Monica Vitti: Vitti d’arte, Vitti d’amore

Monica Vitti, in due parole il cinema italiano nel mondo. Nata praticamente a piazza di Spagna a Roma, in via Francesco Crispi, insieme ad Anna Magnani, Gassman, Tognazzi e Manfredi ha rappresentato la vera romanità.
Unica ed inconfondibile, con quella sua voce roca, agli esordi della carriera era stata scoraggiata dal Centro Sperimentale, dove le avevano assicurato che non sarebbe andata da nessuna parte, per poi entrare alla Silvio d’Amico, intraprendendo una breve ma intensa carriera teatrale.



Invece come sempre accade, l’imperfezione ti rende unico e ti porta al successo.
Allegra, depressa, introversa, ironica, tutte parole che potevano descrivere Monica.
Dopo un inizio carriera in bianco e nero, che la vedeva impegnata in ruoli sia comici che drammatici, è arrivato il rapporto che l’ha legata sia professionalmente che sentimentalmente al regista Michelangelo Antonioni, che le ha fatto fare un percorso interno che ha attraversato tutte le sue insicurezze, rendendola la sua musa ispiratrice.
Come tutti i rapporti intensi, ad un certo punto si consumano, e così è stato anche per loro.



La sua sensazione era sempre quella di non essere mai abbastanza, le dicevano che era troppo moderna, troppo magra, era il momento delle maggiorate come la Loren e la Mangano, ma lei non ha mai pensato che ci potesse essere un altro destino a, era un’attrice.
Stiamo parlando degli anni ‘60, dove la comicità era relegata all’uomo, la donna era di contorno, le si chiedeva solo di essere molto bella e pronta a servire la battuta; lei no, ha rivoluzionato i piani, diventando la prima mattatrice in gonnella in Italia, poi arrivarono le altre.

Si è avvalsa anche del primato di donna che ha preso più schiaffi sullo schermo, infatti nei cinque film fatti con l’amico di sempre Alberto Sordi, come Amore mio aiutami o Io so che tu sai che io so, le scene di ceffoni sono lunghissime, e portano lo spettatore più a ridere che ha soffrire per la donna picchiata, senza offendere nessuna femminista o associazione o etichetta particolare, mentre oggi è sempre più difficile orientarsi in un mondo “politically correct”.



Tra le sue frasi celebri: «Il mondo è di chi si alza felice? No, il mondo è di chi è felice di alzarsi».
Anche perché come ha spesso detto, lei di notte aveva sempre gli incubi e faceva fatica a prendere sonno, e comunque andava a letto molto tardi, quindi la mattina si svegliava per uscire da questo turbine di inquietudine che la travolgeva; quando si alzava le ci voleva qualche ora a riadattarsi alla vita quotidiana, però poi sapeva che arrivava la sera e le cene con gli amici, e quindi si rideva tutti insieme.



L’ultima sua apparizione nel 2002, poi più nulla, la malattia, forse Alzheimer. Il compagno e marito Roberto Russo, l’ha descritta come neurodegenerativa, senza approfondire, un qualcosa che si è appropriato della sua memoria, ma lui non ha mai voluto parlarne, proteggendola da tutte le voci che la vedevano ricoverata in una clinica in Svizzera, poi a spasso di mattina presto a Villa Borghese.
La festa del cinema di Roma quest’anno l’aveva celebrata con un docufilm che riprendo nel titolo: Vitti d’arte, Vitti d’amore, anche se ripercorrere la vita di Monica non è facile, ci ha raccontato un secolo con la sua povertà e la sua illusione di perbenismo: il ‘900.



Il 2 febbraio 2022, all’età di 90 anni, si è spenta nel suo attico a due passi da piazza del Popolo, e noi la ricorderemo sempre con i suoi grandi occhi verdi, come una vera diva, che non ha bisogno di farsi vedere invecchiata, sarà sempre bella ed impacciata come solo lei sapeva essere.

Per l’immagine in apertura, credits: Mondadori Portfolio/Marisa Rastellini

Gli attori si riuniscono: alziamo la voce

Ci sono molti lavoratori, uomini e donne, che vivono numerose difficoltà dovute, come è noto, alla chiusura forzata durata ormai quasi due mesi e mezzo, e proprio in tale contesto, certe sensazioni di disagio e di isolamento vengono esasperate al punto che, spesso, capita che si crei un bivio che ti pone di fronte a due strade: la via dell’arresa o la via della lotta animata dalla propria passione, rinvigorita da quell’elemento dal quale non si può prescindere, la condivisione come forza comune. È questa la strada intrapresa da ‘Attrici e Attori Uniti’, una comunità di lavoratrici e lavoratori professionisti dello spettacolo in tutte le sue declinazioni che si riconoscono nella cultura etica del lavoro, nei suoi oneri e onori, nei suoi doveri e nei suoi diritti. Ad oggi conta più di 2000 membri. Essa agisce attraverso un confronto costante che è il fattore determinante di disparati tavoli di lavoro (comunicazione, azione, normative) che vedono fiorire tematiche importanti destinate ad uno spazio aperto in modo da poter cogliere delle proposte necessarie e concrete; il loro comunicato, rivolto al ministero, è espressione della volontà di non arrendersi, di affermare i diritti che vedono negati e di creare un movimento che ponga le basi per l’affermazione di tutele che non ci sono da troppo tempo.

Vedere con gli occhi della realtà la figura di chi ha la capacità di strapparci emozioni da sopra un palco appare cosa non semplice, infatti capita sovente di sottovalutare la vera dimensione all’interno della quale si muove l’attore. È doveroso andare oltre il palco, lo è per tutti noi, ma lo è ancor di più per chi ricopre un titolo politico, che ha, proprio nel termine della propria professione (politica), il significato di città, luogo di molti. Chi fa parte del mondo dello spettacolo vive di un’abnegazione quotidiana, continua che include uno sforzo psicologico e fisico estenuante, vi è una durezza riposta, dissimulata felicemente dalla gioia di fare della propria passione un mestiere.

