Pino Daniele: i 7 successi indimenticabili da ascoltare

Pino Daniele cantautore, e musicista è stato uno dei massimi rappresentanti del panorama musicale napoletano degli ultimi decenni, la sua musica spazia dal rock al jazz e al blues.

Cantautore poliedrico e molto prolifico le cui canzoni sono come una pennellata di musica e poesia con un ritmo molto caratteristico e riconoscibile, dando origine a uno stile tutto suo da lui soprannominato “tarumbo”, in cui si notano influenze di tarantella e blues.

Ecco a voi alcune alcuni dei maggiori successi del grande Pino Daniele.

7 successi indimenticabili da ascoltare di Pino Daniele

Anna Verrà

Una canzone dedicata ad Anna Magnani attrice che Pinodaniele amava moltissimo. Pubblicata nell’album “Mascalzone latino” del 1989. Il cantautore, con questo brano, intende ricordare la figura dell’attrice romana Anna Magnani scomparsa nel 1973.

Napule e’

Brano composto ed eseguito da Pinodaniele e inserito come traccia di apertura del suo album di esordio Terra mia, anno 1977. Parla di Napoli delle sue contraddizioni e di amarla anche con la sua amarezza, ma piena di vitalità e slancio verso la vita.

Je So’ Pazzo

Si ispira all’ultimo discorso pubblico di Masaniello, durante la rivolta del popolo Napoletano nel 1600. Pino Daniele è un nuovo Masaniello, che rivendica la propria libertà di denunciare e protestare senza mediazioni o giri di parole, per poter agire liberamente si definisce un pazzo che parla per dare sfogo al proprio disagio.

Sara

Sara è un brano musicale presente come quarta traccia dell’album Medina, pubblicato nel 2001 ed interamente dedicato alla figlia del cantautore: Sara Daniele.

Dubbi non ho

Brano musicale sempre scritto dallo stesso Pinodaniele e da lui interpretato.  Fa parte dell’album Dimmi cosa succede sulla terra, uscito nel 1997, parla dell’amore e dell’unicità di scegliersi, ritrovarsi e di come in amore le cose si fanno ma non si spiegano quasi mai con la mente.

Quanno Chiove

Una storia commovente, una storia vera che le parole di Pino Daniele trasformano in poesia. Racconta della quotidianità di una prostituta che si prepara per andare al lavoro. E si va anche quando piove, tanto l’acqua ti bagna e va tanto l’aria deve cambiare.

Nun me scoccia’

E’ considerato l’esempio più profondo di punk napoletano. E’ la storia di un artista e un uomo che, per quanto la vita lo abbia portato a girare il mondo, non ha permesso al suo spirito partenopeo di essere sfrattato dall’anima.

E voi quale brano musicale di Pinodaniele preferite?

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Concerto Umbria Jazz Pino Daniele Arena Santa Giuliana

Jean Pierre Xausa e gli ultimi dandy

Si fa presto a dire dandy. Se volete sapere cosa significa oggi essere un membro del club dei sofisticati e maledetti che da Lord Brummel in poi hanno loro malgrado segnato in modo indelebile l’arte del vestire al maschile, chiedetelo a lui, Jean Pierre Xausa.

Si aggira sbarazzino nei luoghi deputati alla celebrazione dell’effimero, fra Roma, Firenze, Milano, questo bizzarro gentleman dai modi cortesi. Ti sembra di vederlo ovunque , con i suoi baffi a manubrio di 34 centimetri, il pizzetto curatissimo raccolto in una treccina che gli ha valso la vittoria in varie gare di barba a livello internazionale, e dulcis in fundo, per vederci chiaro, gli occhiali tondi che fanno subito ‘intéllo’, gli stessi che portava il compianto Gianfranco Ferré.

“Sono una perla rara diciamo-spiega Xausa senza falsa modestia-solo in pochi nel mondo scelgono come me di modellare il proprio look sulla falsariga di un oracolo di stile quale era Oscar Wilde, martire del dandismo moderno che non a caso diceva: “Il dandismo è a modo suo il tentativo di affermare l’assoluta modernità della bellezza”. Una massima di vita che Jean Pierre ha fatto incidere, come mostra orgogliosamente, su un prezioso braccialetto dal quale non si separa mai.

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Parlare con Xausa, un dandy old school ma anche un hipster che pare uscito da una macchina del tempo, con la sua redingote damascata (o finanziera) completa di gilet, la cravatta di seta ma ça va sans dire, eco-friendly, la bombetta e il bastone da passeggio con pomello d’argento, significa fare delle inedite scorrerie nella storia della moda, ma anche, per certi versi, calarsi nell’attualità.

Perché i suoi proseliti, i dandy più accaniti in versione 4.0 che da ogni parte del mondo (Parigi, Chicago, Bombay e così via) convergono ogni anno ad Arezzo i primi di maggio, indossano sì completi super ricercati di allure sartoriale e di impronta vittoriana (o umbertina se preferite), ma poi li vedi sfrecciare come provetti motard sulle loro Harley Davidson o le Triumph, per mettere il turbo allo stile.

“Sono i centauri raffinati adepti del club ‘Gentleman’s ride’, una parata di uomini eleganti, impeccabili nei loro suit in tartan, che seguono una consuetudine nata in Australia, quella di sfilare in abito formale su una motocicletta, e lo fanno per scopo benefico -racconta Xausa-infatti raccolgono fondi che saranno devoluti alla ricerca per curare e debellare alcune malattie mentali e il cancro alla prostata, patologia tipicamente virile”.

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L’idea nasce dall’australiano Mark Hawwa. Invaghitosi di una foto che ritraeva Don Draper di ‘Mad men’ in un abito raffinato, Mark ha deciso di mutuarne i codici di stile fondendo l’eccellenza del classico e il gusto vintage trasfuso in una nuova estetica maschile, dinamica e disinvolta, ma per una buona causa. E Jean Pierre è proprio la tipica icona dei nostri tempi che con le sue giacche tre quarti di seta blu gessata e la sua cravatta dal nodo in eco pelle realizzata con stampante 3D, parla quel linguaggio colto e sostenibile.

Chi lo conosce sa che in realtà Jean Pierre si divide fra la sua attività di metalmeccanico e la sua passione per gli abiti. Il sacro fuoco della moda arde in questo curioso personaggio dall’aria dignitosa fin dall’infanzia, da quando cioè la madre, cuoca elegante e attenta alle mode, lo vestiva come il piccolo lord al quale perfino Yves Saint Laurent dedicò una collezione di haute couture. La divisa d’ordinanza sartoriale frutto delle fatiche materne, prevedeva: giacca di velluto, papillon e caschetto biondo.

Originario di Remanzacco, in provincia di Udine, classe 1971, Jean Pierre ha ricevuto un’educazione con tutti i crismi. “Ho studiato in Svizzera e ho affinato la mia creatività attraverso corsi specializzati in grafica e una speciale tecnica di realizzazione dei mosaici, e anche un corso di Belle Arti’.

E siccome la vocazione alla moda non nasce per caso, Jean Pierre ha deciso di declinarla in una linea di moda maschile bespoke, la ‘Mr. JP’ fatta ad arte sul fisico di chi la ricerca e la chiede. Un guardaroba da connoisseur che Xausa disegna e sviluppa dal 2016 in tandem con i suoi amici sarti siciliani, milanesi e friulani, e che si evolverà ben presto anche in un concept di moda femminile.

Un inno al vintage a all’artigianato più autentico che ha conquistato i social, perché oggi il gusto del passato è una vera scoperta per i più giovani: “la mia moda maschile segna la riscossa dei ‘pavoni’, di quei dandy che, sulla falsariga degli elegantoni dell’epoca vittoriana attualizzata, vedi camminare per le vie della Fortezza da Basso a Firenze durante Pitti Uomo, una manifestazione cult alla quale ho partecipato con le mie creazioni maschili e che ho deciso di accompagnare con una piastra elettrica di mia invenzione che consente di curare la barba in modo ottimale, un altro fiore all’occhiello di noi dandy postmoderni”.

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I vincitori dei Belgian Fashion Awards 2019

Ad Anversa sono di scena i vincitori dei Belgian Fashion Awards 2019, una premiazione che vuole riconoscere non solo i creativi, ma anche i professionisti e imprenditori della moda belga.

Un progetto arrivato alla terza edizione e organizzato da Knack WeekendLe Vif Weekend, Flanders DC (Flanders District of Creativity), MAD, Home of Creators e WBDM (Wallonie-Bruxelles Design Mode).

La cerimonia si è tenuta alla borsa di Anversa (Handelsbeurs) – il palazzo della borsa più antico del mondo – che è stata ristrutturata e riaperta per questa occasione.

Oltre alla cerimonia di premiazione è stata anche un’intera giornata dedicata alla moda belga con i Fashion Talks, una conferenza con numerosi interventi per capire come si sta evolvendo il settore.

Con questo progetto Flanders DC ha voluto stimolare il dibattito grazie alle voci di Raf Simons, Glenn Martens, Christopher Morency e Lucie Greene, tanto per citarne alcuni, che hanno parlato della loro visione sul futuro della moda.

Con questa iniziativa si riconferma il carattere indipendente e all’avanguardia della fashion belga, che sin dagli “Antwerp Six” ha rivoluzionato le regole, ma mantenendo forte il senso di appartenenza a un “community” pur nelle differenze individuali.

E proprio per riconoscere questo legame e particolare approccio ha vinto il prestigioso Jury Prize – consegnato da Patrick Scallon, Presidente della Giuria e Communications Director di Dries Van Noten – Dirk Van Saene, uno dei Sei di Anversa, premiato per il suo percorso coerente e lontano dai riflettori che ha privilegiato l’aspetto artistico e artigianale.

Van Saene rappresenta un importante pezzo nella storia della moda belga e come docente all’Accademia di Moda di Anversa ha un grande impatto sulla prossima generazione di stilisti.

Consegnato da Glenn Martens è il premio Designer of the Year che è stato assegnato a Christian Wijnants. La giuria ha evidenziato il suo essere rimasto fedele al suo DNA con la ricerca sui materiali, e in particolare il suo focus sulla maglieria. Il suo marchio è cresciuto in modo continuo e stabile.

Dopo aver aperto il primo negozio monomarca ad Anversa, Wijnants ha aggiunto la linea di calzature e una capsule di maglieria per uomo, che ha riscosso un ottimo successo.

Il premio Emerging Talent of the Year è stato assegnato a un giovane talento belga che lavora con un concetto forte di creatività. Il premio è stato vinto dalla menswear label Namacheko, formato dal duo Dilan e Lezar Lurr, fratello e sorella nati nel Kurdistan e cresciuti in Svezia, per la loro sperimentazione sulle forme e materiali.

Fondato nel 2017 la loro collezione è già venduta da top retailer in tutto il mondo. Pierre Debusschere si aggiudica invece il riconoscimento Professional of the Yearper la forza e originalità delle sue immagini. Il suo lavoro coniuga  arte e moda, rappresentando una voce distintiva nel mondo dei media, che spinge sempre più avanti il confine dell’immagine.

Il premio Entrepreneur of the Year è stato vinto da Sofie D’Hoore e Chantal Spaas per il loro successo internazionale e il modo davvero organico in cui stanno costruendo un business fondato sul prodotto e non sulla comunicazione. Tra 10 marchi tutti belgi ha vinto Arte, premium menswear label dallo spirito streetwear, il riconoscimento Fashion Brand of the Year. 

Infine come Most Promising Graduate of the Year la giurianon ha scelto un solo vincitore, ma ha ritenuto tutti ex aequo i sette finalisti selezionati: Bart Lapere, Dominique Rocour, Eve Delperdange, Maria Ossaba, Quinten Mestdagh, Samuel Quertinmont e Thurel Thonet. 

I due premi speciali – UPR prize e quello del Musée Mode & Dentelle – sono andati rispettivamente a Florence Cools e Artur Tadevosian per il marchio Damoy e all’Emerging Talent Namacheko che verrà incluso nella collezione permanente del Museo.

Un’edizione che ha voluto ribadire il ruolo della moda Made in Belgium come territorio in cui l’indipendenza di pensiero, spesso under the radar, restano alla base di approccio creativo sempre riconoscibile, anche nel passaggio tra le generazioni.

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Sakeya: il Giappone non è mai stato così vicino

Quando si parla di passioni legate a cibo e bevande, entriamo nell’ambito della ricerca di un sapore che sappia conquistare con la sua identità e raccontare nel profondo un mondo che appartenga solo a quel piatto. O di un percorso di gusto, tutto da versare, in cui si riflettano luoghi lontani e gesti diligenti che conducono a un risultato impeccabile, quello delle migliori etichette di “nihonshu” (quello che siamo soliti chiamare impropriamente sakè) mai assaggiate prima.

La parola sakè sta ad indicare tutte le bevande alcoliche, dal vino, alla birra e alla vodka. Questo e altri importanti dettagli vi avvicineranno sempre di più ai suoi segreti, nel luogo che coltiva e diffonde la passione per il sakè e l’arte culinaria giapponese, a Milano in via Cesare da Sesto, che vanta la cantina più grande d’Europa. (sakeya.it)

In una calda atmosfera un po’ retro impreziosita da oggetti d’antiquariato giapponese, lo chef Masaki Inoguchi vi condurrà negli svariati percorsi che può offrire un sakè più secco o profumato, e dunque adatto ad accompagnare anche piatti consistenti di carne, pesce o formaggi.

Un procedimento preciso che lo caratterizza e gli conferisce il suo speciale aroma, ha inizio dalla fermentazione del riso, precedentemente levigato in seguito all’aggiunta del distillato, può raggiungere tipologie di sakè molto raffinate come lo Hiyashibori fruttato aromatico (ha un profumo di banana), il cui riso viene levigato fino quasi al 50% lasciando solo il cuore dell’amido, questo procedimento speciale viene chiamato “daiginjo”.

A questa tipologia lo chef propone sashimi di ricciola marinata in salsa sesamo con chip di shiso (basilico giapponese), wagyu tataki (manzo giapponese) e uovo cotto a bassa temperatura da rompere e consumare come un’insalata. Solo uno degli esempi che il menù propone a tutti i curiosi che vogliono avvicinarsi a quest’affascinante bevanda alcolica o che semplicemente vogliono gustare un aperitivo o una cena sfiziosa guidati dalla sapiente voce di un sakè sommelier.

Il menù invece si compone di quattro sezioni. La prima comprende i piatti “Obanzai”, il tradizionale stile di cucina originaria di Kyoto come il Wagyu Tataki o il Goma Hiramasa (sashimi di ricciola marinata in salsa al sesamo bianco, tempura di shiso croccante).

La seconda propone Sumibi Kushiyaki, brace giapponese al carbone dove si può trovare anguilla, pollo, black cod, wagyu, salmone, pancetta di maiale e funghi cardoncelli, golosi spiedini perfetti anche per la condivisione.

La terza accoglie i piatti iconici dello chef Masa come il Kan Okoge (granchio reale dell’Alaska cotto al vapore accompagnato da riso soffiato croccante e crema di sedano rapa al miso bianco) e lo Yaki Tako (polpo in tre cotture con crema di zucca masala e chips di patate dolci viola).

La quarta presenta Masu Chirashi (riso aromatizzato allo shiso rosso con alga nori, sesamo tostato e salsa di soia) da accompagnare con salmone ikura ; qualche Sushi, Wagyu soba e Edo Ramen, oltre allo Shime Yaki-don (bowl di riso con uovo in camicia, porro e salsa teriyaki) servito con salmone, foie gras o pollo.

Promotori di questo format che apre le porte non solo allo straordinario mondo del sakè, ma anche alla tradizione culinaria giapponese quando non si limita al sushi, sono Lorenzo Ferraboschi, referente italiano per la SSA (Sake sommelier Association), e Maiko Takashima, Ambasciatrice della Prefettura di Yamagata del riso tsuyahime, un riso edibile di altissima qualità.

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Giornata Mondiale contro l’AIDS

In occasione del 1° dicembre 2019, Giornata mondiale per la lotta contro l’AIDS, ASA Associazione Solidarietà AIDS e Arci Gay, in collaborazione con ALA Milano e ANLAIDS Lombardia, organizzano una serata speciale in 10 Corso Como Tazzoli, per pensare in modo diverso alle persone che vivono con HIV e ribadire l’impegno contro lo stigma e il pregiudizio che ancora oggi le colpisce.

Con il patrocinio dalla Regione Lombardia e del Consolato Generale degli Stati Uniti d’America, Asa presenta la nuova campagna #zerovirale sul tema U=U: Undetectable = Untransmittable, per confermare che un virus non rilevabile, Undetectable, non è trasmissibile: Untransmittable.

La campagna video è stata ideata da Marco Gucciardi, Art Director, che ha coinvolto diverse agenzie internazionali di comunicazione. Insieme hanno sviluppato un progetto creativo per riaffermare che le persone sieropositive in cura non possono trasmettere il virus. Un’iniziativa che si rivolge in particolare ai giovani, spesso disinformati sulle modalità di trasmissione della malattia.

Marco Gucciardi: «Oggi vivere con l’HIV significa vivere una vita normale, come tutti. Soprattutto se si ha carica virale zero. Partendo da questo principio quest’anno ASA ha sviluppato un progetto di comunicazione con DLV BBDO, una della più importanti e premiate agenzie di comunicazione internazionali. Una campagna multi-soggetto che verrà diffusa sui social, con l’obiettivo di sensibilizzare il target più giovane, un messaggio che invita a superare la diffidenza verso le persone sieropositive ancora soggette a discriminazioni».

Andrew Quinn, videomaker e Computer Graphic Artist australiano, ha ideato un video interattivo dal titolo “IN QUILT”, per celebrare Le Coperte dei Nomi che ASA raccoglie dal 1989. La collezione italiana di AIDS Memorial Quilts o delle Coperte dei Nomi, considerata tra le più estese opere collettive al mondo, è stata digitalizzata grazie alle tecnologie di Google Arts & Culture.

Da giugno Le Coperte dei Nomi (THE QUILT), coperte disegnate e ricamate da amici o parenti di vittime dell’AIDS, affinché il loro ricordo non vada perduto, sono fruibili da tutti e in qualsiasi momento sul sito Google Arts & Culture.

Numerosi artisti e fashion designer hanno creato esclusivi artwork per una limited edition di t-shirt. A questo progetto speciale hanno contribuito l’illustratrice Lucia Emanuela Curzi, autrice dell’immagine invito, l’artista Mariano Franzetti, le fashion label Andrea Pompilio, Salar Milano, Salvatore Vignola e Huge Underground Business. Alcuni fashion designer hanno interpretato il tema con grafiche ironiche (l’artwork di Mariano Franzetti) o più informative come Huge Underground Business, mentre altri si sono concentrati su slogan forti (“Discrimination has no sense” per Salar Milano) o messaggi di speranza per regalare coraggio nel quotidiano, come quello di Salvatore Vignola con il suo “Andrà tutto bene”.

Tutte le t-shirt sono state realizzate da Manuel Ritz, che rinnova il suo impegno attivo contro l’AIDS. La serata, affidata all’abile conduzione di Fabio Marelli, speaker di Discoradioha due testimonial d’eccezione: Fabrizio Sclavi e il Dj Claudio De Tullio, protagonista di uno speciale DJ Set. 

Conclude Massimo Cernuschi, Presidente di ASA: «Le persone in terapia efficace da almeno sei mesi non trasmettono il virus con i rapporti sessuali. Questa svolta epocale noi la sintetizziamo in U=U. Eppure in Italia i media e le istituzioni la ignorano. Con #zerovirale speriamo di dare una bella scossa».

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Intervista a Riccardo Maria Manera

Riccardo Maria Manera ha iniziato a recitare davvero prestissimo, a soli quattro anni, poi non ha pensato di fare questo mestiere fino all’età adulta. Ora non ha dubbi: la sua strada è questa e gli sta regalando tantissime soddisfazioni, infatti lo vediamo tra i protagonisti di “volevo fare la rock star su Rai2”.

Hai iniziato a teatro nel lontano ‘98 a soli 4 anni, portando avanti 180 repliche di “Pensaci Giacomino”. Che ricordo hai, se lo hai?

Confermo tutto! Diciamo che è il ricordo che qualsiasi altro bambino ha dell’asilo, ecco il mio è stato un po’ diverso, solo questo. Potrei dirti qualche sporadico flash sul palcoscenico, o qualche giochino per farmi rimanere in scena senza correre il rischio che scappassi via. Qualcosa dev’essermi rimasto per forza sennò non farei la stessa cosa a venticinque anni.

Diciamo che la tua carriera era già scritta o hai mai pensato di fare altro nel frattempo?

Non ho mai voluto far l’attore fino a vent’anni, essendo figlio di attori, ho dovuto ribellarmi al volere della famiglia e quindi sognavo di fare altre cose. Nonostante loro intravedessero un talento e volessero farmi fare dei corsi, io ho desistito dicendo di no. In realtà volevo fare il giornalista sportivo, poi il destino invece mi ha portato sul set, ed ho capito che questo era il mestiere più bello del mondo ed avrei voluto continuare così.

Quale è stata la scintilla che ti ha fatto capire che era questa la strada da percorrere?

Era l’opera prima di Irene Pivetti, ed avevo una figurazione speciale, nel preciso istante in cui mi son trovato davanti alla macchina da presa, non posso dire altro che me ne son innamorato.

Ora sei in tv con ‘Volevo fare la rock star’, ti senti un po’ rock?

Sono quanto di più distante dal mio personaggio, per me il massimo della gioia sono divano e zapping. Diciamo che ho dedicato molto tempo ad Eros per capirlo, lo definirei un bell’incontro. Mi ha fatto vedere la vita sotto un altro punto di vista travolgendomi completamente.

In prima serata su rai 2 portate in scena baci omosessuali, non è da poco, che hai pensato quando hai letto il copione?

Beh, mi son detto “che audacia!”, anche se essendo alle porte del 2020 non dovrebbe nemmeno più far parlare in quanto naturale e normale se vogliamo dire.

Pensi che iniziare a lavorare così presto ti abbia tolto qualcosa della vita di un ragazzino?

Assolutamente no, perché a parte il periodo dell’asilo che non ho fatto, poi grazie ai miei genitori condotto una vita molto normale. Ho fatto veramente tutto e anche peggio, tipo sei anni di liceo classico, son stato anche bocciato.

Dove ti senti più a tuo agio o comunque ti piace di più tra cinema, tv e teatro?

Il teatro forse dovrei approfondirlo, perché alla fine dei conti non ne ho fatto tantissimo a parte il periodo del centro sperimentale. La TV adesso è la mia casa, semplicemente perché ho una serie in corso, però non c’è nulla che metterei al primo posto.

Hai 25 anni, che rapporto hai con i social?

Sono cresciuto con loro, ho scoperto di essere un Millenial da poco, diciamo che Facebook non lo uso quasi mai e preferisco Instagram in quanto più immediato. Realmente non penso di essere molto capace, vedo che i miei cuginetti sono molto più bravi di me.

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Man’s world taste experience: il nuovo concept event che celebra le passioni maschili

 “Taste the Man’s World experience”: questo il fil-rouge dell’imminente Man’s World | Taste Experience, un concept event in cui provare esperienze esclusive e altamente personalizzate tra piatti gourmet, vini e distillati d’eccellenza, automobili e moto customizzate, fragranze sofisticate, abiti sartoriali e accessori hi-tech. Un concept event che mette insieme due eccellenze specializzate nel valorizzare passioni e gusti maschili: Man’s World, l’appuntamento internazionale dedicato all’universo maschile e giunto con successo alla terza edizione; e Taste, il rendez-vous che da ormai dieci anni fa incontrare l’eccellenza della ristorazione con i palati più esigenti.

Quattro giorni per ritagliarsi del tempo per sé stessi, divertirsi, scoprire i menu di rinomati ristoranti milanesi e vivere appieno le proprie passioni. L’appuntamento è da giovedì 28 novembre a domenica 1° dicembre a Milano, in un contesto all’avanguardia come quello di Superstudio Più (via Tortona 27), che per l’occasione diventerà “the place to be”: il luogo in cui liberare la propria curiosità grazie all’unico weekend (lungo) interamente dedicato ai gusti e alle passioni in tutte le loro forme, da trascorrere anche in dolce compagnia.

Forte delle ottantamila presenze delle ultime edizioni europee l’evento torna quindi in Italia per offrire a ogni uomo un’imperdibile occasione per riappropriarsi del proprio tempo libero e vivere intensamente le proprie passioni. Arte e cultura, food & beverage, toys e games, tecnologia e automotive, un hub esclusivo in cui immergersi in esperienze uniche e toccare con mano storie autentiche

L’organizzazione di Taste invece si presenta con unesperienza culinaria al maschile, che  non mancherà di attrarre l’attenzione femminile, in attesa delle celebrazioni per la decima edizione di Taste of Milano, in programma per la primavera 2020. L‘Experience vedrà partecipi 5 rinomati ristoranti della città: Attimi by Heinz Beck, Langosteria, Gong, La griglia di Varrone e Terrazza Calabritto.

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Natale 2019, idee regalo tra tech e lifestyle

Che ci piaccia o no il Natale si sta avvicinando anche quest’anno, e con esso l’irrefrenabile voglia di stupire i nostri cari con idee regalo utili e soprattutto non banali.
In questa gallery trovate alcune proposte interessanti tra tech e lifestyle, per non sfigurare durante le prossime feste.

MOLESKINE

La scatola da collezione David Bowie è ispirata dal talento unico e dal continuo reinventarsi di un iconico cantautore, un pensatore creativo e visionario. Questa Limited edition cattura l’identità in continua evoluzione del cantante con custodia con effetto cangiante che trasforma Aladdin Sane in Ziggy Stardust. All’interno si trova un taccuino numerato in edizione limitata che ritrae Bowie e il suo celebre logo.

SPARCO FASHION

Orologio Sparco sportivo da uomo, cinturino rosso in silicone con disegno pneumatico.

VALVERDE

Una bottiglia da collezione in Limited Edition realizzata dagli studenti del Polimoda. Il formato da 250ml è amato da un pubblico attento al gusto e alla forma, in grado di svelare un’anima innovativa e ricercata, fuori dai canoni tradizionali. 

