“Smart Beauty”, la guida pratica per avere un’immagine di successo

“Smart Beauty” per Lui e per Lei è la guida pratica per scoprire il proprio stile autentico – scritto da Elisa Bonandini ed edito da Eifis Editore.

Quando si da’ un giudizio subconscio su una persona nell’arco di 90 secondi, tra il 62% e il 90% della valutazione è basata sul loro colore.” Lo afferma Martin Lindstrom, esperto mondiale di neuromarketing e una delle 100 persone più influenti al mondo secondo il TIME.

E sullo studio del colore, precisamente chiamato “armocromia”, sullo studio dello styling, sulla ricerca ed esaltazione dell’armonia perfetta del corpo, si basa il best seller “Smar Beauty” di Elisa Bonandini, esperta image consulter

Elisa Bonandini ci regala una guida completa, per Lui e per Lei, fatta di consigli pratici, utili e veloci per scoprire il nostro stile autentico e sentirci così a nostro agio. Ricerca che a taluni individui risulta naturale, mentre per altri può essere un percorso di studio, approfondimento e messa in pratica che, tra queste pagine, può trovare la sua massima forma. 

Elisa ci ricorda che il nostro corpo possiede colori meno brillanti e accesi di quelli che si incontrano in natura, che rafforzarli ed esaltarli grazie a un sapiente uso dei colori degli indumenti ha il potere di rendere l’immagine più armonica e più bella. E renderci più attraenti è utile non solo a noi stessi, ma può essere un’arma vincente per ottenere un lavoro o conquistare la dolce metà. 

L’analisi del colore, questa scienza che sempre più prende piede sui social network e cattura la curiosità collettiva, si applica giustapponendo sotto al viso una serie di drappi di colori diversi, dopodichè si registra la reazione con la pelle, occhi, capelli che saranno più vivi, brillanti, accesi o più spenti, e si stabilisce il colore che valorizza o penalizza la nostra figura. 

Dietro l’armocromia applicata alla persona ci sono ben 100 anni di studi e di storia; Johannes Itten, pittore designer e scrittore svizzero, è colui che ideo’ il sistema delle 4 stagioni una sorta di suddivisione dei colori in 4 grandi famiglie – primavera, estate, autunno, inverno. 

Se non avete la possibilità di fare un consulto da una personal colour analysis, “Smart Beauty” vi darà consigli su come poterlo fare comodamente a casa vostra, procurandovi solo 4 pezzi di stoffa di colore oro, argento, fucsia e arancione, alternandoli sotto il viso dovreste notare gli effetti di quelli caldi (oro e arancio) rispetto ai freddi (fucsia e silver) e capire di che stagione fate parte. 

E ancora troverete approfondimenti sulle geometrie e styling del viso, consigli pratici su come evidenziare labbra sottili, occhi piccoli, minimizzare i difetti delle orecchie sporgenti, nasi importanti, make up correttivo, come ringiovanire un volto in poche mosse, tecniche di camouflage per riequilibrare parti della silhouette, come apparire più snelle, tante tips in un unico volume!

Nel cofanetto “Smart Beauty” di Eifis Editore, troverete anche la guida per LUI, con le analisi degli accessori di un look, ma anche consigli di skincare, e advice sulla comunicazione e sulla capacità di attrarre in 4 mosse o su come apparire più autorevoli.

Elisa Bonandini, autrice del libro, ci riassume in una frase la sua idea di Stile.

Cos’è lo stile? 

E’ la capacità di una persona di far percepire la propria personalità e il proprio senso estetico attraverso un look sempre riconoscibile, che fa sentire a proprio agio”.

E a nostro parere è l’inizio per una vita di successi e gratificazioni, a partire dall’immagine del nostro specchio! 

Ronco Calino Franciacorta, oasi per wine lover

Se la montagna non va da Maometto, è Maometto che va alla montagna. E’ così che ci si reinventa a causa del Covid che limita i contatti e gli spostamenti, ed è così che ha fatto Milano Wine Affair per presentare uno tra i suoi clienti, Ronco Calino Franciacorta. Terra dall’antica vocazione enologica situata tra Milano e Verona, adiacente al Lago d’Iseo, Ronco Calino Franciacorta è un’oasi di pace dove viene prodotto il vino con il metodo della seconda fermentazione in bottiglia.

La cantina Ronco Calino, circondata da dieci ettari di vigneto biologico, produce un’accurata selezione di Franciacorta: l’iconico Brut, il materico Satèn, il particolare Rosé Radijan, il classico Millesimato, il Nature. Tra le rarità, poderosi vini affinati oltre dieci anni sui lieviti tra cui Sinfonia n.13, Centoventi, Càlinos, bottiglie per festeggiare avvenimenti importanti, racchiuse in preziosi cofanetti. 

Milano Wine Affair, da remoto, ci guida alla scoperta dei segreti di Ronco Calino portandoci in cantina dove il vino viene barricato in botti di legno, quelle che regalano particolarità aggiuntive alle uve (Chardonnay e Pinot nero). 

E’ una visita a tutti gli effetti, immersi in un panorama collinare verdeggiante che ci auguriamo tutti di poter vedere di persona, mentre oggi l’experience ci trasporta divertendoci con un quiz a domande aperte e una degustazione live che si specifica sul Ronco Calino Franciacorta Satèn

Di un giallo paglierino dai riflessi verdognoli, del Ronco Calino Franciacorta Satèn notiamo subito la persistenza delle catenelle, un perlage fine ed elegante, orgoglio della casa. Al naso arrivano subito profumi floreali, di fiori bianchi, fiori d’arancio, di gelsomino; al primo assaggio i sentori sono quelli della frutta fresca e giovane, pera, mela, quasi indietro di maturazione; al secondo assaggio il retrogusto diventa cremoso di burro, brioche, crosta di pane, ma è una cremosità che non viene data dagli zuccheri, perchè il Ronco Calino Franciacorta non è un vino dolce, ma un Brut. La cremosità è invece il risultato di un perfetto equilibrio tra parti dure e parti morbide, è la proporzione tra acidità e sapidità e note zuccherine. 


Ronco Calino Franciacorta Satèn è la bollicina perfetta perchè si sposa su tutto, è facile da abbinare, piacevole per tutti i palati ma con quel tocco particolareggiato dato dall’affinamento in barrique di rovere francesi. E allora buona degustazione!

Places: l’America Centrale e i suoi 7 resort più colorati

La pandemia attuale ci costringe a viaggiare solo con l’immaginazione ma nulla ci vieta di portare i nostri pensieri oltre oceano e iniziare a programmare i prossimi viaggi.


Costa Rica, Santa Barbara. November 30, 2016. The atrium in the main building of the Hotel Finca Rosa Blanca. © Teake Zuidema

Tra le destinazioni da non perdere, l’America Centrale e Repubblica Dominicana sono il luogo ideale per ritrovare lo spirito giusto e riaccendere la voglia di viaggiare. Territori colorati, rari e mozzafiato che rifletteno l’energia, la cultura e la trazione locale: Belize, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama e Repubblica Dominicana . 

Abbiamo selezionato alcuni tra gli hotel più caratteristici dove soggiornare almeno una volta nella vita:

Los Almendros de San Lorenzo – El Salvadorù

A Suchitoto si trova un’elegante boutique hotel nel centro storico della città coloniale, che nasce da una vecchia abitazione dal grande valore culturale. Dietro lo spettacolare murales ideato dal maestro salvadoregno Luis Lazo, si nasconde un vero e proprio Eden della serenità, in cui i patii pieni di piante, fontane d’acqua e  corridoi delimitati da colonne di legno sono i veri protagonisti.



W Panamá – Panama

Ispirato all’arte, alla moda, alla cultura e alla gastronomia locale, l’hotel incarna lo spirito del paese, ripercorrendo lo stile e l’energia con un design unico che rende omaggio sia alla storia della regione che al suo presente. La struttura si trova vicino a Calle Uruguay, location di pregio nel quartiere finanziario della capitale panamense. Non può mancare una rilassante piscina all’aperto, pronta a catapultare gli ospiti in una rilassante atmosfera.



Finca Rosa Blanca – Costa Rica

Una volta c’era solo del fango; oggi, un paradiso lussureggiante. Tra un caffè eccezionale e 7.000 alberi, questo hotel è costruito su una terra  che racconta culture e tradizioni locali.



Se amate l’arte, in tutte le sue variegate forme, Finca Rosa Blanca è quello che fa per voi: preparato  ad accogliervi tra  stravaganti sculture e  colorati murales, con il suo spirito spiccatamente costaricano  vi offrirà un tradizionale paradiso naturale ed ecologico.

Hamanasi Resort – Belize

Situato tra le montagne Maya e il turchese Mar dei Caraibi, è un intimo boutique hotel che offre la possibilità di andare alla scoperta dei più grandi siti Maya immersi nella foresta pluviale: i più temerari possono spingersi fino all’incontaminata barriera corallina. L’ecoturismo è la filosofia alla base di questa struttura che ogni giorno lavora per preservare la porzione di paradiso per le generazioni future con molta attenzione per fauna e ambiente.




Eden Roc at Cap Cana – Repubblica Dominicana

Eleganti suite sul lungomare e  incantevoli ville immerse nella natura, per  una totale privacy: il Relais & Châteaux Eden Roc at Cap Cana è una proprietà unica ed esclusiva che si erge nella bellissima cornice del lungomare di Cap Cana, teatro di  vivaci architetture e camere dai colori accesi, vibranti e diversi tra loro. 



Jade Seahorse – Honduras

E’ il luogo ideale per rilassarsi, godersi la natura, condividere emozioni e apprezzare le creazioni monumentali. Anche in questo caso la green attitude è la vera protagonista: a decorare l’oasi sono materiali di riciclo come pezzi di ceramica, vetro, dischi o bottiglie, che uniti insieme a mosaico danno forma a pareti, tavoli e pavimenti. Non mancano bungalow esclusivi realizzati dai migliori artigiani e degustazioni di piatti a base di prodotti biologici locali.



Tribal Hotel -Nicaragua

Situato nel cuore della città coloniale, l’hotel di lusso gode della posizione perfetta per vivere al cento per cento il fascino della storia, della cultura e dei ristoranti locali. Un’elegante lobby accoglie gli ospiti proiettandoli in un’oasi tropicale, con una piscina in piastrelle bizzarre che ricordano i marciapiedi di Copacabana. La terrazza coperta che circonda il patio offre un moderno spazio comune, mentre la sala da pranzo è decorata con pezzi personalizzati progettati dai proprietari e realizzati a mano da artigiani locali della campagna. 


MITParade – Capsule d’autore

Continuano le nostre MitParade, per tenervi aggiornati sulle special edition più interessanti, da aggiudicarsi in tempi record, perché sono veri pezzi da collezione, creati in collaborazione con artisti del panorama contemporaneo, per regalarvi l’emozione d’indossare una moda mai uguale a se stessa, in cui sperimentazione ed evoluzione stilistica camminano di pari passo per ottenere capi e accessori di nuova generazione.

Brand e designer escono da un range predefinito per sperimentare forme nuove e palette non scontate, alla ricerca continua di un prodotto che rifletta un’inedita visione contemporanea, fatta di nuovi intenti e necessità.

Chi lavora insaziabilmente all’esplorazione di mondi diversi e chiavi di lettura sempre alternative è Puma che, tra una lunga lista di special edition, lancia una vivace collaborazione con l’artista Michael Lau, padrino delle toy figures, per la collezione PUMA X MICHAEL LAU “SAMPLE”, con un approccio insolito, basato sulla possibilità di dar valore e dignità a un design che può anche venir fuori da un errore involontario del designer o del tecnico di fabbrica.
Un inno alla perfezione dell’imperfezione, al valore del processo creativo in ogni sua singola fase. Michael accoglie il difetto, trasformandolo in opportunità, per dare una maggiore personalità alle sue creazioni.

 “Godetevi e prendetevi gioco del processo di sperimentazione”, afferma Lau. “Potrebbe sorprendervi!”

Le famose “toy figures” di Lau sono gli elementi principali di questa collezione, insieme a grafiche a matita disegnate a mano, texture di carta millimetrata e altri riferimenti che rimandano al mondo all’hand-made e del work in progress.
La Mirage Mox presenta una stampa ispirata alla carta millimetrata, stampe digitali e colori non perfettamente abbinati sulla Ralph Sampson Mid, la Two-Face Track Jacket, reversibile è caratterizzata da una stampa con grafica a matita.

Omaggio all’arte anche per Antony Morato che dedica due capsule a due creativi del nostro tempo. Tutto italiano il primo, il famoso street artist neopop TV Boy, che ha fatto molto parlare di sé, per le sue opere a sfondo politico con soggetti come Salvini, Di Maio, Trump e Berlusconi, irrompe su alcuni capi della fw21-22 con protagonisti differenti, rubati al panorama musicale.
Ci spostiamo in oriente per celebrare la collezione dedicata al rivoluzionario mangaka Go Nagai, ideatore del mitico Goldrake che compare su felpe e t-shirt dall’anima urban sport.

Dagli sconfinati ghiacciai del Nord alle atmosfere orientali dei ciliegi in fiore.
Il linguaggio poetico dell’immagine di Angel Chen mette la firma sui prodotti della collezione Canada Goose, caratterizzata da una nuova vision che abbatte le barriere tra paese, età e sesso, e introduce due nuove nuances: il rosso audace e due tonalità di rosa.
Tredici pezzi uomo e donna in una campagna che fonde cultura occidentale e orientale, l’inverno del Canada e la primavera in Cina, realizzata con la realtà aumentata attraverso la Computer Generated Imagery (CGI).
“Nel nostro approccio, cerchiamo prospettive uniche e creative, traendo ispirazione da un’estetica distinta che ci sfida. Il nostro compito è quello di reinterpretare e reimmaginare il nostro DNA di design attraverso i loro occhi. Angel ha fatto proprio questo, mettendo la sua firma sui nostri prodotti più iconici”, ha dichiarato Woody Blackford, EVP Product di Canada Goose.

Semplicità, relaxing, inspiration. Marco Baldassari presenta i keycode della prossima collezione uomo Eleventy

“Ci riteniamo ambasciatori nel mondo di un lusso responsabile, dell’artigianalità italiana e di uno stile sobrio, elegante, ma soprattutto moderno”, queste le parole di Marco Baldassari, CEO e direttore creativo uomo di Eleventy, brand nato nel segno dell’ Unconventional Chic sinonimo di impeccabilità ed eccellenza.

Manintown lo incontra in esclusiva nello showroom milanese pochi giorni dopo la presentazione della collezione Uomo Fall Winter 21/22.


Lei ha affermato che la nuova collezione si approccia “a un’eleganza pensata per sé stessi; è un nuovo modo di pensare e di essere nel mondo che cambia e si rinnova.” In che modalità le evoluzioni dell’anno pandemico, come la vita vissuta indoor e lo smartworking, hanno influenzato la sua ideazione?

L’attuale situazione mondiale sicuramente ha impattato sulle mie scelte stilistiche che non potevano sottovalutare i nuovi modelli di business. Questo mi ha fatto concentrare sulle shape e sui pesi adatti al lavoro at home per dar vita ad outfit confortevoli e perfetti per le Zoom call.

Perchè è importante aver cura di sé stessi e della propria estetica anche nella virtualità delle interazioni. 

Il tutto ovviamente è stato realizzato nel rispetto dei valori di Eleventy, eccellenza dei tessuti e dei filati totalmente Made in Italy.


Nonostante una proiezione alquanto incerta in merito agli spostamenti correlati ai viaggi Eleventy progetta la MOUNTAIN RESORT CAPSULE. Quali sono le caratteristiche che la descrivono al meglio?

All’interno della collezione abbiamo creato una piccola capsule di outfit colorati pensati per il tempo libero.Una nota vibrante consigliata anche per i week end cittadini.

Quanto delle connotazioni date alla collezione Uomo Fall Winter 21-22 ritroveremo nella donna Eleventy?

Uomo e donna camminano sugli stessi binari.Anche la donna vivrà momenti meno formali nel segno della trasversalità e delle recenti evoluzioni .Eleventy è un brand sostenibile, progettiamo capi senza tempo per dargli valore con il passare delle stagioni, mai come in questo momento.

Gli addetti del settore ricordano con nostalgia le presentazioni fisiche del brand all’interno dello showroom in cui ci troviamo. In che modalità avete scelto di presentare la collezione e come viene effettuata la campagna vendite?

La campagna vendite sta avvenendo in gran parte digitalmente. Per fortuna la pandemia ha accellerato i processi di digitalizzazione ai quali auspicavamo da anni. Dialoghiamo quotidianamente con i buyer internazionali e, anche durante la MFW, abbiamo scelto una modalità di presentazione virtuale in grado di risultare ingaggiante per tutti i nostri target di riferimento.

L’orgoglio del saper fare italiano, che vi contraddistingue sin dal 2006, su cosa punterà nel futuro prossimo e cosa conserverà delle evoluzioni vissute durante la Pandemia?

Noi italiani siamo giramondo, e mai come in questo momento ricordo con nostalgia i grandi apprezzamenti ricevuti per il nostro Paese. Il Made in Italy è il nostro brand, sinonimo di eccellenza e minuziosa artiginalità che ne firmano l’unicità. Produrre interamente nella Penisola ci crea non poca fatica soprattuto perché siamo nati con l’ambizione di essere competitivi. In questi anni ci siamo definiti un brand del frangente smart luxury e continueremo a muoverci in questa direzione avendo ottenuto ottimi consensi.


Special content direction and interview Alessia Caliendo

Photographer Matteo Galvanone

La moda maschile che verrà nelle collezioni della Paris Digital Fashion Week A/I 2021

Cover: © credits Pascal Le Segretain

Con gli effetti nefasti del Covid-19 che continuano a farsi sentire un po’ dappertutto, anche la Paris Fashion Week dedicata al menswear dell’Autunno/Inverno 2021-22 è dovuta ricorrere a un format completamente digitale, spalmando su sei giorni, a partire dal 19 gennaio, la messe di sfilate e presentazioni.
Com’era già accaduto nell’edizione della P/E 2021, le griffe in calendario si sono divise tra chi ha semplicemente trasferito online le uscite della passerella o lookbook di turno e chi, invece, ha optato per soluzioni quali fashion film, videoclip, teaser e quant’altro.



Per quanto riguarda le proposte in sé, emerge uno scenario piuttosto composito: se diversi designer hanno abbracciato il cosiddetto comfortwear a base di capi décontracté, forme ampie, materiali cozy eccetera (indotto dal confinamento generalizzato ma destinato a rimanere ben saldo nello scenario presente e futuro), altri hanno dato libero sfogo al proprio estro, immaginando un guardaroba assai meno condizionato dall’intimità domestica, all’insegna quindi di look elaborati, colori brillanti e dettagli inediti.



Ecco allora una rassegna delle collezioni che, a nostro avviso, hanno colto nel segno, proiettando la creatività dei vari brand nella stagione fredda che verrà.

Homme Plissé Issey Miyake

Cambiare tutto restando al contempo fedeli al proprio heritage è l’obiettivo, tutt’altro che agevole, perseguito da Yusuke Kobayashi, direttore creativo della linea maschile di Issey Miyake. L’intento, riecheggiato anche nel titolo dello show ‘Never Change, Ever Change’, viene raggiunto sperimentando nuove declinazioni del plissésignature imprescindibile del marchio, che comprendono tinture in filo, motivi ispirati agli intrecci dei cesti africani e filati riciclati.
Pieghettature minuziose animano dunque blazer, spolverini, jumpsuit e gilet, ariosi ed essenziali, così come i pantaloni più strutturati, che si restringono sul fondo lasciando in evidenze le ginniche scure, frutto della collaborazione con Wakouwa, giunta al terzo capitolo.

Tra l’altro saranno disponibili nel giro di qualche giorno le sneakers high-top della serie precedente, che giocano con i cromatismi opposti di bianco e nero.



Louis Vuitton

Parafrasando Pirandello, li si potrebbe definire archetipi in cerca d’autore: sono i tipi umani del défilé di Louis Vuitton, nello specifico architetti, artisti, vagabondi e venditori. Virgil Abloh ne esamina le (presunte) rispettive tenute d’ordinanza, estendendo il discorso anche ai cliché sugli afroamericani e filtrando il tutto attraverso due possibili lenti, che lui attribuisce alle categorie contrapposte di turisti e puristi.
In definitiva, un’indagine sul potere semiotico della moda, con il creative director che si diverte a stravolgere dinamiche e nozioni vestimentarie spesso considerate automatiche, insistendo sull’effetto straniante di trompe-l’oeil e proporzioni fuori scala: i capispalla assumono così lunghezze spropositate, i bottoni vengono sostituiti da miniature di aerei, moto o martelli, il kilt si accompagna al completo, cappelli e cinturoni da cowboy alle mise più formali; per non dire dei panorami à porter, che consentono di mettersi letteralmente addosso lo skyline di New York, o del celeberrimo monogram della casa, che invade le superfici di abiti, coat e maglieria, come fanno i pattern rubati all’architettura, su tutti quello che riproduce le striature marmoree.
Abloh riserva inoltre grande attenzione agli accessori, destinati ad accendere i desideri dei fashionisti inveterati: basti vedere il borsone-aeroplano o i bicchieri da caffè, entrambi logati LV, of course. 



Yohji Yamamoto

Coerente con la visione decostruttivista che lo contraddistingue da sempre, Yohji Yamamoto traspone nella collezione A/I 2021 lo Zeitgeist di questi tempi opprimenti e tribolati, mescolando cappotti dalle dimensioni esagerate, mascherine ricamate, giacche spioventi, pantaloni dal taglio loose, frasi-manifesto minacciose quali ‘You have to take me to hell’o ‘Born to be terrorist’, grafismi sfumati a contrasto, superfici attraversate da sfilze di cinghie e lacci, un richiamo, quest’ultimo, alle costrizioni delle pratiche bondage.
Si alternano texture eteree e corpose, lisce e stropicciate ad arte, in una sequenza di uscite dominata dal total black di prammatica per il maestro giapponese, interrotta sporadicamente da sprazzi di colore rosso, rosa o arancione.




Dries Van Noten

Nel comunicato della griffe, Dries Van Noten spiega di essersi concentrato sui cardini del guardaroba, ma si parla pur sempre di un designer dalla cifra immaginifica, capace come nessun altro di amalgamare influenze e trovate stilistiche agli antipodi, con una disinvoltura difficile da rendere a parole, eppure inconfondibile. I must dell’abbigliamento maschile scelti per l’occasione (trench, camicie, suit, maglioni, ecc.) rifuggono quindi qualsiasi semplicismo: ammorbiditi nelle proporzioni per trasmettere un’impressione di scioltezza e comodità, si arricchiscono di increspature ad hoc e pattern geometrici mutuati dalla cravatteria, distorti quanto basta per assumere un aspetto vagamente psichedelico.
Le coulisse si insinuano su top e blouson, scombinandone le superfici, mentre i maxi anelli, ricorrenti, trattengono lembi di tessuto, sostituiscono la fibbia delle cinture o, ancora, diventano un decoro metallico da apporre su borse e collane.
Sotto i pantaloni, dalla vita alta eppure languidi, spuntano mocassini e boots dai profili arrotondati, a ribadire la sensazione di generale rilassatezza.



Dior Men

Il tailoring sublimato da tecniche e materiali tipici dell’haute couture, vero filo conduttore del lavoro di Kim Jones per l’uomo della maison, viene stavolta applicato alle uniformi d’epoca.
Stemperando il rigore appunto marziale che li caratterizza, il direttore creativo infonde a overcoat, soprabiti, caban, marsine e giacche da ufficiale un’attitudine dégagé e raffinata al tempo stesso, tra file di bottoni gioiello, passamanerie intricate, ricami geometrici, broche luminose appuntate sul taschino e pennellate astratte eseguite da Peter Doig, (ennesimo) nome di rilievo dell’arte contemporanea chiamato a collaborare con la griffe dopo – tra gli altri – KawsRaymond Pettibon e Kenny Scharf.
Tagli e volumi, studiati al millimetro, tratteggiano una silhouette asciutta ma priva di qualsiasi rigidità, mentre la tavolozza di stagione si mantiene in equilibrio tra toni neutri come blu navy e grigio (particolarmente cari a Monsieur Dior in persona) e flash cromatici di giallo, arancio e rosso.



GmbH

Serhat Isik e Benjamin Huseby – il tandem alla guida della label GmbH – propendono per un abbigliamento energico e sfrontato, imperniato su capi fortemente materici, lontano insomma dall’idea di comfort che, in tempi di pandemia e clausure più o meno forzate, va per la maggiore.
Il riferimento, dichiarato, è alla realtà simulata al computer del film ‘Welt am Draht’, ma sembra suggerire soprattutto il desiderio di ritrovarsi in un mondo altro, popolato da uomini assertivi, disinibiti, che sfoggiano abiti scultorei quasi esclusivamente neri, con qualche accenno di rosso, lime o marrone.
I tagli, precisi come rasoiate, sottolineano le forme di una fisicità volitiva e sensuale, come del resto fanno le giacche fittate, le maglie fascianti e i pantaloni smilzi, spesso infilati negli stivali al ginocchio; per non parlare degli spacchi che scoprono strategicamente spalle, torace o braccia, delle zip diagonali disseminate sulla maggior parte dei capi o delle linee che, spesso e volentieri, finiscono con l’incrociarsi sul petto.

A conferire ulteriore plasticità alle uscite provvedono poi i materiali, in primis la pelle, declinata in suit, giacconi, trench e pantaloni.


Wales Bonner

L’ultima collezione di Grace Wales Bonner rappresenta un ideale trait d’union tra Giamaica e Regno Unito, i paesi cui è maggiormente legata la stilista, londinese di origini caraibiche. Nello specifico, sostiene di aver immaginato il guardaroba di «outsider intellettuali» degli anni ‘80, vale a dire studenti neri di Oxford o Cambridge che, frequentando i prestigiosi atenei, si trovano ad assorbirne i codici identitari, stile incluso.
Ecco allora che la sartorialità severa dell’abbigliamento preppy, qui compendiata in blazer sciancrati, golf a rombi, pantaloni con le pinces e capispalla clean, viene smussata dalla presenza di pattern a righe sovrapposti, inserti floreali, patch in nappa, orli che sbucano dal maglione allungandosi ben oltre la vita e altri particolari inusuali. 

Dulcis in fundo, si rinnova il sodalizio con Adidas, per sneakers dall’appeal vintage e tracksuit percorse dalle tre strisce del marchio.



Casablanca

L’esuberanza nel look di un manipolo di jet-setter degli anni Sessanta, intenti a festeggiare in un sontuoso palazzo sulla Côte d’Azur: parte da questa suggestione Charaf Tajer, designer di Casablanca, per costruire il guardaroba A/I 2021 del brand.
Il racconto degli outfit, compresi quelli della neonata divisione womenswear, è affidato a un video rilasciato sui canali social della griffe, che si snoda tra stampe lussureggianti, pullover lavorati a intarsio oppure incrostati di broderie, colli voluminosi, tessuti soffici che sfiorano il corpo.

A livello di forme, è evidente il contrasto tra giubbotti e giacche, boxy e corte sulla vita, e i pantaloni svasati e fluttuanti che caratterizzano la parte inferiore delle mise.
Per quanto riguarda le calzature, spicca l’ultima iterazione della partnership con New Balance, ossia una scarpa da running candida, illuminata da tocchi di arancione e verde. 

La palette si adegua al mood squisitamente retrò che pervade l’intero show, alternando cromie delicate – dal lilla al crema – e nuance vibranti di giallo, rosso e blu.



Matteo Garrone per Dior – lo short movie ispirato al mondo dei Tarocchi

Maria Grazia Chiuri (direttore artistico di Dior) affida ancora una volta la regia dello short movie a Matteo Garrone per interpretare la collezione haute couture primavera estate 2021, ispirata al mondo dei Tarocchi.

Cosa vuoi sapere”
Chi sono”. 

Una cartomante interroga i tarocchi mentre una giovane donna con cappellino nero e veletta si lascia predire il futuro. La Papessa della carta prende corpo all’interno di una castello avvolto dalle atmosfere oniriche che regala Matteo Garrone, il regista che con Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa di Dior, ha già collaborato allo scorso Fashion Film Festival. 

Le Château du Tarotè la storia fiabesca, perfettamente nelle corde del grande regista romano, che interpreta il mondo divinatorio ed esoterico dei tarocchi; nelle stanze del Castello di Sammezzano in Toscana si manifestano gli arcani maggiori in abiti Dior, quelli che formano la collezione Haute Couture Primavera Estate 2021.

 



Dopo la prova della carta della Giustizia, in un abito chiffon verde bosco, si apre una stanza che rivela il lato maschile della figura che si aggira nel luogo incantato; l’appeso indica la strada, una porta segreta che s’apre alternando spazi in cui lo yin e lo yang si susseguono. Sontuose stanze vellutate e illuminate dalle soli luci delle candele, fanno da sfondo ad ambigui contatti tra i personaggi fantastici. 

E’ nella luce blu di Garrone che si infittisce il mistero, l’ambientazione arcana; la carta della Luna, dal luminoso e iridescente manto lungo, accompagna la protagonista (Agnese Claisse, figlia di Laura Morante) all’incontro col destino, in una grande vasca vaporosa, dove le due energie opposte si incontrano, si attraggono, si uniscono fino a fondersi. 


Come sempre Matteo Garrone stupisce nel suo habitat cinematografico, riesce a dare vita agli abiti Dior col suo tocco magico e incantato. Divinazione, esoterismo, magia, hanno da sempre affascinato Christian Dior, lo sappiamo dalla sua biografia che racconta gli incontri, spesso decisivi, con le veggenti: “Sarà fantastico! Questa casa rivoluzionerà la moda”.

“In tempi incerti, pensare che esista il soprannaturale, qualcosa che sia al di là del nostro controllo, e che appellandosi a certe forze si possa conoscere il futuro, è rassicurante. L’ignoto spaventa tutti, e se non è ignoto il momento che stiamo vivendo oggi, allora non so cosa possa esserlo» racconta Maria Grazia Chiuri, che ammette di essersi fatta leggere le carte in questi ultimi tre mesi. 

Sia Matteo Garrone che Maria Grazia Chiuri, dopo il secondo lavoro di successo insieme, ammettono entrambi di aver avuto una predilezione per una determinata carta, quella che tutti temono quando invece il suo significato ha una valenza positiva, determinando un cambiamento, un rinnovamento, una rinascita. E’ la carta della morte, vestita di un meraviglioso long dress plissettato in garza grigio e oro con cristalli ricamati e cappuccio. E che sia di buon auspicio.

Dior Haute Couture Spring Summer 2021 Collection



Story-grammer, pagine Instagram e racconti visuali di storie urbane

Dai rapsodi, bardi, scaldi e cantastorie che di piazza in piazza, di città in città, intrattenevano il pubblico con il racconto delle loro storie, vere o di fantasia che fossero, agli story-grammer, i moderni avventori della narrazione visuale da social, ne è passata di acqua sotto i ponti. L’arte del raccontare, e del raccontarsi, in qualsivoglia forma, espressione o mezzo si manifesta resta pur sempre uno dei ‘mestieri’ più antichi e affascinanti del mondo.



Lo sa bene drcuerda, l’account Instagram alter ego di Daniel Rueda – story-teller, creatore di immagini, cercatore di geometrie, amante delle architetture ed esploratore del mondo – che ha dato vita, insieme alla sua musa/collaboratrice Anna Devís, ad una pagina a immagini ludicamente narranti. Classe 1990, spagnoli, laureati in architettura all’Universitat Politècnica di Valencia e inseriti di recente nella classifica di Forbes 30 Under 30 Europe List come “i fotografi in grado di raccontare storie attraverso gli oggetti di uso quotidiano creando scene surreali senza l’aiuto di software di photoediting”. Le architetture, ricercate o casualmente incontrate, sono la materia prima rielaborata in sketch, accuratamente studiati, che si innestano nel contesto urbano sotto forma di divertenti narrazioni visionarie. Sembra quasi di immergerci nell’immaginario visivo di uno story game dove le geometrie, i dettagli, le prospettive e i colori di palazzi, edifici e facciate la fanno da padrone.



Daniel e Anna, partendo da queste ispirazioni, mettono la loro creatività al servizio dello spazio prescelto aggiungendo quel particolare che ne completa la storia. Elementi semplici, quotidiani, spesso realizzati a mano, fini a stessi o resi parte attiva grazie all’interazione umana in contesti architettonici che, seppur non conoscendo frontiere geografiche, prediligono la luce della Spagna. Valencia, Madrid, Barcellona, Albufera, Maiorca, Cadice diventano, così, scenografie a cielo aperto. Gli scatti, carichi di sense of humour, dall’estetica pulita e accurata e dallo spirito naïf, sono costruiti su un’intelligenza creativa argutamente minimalista e fantasiosa che si traduce in immagini che “parlano di sé, e da sé, senza la necessità di aggiungere parole”.



L’esigenza di traghettare la fotografia in un mini racconto a immagini, dal frame decisamente poco ordinario, è la missione creativa di un’altra pagina Instragram citylivesketch, nata nel 2014 da uno schizzo del porticciolo de La Balata nel borgo marinaro di Marzamemi. Il progetto parte dal cuore della Sicilia, come il suo ideatore Pietro Cataudella, originario di Pachino ma toscano di adozione, con l’intento di narrare scorci, simboli, monumenti e bellezze guardando il mondo da un “taccuino di viaggio”. Foglio di carta e matita alla mano diventano i mezzi e gli strumenti di illustrazione per realizzare schizzi che si completano e si fondono nella fotografia.


Immagini di interazione con la capacità di smarcarsi dalla bidimensionalità per approdare ad un’ottica 3D, quasi da effetto pop-up. Un mash up tra astratto e concreto, dove la fantasia serve la realtà, o viceversa. Alle fedeli riproduzione in grafite e digitale si alternano innesti fantasiosi che capovolgono inaspettatamente il modo di percepire ciò che ci circonda. Perché come diceva Paul Klee “l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”.



Spingere l’immaginazione oltre le apparenze e sovvertirle in un gioco creativo è anche il leitmotiv narrativo di paperboyo, l’estroso “ragazzo di carta” che, su Instagram, ha stravolto vedute, paesaggi e panorami con forbici e cartoncini. Rich McMor, il creativo britannico dietro l’account, ha intrapreso un fantasioso e ingegnosamente illusorio viaggio in stile “cutout” dove monumenti, ponti, edifici e luoghi storici vengono invasi da ritagli di carta per raccontare la sua visione da artista sognatore. La mano di Rich diventa un elemento integrante nella messa in scena delle foto, come quella di un burattinaio che accompagna e anima le sue marionette, ma qui invece di fantocci di legno e di stoffa troviamo sagome nere ritagliate ad arte che danno una nuova e personale interpretazione a luoghi turistici di culto ed architetture.



La City Hall di Londra diventa la palla di un giocatore di football americano, il Neon Museum di Las Vegas la gonna svolazzante di Marylin Monroe, l’Arco di Trionfo un omino del Lego, la ruota panoramica del Central Pier a Blackpool un banjo. McMor attinge da un baule iconografico pop, tirandone fuori allusioni e figure popolari nell’immaginario collettivo. Quando la fantasia oltrepassa il limite dell’ordinario tutto diventa possibile anche che il David di Michelangelo si trovi addosso dei boxer di Calvin Klein o che il Cristo Redentore di Rio venga abbracciato da un Leonardo Di Caprio come nella cinematografica scena di Jack e Rose sulla prua del Titanic.



