell’intero lavoro di Mr. Piombo – sta proprio nella ricerca di una visione d’insieme, la combinazione di valori diversi in nome di una sintesi estetica meravigliosa.

Proprio a Milano abbiamo incontrato Massimo Piombo per parlare di tessuti e di stile.

Lo stile Massimo Piombo in tre parole.
Sartoriale, elegante, contemporaneo.

Il primo tessuto a cui si sente particolarmente legato e perché?
Il cotone massaua in blu scuro

L’importanza del made in italy e fatto a mano.
Il Made in Italy è un segno distintivo di qualità e stile riconosciuto in tutto il Mondo. Un prodotto fatto a mano in Italia vuol dire emozione ed unicità.

Come sceglie di stagione in stagione i tessuti?
Amo mescolare combinazioni di tessuti tra passato, presente e futuro. Dal cinema alla letteratura, seguo il mio istinto.
Per il progetto di Timeless ho riunito 15 dei tessuti a me più cari, e ne ho fatto dei quadri, per comunicare quanto il materiale sia vero protagonista della moda e non una cornice.

Il suo consiglio di stile sulla scelta di abito e tessuto ideale per l’estate e per l’autunno?
Per l’estate che arriva, sicuramente una giacca di lino abbinata a pantaloni comodi. Per il prossimo inverno, invece, ho voluto proporre soprattutto il blu: brillante, purificante e rilevatore. Rende belli tutti gli altri colori. Non credo sia possibile annoiarsi del blu, sarebbe come annoiarsi della persona che si ama. Ho sempre cercato il blu perfetto. Per ottenere il blu ideale bisogna copiare il colore del berretto dei bambini nei quadri del Rinascimento. Abbiamo mescolato i colori uniti del vecchio impero alle fantasie del nord Europa, al fine di creare un fascino ed un incanto dedicato a “donne splendide” e “begli uomini”. I grandi cappotti, le morbide giacche, i sofisticati abiti, prendono un volto pittorico, abbinati alle sete, i velluti, i rasi, più ricchi e più morbidi, creando un’esagerazione di abbinamenti, colori, cercando di creare un mondo straordinario.

mpmassimopiombo.com

M’s FW 16-17

STORE

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Claudio Antonioli – L’arte dello scouting

Punto di riferimento per una clientela ricercata e innovativa Antonioli è uno dei concept store più innovativi per il brand mix e l’approccio web all’avanguardia. Abbiamo incontrato Claudio Antonioli per parlare di scouting e del progetto con WHITE e il designer danese Soulland.

In cosa si diversifica la selezione dei brand per il web rispetto al negozio fisico?
L’esperienza online e fisica vanno di pari passo. L’online mi ha consentito di sviluppare progetti e proposte anche più difficili e di ricerca. Nel negozio fisico c’è una selezione dettata anche da motivi di spazio. Le due dimensioni interagiscono e si rafforza l’una con l’altra. Ad esempio Il sito ha aiutato molto il negozio a farsi “ricordare” e conoscere.

Il tuo scouting: quali i paesi che trovi più interessanti al momento e perché?
Con i miei buyer copriamo quasi tutte le fashion week, da Tokyo a Seul, passando per Londra e Copenaghen, oltre a Parigi che resta un punto di riferimento. Personalmente i designer del Belgio e Londra sono i migliori per visione creativa. La moda italiana, anche dei giovani, è meno sperimentale, seppur molto importante a livello commerciale.

Come vedi il ruolo di Firenze e Milano rispetto alle capitali come Parigi?
La forza di Firenze è di essersi aperta al mondo ospitando designer internazionali e grandi eventi di richiamo grazie a forti investimenti economici. Anche Milano dovrebbe crearsi un indotto che parte dalle scuole di moda e creare spazi alternativi come le numerose gallerie a Parigi che resta un riferimento con un calendario importante. A Milano con WHITE è importante il ruolo del salone nel mostrare i trend e le pre-collezioni donna

Che cosa pensa del See now buy now e della velocità del fashion system?
E’ impossibile fermare l’evoluzione di internet  e pensare di tornare indietro. La comunicazione è parte essenziale del sistema e bisogna adeguarsi ai tempi

Cosa ti piace di Copenaghen e della moda nordeuropea in generale?
Trovo sia una concezione della moda un po’ diversa, dove esistono brand piccoli molto interessanti con una distribuzione mirata. E’ soprattutto un’esperienza importante che ti apre la mente su un certo tipo di visione.

I tuoi nuovi progetti e sfide
Ho appena aperto un nuovo negozio Antonioli a Ibiza che è tornata a essere un crocevia importante sia di comunicazione, sia di business. Amo il mood della città e la scena musicale. Proprio dalla passione per la musica elettronica è nata anche l’idea di rilanciare uno storico club di Milano il Divina che sto rinnovando e rilanciando con un nuovo concept e line up di dj. Cerco di seguire sempre le mie passioni.

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ALESSANDRO SARTORI

Un marchio sinonimo di heritage e lusso maschile. Dal 1895 a oggi un percorso nel segno di una qualità assoluta, stile e saper fare che rendono personale e senza tempo ogni creazione firmata Berluti. Da bottier prima a couturier per uomo dopo, il percorso creativo del brand guidato da Alessandro Sartori è tutto nel segno della coerenza con il DNA della maison che ha puntato sulla manualità creativa con un tocco non convenzionale. Oggi Berluti festeggia il 120esimo anniversario con un libro intitolato At Their Feet (edito da Rizzoli), un progetto che narra il legame tra lo stile e il savoir faire, valori che contraddistinguono la Maison. Il libro in edizione limitata vuole essere non solo un tributo alla maison, che nel corso degli anni ha conquistato i nomi più illustri nel mondo dell’arte, della musica e del cinema, ma anche raccontare in modo ironico tramite aneddoti e foto i personaggi più emblematici testimonial dell’eccellenza Berluti. Si spazia da Andy Warhol, Dean Martin, Patti Smith, Yves Saint Laurent fino a Maurizio Cattelan o Sylvester Stallone.
Abbiamo incontrato Alessandro Sartori a Milano nella boutique in Via Sant’Andrea 16 per farci raccontare le ultime novità e avere un’anteprima della prossima collezione autunno/inverno.