Ci sono più di 10000 persone dello spettacolo che chiedono di istituire un dialogo con il governo, una maggiore vicinanza rispetto al contingente e difficile momento, ma soprattutto rispetto al futuro del sistema culturale del paese; una maggiore sensibilizzazione e presa di coscienza delle assenze di tutele porterebbe all’adozione di provvedimenti di sostegno emergenziale che, se in vigore, avrebbero evitato una serie di illeciti intercorsi da parte delle imprese per i quali ‘Attrici e attori uniti’ chiedono l’attivazione di un Osservatorio Nazionale. L’unione, si sa, fa la forza, e compatti la comunità chiede che si accendano i riflettori sui criteri di assegnazione di finanziamenti straordinari, con l’obbligo di onorare i contratti interrotti; non devono mancare, sottolineano, le garanzie sul versamento dei contributi e un sistema che si opponga totalmente a situazioni di sfruttamento che incredibilmente ancora esistono. 

Lo slancio di tale fenomeno ha posto le basi per l’idea di una campagna, chiamata ‘Tiriamo fuori la voce’, che ha l’intento di rinforzare le ambizioni culturali e artistiche e che, ora più che mai, necessita di un corpo normativo che valorizzi le loro prospettive. La comunità ‘Attrici e attori uniti’ risponde all’iniziativa del MiBACT di partecipare nella sezione ‘La cultura non si ferma’ con contributi e hashtag vari, attraverso la lettura senza voce dell’Infinito, la stessa opera cara al ministero che aveva voluto festeggiare il bicentenario della poesia Leopardiana facendola leggere a 22 cantanti di fama. La lettura senza voce allude chiaramente alla mancanza di voce appunto di cui è sprovvista tale categoria e che ha deciso di unirsi per segnare, con forza e grande impegno, un momento che può rappresentare una grande svolta per l’intero movimento. 

Ogni azione volta a sviluppare un legame con la cultura deve essere rispettata e se tale azione, come in questo caso, da semplice erudizione diventa parte integrante di una propria personalità morale allora merita davvero di essere vissuta. 

A STYLE CONVERSATION WITH GABRIO GENTILINI

Fresco del debutto nella fiction televisiva e del successo della “Bisbetica domata” di Shakespeare al Globe Theatre di Roma, Gabrio Gentilini si divide tra queste due appaganti carriere, sognando il debutto sul grande schermo. Come ogni millennial che si rispetti, ha le idee molto chiare in fatto di stile. Il personaggio che sogna di interpretare? Un villain senz’altro, a patto che abbia conservato qualcosa di puro nel suo animo.

Che ruolo hanno nella tua vita lo stile e la moda?
La moda mi piace e mi incuriosisce molto ma non ne sono vittima e tendo a non seguire le tendenze, mentre lo stile, in generale, non solo nell’abbigliamento, è una cosa a cui do molta importanza. Lo stile di una persona è l’espressione della sua personalità, creatività e prima di tutto del suo animo. Per me lo stile è una cosa che deve partire innanzitutto dal modo di percepirsi e quindi avere consapevolezza di chi si è e come si vuole arrivare agli altri, percepirsi anche fisicamente, non solo nelle forme ma pure nei movimenti e l’abbigliamento insieme all’accessorio sono qualcosa che deve andare a coronare tutto questo, non coprendolo ma valorizzandolo.

C’è un capo feticcio del quale proprio non riesci a disfarti?
In realtà no, non mi piace essere attaccato alle cose. Diciamo però che sicuramente nel mio armadio non possono mancare t-shirt bianche e nere che vestano bene, jeans regular fit e Stan Smith classiche.

Sneakers o Chelsea boots?
Assolutamente sneakers.

Hai un modello, un’epoca, un immaginario di riferimento estetico al quale ti ispiri?
No, in quanto attore mi piace giocare e rifarmi a diverse epoche e riferimenti estetici, anche nella mia vita privata. Ho scoperto di avere una fisionomia e uno stile che si adattano molto al vintage, dagli anni ’20-’30 agli anni ’70.

Che rapporto hai con i social?
Un po’ conflittuale e altalenante; non riesco a starne lontano e non curiosare come si raccontano gli altri sul web ma non sento la smania di pubblicare costantemente dettagli ed avvenimenti della mia vita. Ci tengo abbastanza alla mia privacy anche se mi piace condividere con i miei follower e ogni tanto sento il bisogno di farmi sentire e aggiornarli su quello che mi sta accadendo.

Ti abbiamo visto sia in tv che in teatro (e ti aspettiamo al cinema). Preferisci interpretare il buono o il cattivo?
Un cattivo-buono, si può? Mi piacerebbe tanto interpretare un personaggio cattivo che nasconde un animo buono, puro. Mi viene in mente il protagonista del film tratto dall’omonimo libro “Profumo”, un serial killer che per creare il profumo ideale uccideva giovani vergini dai capelli rossi e nonostante questi delitti efferati lo spettatore alla fine non riesce a non entrare in empatia con lui e in qualche modo a giustificarlo e perdonarlo.

Come vorresti immaginarti tra 10 anni?
Con una mia famiglia, impegnato come attore e performer sia a teatro che sul grande schermo e con in ballo qualche attività che aiuti concretamente il sociale.

Sogni nel cassetto?
Trovare il modo di riuscire ad essere felice sempre e comunque!

Fotografo: Davide Musto

Assistente fotografo: Federico Taddonio
Stylist: Stefania Sciortino
Assistente Stylist: Rosamaria D’Anna
Trucco e capelli: Giulia Luciani per Simone Belli Agency
Per la location si ringrazia Bottiglierie Pigneto via del Pigneto Roma via del Pigneto 106b
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Il tempo delle sfide: Gianmarco Saurino

Lo hanno definito l’astro nascente della fiction. Un appellativo più che meritato e confermato dai ruoli di Massimo, protagonista in ‘Non dirlo al mo capo 2’ con Vanessa Incontrada e dall’attuale impegno nella parte di Nico sempre da protagonista in ‘Che Dio ci aiuti’ arrivato alla quinta stagione con Elena Sofia Ricci e che uscirà in televisione nel gennaio 2019. Ma per Gianmarco Saurino, classe 1992, segno della Bilancia, nato a Foggia ma romano d’adozione, la recitazione, senza nulla togliere alla televisione che gli ha dato la popolarità davanti al grande pubblico, è soprattutto teatro con una compagnia di drammaturgia contemporanea fondata con un amico. Irrequieto e romantico, Saurino è un vero ciclone sempre alla ricerca di nuovi stimoli. Noi di Manintown ve lo raccontiamo.