Borse e guanti da uomo, la tendenza uomo 2021-22

Le ultime sfilate dedicate alla moda uomo ci consegnano due tendenze che rubano la scena al guardaroba femminile: via libera a borse e guanti da uomo secondo Fendi e Prada.

Il guardaroba maschile è per narcisisti. Questa è la nuova estetica concepita dagli stilisti nostrani che immaginano il nuovo dandy del futuro. Via libera, allora, ad accessori diventati, nell’immaginario collettivo, unisex. La borsa è declinata anche per l’uomo con modelli ampi e, talvolta, anche pochette.

Il bauletto Fendi

Per Fendi è un bauletto in pelle rigida e strutturata. Comoda per portare con sé tutto il necessario per la vita di tutti i giorni, a lavoro e durante il tempo libero. Un modello da avere assolutamente per un mix tra tailoring e streetwear che convince.

Borsa a mano capiente tonalità fluo

Prada, dal canto suo, gioca con il gender-fluid con una collezione di borse che strizzano l’occhio al guardaroba femminile. All’iconico marsupio in nylon propone borse capienti dai colori fluo, da portare a mano. Miuccia e Raf Simons, inoltre, disegnano un paio di guanti in pelle che ha, incorporato, una tasca chiusa con cerniera per portare, con sé, tutto l’essenziale.

Un delizioso viaggio nell’healthy food: Dolce Green

www.dolcegreen.it

Dolce Green, nasce dall’unione di Silvio e Andreea, coppia nel lavoro e nella vita da sempre appassionata di viaggi e di healthy food. Dopo un’attenta ricerca worldwide, nel pieno della pandemia e, sfruttando lo stop forzato del lockdown, hanno messo in moto la macchina per realizzare il loro sogno. Nella ricerca dello chef in grado di affiancarli, sono stati letteralmente stregati da Alessandro Andaloro. Al trio si è poi aggiunto Daniel, un giovane under 30 italo-asiatico, che li ha aiutati a dare un’attitude internazionale all’intero progetto.

Non si definiscono una food location qualunque ma un luogo h24 accogliente, green e tecnologico dove dedicarsi allo smart working o al social sharing.

Nel segno dei trend, che vedono la pokè ai primi posti tra i piatti internazionali preferiti dagli italiani , decidono di dare spazio anche agli antipasti come l’Hummus, il Guacamole, le Nachos con il Chili, la Zacusca e il Babaganoush.


A completare la proposta, i bagel e la vasta varietà di hamburger tra cui spicca quello Vegan, tutti rigorosamente home made compreso il pane.

Da Dolce Green si può gustare una delle più deliziose carbonare della Città Eterna e i migliori dessert per una customer experience di altissimo livello.

La clientela vegetariana, vegana e gluten free viene seguita con attenzione anche nel “delivery mode”. Infatti, Dolce Green è presente sulle quattro piattaforme principali italiane, Glovo, Just Eat, Uber Eats e Deliveroo.

Pronto per il franchising il format ha grandissime ambizioni nella sua internazionalizzazione.

New faces: Blanco è l’inno ribelle degli adolescenti

Il tentativo critico d’incasellare un artista in un genere preciso è sempre più complesso. La cultura musicale contemporanea è un assalto alle barriere, e quest’ultime stanno diventando pressoché invisibili. Lo sa bene BLANCO, classe 2003, pseudonimo del bresciano Riccardo Fabbricone, che si lamentava pochi giorni fa, sui suoi social, riguardo a questa tendenza tecnicistica di trovare sempre un nome a tutto.



“Faccio musica perché mi piace, non perché voglio essere chiamato cantante o rapper” dice lui che, a prescindere da come viene definito, è ormai alle luci della ribalta. Pochi singoli sulle spalle, ma un corteo di fan e un’aurea senza pari. Sono le leggi del nuovo mercato: sganci un singolo su Spotify e con quello cogli il cuore delle persone – e perciò l’algoritmo. Non solo perché il singolo spacca, ma perché sei tu. E BLANCO, non c’è dubbio, è una creatura a sé stante.



Dal suo exploit, Notti in Bianco – il secondo singolo ufficiale, rilasciato dopo il suo primo, meno conosciuto ma comunque valido, Belladonna (Adieu) -, una community di teneri anarchici si è accerchiata attorno alla sua figura. L’immaginario che emana BLANCO sempre mezzo nudo (dice che lo fa sentire libero) e sfacciatamente acneico, è l’inno ribelle degli adolescenti. Non quelli scontrosi, sempre e per forza, ma quelli vivi, in qualche modo profetici, da cui tanti adulti, rinsecchiti, dovrebbero cogliere l’insegnamento e il vigore. Essere liberi, parafrasando BLANCO, nel suo ultimo singolo, LA CANZONE NOSTRA, assieme a Salmo e prodotta da Mace, significa “ballare sotto la pioggia”. Contro ogni intemperia, contro ogni sfiancante pandemia o bruttura di questo mondo, tu balla.



Ma torniamo agli inizi, a quella Notte in Bianco, prodotta dal fidato Michelangelo. Lì c’è il segreto del suo successo, il manifesto di una genuinità ribelle che non sarebbe potuta passare inosservata. Chiunque la scorsa estate si fosse trovato ad ascoltarla, ne sarebbe rimasto – per l’assoluta novità – romanticamente scandalizzato. L’atmosfera notturna e selvaggia del brano, mixata a un testo che nel suo essere esplicito trova profonde forme di lirismo, è l’essenza di BLANCO. Grida, salti che non vedi ma senti, la corsa verso l’alba degli after passati a scrivere, l’amore in fuoco, la carne bruciante: in sintesi la gioventù, quella vera ed eversiva. È una canzone catartica che purifica tutte le particelle di amore tossico che sono rimaste: ho strappato mille pagine, baby, per descrivere le tue lacrime. Non c’è spazio per dormire, perché la notte resta tutta da ballare. Il filone romantico lo ritroviamo in Ladro di Fiori, uscita ad ottobre, che conferma il suo essere una voce fuori dal coro, rispetto alla trivialità di una trap, fino a qualche tempo fa imperante. Sono un ladro di fiori / amo i tuoi colori / e ho rubato te / in un campo di gigli / siamo tornati bimbi / e tu hai scelto me. Versi allo stato puro, recitati su una base ipnotica, sempre di Michelangelo, che lascia sbalordito l’ascoltatore.



In tre minuti di canzone, la musica italiana ha un sobbalzo di serenità: d’un tratto l’aulica semplicità, caratteristica del cantautorato, è nuovamente in auge. A coronare questa sua tendenza è la già anticipata LA CANZONE NOSTRA, con Salmo e Mace, che in questi tempi bui è sembrata una dinamite di luce. Sono sotto la pioggia / come la prima volta / a cantarti Nel blu dipinto di blu, / era la canzone nostra canta BLANCO, in un video in bianco e nero storico, in cui – sembra la preistoria – tutti ballano ammassati, ma vivi.



La buona musica – come la buona arte – risana il rapporto che c’è tra la realtà e l’utopia. BLANCO lo sa fare. Nella sua assoluta e intransigente sincerità, riesce a portare dei messaggi dimenticati, una certa vibes incandescente, che non si sentiva da un pezzo. Ha fatto uscire quattro singoli, eppure sembra aver già smosso le acque. La Universal Music ha in casa un soggetto che non è nemmeno più una promessa, ma una certezza. Come si fa a dirlo dopo così poco? La pretenziosità nel farlo è scusata dall’impatto che i suoi testi e il suo mood hanno portato nella scena. Una voce masticata e un po’ misteriosa che ci ricorda Madame – su di lei bisognerebbe aprire un altro immenso capitolo – e dei testi illuminati da un’ispirazione reale sono i suoi strumenti. Il futuro riserberà sorprese, nel frattempo, balliamo – per quanto possibile – con lui sotto la pioggia.

Vintage home: consigli e suggerimenti per dare un tocco retrò alla propria casa

Ho sempre pensato che indipendentemente dallo stile di arredamento predominante in una casa, uno o più pezzi vintage diano un tocco di personalità che fa sempre risaltare l’insieme. C’è chi ama circondarsi di oggetti e mobili con una storia alle spalle, c’è chi invece preferisce il nuovo ma non rinuncia a qualche pezzo di famiglia con un posto speciale nel cuore.



Adesso, i pezzi vintage, sono di gran moda e troverete copie anche nel nuovo, ma trovo che uno specchio che appartiene al passato abbia spesso quel dettaglio in più che nella copia non troverete, fosse anche solo per la soddisfazione di averlo scovato voi in quel giorno e in quel posto.

Dove acquistare?

Negozi d’antiquariato, mercatini, ma non solo. Vintage fa rima con recupero, allora perché non riscoprire i vecchi mobili della nonna dimenticati in soffitta? Credenze anni ’50, madie, tavoli in formica del ’70, basta una spennellata di colore e un pizzico di fantasia per dare nuova vita a questi oggetti.



Non dimenticate che inoltre oggi molti brand d’arredamento, come Maison du Monde o Westwing, hanno creato delle linee vintage, con mobili e complementi che seguono il design d’un tempo.

Attenzione a dove e cosa compri. La prima regola è non lasciarsi trasportare troppo dall’entusiasmo. Rifletti bene sullo stato di conservazione dell’oggetto che ti piace, pensa anche bene allo spazio a disposizione e a dove posizionarlo, il rischio è di ritrovarti con un oggetto in più che non saprai dove mettere.




Attenzione all’effetto patchwork. Uno dei rischi più comuni quando si gioca con il vintage è quello di mischiare troppi stili diversi, gli abbinamenti fantasiosi possono creare piacevoli effetti, ma mischiare oggetti appartenenti a epoche e stili troppo diversi rischia di creare solo confusione e un effetto tutt’altro che piacevole. Meglio avere le idee chiare su quale stile e linea si intende seguire.




Dettagli d’arredo. Attenzione a non trascurare la questione dei dettagli, un mobile o un tavolino in stile retrò abbinati a delle tende o a un tappeto sbagliato possono compromettere l’intero effetto dell’arredo. Da non sottovalutare anche la tinteggiatura delle pareti, per lo stile anni ’50 meglio adottare tinte pastello, mentre se gli arredi hanno i toni fluo degli anni ’70 meglio smorzare l’effetto con delle pareti bianche.




Spazio dunque al fascino del design vintage, tu quale epoca scegli?

In conclusione, prima di pensare di arredare la propria casa in stile vintage, conviene però sapere che non basta lasciarsi andare alle proprie passioni.

Infatti, il gusto va guidato, per evitare di ritrovarsi la casa piena di oggetti acchiappapolvere e di nessun valore e per scongiurare accostamenti sbagliati.


Perché lo stile vintage ha senso se si ha la consapevolezza di vivere nel proprio tempo e non in una favola. Infatti, il passato deve essere un valore e un’opportunità, non una gabbia.

A Emilia il memorandum d’amore di Federico Cina

Special content direction and interview Alessia Caliendo

Photographer Matteo Galvanone

MFW goes on digital ma la mancanza dell’emozionalità è l’ultimo dei problemi. Ce lo spiega Federico Cina che con il suo fashion movie, lanciato per presentare la Fall Winter 21-22, racconta una vita di provincia intrisa di fluide emozioni, tra pranzi domenicali e passeggiate in bicicletta.

Federico Cina è il brand omonimo fondato nel 2019 con l’ambizione di raccontare al mondo l’essenza più autentica della Romagna. Tra paesaggi ghirriani e tecniche di stampa del passato si fonda sulla cultura sartoriale con un tocco di romanticismo rurale.



Melanconia e verismo, Federico Cina ci proietta nel cuore della Romagna, tra campi e balere, e nel cuore di Sarsina, il paesino che ti ha dato i natali in provincia di Forlì-Cesena. Un approccio che mira alla sostenibilità valorizzando la terra d’origine e creando opportunità a livello local.

Raccontaci della tua ambiziosa scelta e di come sei supportato da chi ti circonda.

Ho all’attivo molte esperienze lavorative all’estero ma ad un certo punto ho sentito la necessità di riavvicinarmi alla terra e ai valori romagnoli, mosso soprattutto dalla nostalgia. Ho deciso di iniziare a parlarne per dar voce all’artigianalità locale. Tutta la campionatura, infatti, è prodotta tra Cesena e Rimini, praticamente a km zero.

Romagna, terra e primo amore di fotografi che hanno condiviso i suoi landscape in giro per il mondo, Luigi Ghirri, Claude Nori e non ultimo Guido Guidi, da cui prende il nome il protagonista del corto di presentazione della tua ultima collezione. Quanto è importante la tua terra a livello visivo e quanto ha influito la figura di quest’ultimo nella fase di ideazione. 

Guido è stata la mia principale ispirazione. Tutto è partito grazie ad un attento approfondimento della sua fotografia per poi approdare tra le sue mura domestiche. First reaction: shock. Vale a dire la copertina di Per strada di cui abbiamo chiesto i diritti per la stampa sui tessuti della collezione. Tramite un gallerista siamo arrivati alla sua assistente ed il resto è un racconto emozionante: condividere la sua quotidianità e i suoi spazi analizzandone ogni angolo e scansionando la cover per la nostra collezione.

La divisa quotidiana e il suo studio. Chiamiamola con il suo nome e illustraci il memorandum di come la fludità e il normcore si sposano con le forme e la palette cromatica della collezione.

Nella collezione si racconta la vita reale esulandosi da strutture irreali e poco fruibili. La normalità e il gender fluid fanno percepire il prodotto moda come un oggetto mirato al comfort e al benessere. Il nostro e-commerce offre una totale apertura sulle taglie che vanno dalla 36 alla 54, approccio quasi inedito al giorno d’oggi.

Umanità, artigianalità e sostenibilità. Federico Cina si può definire un collettivo aperto alle collaborazioni con altri designer ai quali trasmettere il DNA romagnolo. Parlaci delle sinergie individuate per fondere insieme gli elementi di “A Emilia”.

Vantiamo una collaborazione con la designer Camilla Marchi che, grazie alla sua manualità, è riuscita a ricreare una borsa in pelle con la shape del grappolo d’uva, icona ciniana Al team si è aggiunto Alex Anderson, shoes designer, che ha fornito il suo know-how per la realizzazione della nostra prima scarpa.

Romagnola print. Una stampa che originariamente veniva utilizzata per le tovaglie ad uso esclusivo dei pranzi domenicali. Una tradizione ripresa da Federico Cina che, grazie alla collaborazione con lo storico stampificio Marchi, la rende fruibile anche per la creazione di capi d’abbigliamento.  Se dovessi proiettarla in un futuro prossimo dove vorresti collocarla?

Il mio sogno è vederla sui red carpet e indossata dalle celeb internazionali per renderla mainstream raccontandone la storia e laversatilità.

Tra tema Natale e antica arte dei Tarocchi: il mistero dell’Astrologia

Quando si parla di interpretazione delle Carte Natale, segni zodiacali, previsioni astrologiche e Tarocchi, spesso e volentieri molte persone alludono a concetti legati al mondo della magia o del paranormale. Altri sono totalmente scettici e decidono di non riporre alcuna fiducia in questo settore. Tuttavia, c’è anche chi con lo studio dell’astrologia ha creato una vera e propria professione. Abbiamo incontrato Gabi Lussi, esperta in materia, per conoscere meglio le dinamiche di questo mondo.  


Cosa significa essere un Astro Coach? 

Partiamo dalla definizione di astrologia, che è la materia che studia i movimenti planetari all’interno di uno schema chiamato zodiaco, nel quale si suddividono 12 segni, 12 case, che determinano effetti sulla vita degli esseri viventi. Ci sono modi diversi per interpretare la materia. Il mio approccio nei confronti dell’astrologia è di tipo umanistico, ovvero indago nelle pieghe della psiche mettendo in luce punti di forza e zone d’ombra. Ai miei clienti offro degli spunti su cui lavorare, essenziali per aiutarli a sbloccare energie che possono essere utilizzate per migliorare il percorso personale o professionale; questo significa seguire una persona in un percorso di evoluzione/crescita, partendo proprio dal suo Tema Natale.      



Ci sono dei requisiti per svolgere questa professione? Tutti possono farlo? Tu hai avuto una vocazione?

La mia passione per l’astrologia non nasce a caso, ma da un insieme di eventi e soprattuto destino.

Sono nata in una famiglia dove si respirava “aria esoterica”: mio padre era un sensitivo. Benché di professione fosse un commerciante,  molti conoscevano questo talento, e lui era ben felice di poter condividere con qualcuno quella parte di sé, anche se che per molti era tabù.

Ho cominciato a studiare l’astrologia a 17 anni da autodidatta. Mi esercitavo con amici e parenti: era come un gioco segreto, dato che al tempo era visto come un argomento quasi paranormale, sia per l’attitudine di mio padre, che per la mia “stranezza”.

Con il passare del tempo, mi sono avvicinata allo studio dei Tarocchi, mi sentivo fortemente attratta dalle immagini, e già li leggevo ma senza nessun altro strumento di conoscenza, per cui ho iniziato il mio percorso formativo frequentando vari corsi e leggendo molti libri.

Per lavoro e passione ho viaggiato molto e, tramite una serie di circostanze fortunate, ho potuto approfondire il mio interesse per l’evoluzione della consapevolezza umana (psicologia umanistica) attraverso esperienze di vita e lo studio di testi di autori e maestri che hanno cambiato il corso della mia vita; essi hanno potenziato i miei strumenti di indagine, che ora utilizzo durante le mie sessioni.

Ed è così che una passione è diventata attualmente la mia professione. Ho conosciuto molte persone che si sono affidate a me, e via via sono diventate innumerevoli.

Non tutti possono fare questo lavoro, chiunque può studiare astrologia, ma servono diversi ingredienti: intuito, sensibilità e coscienza profonda dell’animo umano, nonché esperienza di vita.                                   

Ci sono domande alle quali è vietato rispondere? È possibile stabilire anche un sorta di codice etico nel tuo lavoro?  

È un ampio settore che si presta a diverse interpretazioni, e dove molte persone abusano delle debolezze altrui per trarne profitto. Io lavoro con una mia etica, non rispondo a domande rivolte alla salute o a consigli legati al gioco d’azzardo.



Come si fa a trovare clienti in questo settore?  

Per quel che mi riguarda, cominciando per gioco e per pratica, le persone che ho avuto modo di incontrare sono diventate moltissime negli anni, anche perché ho viaggiato molto e vissuto all’estero, non avevo tempo di seguirle, e non era ancora la mia professione, diciamo che non pensavo sarebbe mai diventato un lavoro, (anche se mi è sempre stato predetto). È stato invece un passaggio automatico, mi hanno offerto delle collaborazioni nel settore moda con “The Attico”, dove scrivo una rubrica mensile dedicata all’oroscopo, con il gruppo “Condè Nast”, e diverse agenzie di comunicazione.                                                                                       

Ci sono dei segni privilegiati per questo 2021?

I segni favoriti di quest’anno sono quelli d’aria. Non mi piace fare le classifiche, ma al primo posto metterei la bilancia, insieme ad acquario e gemelli. Con l’ingresso di Giove è entrato nel segno dell’Aquario a dicembre, ricevono dei benefici per tutto il 2021.                                               

Cosa pensi della pandemia in corso? L’avevi prevista?

In realtà sapevo di questa pandemia, mio padre mi raccontò quello che sarebbe successo e cosa avremmo dovuto fare, questo oltre 40 anni fa. L’anno scorso a febbraio sapevo che questa esperienza avrebbe cambiato le sorti dell’intero pianeta. La mia opinione attuale è che il Covid-19 sia lo strumento che ci spinge in una nuova era: dal 21 dicembre siamo entrati ufficialmente nell’era dell’acquario, un periodo fortemente segnato dal digitale, ne abbiamo avuto i primi sentori negli ultimi 30 anni, quando ci siamo avvicinati per la prima volta ad un pc e ad internet. La tecnologia e il digitale saranno i protagonisti assoluti di questa nuova era, avremo la possibilità esplorare e conoscere altri pianeti e nuove forme di vita. Tante persone non vedono speranze, in realtà ci stiamo aprendo a qualcosa di nuovo che ancora non conosciamo, stiamo cavalcando un’onda pre-rivoluzionaria che rimarrà nella storia, e noi ne siamo testimoni. È vero, è un momento difficile, ma è anche il momento delle grandi opportunità.

Sneakers vintage: 3 brand da seguire

Nel vasto oceano di sneakers che popolano lo scenario moda attuale ci sono scarpe da ginnastica retrò perfette per ogni stile e da tenere assolutamente nel proprio guardaroba. L’ispirazione sono gli anni’70- ‘80, ma anche la moda anni ‘90. Ma lo sai perché le sneakers si chiamano così? Nella lingua inglese il verbo “to sneak” significa muoversi in silenzio, senza far rumore. Le prime scarpe da ginnastica furono inventate negli Stati Uniti nel 1800 e si chiamavano “plimsolls” ma gli fu dato il soprannome di sneakers poiché non facevano alcun rumore.

3 Brand di sneakers vintage

Adidas Stan Smith e Adidas Superstar

In pelle bianca immacolata, con la loro punta tonda e il peso leggero, le Adidas Stan Smith sono le scarpe da ginnastica bianche vintage a metà strada tra la divisa da club di tennis e il college inglese. Ma perché si chiamano così? In onore di Mr. Stan Smith, una star del tennis americano degli anni ‘60 che scelse di indossare per la prima volta scarpe in pelle e non in tessuto per giocare a tennis. Per chi ama le scarpe bianche sporty chic sono perfette le Adidas originals Superstar, nate sui campi di basket nel 1969 ai piedi dei migliori giocatori del mondo. Dopo quasi mezzo secolo, non hanno perso un pizzico del loro fascino e continuano ad essere super amate.

Converse All-Stars

Nel 1917 nascono le Converse All-Stars come scarpe da ginnastica per giocare a basket. Nel 1923 nascono le mitiche Chuck Taylor All-Stars che tutti noi amiamo, dal nome del giocatore dell’Indiana Chuck Taylor. Il modello perfetto però è quello del 1970 che presentano la suola in gomma vulcanizzata e la patch con la stella sulla caviglia.

Vans Old Skool

Le Vans compaiono nel 1977 con il nome di Style 36 e decorate con un semplice disegno ideato dal suo fondatore Paul Van Doren e subito spopolano fuori dal mondo skate dove sono nate. Le Vans Old Skool riportano una banda laterale in pelle ed è il loro segno distintivo un simbolo iconico per un modello di sneakers che sono state definite in tutto il mondo “jazz stripe” (banda jazz). La linea di queste scarpe è bianca ed è rimasta inalterata nel corso di questi lunghi quarant’anni, insieme al collo rinforzato, la suola in gomma e il tessuto scamosciato.

“Dancer in the dark” di Lars von Trier fa luce sul materno

Sacrificio. E’ una parola che collego al materno, a quella forma immensa di amore, di totale dedizione, di oblatività. Come spiega egregiamente Massimo Recalcati in “Le mani della madre”, noi tutti siamo figli di donne che si sono distinte in “madri sacrificali” e “madri egoiche”, quelle che hanno annullato la propria parte femminile per godere dell’onnipotenza materna, e le seconde che invece hanno vissuto il figlio come un ostacolo alla propria libertà personale. Lar von Trier ha messo in scena la categoria del primo tipo, l’esempio del sacrificio per antonomasia; con “Dancer in the dark”, pellicola del 2000 con protagonista la cantante Björk, il regista vince la Palma d’Oro al 53mo Festival di Cannes

Selma è emigrata dalla Cecoslovacchia in America perchè in questa terra ha trovato un ottimo medico che curerà la malattia del figlio, la stessa che l’affligge e che poco per volta la sta portando alla cecità. Per pagare la parcella del medico Selma arrotonda il suo stipendio da operaia in fabbrica con un lavoretto part-time, che consiste nell’inserire delle forcine per capelli su un pezzo di cartoncino. Lo fa la sera, dopo i turni estenuanti alla fabbrica, ma con la gioia di una madre che non sente la fatica perchè vede un futuro luminoso per il proprio figlio. Il suo non lo è, luminoso; il titolo del film ce lo ricorda, “Dancer in the dark” ci porta mano nella mano, con l’angosciante disillusione della vita tipica di von Trier, nel mondo crudele dell’essere umano. La vita di Selma è un ponte tra un’ingiustizia e l’altra, l’ingiustizia della malattia, l’ingiustizia di essere derubata dei risparmi di una vita, l’ingiustizia del tradimento di un amico.
Bill (interpretato da David Morse), suo locatore, vicino di casa, amico, nonché poliziotto in bancarotta a causa dei capricci della moglie, approfittando della cecità di Selma, scopre dove nasconde i soldi e la deruba. Selma disperata chiede indietro il denaro ma accidentalmente nello scontro parte un colpo di pistola e Bill, nella scena più terribile del film, dove le vittime per cui proviamo compassione vengono colpite e pugnalate, bastonate senza pietà come afroamericani emarginati senza colpa alcuna, prega Selma di finirlo, di ucciderlo, unico modo per riavere indietro i suoi soldi e di nascondere il terribile segreto alla moglie. 

Tra le riprese traballanti della camera a mano e la fotografia desaturata di Robby Muller, von Trier si differenzia ancora una volta per coraggio e farcisce il melodramma con il musical, grande passione di Selma che l’aiuta a sognare ad occhi aperti, a viaggiare e ballare, è il mezzo più semplice per allontanarsi dai dolori della vita, esattamente come lo legge lo spettatore, come per Elisa, la protagonista de “La forma dell’acqua”, il canto improvviso su passi di danza che inneggia alle cose belle della vita. Che qui non ci sono. E qui von Trier ci tira un altro sonoro schiaffone. Ci riporta alla realtà, alla crudeltà dell’esistenza. 

Se il critico le chiama “trappole melodrammatiche”, significa che non sa ascoltare con il cuore, che legge solo la teoria, si fossilizza sui tecnicismi; vero che Von Trier è l’eccesso per eccellenza, altrettanto vero è che si mette sullo schermo ciò che si sa, e io non posso fare a meno di pensare che le lacrime a me strappate, sono le sue realmente sentite. 


Esule, diversa, dissonante, Björk calza a pennello i panni della protagonista, con quel suo volto angelico e fanciullesco di chi vede solo bontà, di chi vive i rapporti con la genuinità dell’ingenuita’, come un Cristo che accetta di essere messo in croce ma prega per l’umanità intera, chiede al Padre di salvarci tutti, così Selma ascolta il suo cuore e mantiene la promessa di quell’uomo crudele che l’ha tradita e derubata della sua unica ragione di vita, la salvezza del figlio da una vita cieca. Finisce in prigione mentre l’amica (Catherine Deneuve) tenta a tutti i costi di salvarla, usando i soldi che erano destinati all’operazione del il figlio per pagare l’avvocato. Non contento di averci torturato, qui von Trier rincara la dose e ci pugnala a ferita aperta; il dolore dell’ingiustizia si addiziona allo strazio della madre che vede il figlio senza un futuro felice; accettera’ alla fine di essere giustiziata per impiccagione, a patto che i soldi da lei risparmiati vengano impiegati per salvare la vista del figlio allo scoccare dei suoi tredici anni, prima che sia troppo tardi. 

141 minuti di sacrifici umani, il regista non ci risparmia niente, riprende un’operazione a cuore aperto, e quando giriamo il volto per non guardare, ci prende di forza e ci butta la faccia nel sangue, perchè è solo sporcandosi che si arriva alla comprensione. 
Ma il genio di Lar von Trier non finisce qui, e fa un giochetto ancora più cattivo verso il finale quando l’amico di Selma, di lei innamorato, le chiede “Perchè lo hai voluto questo bambino, se eri a conoscenza del fatto che sarebbe nato con la tua stessa tara?” “Perchè volevo un figlio mio, volevo tenerlo in braccio”. E qui ci ribalta la visione della madre sacrificale in madre egoica, torna la donna che sceglie di mettere al mondo un malato per soddisfare il suo desiderio, nonostante tutto. Torna la donna egotica di “Antichrist” che vede il figlio cadere dal balcone ma non lo ferma perchè presa dal godimento sessuale, torna il von Trier misogino, torna il von Trier che rimescola tra le mani il giudizio finale. 

Prevenire i brufoli: 5 trucchi per limitare i danni

A chi non è capitato di svegliarsi una bella mattina e di scoprire un brutto brufolo sulla fronte o sul mento? I brufoli sono un problema dermatologico molto comune e rappresentano un fastidio più dal punto di vista estetico e psicologico che per la salute.

Inutile dire che non bisogna spremerli, anche se la tentazione è forte, perché si peggiora solo la situazione e restano segni sul viso.

Tutti sappiamo che prevenire è meglio che curare. Ma come fare per prevenire i brufoli? Scopriamolo insieme.

Come prevenire i brufoli?

I brufoli (o foruncoli) sono nient’altro che un’infiammazione cutanea provocata dall’ostruzione dei pori a causa dell’eccesso di sebo e cellule morte. Questa situazione causa il proliferare dei batteri che sono i diretti responsabili dei brufoli che tanto odiamo.

5 trucchi per prevenire i brufoli

Il primo trucco per prevenire i brufoli è l’igiene. Lavare il viso quotidianamente mattina e sera contribuisce a eliminare cellule morte e batteri. È importante però usare un detergente adatto naturale e delicato che rispetti il ph della pelle. A tal proposito consigliamo di controllare sempre la formulazione ossia la lista ingredienti o INCI.

Il secondo trucco riguarda l’idratazione della pelle del viso per la quale bisogna usare prodotti idratanti e nutritivi ma a base acquosa non oleosa. Il secondo trucco è evitare di toccarsi continuamente il viso perché le mani sono fonte di batteri e sporcizia.

Il terzo segreto per evitare la comparsa di brufoli è struccarsi sempre la sera e non dormire con il viso trucco. A tal proposito è bene ricordare che usando sempre il fondotinta non è consigliabile, bisogna lasciare la pelle libera di respirare.

Il quarto consiglio è controllare l’alimentazione. Bisogna bere tanta acqua ed avere un’alimentazione sana che migliora anche il benessere della pelle del viso. Sconsigliamo di mangiare spesso latticini e carne rossa e di preferire verdure e frutta rossa ricca di antiossidanti.

Il quinto segreto è tenere a bada lo stress. Difficile, ma non impossibile. Meglio incanalare lo stress non nel cibo e nella negatività, ma nello sport come yoga e pilates.

Infine ricordiamo che ad ogni zona del viso dove compare un brufolo corrisponderebbe un organo specifico coinvolto. I brufoli della zona del mento sono connessi agli ormoni e agli organi genitali, quelli sulla fronte all’intestino e così via. Interessante vero?

Rocky Balboa: 5 luoghi da visitare a Philadelphia

Rocky Balboa è stato molto amato dalle diverse generazioni e forse ancora oggi i giovani lo vedono volentieri.

Sicuramente chi ha amato i film di Rocky, desidera vedere i luoghi famosi dove Sylvester Stallone ha emozionato milioni di persone con la sua storia di amore e tenacia. Siete pronti per un tour di Philadelphia?

5 luoghi di Philadelphia da visitare in memoria di Rocky Balboa

La scalinata di Rocky

La celebre scalinata di Rocky ogni anno è meta di milioni di turisti da tutto il mondo. Chi non desidera correre sulla famosa scalinata che porta al Philadelphia Museum of Art dove Rocky si allenava?

La statua di Rocky

Ai piedi della scalinata del Museum of Art o meglio ai piedi della famosa scalinata di Rocky c’è una statua di Rocky che alza i pugni al cielo in segno di vittima. In passato la statua era in cima alle scale dove oggi ci sono le impronte dei piedi di Rocky.

La casa di Rocky

Un altro luogo super amato dai fan, dopo la scalinata, è senza dubbio la casa del noto pugile che si trova al 1818 Tusculum Street di Philadelphia. Nello specifico è la casa del pugile nei film Rocky I, Rocky II e Rocky III. Appare così come era all’epoca del film del 1976 con i mattoncini rossi dei muri, le scalette e il numero 1818 sbiadito all’entrata. La casa si trova a 15 minuti dal centro città.

La palestra di Rocky

Un luogo cult, la palestra dove si allenava il campione dista solo pochi minuti dalla sua abitazione. La Mighty Mick’s Gym è la palestra più famosa della storia del cinema. In verità non è mai stata una palestra e oggi è un locale abbandonato. C’è solo un disegno di guantoni all’esterno. Nei pressi spesso c’è un sosia di Rocky per intrattenere i turisti.

Il pet shop di Adriana

Il negozio di animali di Adriana si trova sulla stessa strada dove c’è la palestra. Anche in questo caso è un locale in disuso oggi e non un negozio attivo.

Il nostro consiglio è di visitare questi luoghi in autonomia. Gli ultimi tre citati si trovano a North Philly, un sobborgo popolare che dista 20 minuti dal centro e si raggiunge in metropolitana.

MFW – Re-tailoring e new comfortism segnano i nuovi codici del guardaroba maschile #chapter2

Artwork in copertina a cura di Maria Angela Lombardi @_mariaalombardi_

Gli architetti del guardaroba maschile, definiscono uno stile flessibile e libero dagli archetipi tradizionali. Un’eleganza spalmata in un tempo trasversale, che annulla i confini tra tempo libero e lavoro, formale e informale. Capi predisposti a mettere in evidenza identità, età e stili di vita, evoluti verso una nuova e più fluida visione estetica.

Suggestioni neofuturistiche, dominate da un’impennata di ottimismo, prendono vita sulla passerella di Silvia Venturini Fendi. All’interno di un tunnel fatto di specchi, i modelli si moltiplicano, in una continuità di neon colorati e porte sospese, quasi a delineare infinite possibilità ancora aprire, infinite esperienze da vivere.
Una sequenza cinematografica, diretta dall’artista italiano Nico Vascellari, mette in scena “What Is Normal Today?”, un esclusivo brano pop dance composto da Not Waving, con la partecipazione di Silvia Venturini Fendi, che mettono in evidenza l’essenza stessa della luce e del colore che non potrebbero esistere senza il loro perfetto contrario “darkness”, nel loro insieme si rivela l’esistenza umana.Una celebrazione del colore nelle sue versioni più accese, smeraldo, il vermiglio, lo zafferano, l’arancio, il fucsia, il cobalto e il pervinca al nero, al cammello e al carbone, creando abili contrasti in fodere, intarsi e cuciture squarciate.
Silvia Venturini Fendi, da sempre molto attenta al panorama artistico contemporaneo, sensibile al talento underground londinese, ha collaborato con Noel Fielding per questa collezione. Noel, noto per le sue stravaganti visioni, si spinge, all’utilizzo energico della vernice, con le dita e con i pennelli, per raggiungere la forza e il movimento nella sua massima espressione, in un pieno trionfo del colore.
Così su maglie e giacche emergono volti e creature psichedeliche, astraendo il logo FENDI e sottolineando lo spirito cosmico della stagione, attraverso la sua policromia e la sua eccentrica libertà.

L’athleisure di Iceberg è un richiamo a gran voce a comfort e praticità. Felpe e tute dall’aspetto più elegante nella versione matelassé, s’indossano con pellicce e anfibi. O in versione più elegante nella proposta maschile con completi in lana check, rubati al guardaroba formale, ma completati con sneakers e scarponcini.
La risposta ironica a un periodo non facile, coinvolge i personaggi dei fumetti Peanuts Snoopy e Woodstock su maglie e felpe.
Una fusione tra luxury sportswear, club culture e innovative tecniche di maglieria italiane su cui si fonda la storia del brand.