JAGERMEISTER

Jägermeister Manifest, la prima referenza super-premium della gamma, nata per soddisfare i palati più maturi ed esigenti che amano un liquore più esclusivo, da assaporare in occasioni più rilassate. 

ESPOLON

Il Tequila Espolòn Blanco commemora la storia dell’Indipendenza del Messico in cui Guadalupe e Rosarita si unirono alla valorosa campagna militare di padre Miguel Hidalgo. Una qualità primaria ottenuta senza invecchiamento dal processo di distillazione del puro agave blu. 

NARDINI

La Grappa Riserva Selezione Bortolo Nardini Single Cask 22 anni completa la linea ultra premium “Selezione Bortolo Nardini”, frutto di un progetto che stabilisce una nuova soglia di qualità per il distillato nazionale italiano con la scelta delle grappe più morbide, profumate e dolci.

BORSALINO

Cappello in modello baseball. Maxi logo foliage con fodera interna.

PELTY

Pelty è l’unico speaker bluetooth al mondo azionato dal calore del fuoco per riprodurre la musica di ogni device, utilizzando energia pulita per il suo funzionamento.

U.S. POLO ASSN.

Modello stringata brown suede

RICHARD MILLE E PHARRELL WILLIAMS

Questo orologio, ispirato al cosmo, vede la collaborazione tra Richard Mille e Pharrell Williams ed è realizzato utilizzando materiali altamente tecnologici lavorati manualmente in miniatura, utilizzando la tecnologia più avanzata.

GPO

GPO Union Flag Phone si ispira all’iconico modello push button protagonista di tutte le case negli anni ’60, unendo design vintage, linee classiche e tecnologia moderna per un effetto british assicurato.

PAPIRHO

Lo sgabello in carta di Papirho dall’inconfondibile struttura a nido d’ape, pratico, leggero e allo stesso tempo resistente. Perfetto sia come seduta sia come tavolino d’appoggio nella zona living. 

ZACAPA

Rum Zacapa Reserva Limitada 2019 nasce dalla miscela di rum invecchiati tra i 6 e i 24 anni, affinati in botti da moscato appositamente selezionate. Il risultato è un distillato dalle note vivaci di vaniglia e legno, accompagnate da sentori agrumati e floreali. 

DISARONNO

“Disaronno wears Diesel” è una Limited Edition dallo stile contemporaneo e “grintoso” che riflette l’animo delle due realtà che la firmano, due aziende italiane apprezzate a livello internazionale, unite da una profonda vocazione all’innovazione e da un vivace spirito creativo.

WHISKY JOHNNIE WALKER BLUE LABEL RARE SIDE OF SCOTLAND

Bottiglia in edizione limitata del whisky più distribuito al mondo, appena lanciata in Italia per questo Natale. La grafica della bottiglia rende omaggio alle rarità e bellezze della Scozia, terra tanto cara agli appassionati del distillato.

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Weekend in Austria: la regione del Wörthersee

In un luogo da favola, nel sud dell’Austria riscopriamo i colori e le atmosfere dell’autunno, all’interno di un antico e famoso castello trasformato in un raffinato retreat di lusso dove tradizioni centenarie e architettura contemporanea convivono in perfetta armonia.

Un autentico castello sul lago

Il Falkensteiner Schlosshotel Velden è un luxury retreat 5 stelle appartenente alla catena Leading Hotel of the Worlds e si affaccia sul celebre lago Wörthersee. In questo contesto, il tempo sembra essersi fermato a contemplare uno scenario incantato dove il paesaggio unico e sorprendente ci avvolge in una struttura di charme.

Possiamo cominciare la nostra giornata con una prelibata ed elegante colazione con vista sul lago e proseguirla presso l’Acquapura SPA & MED, un tempio del benessere il cui leit motiv è “let it slow”. La lentezza, in questo caso, è intesa come il lusso di potersi rigenerare e abbandonare a trattamenti tailor made in una magnifica area benessere che dispone di 3.600 m² di superficie.

Anche la cucina ci seduce con i suoi sapori raffinati all’interno dei diversi ristoranti dove i piatti sono serviti in modo accurato e con grande attenzione ai dettagli. Il panoramico Seespitz è un elegante bistrot che si affaccia direttamente sul lago, mentre il Schlossstern è  un “atelier” in cui la varietà dei sapori della Carinzia e dei prodotti slow food selezionati nella regione Alpe-Adria vengono preparati secondo le modalità della cucina giapponese. Entrambi sono guidati dallo chef Thomas Gruber, che dimostra di essere un vero artista del gusto, in grado di sperimentare creazioni che stupiscono anche i palati più esigenti.

Cosa fare a Velden 

Velden am Wörthersee attrae soprattutto d’estate con il suo lido esclusivo e per il fatto di essere una destinazione mondana con tante proposte per lo sport e l’intrattenimento. Tuttavia in inverno durante il periodo dell’Avvento la cittadina incanta allo stesso tempo molti visitatori. 

Con il laboratorio degli angeli, il mercatino dell’artigianato, il battello dell’Avvento, la corona galleggiante nel lago possiamo immergerci in un paesaggio davvero idilliaco. La località, si è anche affermata come ritrovo carinziano dell’alta società e degli amanti delle feste. Il Casinò contribuisce certamente a questa fama con un ricco e variegato calendario di appuntamenti.

Visitare il Wörthersee

In auto o in battello invece si raggiunge la riva meridionale del lago dove sorge Maria Wörth, meta frequentata per i suoi centri d’eccellenza dedicati alla salute, ma anche per gli amanti delle escursioni. 

Dal punto più alto del paese domina la Pyramidenkogel Turm, una struttura che raggiunge oggi i 100 metri di altezza ed è la torre panoramica più alta del mondo.

Per gli amanti delle escursioni, due sentieri particolarmente apprezzati sono l’anello del Wörthersee e la via di pellegrinaggio mariano “Marienpilgerweg” in Carinzia, che conduce tra l’altro al santuario di S. Anna. I più romantici invece, apprezzeranno passeggiare sulla sponda del lago, alla ricerca di uno scatto perfetto immersi nel foliage autunnale.

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André Aciman: «I protagonisti dei miei libri amano bere, proprio come l’autore»

Lo scrittore dei capolavori ‘Chiamami col tuo nome’ e ‘Cercami’ è stato protagonista di una delle serate del Zacapa Noir Festival. Per l’occasione, a lui è stato dedicato il cocktail «La Recherche».

Incantevolmente innamorato. Dei suoi libri, della sua famiglia, della sua vita, della scrittura e delle città che ha conosciuto (tra tutte Roma, Milano e New York City, «che ha amato ma solo dopo averle salutate», ci tiene a sottolineare con il sorriso). 

André Aciman, lo scrittore di alcuni dei più belli capolavori letterari degli ultimi anni, tra tutti ‘Chiamami col tuo nome’ (diventato anche un film diretto da Luca Guadagnino, vincitore di un premio Oscar) e ‘Cercami’ (sequel del citato precedentemente) è stato protagonista di una delle serate del Zacapa Noir Festival, al Memo Restaurant di Milano, un luogo in cui convivono food e performance.

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I suoi libri sono diventati, in pochissimo tempo, classici della cultura gay e i lettori, innamorati dei suoi personaggi (tra tutti, Timothée Chalamet) e dell’amore moderno che si percepisce leggendo tra le pagine, sono diventati parte integrante della vita di Aciman.

«Mi scrivono lettere bellissime: mi raccontano di quando hanno provato la promessa dell’amore nella loro vita, ma anche dell’amore che avrebbero voluto provare dopo la lettura. Mi scrivono mail, lettere a mano, su Facebook». E gli regalano anche pesche mature (che richiamano una delle scene più sensuali del libro e anche del film). In questi giorni, lo scrittore è a Milano per presentare il nuovo libro ‘Cercami’, il sequel di ‘Chiamami col tuo nome’, ambientato 15 anni dopo il primo.

Una sintesi perfetta della sua poetica. Un inno all’amore senza tempo, classico, in tutte le sue sfumature. «Nelle due storie, c’è qualcosa di autobiografico, certo», svela Aciman. «Ma anche qualcosa che ho sentito, che ho visto vivere da altre persone vicine a me. Ho vissuto, in prima persona o in seconda, tutte le esperienze dei protagonisti dei libri». 

Importante, nella vita dello scrittore, è stata anche la figura del padre, un uomo moderno, che lo ha educato in tutte le sfere della vita: «Negli anni 60, un giorno, mi ha rivelato la seguente frase: una volta che ti sei spogliato, puoi fare tutto quello che vuoi, con il rispetto del prossimo, senza alcun tabù», ha confidato.

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In occasione del Zacapa Noir Festival, a Aciman è stato dedicato il cocktail «La Recherche» («I protagonisti dei miei libri amano bere, proprio come l’autore», ha svelato ridendo), che cerca di unire ingredienti di diverse zone geografiche, alla ricerca di un omaggio a vari paesi che hanno trovato un posto importante nella vita reale e letteraria dello scrittore.

La ricerca è anche parte dell’opera più importante di Proust, di cui Aciman è grandissimo cultore, oltre che parte integrante della sua vita accademica. Ecco la ricetta esclusiva del suo drink a base di rum Zacapa.

Il pandano come omaggio all’oriente africano, assieme al cardamomo e il caffè, il primo usato in nord Africa nel consumo del secondo. Lo sciroppo di Masala è un altro riferimento alle origini, mentre il basilico e la salamoia d’oliva sono un richiamo alla Liguria, dove sono ambientate le vicende del libro ‘Chiamami col tuo nome’. 

Per il cocktail La Recherche gli ingredienti sono:
30 ml Zacapa 23 
15 ml Pandano 
2 gocce Tintura di cardamomo al caffè 
15 ml Sciroppo di masala 
20 ml Zenzero 
1,25 ml Salamoia d’oliva 
20 ml Limone 
Foglia di basilico 

Assolutamente da provare.

Testo a cura di Angelo Ruggeri.


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#JoinTheFight – la raccolta fondi di UnoCashmere e LILT

UnoCashmere, l’esclusivo luxury brand di Simona Colombo è al fianco dell’Associazione LILT per diffondere l’importante messaggio #JoinTheFight – insieme si è più forti nella lotta contro i tumori – attraverso un’iniziativa di raccolta fondi.

Parte del ricavato delle vendite dello shopping solidale sarà destinato al sostegno delle attività di prevenzione e di diagnosi precoce dei tumori offerta da LILT attraverso le sue campagne di sensibilizzazione.

Lo shopping solidale di maglieria e accessori in cashmere UnoCashmere inaugurerà martedì 26 novembre presso Potafiori – Fiori Milano con un evento esclusivo durante il quale la cantafiorista Rosalba Piccinni canterà per gli ospiti.

Da segnalare per l’intero periodo la presenza di Giuseppe di Cecca, noto stylist internazionale, a disposizione per consigli di stile.

LILT Milano è un’associazione senza scopo di lucro che opera dal 1948 sul territorio di Milano e Monza Brianza. Oltre a sovvenzionare la ricerca, si occupa di prevenzione, diagnosi precoce e assistenza ai malati con l’aiuto di 700 volontari.

La maglieria UnoCashmere nasce nel 2008 dall’incontro tra le nobili fibre del cashmere, e la storia di Simona Colombo, psicologa, fondatrice e Art Director del brand. Questa maglieria è sinonimo di manifestazione di identità e personalità. Ogni capo è un intreccio sapiente di tradizione e sperimentazione, artigianalità ed emozione, unite per dare vita a piccoli pezzi speciali espressamente pensati e creati per chi li indosserà. Un nuovo concetto di concepire la maglieria, che si rinnova e acquista un twist contemporaneo.

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Al Lamezia International Film Festival trionfa Jean-Jacques Annaud

Jean-Jacques Annaud è forse uno dei registi più celebri e più simpatici al mondo, il vero francese cha ama la vita e tutto ciò che di bello può offrirle. La sua carriera inizia con un Oscar al suo primo film “Bianco e nero a colori”, come asserisce lui, difficile andare avanti con il supporto della critica, ma Annaud è riuscito egregiamente, lo abbiamo incontrato al Lamezia International Film Festival dove ha ritirato il premio Carl Theodore Dryer.

Hai vinto tutti gli awards al mondo, quale statuetta ti manca a casa?

Non posso assolutamente lamentarmi, ho avuto una carriera fantastica, non credo di aver bisogno di altri premi. Posso dirti una curiosità però a riguardo, ovvero sono sempre stato invitato al festival di Cannes, ma ho sempre rifiutato di andarci. Son sempre stato amico di tutti quelli che si occupavano della selezione e del management della manifestazione, il mio problema è che avendo avuto troppi successi precedentemente, sarei solo stato l’uomo da distruggere a Cannes. La questione è che c’è troppa stampa in quel Festival, e in ogni modo devono trovare qualcosa da dire. La mia problematica personale è che ho vinto un Oscar per il mio primo film, ed è difficile da superare come situazione, infatti sapevo che qualsiasi film avessi fatto avrei avuto la stampa contro.

Hai avuto colleghi con la stessa esperienza?

Sì, assolutamente, uno dei miei più cari amici è Luc Besson, ed ogni volta che è andato invece che ricevere applausi ha solo ricevuto pallottole da una macchina spara palle. Essere messi alla gogna non fa mai bene alla creatività di un artista.

Uno dei film più celebri rimane “Il nome della Rosa”, volevo sapere se avessi realmente girato realmente a Torino alla Sacra di San Michele il film.

La storia è che il film è ovviamente tratto dal romanzo di Umberto Eco, il quale, è poi diventato un carissimo amico, ed all’inizio ha voluto che visitassi il luogo che lo aveva ispirato. Ma poi non ho girato li, ho ricostruito tutto il set in studio a Roma con il grandissimo Dante Ferretti, il quale ne ha vinti più di me di Oscar. È costato una fortuna, infatti la produzione non era felicissima, ma poi i risultati son arrivati, quindi tutti contenti. Fu il più grande set mai costruito a Cinecittà dai tempi di Cleopatra. È stato impegnativo ma non riuscivo a trovare un posto che si avvicinasse a quello che mi ero immaginato quando ho letto il libro.

Hai fatto lo spot di Jadore di Dior con Charlize Theron, ed è subito diventato cult per i fashionisti, tutto quello che fai diventa magico.

Allora non ho fatto tutto da solo, è stata una sinergia di elementi messi insieme, in quanto Charlize era già testimonial per il brand. Io ho avuto l’idea di girare a Versailles, ma è molto difficile avere il permesso di fare una cosa del genere. Quando l’ho detto ad un meeting con Bernard Arnault, il proprietario del marchio LVMH, tutti i presenti mi hanno guardato come se fossi pazzo, nel frattempo Bernard si era alzato, ed io credevo fosse per andare in bagno, ma no è tornato è ha detto ok si gira alla “Galleria degli specchi”. Bisogna pensare ed osare nella vita.

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Mangiamo sano: 3 app per mangiare bene e restare in forma

Oggi c’è molta più attenzione da parte di tutti sull’alimentazione e il mangiare sano e in modo equilibrato, e alllo stesso tempo per il restare in forma facendo attività sportiva. Non tutti però possono permettersi di andare da un nutrizionista o di pagare un abbonamento in palestra, o semplicemente trovare il tempo che – per via di impegni familiari e di lavoro – non è abbastanza per dedicarsi a ore di attività fisica fuori casa o per leggere libri che parlano di alimentazione sana.

Ecco quindi venire in auto le App per mangiare sano e restare in forma.

Le App per mangiare sano sono davvero molte. e se vi collegate al vostro Google Play Store o all’App Store Apple, potrete trovarne a migliaia, ed è proprio per questo motivo che ne abbiamo selezionate solo 3, quelle che secondo noi sono le più affidabili.

3 app per mangiare sano e restare in forma

Lifesum: Dieta con conta calorie per perdere peso

Questa App per mangiare sano permette di realizzare una dieta personalizzata con piano alimentare, calcolo calorie e tante gustose ricette. Tutto in un’unica app. E’ scaricabile sia su Android che su iPhone.

Lifesum in breve ha le seguenti funzioni:

  • piano alimentare
  • ricette gustose
  • dieta personalizzata con controllo dei progressi
  • calorie e informazioni alimentari
  • conta calorie con consigli per mangiare sano e perdere peso.

Questa app per mangiare sano e restare in forma è free ma ha anche opzioni aggiuntive che si possono utilizzare solo scaricando le versioni con piani a pagamento.

Diario alimentare

App per mangiare sano che permette di verificare quanto si mangia controllando la dieta e tenere proprio come un diario scritto la lista dei cibi consumati, ideale quindi anche per chi vuole controllare eventuali allergie o intolleranze alimentari per poi riferirlo al proprio medico curante.

Inoltre controllare ciò che si mangia e quanto si mangia permette di aiutare a smettere di mangiare in modo eccessivo.

A portata di click si hanno consigli alimentari, il tutto con un design molto carino e con un database di prodotti alimentari davvero ricco e la possibilità di personalizzarlo aggiungendone altri.

Yazio

Yazio è disponibile sia per Android che per sistema iOS. Con questa App è possibile tenere sotto controllo le calorie ingerite giornalmente, basta inserire per ogni pasto cosa si è consumato e la quantità.

Ricorda anche che bisogna bere acqua e quanti bicchiere berne al giorno sulla base del proprio fabbisogno. Una volta scaricata va inserito il sesso, peso, altezza, età, attività fisica che si fa e obbiettivo da raggiungere, così calcolerà il vostro fabbisogno giornaliero. Traccia i valori corporei e le percentuali dei macronutrienti assunti durante la giornata.  

Se mancano dei cibi nel database si possono aggiungere manualmente e ci sono molte funzioni che a piacere potete aggiungere a pagamento, altrimenti la versione base è del tutto gratuita.

Yazio è un contacalorie e un diario alimentare ideale per chi vuole mangiare sano e tornare in forma.

Pancake americani: ricetta per farli in casa

La ricetta perfetta Pankake fatta in casa è facile da fare con ingredienti che probabilmente hai già a portata di mano. Pupi usare la ricetta anche per fare mix di pankake o frittelle di latte.

Ricetta per fare i pankake in casa

Ingredienti per pankake americani

  • 200g farina 00
  • 1/2 cucchiaino di lievito in polvere disidratato
  • 1 cucchiaio di zucchero semolato dorato
  • 3 uova grandi
  • 25g di burro fuso
  • Burro q.b.
  • 200 ml di latte
  • olio vegetale

Farcitura pankake

Per il condimento potete sbizzarrirvi: dallo sciroppo d’acero, pancetta cotta, bacon, gocce di cioccolato, mirtilli o burro di arachidi e marmellata.

pankake

Come preparare i Pankake americani

Mescolare la farina, il lievito, lo zucchero semolato e un pizzico di sale in una ciotola grande.

Creare un pozzo al centro con la parte posteriore del cucchiaio quindi aggiungere le uova, burro fuso e latte. Sbattere insieme con una frusta a palloncino, uno sbattitore a mano o elettrico fino a quando non avete ottenuto una pastella liscia ed omogenea. Versare in una caraffa.

Scaldare una padella grande e antiaderente con una piccola noce di burro e 1 cucchiaino di olio a fuoco medio. Quando il burro sembra schiumoso versare la pastella realizzata per i pankake in cerchi rotondi di circa 8 cm di diametro.

Cuocere i pancake sul loro primo lato per circa 1-2 minuti o fino a quando piccole bolle iniziano ad apparire sulla sua superficie. Capovolgere i pankake e cuocere per un altro minuto dall’altra parte. Ripetere fino a quando tutta la pastella è esaurita.

Servite i vostri pancake impilati su un piatto da portata e su un vassoio la farcitura che preferite utilizzare per gli stessi.

Ricordate che possono essere conservati in frigorifero per 2 o 3 giorni, messi sempre dopo che si sono raffreddati. Se invece ne avete fatti troppi e non volete buttarli potete anche congelarli e poi scongelarli a temperatura ambiente qualche ora prima del loro consumo o metterli nel forno per lo scongelamento.

Ideali consumati la mattina a colazione con un buon caffè americano, un tè caldo o anche per uno spuntino pomeridiano. Non manca anche chi li consuma come pasto farciti con condimenti salati come i salumi.

Stonehenge: 5 misteri della cittadina inglese

Il monumento megalitico di Stonehenge, di 5.000 anni fa nel Wiltshire, in Inghilterra, è stato esaminato dagli scienziati per secoli. E anche se la nostra comprensione della struttura è aumentata notevolmente, in particolare negli ultimi anni, persistono domande su chi abbia costruito Stonehenge. Ma vediamo ora quali sono i misteri della cittadina inglese.

5 misteri di Stonehenge

1. Al piano terra, le rovine di Stonehenge appaiono un po’ casuali e caotiche, ma una vista dall’alto rivela l’ordine circolare del monumento. Il sito iniziò modestamente intorno al 3100 a.C. come un ampio anello di pali di legno circondato da un fossato. Le enormi lastre di roccia, alcune portate da centinaia di chilometri di distanza, sono state aggiunte all’interno per un periodo di circa 1.500 anni.

2. Ha richiesto una delle gru più grandi d’Inghilterra per sollevare gli enormi architravi di Stonehenge durante un progetto di riabilitazione nel sito nel 1958. Le dimensioni delle pietre utilizzate per costruire l’antico monumento – alcuni pilastri sono lunghi 9 metri e pesano 50 tonnellate (45 tonnellate metriche) – e le distanze che sono state spostate hanno portato a teorie di coinvolgimento soprannaturale nella costruzione della struttura.

3. Resti preistorici trovati a Stonehenge e dintorni suggeriscono che i visitatori sono venuti sul sito non solo dal sud della Gran Bretagna, ma forse dall’Europa continentale. Il monumento mistico è ancora un faro per i pellegrini, dai Druidi ai pagani, dagli hippy agli edonisti, ai semplici curiosi. Qui, i festaioli circondano un respiratore di fuoco durante una popolare celebrazione del solstizio d’estate.

4. E’ un osservatorio astronomico se ne deduce dal fatto che quasi tutte le pietre di Stonehenge sono precisamente individuate e correlate a eventi significativi dei pianeti che orbitano come solstizi. Un suggerimento che Stonehenge è forse un luogo dove l’antica astronomia ha avuto luogo, forse in parte guidata dalla necessità di prevedere le stagioni agricole.

5. Allineamento delle pietre di Stonehenge quando avviene il solstizio d’estate sembra suggerire che qui vi facessero cerimonie e rituali legati proprio all’osservazione di luna e sole, inoltre gli studiosi legano questi rituali alla fertilità, alla morte, all’aldilà e alla vita.

Questi sono tutti misteri e supposizioni fatte da studiosi che da anni studiano il sito e le sue pietre, ma bisogna considerare il fatto che risale a oltre 1500 anni e il suo utilizzo e significato potrebbe essere cambiato di popolo in popolo passato su quelle colline.

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Fazzoletto giacca: ecco come si piega in modo corretto

Il fazzoletto giacca è un must dell’abbigliamento uomo, utilizzato per abbellire la giacca e portato in diversi colori a seconda del colore dell’abito e dell’occasione richiede che venga piegato in modo corretto. Che dire un po’ come fare il nodo alla cravatta, i modi sono diversi ma devono essere corretti. Sono tutti articoli che servono icona di eleganza maschile.

 Voi sapete come si piega in modo corretto il fazzoletto giacca? Se la risposta è no vi spieghiamo a seguire 3 modi per piegarlo in modo corretto.

Breve accenno storico sul fazzoletto giacca

L’uso del fazzoletto da taschino non è recente ha origini antichissime che risalgano agli antichi Egizi, utilizzato poi nel Medioevo la cui funzione era quella di essere portato al naso per non sentire i cattivi odori, veniva imbevuto di profumo prima di essere indossato. Si ricorda poi Riccardo II re di Inghilterra che lo indossa in fantasie eccentriche, mentre Luigi XVI ne sceglieva ogni giorno uno diverso in base al suo umore.

2 modi su come si piega il fazzoletto da taschino

I modi di piegare il fazzoletto giacca sono davvero moltissimi ci vorrebbero giorni di lezione per spiegarli tutti e fare le prove qui ve ne spieghiamo 2.

Piega base per il fazzoletto giacca

Questo modo di piegare il fazzoletto è semplice ed è forse il più comune e si esegue in questi 5 semplici passaggi:

  1. Mettere il fazzoletto con la parte superiore rivolta verso il basso
  2. Piegare a metà da destra a sinistra
  3. Lasciano uno spazio sul lato destro ora piegare a metà da sinistra a destra
  4. Piegare a metà dall’alto verso il basso
  5. Piega la parte inferiore verso l’alto e dietro la parte anteriore.

Piegando in questo modo il vostro fazzoletto giacca si adatterà perfettamente alle dimensioni della tasca della vostra giacca.

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Piega a due petali

Questo modo di piegare il fazzoletto giacca e altrettanto semplice come il precedente ma molto elegante e perfetto per le occasioni come matrimoni e ricorrenze, insomma occasioni formali anche riunioni di lavoro.

Il fazzoletto da taschino migliore per sfoggiare questa piega è quello in tinta unita con colori brillanti e bordi in contrasto, meglio se di tessuto rigido che aggiunge un tocco di stile.

I passaggi per la piega sono cinque e sono i seguenti:

  1. Disporre il fazzoletto a forma di diamante su una superficie piana.
  2. Piegare il fazzoletto a metà diagonalmente, lo strato inferiore deve spuntare leggermente da quello superiore.
  3. Piegare l’angolo sinistro e quello destro verso l’alto.
  4. Piegare ora gli angoli laterali.
  5. Inserirle il fazzoletto nel taschino e sistemare bene i “petali”

Napoli tra cultura e musei

COSA VEDERE A NAPOLI

Se avete in programma un viaggio all’insegna della cultura e del buon cibo, Napoli è senz’altro la meta che fa per voi; dopo un primo tour gastronomico di cui consigliamo le tappe, e successivamente alla visita del Museo di Capodimonte, le destinazioni da non perdere sono queste e ve le raccontiamo con il cuore:

Museo Cappella San Severo

Incarnazione napoletana del dottor Faust, il Principe Raimondo di Sangro è certamente da annoverare come figlio della Napoli misteriosa. Gran Maestro massone, scrittore, alchemico, inventore, studioso devoto e curioso, la figura di Raimondo di Sangro è aleggiata da leggende fomentate da egli stesso.
Personalità eccentrica e intellettuale illuminista, il principe si dedica alle “macchine anatomiche”, testimonianza custodita all’interno della cappella di San Severo: due scheletri (un uomo ed una donna) che riproducono nel dettaglio il sistema arterovenoso, realizzato a metà settecento da Giuseppe Salerno, medico palermitano. Il principe avrebbe ottenuto la metalizzazione dei vasi sanguigni grazie all’iniezione di mercurio, trovata diabolica che lascia voci di una presunta attuazione quando i due corpi erano ancora in vita. Nella realtà, la ricostruzione esemplare si deve all’utilizzo della cera d’api e dei coloranti. 