Quali sono i principali progetti di lavoro su cui sei concentrato al momento e nell’immediato futuro? Attualmente accanto alla fiction televisiva sto portando avanti un impegno in campo teatrale, ho recitato moltissimo, soprattutto ruoli classici calcando diversi palcoscenici specialmente italiani. Ora con la mia compagnia abbiamo rivisitato il mito di Orfeo ed Euridice in chiave contemporanea facendone una pièce interessante che debutterà il prossimo anno a Catanzaro e a Castrovillari in Umbria per poi partire in tournée.

Aspirazioni nella carriera e nella vita personale? Il mio sogno nel cassetto è il cinema, adoro il lavoro di Matteo Garrone e mi piacerebbe davvero tanto lavorare con lui. Nella mia vita personale cerco di diventare un essere umano migliore: per questo mi sono iscritto alla Facoltà di Psicologia che seguirò con interesse, forse influenzato dalla mamma che si è laureata in questa branca di studi ma purtroppo non ha mai esercitato. La psicologia è affine al mio lavoro e può farmi crescere e aiutarmi a migliorare. Per il resto essendo perennemente insoddisfatto cerco stabilità nella coppia: sono felicemente fidanzato da due anni.

Come sei caratterialmente e come ti definiresti in poche parole? La mia inesausta ricerca di nuovi stimoli mi porta nel bene e nel male a cercare la versione migliore di me. Sono ambizioso, stakanovista e sensibile.

L’esperienza più esaltante della tua vita? Recitare a teatro in un monologo tratto da Victor Hugo e intitolato “Ultimo giorno di un condannato a morte”, un lavoro teatrale impegnativo, profondo e challenging, perché amo le sfide. L’opera tornerà a Roma a febbraio del 2019.

Passioni maschili: amo le moto, ho una Triumph nera ‘ereditata’ da mio padre e pratico vari sport: lancio col paracadute, CrossFit, pallavolo, nuoto.

Un capo must del guardaroba: gli stivali anfibi Cult neri tipicamente anni’80, sono belli e comodi e mi definiscono.

Un luogo fisico e dell’anima: luogo fisico: il Gargano. Luogo dell’anima: qualunque luogo, un divano in inverno e un parco sotto un albero d’estate dove posso rifugiarmi a leggere.

 

Photography: Davide Musto

Stylist Andreas Mercante

Ass. Photographer Hike Mad

Grooming Belli Simone Academy 

 

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Sergio Melone, un personaggio dai diversi talenti

Personaggio poliedrico, attore, cantante e ballerino, Sergio Melone racconta il suo percorso, dei suoi sogni (realizzati) e di quelli nel cassetto su cui sta lavorando. Lo raccontiamo nell’intervista e nell’editoriale scattato da Davide Musto a Roma.


Come sei arrivato a Maggie & Bianca?
La danza è stata la mia prima passione. Ho studiato in Puglia fino a sedici anni per poi arrivare a Roma, dove avevo superato il provino di ammissione all’Opera di Roma.  Dopo essermi trasferito a Roma ho capito che la passione per la musica stava trovando un posto d’onore nella mia vita e quindi, dopo le prime lezioni di danza ho iniziato a prendere lezioni di canto e pianoforte. La recitazione è stata una conseguenza naturale di tutto questo. Non essere riuscito a superare l’esame finale all’Opera mi aveva posto a fronteggiare la domanda su chi volessi veramente essere. La risposta però arrivò anche troppo facilmente. MI ero reso conto che nel musical potevo cantare e ballare e inevitabilmente avere anche un’attitudine al teatro di prosa. Così, frequentando la Da.Re.C Academy di Gino Landi e grazie a corsi di perfezionamento negli Stati Uniti è iniziata la mia avventura.

Justin Timberlake, Ryan Gosling, Britney Spears, Christina Aguilera e Miley Cyrus, sono alcune star che hanno iniziato sui canali per i più giovani. Cosa andrebbe migliorato in Italia per avere, almeno in patria, la stessa popolarità?
Penso sia impossibile, ma d’altronde siamo italiani e noi adoriamo le cose impossibili. Tutti questi attori e cantanti sono da sempre una mia fonte d’ispirazione. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America canali come Disney Channel o Nickelodeon, producono molte più serie tv dedicati al mondo dei ragazzi e le più importanti etichette discografiche ne hanno capito il potenziale. In Italia siamo ancora indietro da questo punto di vista e forse c’è ancora poco talent scouting. Qui da noi i talent hanno la meglio e sono quasi diventati una schiavitù, ma a mio avviso sono prodotti fini a sé stessi e raramente portano veramente alla consacrazione di veri talenti.

Grazie a Maggie & Bianca avete girato il mondo in tour e inciso album, come ci si sente ad avere fan che vi acclamano come vere Rock Star?
Essere riconosciuti e apprezzati è una sensazione meravigliosa. Non riesco ancora ad abituarmici, ma credo che sia il giusto premio dopo tutti questi anni di studio e fatica e di tempo trascorso lontano dalla mia famiglia per coronare il mio sogno. Mi piace essere in contatto con i miei fan e spesso quindi mi collego in direct sui social per rispondere a tutte le loro domande. D’altronde come potrei non farlo? Solo loro che creano le fan page e si informano su qualsiasi cosa io abbia fatto in passato, cercano (e trovano) mie foto letteralmente introvabili. Sono qui anche grazie a loro.