La montagna più alta è quella dentro di noi”, diceva Walter Bonatti.
La montagna è uno spazio indecifrabile, non addomesticato, luogo d’imprevisti, ma anche di bellezza e grandi conquiste, esattamente come la vita. In un momento storico in cui l’incertezza ha ha soffocato progetti e desideri, MSGM ci porta in alta quota, per descrivere quanto la vita a volte sappia essere spiazzante, estrema, adrenalinica, ma anche pacifica e accogliente, come i paesaggi di quella natura selvaggia. La montagna è allegoria, ma anche punto di fuga e rifugio personale, la cui bellezza può arrivare a farci perdere i sensi e raggiungere quel tanto agognato senso di “vertigine” che ci fa sentire “vivi”.
Sulle note della colonna sonora di Nico Vascellari e Ninos Du Brasil, i capi iconici del mondo dell’outdoor, vengono tradotti in chiave streetwear, animate da un mix di stampe colorate, tanto care agli amanti della tavola, e ampie giacche imbottite ad alto profilo performante.  
Il blazer si spoglia dalla sua rigida essenza, per fondersi col fascino degli elementi tipici dei capi più cool sulle piste da neve degli anni 90, come le larghe bande sulle maniche, ma anche le ampie maglie a coste dall’aspetto vintage e le stampe norvegesi un po’ sbiadite sui pile.

 Il nuovo Basicvillage di Milano, è la cornice di 4000 mq in cui prende vita lo show di K-Way, tra colonne illuminate da lampadine a intermittenza che evocano i suoi colori iconici. Mentre i nuovi style K-Way® delle collezioni Le Vrai 3.0, Klassic, Première e R&D per l’autunno 2021 fanno il loro esordio in passerella, in questa nuova versione contemporanea, con tessuti ad alta tecnologia, su capispalla, tute e maglie intrecciate, mixati con pantaloni e bermuda in pelle. L’effetto vinile è ad alto impatto su overcoat, minigonne e piumini reversibili che dividono la scena con un grande classico come il tartan. Il tape tricolore giallo-arancio-blu sulle zip, fa da trait d’union tra i capi che hanno fatto la storia e i nuovi capi funzionali, come tute da urban soldier ultra-contemporaneo con tanto di basco di pelle.

Un viaggio immersivo nella versatilità dei capi di Woolrich, ci trascina negli svariati paesaggi della nuova dimensione contemporanea, a cui il suo uomo non arriva impreparato. Da un ambiente urbano, veloce e digitalizzato, con le sue architetture nude, in cui il cemento si espande in altezza come le montagne, maestose protagoniste di territori inesplorati.
Cambi d’immagine in sequenze rapidissime, riflettono il dna di un brand che va veloce e che ha fatto dell’evoluzione e dell’attenzione alle nuove generazioni, un punto di forza.
Un’attitudine vincente, come quella dei protagonisti dello show che attraversano intemperie e luoghi lontani dalla comfort zone, proprio come i sentieri della vita, in totale sicurezza dentro i loro capi Woolrich.

Alessandro Enriquez ci invita ad una grande festa, per celebrare l’ottimismo e la moda italiana che non molla, in una chiave tutta pop, raccontata attraverso le illustrazioni di @fashiontomanga.
La sua creatività, che affonda le sue radici nel cuore pulsante della Conca d’Oro siciliana, s’ispira ai modelli cinematografici che raccontano la nostra Bell’Italia nella sua gestualità più spontanea, tra baci e abbracci, vero desiderio proibito in questa lunga fase pandemica.
Dall’opera di Giuseppe Tomasi di Lampedusa “Il Gattopardo”, all’omonima pellicoladiretta da Luchino Visconti, testimonianza dell’antico splendore siciliano da Cannes a Hollywood. Nella famosa scena del ballo con Claudia Cardinale, il designer trasforma Alain Delon in cartoon giapponese, tra ironiche stampe e colori ipervitaminici.
Feste religiose, luminarie e tavole imbandite sono le realtà tanto amate dal designer, che mette sempre sotto i riflettori la vita autentica delle persone e i valori di un’Italia troppo bella per perdere il sorriso.

È di Serdar la dinamica collezione che risponde all’idea di “comfortism”, interpretato dal libero movimento della danza contemporanea dai ballerini professionisti appartenenti al corpo di ballo di uno tra i più prestigiosi teatri d’opera del nostro Paese: Massimo Garon, Mattia Semperboni, Christian Fagetti e Nicola Del Freo.
“In risposta all’anno così difficile che abbiamo vissuto, ho scelto di presentare per la fall-winter 2021, una collezione che riesca ad esprimere quanto anche la moda possa rispondere alle difficoltà dell’ambiente che ci circonda così come anche alle rinnovate esigenze dei clienti, senza rinunciare a uno stile del tutto unico», spiega Serdar Uzuntas”
Pellami totalmente rigenerati, zip e bottini riciclati, vengono utilizzati per creare capi altamente performanti, traspiranti e water resistant.

Barbera Sandro & Figli: calzature d’eccellenza da oltre 50 anni

Il laboratorio Barbera Sandro & Figli nasce 53 anni fa a Biella, comune dalla lunga e gloriosa tradizione nel settore tessile, dove Sandro Barbera, con il supporto cruciale della moglie Luciana, apre un’omonima “bottega”, passando ben presto dalla riparazione alla produzione in proprio di scarpe.
L’obiettivo è chiaro e ambizioso: proporre a una platea di intenditori calzature in pelle della miglior qualità possibile, realizzate rigorosamente a mano, impiegando pellami di pregio e seguendo alla lettera i dettami della tradizione artigianale locale.

Queste peculiarità sono state mantenute dai figli del fondatore Stefano e Andrea, subentrati al padre e decisi a perpetuarne il lavoro, scrivendo nuovi capitoli di una storia pluridecennale che, proprio in occasione del 50esimo anniversario, si è arricchita del riconoscimento di Eccellenza Artigiana, conferito dalla regione Piemonte, al quale sono seguiti il premio Eccellenze Italiane e quello di Artigiano del Cuore.



Ogni modello dell’azienda è totalmente – e orgogliosamente – made in Italy, unico e personalizzabile su richiesta del cliente, al quale Barbera si impegna a consegnare una scarpa pensata per durare, in equilibrio tra raffinatezza timeless e stile contemporaneo, dai materiali preziosi (anch’essi di provenienza 100% italiana), nobilitata da colorazioni e procedimenti ad hoc come la tintura a mano o la lavorazione stone wax.
L’offerta è ampia sia per l’uomo che per la donna, e comprende i classici intramontabili (derby, francesine, mocassini, ecc.) affiancati da modelli più moderni e attenti al gusto odierno.

Abbiamo parlato di tutto ciò, ripercorrendo il percorso del laboratorio di famiglia, con Andrea Barbera.

Può raccontarci com’è nata l’azienda Barbera Sandro & Figli e il suo percorso fino ad oggi?

«Barbera Sandro & Figli è una bottega artigianale che, da oltre mezzo secolo, realizza calzature di qualità, lavorandole rigorosamente a mano e utilizzando solo i migliori materiali italiani.
Il laboratorio è stato avviato nel 1968 dai nostri genitori Sandro e Luciana, cui nel tempo siamo subentrati io e mio fratello Stefano. Proseguire l’attività di famiglia è stato per entrambi un percorso spontaneo, che ha iniziato a delinearsi apprendendo i segreti del mestiere da nostro padre e, più di tutto, lasciandoci contagiare dalla sua passione nel creare con le proprie mani accessori unici, in grado di esprimere tutta la qualità e bellezza del fatto a mano italiano».



Com’è possibile proseguire una tradizione pur restando al passo con i tempi?

«Per quanto ci riguarda, fare scarpe a mano va oltre la “semplice” creazione di calzature eleganti, significa infatti anche ricercare di continuo lavorazioni e materiali innovativi, che garantiscano sempre il massimo comfort. Per raggiungere questo traguardo sono stati necessari anni di studio, esperienza sul campo e un costante aggiornamento a livello di ultime novità del mercato.
Non abbiamo trascurato neppure l’aspetto green, ad esempio ricorrendo per le nostre iconiche Wooly alla lana Merino, sostenibile per definizione, oppure alla gomma eco-friendly per le suole.



È stato poi fondamentale il settore digitale, su cui abbiamo puntato molto, per farci conoscere di più e mantenere un canale diretto con i clienti, vicini o lontani che fossero. Siamo presenti sui social con i nostri account su Facebook, YouTube e Instagram, e abbiamo naturalmente un sito web completo di e-store, così da essere sempre raggiungibili e avere l’opportunità di raccontarci a un pubblico online».


Quali sono i modelli iconici del brand?

«Uno dei modelli più apprezzati è senz’altro la sneaker unisex Wooly, sviluppata insieme al team di Reda Active: è un omaggio al nostro territorio (il biellese, ndr) celebre per i tessuti pregevoli, perciò abbiamo scelto una lana Merino neozelandese – un filato dalle eccezionali proprietà termiche, indossabile dunque in ogni stagione; è una scarpa adatta a uno stile casual come all’abbinamento con il completo spezzato.



Per celebrare il 50esimo anniversario abbiamo lanciato invece le Barberine, belgian loafers esclusive declinate in vitello, suede e altri tessuti; presentano una costruzione Flex, perciò uniscono il massimo della comodità a uno stile raffinato, di gran tendenza.

Da ultime, certamente non per importanza, le Multicolor: sono le calzature con cui ci siamo fatti conoscere ovunque, una gamma di stringate maschili interamente rifinite e tinte a mano; offrono un’ampia possibilità di personalizzazione, perché ciascun cliente può scegliere la sfumatura di ogni elemento che compone la tomaia».



Quali sono le tecniche artigianali che definiscono il vostro heritage e vengono tuttora utilizzate?

«Facciamo ampio ricorso alla tecnica Black Flex cui si accennava prima: si tratta di una lavorazione esclusiva che accentua la morbidezza della calzatura, donandole così un aspetto peculiare e, soprattutto, un’elevata flessibilità.

Un’altra tecnica che è parte integrante del nostro heritage, utilizzata tuttora in alcuni modelli, è quella della tintura a mano, capace di arricchire la scarpa con sfumature di colore irripetibili.



Va menzionata, infine, la procedura stone washed che, come suggerito dal nome, prevede il “lavaggio” con pietre delle calzature, per conferirgli una patina vintage e ammorbidirne la pelle, ottenendo così una texture unica, attuale e dagli accenti grintosi».

Quali sono i progetti per il futuro e quali, invece, le strategie che state mettendo in atto per superare questa fase di difficoltà?

«In questo periodo puntiamo molto sull’online e continuiamo a investire nella comunicazione digitale, implementando inoltre servizi innovativi per soddisfare le richieste ed esigenze della nostra clientela, ad esempio il Virtual Shop, ossia la possibilità, attraverso la prenotazione di una videochiamata su WhatsApp, di entrare virtualmente nel laboratorio ed essere consigliati riguardo numeri e stili delle calzature.



Il rapporto diretto con le persone è certamente uno degli aspetti che amiamo maggiormente del nostro lavoro, crediamo però che, anche a distanza e con tutte le difficoltà del caso, relazionarsi con gli altri sia più importante che mai, sia per noi che per i nostri clienti».

6 località sciistiche insolite e con pochi turisti

Chi ama sciare, spesso sceglie destinazioni note in montagna e super affollate di turisti. C’è però chi preferisce optare per mete insolite per sciare. Esistono luoghi non famosi per la loro cultura sciistica e che potrebbero piacevolmente sorprenderti.

Scopriamo insieme 6 destinazioni insolite dove andare a sciare. Siete curiosi?

Località sciistiche insolite dove andare a sciare

Dubai

Caldo, deserto, sole, mare. Certo quando si pensa a Dubai, non viene certo alla mente lo sci. Infatti a Dubai non ci sono famose località sciistiche naturali. C’è però un luogo dove sciare, la stazione sciistica coperta nel Mall of Emirates di Dubai di ben 22.500 metri quadrati. Ci sono anche una montagna artificiale di 60 metri e 5 pendii con diversi livelli di difficoltà, una torre di arrampicata e piste per slittini.

Australia

Anche in questo caso pensando all’Australia si pensa a un paese caldo e soleggiato tutto l’anno. In realtà ci sono bellissimi posti dove sciare, come Ben Lomond e Mount Mawson sull’isola della Tasmania o Victoria sul Monte Buller e le piste di Kiandra nel Nuovo Galles.

Corea del Sud

Yongpyong è la “Mecca asiatica per gli sport invernali”. Ci sono tantissime piste (ben 31) dove sciare e fare snowboard e 15 impianti di risalita. Negli anni passati si sono anche tenute qui gare per la Coppa del Mondo di sci alpino.

Hawaii

Non solo sole, mare e spiagge alle Hawaii, ma anche neve. Dove? Sul Monte Kea a gennaio e febbraio. Dimenticate però piste attrezzate o impianti di risalita.

Marocco

A soli 45 miglia a sud di Marrakech, ci sono le montagne dell’Atlante. Non deserti e strade polverose, ma sciate emozionanti vi aspettano. La stazione sciistica di Oukaimeden è la più alta dell’Africa intera con la sua seggiovia che sale sulla vetta di Jebel Attar fino a 3258 metri.

Repubblica Ceca

Per chi desidera sperimentare piste insolite lontane dalle mete gettonate e magari anche scegliere una destinazione più economica, la Repubblica Ceca è la meta europea perfetta con le sue favolose stazioni sciistiche come Sky Area di Mlyn, Ski Region, Jested e il Comprensorio dello Spicak e Sumava.

Il sound delle serie Netflix di successo: Manintown incontra Yakamoto Kotzuga

Manintown approda in Laguna, al confine tra Mestre e Porto Marghera, per proseguire il suo scouting alla ricerca di talent under 30 che alimentano di linfa creativa il nostro Paese, in un periodo in cui il mondo dell’intrattenimento è altamente penalizzato.

Sono le polaroid di Riccardo Ambrosio a raccontare i frame della quotidianità di Giacomo Mazzucato, in arte Yakamoto Kotzuga, classe ‘94 e una carriera da musicista, producer e sound designer in ascesa.

Giovanissimo firma un contratto editoriale con Sugarmusic, editore indipendente tra i più importanti in Europa, che gli mette a disposizione il proprio network italiano ed internazionale. 

Appassionati di musica elettronica, il Sonar vi ricorda qualcosa? Ebbene sì, Yakamoto Kotzuga è approdato sull’ambitissimo palco barceloneta nel 2019 poco prima di iniziare l’attività di compositore per le tre stagioni di una delle serie Netflix più amate dal grande pubblico: Baby. 


Total Look Calvin Klein Jeans



Total Look Levi’s

Yakamoto Kotzuga e il mondo della moda. Gli esordi nel 2013 quando “Your Smell” viene scelta come colonna sonora per svariati reportage di Vogue fino a diventare l’ideatore dei sound per i brand del marchio Benetton. Come si differisce questa tipologia di lavoro compositivo rispetto agli altri?

A livello puramente artistico gli stimoli sono diversi in quanto spesso mi viene condivisa una reference a cui ispirarmi.Però è stata un’ottima scuola per sperimentare altri generi e stili musicali ai quali non sarei probabilmente mai approdato. 

Il tuo debut album “Usually Nowhere” La Tempesta/Sugar ti ha portato a condividere il palco con artisti come Forest Swords, Tycho, Plaid, Lone, Jhon Talabot e Legowelt. E poi i tour internazionali, con ottimi riscontri sul territorio francese, seguiti dalla conclamazione al Sonar nel 2019. Quanto ti manca il contatto con il pubblico in un momento storico che ha abolito i momenti di interazione nel segno della musica elettronica?

Non ho mai amato particolarmente la vita on tour in quanto sul palco non sono un animale da stage.Adoro esularmi e dedicarmi al lavoro in studio. Il bello dei DJ set, al di fuori dell’ansia da prestazione, è quello di sapere che sotto al palco ci sono persone che vogliono sentire la tua musica. 

Al Sonar ho realizzato un sogno, essere presente in una line up particolarmente interessante, e insieme ai miei idoli, è stato un punto d’arrivo non indifferente.


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Non mancano nel tuo curriculum progetti audiovisivi performativi come quello commissionato dalla Biennale di Venezia. Parlaci dell’album nato da questa importante conferma: “Slowly Fading” 

La Biennale mi ha richiesto un’opera interamente prodotta nell’area urbana circostante. Un’ottima occasione per vivere l’atmosfera industriale e l’estetica di un paesaggio a me nuovo. Questo ha influito particolarmente sull’album che si suddivide in due lati. Il primo è Fading e il secondo è Faded, ambedue totalmente distanti a livello sonoro. I visual sono stati curati dal mio collaboratore Furio Ganz e si sposano perfettamente con il contesto. Con la Biennale tuttora collaboro a livello formativo. Infatti, gli appassionati possono partecipare ai miei laboratori di musica elettronica dedicati ai giovani.

E poi Netflix e la curatela della soundtrack di una delle serie più discusse e amate dalla Generazione Z : Baby. Raccontaci i retroscena dell’impegno che ti ha portato ad essere presente nelle playlist di Spotify di molti adolescenti.

Agli albori del progetto la richiesta mi è giunta direttamente dalla produzione, in quanto uno degli sceneggiatori aveva organizzato un mio concerto molti anni prima. La mole di lavoro sin dall’inizio è stata notevole viste le deadline molto ravvicinate. 

Come si sviluppa lo studio della soundtrack? 

Con Baby sono totalmente libero a livello di sound.Inizio a leggere la sceneggiatura e mi confronto con la produzione. Appena i miei provini vanno bene mi vengono mandati i premontati su cui vanno perfezionate le tracce.Tali dinamiche mi hanno aiutato tantissimo ad entrare in un workflow che richiede massimo livello organizzativo.La componente psicologica nello studio dei personaggi aiuta, inoltre, a ricreare tutte le emozioni musicalmente quindi la challange risulta particolarmente interessante.

Il 2021 e il lancio di una nuova serie di cui hai curato la soundtrack è alle porte (Zero). Quali anticipazioni puoi darci in merito alle tue prossime collab?

Posso dirvi che, a parte Zero, su Netflix uscirà un altro titolo che si pone in veste di lungometraggio. Oltre a questo vorrei concentrarmi sulle produzioni personali e soprattutto lavorare ad un altro disco. 


Total Look Lacoste

Photographer Riccardo Ambrosio

Special content direction, production, styling and interview Alessia Caliendo

Alessia Caliendo’s assistant Andrea Seghesio

Special thanks to Vgo Lab 

Simone Rugiati e la sua factory: come brandizzare la cucina italiana

Cuoco, conduttore televisivo ed influencer, Simone Rugiati è riuscito a conquistarci da subito con le sue ricette. Vivace, carismatico ed intraprendente, lo chef ha dato vita ad una creativa Factory House, Food Loft Milano. Lo abbiamo incontrato per scoprire il progetto da vicino…



Come è nata la tua passione per il cibo ?

Sono sempre stato un grande fan della cucina, sin da quando ero bambino. 

I miei genitori, insegnanti di ginnastica, quando ero giovane la mattina e il pomeriggio lavoravano, con la conseguenza che non avevano il tempo di cucinare per me. La mia vicina di casa Gigliola, insieme alle mie nonne, si occupava dei pranzi, ed io ero sempre in casa con loro. Mi ricordo che cucinavamo e giocavamo, e le attività ludiche terminavano mangiando il piatto che avevamo preparato. Mi piaceva questa magia del fare, trasformare e mangiare.

Io ero molto casinista, curioso e vivace, non stavo mai fermo, assaggiavo, cucinavo, preparo e mangiavo. Ero felice nel vedere la protagonista, mia nonna, a tavola. Senza di lei la domenica non funzionava: la sua cucina teneva insieme tutta la famiglia (ancora oggi mi ricordo il suo detto “compra la roba buona, che viene buona”).

Terminate le medie, mi iscrissi alla scuola di cucina ad indirizzo alberghiero. 

Come sei riuscito a trasformare la cucina in lavoro?

Dopo la scuola ho iniziato a lavorare in giro, cercavo di stare poco in diversi posti, al fine di fare più esperienza nel minor tempo possibile. Tuttavia, mi accorsi che stare all’interno di un ristorante non mi bastava: volevo inventare, ma soprattutto mi mancava stare a contatto con la materia prima. Quando lavori in un ristorante ti devi adeguare: avevo bisogno di poter dare spazio alla mia creatività. Iniziai a leggere libri di cucina, ma anche quelli mi sembravano banali. In seguito, andai a lavorare a Parma in una casa editrice che produceva riviste culinarie. Questo gruppo editoriale mi ha permesso di pranzare in ristornati stellati e testare la cucina di grandi chef: diciamo che ho fatto una bella scuola!

Nel frattempo, iniziai a fare foto e mi abituai alle telecamere. All’inizio avevo paura di stare in televisione, pensavo di non esserne all’altezza. Capii in realtà poi quanto fosse importante il mondo della comunicazione e dei media nel mio settore.

La carriera televisiva iniziò con “Il piatto forte” su Canale 5, condotto da Iva Zanicchi. Seguì “La prova del cuoco”, con Antonella Clerici, per non dimenticare i dodici anni da “Gambero Rosso”.  Infine, mi spostai su “La 7” e su “Food Network”. 



Parlaci del tuo progetto Food Loft Milano.

Food Loft Milano (https://www.foodloft.it/foodloft-milano/) è una mia iniziativa, un laboratorio creativo d’eccellenza che realizza consulenze, catering, eventi e produzioni.

Io, non volevo aprire un classico ristorante, bensì un laboratorio. Attraverso questa attività, posso infatti fornire servizi a 360 gradi legati alla cucina, ma che vanno al di là della singola preparazione del piatto. Infatti, con lo studio siamo in grado di distribuire veri e propri contenuti, scattare foto e produrre video. Sono contento del contesto che ho creato: tramite un mio videomaker di fiducia, mi sono attrezzato di luci, obiettivi e tutto il necessario per creare format non solo per il web, ma anche per aziende e produzioni televisive. 

La nostra mission consiste nel realizzare un pacchetto audio-video, di massima qualità, su richiesta dei brand. Food loft è nato 7 anni fa quando decisi di smettere di andare costantemente in giro a creare contenuti: era arrivato il momento di avere un unico spazio tutto mio, con una sola cucina professionale, versatile ad ogni tipo di situazione. Una specie di base operativa facilmente brandizzabile, adatta a creare e il servizio di catering e tutte le varie produzioni prima menzionate.  



Progetti per il futuro?

Stiamo cercando di lavorare con aziende sempre più sostenibili, che sposano i principi della green attitude. Questi anni, più che mai, hanno dimostrato quanto, anche in cucina, sia fondamentale avere un’occhio di riguardo rispetto all’ambiente. Io continuo a specializzarmi sulla produzione di contenuti: l’obiettivo finale è quello di potermi interfacciare direttamente con i clienti, fornendogli un pacchetto completo. Infine, non posso negare che vorrei cercare di trascorrere sempre più tempo in Kenya, ormai la mia seconda casa. 

Lady Gucci: la storia di Patrizia Reggiani

Lady Gucci – La storia di Patrizia Reggiani, il docu-film disponibile ora sulla nuova piattaforma Discovery Plus, che anticipa il film sulla storia dell’omicidio di Maurizio Gucci che sarà diretto da Ridley Scott ed interpretato nientemeno che da Lady Gaga.

L’idea nasce da due intraprendenti autrici Marina Loi e Flavia Triggiani, che si mettono in testa e portano a termine in un’avventura quasi tutta al femminile una lunga intervista proprio con lei, la signora Reggiani, che tutt’ora si definisce Patrizia Gucci.

Una storia che per dettagli e glamour anche sulla carta sembrerebbe la sceneggiatura di un film.

Per capire meglio chi è Patrizia Reggiani ecco cosa mi ha raccontato Marina Loi.



È stato facile convincere la signora Reggiani nel progetto.

Nonostante come si evinca dal docu-film, Patrizia sia molto a suo agio, o come magari si possa pensare sia effettivamente una persona dalla spiccata personalità narcisistica, non è stato assolutamente facile convincerla, anzi è stato un lavoro complesso.

Devo fare un passo indietro ed ammettere che la mia amica e collega Flavia Triggiani è stata come un ariete nel perseguire questa esclusiva, in quanto aveva magari rilasciato interviste anni addietro ma mai come questa volta.



Guardando il film salta all’occhio come non provi senso di rimorso nel raccontare la storia.

Bisogna precisare per chi non conoscesse la storia che la signora Reggiani è stata la moglie del terzo discendente della storica casa di moda Gucci, per cui secondo la legge italiana è stata condannata come mandante.

Lei ha una versione differente, nel senso che è cosciente di avere scatenato i fatti che si sono succeduti di cui poi è anche stata ricattata, ma si ferma li.

Sembra quasi fanciullesca nel ripetere che l’unico uomo che ha amato è Maurizio Gucci.

Posso confermarti di avere trascorso più giorni con Patrizia per quella che è stata molto più che un’intervista, ed anche al di fuori del set lo ripete molto spesso. Credo che sia legato al fatto che lei è rimasta la bambina che sognava di sposare un principe azzurro ed è riuscita nel suo intento.



Quale legame c’era sinceramente con Pina Auriemma, due donne così differenti diventate confidenti.

Nella New York degli anni 80’ i Gucci venivano definiti la coppia più bella del mondo, frequentavano Trump e tutta l’alta società frequentava il loro Penthouse sulla Fifth Avenue, forse proprio l’essere eclettica e la voglia di normalità l’ha avvicinata a Pina.

Nel film non si parla del rapporto con le figlie che abbiamo visto essere al suo fianco al funerale.

Non ha più nessun rapporto con le figlie, dal punto di vista consanguineo, Patrizia è completamente sola, quella di non parlarne è stata più una nostra scelta in quanto vi è una causa in corso.

Ovvero Maurizio Gucci in fase di divorzio aveva concesso un vitalizio pari ad un milione di euro l’anno, vi è stata la cassazione e parrebbe che le figlie debbano riconoscerlo con tutti gli arretrati, il che è davvero una contraddizione.



È stata bravissima a ricevere regali però.

Essi, anche la penthouse glielo ha regalato il padre di Maurizio in un secondo tempo, quando lei ha conosciuto il suo futuro marito era solo un rampollo della famiglia Gucci, ma è stata lei ad accogliere lui nella casa di famiglia in quanto lei era di per sé benestante ed allo stesso tempo lungimirante nella sua voglia di crescere nella scala sociale.

Così come le era stato regalato lo yacht più bello e maledetto al mondo ovvero il Creole, però erano tutti regali senza documenti e firme e così nel divorzio lei rimase senza nulla.


Teaser del docu-film LADY GUCCI

5 cose che non sai sulle noci

Sin dall’alba dei tempi le noci hanno rivestito un ruolo importante nell’alimentazione rurale. Viste le sue proprietà nutrizionali, era un alimento prezioso soprattutto nei periodi di carestia. A seguire sono diventate ingrediente di diverse ricette culinarie e consigliate anche da moltissimi nutrizionisti per un regime alimentare sano ed equilibrato.

Oggi, però, vi sveleremo delle curiosità sulle noci che sicuramente vi stupiranno!

5 curiosità sulle noci

Le noci e la notte di San Giovanni

Secondo la tradizione, nella notte di San Giovanni devono essere raccolte le noci per realizzare il nocino, un liquore ricavato dai malli delle noci ancora acerbe. Sempre secondo la tradizione, dovevano essere raccolte dalla donna più esperta nella preparazione di questo liquore che si arrampicava sull’albero a piedi nudi. Una volta raccolte, dovevano essere esposte alla rugiada tutta la notte.

Sognare le noci

Sognare le noci è legato a notizie positive e tesori da scoprire. Nella simbologia popolare portare una noce in tasca porta successo e allontana la cattiva sorte. E così anche nei sogni.

Il noce di Benevento e le streghe

A Benevento, all’epoca dell’imperatore Domiziano, si venerava la dea egiziana Iside (legata alla luna) che veniva identificata con la dea Diana. A venerarla erano le donne esperte di medicina naturale ed erbe officinali che venivano identificate come streghe dalla comunità locale. Secondo la leggenda, per secoli si riunirono intorno a un albero di noce per praticare i loro rituali. Fu il sacerdote Barbato ad abbattere il noce maledetto, che però, sempre secondo la leggenda, ricrebbe più vigoroso di prima.

La Ghianda di Giove

Il noce fa parte della famiglia delle Junglandacee. Il termine deriva dal latino e significa “ghianda di Giove”. Non a caso questo maestoso albero che cresce in luoghi isolati, lontano dalle altre specie arboree, veniva paragonato per sacralità e forza al re degli dei.

Tintura

Il mallo delle noci contiene tannino, usato nel Medioevo come inchiostro per scrivere. In cosmetica le foglie macerate di questa pianta, mescolate ad aceto rosso, scuriscono i capelli e possono anche essere usato per i pediluvi.

Skincare: gli alleati per il freddo

La skincare non è solo un modo per prendersi cura di sé ogni giorno, ma è anche una forma di prevenzione che protegge la pelle dai segni del tempo, ma richiede costanza, soprattutto in inverno. In questo periodo infatti , dobbiamo difenderci anche dal freddo e da tutti quei fenomeni che causano screpolature e rossori. Ecco allora un mix di prodotti che risultano un scudo perfetto per il periodo.


B-beauty complex – Naturadika

B-Beauty Complex è un integratore alimentare che nutre intensamente capelli, pelle e unghie, combinando 14 ingredienti unici in una formulazione ottimale che garantisce risultati rispetto a 5 azioni fondamentali (anticaduta, rigenerante, rinvigorente, antiossidante, nutrizione).



Élixir de jeunesse – Eisenberg Paris

È un booster istantaneo anti-affaticamento, antistress e anti-jet lag con l’estratto biotecnologico di alga Dunaliella Salina per aumentare il rinnovo cellulare; alle proprietà tonificanti del Ginkgo Biloba e del Tè Verde, si aggiunge il potere idratante dell’Acido Ialuronico. L’effetto fresco è assicurato, insieme all’effetto lifting visibile grazie alla texture gel.



Lemonade smoothing scrub – Olehenriksen

Uno scrub dalla texture di una granita che rende la pelle istantaneamente glow e ristrutturata. Inoltre, combina la potenza degli acidi AHA, la scorza di limone e lo zucchero dal potere esfoliante, per una pelle fresca e levigata. Il plus: è clean, vegan, cruelty free e gluten free.



Sapone Ultra Dolce Karité e Lavanda – L’Occitane

La componente principale di questo sapone è il burro di karité, che deterge la pelle rispettando il suo delicato equilibrio e lasciando la pelle idratata e delicatamente morbida. L’aggiunta della lavanda ha un effetto rilassante e rinfrescante.


Balsamo Labbra NOAGYSkinius

Un balsamo labbra ad azione antiage, nutriente e rigenerante studiato specificamente per labbra e contorno labbra. Aiuta a ricreare un aspetto carnoso naturale, ridefinendo i contorni delle labbra ed esaltandone il colore perché migliora l’idratazione. Le cere vegetali, dall’alto potere emolliente, rendono le labbra morbide e rimpolpate a lungo, mentre il betaglucano ripara e attenua le microrughe del contorno labbra.



Midnight recovery concentrate – KIEHL’S

Un trattamento viso notturno, formulato con un potente mix di oli botanici ed essenziali. Rigenera la pelle durante la notte, assicurando un effetto radioso al risveglio. Durante il riposo, quando la pelle risulta più permeabile, il siero notte agisce riparandola e stimolando il rinnovamento cellulare.



Moda Uomo 2021: quali saranno i trend?

Le sfilate uomo ci danno spunti per le tendenze del prossimo autunno/inverno 2021-22. Presentate in format digitale a causa della pandemia in corso che ha chiuso le porte alle kermesse dal vivo, le presentazioni uomo hanno, comunque, fornito idea di come vestiranno gli uomini per la prossima stagione fredda.

Già con Pitti Uomo, Brunello Cucinelli ci ha dato alcuni spunti. Spazio per linee comode, rilassate. L’uomo veste con leggerezza i tessuti più pregiati come il cachemire nei toni naturali. Nel suo headquarter a Solomeo, dice: “Non volevo tirare fuori cose già fatte” ha spiegato “ma immaginare gli abiti che indosseremo quando l’emergenza sarà alle nostre spalle“.

Un look firmato Brunello Cucinelli

Per Fendi, la collezione fall/winter 2021-22 gioca un ruolo strategico con i colori fluo. Silvia Venturini Fendi concepisce una collezione nel nome dello streetwear senza dimenticare il tailoring classico della griffe. C’è un miscuglio intelligente di tessuti tecnici con quelli naturali; linee pure con l’uso di strutture più complesse. Il classico gioca con il moderno e il risultato è convincente.

Blu elettrico per Fendi

Il rosa, invece, è il colore che predilige Prada. Miuccia sdogana il colore che più identifica la moda femminile donando un’allure inaspettata alla moda maschile. La prossima stagione fredda, infatti, è all’insegna del romanticismo come sostenuto da co-direttore creativo Raf Simons. La collezione si presenta con una serie di capi iconici rivistati. Via libera per un abbigliamento comodo che vede protagonista le sovrapposizioni.

Il rosa di Prada

Alle case di moda storiche, infine, si affiancano le nuove realità dell’abbigliamento maschile con Sunnei al timone. La casa di moda fondata da Loris Messina e Simone Rizzo sperimentano una moda gender-fluid con una serie di capi che sembrano giocare con il futuro. Imbottiture e lunghezze over per un look che farà tendenza per il prossimo autunno/inverno 2021-22.

Sunnei autunno/inverno 2021-22

Il più eclettico tra gli eclettici: Saturnino

Saturnino Celani, è un vero artista a 360°, istrionico bassista, compositore ed anche designer della sua collezione di occhiali, trade mark che lo rende unico.

La sua amicizia nonché sodalizio artistico con Lorenzo Jovanotti proprio quest’anno compie trent’anni di musica e divertimento in giro per il mondo.



Un musicista come te ha suonato a Capodanno?

Beh, non esattamente, però ho suonato la mia chitarra classica sul divano di casa attenendomi alle regole imposte da DPCM, però devo ammettere che non è stato male perché quando non suono va benissimo così.

Non l’ho mai vista come una festa in cui bisogna divertirsi per forza, son stato bene anche con la mia Bulldoggina.



Quando è nata la tua passione per la musica?

In realtà da quando è arrivata la percezione del suono quindi credo intorno ai quattro/cinque anni, appena sentivo la musica iniziavo a ballare, ed il mio pubblico erano la mia sorella maggiore ed i miei genitori, quindi ho iniziato sin da subito.

Non hop fatto altro che perseguire quella che era la mia passione.

Parlami del tuo incontro con Lorenzo Jovanotti.

È avvenuto a Milano nel 1991, infatti proprio quest’anno festeggiamo trent’anni di amicizia, fratellanza e collaborazione.



Quanto ti manca suonare con il pubblico davanti?

Davvero indescrivibile da raccontare, mi manca come l’aria, è una sensazione di cui non ci si stanca mai, ti dirò che essendo un fruitore di musica, mi manca allo stesso modo l’andare ai concerti, quindi davvero speriamo di poter tornare il più presto possibile ad una vita normale.