Macchine anatomiche, Cappella San Severo

Star della Cappella di San Severo, il “Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino, opera in marmo datata 1753 dietro commissione del Principe Raimondo di Sangro, che mette lo zampino sull’ennesima leggenda intorno al capolavoro scultoreo. Seguito dalla fama di noto alchimista, il principe avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione del tessuto in cristalli di marmo, si credette quindi l’incredibile trasparenza del sudario fosse risultato di un procedimento alchemico di marmorizzazione; studi successivi hanno invece confermato che l’opera è stata scolpita da un unico blocco di marmo. L’illusione di quella leggerezza e dell’impalpabilità del tessuto, fece innamorare Antonio Canova che dichiarò:
Sarei disposto a dare dieci anni della mia vita pur di esser l’autore di questa simile meraviglia”.

Napoli, Cappella Sansevero, Cristo Velato




Palazzo Reale di Napoli

Dimora della dinastia borbonica dal 1734 al 1861, il Palazzo Reale di Napoli è simbolo della magnificenza e della bellezza di un patrimonio italiano ineguagliabile. Ubicato sulla bella Piazza del Plebiscito, racchiude al suo interno uno scalone d’onore definito da Montesquieu come il più bello d’Europa.

Lo scalone monumentale fu progettato dall’architetto Gaetano Genovese nel corso della ristrutturazione del palazzo dopo l’incendio del 1837, e compiuto da Francesco Gavaudan nel 1858. Conserva l’impianto della scala antica in piperno, costruita da Francesco Antonio Picchiatti al tempo del viceré conte di Onate tra il 1651 e il 1666.

Le pareti sono rivestite da marmi rosati: portovenere, lumachino di Trapani, mondragone, rosso di Vitulano, breccia rosata di Sicilia, su una base di breccia del Gargano. Ad essi si alternano bassorilievi di marmo di Carrara, con ornati e figure: a destra “La vittoria tra il Genio della fama e il Valore”, di Salvatore Irdi; a sinistra “La gloria tra i simboli della Giustizia, della Guerra, della Scienza, dell’Arte e dell’Industria”, di Francesco Liberti.
Ai lati si aprono quattro nicchie con sculture monumentali di gesso: la Fortezza di Antonio Calì e la Giustizia di Gennaro Calì; la Clemenza di Tito Angelini e la Prudenza di Tommaso Scolari. La volta a padiglione è ornata di stucchi bianchi su fondo bianco-grigio, con stemmi del regno di Napoli e della Sicilia.

La Prima Anticamera del Palazzo è dominata dal soffitto barocco, le porte sono dei grandi quadri decorati, dipinti a tempera su fondo oro e risalgono al 1774; la Sala del Trono, dallo stile impero e dall’arredo napoleonico, presenta una seduta imperiosa destinata all’autorità e risale al secolo XVIII, l’aquila che vi poggia sopra è di epoca sabauda. 


Interessante e bizzarra la Retrostanza con mobili napoletani ottocenteschi, in stile neobarocco dove protagonista è il leggio rotante della biblioteca della regina Maria Carolina (1791), un macchinario curioso, prototipo delle biblioteche monastiche, che permette di consultare contemporaneamente più volumi posti sui piani dei pensili mediante una manovella.

Realizzato in occasione delle nozze tra Ferdinando I e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, il vellutatissimo “teatrino di corte”, dove impereggia l’oro del palco e degli stucchi e il rosso porpora della sala.

Caffè Gambrinus

E’ membro dell’Associazione Culturale Locali Storici d’Italia, le “sciantose” si ritrovavano prima di un concerto ai suoi tavolini a sorseggiare lo storico caffè, la “sempre a dieta” Principessa Sissi ordinava il delicato gelato alla violetta, la curiosa nobiltà napoletana ne delineava i contorni quale salotto letterario, e grandi artisti e scrittori quali Wilde, Sartre e D’Annunzio si lasciarono ispirare dalla bellezza dirimpetto del Palazzo Reale e di Piazza Plebiscito: è il Gran Caffe Gambrinus di Napoli. Elegante cafè di fine 800, il Gambrinus vi accoglie con una meravigliosa poesia del marchese Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio[2] (brevemente Antonio de Curtis), conosciuto come il grande attore comico Toto’:

A CUNZEGNA 

‘A sera quanno ‘o sole 
se nne trase 
e dà ‘a cunzegna a luna
p’ ‘a nuttata,
Ile dice dinto ‘a recchia 
“I’ vaco ‘a casa:
t’arraccumanno
tutt’ ‘e nnamurate”.




Caffè Gambrinus




Galleria Borbonica

Tra tutti i percorsi della Napoli Sotterranea, la più completa è certamente quella della “Galleria Borbonica” . Del personale preparato e membro dell’Associazione di volontari, ( io sono stata accompagnata al gruppo capeggiato da Gianluca Lamon) vi condurrà sotto il livello della città fino a 40 metri di profondità, portate con voi un golfino anche in estate perchè la temperatura scende ed è piuttosto umido; il tunnel scavato a mano con scalpello, picconi e martelli, venne realizzato nel 1853 dietro direttive del re Ferdinando II di Borbone, allo scopo di creare un rifugio sicuro in caso di pericolo durante i moti rivoluzionari del 1848. Durante la seconda guerra mondiale le ex cisterne vennero usate come ricovero bellico dei cittadini, che si rifugiavano tra queste vie di pietra sotterranea durante i bombardamenti tedeschi. Oggi è possibile vedere i vari ritrovamenti storici tra cui pitali, vasini, carrozzine, giochi e le prime caffettiere, perchè il vero napoletano, per alleviare i momenti di grave difficoltà e di ansia, non poteva rinunciare al rito del caffè, come se la magica azione propiziatoria fosse amuleto contro le disgrazie, panacea per tutti i mali, ritrovo conviviale e l’abbraccio fraterno di chi vive la stessa miseria. Ma era un caffè anomalo, fatto di cicoria e ceci, che del caffè ricordava solo il colore.

Dopo la guerra, la galleria divenne Deposito Giudiziale Comunale, pezzi di taxi e di moto sequestrate, formano uno strano puzzle, mezzo di trasporto del nuovo lavoro inventato dal brillante partenopeo che non se ne sta con le mani in mano: il trasportatore del ghiaccio. Un piccolo carretto legato a un motorino con sellino, è il mezzo dell’ingegno napoletano.

Potete scegliere il tipo di percorso, da standard ad avventura, vale davvero la pena addentrarsi nel buio delle grotte di pietra che vi obbligheranno al passaggio raso muro, muniti solo di una torcia e tanto coraggio, ma sempre in compagnia della vostra guida turistica! 

Proprio a Napoli, durante la pulizia della grotta e delle cisterne, una scritta sui muri portava un nome che apparteneva ad un anziano signore napoletano, chiamato a ripercorrere quella discesa dopo 70 anni. Raccontano gli uomini che lo hanno accompagnato, che l’uomo cercasse verso l’alto la sua scritta, dimenticando la sua statura di bambino, e che fermò lo sguardo verso il ricordo di quegli oggetti rinvenuti, con lacrime di dolore agli occhi. 

Il percorso della Galleria Borbonica non è solo un passaggio nei meandri della storia, ma è un percorso durissimo verso la profondità della propria coscienza. 

Caffè Libreria Berisio 


Dovessi immaginare una via magnetica, magica e in cui mi piacerebbe passeggiare notte e dì, avrebbe il 90% librerie e il 10% pasticcerie. A Napoli esiste, ma ahimè ognuno di questi negozi ha chiuso, fallito, scomparso nella distruzione dell’intelletto, nell’oscurità di un paese che evidentemente ama la cultura, che si porta il timbro (timbri personalizzati, scopri di più) di Luciano De Crescenzo, di Antonio De Curtis e dei grandi intellettuali napoletani, ma che i tempi hanno reso bui, facendoli fallire. Una sola ha resistito, trasformandosi poi in un luogo di tendenza, un locale dove poter gustare ottimi drink, con il nobile obiettivo di vendere anche pezzi unici, libri vintage, piccole chicche, sfogliandole tra una chiacchiera con gli amici e l’altra. Affascinante ambientazione, una predominanza di rossi, di luci da speak easy, scaffalature che toccano il soffitto, pianoforti a coda illuminati da lampade d’antan, un luogo unico dove fare un aperitivo prima di cena, passeggiando poi lungo le vetrine serrate, con le insegne arrugginite ma degne ancora della loro presenza, e finire sotto la statua di Dante che vigila, forse un poco rattristato.

Mercato di Pugliano, Ercolano

Se siete delle fashion addicted e amate il vintage, la ragione che vi porterà in questo luogo ogni week end a voi disponibile, è il mercato di Pugliano! Meta di stylist che arrivano da ogni parte del mondo e luogo di culto per i costumisti di cinema e tv, il Mercato di Pugliano offre costumi d’epoca, vintage firmato, denim anni ’80, una selezione vastissima di pellicceria usata e ricercata, borse in coccodrillo anni ’40 a prezzi accessibilissimi. Verrete chiamati a gran voce dai commercianti del posto, che un tempo usavano vendere la propria merce su delle bancarelle, mentre ora la stipano in piccoli negozi dentro cui dovrete rovistare, pazienza alla mano, ma ne resterete più che soddisfatti perché l’affare, se sapete trattare, è dietro l’angolo!
Un consiglio: partite da casa con una valigia vuota. Se intendi visitare Napoli potrebbero esserti utili gli orari della Circumvesuviana.



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LA GUIDA COMPLETA SU NAPOLI

(testo e foto @Miriam De Nicolo’)

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Profumi legnosi: i migliori da avere

Le fragranze legnose nei profumi, chiamati in gergo boisé, sono tipicamente maschili e sono caratterizzate dalla presenza nella piramide olfattiva di legni pregiati, come quello di cedro o di sandalo. A tratti romantiche, possiedono una combinazione di ingredienti che le rende avvolgenti senza perdere un fermo stampo di mascolinità. Risultano perfette per questo periodo perché riscaldano le giornate fredde e creano subito atmosfera. Tra legni, affumicati e bruciati, cuoio, tabacco e note aromatiche abbiamo davvero l’imbarazzo della scelta.

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Aspromonte di Mimmo Calopresti

Un film che parla di vita e verità, lontano dal clamore dei blockbuster miliardari, avulso dal circuito aulico del cinema divistico di massa, un film ‘Aspromonte, la terra degli ultimi’ distribuito da Italian International Film e prodotto da Fulvio e Federica Lucisano con Rai Cinema.

Una pellicola one of a kind e di turgido lirismo che non è sicuramente patinata, ma che è girata magistralmente e con indiscutibile raffinatezza, frutto del talento e dell’esperienza solida di un regista alternativo come Mimmo Calopresti, famoso per le sue pellicole di impegno e di denuncia etico-civile come ‘la seconda volta’ e ‘la parola amore esiste’, e dei suoi attori.

Marcello Fonte in primis, meraviglioso interprete che è poeta sul grande schermo ma soprattutto nella vita e, lo ricordiamo, Palma d’oro per ‘Dogman’ di Matteo Garrone, l’intensa e carismatica Valeria Bruni Tedeschi, una star internazionale che dopo le riprese ha scoperto che nella vita avrebbe voluto fare la maestra invece che l’attrice ma che recita sempre splendidamente.

E poi Sergio Rubini, altero e mai impettito nel ruolo del boss malavitoso di turno che vuole arginare il progresso, e Francesco Colella, attore portentoso che rivedremo in ‘Zero Zero Zero’ di Stefano Sollima, scelto dal regista per il ruolo di Peppe che insieme al figlio gestisce a livello drammaturgico una riflessione dolente e un’amara consapevolezza.

Infine emerge Marco Leonardi di cui ricordiamo gli esordi accanto a Ida di Benedetto in ‘Ferdinando uomo d’amore’ e soprattutto per ‘Nuovo cinema Paradiso’ di Giuseppe Tornatore e per ‘Anime nere’.” Aspromonte la terra degli ultimi è il racconto del Sud, del suo orgoglio, della forza della sua identità che diventa prigione, della grandiosa bellezza della sua natura che si intreccia con la miseria delle condizioni di vita, del suo isolamento e del sogno disperato dei suoi abitanti di far parte di un mondo più grande, è il racconto dell’impossibilità di un riscatto collettivo, della condanna all’abbandono e all’emigrazione come unica possibilità di rinascita.

Bisogna combattere per affermarsi, per esistere, per conquistarsi un futuro migliore e far vincere la civiltà sull’arretratezza di una vita buia e senza speranze. Bisogna darsi sempre una speranza, una via d’uscita, costruirsi una strada, un progetto per uscire da una situazione disastrosa che ti è stata assegnata da chissà chi. Alla fine, è un film che è il percorso di vita di un ragazzo che vuole cambiare il proprio destino, che intraprende un percorso di crescita e riscatto da una situazione difficile, che crede a una strada che lo possa portare verso la modernità.

Alla fine della sua vita di successi lontano da Africo e dalla sua terra (la Calabria), sentirà il bisogno di tornare per rivedere per l’ultima volta il posto dove è nato e cresciuto, per riassaporare l’aria di libertà che gli era rimasta attaccata addosso per tutta la sua vita. È un film che racconta non il rimpianto della propria infanzia, ma il ricordo di quello che si è stati, di quello che si sarebbe potuto essere, e soprattutto la bellezza di aver potuto vivere un sogno ed essersi nutriti del gustoso cibo dell’utopia con pienezza e soddisfazione.

Infine i vividi colori del paesaggio paradisiaco dell’Aspromonte vinceranno sul bianco e nero di una vita povera e senza speranza; gli ultimi della terra non si arrenderanno, consapevoli che solo combattendo tutti insieme possono vincere e affermare il loro diritto a un’esistenza soddisfacente e dignitosa”, scrive in modo eloquente il regista nelle sue note. 

Nella sua brulla magniloquenza, questo film strizza l’occhio al linguaggio crudo ed epico del western per elaborare un racconto asciutto ma romantico, virile e delicato, affresco corale che attraverso una narrazione nuda ma elegante propone l’urgenza insopprimibile della riflessione sulla insostenibile sperequazione sociale e del divario fra Nord e Sud.

Ma cos’è Aspromonte? È la terra lucente, dove non manca niente, come dice il poeta nel film: ci sono le montagne, il mare e c’è il silenzio. Una terra dove i sogni possono acquistare un timbro diverso, perché servono a farci sentire liberi, ci fanno essere quello che siamo. La storia, tratta dal romanzo ‘Via dall’Aspromonte’ di Pietro Criaco e scritta da Mimmo Calopresti e da Monica Zapelli, è ambientata ad Africo, un paesino arroccato nell’Aspromonte calabrese, negli anni ’50, dove una donna muore di parto perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo a causa dell’assenza di una strada di collegamento.

Gli uomini, esasperati dallo stato di abbandono, vanno a protestare dal prefetto. Ottengono la promessa di un medico, ma nel frattempo, capitanati da Peppe, decidono di unirsi e costruire loro stessi una strada. Tutti, compresi i bambini, abbandonano le occupazioni abituali per realizzare l’opera coraggiosa. La questione meridionale non è mai stata così attuale e Calopresti fornisce la sua accorata e riflessiva lettura di questo tema spinoso con una forza espressiva che parla alla pancia e al cuore.

Un inno fulgido a una terra, la Calabria, dove è bello tornare anche quando tutto sembra sgretolarsi, ma i valori no, quelli no. Mai. Tensione civile, romanticismo rurale si intrecciano a comporre un affresco radioso e denso di umanità in cui le vite dei lavoratori della terra e dei pastori si dipanano sulle note di un luminismo possente eppure sempre garbato. La tessitura del film é esteticamente perfetta sia a livello di fotografia che per la sceneggiatura, abile la gestione dell’inquadratura condotta con una tecnica pittorica neoimpressionista.

La nobiltà della miseria e la sovrana eleganza della semplicità davvero disarmante sono al servizio di una storia di soffuso intimismo. Sobrio ma icasticamente efficace, lo storytelling è impreziosito da una musica vibrante, rigogliosa. Il poeta é la figura chiave che racchiude la saggezza di una comunità intera, umile ma pervasa da un’ancestrale dignità.

Il film vola alto e contrappone all’inesorabile destino di una terra bella ma amara e dimenticata, la magia delle letteratura. Una trama pastosa e mai stucchevole e una sinfonia di paesaggi eccezionali completano un quadro d’autore. Da vedere, e per certuni da rivedere, soprattutto per quella sinistra imborghesita che non ascolta il grido di riscatto del nostro Sud.

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Ph: Nazareno Migliaccio Spina

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Ceretta uomo: meglio rasoio, cerette o crema depilatoria

Un tempo gli uomini non pensavo alla depilazione che era preferenza femminile, ma negli ultimi decenni la depilazione o meglio la ceretta uomo fa parte delle pratiche di bellezza settimanali o mensili anche dell’universo maschile.

Oggi gli uomini vogliono mostrare molto di più il loro corpo rispetto al passato, braccia e pettorali scolpiti anche da intensa attività fisica in palestra e body building. Inoltre in presenza di tatuaggi eliminare i peli diventa davvero fondamentale in certe zone del corpo per un uomo.

Le tecniche di depilazione sono le stesse utilizzate dalle donne:

  • ceretta uomo
  • rasoio
  • crema depilatoria

ma di queste tre quale è la migliore per un uomo? Vediamo a seguire le caratteristiche di tutte e tre le tecniche depilatorie così che possiate decidere quale fa veramente per voi.

Ceretta uomo pro e contro di rasoio, ceretta e crema depilatoria

Ceretta Uomo

La ceretta permette di eradicare il pelo invece di tagliarlo, ci si può affidare a quelle fredde o calde con principi attivi chimici, ma anche del tutto naturali come ad esempio quelle con oli essenziali che leniscono il bruciore dovuto allo strappo.

Uomini non credete che la ceretta uomo sia tecnica di oggi, perché dalla storia si evince che era pratica già presente ad esempio nell’antico Egitto, dove donne e uomini praticavano un vero e proprio rituale di depilazione, con impacchi a base di succo di bacche di sicomoro ideali per calmare il bruciore.

Crema depilatoria

Non tutti amano la ceretta uomo, per questo un’alternativa è senz’altro la crema depilatoria uomo. E’ senz’altro meno dolorosa e irritativa, si trova anche quella da usare sotto la doccia ed è ideale per essere utilizzata anche nelle parti intime come nella zona inguinale. Come abbiamo detto però la depilazione a crema non eradica la radice del pelo, ma ne elimina la parte in superficie e il pelo ricrescere più velocemente.

Rasoio

Il rasoio sembra essere lo strumento preferito dagli uomini per la depilazione essendo pratico oltre che disponibile già per fare la barba e quindi la pratica nell’utilizzo è senz’altro maggiore rispetto agli altri due metodi per ceretta uomo. Inoltre oggi si trovano in commercio ottimi rasoi del tutto ergonomici che seguono le linee del corpo. Inoltre è possibile decidere la lunghezza di taglio.

Il rasoio poi non richiede l’aiuto di nessuno mentre ad esempio per la ceretta a caldo o a freddo spesso gli uomini si affidano ai centri estetici specializzati.

Tenete presente che come per la crema depilatoria si tratta sempre di spezzare i peli e non di eradicarne la radice.

rasoio-depilazione-uomo

Logo Nike: l’incredibile storia dello swoosh

Ogni logo che riesce a sfondare a a diventare parte della storia è stato creato da qualcuno e ha un suo racconto che spesso si ignora. Il logotipo Nike fa parte di questi, sapevate ad esempio che fu realizzato nel 1971 da una studentessa di Portland, in condizioni economiche precarie, Carolyn Davidson?! Ma scopriamo di più sulla nascita dello swoosh.

Logotipo Nike l’incredibile storia dello Swoosh

Phil Knight, uno dei fondatori della multinazionale Nike, incontrò Carolyn Davidson all’università e si accordarono perchè quest’ultima realizzasse il logo per il brand delle scarpe sportive per soli 2 dollari l’ora. La studentessa ci mise 17 h per realizzare lo swoosh logotipo Nike.

Sapete cosa rappresenta lo Swoosh? Nel complesso il logo Nike doveva rappresentare un’ala, simbolo della dea greca della vittoria e del movimento. Un simbolo che a quanto pare ha permesso con la sua forza energetica impressa di far diventare Nike azienda leader di scarpe e abbigliamento sportivo.

La prima scarpa col marchio dell’ala fu lanciata sul mercato nel 1972, ma solo nel 1975 la creazione divenne perfetta ed è quella che oggi vediamo sugli articoli in commercio.

Gli obiettivi di Nike erano quelli di creare scarpe leggere e resistenti per la squadra di atleti dell’Oregon il cui allenatore era Bill Bowerman, e anche co-fondatore della stessa azienda. Da un piccolo progetto negli anni Nike è diventata invece una multinazionale di abbigliamento e scarpe sportive tanto da trasformare l’idea dello sport in un vero stile di vita. Stile di vita e status symbol rappresentato dal logo realizzato da Carolyn Davidson.

nike-logo-swoosh

pensare che Knight ha avviato l’attività vendendo i primi prodotti nel bagagliaio della sua auto! Inizialmente l’azienda rivendeva scarpe sportive importate dal Giappone, dalla compagnia che sarebbe poi diventata la Asics.

A conti fatti il logotipo Nike Swoosh fu pagato solo 35 dollari, una cifra a dir poco ridicola se si pensa alla popolarità di Nike oggi, attenzione però che la creatrice del logo venne premiata diversi anni dopo anche con un pacchetto azionario e un anello di diamanti a creare il logotipo Nike. Carolyn Davidson venne si pagata poco all’inizio ma nel tempo ricevette una congrua ricompensa. Che dire da una piccola cosa si può creare un impero.

Vi lasciamo con un altro piccolo anedotto sul fondatore di Nike Phil Knight a testimone del fatto che non ci si deve mai arrendere. Lo stesso Knight vendeva le prime scarpe sportive che arrivavano dal Giappone tenendole nel bagaglio dell’auto e sapete di chi erano quelle scarpe? Niente meno che della poi Asics.

Juan Castano e i suoi uomini: l’intervista all’illustratore e tre opere esclusive

Ho conosciuto Juan Castano su instagram, sempre più fonte di scoperte interessanti e di ricerca, innamorandomi subito delle sue illustrazioni, così vicine al mondo manga, ma con dei riferimenti chiaramente europei. Trasgressivo e malizioso, ma anche molto pop, divertente e con uno humour tutto personale, il lavoro di Castano coinvolge subito chi si confronta con le sue opere, per una chiara immediatezza, per una leggerezza solo apparente, poi ci sono piani di lettura e interpretazione più profondi. Vicinissimo al mondo LGBT, ma attento a tutto, con uno spirito dissacrante e disincantato, come se Juan volesse raccontare delle fiabe tutte sue, che non sempre hanno un finale sognante e principesco, ma spesso rimangono sospese fra il grottesco e il kawaii. Abbiamo intervistato l’artista, ma gli abbiamo anche chiesto di interpretare per noi le proposte di tre brand. Trovate qui sotto alcune sue opere e queste tre in esclusiva per Man In Town, con tanto di bozzetti. Eccovi la nostra chiacchierata con Juan.

Quale è il tuo approccio all’arte? Quando hai deciso di diventare un illustratore?

Penso che in un modo o nell’altro l’arte sia sempre stata presente nella mia vita; da bambino ho sempre amato disegnare, e mi piaceva guardare gli album da colorare. Credo di non aver mai deciso di essere un illustratore, semplicemente un giorno ho iniziato a dedicare più tempo al disegno e ho scoperto il mondo dell’illustrazione digitale, dopodichè le persone hanno iniziato a commissionarmi delle illustrazioni.

Dimmi qualcosa del tuo lavoro, come descriveresti le tue illustrazioni?

Penso che le mie illustrazioni siano un mix di diverse influenze di artisti e di stili che ammiro: le illustrazioni giapponesi, il costruttivismo, l’art déco… e il risultato è un lavoro che mixa erotismo e ingenuità, linee semplici e colori che provano a comunicare e a dire qualcosa.

Secondo me c’è una certa ispirazione giapponese dietro le tue opere e ovviamente sono molto pop. Sei d’accordo? E quali sono le tue maggiori influenze artistiche?

Sono completamente d’accordo. Forse quell’influenza è la più ovvia nei miei primi lavori, ma nella mia evoluzione come artista penso che sia qualcosa che non è andato perso. Come artisti che mi influenzano cito sempre Junko Mizuno, i cui lavori sono affascinanti, Rodchenko e Popova che ho scoperto in una mostra a Londra, Malika Favre, Sanna Annuka… e molti altri.

Da dove arriva l’ispirazione in genere?

L’ispirazione arriva quando meno te lo aspetti, ma è vero che ogni volta che faccio un viaggio torno con “energie rinnovate” per ogni cosa che vedo; in teoria una persona viaggia per staccare, ma nel mio caso è praticamente l’opposto. Anche quando visito un Expo trovo sempre fonti di ispirazione e il desiderio di iniziare a “creare”. 

Chi sono i tuoi referenti principali quando si parla di illustrazioni? Chi sono i tuoi idoli?

Nel caso delle illustrazioni Maria Picasso Piquer lavora in un modo che mi ipnotizza, è un’illustratrice con un controllo totale delle proporzioni e delle caratterizzazioni. Jarom Vogel, i suoi colori e le sue forme sono magnifici. I lavori di Roda sono assolutamente brillanti con dei colori che invidio.