Come ti spieghi il nuovo fenomeno teen movie da Rai Gulp a Disney Channel?
Tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti  grazie al Disney Channel e all’impiego di molti bambini di talento che facevano parte del Mickey Mouse Club. Poi sono arrivate le prime serie che hanno incoronato i primi talenti diventati dei fenomeni commerciali di assoluto rilievo come Hilary Duff e Miley Cyrus. Il fenomeno è approdato in tutta Europa e anche la Rai ha deciso da qualche tempo di creare un canale dedicato ai più gioveni, Rai Gulp appunto. Maggie & Bianca Fashion Friends è la prima serie teen italiana marchiata Rainbow, che è lo stesso produttore delle Winx e Rai Gulp.

Qual è la parte che Sergio vorrebbe interpretare per farsi conoscere dal grande pubblico?
Un ruolo drammatico, perché vorrei che la gente vedesse la mia poliedricità nel recitare. Sento la necessità di confrontarmi con un ruolo più maturo e adulto ed evitare di essere riconosciuto solo per il ruolo del bello ma scemo in Maggie & Bianca.

Vita in Italia o all’estero?
Tutti quelli della mia generazione sognano l’Estero. Non si sa perché, ma fuori dai confini tutto sembra migliore, più facile. I miei impegni lavorativi al momento non me l’ho permettono, ma c’è un detto che dice :”if your dreams don’t scare you, they aren’t big enough”.

Forse dovrei iniziare a crederci. Bisogna puntare alla luna per arrivare alle stelle no?


Se dovessi scegliere tra danza e cinema, chi tra Roberto Bolle e Luca Guadagnino?
Roberto Guadagnino (ride). Non potrei mai scegliere tra danza, musica e cinema, non c’è una cosa che preferisco meno delle altre, sono tutte allo stesso livello e tutte mi realizzano e sono la mia grande passione. Forse un film sulla danza o sulla musica aiuterebbe a unire i diversi campi in uno.

Qual è il tuo rapporto con i social? Quanto tempo trascorri con il tuo smartphone?
Il mio rapporto con i social è decisamente contrastante. Li amo e li odio allo stesso tempo. Viviamo costantemente con l’ansia di essere presenti in quel canale o nell’altro. Vogliamo fare apparire le nostre vite sempre al top e far apparire noi stessi come, purtroppo spesso, non siamo. In più c’è la febbre dei follower. Tutti a preoccuparsi dei numeri. Quenti follower o quanti like e tutto questo, a mio avviso, ci sta rendendo schiavi. Forse sarò un po’ old school, ma preferisco artisti che quando stanno male, prendono una chitarra e scrivono una canzone. D’altro canto, trovo i social una buona piattaforma dove ognuno di noi può avere una voce e, dove, ognuno di noi può esprimere la propria creatività senza essere un numero.

Cosa ti vedi a fare da grande?
Spero ancora di fare questo mestiere, anche se è veramente tanto difficile. Sono pienamente convinto che non smetterò mai di avere queste passioni, anche se non dovessero diventare il mestiere che mi darà da mangiare.  

Cosa non manca mai nella tua valigia quando viaggi?
Il mio stile lo definirei molto “geek chic style”, perciò nella mia valigia non mancano mai le magliette dei band anni ’80 o ’90 o t-shirt con frasi tratte da telefilm o da canzoni famose, personaggi di cartoni animati, supereroi oppure con i loghi dei grandi brand commerciali come Pepsi o Coca-Cola. Sono un grande amante del vintage perciò, giro sempre con la Polaroid formato Wide! E’ il mio tesoro più grande.

Photography: Davide Musto
Total look: David Naman


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Francesco Marinelli: Domani è un altro ciak

Raccontami del tuo percorso…
Sono arrivato a Roma circa 4 anni fa all’età di 18 anni, subito dopo il diploma. Proprio Roma mi ha offerto l’opportunità di immergermi nel mondo del cinema. Durante le scuole superiori, grazie ad una mia cara professoressa (a cui sono sempre molto grato) ho girato due cortometraggi e durante queste primissime esperienze ho cominciato a pensare di poter intraprendere la carriera dell’attore. Ho capito subito che recitare rappresentava per me una grande passione. Mi sono immediatamente trasferito a Roma dove mi sono iscritto ad un’accademia di recitazione. Per mantenere gli studi ho cominciato a fare il modello, ho lavorato con diversi brand e ho girato l’Italia. Grazie a questo lavoro ho conosciuto molte persone, soprattutto vari fotografi, che mi hanno permesso di crescere professionalmente.

Quali le esperienze professionali per te più importanti?
Ho avuto la possibilità di girare video clip musicali e spot pubblicitari. Tra le collaborazioni per me importanti è stata quella con il gruppo musicale The Giornalisti per “Riccione”; ho lavorato per uno spot pubblicitario per Lavazza, fino al recente videoclip musicale di Mario Biondi “Rivederti” con cui ha partecipato a Sanremo 2018.  Grazie a queste esperienze ho avuto l’opportunità di confrontarmi con vari artisti. Attualmente sto lavorando per la prima volta nel mondo del cinema e credo sarà una bellissima esperienza, ma al momento non posso ancora svelare nulla! Intanto seguitemi su Instagram per scoprire il mistero @_francescomarinelli_

Come hai affrontato la sfida nel video Rivederti di Mario Biondi?
Lavorare con un’artista del calibro di Mario Biondi è stato sicuramente un immenso piacere, ma soprattutto grande motivo di crescita professionale e artistica. Ho affrontato questa sfida con tanta determinazione, ma come sempre con umiltà. Credo che non si smetta mai di imparare, ho fatto tesoro dei grandi consigli di questo artista, ora sono nel mio grande bagaglio di esperienze professionali.

La tua playlist con le 5 tue canzoni del momento?
Ram Jam –Black Betty
Litfiba – Vivere Il mio tempo
AC/DC – T.N.T.
Rino Gaetano – E cantava le canzoni
Lucio Battisti 29 Settembre

Una città che ti ispira e in cui vorresti tornare?
Non c’è una città particolare che mi ispira o in cui vorrei vivere o tornare. Ogni città mi ha dato a modo suo un’emozione e mi ha permesso di lavorare, incontrare gente e fare esperienze.