Invece dimmi della tua passione per gli occhiali?

Esattamente così, nel senso che non è diventato un vero lavoro, rimane una mia grande passione, in quanto io ho iniziato ad indossarli anche quando non avevo bisogno, solo con lenti trasparenti, per darmi una di carattere in più.

Poi è successo che ne avevo rotto un paio a cui tenevo moltissimo, e l’ottico che mi seguiva mia ha proposto farne io una linea visto che tanto non ce ne era mai nessuno che andasse bene e volevo sempre quel dettaglio che mancava.



I primi son stati solo cento pezzi che abbiamo venduto solo da lui e poi piano piano siamo diventati una piccola realtà.

Con molte difficoltà ma ad oggi realizzare qualsiasi cosa è estremamente difficile.

Sei molto attivo sui social, lo sei sempre stato oppure è un effetto del lock down?

Lo sono sempre stato poi sicuramente si è amplificato con il lock-down, quindi non ho fatto altro che trovarmi pronto, e poi oltre che dal punto di vista artistico è stato fondamentale per quello umano.

Son riuscito anche ad insegnare a mia madre a fare le video chiamate, che son diventate una consuetudine ed è davvero stupendo.

Con tutte le difficoltà del caso con l’inquadratura della telecamera, che nonostante siano lucidissimi i miei, mancano di dimestichezza con IPAD, ma son migliorati.



Dimmi dei tuoi nuovi brani usciti alla fine dell’anno

Il primo è una collaborazione con un’artista indipendente di Bassano che si chiama Piol, il pezzo si intitola “Sotto il portone”, me lo aveva mandato tempo fa, però abbiamo scelto di farlo uscire sotto Natale con l’anteprima su Radio Italia.

L’altro invece è un progetto fatto con Tato di Radio Deejay,con lo pseudonimo SATUHOUSE GANG, ed è un collettivo di cinque persone che hanno tutte registrato rigorosamente singolarmente da casa e mixato da un nostro amico di New York, forse sarà il primo di una lunga serie, cambiando i personaggi.

Gli strumenti che non possono mancare in un Barber Shop che si rispetti

Quella del barbiere, figura che negli ultimi anni sta provando a rinascere grazie anche all’esplosione del trend legato alla moda hipster, resta una professione che richiede un’altissima specializzazione e che è a tutti gli effetti assimilabile a quella di un artigiano. Non bisogna fare l’errore di confondere un barbiere con un parrucchiere, perché nonostante le sue figure abbiano in comune l’ambito lavorativo, i primi hanno a che fare quasi esclusivamente con soggetti di sesso maschile e utilizzano strumenti e tecniche peculiari, in parte diversi da chi si occupa principalmente di acconciature femminili.  

Come dicevamo, essere un bravo barbiere presuppone una preparazione che esula dagli aspetti puramente tecnici, e che ricomprende anche quelli legati all’anatomia, ma soprattutto un senso estetico  e un concetto di eleganza non comuni. Un mestiere storicamente presente in tutte le epoche passate, dove l’estetica maschile, soprattutto per i ceti altolocati, era un aspetto peculiare e imprescindibile, e che oggi sta provando a recuperare il terreno perduto. Sono infatti sempre più frequenti le aperture di Barber Shop nelle nostre città, luoghi contrassegnati dalla classica colonna a strisce alternate bianche e rosse poste davanti alle vetrine, in cui la tradizione si unisce alla modernità per la creazione di nuove tendenze capaci di valorizzare l’aspetto maschile. 

Ecco una lista dei principali strumenti da lavoro essenziali di un barbiere, che sempre più spesso vengono arricchiti e personalizzati con nuovi prodotti e arnesi che ciascun professionista utilizza per arricchire la propria offerta. 

1) Forbici

Si tratta  come è facile capire dello strumento principe e immancabile per un barbiere, e rappresenta uno degli elementi che accomuna questa professione a quella del parrucchiere. Parliamo ovviamente di set professionali di altissima qualità come quelli offerti da www.forbicitech.it, capaci di garantire una precisione e una facilità di taglio che non può essere comparata a quella delle forbici comuni. Il filo di questi arnesi deve essere sempre ai massimi livelli, soprattutto perché ci si ritrova spesso a lavorare a pettine, e la manualità in questi casi, unita a uno strumento di qualità, fa la differenza. Oggi un barbiere utilizza tutta una serie di forbici e forbicine, ognuna con una propria funzione specifica e le proprie peculiarità. Chi vuol fare il salto di qualità, non può più limitarsi al cosiddetto starter kit. 

2) Rasoi elettrici e manuali

Se l’uso delle forbici è necessario sia per i tagli a pettine che per le rifiniture sia della capigliatura che della barba, la modernità impone l’utilizzo di rasoi elettrici capaci di raggiungere lunghezze altrimenti precluse con le semplici forbici. Esistono modelli di ad alimentazione a filo (più scomodi, ma con prestazioni più elevate) e quelli a batteria ricaricabile. Ogni rasoio dispone di regolatori di varie dimensioni, essenziali per le sfumature e per definire le linee del taglio. Stesso discorso lo possiamo applicare per i rasoi manuali. 

3) Pettini

Molte persone possono pensare che un pettine non possa fare la differenza e che i motivi della riuscita di un taglio risieda tutto nella manualità del barbiere. In parte è così, ma resta il fatto che ormai la serie di pettini a disposizione di questo tipo di professionisti è quasi sterminata e ciascuno di essi ha le proprie specifiche e la propria funzione. Mettiamo in questa categorie anche le spazzole che, nonostante siano meno utilizzate rispetto  ai saloni di bellezza per signore, non possono comunque mancare in un Barber Shop. 

4) Asciugacapelli

Questo è un altro strumento che accomuna la professione del barbiere a quello di un parrucchiere. Un taglio da uomo non avrà però bisogno di un diffusore, ma soltanto di una buona potenza e della possibilità di variare tra i vari flussi di calore.

5) Prodotti per l’acconciatura, oli e balsami per la barba

I primi sono senz’altro meno usati rispetto a un parrucchiere da donna, anche se gel, lacche e sempre più spesso le tinte per capelli, sono usate anche per le acconciature maschili. Sono decisamente più usati gli oli e i balsami utili sia ad ammorbidire i peli della barba e a tenerli in ordine, ma anche per l’idratazione della pelle sottoposta a stress durante il taglio.

Massaggio lomi lomi: perché è diventato famoso

Il massaggio hawaiano noto come lomi lomi è una tecnica ispirata ai rituali degli antichi sciamani. L’atmosfera deve essere calda e rilassante, i movimenti fluidi ed armoniosi e le mani del massaggiatore riproducono esattamente il movimento dell’oceano. I movimenti sono profondi e ciclici e imitano il movimento delle onde del mare.

Questo massaggio rilassante si effettua usando un unguento e con il sottofondo di musica esotica. Il massaggio lomi lomi affonda le sue radici negli antichi rituali hawaiani di iniziazione. A farlo era uno sciamano (kahuna) che attraverso questi movimenti univa il cuore e la mente e conduceva l’anima a un nuovo livello vitale.

Ecco perché spesso questo massaggio viene anche chiamato “massaggio del cambiamento”. A fine seduta la persona si sente rinata, rigenerata e cambiata in meglio. Il massaggio lomi lomi consiste nell’alternanza di movimenti dolci e movimenti energici, e quindi è allo stesso tempo rilassante e tonificante, intenso e leggero.

Benefici e controindicazioni del massaggio lomi lomi

Questo massaggio è drenante e rilassante. Si allontanano tensioni fisiche e muscolari ed emotive. Trasmette serenità e calma e migliora la circolazione sanguigna e le funzionalità dell’apparato digerente e urogenitale. Si pensa che un evento negativo si manifesta fisicamente sotto forma di contratture muscolari che attraverso il massaggio lomi lomi si punta a sciogliere.

C’è da dire che a fine seduta si ritrova “unti”, il che può non piacere ad alcune persone. Il massaggio lomi lomi ha il potere di alleviare:

  • stress
  • affaticamento mentale
  • depressione lieve
  • dolori muscolari, ossei e articolari, anche cronici
  • dolori dovuti a infortuni o traumi

Prima di eseguire il massaggio, è importante fare un colloquio preliminare per conoscere esattamente lo stato psicofisico del paziente.

Controindicazioni del massaggio lomi lomi

Nonostante si tratti di un massaggio e si potrebbe pensare non abbia controindicazioni è bene sapere che il massaggio lomi lomi non va effettuato in presenza di febbre, patologie cutanee (eczemi, dermatiti, ustioni) e patologie cardiovascolari (flebiti, ipertensione, arteriosclerosi).

Curiosità

Il massaggio lomi lomi viene chiamato “massaggio dell’anima” o “loving hands massage”. In lingua hawaiana si chiama “lomi lomi nui”. L’obiettivo è ridare serenità e amore alla persona e ristabilire l’equilibrio tra anima e corpo. Il benessere mentale e psicofisico vengono  ristabiliti grazie a questo massaggio che punta a ristabilire l’energia vitale (mana) dell’individuo.

Pacifik Poke: un format dai gusti esotici ed influenze oltreoceano

www.pacifikpoke.com

Pacifik Poke è un’esperienza imprenditoriale nata dalla voglia di 3 ragazzi torinesi di sperimentare in Italia un modo diverso di fare business nel F&B. Era il 2018 e, dopo solo due anni, Pacifik Poke approda a Milano nella sua duplice forma: take away e ristorante. Una novità nel mondo dei “Poke” che generalmente si limitano ad offerte take away. Pacifik Poke sposta il concetto un po’ più in là e si trasforma in un luogo dove la convivialità e l’immersione nelle atmosfere hawaiane diventano i protagonisti nel segno dell’instagrammabilità.

La formula di Pacifik Poke consiste nella fusione di ingredienti eccellenti nella loro semplicità: pesce o tagli di carne freschissimi che incontrano una base di riso o cavolo “kale” e una serie di dettagli golosi che vanno dall’avocado agli anacardi, passando per le cipolle rosse, mango, peperoni, edamame e tanti altri. 
Le ricette Pacifik Poke, analizzate anche in collaborazione con la nutrizionista Martina Donegani, sono in grado di adattarsi ad ogni esigenza: ci sono bowl dalle spiccate proprietà toniche e depurative, quelle pensata per le esigenze degli sportivi e per la protezione della salute cardiovascolare, oppure la bowl interamente veg o ancora quella in grado di aumentare il buonumore e contrastare lo stress.
La nascita del format è stata fortemente voluta da Stefano Zenga, Pierfranco Masera, Andrea Garavoglia, tutti classe ‘84. Il team è stato arricchito recentemente anche dalla figura di Ezio Salce. Quest’ ultimo vanta un’esperienza di franchisee per Autogrill, Rossopomodoro e Jv Partner di McDonald (con cui ha aperto 14 pdv).




Alla base dei loro intenti c’è la ricerca dell’equilibrio, che passa però da un viaggio gastronomico curioso e curato in ogni dettaglio, dalla mise en place al packaging, fino alle proposte che vanno oltre i poke, tra tartare di pesce fresco, zuppe, bagel, tapas e dolci senza dimenticare la cantina vini. 

Pacifik Poke è, inoltre, eco-friendly, ponendosi l’obiettivo di ridurre il consumo di materiali non biodegradabili e lo spreco di cibo con notevole costanza.

L’ “uniforme” della moda no gender tradotta nel design di quattro giovani brand

“Uniforme” dal latino uniformis che ha una medesima forma, un medesimo aspetto, appartenente ad un’uguaglianza espressiva senza confini e limiti di genere. Il maschile e il femminile si includono e, talvolta, si escludono l’un l’altro, per diventare una moda neutrale, super partes, un’identità fluida estranea a schemi e a rigori distintivi. Forme semplice, scambievoli e modulari, senza estremismi di androgenizzazione ma improntati ad un mutuo minimalismo. Una nuova rilettura dell’unisex che si conferma essere il segmento dell’industria della moda che, negli ultimi anni, sta mostrando una maggiore vivacità creativa e un’ottimistica lungimiranza nelle previsioni future. Sulla scia dei corsi e ricorsi di una storia del costume non estranea a questo fenomeno di parità e cavalcando le onde di un trend già in voga negli anni ’60, molti giovani brand stanno lavorando su una nuova ri-definizione di abbigliamento genderless in aperta sfida agli stereotipi di genere e a un vestire funzionale, basico e sostenibile legato ad una mono-estetica maschile/femminile.



CHELSEA BRAVO

“Il mio desiderio è lavorare come un artista” e i suoi abiti diventano le sue tele. Quello di Chelsea Bravo, la stilista dal DNA ispano-caraibico divisa tra la nativa New York e l’adottiva Londra, è un design improntato su un approccio moderno alla vestibilità, fatto di costruzioni, materiali sostenibili e silhoutte sciolte che coniugano forma e funzionalità. Stoffe morbide, sovrapposizioni leggere, dettagli a contrasto che disegnano un’estetica che guarda all’oggi e al domani dando agli abiti, concepiti con uno scopo, un’intenzione e un significato, una continuità nel tempo oltre i trend. Una collezione tra arte e design fatta di tute drop crotch (che ieri come oggi restano un simbolico messaggio di parità di genere, come ci ha insegnato Thayaht), maniche a taglio kimono, pantaloni a gamba larga realizzati con l’antico tessuto della canapa, Miki cap, ritagli incisi, ricami fatti a mano, superfici invase da motivi lineari hand painted, visi astratti tradotti su tessutoispirati al dipinto “Head of a Boxer” dell’artista cubista Henri Laurens.



COLD LAUNDRY

Cold Laundry è un brand streetwear fondato nel 2019 dalla coppia London-based Ola e Cerise Alabi. Un marchio dall’anima etica, filosoficamente distante dalle dinamiche del fast fashion e costruito su un senso di rispetto e gentilezza verso le persone e il pianeta. La sua caratteristica dominante balza subito all’occhio ed è metaforicamente riassunta nel motto di introduzione “Escape the Noise”, “Rifuggi dal Frastuono”. Perché lontana da texture ridondanti, surplus di dettagli e forme stravaganti, l’estetica di Cold Laundry è pulita, minimale, un infuso esperienziale che richiama ad una calma imperturbabile a partire dai toni pacati delle palette monocromatiche, alle linee morbide e dolci degli abiti fino ai peaceful landscape scelti per gli scatti del loobook da Los Angeles a Scottsdale, dalla Sicilia a Milos a San Pedro. La sostenibilità fa da fondamento a una rilettura del guardaroba maschile (hoodie, completi, trench, puffer jacket) che in una vestibilità gemellare coniuga il comfort ad un design attento allo stile. “Crediamo che la moda dovrebbe essere senza confini. Tutti noi dovremmo essere liberi di indossare ciò che vogliamo e come vogliamo, per questo siamo orgogliosi di contribuire a cancellare questa linea di confine”.



I AND ME

I And ME è un brand di abbigliamento denim season-less, sostenibile e unisex fondato nel borgo londinese di Hackney dalla designer Jessica Gebhart (per anni Denim Buyer per Topshop) e da suo marito David. Gli abiti sono semplici, pratici e funzionali nelle forme, ideati per assecondare le linee interscambiabili di corpi maschili e femminili e creati sulla mentalità del “Buy Less Buy Better”. Ogni collezione racconta una storia che parte da un’ispirazione o da un viaggio vissuto (come “One Thing Well” che parla del Giappone o “As Daydreams Go” ispirata al workwear vintage francese), e si traduce in tessuti di alta qualità, artigianalità e collaborazioni come quella, tra le tante, con l’azienda italiana Candiani. La robustezza e la resistenza di questo tessuto, ereditato e tramandato, diventano una sfida e un gioco di versatilità in un design contemporaneo che aspira alla longevità.



CARTER YOUNG

Carter Young è un brand newyorkese fondato dal suo giovane direttore creativo, Carter Altman. Gli abiti sono caratterizzati da una vestibilità non convenzionale, dove gli opposti si sintetizzano in uno stile unisex che prende forma e ispirazione dall’estetica del guardaroba maschile classico. Parole d’ordine: sovvertire il tradizionale e ricontestualizzarlo. I tagli sartoriali si modernizzano su linee dal minimalismo casual, mentre la bellezza dell’artigianalità classica si fonde allo spirito contemporaneo dei codici dello street-style per un abbigliamento in grado di infondere a chi lo indossa un “sense of confidence”, una sensazione di fiducia e sicurezza.



TheMenInTown – il backstage

In anteprima il dietro le quinte del più grande censimento digitale dei volti della MFW Fall Winter 2021-2022.

Il contenuto è stato supportato da partner come NH Hotel Group, con NH Collection Milano President a pochi passi dal Duomo”, il team Jeune/Ange Aveda Italia e la food furniture a cura di Pacifik Poke.

Il beauty dei modelli ha visto la firma, invece, dei prodotti di make up e skincare Estée LauderLa Mer.

Scatti backstage a cura di Sara FabbianiDiscromie

Special content direction, production, styling and introduction text Alessia Caliendo

Photographer and video director Kristijan Vojinovic






MFW – Re-tailoring e new comfortism segnano i nuovi codici del guardaroba maschile #chapter1

Artwork in copertina a cura di Maria Angela Lombardi @_mariaalombardi_

Gli architetti del guardaroba maschile, definiscono uno stile flessibile e libero dagli archetipi tradizionali. Un’eleganza spalmata in un tempo trasversale, che annulla i confini tra tempo libero e lavoro, formale e informale. Capi predisposti a mettere in evidenza identità, età e stili di vita, evoluti verso una nuova e più fluida visione estetica.

Il (RE)SET delineato da Alessandro Sartori, Direttore Artistico di Zegna, apre la giornata di sabato con una collezione di supremo valore estetico. Una nuova fase evolutiva dell’uomo definisce nuove categorie, nuovi canoni estetici e linee sartoriali, declinate su materiali soffici e ipercomfort seguono impeccabili le fisicità maschili, con lo stesso rigore di un completo tailor made, guidato da una scelta di materiali preziosa e ricercata. La nuova era del lusso investe su materie di pregio e linee, che ben si accorda a tempo libero e momento in cui è richiesto un look più formale.
I toni, rassicuranti, sembrano attenuare il confine tra homewear, tempo libero e business, perché tutto avviene all’interno di un luogo più intimo e sicuro.

Zegna fw2021-22

Il supporto del digitale dà un valore sempre maggiore allo storytelling che racconta i mondi in cui sono intercalati i valori dei brand. In questo filone si muove l’affascinante asta di Church’s, in cui si ritrovano collezionisti vestiti dei loro impeccabili outfit british, tra half boot in vitello spazzolato, derby e valigette in pelle che rappresentano lo status symbol di chi si trova in quel luogo alla ricerca della bellezza, rappresentata dal lotto finale, il più importante: una rivisitazione in chiave contemporanea di modelli d’archivio, aggiudicati dal giovane che vince una corsa contro il tempo per ottenere quanto di più prezioso ci sia in quella sala: l’eleganza della ricerca complice della tradizione.

The Auction – Church’s FW21

L’importanza di un dettaglio. La moda di Federico Curradi è un’immersione nei materiali primordiali che riportano la mente a valori semplici; filati soffici e caldi come lane dall’alto valore simbolico e dai colori sfumati. La celebrazione dell’uomo artefice, del fatto a mano, come il pregiato cappello in feltro, e di oggetti di recupero che diventano monili preziosi.
Una rappresentazione di tutto quello che la nostra mente custodisce, la nostra casa.

È un’eleganza pensata per sé stessi; è un nuovo modo di pensare e di essere nel mondo che cambia e si rinnova. È questo il senso della nuova “Eleganza Riflessiva”, simbolo della nostra contemporaneità, rivolta a uomo che desidera stare bene con se stesso e che, ispirato a migliorare la sua vita anche quando si veste, disegna la sua naturale eleganza, tra estetica e funzionalità”, spiega Marco Baldassari fondatore e direttore creativo uomo del Gruppo Eleventy

Una collezione che mette in evidenza gli elementi esclusivi creati dalle sapienti mani artigiane del Made In Italy. Come i capispalla leggeri e sfoderati reversibili, in tessuti “doppi apribili” che richiedono mediamente 14 ore di lavoro, i volumi morbidi dei pantaloni con pences, denim sartoriali e una maglieria in lana – cashmere garzate e pettinate.

Rivoluzione anche in casa Kiton. Il brand di alta sartoria di Arzano, rivede il guardaroba maschile come un unicum da vivere all’interno delle mura di casa, sempre più priva, però, di confini tra ciò che è pubblico e ciò che è privato. Un’eleganza fatta di filati confortevoli, per accompagnare con stile i momenti di lavoro e relax, ormai intercambiabili. Le morbide giacche in cashmere, mantengono i grandi pattern dell’alta sartoria italiana: lo spigato, il pied de poule e intrecci ispirati ai colori della natura che in quest’ultimo anno abbiamo imparato a rispettare e ad appartenere con orgoglio. Anche i pantaloni si ammorbidiscono, prendendo in prestito la coulisse in vita dai pantaloni da jogging mantenendo la costruzione sartoriale, più ampia nella parte superiore e più stretta nella parte inferiore.

Kiton FW 21

Lo show dela collezione fw 21-22 di Miuccia Prada e Raf Simons, mette in primo piano il corpo dell’individuo, nella sua interazione con l’universo. La maglieria e i suoi motivi jaquard e geometrici, seguono le linee del corpo, nelle sue più libere espressioni, scoprendo la sua fisicità, attraverso i suoi movimenti primordiali e autentici, quelli della danza, sulla base elettronica di Plastikman (nome d’arte di Richie Hawtin).
Così, come nel suo quotidiano, l’uomo di Prada procedere e interagisce in ambienti diversi, definiti da marmo, resina, gesso e “faux fur”, che conducono a diverse condizioni sensoriali e a reazioni personali libere e autonome.
Una nuova contemporaneità costituita da un rapporto con lo spazio intimo e individuale.

L’uso di colori vivaci e forme geometriche definite accendono lo sguardo, con la stessa attrazione dei nostri occhi sul digitale, mentre i tessuti seducono il tatto.
Con profonda attenzione e rispetto per l’ambiente, i materiali impiegati sul set della sfilata verranno riciclati e troveranno una nuova vita in installazioni speciali per i prodotti e pop-up in tutto il mondo, per essere, infine, smaltiti in maniera sostenibile da un’azienda specializzata in economia circolare.

L’identità visiva è un linguaggio universale che definisce e plasma le nostre vite. Ciò che indossiamo riflette
la nostra essenza, parla per noi, racconta al mondo chi siamo prima di ogni altra cosa.
Il timbro stilistico di Miguel Vieira sfugge ogni stereotipo e ogni appartenenza sociale.
L’utilizzo forte e potente del cuoio, in un meraviglioso contrasto con frac e pantaloni check in filati preziosi come lana e cachemire. Ma anche alpaca, eco-pelliccia di pecora e lurex.
Il tutto inserito in una potente attitude da guerriero metropolitano in stivali massicci di cuoio nero, dritto verso l’obiettivo, sotto le note di Begin The End dei Placebo.

Anche Kean Etro, Direttore Creativo di ETRO Uomo, ridefinisce il quotidiano del suo consumatore e le sue necessità, rivedendo in primo luogo le strutture dei capi e gli outfit con una buona dose di ottimismo e irriverenza verso i rigidi canoni del classico maschile. 
La parola d’ordine “libertà” si applica nei mix di elementi sportivi con i pezzi iconici della maison, riscaldati dalle intense palette della luce solare. L’utilizzo spontaneo di bomber e maxifelpe su cui campeggia il pegaso istituzionale, sfilano insieme a blazer impeccabili e cappotti vestaglia in
pregiato velluto.
Le camicie con le sete d’archivio, testimoni dell’heritage del brand, il denim baggy ricoperto dalla stampa paisley, e maglie in cashmere, mantengono con l’equilibrio di un funambolo, il giusto bilanciamento tra casual e sofisticato, così come le anorak sotto le pregiate giacche sartoriali, sfidando ogni estetica tradizionale.

Etro fw2021-22

Come riconoscere lo stile beat?

La storia della beat generation nasce negli Stati Uniti agli inizi degli anni ‘50 per poi approdare in Europa. Alcuni membri di spicco, come Ginsberg, Corso e Burroughs, giungono a Parigi ed eleggono l’Hotel Rachou il “Beat Hotel” e successivamente si spostano a Milano.

Lo stile di vita della beat generation è fondato sulla rivendicazione della libertà personale contro i valori condizionanti e autodistruttivi della società consumistica. Tanti giovani portano i capelli lunghi (in italiano saranno chiamati “capelloni”) come segno di profondo dissenso nei confronti della società borghese e anticonformista.

Decidono di condurre una vita on the road, libera e senza agi. Libertà sessuale, uso di droghe psichedeliche ed esplorazione di religioni alternative sono le basi della beat generation. Bob Dylan, i Beatles e i Rolling Stones sono i loro miti.

Stile della beat generation

Lo stile dei ragazzi della beat generation ha segnato un’epoca. Zaini in spalle, camicie ariose, occhiali tondi e giacche corte: ecco alcuni tratti distintivi dello stile beat, proprio come li indossava il fondatore del movimento Allen Ginsberg.

Cosa rendeva così affascinanti questi giovani ribelli e anticonformisti negli anni Cinquanta? Oltre agli ideali e alla propaganda, un guardaroba distintivo, che era parte del loro manifesto che rifiutava i canoni classici dello stile dell’epoca. Sicuramente era un abbigliamento composto da capi pratici e comodi, adatti a una vita in movimento, in viaggio, on the road, dall’Oregon a San Francisco e caratterizzato dai colori della terra, beige, sabbia, rossi desaturati, grigi dalle sfumature dorate, che ricordavano le route americane lambite dal deserto.

I pantaloni morbidi, le pinces, i blazer senza struttura, e i materiali lino e cotone. Lo stile beat è solo apparentemente casual, ma ha una sua anima profonda e una sua identità. Le camicie sono caratterizzate da stampe vivaci, gli zaini in spalla hanno pattern floreali su fondi neutri.

Alla fine degli anni ‘50, il San Francisco Chronicle definisce questi giovani con il termine dispregiativo “beatnik”. Il look diventa total black e le scarpe bicolore.

Oggi molti ragazzi sono affascinati dallo stile beat e da quello che rappresentava un tempo e cercano di vestirsi e vivere come fu a quei tempo, purtroppo i tempi sono cambiati e anche questo stile ha segnato un periodo che nessuno dimenticherà in particolare chi lo ha vissuto davvero vivendo on the road.

The ManInTown

Orfani della Menswear Fashion Week fisica, a favore di nuove forme di condivisione digitali, e nostalgici della città in fibrillazione tra taxi introvabili, sitting e standing e “lui è un modello chissà in quale show starà andando”, eccoci a censire i volti più interessanti presenti in town. 
Nel resiliente panorama delle produzioni visive digital e on paper, l’estro e la creatività alimentano il sistema moda che continua ad aver bisogno di trend e new faces ora più che mai. 
Noi abbiamo provato a raccontarvi le best 21 puntando un occhio ai migliori look e accessori della S/S 2021.


Atte @ The Lab 

19 anni

Finlandese

Studente alla sua prima esperienza come modello

Instagram @atelehtinen

Atte indossa Valentino SS21. Per la sua ultima collezione il direttore creativo della Maison del lusso romana Pierpaolo Piccioli sfoggia lo zenith dello streetwear. Rifiniture e creatività creano un twist tra hype e sartorialità inarrivabile. Completano il look gli shades contemporanei con un design che combina dettagli sofisticati e hi-tech di Calvin Klein e le calze in spugna Fila Underwear.

Shin Hee @ Urban

30 anni

Sudcoreano

Modello e industrial designer 

Instagram @heeisadreamer

Dando sempre inaspettati codici di lettura al menswear, il look del designer Fabio Quaranta è sinonimo di modernità e tradizione sartoriale italiana. La sua spasmodica passione per l’arte contemporanea è magistralmente esemplificata nell’outfit. Come shades The Bespoke dudes, quintessenza del dandy 2.0 per uno stridente contrasto da rocker urban.

Tsukasa @ The Lab

26 anni 

Giapponese 

Modello, insegnante, fa parte dello staff di Uniqlo 

Instagram: @tsukasa_kakiudo

#CROCCOUTURE è l’hashtag appropriato per definire il look della maison francese, dove il più sublime outwerwear incontra l’haute couture. Il risultato? un ready-to-wear che è già entrato nella leggenda. Ai piedi Zanotti: modelli solo all’apparenza pesanti, che rivelano fondi e accessori ultra light, capaci di stupire. Nel gioco degli equilibri, qui è la sproporzione ad avere il ruolo di protagonista. Come shades FOVAL, dal design inconfondibile, forme audaci, materiali e finiture speciali e savoir-faire della massima artigianalità. Calze Fila Underwear.

Guillermo @ Sophie

19 anni 

Olandese

Modello e studente di industrial design 

Instagram: @guillermo_sparing

La maglieria è malleabile e a casa Missoni lo sanno bene. Un medium versatile per sentirsi sempre a proprio agio. Ai piedi Fratelli Rossetti, intrecci d’autore. Senza dover aggiungere altro, non occorrono certamente presentazioni. Per questo uomo dall’allure jazz come shades Marni con maxi montatura rotonda nera acetata.

Andrea @ Urban

19 anni 

Italiano

Modello, studente di scienze motorie, cestista e venditore

Instagram: @cicer0_andrea

Poteva mancare l’appeal del rocker londinese? Ingentilito però da nuance pastello Paul Smith. La ruvidità sta dentro, fuori il diktat è emanere charme e gentilezza. Ai piedi candide sneakers Valentino e agli occhi gli striped Fendi. Al rocker non può certamente mancare un monile: Versace è il must in questo caso.

Francesco @ The Lab

22 anni 

Italiano

Modello e fashion designer 

Instagram: @francescogianfrate

Fluidità, samurai, una creatura orientale, che oseremmo definire zen è quella proposta da Pierpaolo Piccioli per la primavera estate 2021. Il suo uomo è libero dai taboo imposti dalla società sul ruolo borghese uomo/donna perché è consapevole e illuminato. Ai piedi anfibi Dr.Martens che conferiscono quel piglio punk che tanto amiamo. Shades Marni, design d’autore.

Dame @ Boom 

20 anni 

Italiano ma di origine senegalese

Modello

Instagram: @dame.chakur

C’è chi lo chiama copycat, ultimo tra i tanti Walter Wan Beirendonck, per noi è l’uomo del Rinascimento 2.0. Il giusto trionfo di un uomo afroamericano cui finalmente è stato concesso di potersi esprimere in tutto il suo tsunami creativo. Parliamo di Virgil Abloh e del suo lavoro per Louis Vuitton. Ammirate la foto per credere.

Nikita @ I love 

24 anni 

Estone

Modello

Instagram: @origamilegs

Preppy-Rock: Sarah Burton per Alexander McQueen era indecisa se condurci al college o al Glanstonbury. I britannici, si sa, hanno sempre idee contradditorie. Agli occhi una montatura Myway che da quel tocco geek che – diciamocelo francamente- in pochi possono permettersi.

Leon @ I love

22 anni 

Ungherese

Modello 

Instagram: @leonhubiqq

PRADA OR NADA. Quanto è vero. Ammirando il look, il volume, il taglio del capospalla, come cade sul corpo, sembra che il modello stia levitando. Sublime.

Roman @ I love 

19 anni 

Estone

Modello e manovale

Instagram: @romafironov

Dolce & Gabbana: il duo più controverso per la moda. Perché? Sono rimasti quelli più fedeli alla loro terra di origine. La tanto amata – e troppo spesso bistrattata- Italia. Il look è un loro classico, da ragazzo di strada. E la loro leggenda continua. Ai piedi del modello scarpe Zanotti: made in Italy da fuoriclasse. Shades Calvin Klein, un tocco di hi-tech, perché essere classici si, ma sempre di moda si parla.

Alessandro @ Boom

21 anni

Italiano

Modello e studente

Instagram: @alessandro.mayhem

Sembra di ascoltare una canzone di Giuni Russo guardando questo look, un tramonto ad Alghero, una festa in spiaggia a bordo piscina per pochi intimi osservando il look Antonio Marras. Ai piedi scarpe Prada da vera intellighentia. E per completare l’outfit gli occhiali di un brand indipendente della costa d’Argento, Ottica Rossi, un posto amato da Miuccia stessa.

Henry @ Boom

19 anni 

Italiano

Modello e studente di ingegneria informatica

Instagram: @enry_bnoizzi

Tie and Dye, che grande passione. Un surfer in Iceberg così accattivante non si era mai visto. Capelli selvaggi al vento e ai piedi Zanotti, pronti per un giro in quad dopo aver surfato. Gli occhiali Carrera, per un uomo distinto ma non troppo di nicchia.

Hwan Kim @ Brave

29 anni 

Sudcoreano

Studente e modello

Instagram: @hhwankim

Dolce & Gabbana ci portano non solo in Italia, ma anche nel mondo. L’outfit potrebbe essere ideale per un matrimonio balinese in riva all’oceano Pacifico e il perfetto equilibrio di cromie e pattern placement fa il resto.

Andrew @ Brave

21 anni 

Californiano

Modello

Instagram: @andrewroyce

L’outfit perfetto per Miami Art Basel che farebbe impallidire persino Maluma all’afterparty di Kim Jones. Total look Moncler, calzino bianco Fila Underwear e shades aviator Dior

Lorenzo @ Brave

18 anni 

Italiano

Modello, studente e ginnasta

Instagram: @lorenzomerolla_

Toni dark in contrasto con il candore dei pantaloni alla zuava. Stripes per il mod 2.0 tanto amato da Sarah Burton di Alexander McQueen con shades TBD Eyewear e calze Fila Underwear.

Junho Ock @ Brave

27 anni 

Sudcoreano

Modello

Instagram: @ok_zuno

Kawaii-Rave è la parola d’ordine per accedere all’esclusivo party Versace: il Giappone incontra l’inarrivabile fantasia delle stampe della Maison della Medusa. Gli shades Maki dal tocco futuristico non vi faranno passare inosservati.

Gabriele @ Brave

22 anni 

Italiano

Modello e pallavolista

Instagram: @gabrielepecin

Un outfit ispirato all’eleganza mondo ippico tanto caro alla maison, Antonio Marras colpisce ancora. Occhiali aviator con dettagli in pelle Hapter e Nike ai piedi perché si, oltre allo storicismo sempre di moda e contemporaneità si parla.

Cheikh @ Crew

19 anni 

Italiano 

Modello

Instagram: @imcheikhniang

Black and Gold era la hit di Sam Sparro che descrive alla perfezione l’outfit camo-urban di Antonio Marras. Ai piedi carrarmati Zanotti per distinguersi nell’urban jungle e shades Karl Lagerfeld, per quel tocco di nobiltà cui nessun gentleman contemporaneo dovrebbe mai rinunciare.

Yuan Ji @ Major

24 anni

Cinese

Modello e studente di fashion design

Instagram: @nidejixiaoyuan

Workwear urban per gli hit-boy, e non solo, di Milano: il look d’eccellenza che tutti i teenager vorrebbero indossare. Look di Versace, sneakers Dolce & Gabbana.

Tommaso @ Major

18 anni 

Italiano

Modello, studente e surfista

Instagram: @tommasopolleschi

Un complesso gioco di patch e pattern: pantaloni Fabio Quaranta a check arancio, cardigan patchwork Lacoste e occhiali tondi da nerd Myway. Con questa inspo farete impallidire AsapROcky. Bagel Pacifik Poke.