Come è stato lavorare per i nostri tre esclusivi? È stato difficile diventare un po’ più ‘fashion’?

La prima cosa che posso dire è che è stato un onore. Davvero, ciò che mi spaventava di più era non esserne all’altezza. La cosa più difficile forse è stata adattarsi alla personalità dei modelli nei miei personaggi.

Parlando di stile, cosa è elegante per te?

Per me l’eleganza è qualcosa senza tempo, non voglio dire che sia semplicità o vesiti basici, penso sia un passo avanti; penso che sia qualcosa come il talento, uno ci nasce oppure no: con lo stesso indumento una persona può risultare elegante mentre un’altra no.

Quale è la tua definizione di bellezza?

La verità è che non ho mai pensato a quale sia il mio concetto di bellezza. Penso che possa essere nella qualità delle cose, delle persone, degli animali… capaci di provocare in chi li guarda o in chi li ascolta piacere in qualsiasi livello (sensoriale, spirituale…).

Cosa è la moda per te? E cosa non può mancare (quale indumento) nel tuo guardaroba e stile personale (e perché)?

La moda è sempre stata presente nella mia vita. Quando ero più giovane e uscivo la sera potevo stare anche un’ora provandomi vestiti, scegliendo cosa indossare quella notte e non passare inosservato. Mi è sempre piaciuto vedere cosa sarebbe andato di moda e cosa no, e spesso consulto dei magazine. Non sono una fashion victim e se c’è qualcosa che non mi sta bene, allora non lo indosso. Possiamo dire che la moda mi piace ma non ne sono ossessionato. Sto per dire qualcosa di davvero ovvio, nel mio cassetto ci sono sempre dei jeans, non potrei vivere senza. Li trovo davvero comodi e posso usarli praticamente in ogni situazione.

Uno dei focus di Manintown sono i viaggi. Ci puoi dire qualcosa sul tuo paese/sulla tua città? Ad esempio un posto da vedere, un posto dove mangiare, qualcosa da fare…
Progetti/piani/sogni per il futuro?

Sono fortunato ad essere nato nel miglior paese nel mondo, he he he…, vengo dalla Spagna e sono nato a Cartagena, una città nel sudest, ma passo gran parte della settimana ad Alicante, una città sulla costa vicina al sud di Valencia. È una città molto turistica e viene visitata da molte persone durante l’anno. Per tutta la zona ci sono bellissime spiagge e posti meravigliosi come Altea o La Granaella. È molto tipico mangiare riso, che non è la stessa cosa della paella, cucinato in diversi modi tutti molto gustosi, ma l’offerta gastronomica offre anche molto di più. Le persone di Alicante e della Spagna in generale sono molto amichevoli. Nel futuro mi piacerebbe dedicare tutto il mio tempo all’illustrazione; attualmente lo sto combinando con il mio lavoro di insegnante. Sto lavorando a un nuovo libro (ne ho pubblicato uno sui tatuaggi 3 anni fa) dedicato alla mitologia e spero di finirlo a metà 2020.

Tre lavori di Juan Castano

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8 Cantanti rapper italiani famosi

La musica rap è un genere musicale nato alla metà degli anni Settanta in America, letteralmente rap significa “chiacchiera” e confuso o chiamato non correttamente anche Hip-Hop.

Nella musica rap i testi vengono composti da una sequenza di versi ritmati scanditi in una successione di note dette “beat”. Le rime vengono improvvisate e create con una sorta di ironia nei confronti di chi è dedicata la canzone o sono anche auto celebrative. I rapper si sfidano spesso in gare “freestyle” dove l’arbitro decide il tema e gli sfidanti devono creare appunto le rime.

Questo genere musicale è diventato di spicco fra i ragazzi e nella cultura musicale moderna, tanto da poter avere una classifica di cantanti rapper italiani diventati famosi.

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8 cantanti rapper famosi

Fabri Fibra

Nome reale Fabrizio Tarducci anno 1976 di Senigallia ha esordito col primo album nel 2002 intitolato Turbe giovanili. Sicuramente della sua musica rap si ricordano In Italia del 2008 e Tranne te del 2010. (Chi è Fabri Fibra)

Marracash

Nome reale Fabio Bartolo Rizzo anno 1979 di Nicosia, album esordio Marracash nel 2008. Un altro album che si ricorda è King del rap del 2011 e Santeria nel 2016.

Gué Pequeno

Nome reale Cosimo Fini di Milano anno 1980, album esordio Il ragazzo d’oro del 2011. Si ricordano i brani Milionario e Lamborghini del 2017.

Caparezza

Nome reale Michele Salvemini anno 1973 di Molfetta, album esordio ?! del 2000. I suoi brani più ricordati sono Fuori dal tunnel del 2003, Vieni a ballare in Puglia del 2008 e Ti fa stare bene del 2017.

Neffa

Nome reale Giovanni Pellino di Scafati anno 1967, album esordio Neffa & i messaggeri della dopa del 1996. Di Neffa ricordiamo La mia signorina del 2001 e Prima di andare via del 2003 (ecco chi è Neffa).

Sfera Ebbasta

Nome reale Gionata Boschetti di Sesto San Giovanni anno 1992, album esordio XDVR con Charlie Charles nel 2015. Tra i suo brani quello che si sente spesso cantare dai giovani è Happy Birthday del 2018.

J-Ax

Nome reale Alessandro Aleotti di Milano anno 1972, album di esordio come solista Di sana pianta del 2006. I brani di J-Ax sono davvero molti vi ricordiamo Ti amo o ti ammazzo del 2006, Se il mondo fosse del 2012, Maria Salvador del 2015, Vorrei ma non posto e Assenzio del 2016, in ultimo Italiana del 2018.

Fedez

Nome reale Federico Leonardo Lucia di Milano del 1989, album esordio Penisola che non c’è del 2011. Spesso ha creato musica rap in duetto con J-Ax per questo vi sono trovano fra i brani più ricordati gli stessi di quest’ultimo.

Sneakers da uomo: focus sullo stile streetwear

La famosa citazione “panta rei” attribuita al filosofo Eraclito indicava che tutto scorre, tutto è in movimento e tutto è in divenire: tutto questo descrive perfettamente anche la moda che da secoli cambia e muta a seconda delle tendenze sociali, politiche ed economiche. Negli ultimi anni la moda sta puntando su soluzioni sempre più pratiche e confortevoli mettendo l’uomo o la donna al centro del suo progetto, senza ovviamente rinunciare allo stile ed all’eleganza. 

Nei vorticosi cambiamenti del mondo del fashion si è imposto lo streetwear, uno stile di abbigliamento casual basato principalmente su un look sportivo diventato un fenomeno mondiale a partire dagli anni ’90. Le scarpe sneakers uomo streetwear rappresentano un’icona di questa nuova tendenza e sono tra i modelli più apprezzati dall’uomo moderno poiché si sposano perfettamente sia con uno stile casual che con uno stile elegante. Scopriamo qualcosa in più sulle scarpe sneakers uomo e sul mondo dello streetwear nei successivi paragrafi.

Cos’è lo streetwear e come nasce

Lo streetwear significa letteralmente “abbigliamento da strada” e mixa diverse culture e stili derivanti soprattutto dal mondo sportivo per sfoggiare un look vero, genuino ed originale. Lo streetwear è uno stile casual che affonda le sue origini nella cultura del surf e dello skate in California, per poi riprendere elementi di abbigliamento sportivo, hip hop, punk e moda di strada giapponese.

Le sneakers uomo alte traggono spunto dalle scarpe uomo sportive ed in modo particolare quelle da basket. I giocatori di basket statunitensi, con la diffusione di questo sport, sono diventati veri e propri miti e di conseguenza anche le scarpe da uomo sportive che indossavano si sono trasformate in “must” da avere ai piedi.

Il significato della parola sneaker

Nel mondo del fashion la scarpa sneakers è il termine più gettonato per descrivere il vasto panorama delle scarpe da ginnastica. Qualcuno si è mai chiesto in realtà perché si chiamano sneakers e da dove deriva il suo nome? La radice delle sneakers scarpe risale al verbo “to sneak” utilizzato addirittura nel ‘500 e significa “muoversi silenziosamente”. Ebbene le suole in gomma delle scarpe ginniche uomo garantiscono quella discrezione e quell’eleganza ricercate dall’uomo moderno.

I brand più gettonati delle scarpe uomo sneakers

I grandi brand hanno intuito l’enorme potenzialità che hanno sul mercato le sneaker uomo ed infatti la produzione in questo settore risulta tra i più ampi e diversificati.

Le Nike maschili possono essere considerate le regine delle calzature sneakers uomo grazie al loro stile unico ed inimitabile. Le Jordan ad esempio sono tra le scarpe Nike bianche alte uomo più vendute di tutti i tempi ed ancora oggi conservano il loro fascino vintage ed intramontabile.

Altro brand iconico è Adidas che propone sneakers sportive uomo semplici ma trendy. Le sneakers tela uomo della Converse si fanno apprezzare per la loro versatilità e adattabilità ad ogni situazione mondana. Le scarpe sportive sneakers griffate New Balance sono la perfetta sintesi tra lo stile classico ed il casual, mentre le sneakers da uomo Karhu sorprendono per la varietà di colori e di combinazioni.

Come abbinare le sneakers uomo in base ai vari stili

Le scarpe da uomo sneakers sono così amate ed apprezzate poiché rappresentano una valida soluzione per ogni stile.

Le sneakers uomo in pelle sono la scelta ideale per chi non è più giovanissimo ma non vuole rinunciare ad uno stile casual e confortevole. In abbinamento con le sneaker uomo nere si può optare per un pantalone chino rimboccato per mostrare le caviglie ed una polo: un outfit classico, originale e capace di dare un tono di grande prestigio. Per chi ha superato gli “anta” sono molto gettonate anche le scarpe uomo sneaker blu navy con suola fasciata in gomma bianca.

Per uno stile più casual si può puntare su sneakers bianche uomo o su sneakers nere uomo in abbinamento con jeans chiari per un look più sbarazzino o scuri per un look più formale. Giubbotti, giacche militari e felpe sono scelte perfette per completare l’outfit.

Gli amanti dello stile sportivo possono abbinare pantaloni sportivi di diversi colori, completando magari l’outfit con un bomber o un blazer. All’occorrenza si possono indossare anche pantaloncini corti per i periodi più caldi puntando su scarpe con strappi uomo capaci di modernizzare anche capi d’abbigliamento classici.

Un giorno di pioggia a New York di Woody Allen

Ha ancora senso parlare di romanticismo in un’America dominata da Trump e dal suo machismo guerrafondaio, dai tabloid senza filtri, dalle fake news e da una Hollywood che si alimenta di scandali in cui tutti flirtano con tutti? Secondo Woody Allen sì.

E lo conferma nel suo ultimo film ‘Un giorno di pioggia a New York’ scritto e diretto dal geniale regista e distribuito da Lucky Red, nelle sale italiane dal 28 novembre. Diciamo subito che per chi scrive le polemiche stanno a zero, quello che interessa a noi in questa sede è il Woody Allen artista, che in questo film torna alla sua forma smagliante.

E torna anche alle sue passioni, una New York vista in un’ottica di un intellettuale quasi europeo e all’arte di raccontare emozioni affidandole a protagonisti giovani simboli di una nuova generazione di Hollywood, Timothée Chalamet che nel film è Gatsby un giovane studente ricco e annoiato, ed Elle Fanning, assurta con ‘Neon demon’ a nuova icona glamour della scena fashion-cinematografica e che nella pellicola di Allen interpreta Ashleigh una ragazza provinciale ma ambiziosa dell’Arizona figlia di banchieri, apparentemente semplice e solare, in realtà un po’ ottusa e superficiale.

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Woody Allen riesce a dare carattere con una sceneggiatura dinamica, brillante e sofisticata, ricca di colpi di scena eclatanti davvero sorprendenti, una giostra vera e propria che è anche una sorta di educazione sentimentale in cui i personaggi sono alla ricerca di sé stessi.

New York è una città magnificamente snervante, e gioca un ruolo chiave nel film insieme alla pioggia, intesa secondo chi scrive come bagno purificatore e catartico, amato da Gatsby e disprezzato da Asleigh, una pioggia che lava via le impurità dell’anima e i moralismi mistificatori, ma che sa essere anche molto romantica e sensuale come dimostra anche ‘la pioggia nel pineto’ di dannunziana memoria.

Briosa e leggera ma anche estremamente profonda, questa graziosa commedia riesce ad andare a fondo nelle pieghe più riposte dell’anima dei personaggi alla ricerca di un romanticismo antico nella sua matrice ma in realtà molto contemporaneo. Come nel caso di Chan (Selena Gomez che grazie alla magistrale direzione di Woody Allen acquista un risalto molto gradevole nella storia) che dissimula con un finto cinismo il suo romanticismo più autentico e vibrante.

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Nel film Woody Allen non risparmia le sue critiche alla Hollywood di oggi presentata come una fucina di mitomani e depressi ma anche di infingardi playboy senza scrupoli. Un regista depresso interpretato da un efficace Liev Schreiber, attraversa un periodo di forte vulnerabilità a causa del suo stucchevole e problematico perfezionismo.

La giovane Ashleigh arriva a Manhattan con il fidanzato Gatsby a caccia di uno scoop e per intervistare il cineasta rischia di essere concupita da lui. Jude Law è Ted Davidoff, sceneggiatore un po’ balordo e anche lui tormentato che si rivela un gran fedifrago. A Hollywood non si salva nessuno, nemmeno il macho latino Francisco Vega (interpretato da Diego Silva) che colleziona flirt e tenta di sedurre Ashleigh, che sembra cadere in tentazione.

Ma l’arguta disamina psicologica e sociale del grande cineasta prende ovviamente le distanze dalla retorica mormonica e moralista che presidia da sempre il cinema americano: Woody Allen non giudica nessuno ma semmai si incanta di fronte alla disarmante ingenuità e alla coquetterie zuccherosa e un po’ svampita di Ashleigh e al disagio esistenziale del triste, tenebroso e insicuro Gatsby, rampollo antisociale dell’élite wasp americana e allevato dalla madre in un clima di dorato isolamento che nel film lui stesso definisce “una pretenziosa adeguatezza”.

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L’amore è dominato da dinamiche spesso imperscrutabili mentre tutto sembra pervaso da un sentore di ineluttabile caducità. Le uniche certezze sono che “non esistono in America giornali non scandalistici”(e qui il regista si toglie un sassolino dalla scarpa denunciando la stampa a stelle e strisce colpevole di veicolare fake news destituite di qualunque fondamento probatorio) e che “la vita vera è fatta per chi non ha niente di meglio da fare”, come chiosa la giovane Chan.

Timothée Chalamet, che vedremo presto in ‘Piccole donne’ di Greta Gerwig e che abbiamo ammirato in ‘Chiamami col tuo nome’ di Luca Guadagnino film per il quale è stato candidato all’Oscar, viene valorizzato dal regista grazie a una parte che sembra essergli pennellata addosso.

Canta al pianoforte con intensità pregnante e un certo pathos una languida canzone romantica degli anni’40, la celebre ‘Everything happens to me’, e la sua vocazione a diventare l’idolo della generazione Z è sicuramente amplificata e confermata da questa pellicola, mirabilmente illuminata dalla fotografia di Vittorio Storaro alla sua terza, suggestiva collaborazione con Woody Allen, e impreziosita dai costumi di Suzy Benzinger che ha già lavorato con Woody Allen in 10 suoi precedenti film e che qui riesce a ricostruire, attraverso gli abiti, belle giacche over spigate firmate Ralph Lauren assortite a chinos beige e cravatte slim regimental in perfetto stile Ivy League, l’identità di un personaggio sfaccettato come Gatsby, ragazzo allampanato e attanagliato da sottili psicosi e tribolazioni esistenziali.

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Woody Allen ha voluto, attraverso i costumi, tributare forse un omaggio al grande stilista americano soprattutto perché costui disegnò nel 1977 il guardaroba di scena di Diane Keaton e Woody Allen per il film ‘Io e Annie’ che collezionò varie statuette durante la cerimonia degli Academy awards.

Inoltre Allen non ha lesinato ammirazione nei confronti di Ralph manifestando la sua approvazione e stima immutata negli anni per lo stilista nel docufilm di Susan Lacy ‘Very Ralph’. Questo è un film positivo in cui il regista sembra voler evadere dalle vorticose e aberranti polemiche basate su accuse ormai archiviate che hanno tentato di ostracizzare il grande cineasta e lo scrittore.

A 84 anni suonati Woody Allen è più combattivo che mai ed è impegnato sul set del suo ultimo film che sta girato in Spagna con Gina Gershon, schieratasi dalla sua parte accanto a Javier Bardem, Anjelica Houston, Scarlett Johansson e non ultimo il fratello del regista Moses. Fino a quando durerà questa infausta caccia alle streghe? Nel frattempo noi continuiamo a sottolineare il nostro preponderante interesse per l’Allen artista e pensatore ribadendo che i suoi film hanno scandito le tappe della nostra esistenza.

Un grazie sentito a Lucky Red che ha portato finalmente in Italia questo buon film ignorando scandali e linciaggi mediatici. Una grande lezione di equilibrio e lucidità.

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L’olio: come riconoscere l’extravergine buono

L’olio extra-vergine d’oliva, è uno degli alimenti principali della dieta mediterranea ma non tutti gli oli extravergine di oliva sono di buona qualità.

Ecco alcuni consigli per riconoscere un buon olio di oliva extravergine rispetto a uno di bassa qualità.

Caratteristiche di un buon olio d’oliva

Colore e gusto sono parametri importanti da tenere in considerazione quando si sceglie l’olio che si desidera acquistare.

Un colore verde scuro indica la presenza di clorofilla, che è un antiossidante naturale, se l’olio di oliva tende troppo al giallino è preferibile non comprarlo, e più facile incorrere in un olio trattato o miscelato con altri oli vegetali.

L’olio extra vergine di oliva deve rimandare al profumo fruttato da cui proviene: l’oliva. Deve quindi avere un sapore di fruttato intenso quando si apre la bottiglia. Ci deve essere poi la caratteristica nota amara, che attenzione… costituisce un pregio e non un difetto! L’amaro deriva dalla presenza di antiossidanti, che proteggono le cellule dell’organismo umano dall’invecchiamento, con un effetto molto benefico sulla salute.

Infine c’è il retrogusto piccante, dovuto dalla presenza di un elemento vitale: i polifenoli, anch’essi antiossidanti naturali.

Inoltre, un gusto piccante indica la presenza di oleocantale, che agisce come una sostanza antinfiammatoria naturale.

olive-olio-extravergine

Se invece l’olio ha un sapore dolce, ciò indica che le olive sono state probabilmente lasciate riposare troppo a lungo prima di essere lavorate o che sono state raccolte troppo tardi e hanno perso gran parte del loro contenuto di polifenoli.

Inoltre, è preferibile che l’olio che si decide di acquistare sia stato “spremuto a freddo”, la sua temperatura durante la pressatura non deve superare i 27 gradi centigradi. La spremitura a temperature più elevate aumenta la resa, ma diminuisce anche il contenuto nutritivo dell’olio.

La scelta di quale olio d’oliva extravergine acquistare non è facile, di solito è consigliabile acquistarlo direttamente da un produttore di fiducia. Puoi trovare l’olio che ti piace di più provandone diversi tipi e da diverse zone di produzione. Acquistandolo da produttori locali di solito la qualità è garantita e si riesce anche ad ottenere un ottimo prezzo al litro facendo accordi per tot litri di olio acquistato in un anno.

È chiaro che acquistare l’olio extravergine buono ha un costo più alto rispetto a quello del supermercato, ma per insaporire i cibi ne basta senz’altro meno e si guadagna in termini di qualità gusto e anche salute.

Ramadam: 8 regole importanti da rispettare

Per tutti i fedeli musulmani il Ramadan è un mese sacro, la tradizione vuole che proprio durante questo periodo Maometto ricevette la rivelazione del Corano. La celebrazione di questa tradizione avviene il nono mese del calendario Islamico, varia perché è un calendario Lunare è ha una durata inferiore di 10 giorni rispetto all’anno solare.

Il Ramadam per essere seguito in maniera corretta deve rispettare delle regole importanti che vi elenchiamo a seguire.

8 regole del Ramadam

Il Corano indica di seguire alla lettera diverse regole per tutti i musulmani alcune delle quali sono fisse nel Ramadam e sono:

1) La preghiera in più notturna il Taraweeh

Durante il Ramadan ogni musulmano deve recarsi ogni giorno, lasciando le sue abituali faccende quotidiane a pregare in moschea. In questo periodo oltre alle consuete cinque preghiere giornaliere si deve recitare una preghiera speciale, il Taraweeh, la preghiera notturna.

2) Divieti e tempi delle pratiche a cui astenersi durante il Ramadan

Il digiuno è il primo divieto, prima dell’alba e termina dopo il tramonto. Non bisogna mangiare o bere nulla nelle ore di luce. Tra gli altri divieti del Ramadan prevedono che ci si astenga dall’ avere rapporti sessuali, mentire, fumare, usare un linguaggio scurrile e fare la guerra.

3) Chi è esentato dal digiuno durante il ramadan

Il Corano prevede che siano esentati dal digiuno i bambini, i malati, le donne incinte e coloro che il nono mese devono intraprendere lunghi viaggi.

4) Cosa succede se non si rispetta il digiuno?

Se una persona non è in grado di digiunare può decidere se recuperare i digiuni durante l’anno, prima dell’arrivo del prossimo Ramadan, o se dare un pasto a un povero per ogni giorno di digiuno che salta.

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5) Come viene recitato il Corano nelle preghiere collettive

Il Corano è diviso in 30 parti uguali chiamate juz’, e molti fedeli ne leggono una al giorno durante il Ramadam periodo in cui bisogna essere più devoti possibile, fare beneficenza e passare molto tempo a leggere il Corano e meditare.

6) Cosa mangiare al temine del digiuno?

Dopo aver recitato una brevissima preghiera, si è soliti mangiare datteri o bere acqua per aprire il digiuno, come faceva il profeta Maometto. Segue poi un pasto abbondante da consumare durante le ore notturne.

7) Cosa si fa alla fine del Ramadan?

Alla conclusione del mese sacro il Ramadan, viene indetta una festa chiamata Eid ul Fitr, durante la festa i musulmani, partecipano alle processioni, si scambiano regali augurandosi Eid mubarak, ovvero “buon Eid”, e la maggiori parte dei fedeli fa delle donazioni per i poveri.

8) Cosa succede se non si rispetta qualche regola?

Se qualcuno di propria volontà, contravviene a qualche regola, ha l’obbligo di atti di carità verso i bisognosi, o continuare l’astinenza dai divieti carnali dall’alba al tramonto per altri 60 giorni dopo Il Ramadan.

Camicia su misura 4 consigli prima di comprarla

Il corpo degli uomini si sa è molto differente da quello delle donne, spesso anche per via di sport intensi dove la muscolatura di braccia e addome crea una corporatura che non si adatta a tutti i modelli di camicia standard in commercio per questo è necessario rivolgersi a chi può realizzare una camicia su misura. Attenzione però perchè prima di comprarla vogliamo darvi i nostri consigli, partendo dal fatto che una camicia su misura è un pezzo unico realizzato sulle proprie misure che calzerà a pennello.

4 Consigli da seguire prima di comprare una camicia su misura

Scelta del sarto

In Italia siamo pieni di bravi artigiani che realizzano abbigliamento su misura, non è necessario pensare di andare nelle grandi boutique in centro alle città come Milano e Roma, se vivete in un piccolo paese basterà chiedere per trovarne uno a pochi passi da voi. Quindi il primo consiglio è quello di non dover per forza km e km che scoraggiano qualsiasi compratore o di dover per forza spendere una fortuna per una camicia su misura.

Tessuto e colore

Una volta scelto il sarto che fa al caso vostro affidatevi a lui o lei per consigli sulla scelta della stoffa e del colore che dovrà essere senz’altro idoneo all’occasione per cui dovrete indossare la camicia che volete farvi realizzare.

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Colletto e polsini

Pensate poi al tipo di colletto che volete sulla base del nodo della cravatta che andrete a fare. Ad esempio il nodo Windsor richiede un colletto ampio. O ancora un colletto a contrasto ovvero colore diverso rispetto al resto della camicia. Ricordate poi i polsi e la vestibilità sul torso. I polsini possono essere scelti doppi da gemelli per un look da occasioni formali, i bottoni sono invece ideali per camicia casual e da usare nel business. Attenzione poi alla sua altezza e morbidezza, quello rigido è formale rispetto a quello morbido. Tono è più casual quello smussato più formale.

Acquisto camicia su misura online

Non manca di certo la possibilità di ordinare una camicia su misura online, ma attenzione che il negozio online dove comprate deve offrire un body scanner strumento che permette di registrare e percepisce le misure perfette del proprio corpo. Infine la prova in laboratorio di solito è ancora necessaria una volta confezionata la camicia.

Scene gay nei film i 5 momenti cult del cinema

Il mondo del cinema è da sempre al centro di scene che sono passate alla storia e che gli spettatori ricordano nel tempo o che vogliono rivedere e aspettano che i film vengano ritrasmetti in televisione proprio per assaporarne di nuovo quei momenti.

Nella lista di questi non mancano anche le scene di sessogay nei film, arrivate sul grande schermo non da molto tempo restano senz’altro da ricordare come momenti cult del cinema. Infatti rappresentazioni di omosessualità si videro già nel 1895 con un film sperimentale della Edison dove vi erano due uomini che ballano il valzer, mentre un altro suona il violino. Queste erano scene poco esplicite e che non tralasciano vedere nulla.

Voi ve le ricordate? Se no e volete rispolverare la vostra memoria vi ricordiamo noi le scene di sessogay del cinema.

Momenti cult del cinema sessogay

Hollywood non ha mai rappresentato scene di sessogay in modo esplicito nelle sue scenografie, ma col tempo tutto è cambiato ed ecco che anche queste si cominciano a veder in diversi film che sono:

Domenica, maledetta domenica di John Schlesinger, premiato col David di Donatello nel 1972 come miglior film straniero e dove si vede per la prima volta un bacio esplicito fra due uomini sul grande schermo, anzi uno dei due è bisessuale.