Photographer, stylist: Davide Musto
Grooming: Martina Storani
Model/Actor: Francesco Marinelli
Intimo: Calvin Klein
Leather Jacket: HE by Mango

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FRANCESCO STELLA, L’UOMO DAI MILLE RUOLI

cover_pantalone e maglione dolcevia HOSIO; scarpe Burberry

Dal teatro alla TV, al cinema. Prima come attore, poi come scrittore e regista. Francesco Stella, nato ad Erice e divenuto famoso per il ruolo dell’agente Gallo, nella fiction Il commissario Montalbano, si è cimentato i ruoli diversi anche al di là dello schermo, non ponendo mai limiti alla propria creatività. In questa intervista svela non solo le proprie passioni, ma tutti i progetti futuri.
Com’è cominciata la tua carriera?
Un po’ per caso. Durante il periodo universitario ho fatto parte prima di una compagnia di teatro di strada e poi di una di formazione. Con quest’ultima ho studiato e debuttato nel mio primo spettacolo.

La tua carriera inizia nel 1995 con il teatro. Com’è avvenuto il passaggio al cinema e alla TV?
La  mia “prima volta” è stata indimenticabile, ho debuttato al Teatro Kommisar Geskaya, di San Pietroburgo, durante il periodo delle notti bianche. Ho capito che non sarei mai tornato indietro. Dopo essermi trasferito a Roma e aver fatto molti provini, ho finalmente debuttato al cinema con Besame Mucho, di Maurizio Ponzi, e in TV, con Il commissario Montalbano.

Quale tra i due mondi senti appartenerti di più?
Entrambi, ma in maniera diversa. Esattamente come la scrittura, un’altra passione che coltivo da tempo.

Da quale regista ti piacerebbe essere diretto?
Mi piacerebbe tantissimo ritornare a  lavorare con una donna e, secondo me, Valeria Golino è una di quelle in grado di scavarti dentro.

Non solo attore, ma anche regista e scrittore. Ti senti più a tuo agio sopra al palco o dietro la cinepresa?
È un agio completamente diverso. Amo molto il lavoro d’attore, ma alla fine sei nelle mani di  altri: di uno sceneggiatore che ti ha pensato, di un regista che ti ha scelto e di un pubblico che ti approva. Troppe variabili e poca obiettività: molto sta nel “gusto” delle persone e la bravura non sempre è sufficiente. La scrittura o la regia mi permettono invece di “sfogare” la parte creativa, che offre parametri più obiettivi relativi alle mie capacità e ai limiti.

Che tipo di film ti piacerebbe scrivere?
Mi piacerebbe parlare della mia terra, la Sicilia, che lotta ma che sa ridere, che non si arrende e che sa guardare lontano.

Quanto è importante lo stile per te? C’è un capo in particolare che ti caratterizza?
Credo di avere uno stile molto sobrio, mi piace l’eleganza su di me, così come mi diverte l’esuberanza negli altri. Più che un capo ci sono due oggetti: i gemelli e i papillon/cravatte.

Dove sognava di arrivare il Francesco Stella che nel 1998 è entrato a far parte del cast de, Il commissario Montalbano e cosa sogna il Francesco di oggi?
Il Francesco Stella arrivato dalla lontana Marsala, ha realizzato molto di quello che sognava. Per il futuro spero di poter continuare ad avere sempre il sorriso mentre lavoro.

Qual è la sfida più grande che il lavoro ti ha posto davanti sinora?
Quella di non scoraggiarmi e di non mollare. I tempi sono molto difficili per chi fa questo lavoro. La mia fortuna è stata quella di non fossilizzarmi in un solo campo, scelta non sempre recepita positivamente dagli altri. Sono sicuro che il tempo mi darà ragione.

Quali progetti hai in cantiere?
Tra poco uscirà Il Cacciatore, una nuova fiction Rai n cui interpreto un integerrimo carabiniere. In contemporanea sto lavorando a due format tv di prossima uscita.

Cosa porteresti con te su un’isola deserta?
Il mio cane, la playlist con le canzoni che mi accompagnano da sempre, carta e penna.

Quale film non ti stancheresti mai di guardare?
Shortbus.

Quali sono gli ingredienti per un format TV di successo in Italia?
È difficile rispondere a questa domanda, perché ormai il pubblico sceglie con cura quello che vuole vedere e l’offerta è molto ampia. Gli ingredienti dipendono sempre più dal target di riferimento. Il pubblico non si lascia più prendere in giro, cambia canale facilmente.

Photography: Karel Losenicky
Styling: Sara Leoni

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GIORGIO MARCHESI un attore a 360°

Cover: jacket e denim Jacob Cohen; shirt Corneliani

Un talento scoperto sul campo e una passione nata nel tempo: è Giorgio Marchesi, ormai affermato attore italiano, classe 1974.  La sua formazione comincia a Padova, dove grazie a un corso di recitazione tutto ha avuto inizio. Dopo alcuni anni nel teatro e nella pubblicità, si trasferisce a Roma nel 2003, dove ha l’occasione di venire a contatto con il vero e proprio mondo dello spettacolo. Negli anni, Giorgio dimostra talento e determinazione, entrando a far parte di importanti produzioni teatrali, televisive e cinematografiche e lavorando con registi come Marco Tullio Giordana e Ferzan Özpetek, continuando ad affinare le sue competenze frequentando corsi, stage e seminari tenuti da importanti maestri.
Non solo attore ma anche padre, noi di Manintown ci siamo fatti raccontare qualcosa sui sogni e sulle passioni di un personaggio che, con i suoi modi decisi e gentili, sta affascinando sempre più il grande pubblico.

Hai sempre sognato di fare l’attore? Com’è cominciata la carriera di Giorgio Marchesi?

Da ragazzino in realtà sognavo più di fare il calciatore o il cantante. Avevo sicuramente l’attitudine da attore, ma ero ancora molto timido, facevo le battute con gli amici, le imitazioni, ma non pensavo alla carriera nel mondo dello spettacolo. Forse perché a Bergamo non era un mestiere così usuale. Più grande ho frequentato un corso di teatro, grazie al quale ho scoperto e potuto mettere in pratica la mia passione. Al termine del corso, dopo il saggio finale, mi hanno chiesto di fare uno spettacolo con la loro compagnia, e da lì non mi sono più fermato. Ho lavorato nella pubblicità, a Milano, per poi trasferirmi a Roma dove, per fortuna, le cose hanno cominciato a girare per il verso giusto. All’inizio ho recitato molto in teatro, e dopo qualche anno sono arrivate le prime occasioni e le prime piccole parti nel cinema e in televisione.