Ili @ Crew

20 anni 

Albanese

Modello e studente di economia

Instagram: @dai.ili

Total look Fabio Quaranta che ammicca agli albori di Bob Dylan, da cantautore con tanti sogni e diari che presto diventeranno inni generazionali. Aviator logati Fendi.

Jass @ Crew

19 anni 

Estone

Modello

Instagram: @jassreemann

Lacoste: bourgeois, elegante raffinato, candido. L’apoteosi del bon ton con ai piedi calzature Fratelli Rossetti. Il bon chic genre dell’Italia e dei cugini d’Oltralpe.

Credits:

Special content direction, production, styling and introduction text: Alessia Caliendo

Text: Lorenzo Sabatini

Photographer and video director: Kristijan Vojinovic

Beauty: Jeune/Ange using Aveda 

Alessia Caliendo’s assistants: Andrea Seghesio & Laura Ronga

Photographer assistant: Anna Bjelakovic

Skincare and make-up: La Mer & Estée Lauder

Many thanks to NH Collection Milano President

L’Australia a portata di click

Il 2020 è stato un anno impegnativo per diverse località turistiche in tutto il mondo, tra queste anche l’Australia che, a causa della pandemia, ha dovuto sospendere la maggior parte dei viaggi. Nel mantenere la fiducia tra viaggiatori e offerta turistica ,il marketing ha giocato un ruolo decisivo, ha affermato Phillipa Harrison, amministratore delegato di Tourism Australia. 

“Rimanere attivi sui social media è stato essenziale: le piattaforme digitali hanno permesso, attraverso le immagini, di sognare ad occhi aperti tutte quelle bellissime esperienze che si potranno vivere in prima persona più avanti. Gli apprezzamenti riscontrati sulle pagine social del turismo australiano si sono infatti moltiplicati, con un notevole aumento dei followers, likes e visualizzazioni”.

Tra gli scatti più iconici troviamo le vele della Sydney Opera House, tributo ai vigili del fuoco australiani impegnati all’epoca a spegnere le fiamme del paese.  


Credit @sydneyoperahouse @kenleanfore – Sydney, New South Wales

Patria degli animali più teneri del mondo (https://www.australia.com/en/things-to-do/wildlife/where-to-meet-australias-cutest-animals.html), il paese è conosciuto sicuramente grazie alla tenerezza dei quokka. È possibile trovare questa specie sull’isola di Rottnest, nell’Australia occidentale. Dolci e curiosi, i quokka amano farsi fotografare: basterà avere del cibo alla mano.


Credit @cruzysuzy @meiji_nguyen_photography – Rottnest Island, Western Australia

In Australia, natura e lusso si uniscono insieme in un connubio in grado di intrattenere personaggi di fama mondiale nell’isola di Lord Howe (https://www.australia.com/en/places/sydney-and-surrounds/guide-to-lord-howe-island.html), situata al largo della costa del New South Wales (https://www.australia.com/en/places/new-south-wales.html). Diverse sono le celebrità che attraversano l’oceano per raggiungere queste isole uniche, in grado di offrire meravigliose esperienze, dal surf alla pesca. Proprio all’inizio del 2020, Chris Hemsworth, ambassador ufficiale del turismo australiano (https://www.australia.com/en/things-to-do/wildlife/where-to-meet-australias-cutest-animals.html) trascorse una lussuosa vacanza insieme alla famiglia in questo paradiso.


Credit @ChrisHemsworth @australia – Lord Howe Island, New South Wales

Se amate posti emozionali e suggestivi, le immagini della spiaggia di Jervis Bay (https://www.australia.com/en/places/sydney-and-surrounds/guide-to-jervis-bay.html) vi toglieranno il fiato. Rinomate per la sabbia bianca, queste baie hanno la caratteristica unica al mondo di tingersi di blu luminescente durante la notte (https://www.australia.com/en/things-to-do/nature-and-national-parks/australias-seasonal-nature-experiences.html), colore provocato della reazione chimica del plancton.


Credit @jordan_robins @australia – Jervis Bay, New South Wales

Qualora invece desideraste scacciare i pensieri e concedervi del totale relax in una vasca idro-massaggio, Il Macquarie Pass National Park (https://tropicalcoasttourism.com.au/news/cardwell-spa-pools/) è la soluzione ideale. Caratterizzate da sorgenti e pozze d’acqua , queste piscine naturali sono teatro di salute e benessere.


Credit @_aswewander @australia – Macquarie Pass National Park, New South Wales

Sarebbe impossibile concludere il viaggio di immagini senza citare i veri protagonisti australiani, i canguri. Saltellanti, curiosi e vivaci, questi mammiferi amano farsi fotografare. Non solo marsupiali, nella zona del Queensland (https://www.australia.com/en/places/queensland.html) è possibile avvistare anche Kookaburra, koala, e balene.


Credit @_markfitz  @australia – North Stradbroke Island, Queensland

Pitti Connect 99 – Da una Fiera sempre più sostenibile al supporto strategico del digitale.

Nonostante il protrarsi della pandemia, la moda non resta a guardare, ma si riscopre più energica che mai, nel portare a termine progetti volti alla promozione del Made in Italy in tutto il mondo.
Con un approccio più green e vestita di una sensibilità completamente nuova, la Fiera di riferimento per la moda maschile da più di 60 anni, racconta nuove iniziative e nuovi codici sulla piattaforma digitale Pitti Connect, da location d’eccezione, ospitate dai maggiori esponenti del Made In Italy.

Dal suo headquarter a Solomeo, apre il suo 63° Pitti Brunello Cucinelli, insieme all’AD Raffaello Napoleone e Agostino Poletto, Direttore Generale, che sottolinea l’importanza della continuità delle fiere, sia dal punto di vista fisico, per cause di forza maggiore inibite in questo periodo, e del sempre più strategico supporto digitale, fondamentale per definire il flusso delle tendenze, in attesa delle ipotetiche date del 21-22-23 febbraio (dpcm permettendo).
“Da un sondaggio fatto tra i buyer è emerso quanto la Fiera sia importante, per la necessità di ricaricarsi e lasciarsi ispirare, per dare il massimo nel proprio lavoro. Con la tensione verso una ricerca sempre più approfondita, e il desiderio di una maggiore selezione e di prodotti nuovi e originali”, ha concluso Agostino Poletto dal salotto di Brunello Cucinelli.

Brunello Cucinelli da Solomeo con Raffaello Napoleone e Agostino Poletto

Dal padrone di casa, nel cuore dell’Umbria, un invito ad avere una maggiore sensibilità, a prestare attenzione a temi di riflessione a cui ci ha condotto questa pandemia. “Come avere più attenzione nei confronti della povertà, alla consapevolezza ella produzione, nel rispetto del pianeta”. L’importanza del recupero, del riparare, rispetto all’abitudine di buttar via.
“Siamo tra i primi manifatturieri di beni di lusso; la nostra storia ci ha resi un paese molto speciale, abbiamo un bagaglio culturale che ci da speranze per il futuro. Abbiamo bisogno di vestirci di bellezza, di gentilezza e di fisicità. Abbiamo bisogno di riabbracciarci”.

Claudio Marenzi, Presidente di Herno e di Pitti, dà il via libera alla creatività delle sue collezioni con un entusiasmo guidato dalla convinzione che assisteremo a un ritorno all’acquisto d’impulso, accelerato da una sferzata di positività. Punto di vista estremamente favorevole raccontato nelle collezioni fw 2021-22 con il monogram sull’impermeabile, il gloss dai colori vitaminici e il lusso del seta cashmere.
La collezione Laminar, cavallo di battaglia del brand, il cui lancio in Fortezza è, da quasi dieci anni, una consuetudine irrinunciabile per buyer e stampa specializzata.
Le sue prestazioni tecnologiche, prese in prestito dal mondo dell’outdoor e coniugate in chiave urban, sono la formula vincente di questa collezione nata sotto la stella dell’innovazione.

Pezzo forte la scarpa da trail prodotta in collaborazione con SCARPA, leader nel settore dell’outdoor. Capispalla brevettati, privi di cuciture, fatti di materiali termosaldati e idrorepellenti.

La collezione Globe, che rientra all’interno dell’economia circolare, ha un approccio sempre più sostenibile, attraverso l’utilizzo di materiali e accessori completamente riciclabili. Lane riciclate che non vengono neanche colorate per non provocare il minimo impatto sull’ambiente.

“Riutilizzare materiali, produrre biodegradabile, nella speranza, un giorno, di far sparire Globe, per creare un’unica collezione interamente sostenibile. Stiamo cercando d’imparare come fare”.

E quando si parla di sostenibilità, ancora, Pitti non perde un’occasione per fare la differenza. Proprio dalla città in cui il mecenatismo ha sostenuto e consacrato i nomi più illustri dell’arte rinascimentale, Pitti 99 lancia la seconda edizione di Sustainable Style #2 che si conferma un’iniziativa di portata internazionale per la scoperta e il sostegno di designer, impegnati concretamente nella produzione del menswear sostenibile.
Il progetto, curato dalla giornalista Giorgia Cantarini, ha visto 15 talenti provenienti da tutto il mondo che hanno dimostrato di saper coniugare un approccio sostenibile per l’ambiente e il sociale, con i valori di qualità ed estetica, imprescindibili per lo sviluppo e il successo di questo segmento nel tempo.

Le parole d’ordine “sostenibilità e stile” corrono veloci sui binari di un treno proiettato verso il futuro, sul quale viaggiano i 15 fantastici nomi selezionati dalla talent scouter Giorgia Cantarini.

DNI, Luca KemkesFlavia La RoccaKsenia SchnaiderKidsofBrokenFutureNous EtudionsMyarPhilip HuangRaeburn, Reamerei, S.S. Daley, Uniforme ParisVitelliYatay e Young N Sang.

Pitti, catalizzatore di talenti ed energie, come quello dello stilista americano Spencer Phipps cherealizzerà una minicapsule per Rewoolution, brand activewear in lana merino del Gruppo REDA, per aver vinto, durante la prima edizione di Sustainable Style, il premio Reda x Sustainable Style.

Storia cravatta: 5 passaggi chiave importanti

La cravatta è da sempre il simbolo dell’eleganza maschile, un accessorio senza tempo che conferisce charme e fascino a qualsiasi tipo di abbigliamento. Sono finiti i tempi in cui era indossata solo dai business men in carriera e solo nelle occasioni formali.

Oggi la cravatta è un accessorio cool usato con nonchalance anche nei look più casual e nel tempo libero, grazie ai diversi modelli, colori e ai diversi stilisti che le abbinano nei loro look più svariati.

Questa icona di stile è stata reinventata da tanti brand, ma quali sono le sue origini? Scopriamole insieme.

Le origini della cravatta

Incredibile ma vero, la cravatta risale all’epoca egizia. A quei tempi, durante i riti funebri, sottili lembi di stoffa colorata venivano annodati al collo dei defunti. Il motivo di questa usanza è sconosciuto.

Nel Seicento furono i militari croati a diffonderla in tutta Europa, anche se fu Re Luigi XIV a decretare la nascita di questo accessorio di stile. Durante la guerra dei 30 anni, i soldati croati indossavano le cravatte e i francesi ne restarono affascinanti e decisero di introdurre la cravatta anche nella loro nazione.

Fu il Re Sole a sancire il successo di questo accessorio, introducendolo a corte, e istituendo una nuova professione, quella del “cravattaio”, colui che realizzava cravatte per i gentiluomini. Dopo aver conquistato la corte del Re Sole, la cravatta sbarcò in Inghilterra dove non conobbe però immediata fortuna.

Nel 1880 un gruppo di studenti di Oxford la scelse come segno distintivo di una protesta annodandola intorno ai loro cappelli di paglia. La cravatta ha poi conquistato il mondo dell’arte (come dimenticare l’opera di Modigliani “Ritratto di donna con cravatta nera”?) e quello del cinema (dai Blues Brothers a Christian Grey).

Negli anni ‘90 un noto matematico svedese Mikael Vejdemo Johansson ha scoperto, tramite una complessa formula matematica, che esistono ben 200.000 modi di annodarla. C’è stata addirittura una proposta, con tanto di raccolta firme, per istituire un Cravatta Day, una giornata dedicata ad omaggiare questo accessorio cult. Oggi in Croazia l’8 ottobre è il giorno dedicato alla cravatta poiché questa nazione vanta la paternità di questo oggetto, anche se è oramai opinione comune che la cravatta moderna sia nata in realtà in Inghilterra nel 1850 nel Surrey. 

LORENZO ZURZOLO CHILDREN OF THE REVOLUTION

Art Direction: Federico Poletti

Ph: Davide Musto

Styling: Stefania Sciortino

Video Director: Federico Cianferoni

Testo: Marco Marini

Grooming: Sandy Giuffrida per Simone Belli Agency

Special thanks: Mediterraneo al MAXXI

Music: Post Nebbia


È Lorenzo Zurzolo – uno dei new talent più promettenti del cinema italiano che, a soli vent’anni, ha già all’attivo ruoli in titoli di grande successo quali ‘Baby’‘Sotto il sole di Riccione’ ‘Compromessi sposi’ – il protagonista degli scatti realizzati da Davide Musto e pubblicati su Man In Town.
L’attore romano si fa qui interprete dell’estetica flamboyant, a tutto colore di Gucci, indossando pantaloni, maglie, completi e accessori dall’allure seventies, nei quali l’estetica squisitamente retrò del periodo si unisce agli stilemi della maison fiorentina, dall’iconico logo GG al nastro Web.
Tra blazer dagli ampi revers a lancia, completi svasati, borse di grande formato, boots ornati dal morsetto e cromie brillanti alternate a nuance pastello, si fanno notare le fantasie floreali tratte dagli archivi di Ken Scott, marchio celebre proprio per le stampe variopinte ispirate al mondo animale e vegetale, oggi di proprietà di Mantero Seta. Così i motivi ideati dal “giardiniere della moda” animano le texture dei capi, espressione di uno stile caleidoscopico, libero da qualsiasi timore o condizionamento. 




Giacca, gilet e pantaloni in lana blu con dettaglio etichetta, camicia in cotone rigata, stivaletti in pelle bordeaux.


Il cibo come alleato per stare bene: in dialogo con Michela Coppa

Garbo ed eleganza contraddistinguono da sempre Michela Coppa (@michelacoppaofficial) , che dalle conduzioni televisive, alla radio e oggi sempre di più sul web, ha fatto del cibo buono e salutare uno stile di vita. Ed è certamente grazie ai social in questi ultimi tempi, che riusciamo a scoprire la sua vera e propria seconda vita, seguendo la condivisione di ricette salutari e funzionali, consigli di bellezza, allenamenti e circuiti yoga, disciplina di cui è diventata anche insegnante da poco tempo.



Cucinare sano e condividere benessere, come nasce questa tua passione?

Più che passione ormai, la definirei missione! (ride ndr). Sin da quando ero ancora molto giovane avevo capito che il cibo poteva essere un alleato, come uno strumento di cura per vivere meglio. Ho origini parmigiane, e nella mia terra i buonissimi piatti della tradizione erano carichi di ingredienti molto grassi, quindi combinati tutti insieme alla lunga non mi facevano stare bene. Sentivo che il mio corpo rallentava le sue funzioni, come un motore alimentato da un carburante sbagliato. Così ho capito che dovevo personalizzare la mia dieta, studiare l’alimentazione e capirne di più. 

Quando ho cambiato regime alimentare tutto il corpo stava meglio, a cominciare dai capelli, dalla pelle e ovviamente è arrivato anche qualche kg in meno, ma sempre intenso come conseguenza dello stare bene e mai come ostinazione ad una magrezza ideale.  

Oggi, a 37 anni, ho raggiunto un alto amore verso me stessa dovuto anche a questo, e sono riuscita nel tempo a portare le mie esperienze nelle vite degli altri per migliorarle, a partire da famiglia e amici che hanno cambiato il proprio regime alimentare traendone beneficio.  Grazie ad Instagram ho chiuso il cerchio, tramite queste canale cerco di influenzare positivamente anche i miei follower.

Questa tua missione si è concretizzata anche nel libro “Ricette funzionali “scritto insieme alla Dottoressa Sara Farnetti…

Proprio così, questo testo non è un ricettario, ma un percorso di conoscenza e approfondimento sulla consapevolezza da avere verso il cibo e per riflettere sul fatto che mangiare bene può trasformare al meglio fisico e mente.

È bene specificare che la nutrizione funzionale è una prescrizione medica, quindi per ottenere risultati specifici per le proprie patologie o malesseri, è necessario rivolgersi sempre ad uno specialista, tuttavia è vero anche che alimentandosi con combinazioni funzionali possiamo già prevenire quegli stadi infiammatori che poi degenerano in tante patologie. Fare prevenzione è lo step fondamentale.

Quale ingrediente ci consigli allora in questa stagione? 

In questo momento sono innamorata della catalogna. Una verdura amara che va ad aiutare il nostro fegato a detossinare il corpo. La possiamo cucinare in tanti modi, semplicemente spadellata in olio e.v.o con maggiorana e peperoncino, abbinata ad un piatto di pasta, ma anche accostata alle uova o al pesce. Funziona bene anche all’interno della pasta stessa con qualche gambero rosso messo a crudo.

Anche lo yoga può essere una medicina per stare bene?

Per me la pratica è terapeutica. Si dovrebbe avvicinare questa disciplina con l’aiuto di un insegnante, perché se apprendiamo bene possiamo portare beneficio a tanti problemi del nostro corpo. Lo yoga è davvero per tutti, da poco sono diventata teacher e ci tengo a ribadire che questa è la regola fondamentale. La pratica aiuta ad entrare dentro se stessi, ci insegna ad ascoltare il nostro respiro e solo così può funzionare al 100% . Ovviamente i benefici fisici sono tangibili, perché vai  a riossigenare i tessuti, tonifichi tutto il corpo, e se fatto in maniera dinamica diventa anche un’attività che ti permette di bruciare.

Allo yoga dinamico associo anche il kundalini, che si basa sull’aspetto spirituale della disciplina. Meditare tutte le mattine serve a conoscersi meglio e aumentare la nostra consapevolezza.

Quali sono invece gli ingredienti chiave della tua beauty routine?

Al pari dell’alimentazione ho anche diversi rituali beauty. Per il viso almeno due maschere a settimana a base di argilla o acido ialuronico. Grande cura nella detersione della pelle e nel trattamento con crema, contorno occhi e siero. Per il corpo, un fango a settimana per la ritenzione e un massaggio drenante.  La pelle e il corpo sono certamente il risultato di quello che mangiamo ma anche delle attenzioni che riusciamo a dedicarle.

Cosa non può mancare nel tuo armadio?

In questo momento storico una tuta felpata (che sia però super chic) e poi un paio di leggings.

Cosa non deve mancare invece nell’armadio di un uomo?

Un dolcevita bianco , magari abbinato ad una giacca in tartan o grigia. Lo trovo molto sensuale.

Progetti e desideri per questo 2021?

I progetti sono tantissimi, dal restyle completo del mio blog che vedrete molto presto, e ancora in progress un libro legato al cambiamento della mia vita dovuto anche allo yoga. Un altro sogno è quello di comprare una cascina vicino alla città, in Brianza, immersa nel verde e con tanto spazio per creare un mio angolo di pace per riconnettermi alla natura. La immagino come una casa in grande stile, lontana dalla vita frenetica e da condividere con chi amo.

AQUATIC CREATURES, LA LINEA HOME DECOR CHE SALVA IL MONDO ACQUATICO

Un mondo acquatico fantastico fatto di cavallucci marini, dalla Balena di Pinocchio, simpatici pesce palla mongolfiera, gruppi di razze, squali e delfini, fluttuanti sirene, Poseidone re dei mari e le magiche carpe tanto amate dai giapponesi. E’ l’universo di Aquatic Creatures, brand di design che ha creato una collezione Home Decor per impreziosire le vostre pietanze e le vostre tavole con l’intento ultimo di sostenere le fauna marina. 

I soggetti vengono creati da un team di illustratori, realizzati a matita e successivamente ricalcati a china; segue una scansione ad alta risoluzione per mantenere fedelmente le caratteristiche visive del disegno a mano.
Sono personaggi fantastici che abitano i mari e gli oceani, calcati dalla personalità che gli dona il tratto, la matita del creatore, sono il simbolo di un mondo perfetto dove ci si batte per la salvezza della specie. 


Aquatic Creatures sostiene Whale and Dolphin Conservation (WDC), la principale organizzazione benefica dedita alla protezione di balene e delfini. 
WDC si batte da 30 anni per comunicare che la conservazione di queste specie sono di vitale importanza per i nostri sistemi oceanici, poiché aiutano a mantenere una catena alimentare stabile e che, come individui viventi e altamente intelligenti, non dovrebbero soffrire costretti in gabbie per l’intrattenimento umano. 

Quello di Aquatic Creatures si rivela quindi non solo un bellissimo progetto di alto design, ma un’iniziativa nobile che dovrebbe interessare noi tutti, iniziando a prendere coscienza del mondo circostante e delle problematiche, informandoci sulle conseguenze delle nostre azioni e aprendoci ad una economia etica e sostenibile. 

Aquatic Creatures di Riccardo Capuzzo dona una parte dei profitti delle vendite a WDC, potete effettuare qui i vostri acquisti del cuore  https://aquaticcreatures.com

Locali Francoforte: dove bere ottima birra

Francoforte è una città bellissima da visitare in qualsiasi stagione dell’anno. Città natale del famoso scrittore scrittore Johann Wolfgang von Goethe e meta turistica per diversi motivi, fra cui senz’altro i tour della birra.

Per gli amanti della birra un viaggio in Germania è una grande tentazione, con o senza Oktoberfest. I bevitori appassionati non possono progettare un viaggio a Francoforte, senza pensare a degustazioni di bionde e rosse

Ecco quindi 5 locali dove bere ottima birra a Francoforte, ma prima vediamo quali sono le birre tedesche assolutamente da provare.

Birre tedesche da provare assolutamente

Non sapete quale birra bere nella patria della birra tedesca? Ecco le più celebri birre tedesche da provare:

  • Augustiner: questa birra è uno dei fiori all’occhiello della tradizione bavarese. Dal sapore fresco e leggermente speziato, perfetta da aperitivo o per accompagnare piatti di carne
  • Hofbräu: dal sapore dolce, questa birra è da gustare rigorosamente in un boccale da un litro accompagnato a un bel piatto tipico tedesco a base di carne
  • Kölsch: dal sapore leggero e piuttosto amare, si lascia bere facilmente a tavola, quindi non ci si limita mai a un bicchierino
  • Paulaner: un grande classico che piace a tutti e sta bene con tutto.

5 locali Francoforte dove bere birra

Ora vi portiamo e conoscere i locali di Francoforte dove bere ottima birra:

  • Doctor Flotte: Un tipico pub caratteristico nel cuore della città dove bere un grande boccale di birra.
  • Drosselbart: un beer garden che ha posto all’interno e propone piatti caldi tipici, accompagnati da tanti tipi di birra
  • Paulaner Am Dom: a Domplatz 6, nei pressi della famosa Cattedrale, c’è questa famosa birreria con interni in legno e botti di rame. Qui si consuma ovviamente la famosa birra Paulaner con ricco cibo tedesco.
  • Zum Gemalten Haus: beer garden accogliente dove bere ottima birra tedesca
  • Bier-Hannes: un tipico birrificio con pub e biergarten (ovvero un giardino della birra tipico tedesco). Tre le birre che propone alla spina: Zwickel Pils, Export Dunkel e Hefeweizen. Ci sono anche birre stagionali disponibili però solo in bottiglia. Qui si possono consumare anche piatti tipici tedeschi. Non è in centro a Francoforte ma in periferia, ma ne vale davvero la pena.

Infine per gli amanti delle visite cittadine, ma che non vogliono rinunciare alla birra tedesca potreste optare per il BierBike, ovvero un tavolo mobile dove si pedala mentre si beve birra grazia ad una botte sotto il tavolo con uno spillatore. Qui è necessario essere in più persone visto che i posti a sedere sono 16, ma è un’alternativa davvero carina no?!

Nicolle Boroni: una storia di coraggio e forza di volontà

Determinazione, coraggio e forza di volontà sono i valori con i quali è cresciuta Nicolle Boroni. La giovane trentina che oggi vediamo immortalata nel suo Instagram a scalare altissime vette e correre sulle Dolomiti si racconta a Manintown rivelando tutte le sue fragilità, anche quelle che per anni ha tenuto nascoste ma, che col passare del tempo, sono diventate il suo punto di forza. 



Nicolle, raccontaci di te.

Abito a Madonna di Campiglio, ho 27 anni e ho studiato lingue per il turismo ad Arco. Adesso organizzo eventi in un’azienda per il turismo a Madonna di Campiglio e in Val Rendeva. Diciamo che sono conosciuta per una disabilità (sono senza la mano destra) che mi ha segnato la vita e che ho voluto nascondere per molto tempo; ma adesso non ho più paura.

A che età è successo questo incidente?

E’ accaduto tre giorni prima del mio quinto compleanno, nella macelleria dei miei genitori, giocando con mio fratello: ho messo per errore la mano nel tritacarne. Per i miei genitori è stato un bello spavento, ma oggi sono davvero felici ed orgogliosi della ragazza che sono diventata.

Come è cambiata la tua vita da allora?

Quando sei bambina non ti rendi conto, non hai una completa consapevolezza di te stessa e del tuo corpo, nel bene e nel male. Andavo all’asilo ma non ci davo peso, fortunatamente. Non ho riscontrato problemi di bullismo, solo ogni tanto una leggere presa in giro, ma velata.

Mi ricorderò per sempre quando una volta trovai un vecchio articolo di giornale in cui in un’intervista mio nonno diceva “la parte più difficile sarà quando Nicolle si renderà conto che ha perso un pezzo di sé.” Purtroppo, aveva tremendamente ragione.



Gli anni più difficili sono stati quelli dell’adolescenza, quando realizzi di avere “qualcosa in meno”. Il periodo in cui l’ estetica gioca un triste ruolo fondamentale nella vita nei ragazzi al liceo. Dai 16 anni ho iniziato a prendere consapevolezza del fatto che ero diversa, che avevo effettivamente qualcosa in meno rispetto alle altre ragazze, mi sentivo inferiore. Cercando di nascondere questa mia parte, fingendo di essere normale al cento per cento. Non ne parlavo, evitavo l’argomento, come quando non si vuole nominare una brutta malattia. Anche nelle foto non postavo mai l’arto mutilato, e stessa cosa nei video. Quando mi dovevo presentare ad un ragazzo cercavo sempre degli escamotage: gli davo due baci “qui da noi va di moda fare così” e non porgevo mai la mano destra. Ho imparato a riempire questa mancanza fisica con altre caratteriste emotive, ero senza mano ma cercavo di colmare il vuoto essendo più espansiva e simpatica, così le attenzioni non ricadevano sull’aspetto fisico, bensì sul mio carattere.

Guardando il tuo profilo Instagram abbiano notato bellissime foto mentre fai diversi sport, addirittura scali le Dolomiti. Questa passione ha prevalso sulla paura?

Lo sport mi ha salvato. In particolare lo sci e l’arrampicata. Prima di farmi male sciavo e appena ho avuto la protesi mi sono rimessa in pista! I miei allenatori sono stati di grande aiuto, cercando di spronarmi. Sono arrivata seconda ad un gara di sci e da quell’istante ho capito che nulla era perduto. Un altro aspetto che mi aiutava era che i miei avversari, quando ero vestita da sci, non si accorgevano della mia mano. 

Non solo sci, faccio anche alpinismo, corro in  bici, e mi godo bellissime escursioni.



Parlando di sport estivi, sono stata segnata da un particolare episodio. Un professore una volta mi disse che non sarei mai riuscita per via della mia disabilità ad ottenere determinati traguardi sportivi. Le sue parole mi colpirono molto e per un periodo della mia vita gettai la spugna. 

Tuttavia, un giorno, delle mie amiche molto sportive mi hanno coinvolto in una scalata: grazie all’amicizia mi tornò la passione dell’arrampicata. Ora riesco a scalare una parete di grado 5c anche da prima e arrampico benissimo anche senza protesi! Un altro aiuto è arrivato dal “Brenta open”: un evento all’insegna della montagna inclusiva, basato sul concetto che i limiti della montagna valgono per tutti: risiede in ognuno di noi la capacità di cogliere al meglio le nostre peculiarità per superare gli ostacoli. Inoltre, io e altri due ragazzi senza gambe, abbiamo chiuso una via scaldando sopra al Rifugio Pedrotti, prendendo parte ad un bellissimo evento che parla di montagna inclusiva: “Le dolomiti accessibili a tutti.”



Cosa ne pensi dei social? Arma o potenziale? Limite o opportunità?

Assolutamente un’opportunità! Tantissime persone mi mandano messaggi di solidarietà e mi ringraziano per fargli tornare la voglia mettersi in gioco. Oggi sui social non nascondo più il braccio senza mano. Amo il mio corpo e lo mostro sui social, sono anche molto auto-ironica e ho imparato a vivere questa mia particolarità con leggerezza e spensieratezza. 

Vini cinesi: perché stanno invadendo il mercato europeo?

Dopo fiumi di parole e tanta attesa, sono arrivati finalmente in Italia i vini cinesi. La curiosità è davvero tanta. Il Gruppo Meregalli ha importato nel Belpaese ben quattro etichette di Chateau Changyu Moser XV. Ma come sono i vini cinesi? Conquisteranno i palati nostrani? Perché stanno invadendo il mercato europeo? Scopriamolo insieme.

Come sono i vini cinesi

La Cina rappresenta oggi il nono produttore di vino al mondo. I vini di questo straordinario paese sono tanti e il distretto principale è Helan Mountain in Ningxia, la regione identificata dal governo come cuore della produzione vitivinicola.

Ci troviamo nel centro del paese, in una zona desertica protetta dalle montagne e caratterizzata da clima continentale con scarse precipitazioni e inverni rigidi, ma un’ottima esposizione al sole. Questa provincia, grazie a significativi investimenti, ha conosciuto negli ultimi 20 anni una grande espansione e oggi sono ben 130 le cantine presenti, di cui alcune sul modello degli chateaux francesi e altre più piccole.

Changyu Moser XV è una cantina fondata nel 2013 con un investimento di 70 milioni di euro. I macchinari sono tutti altamente tecnologici. Il primo vino di cui parliamo è Helan Mountain Wine, un bianco, caratterizzato da aromi di pompelmo, frutta esotica e agrumi e come il rosso della stessa linea, Helan Mountain Red, non fa passaggi in legno ma solo acciaio. Il prezzo di ciascuna di queste bottiglie si aggira intorno ai 17 €.

L’altro vino bianco, invece, il Moser Family, di cui sono state prodotte 200mila bottiglie e il cui prezzo si aggira intorno ai 60€, è affinato in barrique francesi ed è una perla della produzione cinese.

Il vero vino di punta è però il Purple Air Comes From The Est, invecchiato per 24 mesi in ben 5 diversi tipi di botti francesi. Viene descritto come un vino con intensi profumi di frutti rossi e neri e con sentori di cedro, tabacco e un caldo tocco di vaniglia. Il prezzo si aggira oltre 200€ e quindi è un vino di alta fascia come quello prodotto da LVMH in Yunnan, provincia meridionale della Cina, e noto come Ao Yun.

L’Italia è uno dei primi produttori di vino al Mondo e forse non abbiamo bisogno di questo genere di vini, ma è bene conoscere le alternative sul mercato per non essere mai da meno e offrire al consumatore sempre una scelta varia.

Manintown Portraits: Lorenzo Seghezzi

La prima volta che ho incontrato Lorenzo Seghezzi eravamo in un caffè di Chinatown, era il 2018, Lorenzo studiava fashion design in Naba e aveva un appuntamento con una drag queen per consegnarle un abito fatto da lui.
Le sue idee erano già ben chiare due anni fa: lottare contro la mascolinità tossica, iniziare un dialogo sul mondo LGBTQ+, analizzare il binarismo di genere e utilizzare gli archetipi della moda per dare vita a un nuovo modo di concepire il guardaroba.
Nel frattempo Lorenzo si è diplomato, è stato selezionato per Milano moda graduate 2019 e Fashion Graduate Italia 2019, ha sfilato ad Alta Roma a gennaio 2020, è stato finalista degli Isko I- Skool Denim Design Awards 2020 e ospite speciale di Gender Project.
In questi due anni sono successe tante cose, il mondo queer ha cercato di far sentire la propria voce, il me too ha preso il sopravvento e abbiamo cominciato a porci diverse domande: Come si combatte il maschilismo? Possiamo mettere in discussione costruzioni sociali così longeve? Da dove partiamo per far sentire la propria voce? Come possiamo fare per creare una lotta sociale collettiva?
Ad alcune di queste domande è molto difficile rispondere, Lorenzo ha cercato di farlo all’interno delle sue prime tre collezioni, un’esplosione di riferimenti queer che ha un solo e unico obiettivo: combattere la mascolinità tossica attraverso l’abbigliamento.

Photographer Clotilde Petrosino/Vogue outtakes 

Producer & Stylist Alessia Caliendo 

MUA Romina Pashollari



Il tuo brand mette in discussione una serie di costruzioni sociali, vuoi parlarci un po’ del tuo percorso?
Sono Lorenzo Seghezzi, fashion designer milanese che va per i ventiquattro. Mi piace cucire capi d’abbigliamento che mettano in discussione tutti quei dogmi e quelle regole socialmente imposte per la società eteronormata cisgender ma troppo strette ed ostacolanti per tutte quelle persone che vengono collocate ai margini o addirittura escluse da essa. Cerco di esprimere questa sensazione di oppressione che la mia generazione (e non solo, ovviamente!) sente, tramite vestiti nei quali voglio integrare tecniche sartoriali e ispirazioni sempre diverse.
Creare vestiti è il mio sfogo personale, è quello a cui penso tutto il giorno e proprio per questo sto cercando di trasformare questa passione in un vero e proprio lavoro.