Rocky Horror Picture Show film del 1975 di Jim Sharman, il primo film della grande distribuzione degli Stati Uniti dove è presente la prima scena di rapporto sessuale tra uomini, anche se in parte oscurata.

Il bacio della Donna Ragno sceneggiatura del 1985 di Hector Babenco, qui due compagni di cella si innamorano e vi è una scena di sesso fra i due protagonisti del film. Per l’interpretazione di questo film William Hurt vinse il primo Oscar assegnato per una interpretazione omosessuale.

My Beautiful Laundrette pellicola del 1985 di Stephen Frears racconta di due giovani un punk inglese e un ragazzo figlio di immigrato pachistano e dichiarato gay che aprono una lavanderia a gettoni. Il giorno dell’inaugurazione i due fanno l’amore dentro al negozio, ma non solo si vede uno dei giovani bene champagne dalla bocca dell’altro. Scene che per l’epoca lasciarono sconvolti diversi spettatori.

I segreti di Brokeback Mountain film del 2006 di Ang Lee ambientato nel 1963 che racconta la storia di due cowboy, Ennis e Jack, che si incontrano in un ranch nel Wyoming arrivati li per trovare lavoro nei pascoli estivi, ma si innamorano. Il film ebbe 6 candidature all’Oscar e 3 premi vinti.

Carne rossa: fa bene o fa male? Sfatiamo 5 miti

La carne rossa è stata molto demonizzata negli ultimi anni, fortemente legata dai suoi detrattori a malattie come il cancro in forte aumento negli ultimi anni.
Molto di ciò che leggiamo e sentiamo sulla carne rossa, tuttavia, è propaganda anche superficiale e confusionaria.

Sfatiamo 5 miti assurdi sulla carne rossa

La carne rossa marcisce nel colon

Alcune persone sostengono che la carne non viene digerita correttamente e “marcisce” nel colon.
Quello che succede quando mangiamo carne, è che viene scomposta dall’acido gastrico e dagli enzimi digestivi. Nell’intestino tenue, le proteine sono suddivise in aminoacidi e i grassi sono suddivisi in acidi grassi.

La carne rossa è ad alto contenuto di grassi e colesterolo saturi dannosi

Uno dei principali argomenti contro la carne, è che tende ad essere alto il valore dei grassi saturi e del colesterolo. Ma questo in realtà non è un motivo di preoccupazione, perché la nuova scienza ha dimostrato che entrambi sono innocui se il consumo di proteine animali avviene in maniera moderata e all’interno di un regime alimentare equilibrato e vario.

La carne rossa causa malattie cardiache e il diabete di tipo 2

Stranamente, la carne rossa è spesso accusata di malattie occidentali come le malattie cardiache e il diabete di tipo 2. Le malattie cardiache non sono diventate un problema fino all’inizio del XX secolo e il diabete di tipo 2 solo pochi decenni fa. Quindi forse la carne rossa di per sé non è un problema ma lo sono farmaci e antibiotici che vengono somministrati agli animali negli allevamenti intensivi.

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La carne rossa causa il cancro

Una credenza comune è che la carne, in particolare la carne rossa, provochi il cancro. È qui che le cose si complicano un po’.
È vero che la carne trattata è associata ad un aumento del rischio di cancro, in particolare il cancro del colon. Ma quando si tratta di carne rossa non lavorata, le cose non sono così chiare.
Due studi di riesame, uno che ha esaminato i dati di 35 studi e l’altro di 25 studi, hanno rilevato che l’effetto negativo della carne rossa non lavorata era molto debole per gli uomini e inesistente per le donne.

Gli esseri umani sono naturalmente erbivori e non “progettati” per il consumo di carne

Alcuni vegani sostengono che gli esseri umani non sono “progettati” per mangiare carne. Dicono che gli esseri umani sono naturalmente erbivori come i nostri antenati primati.
Gli esseri umani e i primati mangiano carne da molto tempo e i nostri corpi sono ben adattati al consumo di carne. I nostri sistemi digestivi non assomigliano affatto a quelli degli erbivori.

Anime consigliati: 7 film di animazione giapponese da vedere

Le anime sono i film di animazione, neologismo utilizzato in Giappone da partire dalla fine degli anni settanta. La parola anime è in realtà l’abbreviazione di animēshon (traslitterazione giapponese della parola inglese animation, “animazione”).

I film di animazione nel mondo sono davvero moltissimi alcuni hanno avuto grande successo altri meno e fra questi vi sono anche i film di animazione giapponese che forse solo gli appassionati conoscono.

7 anime consigliati che arrivano dal Giappone

Nel 2018 le anime hanno preso una buona fetta di mercato grazie a Netflix che ne ha rilasciati di assolutamente originali. Ecco le anime consigliati da noi:

Barefoot Gen di Mori Masaki del 1976 questo anime è il primo in classifica e racconta la vita di Gen Nakaoka, un ragazzino che sopravvive all’olocausto nucleare di Hiroshima. Un film drammatico visto l’argomento e ad oggi non ancora doppiato.

Akira di Kazuhiro Ōtomo del 1988 fu un colosso del tempo fra le anime consigliati alle quali ha aperto il mondo internazionale di questi film negli anni ’90. Questo film coinvolse ben 6 compagnie di produzione, 1300 animatori con una spesa totale di 1 miliardo di yen.

Ghost in the Shell di Mamoru Oshii del 1995 ambientato in un Giappone futuristico racconta della polizia che indaga su crimini informatici con anche la presenza di intelligenza artificiale. Un film che rivisto oggi pensando all’anno in cui fu girato lascia senz’altro riflette per quanto fosse avanti al tempo.

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Perfect Blue di Satoshi Kon del 1997 un thriller psicologico legato alla percezione del corpo e all’identità femminile, oltre a porre attenzione sulla società del consumo. Questo anime forse alcuni lo ricorderanno perchè 10 anni dopo uscì il Cigno Nero che aveva fin troppi tratti in comune con Perfect Blue, ma il regista del Cigno nero negò di averlo mai vista prima.

Metropolis di Rintarō del 2001 racconta di come gli abitanti della città di Metropolis, disposta su più livelli, danno colpa ai robot per tutte le cose che vanno male. Qui si vede chiaramente il rapporto fra uomini e uomini e uomini e macchine, dove entrambi sono difficili e spietati.

Redline di Takeshi Koike del 2009 fa parte degli anime consigliati a coloro che sono amanti delle corse di macchine, infatti la trama è questa corse di auto una sorta di Fast and Furios Giapponese.

La forma della voce di Naoko Yamada del 2016 film con animazioni che lasciano senza fiato e raccontano di sentimenti, la storia fa commuovere e la tematica principale è il bullismo, male del nostro periodo ora più che mai. Un anime consigliato che trasmette anche il valore del perdono e dei sensi di colpa.

Degustatori vino: i 5 sommelier più famosi al mondo

I degustatori vino sono differenti dai sommelier, spesso vengono confusi poichè per entrambi ciò che li accomuna è il vino, ma il sommelier è colui che conosce bene le caratteristiche del vino, che sa quale consigliare in base all’abbinamento col cibo e che sa servirli nel modo giusto.

I ristoranti che vogliono dare una marcia in più alla loro immagine assumono sommelier preparati che sappiano illustrare ai clienti le caratteristiche dei vini disponibili e li portino a scegliere sempre il migliore.

I degustatori vino invece sono invece coloro che spesso lavorano presso cantine produttrici di vino e il loro compito è proprio quello di assaggiare i vini, formularne un giudizio tecnico e definirne le caratteristiche qualitative ma di portarne alla luce anche i difetti. Non sempre sono persone che lo fanno per lavoro, ma spesso sono anche solo appassionati che si specializzano come assaggiatori di vino.

5 sommelier più famosi al mondo

I degustatori vino famosi al mondo non è facile trovarli l’ONAV – Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino – ad esempio ogni anno premia il miglior sommelier e il miglior assaggiatore, fra questi nel 2018 il miglior assaggiatore di vino fu Marco Passarelli. La prova prevista era quella di 10 domande teoriche e di riconoscere nel dettagliato 6 vini scelti fra le eccellenze dell’enologia italiana.

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La classifica dei sommelier più famosi al mondo:

Andreas Larsson è un degustatore svedese raffinato e molto preparato riconosciuto a livello internazionale, nasce come chef ma con la passione del vino che coltiva con diversi viaggi in Europa sino ad diventare un grande degustatore. La sua preferenza va verso i vini francesi.

Enrico Bernardo italiano conosciuto prima di tutto come sommelier internazionale fra i più giovani. Non finisce qui però perché poi si dedica alla consulenza in aziende che producono vino sino a scrivere libri e a disegnare bicchieri per la degustazione. Ha aperto anche due ristoranti e una boutique a Parigi.

Markus Del Monego il primo tedesco di origine svizzera riconosciuto come il miglior sommelier al mondo. Inoltre ha ottenuto anche il titolo di Master of Wine.

Aldo Sohm diventa uno dei miglior sommelier al mondo nel 2008,ma già nel 2006 viene citato dal New York Magazine fra quelli migliori presenti nella città della grande mela. Di origini austriache e dal nome italiano lavora come Wine Director nel ristorante pluristellato Le Bernardin.

Olivier Poussier sommelier da vent’anni con una carriera da responsabile del gruppo Lenôtre oltre che consulente per diverse aziende del settore gastronomico come Heineken e Air France. Inoltre collabora con redazioni e con la stampa specializzata.

Intervista ad Alessio Bernabei, ex Dear Jack

Classe 1992, fonda i Dear Jack con cui vince il premio della critica ad Amici di Maria de Filippi e pubblica due ep. Il 2018 vede l’esordio da solista: si presenta a Sanremo con il singolo d’esordio, Noi siamo infinito. Sempre nello stesso anno pubblica il disco solista “Senza Filtri”.

A un anno di distanza è tempo di bilanci, per questo noi di ManInTown abbiamo intervistato in esclusiva uno dei più promettenti volti della nuova musica italiana: Alessio Bernabei.

È passato un po’ di tempo da quando hai deciso di intraprendere la carriera da solista. Tante soddisfazioni. Un bilancio di questi quattro anni?

Mi ritengo molto fortunato, in passato non avrei mai pensato di riuscire a lavorare con la mia passione piu grande. Ci sono state soddisfazioni ma anche tanti momenti duri e prove da superare. Oggi mi sento un Alessio cresciuto e più consapevole, sia a livello personale che sul lato musicale.

Ci sono artisti (italiani o internazionali) che ammiri particolarmente?

Nel corso degli anni ho attraversato varie fasi musicali, ho amato artisti come Frank Sinatra, Michael Jackson, Stevie Wonder, Green Day, Goo Goo Dolls e altri. Sto seguendo anche molti artisti emergenti che promettono molto bene.

Quale è il tuo look tipico, il Bernabei style? Descrivicelo.

Non sono un amante di stili particolarmente costruiti. Mi piace essere me stesso anche nel modo di vestire, per sentirmi sempre a mio agio, libero e sicuro di quello che indosso. Amo molto lo stile vintage. Sono cresciuto con i grandi film cult del cinema hollywoodiano che hanno influito molto sulla mia personalità.

Così come la musica che ho ascoltato, dal punk all’R&B. Molte volte prendo dall’armadio le prime cose che capitano. Proprio per questo ho uno stylist che mi consiglia e mi porta sempre sulla strada giusta. 

Dopo l’edificante esperienza sanremese pensi di riprendervi parte?

Con il brano giusto, il festival di Sanremo è una vetrina che ti può dare tantissimo discograficamente parlando. Rivivrei volentieri le fantastiche emozioni di quel palco.

Nuovi progetti in cantiere?

Sto scrivendo molto, passo molto tempo in studio a buttare giù nuove idee e creare nuova musica. Aspetto il momento giusto per farla uscire e condividerla col mondo.

Hai una routine di bellezza?

Per barba e capelli lascio fare al mio barbiere. Uso qualche volta creme idratanti per il viso prima di andare a letto. Non amo molto la pelle secca. Sono consapevole però del fatto che le mie occhiaie non mi abbandoneranno mai.

Passioni oltre la musica?

Nel mio tempo libero amo gustarmi tanti bei film, che mi regalano ispirazione sia per la musica che per la vita di tutti i giorni. Possiedo una Harley Davidson e quando sono a casa nelle belle giornate salgo in sella per sentirmi libero e in pace col mondo. Scarico tutto lo stress accumulato. Sono appassionato di cafè Racers e moto d’epoca.

Un’ultima domanda: sei felice oggi?

Si, posso reputarmi felice. La felicità per me è avere una famiglia in salute che crede in me ogni giorno. Essere circondato da amici su cui posso fare affidamento e poter continuare a vivere tutta la vita del mio pane quotidiano: arte e musica.

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Leather Jacket: Dead Wood Tracksuit: LEO Studio Design Pants: Bakery Svpply Shoes: Premiata Ph: Giuseppe Laguzzi Stylist: Davide Turcati, Caterina Michi

Ph: Giuseppe Laguzzi
Stylist: Davide Turcati, Caterina Michi

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Art Verona highlight: Amazon’s cabinet of curiosities di Emilio Vavarella

All’interno di Art Verona, fair dal piglio sempre più internazionale, è stato ospitata nell’ultima edizione programmata lo scorso 11 ottobre art+b=love (?), festival italiano guidato da Federico Bomba e Cesare Biagini Selvaggi. È stata indagata la connessione tra arte e impresa e il potere di innovazione che scaturisce da questo incontro.

Protagonista di questa riflessione è stata l’installazione di Emilio Vavarella, che insieme a un gruppo di imprenditori ha dato vita all’Amazon’s Cabinet of Curiosities (Algorithmic Enquiry N.1) all’interno di un workshop impiegando oggetti proposti da Alexa, il celebre gadget hi-tech di Amazon.

Alla domanda fatta all’assistente virtuale “Mi consigli un prodotto per realizzare un’opera d’arte?” Alexa si è sbizzarrita andando così a comporre l’arredamento della Wundercammer.

L’intento dell’opera è quello di analizzare la relzione tra mondo virtuale e artificiale e le loro rispettive competenze, stimolando così una riflessione sulle soft skills, ossia quelle abilità trasversali e relazionali necessarie (per fortuna) agli individui per stabilire connessioni inedite creando così dialoghi ancora mai esplorati.

ArtVerona (11-13 ottobre) ha ospitato art+b=love (?), il Festival italiano diretto da Federico Bomba e Cesare Biasini Selvaggi, dedicato al potere innovatore dell’Arte quando incontra l’Impresa.

Protagonista è Amazon’s Cabinet of Curiosities (Algorithmic Enquiry n.1), un’opera d’arte che è stato realizzato live ad ArtVerona, tra l’11 e il 12 ottobre, nel corso di un workshop in cui l’artista Emilio Vavarella e un gruppo di imprenditori hanno creato un’installazione con oggetti proposti da Alexa, l’assistente virtuale di Amazon, a cui verrà posta la domanda “ Mi consigli un prodotto per realizzare un’opera d’arte?”.

L’intento di Amazon’s Cabinet of Curiosities è indagare  il delicato rapporto tra le competenze umane e artificiali e stimolare una riflessione sulle soft skills, quelle abilità trasversali, individuali e relazionali necessarie agli individui per stabilire connessioni di senso inedite e proiettarsi verso ciò che ancora non esiste.

L’obiettivo del Festival art+b=love (?) è quello di promuovere un “Nuovo Rinascimento”, attraverso un incontro ideale di Artisti, Imprenditori, Scienziati, Umanisti della contemporaneità.

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Andrea Dipre: chi è davvero l’ex di Sara Tommasi

Andrea Dipre ha conquistato popolarità per essere l’ex della soubrette Sara Tommasi e aver divulgato alcuni video intimi con quella che poi è diventata a tutti gli effetti, da quanto si evinceva nei video, la sua compagna dell’epoca.

La vita di questo uomo però non è solo questo, infatti risulta essere anche un ex avvocato radiato dall’albo, un politico e critico d’arte ed infine uno showman con una vita davvero ricca di stravaganze.

Scopriamo di più su Andrea Dipre e sulla sua vita.

Andrea Dipre chi è

Nasce e Tione di Trento nel 1974, si laurea in giurisprudenza e sembra che non sia stato realmente radiato dall’albo, ma solo cancellato, questo significa che può iscriversi ad un’altra Corte d’Appello. Sarà vero? Purtroppo le fonti non sono attendibili su queste due versioni.

Si racconta che da ragazzo fosse attivo nella chiesa e fosse davvero una persona semplice, entrò poi nel mondo della politica iscrivendosi ai partiti Margherita e Lega Nord. Entrò poi nel mondo dell’arte grazie a Tele Padania e con Osvaldo Paniccia fece il suo debutto nel mondo del web. Si, perché caricava le sue interviste e i video fatti nelle trasmissioni televisive su Youtube. L’intervista con Paniccia dopo qualche mese ebbe visualizzazioni impressionanti, diventando virale ed ecco che Andrea Dipre cominciò a diventare il personaggio del trash su Youtube.

C’è chi lo ama per il suo modo di vivere del tutto diverso dalla massa, mentre altri lo “odiano”, proprio per come vive. Le sue apparizioni televisive lo hanno reso famoso fra cui la puntata su Mi Manda Raitre e le partecipazioni d “Diretta Biancorossa” nel Marzo 2015.

Al momento è fra i personaggi più famosi e seguiti su Youtube ed è definito colui che ha fatto del trash una filosofia di vita, anche se molti video sono stati prima caricati e poi eliminati perché censurati.

Andre Dipre le sue stravaganze

I video di Andrea Dipre sono spesso fatti di volgarità ed esibizioni al limite della legalità.

Ha ammesso anche di frequentare prostitute e di utilizzare viagra, d’altronde il suo motto in merito pare essere “tutta la notte coca e mignotte” . Ha ammesso infatti anche di fare uso di sostanze stupefacenti.

In ultimo, nel 2014 Andrea Dipre avrebbe fondato una sua “religione” il Dipreismo, non chiedeteci di cosa si tratta, perché non saremmo in grado di spiegarvelo in modo esaustivo.

Caccia al tartufo con stile

Tra sentieri disegnati dal foliage di calde sfumature che ricordano quelle di un tramonto, i territori più suggestivi d’Italia nascondono un diamante custodito dalla terra con estrema gelosia, perché arrivi sulle tavole accompagnato dal suo consueto profumo e il gusto delicato inconfondibile. Ma il fascino senza tempo si deve soprattutto alla tradizione delle storiche terre d’Italia e quel pregiato frutto della famiglia dei funghi.

Come quella del tartufo di San Miniato, tramandata dalla famiglia Savini per farvela rivivere in tutti i suoi segreti nascosti, dai percorsi nei boschi con i famosi cani addestrati ai segreti culinari per esaltarne il gusto in cucina, per terminare quest’esperienza indimenticabile con un pranzo ad hoc a base di tartufi locali.

Una full immersion in questo meraviglioso mondo nel totale rispetto delle tradizioni, creato per gli ospiti gourmand dell’Hotel Savoy di Firenze.

Hotel Savoy Firenze

Un fascino che influenza, da sempre, lo stile dei capi più adatti a questi luoghi, avvolgente nei pesi e nei materiali pregiati, come nelle sue sfumature: giallo intenso delle foglie che sembrano intinte d’oro zafferano e macchie di rosso infuocato, per illuminare agli spettacolari sentieri protagonisti del gusto. 

Anche a pochi chilometri da Gubbio, i boschi sono silenziose distese di lecci, cerri e querce di 300 ettari intorno al millenario Castello di Petroia, gli stessi che vide San Francesco in cammino da Assisi. 

Anche qui è aperta la caccia al tartufo, in compagnia di Cesare, il fattore del Castello, con l’aiuto di Stella, una splendida Kurzhaar ,che vi guideranno alla scoperta delle tartufaie che si nascondono nella vegetazione che avvolge la collina su cui si erge la storica fortezza. Per portare poi il profumato raccolto nella cucina dello Chef del Castello Walter Passeri.

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Baffetti e pizzetto: 7 attori che non rinunciano ai baffi

Baffetti e pizzetto sono le caratteristiche che sul volto di un uomo spesso fanno girare la testa a una donna, si sa l’uomo che non ha del tutto la faccia “pulita” ha sempre quel fascino del bello e impossibile.

Per molti baffetti e pizzetto è poi un segno di riconoscimento ma anche un modo per sentirsi sicuri, che dire una specie di seconda pelle. Portati da molti attori che hanno segnato la storia del cinema e che non vi rinunciano per niente al mondo. Voi li conoscete tutti? Eccone una veloce carrellata di nomi da cui prendere spunto per il vostro look.

7 attori che non rinunciano a baffetti e pizzetto

Fra le figure dello spettacolo che di certo non si possono dimenticare coi loro baffetti e col loro pizzetto vi sono:

Charlie Chaplin mitico attore della comunicazione non verbale che non avrebbe mai rinunciato ai suoi baffetti, quelli che insieme alle sue rappresentazioni lo hanno reso famoso e tanto simpatico a molti.

John Gilbert un altro attore icona del cinema muto statunitense che rese i suoi baffi un’icona del periodo e che fece girare la testa alle donne del tempo.

Errol Leslie Flynn un altro grande attore “baffuto” che recitò nei primi film col sonoro, ebbe molto successo oltre ad incarnare l’immagine del grande seduttore.

Clarke Gable attore indimenticabile che rese famosi i cosiddetti baffetti a fiammifero, la cui immagine è senz’altro legata alla grande opera Via col Vento.

Ricordiamo poi qualche attore di epoca più recente con baffetti o pizzetti fra cui:

Eddie Murphy attore comico e doppiatore con una lunga carriera cinematografica che lo vede sempre coi suoi baffi, ma in alcuni ruoli anche col pizzetto presente anche nella vita reale.

Robert Downey Jr. attore e produttore cinematografico a cui baffetti e pizzetto non mancano mai. La sua carriera inizia fin da piccolo all’età di 5 anni anche se lo ricordiamo in particolare per la sua interpretazione in Iron Man. Purtroppo carriera con alti e bassi dovuti ai suoi problemi con la droga.

Johnny Depp attore, produttore cinematografico e musicista statunitense il cui volto è sempre arricchito da baffetti e pizzetto. Conosciuto per le sue grandi interpretazioni fra cui Edward Mani di Forbice, Matrix o La maledizione della prima luna. Attore più pagato al mondo secondo la rivista Forbes.

Che il successo di questi attori sia dovuto ai loro baffetti? Senz’altro li hanno resi affascinanti!

Whatsapp chiamate: come impostare la chiamata in attesa

Come ormai tutti sapranno, tramite WhatsApp non è possibile solo inviare messaggi, ma anche fare e ricevere chiamate e videochiamate.

Questo permette di chiamare amici e parenti anche se sono dall’altra del mondo senza nessun costo aggiuntivo, basta che entrambi abbiate attiva una connessione internet (verificare sempre che il vostro operatore di rete non applichi costi aggiuntivi per il traffico dati in eccesso).

Non permette di chiamare numeri di emergenza come il 112-113-118, per questi ricordate di usare la funzione telefonica normale.

Non finisce qui, se fino a poco tempo fa non vi era modo di impostare la chiamata in attesa su whatsapp ora l’applicazione più usata al mondo offre anche questa possibilità.

In precedenza chi ci chiamava mentre eravamo in altra conversazione telefonica, sentiva il telefono squillare ma non aveva nessun avviso che eravamo già al telefono, e non lo avevamo neanche noi, infatti usciva solo “chiamata persa” quando chi ci aveva provato a chiamare riagganciava. Ora con whatsapp, chiamate in attesa è tutto diverso.

Sapete come si fa? Avete già avuto modo di usare questa funzione? Se non lo sapete ecco che ti spieghiamo in pochi passaggi come utilizzare al meglio whatsapp chiamate.

Whatsapp chiamate come impostare quelle in attesa

La funzione whatsapp chiamate in attesa è disponibile sui dispositivi iPhone sistema operativo iOS da novembre 2019 e basta semplicemente aggiornare alla versione 2.19.120 o successive per avere attiva la funzione di cui sopra. Ricordate che va fatto tramite App Store Apple.

Se invece usate uno smartphone con sistema Android le note di rilascio della funzione chiamate in attesa indicaneranno che basterà aggiornare whatsapp alla versione 2.19.352 tramite il Google Play Store. Successivamente, riavviate il telefono per sicurezza che sia tutto attivo in maniera corretta e il gioco è fatto.

Ora se ricevete una chiamata tramite whatsapp, ma siete già impegnati in un’altra conversazione riceverete un segnale sonoro che vi avviserà di una chiamata in entrata, e potrete decidere così se passare alla nuova chiamata o continuare la telefonata già in corso.

L’uomo nuovo di Valli per H&M fra Cobain e Caravaggio

Approda anche nei negozi italiani la nuova collezione speciale dell’anno di H&M. “Giambattista Valli loves H&M” è il nome della capsule collection firmata dallo stilista ormai di casa a Parigi (ci vive e lavora da 22 anni) e che però ha scelto la sua città, Roma, per presentare al gotha della stampa internazionale e a vari vip e influencer i modelli della nuova collezione di alta moda democratica.

Una collezione agender perché oggi parlare di genere nella moda è desueto. E Roma perché, come dice lo stilista che da anni ormai sfila con la sua maison di alta moda a Parigi, è una città straordinaria e perché è ricca di opere d’arte. Caravaggio meets Francis Bacon è il tema dominante della collezione maschile, un debutto del couturier romano nel menswear, che si snoda in uno storytelling molto glunge con un’ispirazione palese a Kurt Cobain e agli anni’90.

Pellicce e pantaloni mimetici, giacconi di jeans slavato e giubbini di pelle rossa. Una collezione romantica, inclusiva, come se Kurt Cobain potesse indossare liberamente gli abiti di Courtney Love e viceversa. Senza stagioni e senza tempo, fatta per durare. Libera e preziosa. Silhouette marcate e sartoriali, il glamour che invade la vita quotidiana.

Capo chiave è il blazer doppio petto, disponibile in una versione tigrata piuttosto sorprendente, pensato per essere indossato con pantaloni cargo, per un look street style anziché formale. Le camicie eleganti sono altrettanto sorprendenti: una senza colletto in seta bianca con pettorina a pieghe, un’altra intrisa di stampe floreali; l’umile camicia in denim è ricamata sul colletto e davanti con fregi total black molto napoleonici.