Teatro, cinema o TV?

Sono tre cose molto diverse e se si ha la possibilità è bello poter variare e sperimentarle tutte e tre. Il cinema dura più a lungo nel tempo e mi è capitato anche che una parte più piccola mi regalasse una grandissima soddisfazione. La televisione, invece, dà una quotidianità, ti rende popolare o comunque ti permette di arrivare più facilmente alla gente. Spesso ci dimentichiamo quanto questo lavoro sia fatto per le persone, dobbiamo piacere a loro prima di tutto. Il teatro, invece, è la mia grande passione iniziale, richiede più disciplina e presenta più difficoltà. Appena penso al teatro penso alla fatica, al sudore, perché nonostante sia per molti aspetti più finto, per un attore è assolutamente reale. Il palcoscenico è un rapporto diretto con il pubblico, avviene in quel momento, non si può rifare la scena o “tagliarla”.

Ti è mai capitato di dover interpretare un personaggio molto lontano dalla tua personalità? Se sì, quale? Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato?

Si mi è capitato, anche più di una volta. Interpretare un personaggio lontano dalla tua personalità è sicuramente difficile, ma non sempre, è possibile invece che sia addirittura più facile, permette di esplorare campi sconosciuti e lasciarsi andare completamente.
Mi è capitato, per esempio, di recitare nel ruolo di assassino o torturatore, di dover quindi far finta di sparare a un bambino di quindici anni, cose che mi scioccano anche al solo pensiero di compierle nella vita reale. Quando reciti però tutto diventa un gioco, è finzione, quindi puoi e devi anche lasciarti andare e divertirti. Forse il personaggio più difficile per me è stato Franco Freda, neo-fascista e ex terrorista degli anni ‘70. È stato difficile interpretarlo perché venivo da ruoli di personaggi televisivi positivi. Per fortuna si trattava di una persona reale, ho quindi potuto studiare il personaggio e imparare a seguire i suoi ragionamenti attraverso i suoi scritti e immedesimarmi nel periodo storico. La grossa difficoltà sta nell’entrare nella testa di un personaggio, credo che ci si possa riuscire con delle improvvisazioni, liberandosi di quelle che sono le nostre abitudini. Molto importante è l’aiuto di una persona che ti guidi, e in questi casi la figura del regista è fondamentale. Mi hanno sempre insegnato che un attore deve essere sempre aperto, non giudicare, non giudicarsi e lasciare che il personaggio si impossessi di lui, lasciando cadere tutte le proprie sovrastrutture.

In che modo essere un attore e saper recitare influisce nella vita di tutti i giorni? 

Non so quanto nella mia vita quotidiana influisca essere attore, me ne dimentico. Mentire mentono tutti, noi anzi siamo nella condizione più sfortunata, tutti pensano che, visto il nostro lavoro, sappiamo mentire meglio degli altri o che mentiamo nella vita reale come nella finzione. In realtà, posso assicurare che mentono molto meglio altre categorie di persone. È sicuramente un lavoro che condiziona psicologicamente, molti vedono soltanto la parte luminosa di questo mestiere, che c’è, ma non solo. Non a caso moltissimi attori, principalmente quelli hollywoodiani particolarmente stressati, hanno un sacco di problemi nella vita normale, come dipendenze di vario genere, infelicità, depressione. Questo in parte accade anche ai poveri, piccoli giovani attori italiani. Detto ciò, non credo aiuti particolarmente essere attore nella vita di tutti i giorni, come in tutte le cose bisogna trovare un equilibrio e avere interessi anche al di fuori del lavoro.

Il momento più emozionante della tua carriera fino a oggi.

Forse la prima volta in assoluto in cui mi sono esibito. Il massimo della soddisfazione l’ho ottenuta uscendo dopo uno spettacolo e ricevendo un applauso convinto e sincero da parte di persone che sono venute a vedermi e hanno condiviso un momento che rimarrà per sempre unico. Il momento più bello in assoluto della mia carriera vera e propria invece, è stato nel 2012, quando contemporaneamente mi esibivo al teatro Argentina a Roma in uno spettacolo molto importante, stava uscendo la prima serie di “una grande famiglia”, fiction di successo in cui interpretavo un personaggio importante, e sempre in quel periodo ero al cinema in altri due film. Questo è stato il momento in cui ero coinvolto in tanti progetti molto belli che comprendevano tutte le sfaccettature del mio lavoro, è stato l’anno in cui ho cominciato a farmi davvero conoscere, sia dagli addetti ai lavori che dal grande pubblico.

Le tue passioni? Come ami trascorrere il tuo tempo libero?

Sicuramente l’Atalanta, la squadra di Bergamo e la musica funky degli anni ‘70. Amo, ovviamente, anche il cinema e il teatro. Mi piacciono talmente tante cose che ho sempre desiderato una giornata di 48ore. Sono appassionato di sport, cinema, arte, libri; mi piace stare con le persone a chiacchierare, ballare e, perché no, ubriacarmi. Mi piacciono troppe cose per riuscire a fare tutto. Quello che faccio più spesso nel tempo libero è occuparmi delle persone che mi stanno più vicine, un dovere e anche un piacere avendo due figli e una compagna. Di solito, infatti, cerco di unire quello che mi piace fare a loro, sport con loro, andare a vedere un film con loro, insomma, fare cose piacevoli tutti assieme. Amo viaggiare, cerco di farlo il più possibile, e una cosa in particolare che mi fa stare bene è il verde, la natura. Ogni tanto ho bisogno anche di relax, ma in generale non riesco a stare troppo fermo.

Quanto è importante lo stile per te? Hai un capo e/o un brand che più ti caratterizza?