Photographer & stylist Rossocaravaggio

Model Giuseppe Forchia

Jewelry by Atelier Amaya

MUAH Mattia Andreoli




Recentemente hai subito un attacco di omofobia e cyberbullismo, cos’è successo?
Dieci giorni fa, un noto magazine ha pubblicato un bellissimo articolo riguardante il mio lavoro e la mia esperienza personale come parte della rubrica “The Queer Talks”, progetto fotografico di Clotilde Petrosino che vuole dare voce alla comunità LGBTQ+ raccontando le storie di coloro che ne fanno parte. L’articolo ha coinvolto un team eccellente che è riuscito a portare agli occhi di molti lettori tematiche di cui, a mio avviso, si parla ancora troppo poco. I problemi che il binarismo di genere arreca alla società in cui viviamo, i limiti imposti dalle etichette e dagli stereotipi e così via. L’articolo ha anche presentato una serie di miei ritratti scattati da Clotilde Petrosino stessa nei quali indosso capi delle collezioni di vari brand tra cui Versace, Vivienne Westwood e Antonio Marras selezionati dalla producer e stylist Alessia Caliendo e alcuni dei capi delle mie collezioni. Tra essi un corsetto che, a quanto pare, ha creato parecchio scalpore. Il pezzo ha avuto un riscontro molto positivo ma, come è normale che sia, ha avuto anche qualche commento negativo. Nulla di grave o che non mi aspettassi fino a quando più persone mi hanno fatto notare una serie di storie instagram pubblicate da uno stylist e fashion editor omosessuale abbastanza conosciuto nel settore della moda.
Questa persona ha criticato esplicitamente la mia figura dichiarando in modo becero quanto per lui un uomo con la barba e il corsetto faccia esteticamente schifo, quanto noi giovani siamo fissati ed invasati con i concetti di fluidità di genere, di non-binarismo e di lotta per i nostri diritti rimarcando quanto queste cose per lui siano superflue, urlate ed ostentate inutilmente. Non avendo inizialmente idea di chi fosse, ho pensato di lasciar perdere, ma poi ho saputo che questo comportamento era recidivo. Il mio tentativo di avere una conversazione e un confronto civile in privato è stato vano e ai limiti del surreale. Quando all’omofobia si aggiungono misoginia, transfobia e incoerenza totale, la situazione diventa ancora più grave. La quantità di sostegno e i messaggi positivi che ho ricevuto sono stati molto più di quelli che mi aspettavo. Spero vivamente che l’essersi confrontato con tutte le persone che gli hanno scritto dopo aver letto le mie storie lo abbia aiutato a capire che ha effettivamente esagerato e che un pensiero così chiuso non può più essere tollerato, nel 2021, da parte di una persona che vuole avere un ruolo nel mondo del fashion. Più di tutto mi auguro che questa spiacevole vicenda possa aiutare molte delle persone che si rivedono nel suo punto di vista a capire che non c’è bisogno di offendere, denigrare, sminuire il lavoro e la personalità altrui quando  si può parlare in modo civile ed educato.




Sono sempre di più le persone che gravitano intorno al mondo della moda che denunciano le malefatte di alcuni personaggi del settore, siamo finalmente pronti a un cambiamento?
Io sono convinto che il cambiamento stia già avvenendo in questo momento grazie a tutte le persone che trovano il coraggio e la forza di denunciare quello che è sbagliato e, vorrei aggiungere, controproducente per il settore stesso. Sono cresciuto sentendomi dire “preparati Lorenzo perché il mondo della moda è cattivo e meschino” ma sono pronto ad impegnarmi per renderlo un mondo stimolante ed onesto fondato sulla solidarietà e sull’unione delle menti creative.



Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
Sono tantissimi e diversissimi tra loro. Si passa dalle tavole anatomiche illustrate alla pittura surrealista di Ernst e Dalì, sono ossessionato dalle opere di Meret Oppenheim, di Alberto Burri e di Francis Bacon. Amo la letteratura di Pasolini e di Tondelli, il cinema di John Waters, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” di Greenway, le mie amiche drag e performer, la fotografia di Robert Mapplethorpe, le popstar e le rockstar degli anni 80, i vestiti di fine ottocento e inizio novecento, gli insetti, i rettili, gli uccelli, le venature del legno.




Sei stato ospite speciale di gender project dove hai presentato la tua ultima collezione “Queer Asmarina”, dicci qualcosa in più.
Ho avuto la fortuna di essere coinvolto nella seconda edizione di Gender Project, progetto nato a Londra dalla mente dell’artista, nonché ormai cara amica,Veronique Charlotte. Gender Project è un progetto no profit itinerante che ogni anno raccoglie i ritratti di cento persone della comunità queer di una città diversa per poi presentarli in una mostra Nel mio caso abbiamo pensato di approfittare del grande spazio per organizzare una sfilata di presentazione della mia collezione ss2021 “Queer Asmarina”. La collezione, realizzata durante il primo lockdown utilizzando materiali di recupero che avevo in casa, vuole essere un omaggio al rapporto più unico che raro tra la comunità africana e quella LGBTQ+ a Milano, in particolare nel quartiere di Porta Venezia. L’influenza della cultura africana nel quartiere è tanto forte che per decenni è stato chiamato “Asmarina” (“piccola Asmara”, capitale Eritrea) e negli ultimi anni è diventato punto di ritrovo per la comunità LGBTQ+ milanese. Basti pensare che in Eritrea, Repubblica Presidenziale monopartitica che di fatto è una dittatura totalitaria, l’omosessualità e il transgenderismo vengono, ancora oggi, puniti con la pena di morte per capire che questo è un fenomeno più unico che raro. Con zero budget, zero esperienza nell’organizzazione di eventi e in piena impennata di casi covid, insieme al mio compagno siamo riusciti ad organizzare un evento che ha avuto un riscontro positivo inimmaginabile per me e che ha coinvolto un sacco di persone fantastiche. Abbiamo addirittura dovuto ripetere la sfilata per due volte perché il numero di spettatori era troppo alto!



Quali sono i tuoi obbiettivi futuri?
Mi piacerebbe riuscire a definire il mio brand in modo ancora più professionale ed espandere la mia rete di vendita, arrivare ad avere una totale indipendenza economica, collaborare con altri artisti, organizzare nuovi eventi, migliorare le mie skills di sartoria e design, trovare nuove ispirazioni… Uno dei miei più grandi obbiettivi è quello di trovare uno studio spazioso adatto a lavorare in comodità. Mi piacerebbe anche molto comprare una macchina da cucire industriale.

Food tips: una ricetta gluten free

Filippo Cini (@filippocinireal), una laurea in economia aziendale appesa al muro e un’impastatrice sulla dispensa, si divide tra la gestione dell’azienda nel settore automotive e la realizzazione di ricette. Ama la pasticceria e la fotografia.

Il suo approccio, per quanto riguarda il food, parte dal concetto di “cucina dei ricordi”, cercando di far evolvere su un piano creativo e attuale il sapore della tradizione, anche perché il profumo di un piatto deve esaltarne il ricordo sensoriale ed emozionale.

Nel suo percorso di food blogger ha partecipato a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche, collaborando inoltre ad alcuni eventi di show cooking.
Adora le spezie, la cucina sensoriale e il cioccolato, sua grande passione! I dettagli, com’è noto, fanno la differenza, ma anche una nota speziata, pur sembrando a volte stonata, può portare ad un piatto gustoso, esaltandone in modo esponenziale la materia prima.

Sostiene di non ricercare la perfezione, bensì l’effetto ‘wow’, fedele al suo mantra «make it sweet: se tutto va storto fatti una torta al cioccolato!».

Per Man in Town ha pensato alla famosa cecina ligure (la base della ricetta è dunque una crespella fatta con farina di ceci), a come poterla declinare in modo nuovo, moderno eppure dal fascino retrò.



Un piatto gluten free e veggie per venire incontro a tutte le esigenze, leggero e dal sapore autunnale.

La farina di ceci è naturalmente senza glutine, molto proteica, ottenuta dalla macinazione dei ceci secchi; è un alimento salutare e la troviamo in numerosi piatti. La zucca, invece, è un ortaggio molto versatile quanto a usi in cucina, amico delle diete poiché il suo apporto calorico è di sole 18 Kcal per 100 grammi. Ricca di vitamina A, è fonte di potassio, fosforo, magnesio e ferro; notevole anche la percentuale di vitamina C e del gruppo B.
La parte “grassa” della ricetta è rappresentata dall’avocado, che apporta una buona dose proteica, e dalla maionese veg, che presenta la nota aromatica e cromatica della curcuma.

Un piatto che può essere una portata unica oppure un antipasto se “vestito” da finger food; per renderlo più light possiamo sostituire la maionese con una marinatura di olio, peperoncino e limone.

Ricetta per 2 persone

Per la crespella:
80 g di farina di ceci
5 g di bicarbonato

160 ml di acqua
1 cucchiaino di olio evo


Per il ripieno:
100 g di zucca
1/2 avocado maturo

sale

Per la maionese veg alla curcuma:

50 g di latte di soia

1 cucchiaino di curcuma

100 g di olio di semi
1 pizzico di sale
1 cucchiaio di succo di limone

Insalata:
sedano rapa

spinaci freschi

melagrana

olio evo, sale e pepe

Procedimento:
Preparate le crespelle di farina di ceci setacciando la farina di ceci con il bicarbonato; aggiungete l’acqua e l’olio evo, mescolate bene con una frusta e lasciate riposare qualche minuto. Scaldate bene una padella, ungetela con l’olio e cuocete le crespelle da entrambi i lati. Proseguite fino al termine dell’impasto e lasciatele freddare. Ricavate, con l’aiuto di un coppapasta, 6 crespelle.



Su una placca da forno foderata con carta forno mettete ben distanziata la zucca tagliata a quadratini, irroratela con olio evo e salate. Cuocete a 180 gradi in forno statico per 15/20 minuti.



Pulite l’avocado, tagliatelo a dadini ed irroratelo con succo di limone.

Preparate la maionese inserendo in un bicchiere alto il latte di soia, la curcuma e un pizzico di sale, mescolate con l’aiuto di un frullatore ad immersione, aggiungete a filo l’olio di semi continuando a miscelare. Aggiungete il succo del limone filtrato e continuate a mescolare; il succo aiuterà ad addensare la vostra maionese. Riponete la maionese in frigo per farla riposare.

Componete il vostro piatto andando ad alternare gli strati di crespella a quelli di maionese veg, zucca e avocado, come se fosse un millefoglie.



Servite le crespelle con un’insalata fatta con spinaci freschi, melagrana e fili di sedano rapa, il tutto condito con olio evo, sale e pepe.

Continuate a seguire le ricette di Filippo sul suo profilo @filippocinireal !

Produzione di energia pulita e fonti rinnovabili: la campagna crowdfunding di Dynamo

Le condizioni del nostro pianeta suscitano sempre più preoccupazioni, a causa di inquinamento e sfruttamento selvaggio di risorse che portano a conseguenze gravi come il riscaldamento globale. L’equilibrio dell’ecosistema si trova ad essere fortemente danneggiato e gli effetti prolungati potrebbero a breve diventare irreversibili.

L’allarme diffuso su questa tematica sta stimolando l’assunzione di un maggiore senso di responsabilità, sia da parte delle aziende che dei privati cittadini. Il settore energetico, a cui viene imputata buona parte delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, vive questa importante sfida come un’occasione di rinnovamento ed evoluzione, come succede per Dynamo Energies, società esperta a livello internazionale in ambito di produzione di energia pulita.

Attraverso l’utilizzo infatti di fonti rinnovabili come acqua, aria, terra e sole, le macchine Dynamo riescono a generare ed immagazzinare grandi quantità di energia, che possono servire a soddisfare il fabbisogno di elettricità, di acqua calda e di climatizzazione di case ed uffici, offrendo una preziosa indipendenza energetica. Che si tratti di un appartamento di 100 m2 o di uno spazio di 1.200 mq, questi impianti fotovoltaici assicurano elevata potenza e ottimizzazione dei consumi.

L’opportunità di fare del bene al pianeta è alla portata di tutti in vari modi, come per esempio grazie alla campagna di Equity Crowdfunding che è stata organizzata da Dynamo sul portale Extrafunding.it, dedicato proprio a raccolte fondi per le P.M.I., e che si è appena conclusa con notevole successo. È infatti stata superata la cifra di 453.000 euro, a testimonianza della grande fiducia che questo marchio e la sua visione riescono a suscitare.

Aiutare in prima persona a diffondere un modo di vivere più sostenibile vuol dire migliorare la salute del pianeta,  dando il proprio contributo per il raggiungimento degli obiettivi SDG (Sustainable Development Goals) di sviluppo sostenibile nel contesto dell’Agenda 2030, all’interno del quadro strategico delle Nazioni Unite:

  • innovazione e infrastrutture;
  • città e comunità̀ sostenibili;
  • agire per il clima.

Un impianto fotovoltaico di nuova generazione è infatti in grado, grazie a allo sviluppo tecnologico e all’adozione di forme solide, di recepire i raggi solari in maniera più efficace e continuativa rispetto ai tradizionali pannelli monodimensionali, e di garantire quindi una produzione energetica maggiore e costante.

Macchine affascinanti dai nomi evocativi come Monolite, Cubo e Piramide riescono a unire l’efficienza energetica con le linee eleganti del design italiano e a dare vita alla bellezza sostenibile, che si riallaccia alle  suggestioni antiche dei solidi platonici per lanciarsi verso la più ambiziosa modernità.

La sostenibilità viene perseguita in maniera concreta: basti pensare che grazie al modello Piramide, per esempio, è possibile evitare in un anno circa 30 tonnellate di emissioni di CO2, rispetto ad un sistema energetico di tipo tradizionale. Un bel passo in avanti verso un futuro migliore, da vivere non più in contrapposizione ma in armonia con l’ambiente.

Questo complesso percorso è facilitato da attività come la campagna di crowdfunding, accolta con così grande partecipazione, che ha permesso di investire in energia pulita, bellezza e tecnologia e di collaborare a ridurre l’attesa che ci separa dal mondo che verrà.

Stile a ritmo di musica. Parola di Susanna Ausoni

Stylist milanese con il pallino del vintage, Susanna Ausoni ha iniziato la carriera come look maker. Il suo percorso nella moda è iniziato quasi casualmente, grazie a un outfit collegiale indossato al lavoro nel negozio Fiorucci in centro, notato da Paola Maugeri. Da lì in poi si è dedicata allo styling e alla consulenza d’immagine, diventando negli anni Duemila responsabile dello stile di MTV Italia e collaborando con diversi brand, aziende ed etichette discografiche alla realizzazione di campagne pubblicitarie, spot e progetti legati alla comunicazione.
Ha curato lo stile di numerose personalità d’eccezione del mondo dello spettacolo (Michelle Hunziker, Daria Bignardi, Victoria Cabello, Virginia Raffaele solo per fare qualche nome) e musicale, unendo così due delle sue principali passioni, moda e musica, appunto. L’elenco dei cantanti da lei seguiti comprende Carmen Consoli, Mahmood, Nek e Dolcenera, e nell’ultima edizione del Festival di Sanremo ha firmato gli outfit di Francesco Gabbani e Le Vibrazioni.



Abbiamo parlato di tutto ciò, e anche di altro, nell’intervista che potete leggere di seguito.

Come è nata la tua passione per la moda e come ci sei arrivata?

La mia passione per la moda credo sia sempre stata nell’aria. Un gene che viene non so da dove o chi, forse dalle crinoline delle gonne anni ‘50 ereditate da mia nonna Gioconda, oppure dalla pittura, mia grande passione. La cosa più bella rimane l’emozione che continuo a provare ogni qualvolta mi trovi a maneggiare certi look, avendo la possibilità di toccarli con le mie mani. Mi emoziona molto entrare in contatto con la creatività altrui, mescolare le immagini fondendole con la personalità dell’indossatore o con ciò che viene indossato, magari perché sono sempre stata interessata alle contaminazioni, agli incontri; è così che svolgo il mio lavoro. 



Come sono arrivata nel mondo della moda, non saprei… Diciamo che è stato lui ad arrivare a me, attraverso altre forme creative. Direi quindi in un modo del tutto casuale.


Oltre alla moda, nella tua vita è da sempre protagonista la musica. Raccontaci del tuo lavoro e
delle tue esperienze a MTV Networks.

La mia è una lunga storia d’amore con la musica. Ho iniziato a svolgere questo lavoro facendo televisione musicale e videoclip. Se è vero che attraiamo ciò che desideriamo profondamente, io ho sempre amato la musica, di tutti i generi, dall’hardcore punk alla classica. Non mi sono mai limitata ad ascoltarla, l’ho osservata usando sin dall’inizio la vista, un senso non richiesto.
Mi sono sempre piaciute le differenze e le diverse immagini rappresentate dai generi musicali, ho ampliato questi contesti spontanei affiancandoli alle proposte fashion.

Quando lavoro con un musicista parto da lì, ascolto il suo progetto musicale, ma non mi limito al sentire, lo guardo.

MTV è stata la miglior scuola formativa che avessi potuto desiderare. Si respirava nei corridoi l’aria di una cultura visiva che non aveva confini geografici, molto cosmopolita.

Ho capito da subito che sarebbe stato il miglior contesto per inserire contenuti di moda, che spesso fanno fatica a passare attraverso la televisione, e così ho fatto. È stato un esercizio di stile durato oltre dieci anni, di cui serbo un ricordo indelebile.



Nella pratica lavorativa non avevamo nessun vincolo redazionale, nessun imposizione dagli sponsor, il contrario di quanto succede ora con gli influencer. Usavamo quello che ritenevamo fosse più innovativo. Mischiavamo, trasformavamo, costruivamo, passando da Chanel alle ragazze di Prato che customizzavano i Levi’s facendone gonnelloni hippie, alle t-shirt vintage con appeso il cartellino con nome e foto di chi le aveva indossate prima.

Di MTV Networks ho molti ricordi. Sono stati anni, per la televisione non generalista, irripetibili. Un team lavorativo che ha generato figure professionali di alto profilo, giovani di grande talento, molti dei quali sono diventati ora professionisti affermati, come Nicolò Cerioni o Lorenzo Posocco.

Ho capito solo dopo cosa volesse dire lavorare in tv, lasciando il microcosmo in cui mi muovevo.

Ho imparato che ci sono tante figure professionali che intervengono sulla decisione del look durante la fase di produzione televisiva, aspetto con il quale non mi ero quasi mai confrontata prima. Da MTV non esistevano gli autori, noi avevamo figure come i producer.

Ora che è finita posso dire che quell’esperienza ha rappresentato, per me, la scoperta di un universo professionale e televisivo nuovo, con regole che ignoravo e ho imparato ad ascoltare, trasformando il tutto in un mio personale dialogo visivo.

Raccontaci qualche aneddoto o esperienza che ti hanno influenzato a livello professionale e personale.

Quanto agli aneddoti più recenti: lo scorso anno ho vestito, per il palco dell’Ariston, la band ospite più anziana, a livello anagrafico e di percorso artistico, del Festival di Sanremo, I Ricchi e Poveri, e contemporaneamente la più giovane dei big ospiti, la meravigliosa Francesca Michielin. Nel mezzo, le potenti Vibrazioni ed il sorriso e il talento di Francesco Gabbani. Un mix interessante, direi.



Quali sono i designer che hanno influito sulla tua visione e ti hanno ispirato nel lavoro?

I designer che hanno influenzato il mio percorso creativo sono tanti: Riccardo Tisci per la sua genialità, il coraggio, la sensibilità; sicuramente Margiela, la sua sperimentazione; Coco Chanel per la sua storia personale, per il suo “caricare” l’outfit e poi togliere, vedendo da lontano chi vestiva.

Trovo ispirazione anche in quello che non mi piace personalmente, che non indosserei, e apprezzo moltissimo chi contamina il suo lavoro con altre forme d’arte.


Sempre in tema di musica, hai portato sul palco dell
Ariston di Sanremo tante novità. Come hai lavorato per rinnovare il festival più seguito dagli italiani?

Se devo riportare la cosa più rischiosa o per me innovativa che abbiamo fatto è stata quella con Alessandro (Mahmood, ndr): portare sul palco dell’Ariston, in prima serata su Rai 1, il volto di ‘Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino’, facendogli indossare una t-shirt di Raf Simons che la ritraeva. Un film generazionale e musicale iconico. Un pugno nello stomaco forte. Due generazioni a confronto: lui è parte di una nuova, bellissima, multietnica e moderna; lei di quella berlinese separata dal muro degli anni ‘80, con David Bowie-Ziggy Stardust come colonna sonora. Il vecchio ed il nuovo, lì insieme.

Il Festival di Sanremo è la festa della musica più stimolante che ci sia nel nostro Paese.



Ho iniziato molti anni fa, con la leggerezza di una creativa giovane e piena di entusiasmo. Non ho mai sentito il peso di quel palcoscenico, dato dall’importanza, la storia e il valore che rappresenta.

Ho permesso il bicolor nei capelli e vestito di oro e pizzi, quando sarebbe stata una passeggiata optare per un bell’abito nero lungo. Ho cercato di diventare la cassa di risonanza di chi avevo di fronte, in una chiave molto personale, perlomeno con un tentativo di originalità. Non mi sono mai trovata a mio agio nel percorrere la strada più facile.


Segui personaggi maschili come Mahmood. Che percorso di stile hai costruito con lui? Quale look ricordi tra i suoi più forti?

Ho un particolare curioso su Mahmood: non dovevo seguirlo a Sanremo l’anno della sua vittoria, nonostante l’abbia preparato per buona parte dei suoi lavori, incluso il Sanremo Giovani di qualche anno prima.


In quel momento stavo già lavorando a un progetto ambizioso, la conduzione di Virginia Raffaele, ed ero concentrata sullo styling del mio caro amico Nek.

Vedere poi Mahmood presentarsi come un “bambolotto”, con il look di Rick Owens e i pantaloni a ventaglio che gli avevo scelto per la serata, mi ha commosso un po’.
Vederlo vincere è stata un’emozione grande.

Cerco sempre di dare un messaggio che non sovrasti la musica, che, per un musicista e il suo pubblico, è il centro di tutto.

Tra i personaggi femminili, invece, quello che ha rappresentato per te una sfida, a cui ti senti particolarmente legata?

Tra i personaggi femminili che ho la fortuna di vestire ci sono donne molto diverse, di grande talento e sensibilità. Ho portato sul palco di Sanremo con Virginia Raffaele creatori di moda come Schiaparelli, in omaggio alla stilista che veniva definita da Coco «quell’artista italiana che fa vestiti».


La sua prima collezione, risalente al 1938, si chiamava Circus;è dal circo che proviene Virginia, mi sembrava un’immagine ed un racconto bellissimo da proporre. Giambattista Valli, il giovane Lorenzo Serafini, il maestoso Giorgio Armani l’hanno accompagnata ogni serata in questa rappresentazione nella cornice prestigiosa del Festival.

Non è stata la prima volta che ho vestito la conduttrice sul palco dell’Ariston: l’avevo fatto tanti anni prima con Victoria Cabello in Miu Miu, una capsule collection creata per lei appositamente da Miuccia Prada.

Hai anche aperto un vintage store a Milano, come è nato questo progetto?

Uno degli ultimi progetti, certo non per importanza, è Myroom Vintage Shop, appunto la mia stanza.

La mia passione per il vintage, gli accessori, gli oggetti… Il mio caos di colori e bellissimi vestiti che non mi appartengono, ma sono di chi se li accaparra.

Una boutique di ricerca, il mio luogo di partenza e d’arrivo.
Di qui passano tutti e buttano la testa dentro, anche per un semplice ciao.

Ci puoi trovare un pezzo degli anni ‘70, una Chanel o una nuova Prada, disposti sui cavalletti originali della pittrice Felicita Frai, famosa per le donne dipinte con corone di fiori nei capelli e per aver affrescato a mano una sala da ballo della storica nave italiana Andrea Doria.

Nel suo ex studio, che ora è la mia casa, c’è un oblò sulla parete del salotto.


Quali
sono le tue prossime avventure professionali e i sogni nel cassetto?

Le prossime avventure professionali le racconterò appena terminate.

Per me un progetto esiste solo quando lo porto a compimento e lo consegno nelle mani, e negli occhi, di qualcun altro. I miei cassetti contenenti sogni sono aperti… E hanno occhi su tutto il mondo fuori e dentro di me. Fintantoché sarà così, rimarrò nel giro. Quando saranno chiusi, mi rintanerò nella mia stanza per cercare altre forme creative dai mille colori.

Trap game: il nuovo libro di Andrea Bertolucci

Nato all’alba degli anni ’90, Andrea Bertolucci è un giornalista e scrittore esperto di cultura giovanile e si occupa di trap fin da quando questa ha mosso i suoi primi passi nel nostro Paese.
La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali, con le quali tuttora collabora. Per Hoepli è appena uscito il suo libro “TRAP GAME. I sei comandamenti del nuovo hip hop”, che vede la partecipazione di alcuni fra i principali artisti sulla scena italiana. 



Raccontami della tua passione per la musica trap

Arrivare a raccontare la mia passione per la trap è impossibile senza prima raccontare quella per l’hip hop, che nasce quasi per caso, da ragazzino. Avevo quindici anni e nessun interesse per il rap: suonavo la batteria in una band punk, erano gli anni dei Green Day e dei Blink-182, degli Offspring e dei Linkin Park. La svolta è avvenuta nel 2006, anno dell’unico concerto di Jay-Z in Italia. Non ci volevo proprio andare, ma un’amica dell’epoca mi ci ha trascinato, quasi a forza. Eravamo vicinissimi, sotto al palco percepivo le vibrazioni newyorkesi di Mr. Carter: erano gli anni del “Black Album”, delle collaborazioni con Kanye West, della New York “Empire State Of Mind”. Sono rimasto letteralmente folgorato da quel live, durato quasi tre ore, e da lì ho iniziato ad appassionarmi a questa musica e a questa cultura. Crescendo poi ho iniziato a frequentare la scena di Milano – la città in cui vivo – dove dal 2010 hanno iniziato a svilupparsi le vite e le carriere di quelli che oggi sono i principali artisti trap italiani, alcuni dei quali sono diventati anche miei amici. Artisti che oggi riempiono i palazzetti, li ho visti soltanto sei anni fa con 50 persone sotto al palco. 



Come è nata l’idea del libro?

Ho iniziato a pensarci dopo la tragedia di Corinaldo, che aveva scosso l’Italia e portato la trap agli onori delle cronache. In quel momento, è iniziato un processo mediatico che non ha precedenti e si protrae tutt’oggi, in cui la colpa di qualsiasi problema o incomprensione generazionale è da attribuire alla trap. Magari la trap avesse tutte queste responsabilità: sarebbe anche molto più semplice risolverle!
Ecco che allora ho iniziato a lavorare su un libro che potesse far incontrare l’amore che tanti giovanissimi hanno per questa cultura, con la necessità dei loro genitori di capirci di più. E devo dire dai molti messaggi che mi arrivano su Instagram, di esserci riuscito. Proprio pochi giorni fa mi ha scritto una mamma per dirmi che grazie a “TRAP GAME” aveva trascorso del tempo per leggerlo assieme a suo figlio e aveva abbattuto molte incomprensioni generazionali. Cercare di capire una cultura complessa come questa, che ovviamente porta al suo interno profonde contraddizioni e cicatrici, è il primo passo per poterla anche criticare. 



Le 5 cose da sapere sulla musica trap?

Per capire innanzi tutto gli eccessi e le provocazioni che porta con sé questa cultura, occorre sapere che è profondamente legata ad un senso di riscatto, di redenzione verso una vita che prima non ha concesso niente se non povertà e preoccupazioni. 

Un altro trait d’union che collega molti artisti trap, è la totale indifferenza – che spesso si trasforma in provocante irriconoscenza – nei confronti della vecchia scena hip hop: alcuni di loro durante le interviste fanno addirittura finta di non conoscere i nomi portanti della old school.

Tutti gli artisti trap hanno un profondo legame con il blocco, che non a caso è anche uno dei “sei comandamenti” del mio libro. In questo senso, c’è invece un filo rosso che lega questa alla scena precedente: il legame territoriale è sempre stato essenziale e unisce oggi tutti i quartieri e le periferie del mondo che trovano negli artisti trap i propri rappresentanti territoriali.



Rappresentare un territorio o una scena, significa anche scontrarsi con gli altri per mantenerne alto il nome. Ecco che nascono i dissing, litigi che possono assumere di volta in volta forme diverse (dalle barre di una canzone fino alle Instagram stories) e che vedono gli artisti (e non solo) uno contro l’altro.
Infine, la quinta e ultima cosa da sapere è che la sostanza prediletta dalla cultura trap è la coloratissima – ma non per questo meno dannosa – lean, chiamata anche purple drank per via del colore viola. Si tratta una miscela ottenuta combinando sciroppo per la tosse a base di codeina insieme a una bevanda gassata, generalmente Sprite e la cui diffusione maggiore coincide con il boom dei social network, che ne fanno uno dei tanti ingredienti dell’ostentazione, al pari di una giacca di Vuitton o dell’ultimo modello di Lamborghini. 

Come è nato e si è sviluppato questo fenomeno?

La musica trap è nata ad Atlanta in un momento imprecisato all’inizio degli anni 2000 all’interno delle “trap houses”, delle case – molto spesso abbandonate – presenti nei sobborghi delle metropoli americane, nelle quali veniva prodotta, venduta e consumata ogni tipo di droga. L’ascesa di popolarità di questo genere ha coinciso però con l’ascesa dell’organizzazione criminale della Black Mafia Family, nota per le spese considerevoli e uno stile di vita esagerato. La BMF ha tentato di ripulire una buona parte dei proventi guadagnati dal traffico di sostanze, lanciandosi nel business della musica hip-hop e avviando la BMF Entertainment. Oltre al beneficio di riciclare i soldi, la musica trap era anche lo strumento narrativo e propagandistico di questa organizzazione: i primi trapper sono veri e propri aedi dei trafficanti e degli spacciatori. Bisognerà aspettare però i primi lavori di T.I. e Gucci Mane – fra il 2003 e il 2005 – per una diffusione più ampia di questa musica, fino agli anni ’10 del nuovo millennio in cui molti produttori iniziano a mescolare le sonorità trap con note decisamente più EDM, contribuendo alla sua diffusione a livello mainstream. 



Parlaci dei temi più frequenti e dei tuoi brani preferiti

I temi più frequenti sono proprio quelli che nel libro ho definito “i sei comandamenti”, dedicando un capitolo ciascuno. I soldi, da cui passa buona parte della voglia di riscatto di questa cultura, il blocco, di cui abbiamo parlato poco fa, lo stile, che si può declinare in tante sfumature differenti. Ma anche – ovviamente – le sostanze, che accompagnano la trap lungo la sua storia, le donne, uno dei temi su cui viene maggiormente criticata e la lingua, che indubbiamente sta contribuendo a trasformare. L’evoluzione di questi ultimi anni ha portato la trap a non essere più un unico blocco, ma ad avere molte sfumature differenti. Personalmente, amo molto artisti come Travis Scott, che stanno reinventando lo stile giorno dopo giorno, ma anche buona parte della scena francese, dai decani PNL – unici artisti ad aver girato un videoclip nel punto più alto della Tour Eiffel – fino ai più giovani MHD e Moha La Squale.



Come hai selezionato i musicisti?

Erano tutti perfetti portavoce dei rispettivi comandamenti, per un motivo o per l’altro. Con alcuni è nato casualmente, con altri eravamo già amici prima di lavorare al libro, con altri lo siamo diventati grazie a “TRAP GAME”. Quello che li unisce è l’appartenenza alla scena italiana e ovviamente una profonda consapevolezza della propria arte, che ha permesso di scrivere assieme i vari capitoli. Diversa è la storia delle prefazioni, che sono ben due. La prima è affidata ad Emis Killa, che non ha bisogno di presentazioni. Volevo uno dei padri dell’hip hop in Italia, che dicesse la sua e guardasse anche un po’ dall’alto questi giovani trapper. L’altra è una vera chicca per gli appassionati, ed è firmata da TM88, uno dei maggiori produttori al mondo e tra gli inventori del sound trap. Posso dire che è davvero un grande onore per me, non smetterò mai di ringraziare il mio amico Will Dzombak (manager di Wiz Khalifa e di molti altri artisti americani) per questo regalo.



Musica trap e moda: come dialogano questi mondi? L’identikit fashion del trapper…

Una delle più evidenti cesure tra la vecchia scena e quella nuova si gioca proprio sul terreno della moda, che assume anche in questo caso un carattere maggiore di ostentazione e provocazione. I comuni baggy jeans che indossavano i rapper negli anni ’90,si trasformano in costosi e attillati Amiri che cadono sopra sneakers sempre diverse e customizzate, linee firmate spesso in partnership con gli stessi artisti. Le t-shirt si riempiono con loghi di brand sempre più attigui all’alta moda e questi ultimi iniziano a strizzare maggiormente l’occhio agli artisti, portandoli a sfilare, uno dopo l’altro, in passerella e contribuendo alla nascita dello “streetwear di lusso”. 



Se oggi ci stupiamo e talvolta indigniamo di fronte a foto che ritraggono centinaia di ragazzi che passano la notte in fila per “coppare” un paio di Yeezy o di NikeXOffWhite, oppure di fronte ai video YouTube nei quali troviamo dei giovanissimi hypebeast intenti a mostrare il valore del proprio outfit, troviamo la risposta proprio nella trap e nei suoi protagonisti. Stessi brand, stesse movenze, stessa ricerca dell’esclusività all’interno di un mercato che tende a uniformare.

La playlist che consigli per avvicinarsi a questo genere?

Cinque canzoni americane e cinque italiane, per degustare entrambe le scene. In America piantiamo le basi con Gucci Mane e T.I., i due “padri fondatori”, per poi spostarci su vere e proprie hit che hanno fatto la storia, come “XO Tour Llif3” di Lil Uzi Vert (prodotta fra l’altro da TM88, che ha scritto la prefazione di “TRAP GAME”) “Sicko Mode” di Travis Scott e “Bad and Boujee” dei Migos. Venendo all’Italia, ho inserito “Cioccolata” di Maruego, che considero il primo brano trap prodotto nel nostro Paese e “Cavallini” della Dark Polo Gang feat. Sfera Ebbasta, che segue a ruota. Per finire, la mia canzone preferita di Sfera – “BRNBQ” – e due hit italiane: “Tesla” di Capo Plaza con Drefgold e Sfera, e la versione remixata da Achille Lauro e Gemitaiz del brano di Quentin40, “Thoiry”. 



Fondotinta per uomo: sì, avete letto bene

Il fondotinta, uno dei prodotti per il make up più utilizzato dalle donne, oggi vede la sua forma come fondotinta per uomo. Il suo impiego aiuta a correggere le piccole imperfezioni del viso maschile, ma offre anche una maggiore sicurezza di sé nella vita quotidiana.

L’uomo moderno non usa solo il profumo per sedurre e conquistare, ma anche la bellezza del proprio viso curato. Il make up uomo viene usato comunemente per coprire e nascondere occhiaie, brufoli, macchie, rughe e segni del tempo. Anche lo stress influisce non poco sulla bellezza della pelle del viso maschile e i segni di affaticamento si notano subito sul volto.

Esistono linee cosmetiche come Chanel, Clarins, Collistar, Biotherm, che hanno creato set di bellezza specifici per il trucco maschile. Per un uomo oggi è fondamentale essere sempre bello e impeccabile e “a prova di scatto”. Non solo per i social network che sono una presenza incombente nelle nostre vite, ma anche per un colloquio di lavoro o un’occasione speciale.

Fondotinta uomo per una pelle perfetta

Quali sono i migliori cosmetici maschili da usare? Se è vero che esistono prodotti make up per un trucco che c’è ma non si vede (basti pensare al fondotinta e al correttore), ci sono altri prodotti specifici per sottolineare l’estro maschile (come eyeliner e smalti).

Noi ci focalizzeremo sui prodotti per un effetto naturale. Prima di applicare qualsiasi make up e in particolare il fondotinta uomo, è bene usare un gel detergente viso per la pulizia quotidiana della pelle, una crema antirughe idratante e una crema contorno occhi. Senza dimenticare di tenere anche in ordine la barba.

Dopo questi passaggi essenziali, si può passare all’applicazione del fondotinta. C’è chi preferisce la BB cream, ossia una crema colorata leggera e idratante più semplice da applicare. Il fondotinta copre maggiormente le discromie del viso e le piccole imperfezioni, rende la pelle bella e luminosa e ha un effetto anti-age.