La marsina ricamata è un omaggio alla giacca indossata dagli intellettuali e dagli artisti francesi che si uniscono all’Académie Française. I ricami ispirati alle alte uniformi militari glamourizzano la giacca in denim sbiadito. Il parka a coda di rondine è sovrastampato con ritratti artistici, pelle rossa e tessuti pregiati conferiscono ai blouson un’allure aristocratica.

Giambattista Valli ha dato il suo tocco ai capi base dell’abbigliamento di tutti i giorni come T-shirt, felpe girocollo o con cappuccio. Il capo di punta è una felpa nera raffigurante un’opera d’arte e un filo di perle bianche applicato intorno al collo, vagamente inutile. Print leopardo e motivi floreali arricchiscono magliette e felpe. I ricami ispirati dalle alte uniformi militari conferiscono alla felpa con zip un tocco maestoso. Maglie felpate e pantaloni sportivi sono declinati in stampe animalier. Ufficiale e gentiluomo ma con un’aria wilde e rock.

I vally boys sono spavaldi e sfilano in livrea con le dame Valli vestite di tulle rosso fiamma plissé con le maniche ad ali di angelo e i tronchetti di pizzo con tacchi a spillo. Un inno alla libertà anche se quelle perle al collo proprio restano un po’ anodine. Nonostante i prezzi accessibili resta da capire quanti uomini si vestiranno mai così, cappotti neri a colonna stile Matrix, pantaloni di paillettes nere e capispalla dark bohémien con la schiena stampata con quadri di Caravaggio, fermo restando che gli abiti femminili sono di una grazia squisita.

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MODES: La moda senza confini nella visione del suo fondatore Aldo Carpinteri

Nata nel 1971 a Trapani, la boutique Stefania Mode rappresenta il primo tassello di un’avventura imprenditoriale ardita e di grande successo. Oggi ribattezzata MODES, grazie ad un rebranding pensato  per sancire il nuovo corso sempre più internazionale, frutto del lavoro del nuovo management che vede Aldo Carpinteri ai vertici dell’azienda.

MODES continua e amplifica l’attività di rivenditore multi-marca in ambito di abbigliamento di lusso, forte di punti fisici strategici realizzati in collaborazione con un importante studio di architettura, e resa attuale e competitiva dalla solida piattaforma di e-commerce, che le permette di proporre più di 300 brand diversi, con capi per uomo e donna, scarpe e accessori.

Il nuovo marchio sancisce l’unione sempre più stretta fra moda e arte, che è alla base della visione di Carpinteri e che trova espressione in un logo definito “brutalista e barocco, espressivo ma contenuto”, dove riferimenti a storiche correnti artistiche e spinte verso il futuro si compenetrano in maniera vincente.

La convivenza di stimoli diversi è un elemento di grande ricchezza che contraddistingue questa realtà e garantisce ampia disponibilità di scelta sul sito grazie a un catalogo fornito ed eterogeneo, che include le proposte dei marchi rinomati e i nomi più promettenti del mercato, dando vita ad una piattaforma efficiente e in continuo aggiornamento, che può fare affidamento su un nuovo magazzino moderno e organizzato di oltre 4.500 mq e su spedizioni rapide e puntuali.

L’afflato artistico è inoltre ben presente, oltre che nel logo, anche nella realizzazione di boutique dallo stile curato e impeccabile, situate in luoghi di grande potenza evocativa e bellezza paesaggistica. Un esempio è il flagship store di Trapani, inserito nel contesto di un suggestivo palazzo storico, elegantemente ristrutturato dal prestigioso studio Arcabi.

Questi elementi si aggiungono all’importante partnership sviluppata con Farfetch, che ha implementato lo sviluppo del lato e-commerce e dato ulteriore spinta alla tendenza ad uscire dai confini nazionali, portando MODES ad affermarsi sempre più come realtà forte e affidabile in tutto il mondo nel settore della moda e del lusso.

Senza quindi rinnegare le sue origini, ma anzi infondendo vita nuova ai punti fisici già esistenti e creandone di nuovi, Aldo Carpinteri punta alle vette dell’e-commerce con grinta e preparazione, forte di anni di esperienza e di una conoscenza approfondita di marchi e dinamiche di mercato. Intende in questo modo offrire una selezione di capi e accessori ampia ma sempre in linea con la propria visione, fatta di passione per il bello e spiccata curiosità verso il nuovo, mista a voglia di stupire, superando i cliché e gli stretti confini del già noto, per spingersi sempre un po’ più in là.

Di questo parla la sua storia e MODES ne prosegue il cammino con rinnovata energia, per esplorare strade diverse ed andare incontro ad ulteriori successi, ricordando e facendo tesoro delle sue radici e del territorio da cui tutto nacque.

I migliori contorno occhi uomo per l’inverno

Borse, occhiaie e segni di stanchezza sono causati dal poco riposo, stress, e agenti atmosferici. Questi fattori intaccano la salute della nostra pelle e si posizionano proprio sotto il nostro sguardo. Il risultato sono i fastidiosi inestetismi che tutti ben conosciamo. Come combatterli? Nella gallery i prodotti da utilizzare questo inverno.

Olehenriksen Banana Bright Eye Crème

Crema illuminante che tonifica il contorno occhi a base di collagene, dona elasticità e combatte immediatamente le linee sottili del viso. La sua formula potenziata con vitamina C illumina e ravviva diminuendo le occhiaie.

Dolomia Mineral Detox Contorno Occhi Anti-fatica

Un gel fresco multifunzione per risvegliare la giovinezza dello sguardo. Grazie agli attivi decongestionanti, antiossidanti e idratanti, aiuta a ridurre borse occhiaie e micro-rughe, attenuando la sensazione di stanchezza. 

Nuxe Men Contorno Occhi Multi Funzione

Ideale per combattere borse e occhiaie e diminuire i segni del tempo grazie alla caffeina vegetale e all’associazione di acido Ialuronico di origine naturale, estratto d’Araucaria e Vitamina E.

La Mer The Eye Concentrate

Una nuova formulazione dell’esclusivo Miracle Broth™ di La Mer, questo eccellente trattamento concentrato tonifica, leviga e idrata in profondità il contorno occhi donando energie vitali alla pelle delicata.

Estee Lauder Advanced Night Repair Eye Supercharged Complex Synchronized Recovery

Favorisce la riparazione e la prevenzione degli effetti visibili di ogni importante aggressione ambientale nociva per la pelle, fra cui carenza di sonno, azione dei raggi UV, inquinamento e anche esposizione notturna alla luce blu. Ripara attivamente il contorno occhi.

Chanel Hydra beauty micro gel yeaux

Primo trattamento idratante con microsfere di camelia specificamente formulato per la fragile zona del contorno occhi. Grazie alla tecnologia microfluidica, agisce in modo mirato sulle rughette causate dalla disidratazione e su borse e occhiaie.

Clarins Men Sérum defatigant yeux 

Un siero contorno occhi antifatica con un complesso energizzante rinforzato da potenti attivi antinvecchiamento, per una risposta antietà preventiva e di correzione allo stesso tempo.

Dior Homme Dermo System

Siero occhi tensore defaticante, regala immediatamente luminosità alla pelle. I tessuti sono rafforzati, le palpebre distese, l’esterno occhi risollevato.

Sisley Baume Efficace 

Trattamento levigante e idratante per contorno occhi e labbra. E’ un gel fresco e trasparente che penetra rapidamente con la sua formula, a base di estratti di origine naturale. Decongestiona, drena, idrata.

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Torino, città delle art fair

Quando si diceva Torino, la prima cosa a cui si pensava era la FIAT, che invece ad oggi non esiste praticamente più nella città sabauda. Sulle ceneri del Lingotto, la ex fabbrica più grande della casa automobilistica nasce uno spazio espositivo immenso e con quel sapore dell’epoca industriale che non ha uguali. Proprio qui è andata in scena la ventiseiesima edizione di Artissima, dove hanno esposto settanta paesi diversi, tutte gallerie affermate e di prestigio. 

Anche questa edizione di Artissima è stata un’occasione per richiamare a Torino il grande pubblico ed offrire alla Città una piena visibilità internazionale. Con questo fine, la Fondazione Torino Musei, a cui fa capo la fiera, ha sviluppato nelle proprie sedi museali importanti iniziative tra cui l’Antologia di Paolo Icaro in GAM e una nuova collaborazione con la Fondation Prince Pierre de Monaco pour la création contemporaine che porterà il vincitore del loro premio Arthur Jafa a Palazzo Madama in occasione di Artissima” 

Negli stessi giorni invece per la sua quindicesima edizione Paratissima, l’esposizione di artisti nascenti, si è spostata in pieno centro, nel cuore della città, tra piazza Castello, il Teatro Regio, e la Cavallerizza, recentemente colpita da un incendio, e la Mole Antonelliana, per inserirsi in uno spazio immenso, di quasi 12mila mq. La location: quella che un tempo era la “Reale Accademia”, una scuola per la formazione dei giovani gentiluomini alla vita di corte, poi diventata Accademia Artiglieria, e ora dismessa.

È Guglielmo Castelli, Torinese, classe 1987, presentato dalle gallerie Francesca Antonini di Roma e da Rolando Anselmi di Berlino e Roma, il vincitore del Premio Ettore e Ines Fico, dedicato a un giovane artista scelto tra tutti quelli presenti in fiera; il premio viene bandito da Artissima in collaborazione con il MEF Museo Ettore Fico di Torino.

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Carta si diventa Nexi: ecco cosa è cambiato

CartaSì, la cui nascita risale circa alla metà degli anni Ottanta, è una delle società Italiane più grande nella gestione delle carte di credito (che ha però cambiato il suo nome in Nexi), insieme all’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane (ICBPI) che fu fondata nel lontano 1939.

Il cambio di nome ha coinvolto ben 27 milioni di carte di credito gestite, ovvero clienti in Italia che hanno questo carta e si sono visti arrivare comunicazioni su questo cambiamento e sulle novità legate alle carte stesse.

La nascita di Nexi si è vista necessaria per semplificare i servizi e offrirne di nuovi ai clienti, in particolare per quelli che riguardano Internet e gli acquisti sul web. Se rimaneva il vecchio nome, CartaSì rischiava che il nuovo prodotto, più moderno e attento, alle esigenze dei clienti non venisse realmente percepito dai clienti.

Vediamo cosa è cambiato con Nexi.

Cosa è cambiato con l’avvento di Nexi

Nexi per famiglie e per le aziende

La carta Nexi viene offerta in diverse modalità: quella dedicata alla famiglia fra cui poter scegliere fra Nexi base per un utilizzo quotidiano, Nexi gold che ha alcuni vantaggi e servizi aggiuntivi, Nexi Platinum con un limite di utilizzo più alto delle precedenti e Nexi Black il top di gamma fra le offerte delle carte di credito.

Per le aziende, invece, c’è Nexi Business Commercial e Nexi Corporate.

Assistenza di Nexi: come funziona e che numero chiamare

In caso di furto e smarrimento non è cambiato nulla, i numeri attivi sono sempre gli stessi: 800 151616 dall’Italia e +39 02 34980020 dall’estero.

Carta di credito attiva: il passaggio da CartaSì a Nexi

Chi è già in possesso di una carta di credito CartaSì non subirà cambi di carta, sino alla scadenza. La carta può essere utilizzata senza problemi e senza modifiche al contratto.

Sito internet di Nexi

Il sito tramite cui vedere le spese effettuate e il saldo diventa www.nexi.it, le credenziali per accedere restano invariate se già in vostro possesso.

App di Nexi

Ormai tutte le banche e le carte hanno una App dedicata e di certo non manca per Nexi, da Mysi diventa Nexi Pay. Si scarica da Google Play o da App Store in caso di Apple.

Droghe quanto costano cocaina, eroina e marijuana

Il mondo delle droghe oggi è sempre più vasto, ogni anno sembra che ne vengano messe in commercio di diversi tipi di droghe anche se la più consumata e richiesta resta sempre la bamba droga.

 I prezzi di cocaina, eroina e marijuna sono diversi e purtroppo spesso anche molto bassi, questo è indice anche di cattiva qualità che mette in serio pericolo la salute del consumatore. Precisiamo che non siamo a favore del consumo di droga, ma che ne fa uso dovrebbe stare molto attento al prezzo che paga per la bamba droga poiché un costo elevato è anche indice di qualità un costo esageratamente basso sono spesso droghe del tutto sintetiche e dannosissime.

Quanto costano cocaina, eroina e marijuna

Dare dei costi precisi delle droghe non è facile, poiché il mercato a seconda anche del luogo dello spaccio varia molto ad esempio dove la richiesta è molto alta si possono comprare dosi di eroina gialla anche a 3 € con una media di vendita di 5 €.

La bamba droga, nome con cui spesso viene definita la cocaina la si trova intorno ai 6 € a dose quando non vengono vendute dosi di cocaina ed eroina insieme al forfait di € 10,00. Chi fa consumo di questo mix lo chiama speed ball.

Passiamo ora ai costi delle droghe secondo una tabella stilata dalla Ue che indica quanto segue:

Bamba Droga o Cocaina venduta a tariffe che vanno dalle 30 € a dose alle 120 € in Inghilterra, in Romania arriva a costare anche 150 €, in Austria sembra la si trovi in torno alle 70 € a dose, mentre in Polonia e Ungheria il costo va dalle 60 alle 90 €. In Italia invece un grammo di cocaina va dalle 70 alle 90 €.

Eroina sembra avere un costo al grammo piuttosto uniforme di paese in paese che sta intorno alle 35 €, un costo che purtroppo è alla portata economica di molti giovani e questo di sicuro non è un bene, oltre al fatto che non sembra più essere un prodotto da essere iniettato come facevano i giovani negli anni ’80 ma che si oggi venga fumata, modalità che ne aumenta il consumo in maniera esponenziale.

Marijuna tipica droga utilizzata per fare le cosiddette canne e il cui costo va dai 7 ai 20 € al grammo. Questa variazione di costo pare essere influenzata dal luogo in cui viene venduta, secondo alcune ricerche sembra infatti che nel Nord Italia costi di più mentre al Sud di meno.

Benessere al maschile: Novembre il mese della prevenzione

Non tutti lo sanno ma Novembre è il mese dedicato a livello mondiale alla prevenzione delle patologie al maschile, tra cui la salute mentale, il tumore al testicolo e alla prostata.

In questa occasione parliamo ancora una volta insieme al Dott. Nicola Macchione, urologo e andrologo presso l’Ospedale San Paolo di Milano. Come avevamo detto nella precedente intervista, il modo migliore di fare prevenzione insieme allo stile di vita e all’ alimentazione corretta, è quello di non temere la figura dell’urologo. “Pur non esistendo una data di scadenza per cui sia utile recarsi da uno specialista, esiste il buon senso, che dovrebbe spingere ognuno di noi a informarsi e a prenotare una visita senza che vi sia necessariamente qualcosa da monitorare”.

Courtesy of Nicola Macchione

Questo mese insieme a Nicola spostiamo l’attenzione sul tumore al testicolo, patologia che interessa maggiormente i giovani uomini tra i 15 e i 40 anni. In questo caso il miglior modo di fare prevenzione può essere svolto da noi in prima persona. Procedere con l’ autopalpazione ad esempio, può aiutarci a rilevare in modo precoce cambiamenti nei testicoli così da iniziare tempestivamente una terapia, qualora fosse necessario.

Ma come fare? Ecco 4 accorgimenti:

  • il momento più indicato per eseguire la palpazione è dopo un bagno caldo, quando il sacco scrotale è rilassato
  • prendere il testicolo nel palmo delle mani, prima l’uno e poi l’altro. Le dimensioni potrebbero non essere uguali, ossia l’uno potrebbe risultare più grande dell’altro
  • ogni testicolo va esaminato lasciandolo scivolare delicatamente tra pollice e indice di entrambe le mani
  • con le dita andare alla ricerca di noduli duri, gonfiori morbidi o tondeggianti, diversa tessitura della superficie testicolare o anomalie poichè proprio in questa zona si trovano altre strutture anatomiche che possono variare di dimensioni come l’epididimo, il deferente e il plesso venoso. Se si hanno dei sospetti consultare subito il proprio medico.

 

Tra le iniziative legate al mese delle prevenzione invece ricordiamo:

E.Marinella, brand storico sinonimo di eleganza e storicità “incravatta” il broccolo firmato Citrus, (eccellenza del settore food) con delle spiritose mini cravatte realizzate in poliart stampate nelle 4 texture iconiche del brand.  Questa inziativa inoltre, sostiene il progetto Salute al Maschile di Fondazione Umberto Veronesi da sempre in prima linea a favore della prevenzione. Parte del ricavato della vendita dei broccoli verrà destinato alla ricerca scientifica sulle patologie maschili.

Movember Foundation, l’unico ente mondiale di beneficenza che affronta il tema della salute e della prevenzione maschile raccoglierà fondi a favore della ricerca contro le principali malattie che colpiscono gli uomini e intaccano la salute maschile insieme a L’Oréal Paris Men Expert (che supporta in Italia e in tutto il mondo la fondazione) tramite la challenge virale “A novembre, raditi la barba e fatti crescere solo i baffi”.

In occasione della campagna “MoveMen”, dedicata alla sensibilizzazione sulle patologie tumorali maschili, Acqua di Parma è di nuovo a fianco della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori – LILT Milano. La storica Maison italiana sostiene l’importante campagna di prevenzione e devolverà il 20% dei ricavi ottenuti dalle vendite dei prodotti di Barbiere e dei Servizi di Barberia nelle Boutique di Milano e Roma per l’intera durata dell’iniziativa.

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Open Mind: la nuova Limited Collection di Antony Morato

Una collezione invernale fuori dagli schemi dedicata all’uomo metropolitano, che con audacia e consapevolezza si pone al centro della moda e a mente aperta la interpreta. Si chiama Open Mind e propone capi unici e ricercati dai quali partire per definire il total look contemporaneo.

Partendo da un capo definito, come un cappotto o una maglia, si compone il proprio look giocando sugli accostamenti tipici del mix&match. Piumini parka dalla vestibilità over e con lining in tessuto fluo, bomber caratterizzati da zip spalmate e tasconi in stile aviator, cappotti lunghi che ricordano i pastrani dal gusto retrò ma resi contemporanei dal cappuccio morbido. 

Queste le proposte principali che creano un look androgino e ricercato, un omaggio al design minimal tipico delle metropoli asiatiche: da Shangai fino a Seul per un viaggio concettuale tra tagli puliti ed essenziali, colori-non-colori come il bianco e nero.

Non mancano infine spunti più grintosi come il cardigan animalier, indossato come giacca da camera sopra un abito elegante, oppure la pelliccia eco in versione bomber. La proposta è declinata in sedici modelli ognuno dei quali disponibili in soli 350 esemplari acquistabili da Novembre presso le boutique monomarca e sulla piattaforma ecommerce ufficiale.

https://www.morato.it/it/capsule-collection.html

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“L’architettura come incontro fugace”: tributo a Gaetano Pesce

L’ultima bottega d’arte italiana, del genere che ha costruito la nostra civiltà artistica a partire dal tardo Medioevo, sopravvive a New York. Fino a qualche anno fa la si trovava in Hall Street, a Brooklyn, al secondo piano di un edificio verde risalente ai primi anni Quaranta. Alto una decina di piani, a due passi dal vecchio porto militare, il palazzo è per il resto suddiviso ai piani superiori tra uffici contabili e i laboratori della fabbrica di peluche che rifornisce i luna park di Coney Island. Al secondo piano, al centro dell’unica ampia sala, seduto su un trono traslucido e colorato, si trova Gaetano Pesce.

Il Maestro Pesce all’opera. Photo courtesy: Olga Antipina.

Lo spazio tutto intorno è popolato da una miriade di creazioni dalle fattezze empatiche, infiniti progetti e oggetti antropomorfi posti senza ordine sugli scaffali e alle pareti. Grandi lenzuola di resina morbida, dette skin o pelli industriali, sono appese per la sala in dialogo con la luce proponendo le stesse suggestioni di antiche vetrate. I tavoli orchestrati come smisurati paesaggi marini o montani, sono ricolmi. Alternati alle opere e confusi con esse latte e bidoni di materiale plastico ancora liquido e informe. Ogni oggetto ha una vita propria ed entrando nel “workshop” di Pesce si è accolti da una folla composta da infinite singolarità: in uno dei templi della progettazione industriale nessun oggetto è uguale all’altro, neanche nei multipli, grazie alle variazioni di casualità insite nel progetto. Ognuno di loro sembra interrogarti con le parole del loro autore: “il futuro rimetterà in rilievo il legame tra una concezione e una nuova realizzazione?”, “i tempi nuovi ci toglieranno il complesso rispetto all’apparente mancanza di identità?”, “la differenza è vita?”, “Esiste un’estetica del difetto?”, “L’uso quotidiano uccide l’oggetto d’arte?”. Domande alla base dell’esercizio creativo contemporaneo, a cui gli oggetti stessi, con la loro semplice e gioiosa esistenza, sembrano dare risposta.

Il Maestro è circondato da assistenti che si muovono intorno a lui come pianeti col Sole. Come fosse avvenuta una pentecoste, con spontaneità, tutti si allineano straordinariamente al suo stile e alla sua volontà. Quasi dimenticandosi di se stessi, continuano a esistere come sue emanazioni. C’è addirittura “un ricettario segreto” ad uso della bottega che fa da guida agli assistenti, un diario su cui vengono annotate le tecniche e le metodologie riguardanti i lavori e le sperimentazioni; quasi un omaggio al Libro dell’Arte di Cennino Cennini. Ecco, ad un certo punto si comincia: nell’operare si ripetono gerarchie e ritualità secolari.

C’è chi assiste il maestro nell’ultimare il disegno preparatorio, chi prepara i colori, chi le resine; c’è chi fa la miscela e chi porge i composti alla mano sicura del Maestro, che nella sulla sua vita di instancabile ricercatore è stato colui che ha attribuito ai materiali plastici la dignità d’arte. Il grande riconoscimento, quello che già prima di giungere in America lo proietta in una dimensione pienamente internazionale, avviene nel 1969 con l’uscita della rivoluzionaria serie “Up”. Si tratta di sette sedute biomorfe realizzate in stoffa e schiuma poliuretanica, materiale che permetteva uno sbalorditivo espediente tecnico: le sedute venivano consegnate all’acquirente sotto forma di disco di plastica piatto, il quale, una volta introdotta l’aria, si gonfiava modellandosi nelle forme voluttuose del modello Up. Veniva su, appunto, come suggerisce il suo nome.

La più famosa della serie è la Up 5, con la sua ancella Up 6 che fa da pouf, diventata fin dal suo esordio uno dei simboli nel mondo del design italiano e del “Made in Italy”. L’opera, come tutta la creazione di Pesce, ha in sé un’esplicita volontà di denuncia: se da una parte con le sue forme rassicuranti, morbide e abbondanti vive gli stessi archetipi delle veneri paleolitiche incarnando l’idea del femminino materno, dall’altra essa si presenta come entità schiava. L’Up 5 è collegata alla sferica Up 6 da un filo che è contemporaneamente cordone ombellicale, vincolo vitale e catena. Una catena di quelle che venivano messe al piede dei condannati ai lavori forzati per costringerli ad una pesante palla di metallo, e rappresenta qui il simbolo del pregiudizio dell’uomo nei confronti della donna.

“È vero che nella storia le donne sono state sacrificate a causa dei pregiudizi degli uomini.È come essere in prigione, è come andare in giro con questo peso al piede tutto il tempo. L’unico modo di esaminare questo concetto era mostrare la palla collegata al corpo della donna con una catena”.

Da quel lontano 1969, celebrato nel suo cinquantesimo durante il Salone Mobile con una gigantesca installazione in piazza Duomo a Milano, “Maestà Sofferente”, Gaetano Pesce non è mai rimasto simile a se stesso: esplora infinite vie, mutando e contraddicendosi, rivendicando il diritto all’incoerenza dell’artista. Per citare solo alcune delle sue opere basta ricordare l’Organic Building del 1989, che propone con trentanni di anticipo, tutte le istanze del celebrato Bosco verticale milanese, o il Pink Pavillion della ex Triennale Bovisa, primo edificio al mondo interamente costituito da schiuma poliuretanica. L’8 novembre Gaetano Pesce compie 80 anni rimanendo bambino con la stessa intatta gioia nel disegnare il futuro.

E festeggiando il suo compleanno sappiamo che saremo noi a ricevere in regalo altre infinite sorprese che racconteranno la diversità di un autore la cui visione sentimentale dell’architettura ha permesso di superare i confini tra l’arte, l’industria e la vita. “L’architettura come incontro fugace, come ritratto rapito, come ricordo d’amore, come museo d’affetti. Architettura amata generosa, che racconta, che ricorda che spera, che crea” Auguri Gaetano, e Grazie!

Testo a cura di Stefano Morelli

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Love To Ride: Rinascente ed EICMA

Dopo il triennale successo, anche questo autunno Rinascente organizza e presenta nel cuore di Milano Love To Ride, l’ormai atteso evento off-site per gli amanti della moto, mentre dal 5 al 10 Novembre ha luogo EICMA, l’Esposizione Internazionale Ciclo e Motociclo.

Anche quest’anno, partner dell’evento sono EICMA e Moto.it, due punti di riferimento irrinunciabili per appassionati e addetti ai lavori, che insieme a Rinascente hanno dato vita vita alla quarta edizione dell’evento che trasforma il flagship store di piazza Duomo in un tributo al mondo delle due ruote, con performance, attività a tema e party, organizzati in collaborazione con i maggiori brand del settore motociclistico.


Le vetrine della Rinascente di Milano piazza Duomo diventano manifesto di Love to Ride, grazie all’originale progetto realizzato in 6 delle 8 vetrine da Moto.it e dalla Scuola del Fumetto; un concept cartoon dove le immagini in sequenza delle short stories “on bike” trasmettono il dinamismo degli spettacolari items firmati BMW, Continental, Energica, Piaggio, V Helmets e MV Agusta.  