Lo stile è sicuramente importante e per me lo sta diventando sempre più col tempo. Da ragazzo nei miei look non è mai mancato un pizzico di originalità. Sono stato un collezionista dei più strani e improbabili cappelli e occhiali da sole. Il mio preferito è un cilindro che ho comprato a Londra, che mi sono portato in giro dappertutto. Non ho ancora un brand che mi caratterizza, ma se penso a un capo subito mi viene in mente la giacca, ormai indosso la giacca per fare qualsiasi cosa, non solo per le occasioni importanti. La trovo comoda, ha tante tasche, quando viaggio lo trovo il capo più funzionale

Sogni ancora nel cassetto? 

Sicuramente un viaggio lungo. Mi piacerebbe vedere l’Africa e starci almeno tre mesi. A dirla tutta mi piacerebbe avere tre mesi all’anno per poter girare il mondo.

Photo by Roberta Krasnig
Stylist Stefania Sciortino
Assistente fotografo Jacopo Gentilini

®Riproduzione Riservata

the uncommon rise of RYAn COOPER

cover_Blazer PORTS 1961; Coat ACNE

Ryan Cooper alterna disinvoltamente set fotografici di moda e red carpet cinematografici. È lui il volto nuovo del cinema internazionale. Con la sua faccia che buca lo schermo (e l’obbiettivo), con il suo fisico scolpito – è stato anche carpentiere – questo ragazzone della Nuova Guinea ha convinto tutti e, dalle campagne pubblicitarie di Armani Exchange, DKNY, Hugo Boss e Trussardi Jeans è passato al grande schermo e presto lo vedremo al fianco di Scarlett Johansson in, Crazy Night.

Raccontaci delle tue radici e della tua famiglia. Come hanno influenzato la tua vita?
Sono cresciuto senza molte cose, vivendo in paesi del terzo mondo con persone che non possedevano molto ma erano molto felici e generose. Questo ti fa apprezzare le cose che hai ma di cui non hai bisogno. Mi ricordo che spesso nella nostra colazione c’erano degli insetti a causa dell’umidità. Mio padre era un missionario e ha instillato fortemente le sue credenze in noi. Era un gran lavoratore e questa caratteristica mi ha sicuramente aiutato entrando in questo business. Trattare bene le persone e lavorare duramente, quando si lavora tutto il giorno e ho bisogno di energia. Ho fatto turni di 20 ore per lavori di edilizia in passato e questo mi ha preparato a stare sul set per 12 ore.

Come hai iniziato la tua carriera di modello?
Fare il modello è stato un colpo di fortuna. Un amico mi ha chiesto di fare un servizio fotografico per un negozio in Nuova Zelanda quando ero nel campo delle costruzioni. Poi un altro amico voleva sistemarmi con un’agenzia, in cui, appena mi hanno visto, mi hanno detto che non avrei mai lavorato. Tuttavia, il mio attuale manager ha visto le mie foto e da quel momento in poi mi ha spinto a viaggiare e lavorare, cosa che mi ha permesso di trascorrere qualche anno divertente, viaggiando e scattando per il mondo.

Quando hai deciso di entrare nel mondo cinematografico e come è successo?
A New York ho incontrato il mio attuale manager che mi ha chiesto se fossi interessato a recitare e che mi ha coperto le spalle da allora. Onestamente, non ci avevo più pensato da quando partecipavo a spettacoli scolastici da bambino. Mio padre mi incoraggiava a trovarmi “un vero lavoro” e così ho fatto, nel settore dell’edilizia. Mentre stavo viaggiando/facendo il modello avevo l’opportunità di imparare da alcuni meravigliosi coach a New York e Los Angeles e ora essere in grado di lavorarci è fantastico.

Qual è stato il tuo debutto nelle fiction e nel cinema?
Il mio primo lavoro sono state piccole parti in film indipendenti poi un breve periodo nella soap “Una vita da vivere”, prima che questa produzione di lunga durata esalasse l’ultimo respiro. Mi sento un po’ responsabile per questa morte (ride,ndr)!

ALESSANDRO BORGHI

Sereno, sicuro di sé ma anche semplice e un po’ sognatore: ecco com’è il giovane attore romano. Con un passato alle spalle che lo ha visto stuntman oltre che protagonista di fiction televisive e cortometraggi, ora è sulla bocca di tutti. Il grande pubblico infatti lo ha conosciuto grazie a “Non essere cattivo” di Claudio Caligari e “Suburra” di Stefano Sollima, entrambi del 2015 ma forse non tutti se lo ricordano in Romanzo Criminale – La serie 2 o nella più recente seconda stagione di Squadra Narcotici. Alessandro vive di cinema da più di dieci anni e la sua passione si avverte in tutto quel che dice, è molto attaccato a Roma e non ha di certo paura a mostrarsi per com’è.

Un 2015 spettacolare alle spalle e un 2016 molto promettente davanti, a cominciare dagli Oscar dove “Non essere cattivo”è candidato come miglior film straniero. Come vedi l’italianità di questo film portata all’Academy?

Ammetto che ci ho pensato molto, soprattutto mentre stavamo girando. E’ vero, questo film ha una forte italianità, è uno spaccato degli anni ’90 ad Ostia, noi lo pensiamo italiano perché sappiamo di cosa si tratta. Durante la promozione fatta a dicembre, a Los Angeles o a Seattle, le reazioni che abbiamo raccolto però sono andate oltre, sono state forti ed era proprio quello che volevamo. Penso che questo film possa valere universalmente, perché è un film sull’amicizia, sull’amore quindi potrebbe essere ambientato dovunque, i valori non cambiano. All’Academy sono abituati a conoscere film italiani con grandi produzioni alle spalle e forse vedere un film così piccolo, con una produzione del genere credo li abbia fatti innamorare.

Per ora hai sempre lavorato in film piuttosto impegnati, interpretando ruoli spesso forti e difficili. E’ questo il cinema che vuoi fare o vedi anche altro nel tuo futuro professionale?