Si può applicare con i polpastrelli e spalmarlo come una qualsiasi crema o usare un pennello specifico. Inoltre il fondotinta è solitamente a lunga durata, no transfer e con protezione solare inclusa. Disponibile in decine di tonalità diverse, è importante scegliere la tonalità giusta per la propria pelle per evitare l’effetto mascherone finto. Meglio radersi prima di applicarlo ed evitare la zona occhi.

Anno nuovo, film nuovi: tutto il meglio del cinema del nuovo anno

Con l’inizio del nuovo anno è bene aggiungere ai buoni propositi anche un bel po’ di cinema, dalle nuove uscite ai cult da non perdere. Il tempo, per s/fortuna, è dalla nostra: si è costretti a restare a casa non solo per il lockdown, ma anche per il clima ben poco clemente. La soluzione? Un bel film da guardare tutti assieme sul divano. Non c’è niente di meglio che allontanare preoccupazioni e freddo stando in panciolle a vedere del buon cinema.

Ecco i film da vedere

Resta solo un dilemma, quale film scegliere? È questa la decisione che può mandare in frantumi la migliore delle serate di relax totale. Per gli eterni indecisi, per chi è in cerca del classico dei classici o per gli appassionati delle novità e delle perle poco conosciute, questo nuovo anno si apre con un aiuto proteso ai tanti che non sanno cosa guardare: la classifica del sito NientePopcorn, la community di cinefili dove si possono trovare tutti i film da non perdere per trascorrere una serata in compagnia di un bel po’ di buon cinema. Il sito potrebbe essere definito come un vero e proprio “tempio del cinema”, il forziere dei film e delle serie tv che permette di trovare il titolo giusto da vedere in tv, su Netflix, su Amazon Prime, su Infinity, su Sky o ovunque sia disponibile legalmente. Ecco un piccolo assaggio, preso da NientePopcorn, sulle nuove proposte e sui cult da non perdere con l’inizio di questo nuovo anno.

Il traditore

Arriva con l’inizio del nuovo anno su Netflix un film che è piaciuto sia al pubblico che alla critica, Il traditore con un impareggiabile Pierfrancesco Favino nel ruolo del boss pentito di Cosa Nostra, Tommaso Buscetta. Marco Bellocchio dirige questo spaccato di storia italiana, ricostruendo i fatti accaduti nel corso degli anni ’80, quando Don Masino (così veniva chiamato Buscetta) decide di condividere le informazioni che aveva sulla mafia con il giudice Giovanni Falcone. Il duo Favino-Bellocchio è una combo vincente che ha regalato al cinema una perla da vedere, e rivedere, quanto prima!

I am Greta

Amazon Prime Video ha abituato i suoi utenti con uscite inedite e con documentari su personaggi noti dell’attualità, lo ha già fatto con Chiara Ferragni – Unposted e stavolta vira su un’altra, formidabile, donna, l’attivista Greta Thunberg. I am Greta è il docufilm con cui la piattaforma di streaming di Amazon inaugura il 2021 ed è una carrellata sull’impegnata vita della coraggiosa svedese, il risultato di una scrematura di oltre 200 ore di girato che ha già catturato attenzione, e cuore, di tanti spettatori.

Motherless Brooklyn – I segreti di una città

Su Sky il nuovo anno viene inaugurato con la prova registica di Edward Norton, l’attore noto per pellicole come Fight Club o La 25° ora ha voluto sfidare sé stesso con un lungometraggio che lo ha visto prendere il triplice ruolo di sceneggiatore, regista e attore. Il film è tratto dal romanzo Motherless Brooklyn (tradotto in italiano in Brooklyn senza madre) di Jonathan Lethem ed è un noir ambientato negli anni ’50, sorprendente per l’indiscutibile bravura di Edward Norton. Motherless Brooklyn, consigliato per inaugurare il nuovo anno con stile.

Hitchcock

Per concludere questa rassegna, è bene ricordare, infine, che su TimVision saranno disponibili, con l’inizio del nuovo anno, tutti i cult firmati dal re della suspense Alfred Hitchcock: da Uccelli a La finestra sul cortile fino a Psycho e a La donna che visse due volte, tutti cult imperdibili da vedere e rivedere fino allo sfinimento!

Cardigan sotto la giacca: sì o no? 4 regole di stile

Ci sono indumenti che non passano mai di moda, ma che si trasformano, adattandosi ai gusti del tempo, e che resistono a qualsiasi moda passeggera. Uno di questi è sicuramente il cardigan. Per capire come indossarlo sotto la giacca, è bene scoprire prima le caratteristiche di questo modello intramontabile.

Come indossare il cardigan

Il cardigan è un indumento camaleontico. Simile a un maglione, ma con un’apertura frontale come quella di una giacca, il cardigan non ha un colore iconico, come il beige per il trench, né un tessuto particolare. Ed è proprio questa la sua forza: si adatta a qualsiasi tipo di stile ed è unisex

Il secondo punto di forza di questo indumento è che si può indossare in qualsiasi stagione. In inverno come sotto giacca, prestando attenzione agli abbinamenti di colore e ai tessuti, in estate nelle sere fresche e nelle mezze stagioni per salvare l’outfit quando non sappiamo come vestirci.

4 regole di stile per indossare il cardigan in modo corretto

Ecco 4 regole di stile per indossare il cardigan come sotto giacca:

  • se è troppo aderente, è la taglia sbagliata. Il cardigan perfetto è morbido e non fascia le forme. Non deve essere neppure lungo o largo. Per capire la misura basta fare attenzione alla cucitura delle spalle e per la lunghezza deve coprire la cintura, ma non andare oltre le tasche dei pantaloni.
  • il colore è importante. Se gli abbinamenti non sono il vostro forte, scegliete uno a tinta unita e colori come beige per la donna e blu, grigio, marrone, bordeaux per l’uomo. Sono molto utilizzate anche le fantasie come scacchi e rombi. In questo caso la camicia sottostante badate bene che sia a tinta unita e lo stesso vale per la giacca.
  • il cardigan ideale ha i bottoni, ma per un look più casual c’è la versione con cerniera. Per un look da vero dandy, basta abbinare il cardigan come sotto la giacca a pantaloni dal taglio sartoriale, stivaletti in pelle e camicia. Il tocco in più è una sciarpa in cashmere da indossare aperta, senza girarla intorno al collo.
  • Bottoni e cerniera in questo caso i bottoni sono simbolo di eleganza e quindi in caso di un incontro formale optate per un cardigan con bottoni, un cardigan con cerniera è invece ideale nel tempo libero per un abbigliamento pratico e casual.

EGO Airways: la nuova compagnia aerea tutta italiana

EGO Airways è la nuova compagnia aerea tutta italiana che punta a diventare protagonista dei nostri cieli. La start up nasce da una cordata di imprenditori, molti dei quali con alle spalle un’esperienza pluriennale nel settore aeronautico. Le redini del vettore sono state affidate a Matteo Bonecchi, CEO, nonché ideatore e fondatore di EGO Airways, che porterà nella nuova compagnia aerea le esperienze maturate lavorando per Alitalia, Airbus, Air Europe. Il COO è Edoardo Antonini, ex pilota di Boeing per Alitalia e Air Europe, mentre il Presidente è l’imprenditore Marco Busca (socio e vicepresidente O.C.P. Group). E proprio O.C.P. Group (Officine Cooperatori Piacentini) è l’investitore principale: società di investimenti fondata nel 1980 a Piacenza con l’obiettivo di sviluppare servizi di logistica e per i trasporti via terra, si è successivamente diversificata nel settore farmaceutico e attualmente ha investito in ambito energetico e in quello dell’intelligenza artificiale. Hanno partecipato al progetto fin dall’inizio Gabriella Vanlamsweerde, Responsabile Tour Operator; Marilena Bisio, Responsabile Commerciale; Denise Zatti, Responsabile Marketing e Veronica Posteraro, Responsabile Alleanze Estero.



Un servizio tailor made con la possibilità di personalizzare la propria esperienza di volo tramite sito web: un vero e proprio servizio à la carte che permetterà di acquistare servizi aggiuntivi come, ad esempio, un’auto privata da/per l’aeroporto o un hotel per un weekend romantico. Menù golosi (nel rispetto delle ultime prescrizioni Covid-19) a base di prodotti freschi italiani, e poi pasti vegani, proteici e super healthy per chi non vuole rinunciare al proprio stile di vita neanche quando viaggia. Saranno tre le classi di volo, dalla JUST GO alla LOUNGE alla PRIVATE; uniformi firmate da Andres Romo, direttore creativo di EGV1, società specializzata del settore teamwear; comfort e design a bordo; aeromobili accoglienti con interni estremamente curati: sono alcuni degli ingredienti dell’esperienza di volo targata EGO Airways, che punta a ricreare il savoir-faire italiano anche a diecimila metri di quota. Sugli aerei inoltre, grazie alla professionalità e preparazione degli assistenti di volo, i passeggeri potranno vivere esperienze di gusto legate tanto al territorio di partenza quanto a quello di destinazione.

La flotta sarà inizialmente composta da due velivoli Embraer 190 che avranno come hub principali l’aeroporto “Ridolfi” di Forlì, inaugurato il 29 ottobre, e l’aeroporto Fontanarossa di Catania. L’obiettivo iniziale sarà quello di sviluppare una rete point to point che colleghi le città strategiche del territorio nazionale, arrivando successivamente a potenziare la rete di fideraggio da e per Milano Malpensa, sviluppando accordi con le principali compagnie aeree che operano sull’aeroporto lombardo.



I biglietti disponibili dal 7 gennaio interessano la programmazione annuale, attiva dal 28 marzo 2021, con un fitto calendario di collegamenti che coinvolgerà gli aeroporti di Forlì, Firenze, Catania, Parma, Bari e Lamezia Terme. A questi scali, dal 4 giugno, si aggiungeranno Cagliari, Bergamo e Roma.



Due le fasce di prezzo, con voli a partire da 48,90 euro, per le tariffe JUST GO, e da 98,90 euro per la PRIVATE, che si differenziano principalmente per tipologia di posto. Entrambe possono essere personalizzate nel corso della prenotazione o al check-in, scegliendo tra le ancillaries a pagamento proposte dalla compagnia.

Talking with Karim Rashid

Eclettico, visionario e irriducibile innovatore, ha firmato più di 4000 progetti e collaborato con designer e brand tra i più amati al mondo, vincendo più di 300 premi. Tra gli ultimi e più prestigiosi l’American Prize for design dal Chicago Athenaeum Museum of architecture and Design e dall’European Centre for Architecture Art Design and Urban Studies.
La sua versatilità l’ha portato a lavorare anche su progetti diametralmente opposti, grazie a un’innata capacità d’interpretare differenti contesti e i rapidi cambiamenti di un’epoca, cogliendo valori nuovi e necessità imminenti.
Il suo design concreto, con un occhio di riguardo verso aspetti fondamentali come utilità e praticità e un orientamento deciso al futuro e all’innovazione, entra in una nuova logica estetica, integrata in un ciclo di produzione totally conscious.

Egiziano, naturalizzato canadese e italiano d’adozione, per la sua approfondita esperienza a fianco di nomi altisonanti come Rodolfo Bonetto, Ettore Sottsass e Alessandro Mendini, porta il suo personalissimo contributo nell’universo del design, con il timbro audace del colore che anima il mondo del design e della moda. Complici, l’energia e il carisma di una creatività assolutamente riconoscibile sotto il nome di Karim Rashid.
Il suo studio di New York ha firmato produzioni che hanno portato il vento della rivoluzione in questo settore, collaborando con marchi di lusso d’importanza mondiale, come Acme, Melissa, Artemide e Veuve Clicquot, per citarne alcuni. 
Progetti d’architettura come il nuovo concept building interamente sostenibile a Washington D.C realizzato per Urbanico Realty Group, in Bladensburg Road, i Prizeotel di Erfurt e di Berna in Germania, caratterizzati da lussuose linee avveniristiche, grafiche fluide e asimmetriche; senza dimenticare lo Switch Restaurant di Dubai, il cui spazio è delimitato da soffitti e muri ondulati, superfici avvolgenti in vetroresina che diffondono luce e colore, insieme a un connubio di natura e tecnologia, legati con l’armonia di un’orchestra sinfonica.

Partendo dalla tua formazione. C’è una figura che ha rappresentato un po’ il tuo mentore e che ti porti dentro?

All’inizio della mia carriera Ettore Sottsass mi ha insegnato che ci sono molti begli oggetti di design, ma che devi chiederti “Cosa fanno per noi?”
Nel senso di oggetti umani e stimolanti, Memphis è stata una rivelazione.
Ci sono molti oggetti di design imponenti che hanno bisogno di stare da soli per stupire. Ma mi chiedo sempre “cosa resta, se togli il disegno?” Se si tratta solo di stile, è un ricordo del passato.

Inoltre, Sottsass mi ha insegnato a non essere troppo artista per essere un grande designer. Tengo i suoi vasi e alcune opere di Memphis in giro per ricordarmelo. Un artista non è un designer e un designer non è un artista. Ciò che conta alla fine è aiutare il mondo a diventare un posto migliore: dall’estetica al comportamento umano, dall’ecologia all’economia.
Quindi il design è un atto creativo, un atto sociale, un atto politico e un atto economico.

Parliamo di futuro. Cosa è per te l’innovazione?
Sia nel campo della moda che nel design.

L’innovazione arriva solo quando ci si concentra su questioni contemporanee e si lavora anche con i recenti cambiamenti sociali, bisogni e desideri. Innovazione e design sono inseparabili, come sono inseparabili anche tecnologia e design.
La moda dovrebbe parlare del tempo in cui viviamo e non ripetere antiquati stili derivati ​​del passato. Viviamo in un’era digitale basata sui dati e, come i nostri strumenti digitali, il nostro mondo fisico dovrebbe avere la stessa fluidità, facilità, immaterialità, funzionalità e intelligenza.

Perché la scelta di colori spesso audaci? che valore hanno per te?

Dall’età di 5 anni ho iniziato ad amare i colori neon e quelli vivi. Fino ad oggi trovo che questi colori (nelle loro varianti) possano cambiare il nostro umore, creare più positività, farci sentire più vivi. Il colore può alterare i nostri comportamenti ed elevare il nostro benessere mentale. Certo, deve essere usato con una certa sensibilità, e trasformarsi, quindi, in un fenomeno gratificante, che si tratti di un intero edificio, uno spazio interno, un prodotto, un mobile, un capo di abbigliamento.

Tu sei un punto di riferimento per appassionati di design, una figura chiave anche per le nuove generazioni, soprattutto per il modo trasversale in cui riesci a sviluppare i tuoi progetti. Che messaggio vorresti dare proprio a loro?

Sinceramente, direi agli appassionati di design e ai consumatori di mettere in discussione cosa stanno creando, acquistando, e portando nelle loro case. Dobbiamo ricordare gli ovvi problemi UMANI in un prodotto.
Siamo consumatori che acquistano con leggerezza inutili pezzi kitsch o che valutano un prodotto in base a criteri come emozione, facilità d’uso, progressi tecnologici, metodologia d’so del prodotto, umorismo e significato uniti a uno spirito positivo ed energico?

Ci parli del tuo rapporto con la musica?

Ascolto una gamma di musica molto ampia.
La musica mi permette di concentrarmi, essere ispirato, sognare, immaginare ed entrare completamente in connessione col soggetto su cui sto lavorando. È una parte essenziale del mio processo. Per lo più ascolto elettronica o jazz, senza testi, poiché mi porta nel mio stato d’animo lirico che a sua volta mi guida nella scrittura dei miei testi mentre disegno.

Questa pandemia ci ha costretto tutti quanti a fermarci e a fare una profonda riflessione. Cosa immagini nel futuro del design?

Questo mondo iper-consumista mi porta alla conclusione che in futuro non avremo nulla perché questa è la nostra vera natura: noleggiamo auto, affittiamo case e presto impareremo ad affittare tutto, a sperimentare un prodotto per un breve periodo per poi passare a quello successivo.
Creeremo una condizione umana dinamica, in continuo mutamento, dove tutto sarà ciclico, sostenibile, biodegradabile, personalizzabile e senza soluzione di continuità.
Questa è utopia, questa è libertà e questo è il nirvana. Tutti i beni del mondo esisteranno solo se ci daranno un’esperienza nuova o necessaria.
Ci smaterializzeremo.

I personaggi eclettici come te sono anche dei grandi visionari. Sogni qualcosa di rivoluzionario?

Nel prossimo anno ho intenzione di costruire la casa dei miei sogni! Ho progettato tanti spazi per altri, ma questa sarà la mia Utopia.
Per così tanto tempo sono stato ispirato dalla Bubble House di Pierre Cardin (Le Palais Bulles) oltre alla sua moda e al suo design.
Lo spazio è così flessibile, curvo, organico e concettuale. In questo modo la mia casa dei sogni coinvolgerà tecnologia, immagini, trame, molto colore, oltre a soddisfare tutte le esigenze intrinseche per vivere un’idea avvolgente di casa e di tutti gli elementi che la compongono, meno disordinato ma più semplice e più sensuale.

Forme completamente nuove, volumi che si sviluppano all’interno di volumi diversi, forme che si sovrappongono, anche nella moda hai dato il meglio di te. Tra le tue collaborazioni con uno svariato numero di brand, se dovessi scegliere un’esperienza che ti ha toccato particolarmente, quale ci racconteresti?

Sono stato molto ispirato quando ho lavorato sulla barca Hugo Boss.
Quella è stata l’occasione per parlare di velocità, esclusività, energia, potenza e coraggio, attraverso l’estetica visiva della barca a vela. La mia intenzione era di fare una dichiarazione grafica abbracciando nuove tecnologie e materiali.
Ho lavorato con pannelli solari, vernici tecniche e tecnologie di stampa tecnologiche per dare forma a una barca a vela fotogenica e memorabile.
L’incontro con Alex Thompson e il tour in barca mi hanno mostrato la grande passione necessaria per queste gare e questi progetti. Incontrare Hugo Boss e i membri del team ATR, avere un dialogo costante avanti e indietro, è stato essenziale per dare forma al progetto finale.
L’incontro con Stewart Hosford, che mi ha mostrato i campioni di fibra di carbonio, ci ha aiutato a orientarci nella giusta direzione per ciò su cui dovremmo basare il nostro design, come ispirazione diretta per la livrea poiché questa barca costruita in fibra di carbonio è la prima del suo genere.


Ogni ciclo di progetti doveva essere analizzato dal punto di vista delle loro prestazioni. Questo ha portato a molte iterazioni e revisioni, ma alla fine ci ha aiutato a restringere il campo per finalizzare il miglior design possibile dal punto di vista funzionale ed estetico, sposando il marchio Hugo Boss e ATR con la mia idea. Ho indossato abiti e acqua di colonia Hugo per molti anni e ho sempre apprezzato la semplicità quando si sposa con l’innovazione dei materiali e la perfezione della qualità. Hugo non segue il riciclo impertinente delle tendenze. Mi vedo con questi stessi attributi: precisione, eleganza, minimal, ma umanizzato.

Finalmente il concetto di sostenibilità sembra essere entrato concretamente all’interno dei più svariati ambiti di produzione. Potresti darci la tua idea di qualità della vita?

Il riciclaggio è entrato definitivamente in un modello ciclico, sia negli Stati Uniti, che in molti altri paesi. Conservare le risorse significa utilizzare meno materie prime ed energia per tutta la vita di un prodotto. Dallo sviluppo e produzione al suo utilizzo, riutilizzo, riciclaggio e smaltimento.
Mi sto appassionando ai materiali biodegradabili.
Sto cercando di utilizzare bioplastiche; la lattina Garbo è in mais e la sedia Snap di Feek è realizzata al 100% in polistirolo riciclato ed è al 97% in aria. Tempo fa ho progettato imballaggi per un fast-food utilizzando amido e patate che sono stampati a iniezione, e hanno l’aspetto esatto della plastica. Queste innovazioni stanno finalmente entrando a far parte dello zeitgeist del consumatore.

Sacrificium: la mostra fotografica sul vulcano dell’isola di Stromboli

Un’eruzione vulcanica. Incontenibile, come l’ispirazione artistica. Il vulcano è quello dell’isola di Stromboli, quindi è circondato dall’acqua, l’elemento naturale che determina la vita. Una fertilità che è rappresentata dai fiori, al tempo stesso offerta propiziatoria e speranza di rigenerazione. Sono questi i simboli che ricorrono nella mostra fotografica SACRIFICIUM, progetto a quattro mani dell’artista interdisciplinare Giuseppe La Spada e della floral artist Svetlana Shikhova. Visitabile previo appuntamento al numero 02.82870740 allo Spaziobigsantamarta, in via Santa Marta 10 a Milano, fino al 31 gennaio 2021.



Corolle e lapilli. Un sordo boato e il dolce sciabordio delle onde. Colpisce lo stridente contrasto fra la serena armonia floreale dei soggetti ritratti e la precarietà, il senso di urgente pericolo evocato dal vulcano in attività che si staglia sullo sfondo. Una concezione quasi immanente del divino, che pervade una natura pronta a prendere il sopravvento. Straordinariamente attuale, in un periodo segnato da una pandemia globale che con prepotenza ci costringe a interrogarci riguardo al nostro rapporto con l’ambiente. Ecco allora che le foto nate dal sodalizio La Spada/Shikhova mettono in scena una mitologia contemporanea, assurgendo ad exemplum dei rischi connessi ai cambiamenti climatici e allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.



Il tema della sostenibilità è da quindici anni al centro della produzione artistica di Giuseppe La Spada. Membro dell’International Academy of Digital Arts and Sciences di New York, La Spada ha al suo attivo oltre 40 mostre nazionali e internazionali, oltre a opere pioneristiche e collaborazioni di prestigio (Sakamoto e Battiato, fra gli altri). Nel 2018 a Treviso ha esposto nella collettiva Re-Use insieme a nomi del calibro di Man Ray, Duchamp, Christo e Damien Hirst, mentre è del 2019 la sua personale Traiettorie Liquide a Monaco, dove nel 2017 aveva presentato la sua installazione interattiva Shizen no Koe alla presenza di Sua Altezza Serenissima il Principe Alberto II. È stato interessante fargli qualche domanda.



Con le tue opere hai attirato l’attenzione collettiva sulla necessità di salvaguardare l’ecosistema marino, ancor prima che diventasse un argomento d’attualità. Pensi che finalmente se ne comprenda l’importanza?

Credo che lo sviluppo dei social network abbia amplificato l’accesso all’informazione ambientale e scientifica. Vedo nei giovani molta più consapevolezza, unita al timore per il loro futuro, ma ho paura che non si stia affrontando davvero il problema. In questo momento, in cui per ovvi motivi la questione passa in secondo piano, stiamo perdendo anni importanti per agire, quindi paradossalmente il problema sta aumentando.



Quale significato ha l’arte nella tua vita? E quale ruolo dovrebbe avere oggi a tuo avviso?

L’arte per me è la ricerca più profonda, è il confrontarsi con i temi della vita, è il tentativo di rendere visibile l’invisibile, il sentire con la esse maiuscola. Per me, l’arte oggi più che mai dovrebbe essere funzionale e svilupparsi in una “architettura sociale”. È un atteggiamento che tutti dovremmo avere, quello di fare le cose accedendo al cuore, alla parte più pura, rinunciando a un po’ di ego, in modo da contribuire davvero all’evoluzione collettiva. Per questo trovo molta soddisfazione in progetti partecipativi rivolti alle giovani generazioni, volti a favorire una nuova consapevolezza ecologica. Per me il vero inquinamento è culturale.  



Quali progetti hai per il nuovo anno?

Molte idee sono focalizzate sul digitale. Del resto, la natura stessa insegna che bisogna adattarsi velocemente ai cambiamenti. Spero si possa riparlare presto di progetti così come li consideravamo in precedenza. Sto lavorando a una grande mostra sulla Natura, alla nostra relazione con essa, non solo come artista ma anche come curatore, una mostra che possa coinvolgere più persone possibili. Mi piacerebbe anche realizzare un libro catalogo che raccolga tutti i miei lavori degli ultimi anni, insieme a delle riflessioni. Mentre La Spada parla, il pensiero torna ai suoi scatti, in cui la fotocamera va al di sotto della superficie – non solo quella del mare, ma fuor di metafora anche l’apparenza delle cose – e ci invita a fonderci con la natura per riscoprire la nostra identità più autentica.

Cucina fusion: 3 ristoranti a Roma da provare

L’amore per la cucina fusion è in costante crescita anche nella bella capitale italiana- Roma-  I piatti nipponici ben si prestano alla contaminazione culinaria: dal Perù alle Hawaii, dalla Francia al Brasile..

Vediamo cos’è la cucina fusion e i ristoranti che troviamo a Roma.

Cos’è la cucina fusion

Il termine stesso indicata fusione, quindi facile capire che cucina fusion sta ad indicare la fusione di diversi ingredienti nella creazione del piatto, ma in particolare questo tipo di cucina unisce, gli ingredienti che arrivano da diverse tradizioni culinarie. La realizzazione è quindi quella di un prodotto culinario moderno e dal sapore unico.

Un esempio può essere l’unione di ingredienti della cucina francese, italiana e giapponese per realizzare un primo o un secondo piatto che soddisfi i palati più esigenti.

Nel senso pieno del termine con cucina fusion si intende quel tipo di cucina che sposa ingredienti ed elementi provenienti da diverse tradizioni culinarie per dar vita a qualcosa di nuovo, di moderno e globalizzato.

Roma: 3 locali con cucina fusion

Ecco 3 ristoranti con cucina fusione da provare a Roma per gli amanti di questo tipo di prelibatezza culinaria:

Coropuna

In via di Pietralata c’è Coropuna, un ristorante nikkei, ossia che tratta cucina nippo-peruviana. Nel menù si trovano patate dolci, buns di granchio o maiale e uramaki con olio alla menta o latte di cocco, accompagnati da mandarino cinese e Aji amarillo (un peperoncino peruviano con note di zenzero). Da provare le ceviche, ossia piatti a base di pesce crudo marinato nel lime con spezie e i tiradito, ossia il sashimi peruviano con spigola e leche de tigre.

Le Asiatique

Ben 300 mq e 100 coperti per questo locale nato dall’idea di Michelle Sermoneta e Stefano Calò. Il menù fonde Oriente ed Occidente: speck d’anatra affumicato con tartufo, i gyoza di foie gras con pecorino di Pienza, ceviche di orata marinata con cipolla rossa di Tropea. Anche il sushi incontra i sapori nostrani come uramaki con pomodori secchi di San Marzano o con gorgonzola e pera glassata. Disponibile anche una carta dei tè e menù pranzo in scatola monopasto giapponese.

Mahalo

In via Flaminia c’è un locale nippo-hawaiano firmato dallo chef Augustina Clara Mazzetti. L’ambiente ricorda i colori delle isole hawaiane, l’oceano e la cucina è a vista. Il piatto forte del menù sono le poke, a base di pesce crudo marinato in olio di sesamo con frutta esotica, avocado e verdura fresca. A tema “Pacifico” sono i rolls, con gamberi in panatura di cocco e farcito con mango e banana e le chips di taro (patate tropicali delle isole hawaiane). Imperdibile è anche la zuppa di gamberi alla tahitiana con rum e cocco.

Classico contemporaneo: una moda o evergreen?

Tra tutti gli stili, quello classico contemporaneo sta riscuotendo un grande successo e un vasto consenso nelle case eleganti e senza tempo.




Questo stile è un mix sapiente e curato tra l’arredamento minimal chic contemporaneo e il look neoclassico. Può sembrare una contraddizione perché si tratta di due stili diametralmente opposti, ma in realtà non lo è, se realizzato con sapienza e controllo del risultato. L’architettura gioca un grandissimo ruolo in questo tipo di arredamento, perché finestre grandi, camini antichi, boiserie e modanature sono la base da cui partire.



Scegliere questo stile non è scontato e risulta molto elegante. Non è facile creare un mood di questo tipo: basta poco, un ingrediente sbagliato o troppi ingredienti per fallire. La nostra tendenza, infatti, è di accumulare arredo cercando di riempire tutti gli spazi vuoti. In realtà non sempre serve. Se l’architettura di partenza è storica o di grandi dimensioni, l’arredo va ben dosato.

Va anche detto che un arredo di questo tipo si può realizzare persino in appartamenti moderni, non necessariamente antichi e dalle forme classiche.

I colori dell’arredamento classico contemporaneo sono per lo più caldi. Mix&match di bianchi, beige, greige, caramello, cammello, azzurro polvere, rosa antico, avorio sono le palette più diffuse. Unite ai legni color noce o molto scuri (mai tendenti al giallo o al rosso), riescono a far spiccare quel senso di fiaba con una nota avvolgente.


In alcuni casi è possibile osare anche con i grigi scuri e i neri. In generale le linee sono sempre slanciate e c’è sufficiente spazio per inserire living grandi e spaziosi e cucine fluide.

Le eleganti citazioni classiche, che richiamano forme e figure dal fascino senza tempo, si contestualizzano in un ambiente geometrico e lineare, che ne esalta la bellezza. Il tutto senza appesantire la stanza, ma rendendola iconica e al tempo stesso pratica e vivibile. Se si è in possesso di mobili antichi o se si dispone di arredi in stile classico eleganti, ma un po’ ingombranti, portarli a nuova vita e inserirli in un contesto inaspettato potrebbe essere davvero la soluzione ideale per ottenere un risultato prezioso e particolare.




L’aspetto più complesso, nel momento in cui si decide di realizzare un progetto di questo tipo, è quello di bilanciare con attenzione e cura ogni dettaglio che andrà a caratterizzare l’ambiente, soprattutto se gli arredi sono caratterizzati da dimensioni o strutture importanti.



La parola chiave da tenere sempre presente quando si parla di arredamento classico contemporaneo è equilibrio. L’essenziale è che la combinazione di questi elementi non risulti mai pesante. Tutto deve essere adeguatamente dosato e ben sistemato. Sicuramente non stiamo parlando di uno stile minimalista, ma in ogni caso non bisogna commettere l’errore di sovraccaricare le stanze, che devono mantenersi ben fruibili nel quotidiano.



Nell’arte, il termine “classico” porta in sé l’idea di armonia ed equilibrio, di proporzioni auree che rappresentano il modello cui puntare nella ricerca verso la perfezione. E ciò comporta spesso uno sguardo al passato, a chi certe forme è riuscito a comporle in una sintesi di bellezza sempre attuale, e a un codice che sa declinarsi per essere vivo e vitale nel tempo. Arredare con questo spirito è possibile e non significa copiare un modello superato, ma applicare dei principi perché una casa sia, oltre che bella, appropriata a uno stile di vita contemporaneo.

Bar famosi a San Francisco

San Francisco è una città dalla vivace vita notturna. Ci sono tanti bar dove bere un drink fino a tarda notte, ma anche dove fare un’ottima colazione. Se vi trovate in questa splendida città per dovere/lavoro o per piacere dovete andare almeno una volta in uno di questi locali a degustare un’ottima colazione o un cocktails.

Ecco quali sono i bar famosi di San Francisco da non perdere.

8 bar famosi a San Francisco

Mama’s è uno di questi. Situato al 1701 St. Street, apre dalle 8 di mattina alle 3 del pomeriggio ed è quindi il luogo ideale per fare una golosa colazione, per chi desidera i veri pancakes americani ai frutti di bosco e sciroppo d’acero.

Cafe Du Nord a Castro, invece, è un bar situato al 2170 Market Street, e sta lì da prima del Proibizionismo. Si tratta di uno dei luoghi storici più amati in città dove sorseggiare cocktail al ritmo di musica dal vivo.

A Chinatown c’è Far East Cafè, al 631 Grant Street. Si respira aria di un’epoca ormai passata. Accanto a un bel drink, si gusta cucina cantonese e cinese.

Aub Zam Zam è un pezzo di storia a San Francisco, divenuto famoso per l’approccio antipatico del padrone di casa che cacciava letteralmente chi ordinava drink che non erano di suo gradimento.

The Bus Stop” è un bar famoso storico che ha visto la sua gloria nei mitici anni’60. Oggi è una meta più turistica che altro.

 Al 2301 Folsom Street c’è un locale del 1906 che era attivo anche durante il proibizionismo: “The Homestead”. Interni d’epoca e cocktail squisiti lo rendono un bar molto noto ancora oggi.

A Nob Hill c’è il “Tonga Room & Hurricane Bar” che risale al 1945 ed è famoso per il suo aspetto kitch e per la sua cucina.

“House of Shields” invece è un bar aperto nel 1944 come club solo per uomini (le donne furono accettate solo a partire dal 1976). Si tratta di un altro bar storico di San Francisco che merita una visita.

Infine consigliamo il “Vesuvio Cafe” al 255 Colombus Avenue, che era nei decenni passati luogo di ritrovo per hippies e per gli amanti del jazz.

New faces: Riccardo De Rinaldis

Ph: Davide Musto

Styling: Stefania Sciortino

Ass. ph: Emiliano Bossoletti

Grooming: Simone Belli Agency

Location: MANGIO

La carriera da attore non era tra i suoi piani, fino a quando non è arrivato per la prima volta su un set dove è stato subito un colpo di fulmine. Oggi, il giovane Riccardo De Rinaldis ha già seminato alcune partecipazioni in fiction firmate Mediaset e Rai  (Don Matteo, Doc, Fratelli Caputo) e durante quest’anno lo vedremo nuovamente su Canale 5 con con Anna Valle e Giuseppe Zeno nella serie “Luce dei tuoi occhi”. Scopriamo però dove è iniziato tutto nell’intervista…


Raccontaci il tuo percorso fino ad oggi…

Non ho mai avuto l’aspirazione di diventare attore, anche se i miei genitori vedevano in me delle potenzialità perché ero un bambino molto spigliato. È partito tutto da mia mamma che mi portava a diversi provini per le pubblicità. Proprio ad un provino abbiamo scoperto la mia attuale agenzia e iniziato un periodo di prova. All’inizio è stata dura, le selezioni andavano e non andavano, finchè finalmente nel 2018 (l’anno degli esami di maturità) arriva il primo lavoro, una parte su canale 5 in una fiction con Alessandro Preziosi. Il primo giorno di set mi sono innamorato di questa professione e ho capito che era quello che desideravo fare per il futuro.

Tra gli ultimi lavori, una piccola parte nella fiction DOC. Come è stato lavorare con Luca Argentero?

È stato bellissimo lavorare con lui. Una persona gentile , sorridente e con la battuta pronta. Recitare con un big è sempre utile perché impari molto, mi ha dato diversi consigli su come vedeva la scena, e sono serviti tanto.

Con quali registi ti piacerebbe lavorare?

Sicuramente con Muccino perché ogni suo film ha la capacità di lasciarmi un’ emozione intensa, “un vuoto non vuoto” difficile da spiegare. Trovo che i  suoi film abbiano sempre un doppio significato nel finale e il suo sia uno stile molto naturale. Poi mi piacerebbe molto approdare nel cinema, anche in una produzione internazionale.


Parlando di serie invece, c’è qualcosa che ti appassiona?

Le ultime che ho visto sono Bridgerton, che ho letteralmente divorato e L’alienista. Due serie storiche molto diverse ma entrambe affascinanti.

Come stai vivendo l’epoca covid?

Il 2020 è stato un anno particolare per tutti, di grandi insicurezze legate al lavoro e alla salute. Ho sempre seguito le regole non focalizzandomi troppo sul futuro, ma vivendo giorno per giorno. Il covid ci ha tolto tanto, ma allo stesso tempo ci ha insegnato anche a godere della compagnia dei nostri cari e a non dare tutto per scontato.