V Helmets esporrà il suo casco Eolo, il new item adatto al viaggiatore e allo sportivo. Continental il super pneumatico Tkc 80. Curatore e realizzatore delle altre due vetrine è EICMA che, con il suo “Moto rivoluzionario”, propone un assaggio dell’headline della campagna 2019. Immancabile anche quest’anno, al secondo piano di Annex, la lounge Moto.it che ospiterà talk, interviste e incontri imperdibili con le personalità più in vista del mondo del motociclismo.

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Peugeot inaugura la sua mobilità elettrica

Peugeot ha dato il via ad un nuovo concetto di mobilità e approccio al futuro durante l’evento unico che ha realizzato a Milano lo scorso 4 novembre. Erano presenti anche diversi partner e amici del mondo del Leone, fra cui il Brand Ambassador Stefano Accorsi ed il tennista numero 8 al mondo Matteo Berrettini. A bordo di 100 nuovissime Peugeot 208 i partecipanti si sono poi spostati in carovana e scortati dalle forze dell’ordine fino a Casa Peugeot, presso lo Swiss Corner di via Palestro.

In questa location, attraverso un coinvolgente live show, è stata svelata la comunicazione dedicata all’elettrificazione della mobilità, nel pieno concetto di #UnboringTheFuture. Una nuova filosofia di mobilità, basata sul principio della libertà di poter scegliere l’alimentazione ideale per i propri spostamenti senza dover scendere a compromessi.

Un evento simbolico di sensibilizzazione dei cittadini milanesi nei confronti di una nuova avanzatissima tecnologia concreta e alternativa alle tradizionali alimentazioni oggi disponibili.

Questa avventura proseguirà a Casa Peugeot per due settimane durante le quali la mobilità sostenibile sarà protagonista in questo nuovo luogo di incontro e racconto per i cittadini, di dibattiti con rappresentanti del mondo delle istituzioni, dell’economia e di nuove generazioni di studenti.

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Stefano Cavada: la mia cucina Altoatesina

Stefano è un giovane altoatesino che in cucina ama utilizzare ingredienti tipici regionali per piatti tradizionali e moderni. Dopo gli studi in Italia e all’estero, oggi è uno youtuber, food influencer e anche cuoco televisivo. Nel suo ultimo libro “La mia cucina Altoatesina” ritroviamo l’amore per i luoghi del cuore ma anche studio e dedizione. Scopriamoli insieme a lui..

Quando hai realizzato che la passione per la cucina sarebbe diventata il tuo lavoro?

Alcuni anni fa, quando presi la decisione di dedicarmi alla mia passione per la cucina, mi augurai che un giorno potesse trasformarsi in un lavoro. È stato un passaggio graduale, all’inizio quasi inconscio, e poi ho iniziato a raccogliere i frutti dei progetti che avevo creato con le prime videoricette su youtube. In ogni caso ora è diventato un lavoro a tempo pieno e mi dedico a molti progetti digitali ed editoriali che mi appassionano ancora di più.

Da dove nasce l’ispirazione per i tuoi piatti?

La realizzazione dei miei piatti si contraddistingue per un forte legame con la tradizione altoatesina, quindi spesso parto proprio da quella. Poi a volte basta un viaggio o un piatto della tradizione italiana per trovare l’ispirazione per una nuova ricetta. 

Il tuo ingrediente preferito?

In assoluto il mio fedele compagno delle ricette è lo Speck dell’Alto Adige. Un prodotto di grande tradizione e che si caratterizza per il suo aroma leggermente affumicato e speziato. Nelle mie ricette ha sempre una grande presenza proprio perché riesce a dare una marcia in più anche ad un piatto semplicissimo.  

Quale è stato il processo creativo per la realizzazione del tuo libro?

Era da alcuni anni che desiderato realizzare il mio libro di cucina. Avevo già ben chiaro in mente come sarebbe stato strutturato e quali ricette mi sarebbe piaciuto inserire. Poi ho preso coraggio e ho contattato Athesia, la mia casa editrice, che ha subito accolto con grande entusiasmo il progetto e abbiamo iniziato a lavorarci fin da quel momento. È servito un anno intero per progettare il libro ed andare in stampa. Per me è stata un’avventura nuovissima che mi ha insegnato molto, perché in tutta sincerità non sapevo come si facesse un libro. Sono tuttavia molto contento del risultato e rispecchia in tutto e per tutto il progetto iniziale. 

Hai vissuto a Londra e Parigi, dove ci consiglieresti di mangiare assolutamente in queste città?

A Londra avevo seguito l’apertura del Sushi Samba, un ristorante al 38° piano della Heron Tower di Londra. Un posto in cui bisogna concedersi una buona cena con la vista sulla città. A Parigi sono stato di recente nel ristorante Bouillon Racine, un bellissimo ristorante dagli interni art nouveau e che offre un menù di cucina tipica francese, accompagnato da un buon “verre de vin” o un buon bicchiere di “bière blanche”,

Cosa non può mancare nella tua valigia quando viaggi?

Nella mia valigia non manca mai il costume da bagno, perché ,da appassionato nuotatore, se c’è modo di fare due bracciate, colgo sempre l’occasione.  Inoltre ho un comodissimo portabiancheria che mi permette di organizzare con facilità l’intimo e le calze senza che si spargano nella valigia.  

Il tuo luogo del cuore?

Caldaro, il paese in cui sono nato e cresciuto. Con la mia famiglia abitavamo in una casa monofamiliare circondata da un bellissimo giardino. Passavo dei pomeriggi interi a giocare in giardino, anche insieme ai miei cani, e vivevo mille avventure diverse ogni volta. Sono molto legato al periodo dell’infanzia che è stato molto felice.

Hai progetti o iniziative legate al prossimo Natale?

Da qui a Natale ci saranno ancora delle presentazioni del libro, (tra cui l’appuntamento al celebre Mercatino di Natale di Bolzano dove terrà uno show cooking, ndr). Inoltre tornerò con alcune video ricette natalizie proprio sul mio profilo Instagram, ovviamente dedicate al Natale altoatesino.

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Il mito di Ralph Lauren rivive in ‘Very Ralph’

Chi dice Ralph Lauren pensa subito all’America. È da questa idea che prende le mosse il docu-film ‘Very Ralph’ diretto e realizzato da Susan Lacy, trasmesso su HBO e in esclusiva in Italia su Sky Arte il 16 novembre. La regista che ha già firmato due lavori poderosi, uno su Steven Spielberg e l’altro su Jane Fonda, entrambi biopic in forma di storytelling documentario, ha impiegato 10 anni per riuscire a intervistare Ralph Lauren e arrivare a definire il progetto del film con lui.

“Mi sono preparata con accuratezza per realizzare questo progetto che ha richiesto 15 interviste con lo stilista e sei mesi di lavoro, amo Ralph Lauren perché la sua moda è portabile; la difficoltà è stata realizzare un film che fosse il mio film, non quello di Lauren, ma credo di esserci riuscita, Ralph Lauren ha sempre avuto una visione ed è salito su un treno da cui non è ami sceso, per citare Anna Wintour”, ha spiegato la stilista alla conferenza stampa del docufilm.

Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma edizione 2019 (la quattordicesima della festa) il film risulta particolarmente interessante e ricco di informazioni nella prima parte in cui si ripercorre l’infanzia di Ralph Lipschitz, vero nome dello stilista di origini russe ebraiche, nato a New York nel Bronx da un padre pittore e artista che gli ha trasmesso la passione per il colore e l’arte.

Ralph Lauren è l’incarnazione del sogno americano, un self made man amante dei bolidi di lusso, delle case arredate con raffinatezza e senza badare a spese, dei cani, dei cavalli, della vecchia Hollywood, del cinema e di sua moglie, Nicky, la sua musa perché come dice lo stilista nel film :”la sua è una bellezza naturale, la vedo la mia donna ideale con i lunghi capelli al vento su una decapottabile”. E le donne americane da quel momento lo hanno seguito.

Tutto però è cominciato dal menswear dove Ralph (non da solo naturalmente, c’era anche Giorgio Armani e Calvin Klein che infatti compare nel film) ha rivoluzionato lo stile: se prima di lui gli uomini si vestivano in divisa (Flugel parlò della ‘grande rinuncia’), già verso la fine degli anni’60 con la contestazione giovanile, Ralph pensò che gli uomini avevano la necessità di un guardaroba glamour e sexy, più casual ma non meno elegante. Una sintesi di spirito pop americano, di leisurewear e di tailoring made in Savile Row che conquistò gli uomini americani.

Dalle cravatte dall’ampiezza inedita e dai colori squillanti che vendeva in un ufficio nell’empire state building nella Grande Mela, Ralph Lauren arrivò all’intero guardaroba, conquistando le vetrine di Bloomingdale’s i primi a credere in Ralph Lauren. Lui stesso aveva ideato nuovi accostamenti, la giacca militare vintage stile Jimi Hendrix sui pantaloni formali, la giacca di tweed sui jeans da portare con gli stivali texani, e riformulò già nel 1970 i codici della moda maschile sulla scia della rivoluzione del pavone a Londra e della grande svolta nel menswear introdotta da Yves Saint Laurent, Ted Lapidus e Pierre Cardin.

Lo sportswear si mescolò con il formale, sull’onda del successo delle coloratissime polo con il simbolo del cavallino, il polo perché per Ralph rappresenta lo sport d’élite per antonomasia. Le icone di Ralph sono Frank Sinatra, Fred Astaire, Cary Grant. Ralph Lauren voleva fare l’attore o il regista di cinema e il cinema è preponderante nell’estetica evocativa e aspirazionale del marchio a stelle e strisce.

Poi arrivò il ready-to-wear femminile che contamina lo stile country, il gusto della aristocrazia wasp americana (molto presente nelle collezioni di Ralph Lauren), il look anni’30 delle star di Hollywood, lo stile safari e il folk dei nativi americani, il gusto tappezzeria, il look vittoriano, ecc. La moda di Ralph Lauren è un po’ un collage, una forma di eclettismo come si racconta nel film.

Tutto è eleganza e bellezza e lo stilista dice chiaramente di non essere un avanguardista ma di puntare su un classico contemporaneo che sia timeless. La seconda parte del docufilm è inutilmente agiografica e sembra uno statement politico a favore dell’american style: gli americani a differenza degli italiani fanno quadrato e non si fanno la guerra in ridicole scaramucce come usano i principi della moda italiana. Vanessa Friedman e Anna Wintour rincarano la dose spezzando una lancia affilatissima a favore del mondo di Ralph, quasi che Ralph Lauren avesse inventato la moda a livello globale, errore dettato da un intendimento palesemente celebrativo e anche un po’ mistificatorio.

Si salva la parte in cui si racconta che Ralph Lauren ha aperto all’inclusione e ai modelli e modelle di colore: Tyson Beckford, un bellissimo modello muscoloso fotografato per la prima volta nelle riviste da Bruce Weber (artefice del successo mediatico di Ralph Lauren a livello planetario) in abito formale gessato, e Naomi Campbell, la ‘venere nera’ che, come rivela la regista, “è stato faticoso contattare perché è sempre impegnatissima”. Ed è vero che i rapper rubavano i suoi capi nei department store perché li ritengono uno status symbol (e Kanie West che è un’altra icona ebony al maschile che sfoggia spesso Ralph Lauren anche nei concerti).

Pregevole la ricostruzione attraverso le testimonianze di Woody Allen, Calvin Klein, Hillary Clinton, Tyson Beckford, Karl Lagerfeld, André Leon Talley, Jason Wu, Martha Stewart, la succitata Vanessa Friedman (che esalta Lauren e puntualmente stronca gli stilisti italiani e francesi perché non sono americani), Paul Golderberger e altri. Quotato a Wall Street dal 1997, Ralph Lauren è un impero miliardario diffuso in tutto il mondo e non ha certo bisogno di fanfare o di panegirici.

Peraltro nel film c’è un’omissione fondamentale: Ralph Lauren ha disegnato i magnifici costumi per Robert Redford nel film ‘Il grande Gatsby’ (1973) e quelli di Diane Keaton per ‘Io e Annie’ di Woody Allen (1977) dove veste Diane Keaton con abiti maschili: gilet, cravatte, ampi cappelli, giacche mannish.

In questo ci duole ammetterlo Ralph Lauren non è stato un innovatore assoluto come il film vorrebbe far credere: già Giorgio Armani profeta del minimalismo androgino, in un’epoca di emancipazione femminile vestiva la super manager Marisa Bellisario con outfit da ‘powerdressing’ ispirandosi al libro ‘Dress for success’. E vestì Richard Gere proprio come un dandy stile ‘Il grande Gatsby in ‘American Gigolò’.

Armani ha portato la moda nel cinema, Ralph Lauren ha portato il cinema nella moda. E questo è pacifico crediamo. Ma i due rivelano anche delle grandi affinità: “Entrambi sono sul trono del loro impero e ne sono proprietari e questo è raro nella moda -commenta Susan Lacy- inoltre entrambi sono due grandi sarti”.

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Ph: Albert Jade

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Sposarsi in Umbria: le migliori destinazioni

L’Umbria con i suoi castelli affascina da secoli: nobili, intellettuali e ovviamente turisti da ogni parte del mondo. Scrittori e letterati della vecchia Europa trovavano rifugio per poter godere della pace, serenità e creatività al fine di poter scrivere nuove pagine di letteratura.

Tra questi proprio Lord Byron, il poeta romantico inglese, noto per la sua avventurosa e burrascosa vita sentimentale, nel 1816 intraprese un lungo viaggio in Italia. Fu soprattutto il paesaggio dell’Umbria, il cuore verde del paese a cogliere la sua attenzione. Meraviglie come il Lago Trasimeno, le sorgenti del Clitunno e le cascate delle Marmore incantarono i suoi sensi e rapirono la sua immaginazione.

Ora ad attrarre oltre alla cucina tradizionale ed il loro tartufo nero di cui ne sono patria indiscussa, sono anche le location incantevoli con le loro tenute di pregio. Tra queste vediamo spiccare il Castello di Petrata, antica fortezza del XIV sec. sapientemente ristrutturata, con una vista unica su Assisi e Perugia.

L’incantevole borgo del Castello di Gallano, dove oltretutto vengono ambientate delle divertenti cooking class che permettono di imparare come realizzare i deliziosi gnocchi di patate secondo la segreta ricetta del castello. La Tenuta di San Masseo, immersa in un parco di 20.000 mq che integra splendidi elementi artistici e di design. 

Un ambiente unico ed esclusivo in cui godere di una vista incredibile, il magico scenario della città di Assisi all’interno di un’oasi di assoluto relax spirituale, a diretto contatto con la natura ed il territorio. Ed infine il Castello di Ramazzano del XII secolo, più volte restaurato nel corso dei secoli, offre varie sale affrescate e conserva un prezioso sviluppo murario, merlato alla guelfa con una torre quadrata

La proprietà è di una famiglia pugliese DOC, che mantenendo tutta l’essenza del territorio aggiunge una cucina umbro-pugliese comandata dalla signora Angela Aliani, gli americani son di casa qui. Insomma, tutte queste sono le vere nuove “wedding destination” del lusso che portano clienti da ogni parte del mondo, e questo Daniela corti lo sa molto bene , infatti, con la nuova edizione di “The Italian Wedding Stars” che si terrà il 29 Novembre a Roma premierà anche proprio le location.

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Trench uomo, un capo intramontabile

I trench tornano protagonisti anche questa stagione nelle collezioni che abbiamo scoperto durante l’edizione di Milano Moda Uomo. Hanno sfilato in versione iper moderna, con stampe floreali e macchie di colore. Frankie Morello ce lo propone in versione minimal per passare poi a Fendi con stampe a quadretti e cintura in vita da Miguel Vieira.

Courtesy Frankie Morello

Storicamente è il capo simbolo di tutti i film noir, ma anche dell’eleganza british. La paternità del cappotto più iconico della storia cinematografica è ancora una questione aperta tra Mackintosh e Aquascutum.  Il chimico scozzese fu il primo a brevettare l’impermealizzazione nel 1983, mentre venti anni dopo fu proprio Aquascutum a iniziare a produrre cappotti impermeabili per l’esercito inglese durante la guerra in Crimea.

Cosa ha reso il capo così longevo? Sicuramente la praticità d’uso e il design sempre elegante e attuale, che non passa mai di moda, ma anche un rapporto storico con il cinema che ha contribuito a far entrare il trench nell’immaginario comune come simbolo di stile senza tempo. Era il 1942 quando Michael Curtiz presentava al mondo intero quella che sarebbe diventata una delle pellicole hollywoodiane più importanti di tutti i tempi, Casablanca. Ed è proprio in questo film che vediamo un elegantissimo Humphrey Bogart definire le basi stilistiche del gentleman contemporaneo.

Nel 1961 invece Audrey Hepburn e George Peppard indossano un trench nella celebre scena del bacio sotto la pioggia. Sono numerosi i capi che caratterizzano i film noir del cinema classico americano, ma nessuno di loro ha avuto una vita longeva come questo capo spalla.

Courtesy Paramount Pictures

Oggi, questo capo continua a dominare la scena. Il suo successo nell’immaginario di tutti noi è di certo merito di Burberry, che ha saputo reinventarlo per renderlo un vero best seller ma anche noti brand italiani sono riusciti a mantenerne le potenzialità d’uso adatta a diverse occasioni come l’azienda Landi che ce lo propone nella declinazione al maschile con L’Impermeabile e al femminile con Landi Fancy. Risulta l’ideale come elemento di un perfetto look da ufficio, o in una serata di mezza stagione così che tantissimi designer continuano ad inserirlo nelle proprie collezioni variandone lunghezze e pattern.

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Il Gentleman Watch secondo Tissot

Tissot, il brand di orologeria che rappresenta il gentleman moderno, ha presentato una nuova capsule collection di orologi in occasione di un evento esclusivo alla Terrazza Martini di Milano. Un evento unico cui hanno partecipato uomini moderni amanti del bien vivre che hanno potuto vedere in anteprima la nuova collezione con pezzi già iconici, come il “Tissot Gentleman”. 

Dedicato all’uomo elegante e contemporaneo, il “Tissot Gentleman” è raffinato nei dettagli, che fanno del brand un marchio di fabbrica e leader dell’alta orologeria: in acciaio, diametro 40 mm, anello degli indici applicati, smussati, satinati e bruniti, valorizzati da lancette Dauphine sfaccettate e rivestite con un materiale bianco luminescente; datario a ore 3 che rivela la sottile eleganza del quadrante; una lancetta dei secondi molto sottile che permette di leggere l’ora con precisione. 

Disponibile in sei versioni, il “Tissot Gentleman” è raffinato e sobrio al contempo, è l’orologio versatile per eccellenza, perchè perfetto per lo stile casual del week end o “business” per le giornate di incontri di lavoro. 

Ispirato al suo predecessore degli anni ’60 ma reinterpretato in chiave trendy, il “Tissot Gentleman” è dotato di un calibro eccezionale, il famoso Powermatic 80 nella versione con molla del bilanciere in silicio, una molla che garantisce al segnatempo una maggiore longevità, un funzionamento più preciso e una maggiore resistenza ai campi magnetici, con riserva di 80 ore. 

Noi di MANINTOWN abbiamo partecipato all’evento con i due nostri ambassador, Niccolò Zaffarano, style coach e personal shopper appassionato di orologi, e Giorgio Giangiulio, style storyteller (come ama definirsi) nonchè autorevole amateur del mondo orologi. Due giovani uomini che hanno coltivato un innato senso di eleganza e che hanno interpretato con la loro estetica lo stile del “Tissot Gentleman”.

E come racconta lo stesso Giorgio Giangiulio: “La vera arma di un gentiluomo è la sua eleganza. E Tissot ha sposato questa filosofia con grande maestria e capacità, segnando i tempi moderni con una collezione che accompagna il gentleman con stile nelle sfide quotidiane. Sono rimasto molto colpito dal “Powermatic 80” con movimento a carica automatica, cassa in acciaio da 40mm e quadrante blu. Un orologio versatile e raffinato che ho subito sentito mio, in totale accordo con ciò che cerco quando indosso un orologio: qualità e bellezza discreta. E la Terrazza Martini, con vista sul cuore pulsante di Milano, non poteva che essere la location più adatta per presentare i calibri della Tissot Gentleman.”

Niccolò Zaffarano commenta così: ” E’ un onore rappresentare Tissot, brand centenario che fa della qualità e dell’eleganza i suoi punti di forza. Il pezzo della collezione che mi ha più colpito è il Gentleman in acciaio con quadrante blu, poiché si adatta alla perfezione sia sotto il polsino della camicia con un abito elegante, sia con una polo nel tempo libero. L’evento in Terrazza Martini ha confermato l’originalità del marchio, una presentazione dal tasting tutto italiano, ottimi drink e tema casino’, vizi e passatempi del gentleman moderno!” 

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A Roma cala il sipario sulla Festa del Cinema con Viola Davis

Questa edizione della Festa del Cinema di Roma sarà ricordata come la ‘festa delle donne’. Se non altro anche perché, oltre al fatto che 19 registe hanno presentato i loro film alla festa, il film vincitore del premio del pubblico BNL BNP Paribas assegnato dalle preferenze del pubblico racconta il dramma del femminicidio.

Parliamo di ‘Santa subito’ di Alessandro Piva, un documentario che apre nuove riflessioni su un tema molto dolente in un’epoca in cui gli uomini, attanagliati dalla paura del diverso che è in loro, si riallacciano allo schema patriarcale e misogino che ha decretato l’ascesa dei regimi totalitari nel Novecento.

Santa Scorese, giovane attivista cattolica della provincia di Bari, per anni subisce le morbose attenzioni di uno sconosciuto molestatore, ma non mette mai in discussione la sua vocazione all’aiuto del prossimo e il suo percorso spirituale. La sera del 15 marzo 1991, al rientro a casa, Santa viene accoltellata a morte dal suo persecutore, davanti agli occhi impotenti dei genitori e di una società all’epoca impreparata ad affrontare i reati di genere e lo stalking. Aveva ventitré anni.

“Tra femminicidio e martirio, Santa subito racconta la storia di un destino annunciato. Paradigma di troppe altre storie dallo stesso finale: il mio piccolo, personale appello affinché le donne siano lasciate meno sole, quando si ritrovano in balìa di una psicosi travestita da amore” dice Alessandro Piva, una nomination ai David di Donatello al suo attivo.

‘Santa Subito’ è uno dei dieci titoli prodotti attraverso il “Social Film Fund con il Sud”, progetto promosso da Apulia Film Commission e Fondazione con il Sud. Un’altra lezione di civiltà che oggi il cinema può dare seriamente, anche ai giovani, assidui della festa.

La festa si è chiusa in bellezza anche con il premio alla carriera a Viola Davis, meravigliosa attrice, da parte di Pierfrancesco Favino, in corsa per l’Oscar per ‘Il traditore’ di Marco Bellocchio. Ecco qualche nota sulla diva. Prima attrice afroamericana ad aggiudicarsi i premi Oscar, Emmy e Tony, candidata per tre volte agli Academy award, ha vinto nel 2017 il riconoscimento come miglior attrice non protagonista per ‘Barriere’.

Ha inoltre ricevuto due Tony Award per il suo lavoro nelle opere teatrali “Barriere” e “King Hedley II”, mentre nel 2015 è stata la prima interprete afroamericana a ottenere il premio Emmy come miglior attrice protagonista in una serie drammatica per ‘Le regole del delitto perfetto, per cui ha ricevuto altre due candidature nel 2016 e nel 2019. “Viola Davis è straordinaria e questo premio è un messaggio forte per la parità fra attori aldilà delle barriere di genere e di nazionalità” ha affermato Pierfrancesco Favino.

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Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for RFF

L’attrice nell’incontro ravvicinato con il pubblico nella Sala Petrassi dell’auditorium andato subito sold out, ha espresso la sua speranza che la situazione di discriminazione a Hollywood per i cineasti di colore migliori e che ci sia in futuro la piena parità di retribuzione fra attori bianchi e attori afroamericani, un traguardo che oggi purtroppo ancora non è stato raggiunto.

“Un artista deve avere il coraggio di dire la verità, perché è una cosa che molti non hanno nella vita. Indossiamo maschere sorridenti, mostriamo una versione ridotta di noi stessi per paura di essere giudicati. Noi artisti dobbiamo subentrare per restituirvi voi stessi senza filtri, rappresentando la reale umanità anche quella più dolorosa e più marcia”, ha detto Viola Davis durante l’incontro.

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Nata nel 1965, Viola fu arrestata, da piccola, insieme alla madre, durante una manifestazione per i diritti civili. E per finire, commentando la sua partecipazione al sequel di Suicide Squad tratto da un fumetto, ha dichiarato: “La fantasia ti permette di creare mondi dove fuggire, dove ridefinirsi, se non l’avessi avuta sarei rimasta la ragazzina di Rhode Island che non veniva considerata attraente”.

Bilancio positivo quindi per la kermesse cinematografica capitolina giunta alla sua quattordicesima edizione. Antonio Monda, direttore artistico della manifestazione ormai di casa a Hollywood, dove frequenta tutti i registi e gli attori più importanti del mondo, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano ‘La Repubblica’ raccolta da Arianna Finos: “È una festa con 33 film di 26 paesi e sono due anni che vince un film italiano: c’è da riflettere. C’è anche chi indica la festa di quest’anno come un modello di festival del futuro. Oltre al glamour ci deve essere sostanza, i talent vengono a spendersi non solo a promuovere i film, non solo vestiti ma autori, Norton, Murray, Howard, Scorsese, che si raccontano al pubblico”.

Ed ecco altri numeri della Festa: 258 proiezioni, 70 film, 25 paesi, 22 sale in città, +10% di biglietti venduti, +13% di accrediti, +23% di articoli sui quotidiani, +45% di articoli sul web, +86% del sito ufficiale della festa, 78 partner. Insomma niente male davvero.

E ora veniamo ai film. Tanti i docufilm: pregevole quello su Bruce Springsteen ‘Western Stars’ distribuito da Warner Bros. Pictures, diretto da Bruce Springsteen al suo debutto come regista e da Thom Zimmy. Si parte dall’ultimo album di ‘The boss’ per raccontare amore, perdita, solitudine, famiglia e il passaggio ineluttabile del tempo di un grande cantante che ci apre il suo diario dei ricordi con filmati e immagini dal suo repertorio privato, da vedere i primi di dicembre nelle sale.