Penso di essere stato molto fortunato: interpretare questi ruoli mi è piaciuto molto e sicuramente mi continua a piacere. Ciò non toglie che io sia aperto anche ad altri generi cinematografici, a patto che ci sia qualità. Mi piacerebbe recitare in commedie, ma penso che la commedia italiana si sia un po’ persa oggi, mi piacerebbe lavorare in un progetto simile ad esempio a “Quasi amici” perché lì la commedia è nella scrittura dei dialoghi e delle scene, non nelle singole battute degli attori.

Quali sono i tuoi punti di riferimento cinematografici? Magari per stile, interpretazione, passione…

Di base sono molto curioso, amo questo lavoro e quindi osservo tanto gli altri attori per continuare a imparare e migliorare. Se devo scegliere un attore in particolare direi Leonardo Di Caprio, perché ha sempre fatto solo film straordinari e la sua recitazione è sempre impeccabile pur essendo molto diversa da un film all’altro.

Quindi ispirazione professionale ma non per lo stile…

Esatto. Effettivamente ho un mio stile che è dettato dalla necessità di essere sempre a mio agio, voglio riuscire a trasmettere chi sono io senza pensarci troppo. Se scelgo qualcosa, un abito piuttosto che un paio di scarpe deve essere perché mi piacciono.

Con quale regista ti piacerebbe lavorare oggi?

Potrei dirti alcuni grandi nomi italiani, Sorrentino ad esempio ma anche Tornatore ma sono troppo scontati. Mi piacerebbe molto poter lavorare con Virzì perché ho amato molto “Il capitale umano”, oppure, tra gli stranieri, sicuramente Derek Cianfrance, penso davvero sia eccezionale.

Progetti per il futuro?

Ho da poco nito di girare un’opera prima, “Il più grande sogno mai sognato” di Michele Van- nucci: una storia sul peso del destino ambienta- ta in una borgata romana. Il tema è quello della libertà di decidere il proprio destino a prescin- dere da quello che la vita impone: è stato molto interessante. Sto vivendo un momento molto particolare, felice ma anche di grande confusio- ne ed euforia: è da dieci anni che lavoro in que- sto settore ma è stato con questi due lm che sta esplodendo tutto. Vediamo per il 2016 cosa mi aspetta, sono molto curioso!

Photographer | Francesco Bertola
Style | Fabio Ferraris
Grooming | Grazia Carbone @Wmmanagement
Special Thanks | Hotel Majestic Roma

@Riproduzione Riservata

Maserati Experience

Cover Paul Smith suit| Calvin Klein Collection shirt | Corneliani Pocket Square

Le persone che parlano poco, spesso, sono quelle che se stimolate, hanno più cose da dire. Ed è proprio in silenzio che avviene questo incontro per un test drive con una macchina unica. Maserati è un simbolo di eleganza e una vettura dalle prestazioni che hanno regalato grandi traguardi sportivi e diverse scariche di adrenalina a tutti i fortunati che hanno avuto modo di affondare l’acceleratore su uno dei gioielli del Tridente più famoso nel mondo.
Dopo essermi sistemato nel rifinito abitacolo che può essere personalizzato negli interni con un’infinità di varianti; stabilisco subito la distanza ottimale dal volante, seguito con grande cura da Domenico Schiattarella, pilota che mi accompagna in questa giornata e che, come la Ghibli 3000 Turbo Diesel da 275 Cv, mi osserva curioso e mi concede tutto il suo estro e talento, aprendo il gas dei ricordi e catapultandoci in un universo fatto di cuore e passioni scanditi da millesimi di secondi.

Appena partiamo, cercando di lasciarci il traffico cittadino alle spalle, mi accorgo di quanto l’impianto frenante sia speciale e capace di rispondere anche alla più lieve sollecitazione. Domenico conferma la mia intuizione. Per una macchina che sfiora i 250 km/h l’impianto frenante richiede uno studio di altissima ingegneria e quello di Maserati beneficia di una tecnica che fonde un disco in ghisa e acciaio che anche se sollecitato, non si surriscalda. Provo ad aprire un poco il gas con la scusa di familiarizzare con il cambio sequenziale al volante e mentre la turbina entra in azione appagando le orecchie con un rombo intenso ma ancora aggraziato, mentre la forza ci spinge un pochino contro i sedili. Domenico che nel frattempo è diventato Mimmo, lascia cadere una notizia per lui ovvia: i motori Maserati vengono assemblati nello stesso stabilimento di Maranello, proprio dove scalpitano i cilindri del marchio col cavallino. È a quel punto che rimpiango di non esserci diretti verso Monza e con la complicità di Mimmo, provare a fare un salto direttamente in pista.

A questo punto lo spirito della silenziosa ma sorprendete Maserati è venuto fuori, come la persona timida con cui si è rotto il ghiaccio. Ma ora non mi basta, e vorrei sapere fino a che punto può arrivare. Sulla strada del ritorno, invece di seguire l’itinerario prestabilito, mi dirigo verso un cartello verde che ho adocchiato in lontananza. Mimmo, con lo sguardo del pilota navigato, ha già compreso il lampo che mi attraversa gli occhi ogni volta che riesco a far salire di giri il motore, e prima di far scivolare lo sguardo complice fuori dal finestrino mi promette di ritrovarci presto in pista. Inizio timidamente in prima corsia ma poi, ricordandomi che il ghiaccio lo avevamo già rotto, premo il tasto che attiva la modalità sportiva e voliamo in terza corsia sognando, che questo fondo scala, non abbia mai fine.

Ernesto D’Argenio – attore Italiano

Dopo essersi diplomato nel 2013 alla scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté, esordisce nel cinema con Ettore Scola in “Che strano chiamarsi Federico” presentato al Festival del Cinema di Venezia. Nel 2014 debutta in tv con la serie Squadra Antimafia, mentre nel 2015 sulla RAI nella fiction “Grand Hotel”. Tra i lavori in uscita nel 2016 il film “Le confessioni” di Roberto Andò con protagonisti Daniel Auteuil e Toni Servillo, mentre per il piccolo schermo sarà presente nella miniserie di Rai1 “Di padre in figlia” diretta da Riccardo Milani.

Photo | Francesco Bertola
Style | Fabio Ferraris
Grooming | Marco Minunno@wmmanagement
Photo Assistant | Simona Bolchini

@Riproduzione Riservata