Come senti l’atmosfera a Parigi dopo l’attentato?

Parigi è una città che vive di contrasti tra ricerca, radici culturali più conservative e la modernità. Si sente c’è stata una rottura, una violenza sotto tutti i punti di vista. Per giorni interi in giro per le strade si sono viste poche persone. Poi si è smesso di parlarne. La settimana della moda a gennaio sarà il primo grande evento dopo la tragedia.

I tuoi luoghi in giro per la città

Sono innamorato della fotografia e svegliandomi di mattina presto vado a fotografare i luoghi che mi interessano. Mi piace molto vivere a piedi Parigi. Mi piace la zona dell’ottavo vicino all’ufficio, il giardino delle Tuileries, la zona del Canal St Martin, l’area della Sorbonne o quella dietro a Montmartre.

Il percorso da heritage brand di calzature fino all’alta sartorialità maschile

Mi piace lavorare con i bottier e couturier, laboratori e sartorie che realizzano questi prodotti straordinari. La proprietà ha creduto nel progetto e ha investito sulla parte sartoriale, puntando sui diversi atelier del fatto a mano che abbiamo a Parigi. Il fatto di poter lavorare a stretto contatto con un atelier (per la parte moda) e un bottier di calzature è stato determinante per il mio trasferimento a Parigi. Queste realtà rappresentano le fondamenta di Berluti, che è nato come maison esclusivamente su misura e non aveva disponibili calzature pronte. Oggi il business del bespoke raggiunge il 10% del fatturato con un prodotto realizzato completamente a mano. Il disegno e il modello nascono dalla forma e desiderata del cliente sia per la calzatura, sia per l’abbigliamento. Nonostante in questo momento sia forte il trend dello sportswear, il prodotto fatto a mano e il tailoring su misura riscuotono un grande successo. Dalla scarpa classica, l’abito di cashmere fino all’intramontabile cappotto in vicugna. Questo ha imposto un aumento dell’organico nei laboratori sartoriali che porterà alla fine del prossimo anno a raggiungere 30 bottier per le scarpe fatte a mano e 25 sarti. Il fatto mettere al centro del progetto i due atelier mi ha fatto decidere di intraprendere questo nuovo percorso. La scarpa resta al centro del progetto ma con lavorazioni e colori particolari come il melanzana o il petrolio. Uno stile con un tocco ironico che gioca sui dettagli e nella parte moda si caratterizza per una silhouette decostruita, volumi importanti e sensibilità per il colore.

Come vedi evolvere il gusto dell’uomo?

L’uomo ha più voglia e necessità di personalizzare il proprio guardaroba perché c’è molta più conoscenza e cultura di quello che sta bene. Chi entra nelle nostre boutique ha le idee chiare su forme e tessuti, oltre una certa educazione all’abbigliamento. Questo cluster di persone ha portato alla crescita di questo tipo di prodotto. Mi piace vedere però che anche giovani di 25 anni chiedono prodotti su misura. L’ironia è una chiave di lettura per l’uomo Berluti ed è sempre presente nel DNA della maison. Olga Berluti stessa aveva sempre un tocco di eccentricità. Una caratteristica che si ritrova sempre nelle collezioni attuali.

Un’anteprima sulla prossima sfilata

Il brand è pronto per un cambio di passo. Per il prossimo autunno/inverno stiamo lavorando su colori, stampe e grafiche più forti grazie alla collaborazione con un artista americano con cui ho avviato una collaborazione per una serie di prodotti unici. Questi saranno poi personalizzabili nel servizio bespoke con le grafiche e i colori preferiti dal cliente. E’ un concetto forte: il catwalk arriva al bespoke in presa diretta e con il servizio di personalizzazione.

Oltre alla moda, quali passioni coltivi?

Principalmente ho due passioni: sono particolarmente interessato alla fotografia e seguo una serie di artisti contemporanei italiani e non, che sono visivamente forti e mi emozionano come Giovanni Manfredini, Roberto Coda Zabetta, Vanessa Beecroft, Candida Höfer. La seconda passione è legata alle auto storiche, tra l’altro ho una Ford mustang del 1965 e ho preso da poco una vecchissima Porsche turbo color bronzo.

Segui qualcuno su Instagram in particolare?

Seguo parecchi fotografi anche non conosciuti, tra cui alcuni nomi interessanti dalla Turchia come Mustafa Seven, che ha circa 1 milione e mezzo di followers. Tra gli altri nomi per me interessanti sono: Daniel Arsham, una ragazza messicana Adriana Zehbrauskas, che ha vinto tra l’altro un premio di recente o anche Aaron Brimhall, un ragazzo che fotografa soprattutto paesaggi, motociclette e auto. Vista la mia passione, mi piacciono le applicazioni per per modificare le foto scattate su camere digitali.

Quando viaggi cosa non manca nella tua valigia?

Di solito preparo sempre due borse anche per brevi viaggi. Sicuramente mi porto dietro una borsa a mano in cui metto il kit di sopravvivenza tra cui macchina fotografica con due obiettivi, Ipad, caricatori, cuffie e l’outfit per un giorno se dovessi perdere l’altra valigia.

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