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Western stars – Ph: Rob DeMartin

Segnaliamo per il vibrante impegno civile e il lirismo il film ‘Bar Giuseppe’ di Giulio Base, contro la xenofobia, presentato nella sezione ‘Riflessi’ della rassegna romana, con Ivano Marescotti, Virginia Diop e Selene Caramazza. Giuseppe gestisce familiarmente la stazione di servizio di una zona rurale e rimane vedovo con due figli già adulti. Bikira è sbarcata da poco dall’Africa. Viene assunta come cameriera nel bar.

I due si innamorano creando grosso scandalo nel paese. “Gli esiliati, ieri e oggi, sopportano le stesse condizioni: l’angoscia di non essere accolti, cosa mangiare, dove abitare, con quale lavoro-spiega il regista Giulio Base-da figlio di migranti, assisto al degenerare delle loro speranze. E ho voluto rileggere la figura di Giuseppe, eterno padre su cui ci si interroga molto anche oggi, per trovarci un’attualità inaspettata. Spero che i silenzi di Giuseppe contengano pensieri da decifrare”.

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Bar Giuseppe

Film corale e d’impatto sulla famiglia quello di Cedric Kahn, ‘Fȇte de famille’ con Catherine Deneuve, nel ruolo della matriarca Andréa. Un film arguto in cui si racconta la malattia mentale e il disagio delle donne attraverso la storia drammatica della protagonista Claire, figlia di Andréa e interpretata da Emmanuelle Berçot, già regista di ‘A testa alta’ presentato a Cannes edizione 68 e di ‘Elle s’en va’.

Cédric Kahn, regista e interprete del film nel ruolo del cinico Vincent, si diverte a stravolgere l’abusato copione dei raduni di famiglia al vetriolo nelle ville di campagna con le macchiette dei ‘parenti serpenti’, per irrompere con la macchina da presa all’interno del film, affidandola al pazzerello di turno interpretato dallo spassoso Vincent Macaigne che nel film è Romain, regista svitato.

Fȇte de famille

Messinscena nella messinscena la recita dei nipoti della matriarca che crea un fattore di ricerca e di paradosso all’interno dello storytelling, gradevole e scioccante, ottima l’interpretazione della giovane attrice Luana Bajrami nel ruolo della nipote di Andréa Emma. Da vedere.

Il cinema francese ha tenuto banco anche nei due incontri con il pubblico, quello con Olivier Assayas e Bertrand Tavernier grandi maestri del cinema transalpino. Buona prova anche quella di ‘Le meilleur reste à venir’ con Fabrice Luchini e il sempre avvenente e ubiquo Patrick Bruel, molto popolare in Francia.

Straordinario il film ‘Il peccato’ di Andrei Konchalovsky con Alberto Testone, Orso Maria Guerrini e Massimo De Francovich, presentato in anteprima mondiale l’ultimo giorno della festa del cinema a Roma. Il film del famoso regista russo racconta di Michelangelo e del suo genio tormentato nella Roma di papa Giulio II che gli commissionò gli affreschi della cappella Sistina. Ambientato nel 1512, il film racconta di come l’artista pressato dai committenti, rimanga coinvolto nella faida fra i Medici e i Della Rovere.

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Il peccato – Foto di Sasha Gusov

Rilevante ‘The Farewell’ di Lulu Wang, sul valore della memoria e degli affetti familiari, un film struggente ambientato in Cina. Tutto al femminile il film a episodi ‘Willow’ di Milcho Manchevski, regista candidato all’Oscar e vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 1994 con il film ‘Prima della pioggia’. In ‘Willow’, presentato in anteprima mondiale alla festa del cinema di Roma, si alternano tre storie femminili ambientate in epoche diverse.

Deludente la pellicola ‘Tornare’ di Cristina Comencini dove l’idea della violenza sulla donna viene sviluppata in una chiave un po’ troppo autoreferenziale e tediosa che rifà il verso, senza riuscire a darle un senso, a tutto il filone della rimembranza e dell’amarcord, caricato di un opprimente punto di vista un po’ sessista che offusca il lato più apprezzabile del film, un intimismo e un’introspezione affrontati a tratti con un filo di originalità, diluito in una ripresa forzata di temi hitchcockiani.

La regista, che ha definito ‘un thriller dell’anima’ il suo ultimo film in cui si celebra la visione di una donna che vuole essere libera e indipendente e che cerca la via all’emancipazione in pieno ’68, ritorna a girare con Giovanna Mezzogiorno, sempre splendida, dopo ‘La bestia nel cuore’, ma stavolta non convince.

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Tornare

Alice, giornalista ormai di casa negli Stati Uniti, ritorna nella casa di famiglia a Napoli dopo la morte del padre, un ufficiale della marina americana. Uomo rigido e molto severo, le ha sempre impedito di esprimersi come donna, imponendole regole ferree che le hanno tarpato le ali. Alice compie un viaggio nel suo passato rivedendosi bambina e ragazza disinibita che amava flirtare con i ragazzi in modo un po’ incosciente e incontra l’enigmatico bibliotecario Marc Bennett.

Degna di nota l’interpretazione di Beatrice Grannò, nei panni di Alice adolescente, una rivelazione di bellezza e freschezza da tenere d’occhio. Della regista, senz’altro talentuosa, chi scrive ha apprezzato ‘Latin Lover’ per l’analisi della figura maschile in un’ottica rétro e nostalgica, e anche ‘Qualcosa di nuovo’ per il sapido sense of humour, ma questo film non è all’altezza delle aspettative.

Ricca di titoli interessanti anche la kermesse ‘Alice nella città’ parallela al calendario ufficiale della festa del cinema di Roma che ha portato a Roma alcuni bei film come ‘L’età giovane’ dei Dardenne, che non deludono con il loro film distribuito da BIM distribuzione. Qui emerge il giovane Ahmed che educato nel fondamentalismo islamico, progetta un attentato, tenendosi lontano dalle tentazioni del sesso e dell’amore. Una bella prova di ottima regia che si schiera contro l’integralismo islamico senza condannare per questo i musulmani.

Da notare anche ‘la vacanza’ con Catherine Spaak e una inossidabile Veruschka nei panni di una terrorista e ‘L’agnello’ di Mario Piredda, un dramma familiare ambientato nella Sardegna semplice e ruvida dei pastori. Vincitore di questa edizione di ‘Alice’ che ha registrato il tutto esaurito a quasi tutti gli eventi in programma, è il film ‘The Dazzled’ di Sarah Suco.

Premiati anche ‘la famosa invasione degli orsi in Sicilia’ di Lorenzo Mattotti e ‘Cleo’ di Eva Cools. Presente ad Alice anche IED Roma che ha presentato ‘Riders’, action drama in 3 puntate realizzato dai neodiplomati della scuola di arti visive e di comunicazione IED Roma coordinati da Max Giovagnoli, incentrato su una truffa immaginaria che i riders organizzano per la app di food delivery per la quale lavorano a ritmi frenetici 24 ore su 24.

Appuntamento nella capitale nell’ottobre del 2020 per l’edizione 15 della festa del cinema di Roma.

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Jack Jaselli, on the road sulla via Francigena

Su Real Time e disponibile su Dplay il documentario “Torno a casa“ a tempo di musica del cantautore milanese da ottobre.

Jack Jaselli, cantautore milanese, ha deciso di partire per un’avventura indimenticabile, attraversando con uno zaino e una chitarra la via Francigena, da Milano a Roma nel documentario “Torno a casa”.

32 tappe in 40 giorni, 15 concerti, 800 km a piedi. Patrocinato da Legambiente e grazie alla collaborazione delle Regioni e dei Comuni della Via Francigena, in questo viaggio iniziato il 16 aprile a Pavia e concluso a Roma il 23 maggio, Jack porta la sua musica in luoghi unici.

L’improvvisazione musicale è il leitmotiv del format di Jack Jaselli.

Nelle tappe del suo percorso Jack incontra anche “ospiti speciali” con cui condivide la sua esperienza e la sua musica, come Boosta, fondatore e tastierista dei Subsonica, Michele Dalai, giornalista e conduttore, insieme ad altri scrittori, autori e registi. Stay tuned! Jack si è raccontato in esclusiva per noi di Man in Town.

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Partiamo dalla musica, dal tuo ep di esordio “It’s gonna be rude, funky, hard” fino al tuo primo album in italiano dell’anno scorso chiamato “Torno a casa”. Un bilancio di questi anni?

Sono passati quasi dieci anni dalla pubblicazione del primo album e se mi fermo un secondo a guardare è successo davvero di tutto. Sono partito con un disco registrato in cantina, suonando 70 volte in un anno solamente a Milano in locali che spesso erano grandi come il salotto di una casa. Ho registrato un disco acustico dal vivo in una grotta sul mare, suonato negli stadi, di nuovo in locali piccoli e accanto ad alcuni mostri sacri.

Ho registrato un album in California con un produttore d’eccezione, collaborato con Lorenzo Jovanotti, Guè Pequeno e altri amici. Poi ho iniziato a scrivere e cantare in italiano e ho pubblicato un disco prodotto dal grande Max Casacci. Per me il cambiamento di lingua è stato una svolta epocale. Allo stesso tempo ho iniziato a sentire il bisogno di raccontare la musica anche in altre forme ed è iniziata la mia collaborazione con Real Time con cui ho girato due documentari.

Il primo, “Nonostante Tutto” racconta la storia di una canzone scritta insieme alle detenute del carcere femminile della Giudecca a Venezia. Il secondo è “Torno A Casa” e racconta del mio tour musicale a piedi lungo la Via Francigena.
Nel frattempo, il mondo musicale è cambiato: mille correnti sono nate, scomparse o si sono trasformate. Il mercato della discografia e la scena live hanno subito rivoluzioni e ribaltamenti. Eppure, sembra passato un batter d’occhio.

Negli anni hai suonato con artisti del calibro di Ben Harper, hai collaborato con Guè Pequeno e Jovanotti e la lista prosegue. Vuoi regalare un aneddoto ai nostri lettori durante queste session? Sentiti libero di scegliere l’artista, o magari se ce ne vuoi raccontare più di uno.

C’è una cosa divertente e significativa che è successa ad Imola. Eravamo stati chiamati ad aprire il concerto di Ben Harper, ed eravamo esaltatissimi. Aspettavamo con trepidazione di fare il soundcheck perché si era fatto molto tardi e si stava avvicinando inesorabilmente l’ora dell’apertura dei cancelli.

Sembrava tutto pronto, i Relentless Seven avevano finito le loro prove, il nostro fonico era già dietro al mixer e noi aspettavamo a bordo palco. Ciò nonostante, non potevamo allestire la nostra scena: Ben Harper non sembrava intenzionato a scendere dal palco.

Il sole aveva iniziato a scendere e una luce ambrata si stendeva sulle tribune e sul prato mentre una brezza leggera anticipava il crepuscolo. Tutto era magico e calmo, a tal punto che Ben era completamente rapito e assorto tanto da restare sul palco a improvvisare con la chitarra acustica senza rendersi conto del tempo che passava.

Nessuno del suo entourage aveva il coraggio di interromperlo e noi ci godevamo lo spettacolo. Facemmo il nostro soundcheck con parte del pubblico già presente, ma non ce ne importava niente. Quando ami davvero ciò che fai, il tempo non conta più nulla.

Ora passiamo allo stile: il tuo animo gipsy traspare anche dal tuo look. cosa non manca mai nella valigia di jack jaselli parlando di abbigliamento?

Direi che ci sono alcune cose che amo avere sempre con me. Un cappello a tesa larga, specialmente uno Stetson, un chiodo in pelle nera e degli scarponcini o stivaletti di pelle. Spesso quando suono indosso uno degli anelli portafortuna che ho comprato in New Mexico e negli ultimi anni hi iniziato ad amare gli orologi da polso classici e vintage, rigorosamente automatici.

Ora qualche curiosità per conoscerti meglio, oltre alla musica hai altre passioni o hobby?

Sono un avido lettore e un accumulatore quasi seriale di libri. Amo anche scrivere, soprattutto raccontare dei miei viaggi che sono un’altra delle mie ragioni di vita. Mi piace il pugilato e andare a camminare in montagna e cimentarmi in qualche facile scalata.

Amo il surf: è da molto che non salgo sulla mia tavola ma quest’anno mi sono promesso di rimediare. La mia compagna mi ha trasmesso la sua passione per lo yoga e la meditazione. Vado nettamente più forte sulla seconda!

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E tornando alla musica ma rimanendo sul viaggio, a ottobre debutta su Real Time “Torno a casa”, storia del percorso che hai intrapreso a ritmo di musica e jam session sulla via Francigena da Roma a Milano. Vuoi parlarcene meglio?

In un mondo dove tutto cambia freneticamente, come quello musicale, mi sono chiesto come potesse essere fare un tour partendo a piedi da casa portandosi dietro solo una chitarra e uno zaino. Avevo bisogno di recuperare la forma più semplice della mia musica e riconnettermi con dei ritmi e dei tempi più umani e necessariamente più dilatati. Questa è stata la scaturigine di “Torno A Casa” e del tour a piedi.

Il cammino più adatto a questo scopo era senza dubbio la Via Francigena. Ho iniziato a percorrerla da Pavia, facendo una tappa zero che dal portone di casa a Milano mi ha portato in 35 km a piedi alla partenza della prima tappa. Durante le 32 tappe ho tenuto 15 concerti, praticamente uno ogni due giorni, è stato un viaggio unico.

32 tappe, 15 concerti, 800 km: un luogo che ti ha particolarmente colpito in questo viaggio? Immagino saranno più di uno…

Mi sono messo in cammino per ascoltare prima ancora che per suonare. Per conoscere e capire di più il nostro paese e non ho esitazioni nel dirti che alcuni incontri ed alcuni luoghi hanno avuto un fortissimo impatto.

Ho salito il passo della Cisa inondato da fiumi di fango e pioggia per poi discenderlo con un sole fantastico e fermarmi a Toplecca Di Spora (population 5) e fermarmi a suonare in una Iurta Mongola triplicando la popolazione del paese e auspicabilmente aumentandone la natalità.

Deviando dal percorso sono stato ospite dell’Istituto Lama Tzong Khapa, importante centro di studi buddhisti, e nel giro di un pomeriggio mi sono trovato ad essere benedetto dal Lama e a suonare nel Gompa Cerensig, il loro tempio sacro. Ho improvvisato con Boosta un concerto sotto la Rocca del Tentennano in Val D’Orcia, per poi cenare con i Cantori del Maggio che preservano una tradizione che sta scomparendo.

Questi sono solo alcuni esempi di quello che è accaduto e che potrete vedere nel docufilm. Quando viaggi camminando e suonando le esperienze ti rimangono nell’intero sistema nervoso, non si fermano agli occhi.

Ti sei sentito a tuo agio di fronte alle telecamere? Insomma, come è stato l’approccio con il format televisivo?

Non era la prima volta che mi trovavo a lavorare per un prodotto televisivo. Avevo già scritto, ideato e narrato il documentario di “Nonostante Tutto” e avevo accompagnato Michele Dalai nel suo programma di storytelling sportivo “Due Di Uno”.

Direi che mi diverte stare davanti alla telecamera, è un linguaggio narrativo e comunicativo diverso da quelli da cui provengo, ma potentissimo. Non nego che fare un cammino in solitaria e farlo con una troupe al seguito siano due esperienze completamente differenti, ma la possibilità di documentare un viaggio di 40 giorni in ogni suo aspetto è davvero particolare.

Stai già lavorando a del nuovo materiale? Qualche anticipazione? Quale contaminazione sceglierai questa volta? verso dove porterai i tuoi fan?

Sto scrivendo nuove canzoni. Alcune sono nate in viaggio. Ho intenzione di dare grande peso alla musica suonata e alla scrittura dei testi. Credo che per me sia il momento di tornare a non avere alcun compromesso.

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Occhiali da vista: le preview per la prossima primavera

Nero, marrone e tartarugato sono i motivi che più si avvicendano sulle proposte eyewear di stagione, perfette per chi desidera avere un look formale e rigoroso, semplice ma anche attuale. Abbiamo sbirciato tra le proposte della prossima stagione, nella gallery i nostri preferiti.

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Open Format: la collaborazione tra Bottega Veneta e SSENSE

Daniel Lee, direttore creativo di Bottega Veneta, ha realizzato un’installazione site-specific di video art condotta dalla direzione creativa di Phil Chang e commissionata da SSENSE, chiamandola Open Format.

Phil Chang ha invitato cinque professionisti che esercitano diverse discipline creative a riunirsi e interagire per la prima volta, all’interno di un ex magazzino di Los Angeles trasformato in workshop per l’occasione.

Il progetto, è, come suggerisce il titolo, di una semplicità e di una linearità quasi sconvolgenti. Presentarsi, restare per 24 ore, creare qualcosa. Oppure no. Nessuna regola tranne quella di astenersi da tutti i social media.

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Percebes: quanto costano e perché sono così strani

Chi è amante del cibo e buongustaio sicuramente saprà cosa sono i percebes, per tutti gli altri che non lo sanno ve lo spieghiamo subito.

I percebes sono crostacei che assomigliano a polpastrelli sporchi neri e con unghia. Che dire davvero poco invitanti di aspetto ma considerati una delizia per gli abitanti da cui arrivano: la Galizia in Spagna. I percebes nei mari italiani non si trovano per questo vengono importati e in particolare quelli più rinomati sono appunto pescati a Cedeira e a Carme in Galizia, ma non mancano quelli del Portogallo o del Marocco.

In Italia sono diventati conosciuti dopo essere stati utilizzati fra gli ingredienti durante una delle puntate di Masterchef 5.

Non finisce conoscete qui perché ora passiamo a scoprire il prezzo e la loro stranezza.

Percebes prezzo

Come per ogni prodotto marittimo ma non solo il prezzo dei percebes varia in base alla loro qualità, infatti di questi crostacei così strani di aspetto si trovano due categorie definite in base alla zona in cui vengono pescati:

  • percebes de sol (di sole) corti e tozzi
  • percebes de sombra (di ombra) sottili e allungati

Passando ora al prezzo abbiamo tariffe che variano dai 30 ai 90 € al kg in base a forma e grandezza, non mancano anche partite che raggiungono i 150 €/kg. Niente paura perché sembrerebbe che bastino solo 150 gr a persona per pasto quindi la spesa diventa del tutto accettabile.

Percebes perché sono strani

Questi crostacei si può dire che siano strani in primi per il loro aspetto come abbiamo detto sembrano un polpastrello nero con unghia, inoltre vivono attaccati alle rocce, ma non solo possono proliferare anche su pezzi di legno o altri oggetti galleggianti nei mari. Il loro nutrimento si basa su particelle di plancton.

La loro pesca è pericolosa poiché il pescatore si deve calare con una fune nelle correnti fredde del mare e deve staccare i percebes con un coltello. Proprio la modalità di pesca fa alzare il percebes prezzo.

Come si mangiano e che sapore hanno i percebes

I percebes, costracei dall’aspetto strano, hanno la consistenza dei gamberetti e il sapore simile a quello di molluschi freschi, salmastro e deciso. Si cucinano in acqua bollente per circa un minuto senza aggiunta di sale, poi immersi nel ghiaccio e serviti accompagnati da fette di limone. Per consumarli è necessario strappare il loro artiglio e poi consumare la polpa.

Trono di Spade: 17 incredibili curiosità sulla serie TV

Possiamo tranquillamente definire il Trono di Spade come la serie più vista e discussa di quest’anno.

Per celebrare questa serie abbiamo deciso di fare un piccolo regalo ai fans di Games of Thrones, che dopo la stagione del Trono di Spade 8 sono rimasti orfani dei loro personaggi preferiti e un po’ delusi dalle puntate finali.

Ecco 17 incredibili curiosità che ruotano attorno alla leggendaria serie TV più vista di sempre: Trono di Spade 8

Catelyn Stark e Daenerys Targaryen erano interpretati da altri attori

Inizialmente, questi due personaggi dovevano essere interpretati da Jennifer Ehle e Tamzin Merchant, ma al momento di mandare in onda la serie, sono stati sostituiti rispettivamente da Michelle Fairley e Emilia Clarke.

Il mancato cameo di George RR Martin

Lo scrittore George RR Martin, autore di Games of Thrones, doveva essere presente all’interno della serie, come ospite al matrimonio tra Daenerys e Khal Drogo, ma poi gli sceneggiatori hanno cambiato il ruolo di Daenerys e la scena è stata demolita.

Peter Dinklage aveva quasi rifiutato il ruolo di Tryon Lannister

“Ho avuto una esitazione, a causa del genere fantasy, ho detto a David Benioff che non volevo una barba molto lunga a punta”, ha dichiarato ultimamente Dinklage “ma poi mi hanno rassicurato, dicendomi che non si trattava di un eroe o un cattivo, ma di un donnaiolo che ama l’alcool, e questo bellissimo ritratto imperfetto mi ha convinto, così ho firmato”

L’occhio nero di Kit Harington non è una leggenda

“Penso che l’uomo che mi ha dato un pugno in faccia possa avermi aiutato a ottenere il lavoro” ammise Kit Harington qualche anno dopo in un’intervista. La verità è che Kit Harington la sera prima dell’audizione, a tarda notte in un McDonald’s, fece a botte con un uomo (molto più alto di lui) che fece commenti scortesi alla donna con cui stava uscendo Kit.

Crisi prima della scena di nudo per Emilia Clarke

La scena dello stupro ha mandato in crisi Emilia Clarke, che nonostante debba tutto al ruolo di Daenerys Targaryen, ha ammesso che la nudità l’ha messa a dura prova. “Una volta, prima e dopo di una scena di nudo ho dovuto prendermi del tempo libero. Ho chiesto una tazza di tè, ho pianto un po’ e poi mi sono fatta trovare pronta per la scena successiva”.

Ricordi Zunni, il cane Inuit? È stato adottato da Sophie Turner

“Crescendo ho sempre desiderato un cane, ma i miei genitori non ne hanno mai voluto uno”, ha detto Turner aCoventry Telegraph nel 2013. L’attrice si innamorò del suo compagno di set a quattro zampe, tanto da adottarlo. Purtroppo Zunnie è scomparso nel 2017.

Il Dothraki e l’alto valyriano sono lingue vere.

Incredibile ma vero, il Living Language ha presentato un corso di lingua colloquiale per parlare come Khal Drogo. Il corso, realizzato da David J. Peterson, che ha lavorato con la HBO per creare i Dothraki ascoltati nello show, si potranno apprendere in pochissimo tempo… così promette la scuola di lingue. Per quanto riguarda l’alto valyriano, una famosa app ha deciso di insegnarlo con uno dei suoi corsi online, proprio per migliorare l’esperienza dei fans della serie.

Peter Dinklage vittima di un terribile scherzo

L’attore rimase per 6 ore convinto che lo show venne cancellato a pochi giorni dalla messa in onda. Il terribile scherzo orchestrato da David Benioff fece infuriare l’attore.

Nel libro non sono morti davvero

Nei libri di Martin, alcuni personaggi morti nello show, sono rimasti vivi fino alle ultime pagine. Se stai leggendo i libri o riguardando la serie, questo ovviamente è uno spoiler, quindi ti consigliamo di non andare avanti con la lettura dell’articolo. I personaggi ancora vivi nei libri sono i seguenti: Shireen e Stannis Baratheon, Night’s Watchmen Pyp e Grenn, Barristan Selmy, Myrcella Baratheon e Mance Rayder.

L’incidente in toilette di Emilia Clarke

Dopo la scena del cuore del cavallo, Emilia Clarke è rimasta bloccata per ore in una toilette perché il sangue finto, per rendere la scena più vera, cruda e dolorosa, era così appiccicoso che l’attrice è rimastata letteralmente bloccata in una toilette per ore.

La mamma di Peter Dinklage faceva il tifo per Guy Pearce

In occasione dei Golden Globe 2012, quando l’attore Peter Dinklage venne premiato per il suo ruolo in Games of Thrones, ci fu un retroscena divertente. La mamma dell’attore era convinta che il figlio non avesse alcuna possibilità di vittoria, perché affascinata dal ruolo di Guy Pearce in Mildred Pierce.

Fans pazzi della serie fino al punto di…

Chiamare i propri figli con i nomi dei loro personaggi preferiti del Trono di Spade. Nel 2014, Khaleesi fu il 755° nome più diffuso dato ai bambini, mentre in Inghilterra si sono diffusi velocemente bambini con nomi di Arya, Tyrion, Brienne, Sansa, Bran, Sandor e Theon.

La terribile esperienza universitaria di Isaac Hempstead

La popolarità per il suo ruolo di Bran Stark, ha reso la vita difficile al giovane Isaac Hempstead, che in realtà, fuori dal set voleva continuare i suoi studi, ma questa “normalità” gli fu negata per ovvi motivi. In una recente intervista ha dichiarato “Non potevo uscire dalle mie sale senza dover fare un selfie”.

C’è un attore che ha interpretato 4 ruoli e nessuno si è accorto di nulla

L’attore gallese Ian Whyte ha interpetato in totale 4 ruoli nella serie “Il Trono di Spade”. Il famoso stuntman nella prima 2 stagioni era un camminatore bianco, poi ha interpretato Gregor Clegane e successivamente nella terza stagione un gigante senza nome, mentre nella quinta stagione ha vestito i panni del gigante dei Wildling Wun Wun.

I pirati dello streaming hanno battuto ogni record

Secondo un famoso sito di streaming, “Il Trono di Spade” è stata la serie più piratata degli ultimi 10 anni. Al secondo posto un’altra serie ispirata da un fumetto “The Walking Dead”, che ha preso il primo posto solo nel 2018.

Partita di calcio con la testa di Sean Bean?

Mentre erano sul sete, l’attore Sean Bean si è divertito moltissimo con la sua testa decapitata, tanto da inscenare una piccola partita di calcio e fare della sua testa decapitata un pallone da calcio.

Amore fuori dal set e ricatti

La moglie di David Benioff ha ammesso di aver minacciato il marito se fosse successo qualcosa al personaggio Jon Snow. La stessa cosa accadde allo scrittore Martin, pronta a lasciare il marito in base al destino dei personaggi Arya e Sansa.