Il tuo rapporto con i social: Instagram vs Tiktok

Il mio Tiktok si basa sull’humor internazionale. Seguo coreografie (le più belle sono quelle dei professionisti) riproduco doppiaggi in lingua e realizzo anche qualche video “stupido” , sempre con un tone of voice molto leggero.

Instagram è un social più “serio“ e fa ormai parte della nostra vita, non penso abbia una scadenza. Tik tok forse è destinato a spegnersi.


I capi essenziali nel tuo armadio?

Una bella felpa larga con cappuccio e un paio di stivaletti Blundstone, comodissimi. 

Un luogo che vorrresti visitare?

Mi incuriosisce la Corea del sud e partirei da Seoul. Incuriosito dal coreano, ho iniziato a studiarlo dal 2015 come autodidatta. Da anni apprezzo anche il genere musicale K-pop . Questi artisti hanno un concetto di musica completamente diverso dal nostro e mi piace proprio per questo.

Desideri per il futuro?

Tra qualche anno spero di trovarmi a fare quello che mi piace, quindi l’attore ed essere felice. Vorrei capire meglio cosa è la vita e come viverla al 100% per me stesso, sempre con il sorriso.

“Transmissions: the definitive story”

La storia dei Joy Division & New Order in formato podcast



“I’ve been waiting for a guide to come and take me by the hand”, questo l’invocante incipit declamato, su un drumming ipnotico, dalla profonda e tormentata voce di Ian Curtis in Disorder. Non c’è stata però per lui alcuna guida “virgiliana” ad afferrargli la mano, ad attenderlo solo i suoi demoni interiori. Ironia della sorte, una frase pronunciata anni prima dall’inquieto “The Lizard King” Jim Morrison, del quale era un grande estimatore, sembra essere stata vate e precorritrice di un medesimo destino: “Quando il mio corpo sarà cenere, il mio nome sarà leggenda”. La morte di Ian Curtis non solo ha mitizzato l’uomo-artista, ma ha fatto del gruppo post-punk dei Joy Division, dei quali era una parte per il tutto, una pietra miliare della storia musicale e delle icone immortali di un immaginario collettivo. Una storia di vita e di morte che intreccia successi, fragilità e rinascite come raccontato nel podcast, in lingua inglese, dal titolo Transmissions: The Definitive Story, uscito il 29 ottobre e prodotto da Cup & Nuzzle, l’azienda di podcast che ha collaborato con Robert Plant in Digging Deep. Un corpus di interviste inedite affidate alle memorie dei membri dei Joy Division e dei New Order (Bernard Sumner, Peter Hook, Stephen Morris e Gillian Gilbert) e ai ricordi rivissuti attraverso le testimonianze degli ospiti coinvolti come Johnny Marr, Damon Albarn, Liam Gallagher, i fratelli Greenwood dei Radiohead, Bono, Thurston Moore, Karen O, Perry Farrell, Pet Shop Boys, Stereolab.


NETHERLANDS – JANUARY 16: ROTTERDAM Photo of Joy Division, Ian Curtis and Bernard Sumner (L) performing live onstage at the Lantaren (Photo by Rob Verhorst/Redferns)

Hot Chip, Anna Calvi, Bobby Gillespie, Shaun Ryder.

La voce dal sussurro solenne dell’attrice britannica Maxine Peake ci immerge nei colori tonali e narrativi di una storia che inizia con tre semplici parole “Band seeks singer” – “Band cerca cantante”- scritte su un annuncio affisso da un giovane Bernard Sumner in un negozio di dischi di Manchester. Risposero in tanti, tra loro anche Ian Curtis che all’epoca lavorava nei servizi sociali come assistente per disabili. “Incontrai Ian all’Electric Circus. Non riesco a ricordare quale concerto fosse. Potrebbe essere stato il terzo concerto dei Sex Pistols. Era facile da individuare, aveva un giubbotto con la scritta HATE scritta in vernice arancione sulle spalle…Sono andato a casa sua a Stretford. Ian mi disse, ‘Ehi, hai sentito questo nuovo album di Iggy Pop? È uscito questa settimana.’ Non avevo mai sentito Iggy Pop. Suonò “China Girl” da quell’album e pensai fosse fantastico, me ne sono subito innamorato e ho pensato… questo è il ragazzo.” Ricorda Peter Hook.


NETHERLANDS – JANUARY 16: ROTTERDAM Photo of Joy Division, Ian Curtis and Bernard Sumner (L) performing live onstage at the Lantaren (Photo by Rob Verhorst/Redferns)


Inizia, così, l’avventura dei Joy Division ripercorsa nel primo episodio di apertura della serie. Un viaggio dagli esordi acerbi ed inesperti dei Warsaw (omaggio omonimo al brano strumentale di David Bowie), nel 1977, alla fulminea popolarità raggiunta sotto il nome romanzato scelto dal “punk colto e introverso” Ian Curtis, la “Divisione della Gioia”, ispirato al libro La casa delle bambole di Ka-Tzetnik 135633 e al tugurio delle donne ebree prigioniere nei lagher nazisti destinate all’intrattenimento sessuale delle SS. Transmissions è una storia di amici, di musica, di case discografiche, club e studi di registrazione sullo sfondo di una Manchester vuota e arrabbiata, dalla tradizione proletaria e avvolta nelle nebbie e nel grigiume di ferro, acciaio e scheletri di fabbriche, ma attraversata nelle sue fondamenta da un energetico flusso di musica e creatività. È una storia che, puntata dopo puntata, indaga in otto episodi le tappe cruciali delle due band in un ricordo corale che diventa “memoria di massa”. Dalla nascita dei Joy Divsion all’alienazione introspettiva dell’album di debutto, “Unknown Pleasures”, pubblicato il 15 giugno del 1979 dalla Factory Records di Tiny Wilson e Alan Erasmus e passato alla storia per la sua iconica e idolatrata copertina realizzata dal graphic designer Peter Saville (l’immagine raffigurante le pulsazione della pulsar CP 1919). Dalla morte scelta di Ian Curtis, suicida a soli 23 anni nella sua casa al numero 77 di Barton Street a Macclesfield il 18 maggio del 1980, alla fondazione dei New Order. Riscattandosi dal peso della precedente eredità, la formazione orfana del suo carismatico frontman si reinventa in un gruppo che rinasce da un patto solenne stretto tra amici “se uno di loro fosse uscito dal gruppo, gli altri tre avrebbero dovuto cambiare nome e genere” e così fu. Con Blue Monday, il brano cult del 1983, la band si esibisce con uno stile completamente nuovo fatto di sintetizzatori e batterie elettroniche, spingendo la tecnologia ai limiti e trovando in questo successo inaspettato il loro futuro artistico.




L’ottava ed ultima puntata di Transmissions si chiude sulla scia delle parole di Bernard Sumner:“Niente ci avrebbe fermato, niente ci ha fermato, vero? La morte di Ian non ci ha fermato, la morte di Rob non ci ha fermato, il furto di tutta l’attrezzatura non ci ha fermato, la morte di Tommy non ci ha fermato. Non c’era alcun piano B, non c’era altra opzione”. La seconda stagione della serie non è stata ancora annunciata, ma potrebbe ripartire da qui per svelarci il resto della storia, fino allo scioglimento degli anni ’90 e alle reunion degli ultimi anni.

7 curiosità su Harvey Specter di Suits

L’uomo ideale, quello che tutte noi vorremmo avere al nostro fianco esiste? Chiedetelo alle fan di Suits, la famosa serie TV americana ormai giunta alla settima stagione.

Harvey Specter è l’uomo più desiderato del momento. Elegante (adora gli abiti di Tom Ford), sicuro di sé e delle sue risorse, brillante, talentuoso, carismatico ma anche arrogante, cinico, arrivista, e maniacalmente ossessionato alla cura della sua immagine. Ma è la sua personalità che attrae in modo irresistibile.

Harvey è un uomo istintivo, molto colto (è laureato ad Harvard), sensibile e altruista. Il protagonista di Suits è impersonato dal bell’attore Gabriel Macht.

Oggi vi sveliamo 5 curiosità che non sapete del vostro avvocato del cuore. Siete curiose?

7 cose che non sai sull’attore di Suits

Gabriel Macht interpreta Harvey, il classico uomo d’affari di New York, l’avvocato affamato di successo e bramoso di potere. Lui è il fulcro della serie, il cui nome Suits si riferisce proprio agli abiti di alta sartoria che lui ama indossare.

Nel corso delle stagioni si è svelata la sua più grande paura, ossia la solitudine, l’essere abbandonato dalle persone che ama e la sua corazza è stata violata. Harvey infatti riversa nel lavoro tutti gli insuccessi della vita privata.

Ecco 7 curiosità su Gabriel Macht:

  1. Il suo mentore è John Travolta.
  2. Ha un profilo Instagram seguitissimo con oltre 2,5 milioni di followers, dove pubblica diverse cose su di sé, ma lo usa anche per farsi auto romoziuone.
  3. Al contrario del personaggio di Suits, Gabriel è sposato e ha 2 figli ed è molto legato alla famiglia.La moglie è Jacinda Barrett.
  4. Con la collega Sarah Rafferty è molto amico, già da prima di Suits, fin dal 1993.
  5. Vorrebbe che la serie TV fosse girata a New York. Suits, pur essendo ambientata nella Grande Mela, viene girata a Toronto, perché la location è più economica per la produzione. Gabriel ama New York, essendo la sua città natale.
  6. Gabriel Macht è vegetariano dal 2008 e ha dichiarato che da quando lo è si sente molto meglio.
  7. E’ nato a New York il 22 gennaio del 1972 ed è alto 183 centimetri.

Reflusso gastrico: come curarlo naturalmente e che cibi evitare

Il reflusso gastrico (o reflusso gastroesofageo) è un disturbo molto comune che può interessare persone di qualsiasi età. In molti per contrastarlo si affidano alla Farmacia per combattere il bruciore alla bocca dello stomaco, ma in realtà la prima cosa da fare è modificare il proprio stile di vita.

Alimentazione, sonno e fumo sono tutti fattori che influiscono sul reflusso gastrico. Alcuni cibi come i fritti, il cioccolato, gli alimenti piccanti, il caffè, il latte intero, le cipolle, i formaggi a pasta molle, gli alcolici e la menta, andrebbero evitati. Altri invece come gli agrumi e i pomodori nonché le bibite gassate andrebbero limitati perché aumentano l’acidità gastrica.

Alcuni accorgimenti possono limitare i problemi, ecco alcuni rimedi naturali per combattere il reflusso gastrico.

Rimedi naturali per il reflusso gastrico

Buona abitudine deve essere andare a dormire non prima di 3 ore dalla cena e non mangiare porzioni abbondanti che potrebbero causare risvegli e insonnia. In generale non bisogna mai sdraiarsi dopo aver mangiato neanche sul divano, ma restare in posizione seduta.

I sintomi con cui si manifesta il reflusso gastrico sono:

  • nausea
  • rigurgito acido
  • dolore toracico non cardiaco
  • bruciore retrosternale
  • sensazione di nodo alla gola
  • raucedine
  • mal di gola
  • gengivite
  • alitosi
  • tosse stizzosa
  • difficoltà di deglutizione

Si possono usare alcuni rimedi naturali per contrastare il reflusso gastrico fra cui: l’altea comune e la malva, ma anche la piantaggine. Piante officinali indicate per lenire i sintomi di questo disturbo. Si possono preparare infusi da bere, ma in ogni caso meglio consultare un medico di fiducia prima di assumerli.

Consigliati sono anche il gemmoderivato di fico e i frutti di mirtillo. Il primo ha un’azione disinfiammante e calma l’iperacidità e allevia i bruciori di stomaco. Il secondo ha un’azione protettiva e cicatrizzante dello stomaco. Per il mirtillo si può bere un bicchiere di succo 3 volte al giorno oppure 300 mg di estratto secco in pillole per 3 volte al giorno. Il fico invece va assunto sotto forma di macerato glicerico, 30 gocce in un dito d’acqua dopo i pasti 3 volte al giorno.

Ignazio Moser: tra vino, passioni sportive e tradizioni trentine raccontate sui social

Ciclista, sciatore e appassionato di motocross, Ignazio Moser è un giovane influencer trentino che vive a Milano ormai da diversi anni. Sportivo a 360 gradi, il ciclista non ha mai abbandonato  i suoi valori da vero trentino, ma è stato in grado di inserirli perfettamente nella mondana vita da città. Tra le sue tante attività, una delle più importanti è la produzione del vino, Moser. Lo abbiamo incontrato proprio per chiedergli di più riguardo a questa tradizione e le peculiarità del vino stesso.



Parlando di sport, come procede con la bici? 

Come attività agonistica ho interrotto nel 2015. Ho fatto altre gare ma solo per passione, essendo da sempre un forte appassionato di ciclismo. Da quando vivo a Milano, la bici è diventata uno svago per quando torno a casa: nessuna attività agonistica. Sono attivo su molti fronti dello sport, oltre al ciclismo sono sempre stato un grande sciatore. Data la situazione attuale, da poco ho riscoperto lo sci d’alpinismo, data la chiusura degli impianti. Sono sempre stato vicino al mondo dello sci, tuttavia da tre anni a questa parte faccio anche motocross: insomma, mi ritengo un vero sportivo a 360 gradi. Lo stile di vita sano e sportivo è una scelta che sposo quotidianamente. Quando si parla di sport c’è sempre un prezzo da pagare. Pensiamo  ad esempio se si vuole bere bicchiere di vino in più o sgarrare con un piatto di pasta: con lo sport, puoi bilanciare il tuo stile di vita: lo sport è la mia droga! Lo sport è un equilibratore, la medicina che consiglio a chiunque. 

Tuo padre è stato un grande del ciclismo, che rapporto hai oggi con lui?

La famiglia per me è fondamentale. Mio padre mi ha trasmesso la passione per la bici, per lo sport, e anche per il vino. Pensa che io ho studiato enologia. Sono nato e cresciuto in azienda e abbiamo sempre condiviso passioni in comune, appunto dallo sport al vino. 



Sportivo, influencer, ma anche produttore di vino. Di che vino si tratta? Quali caratteristiche  principali ha? Ci sono delle peculiarità tue personali?

Noi facciamo vini in Trentino, diamo quindi un’impronta di vini di montagna, minerali, freschi, con un forte richiamo al  territorio delle dolomiti e del Trentino. Dal 2010, l’azienda è stata gestita da noi figli (siamo in 3). La nostra filosofia (non mia ma nostra) è caratterizzata da una ventata di modernità e sprint giovanile. Il nostro obiettivo è infatti quello di svecchiare e modernizzare l’azienda, cercando di personificarla il più possibile. Abbiamo fatto tanti investimenti  sull’immagine e sul marketing, un vero e proprio piano strategico per cercare di ringiovanirla e ci stiamo riuscendo. Se dovessi definire il vino con alcune caratteristiche, sicuramente userei come aggettivi: fresco, moderno, sapido, minerale (la mineralità del vino è dovuta dalle caratteristiche del territorio, ovvero dalle rocce calcaree). (https://www.mosertrento.com/)

Con i social, soprattutto sul tuo profilo Instagram, sei riuscito a promuovere al meglio la tua attività legata al vino?

I social fanno ormai parte di tutto il mondo. Ogni messaggio può essere veicolato, compresa la nostra tradizione. Quello che cerco di fare è di mettere i miei valori, ovvero il mondo dello sport e del vino anche nel mio profilo, in modo da avere una identità sincera e coerente anche nella sfera digitale. Nel mio profilo si può notare un taglio rurale, proprio perché lo sport, la natura e il Trentino sono i valori che mi porto nel cuore e quindi che condivido con chi mi segue tutti i giorni sui miei canali social. Sono un giovane milanese adottato, ma non perdo mai di vista le mie origini. Penso che i social abbiano un grande potenziale e se siamo in grado di sfruttarlo questo diventa fondamentale per le aziende. I social, in grado sempre più di abbattere i muri delle distanze e del tempo, sono fondamentali per trasmettere in modo celere e simultaneo i valori di un’azienda, compresa la nostra.



Come ti vedi tra qualche anno? Porterai avanti questa tradizione?

Quella social è una parentesi legata ad una situazione mondiale che cavalco ora. Tuttavia sai, oggi su internet ci siamo, domani chi lo sa. Il mio futuro lo vedo più legato al mondo del vino e dello sport.

Tre nuovi store a Milano da visitare (e in cui fare shopping)

Milano, Orefici 11 (Timberland, The North Face e Napapijri) e Italia Independent: ecco i nuovi negozi hype della città, da non perdere

Tre nuove destinazioni uniche, dedicate allo shopping deluxe. Milano è sempre più capitale dello stile: ne sono prova indiscussa i recenti opening di tre store dedicati a orologeria, occhialeria e abbigliamento urban, rispettivamente D1 Milano, Italia Independent e Orefici 11. Tre nuovi negozi, impreziositi da un interior design ricercato, con l’obiettivo di incoronare il capoluogo lombardo, nel 2021, meta indiscussa dello shopping internazionale.




D1 Milano (in via Mercato 3) D1 Milano, il marchio di orologeria fondato dal giovane imprenditore Dario Spallone, ha aperto il suo primo flagship store italiano a Milano. All’interno, sono presenti tutte le collezioni del brand, esposte attraverso display moderni ed eleganti, che esaltano i dettagli tecnici dei diversi segnatempo. 




Orefici 11 (in via Orefici 11) I negozi monomarca di Timberland, The North Face e Napapijri, per la prima volta insieme, hanno dato vita a uno spazio retail innovativo, dove esperienza digitale e fisica si intrecciano, e dove gli spazi comuni, diversi e di rottura, ospitano prodotti esclusivi e collaborazioni (in edizione limitata) che coinvolgono anche altri brand del gruppo VF per completarne il concetto. Gli oltre 2 mila metri quadri su tre livelli, per un ecosistema fisico e digitale, dialogano costantemente per creare una moderna shop emozional experience, in linea con la strategia hyper-digital. Dotato di un innovativo cloud based in-store POS (Point Of Sale mobile device) e mobile check-out, l’integrazione tra esperienza di acquisto fisica e digitale avviene naturalmente e con continuità, attraverso le opzioni di acquisto online e ritiro in store (anche con prenotazione online), spedizioni dal negozio in tutta Italia, ma anche vendita e spedizione al cliente da altri negozi se non fosse disponibile il prodotto in negozio. 




Italia Independent (in via Fiori Chiari 24) Nel cuore di Brera, luogo magico dall’indole romantica e bohémien, quartiere di artisti, studenti e intellettuali che l’hanno reso ambiente di grande fascino, eleganza e spiccata creatività, è nato il nuovo spazio firmato Italia Independent. Il flagship store, sviluppato su una superficie complessiva di 90 metri quadrati, è stato progettato e realizzato con l’idea guida di accogliere i clienti nella seconda casa meneghina di Lapo Elkann, un ambiente caratterizzato da arredamenti, luci (firmate da un’eccellenza del Made in Italy come FLOS) e layout che rievocano gli spazi in cui lo stesso Lapo vive e lavora. Protagoniste indiscusse, le nuove collezioni Laps Collection by Italia Independent, Hublot Eyewear e CRY Eyewear by Italia Independent, che campeggiano in spazi dedicati così da conferire a ogni linea – in aggiunta al marchio storico Italia Independent – la giusta visibilità. 

Attrici danesi famose nel mondo: 5 nomi da ricordare

Quando si parla di attrici spesso la mente vola verso gli Stati Uniti e la magica Hollywood ma vi sono attrici danesi degne di nota. Si perché la Danimarca non ha solo una bellissima città come Copenhagen, ma anche attrici che ne portano alta la bandiera di questo paese scandinavo in giro per il mondo.

Ecco i nomi delle 5 attrici danesi famose nel mondo.

5 attrici danesi famose nel mondo

Connie Inge-Lise Nielsen

Questa bella attrice e modella è nata a Frederikshavn nel luglio del 1965. Apparsa nel film italiano “Vacanze di Natale ‘91”, è nota però al grande pubblico per il suo ruolo seducente di Cristabella Andreoli ne “L’avvocato del diavolo”, al fianco di Al Pacino e Keanu Reeves, e per il ruolo della principessa Lucilla nel film Oscar “Il gladiatore” di Ridley Scott.

Brigitte Nielsen

Una delle super icone degli anni Ottanta, Brigitte è un’attrice, modella e conduttrice danese. Conosciuta per il suo fisico statuario (185 cm), è stata un sex symbol per un’intera generazione. Inizio subito dopo gli studi come modella possedendo tutti i canoni richiesti al tempo per entrare a lavorare come modelle. Fu poi notata da Dino De Laurentiis e portata in Italia. La carriera come attrice la vede recitare in particolare  in “Yado” con Shwarzenegger e poi in “Rocky IV” e “Cobra” con Sylvester Stallone. Qui i due attori si innamorano e solo dopo 9 mesi di fidanzamento si sposano, il matrimonio dura poco meno di due anni e come per il matrimonio anche la separazione fu ricca di scandali e clamore. Al fianco di Eddie Murphy recitò invece in “Beverly Hills Cop II”.

Sidse Babett Knudsen 

Questa attrice danese classe 1968, ha vinto il Premio César per la miglior attrice non protagonista nel film “La corte”. Ha recitato anche in “Inferno” e “Aspettando il re”.

Rie Rasmussen

Questa modella, attrice, regista e fotografa danese classe 1978, ha vissuto in California. Fu notata a New York e lì iniziò la sua carriera come top model internazionale. Come attrice esordisce in “Femme fatale” di Brian De Palma. Nel 2009 è uscito il film “Human Zoo” che la vede sia attrice che regista.

Ghita Norby

Figlia di un cantante lirico e una pianista, è stata sposata 5 volte. Nella sua carriera come attrice ha recitato in numerose pellicole tra cui: “Oskar”, “Amour”, “Il misantropo”, “La vita di Gauguin”, “The Kingdom 2” e “L’eredità”.

Dalla skincare alla vulvacare – tutta la beauty routine più innovativa del 2021

Gwyneth Paltrow aveva dato scandalo mettendo in vendita “l’odore della sua vagina” all’interno di una candela, una miscela di geranio, bergamotto agrumato e assoluti di cedro alla rosa damascena e ai semi di ambretta che ha provocatoriamente chiamato “This smells like my vagina“, uno scherzo tra il profumiere Douglas Little e la Paltrow che si è tramutata in un’operazione di marketing: 75 dollari di prodotto andato sold out in 24 ore.
Oggi le aziende cosmoceutiche ci propongono dei prodotti anche per le zone intime, cosmetici seri, utili, anti-età, anti-invecchiamento, perchè tutto il nostro corpo cambia e necessita di cure: tra queste c’è Ayay, partnership tra la digital hub IDT e Yamamay, scoprila in questo articolo:


Skon

Skon è la nuova azienda di cosmesi realmente votata al rispetto per la natura; è totalmente bio, non testata sugli animali e ha un pack in bioplastica vegetale.
Gli attivi dei cosmetici sono 5 ingredienti nordici che rispondono ad ogni esigenza della vostra pelle: 
Mirtillo rosso, Rovo antico, Pino silvestre, Fiore di cotone nordico, Mirtillo nero bio.
Ma l’elemento che contraddistingue il marchio da qualunque altro è il concetto di “hygge”, la filosofia che si basa sul calore, sull’intimità, sul benessere che ci fa stare in pace con il mondo e con noi stessi. E’ dai paesi nordici che arriva, esattamente dalla Danimarca che, secondo ricerche, è il paese più felice al mondo perchè vive nel rispetto per gli altri. Per intenderci “hygge” può essere l’abbraccio accogliente della persona amata, la comprensione che riceviamo durante una chiacchierata con un’amica, il tepore di casa, e Skon ha pensato di raccogliere queste vibrazioni positive in una linea cosmetica, adatta a tutti, per portare un po’ di hygge nelle vostre vite. 
Sul sito ufficiale è possibile comporre il proprio cofanetto con un beauty routine set a soli 39.90 anziché 84, qui il link: My Beauty Routine Set.

Claudia Scattolini

Prima italiana ad essere ammessa al percorso internazionale della celebre SIPCA di Parigi fondata da Jean Jacques Guerlain, scuola di riferimento mondiale per la profumeria e la cosmesi, Claudia Scattolini ha creato una vera e propria nuova professione, quella del “Fragrance designer”. Con l’omonima società si specializza in private labels e arredamento olfattivo; nascono così profumi per ambiente che lo raccontano, lo descrivono in base alla natura circostante o alla personalità di chi lo abita, sono le note che ricorderemo varcando la porta d’ingresso perchè l’olfatto ha una memoria molto lunga e stampa i ricordi per sempre
Eau de parfum cuciti su misura ma anche fragranze che donano un tocco di carattere ai tessuti di casa, sulle tende, nella cabina armadio, sugli accappatoi e le lenzuola, quanto è rilassante riposare con il delicato profumo talcato dell’Iris di Eau de Linge, quell’odore di pulito che conciglia il sonno, tranquillizza e rende familiare il dolce abbraccio che il letto ci regala ogni sera. 

Il noto profumiere francese Nicolas de Barry ha inserito l’eau de parfum di Claudia, Agrums, tra i 101 profumi del mondo che almeno una volta nella vita bisogna provare. Ma quel che rende speciale il lavoro di Claudia Scattolini, è il tempo che dedicata a un progetto molto importante del reparto di Oncologia dell’ospedale di Borgo Roma a Verona, il Progetto Convivio dove racconta i suoi profumi ai pazienti oncologici in attesa di cure, perchè il talento ci avvicina agli altri, ma il cuore ci descrive. 


Ayay 

Non ci crederete, eppure esiste! La vulvacare, una linea di creme, gel, sieri, maschere, “da applicare dove non batte il sole”; si chiama Ayay, è made in Italy, allergen free ed è nata da una partnership tra la digital hub IDT e Yamamay, studiata dalla farmacista cosmetologa Milena Terenghi che in merito alla formulazione dichiara: “Abbiamo utilizzato solo materie prime di ottima qualità ed efficaci e intensificato i test cosmetici abituali”. 

Una linea cosmetica tutta dedicata alle parti intime, perchè è vero, pensiamoci, esistono creme e lozioni per ogni parte del corpo, ma poche per una zona così delicata e che necessita invece delle stesse cure e attenzioni. E allora la si coccola con Ayay, con il siero effetto lifting a base di acido ialuronico che agisce a livello sottocutaneo garantendo una perfetta idratazione; la pelle diviene più elastica e compatta, si rassoda stimolando la produzione di fibroplasti e collagene, con risultati evidenti già dopo sole 48 ore. 
E per una serata speciale la Crema Scintillante Profumata Ayay per parti intime dona un look frizzante e divertente, ma non solo, la sua formulazione ha prodigiose proprietà nutrienti perchè contiene olio di argan, olio di mandorle dolci, acido ialuronico, trealosio (una molecola unica in natura capace di far tornare in vita le piante nel deserto, che cattura le molecole d’acqua e mantiene un’idratazione costante), e tocoferolo (potente antiossidante che dona luminosità ed elasticità). 

Essendo tutti prodotti molto delicati, sono utilizzabili per ogni parte del corpo; sul sito ufficiale è possibile comporre il proprio kit di bellezza.

Buon divertimento! 

Beauty Life 

Scienza e nanotecnologie si uniscono alle sostanze funzionali che la natura ci offre, un approccio multi funzionale per contrastare ogni sorta di inestetismo della pelle nato dall’esperienza cosmeceutica di Erika Guerra, CEO di BEAUTY LIFE COSMETICI. 

Beauty Life Cosmetici propone una linea completa di dispositivi e macchinari per la cura, il ringiovimento e il benessere del viso e del corpo; soluzioni tecnologiche all’avanguardia, ideali per il trattamento degli inestetismi corporei e per massimizzare l’efficacia dei risultati. 

Trattamenti per infiammazioni muscolo-scheletriche, tensioni da stress e posturali. Beauty Life Cosmetici ha studiato la linea Lenidol Therapy Life dedicata al trattamento lenitivo, per donare sollievo e benessere attraverso la riattivazione del microcircolo e l’ossigenazione dei tessuti; questi prodotti sono particolarmente indicati anche per massaggi sportivi e decontratturanti, come la Crema Termoattiva.
Lo Scrub Geleè è una miscela di granelli di gusci di noce e polvere dorata immersa in una crema trasparente ricca di glicerina; lo Scrub Geleè rimuove efficacemente le cellule ispessite e opache, attenua le macchie cutanee e accelera il rinnovamento cellulare per ottenere una pelle morbida liscia e vellutata.

Basta Tinder, nascono le nuove app per incontri esclusivi.

Ormai dal 2012 la piattaforma Tinder imperversa nelle metropolitane, nei bar e nelle case di tutto il mondo segnando un profondo cambiamento nelle modalità di dating. Uomini e donne hanno cominciato così a conoscere e selezionare le persone con cui uscire per un drink, una cena o perché no,  una sana serata di sesso tramite il proprio smartphone semplicemente scorrendo le foto dei futuri spasimanti. Se c’è il match allora si da al via alla chat, in teoria destinata ad un incontro faccia a faccia anche se spesso i match rimangono nella home page senza fruttare alcun tipo di conoscenza.
“Domani mi cancello da Tinder” è diventato più o meno come “Domani smetto di fumare” “Domani cerco un nuovo lavoro” o “Domani organizzo una cena con i compagni delle superiori” quelle cose che non si fanno mai, stare su Tinder è invece sempre più accettato e condiviso tanto da spingere attori e cantanti come James Franco, Hillary Duff, Orlando Bloom, Adele e Katy Perry a creare dei profili. Con il tempo però sono nate nuove piattaforme di dating app alcune destinate ad un pubblico più esclusivo altre con maggiori funzionalità.

Ormai dal 2012 la piattaforma Tinder imperversa nelle metropolitane, nei bar e nelle case di tutto il mondo segnando un profondo cambiamento nelle modalità di dating. Uomini e donne hanno cominciato così a conoscere e selezionare le persone con cui uscire per un drink, una cena o perché no,  una sana serata di sesso tramite il proprio smartphone semplicemente scorrendo le foto dei futuri spasimanti. Se c’è il match allora si da al via alla chat, in teoria destinata ad un incontro faccia a faccia anche se spesso i match rimangono nella home page senza fruttare alcun tipo di conoscenza.
“Domani mi cancello da Tinder” è diventato più o meno come “Domani smetto di fumare” “Domani cerco un nuovo lavoro” o “Domani organizzo una cena con i compagni delle superiori” quelle cose che non si fanno mai, stare su Tinder è invece sempre più accettato e condiviso tanto da spingere attori e cantanti come James Franco, Hillary Duff, Orlando Bloom, Adele e Katy Perry a creare dei profili. Con il tempo però sono nate nuove piattaforme di dating app alcune destinate ad un pubblico più esclusivo altre con maggiori funzionalità.

Raya: Appena lanciata sul mercato italiano, Raya è la più misteriosa delle app di incontri. Nata nel 2015 si propone come un app di incontri esclusivi, una sorta di Hermès delle dating app dove si paga una quota per iscriversi, i profili vengono selezionati uno ad uno e non c’è modo di influenzare le selezioni. Non si può rivelare l’identità di chi è su Raya e perché ha deciso di iscriversi anche se alcuni indiscrezioni dicono che tra i nomi più famosi ci siano vincitori di Oscar e Grammy, business man, modelle e attori. Il fulcro dell’app tuttavia sono i giovani creativi, la community ha inoltre la possibilità di accedere alla funzione “Work” dell’app, dove poter mettersi in contatto con potenziali dipendenti o datori di lavoro semplicemente con un click. Numero di follower o bellezza non sono caratteri decisivi per riuscire ad ottenere un profilo, gli unici due requisiti fondamentali sono la passione per la gente, la connessione con gli altri attuali membri della community e chiaramente l’immagine che si decide di voler dar di sé.

9-things-you-need-to-know-about-secretive-celebrity-dating-app-raya-10Luxy:  La più capitalista delle Dating App, Luxy è come Tinder ma solo per milionari. Per iscriversi bisogna di dimostrare di guadagnare più di 200.000 dollari all’anno, la metà dei membri attivi guadagna più di 500.000 dollari e il 41% degli iscritti è milionario. Al momento dell’iscrizione vengono richieste svariate informazioni personali tra cui il brand preferito così da facilitare i membri nell’incontrare l’anima gemella con la quale puoi condividere lo shopping perfetto. Bando alle ciance ed ai moralismi vari, se sei ricco e cerchi un partner del tuo stesso tessuto sociale  allora questa è l’app di incontri perfetta per te, d’altronde negli Stati Uniti sono sempre di più gli americani che preferiscono un partner con lo stesso livello di scolarizzazione, e nel nuovo continente spesso questo ancora significa maggiore reddito.

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Happn:  Avete avuto un colpo di fulmine in metro e non sapete come approcciarvi? Non disperate c’ Happn, la dating app francese che funziona con la geo-localizzazione e vi permette di contattare le persone che avete incontrato durante la vostra giornata a patto che siano iscritte ad Happn.  Le funzionalità sono più o meno le stesse di Tinder, puoi inserire la tua libreria Spotify, i tuoi interessi e quello che vai cercando, se sei interessato ad un utente basta mandare una richiesta di conversazione  e, in caso di risposta positiva potete iniziare a chattare. Attenzione però, ogni chat costa un credito, i crediti si possono ottenere invitando altre persone o comprandoli, per esempio 100 crediti costano 16.99 €.

Happn-10

Ormai dal 2012 la piattaforma Tinder imperversa nelle metropolitane, nei bar e nelle case di tutto il mondo segnando un profondo cambiamento nelle modalità di dating. Uomini e donne hanno cominciato così a conoscere e selezionare le persone con cui uscire per un drink, una cena o perché no,  una sana serata di sesso tramite il proprio smartphone semplicemente scorrendo le foto dei futuri spasimanti. Se c’è il match allora si da al via alla chat, in teoria destinata ad un incontro faccia a faccia anche se spesso i match rimangono nella home page senza fruttare alcun tipo di conoscenza.
“Domani mi cancello da Tinder” è diventato più o meno come “Domani smetto di fumare” “Domani cerco un nuovo lavoro” o “Domani organizzo una cena con i compagni delle superiori” quelle cose che non si fanno mai, stare su Tinder è invece sempre più accettato e condiviso tanto da spingere attori e cantanti come James Franco, Hillary Duff, Orlando Bloom, Adele e Katy Perry a creare dei profili. Con il tempo però sono nate nuove piattaforme di dating app alcune destinate ad un pubblico più esclusivo altre con maggiori funzionalità.

Once: Avete visto la puntata Hang the dj della quarta stagione di Black Mirror?  Quella dove un sistema gestisce tutte le relazioni amorose accoppiando le persone e definendo quanto tempo devono stare insieme? Ecco non siamo troppo lontani da quel futuro dispotico descritto nella serie tv anglosassone più chiacchierata degli ultimi anni. Once infatti è una vera e propria rivoluzione del sistema dating app; all’utente viene notificato un profilo al giorno selezionato tramite criteri di affinità stabiliti dall’app, successivamente i match hanno 24 ore per contattarsi. Once vuole portare avanti l’idea qualità sopra la quantità abbattendo così le infinite chat inutili con utenti che non ci interessano alle quali tutti rispondiamo o per noia o per cortesia.

App Once-2

Presenti online anche siti come Gnoccatravels per info su viaggi piccanti in Italia e all’estero. 
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