Jonathan Daniel Pryce: la mia visione della moda post pandemia

Il mondo della moda sta in continuo cambiamento in questo periodo: tante scelte, tante domande che col passare del tempo aumentano creando attesa per quello che succederà.
Dopo lo choc della pandemia la moda si sta interrogando sulla necessità di ripensare ritmi e stagioni delle sfilate.
Tutto è messo in gioco in questo momento e gli addetti ai lavori non posso far altro che rimanere ad osservare.



Ho deciso di confrontarmi sull’argomento con uno dei fotografi più conosciuti del mondo dello Street style che ci racconta il suo punto di vista su questo periodo della moda post Covid-19: Jonathan Daniel Pryce.
Più che definirlo fotografo, lo definirei un’artista dato che i suoi scatti esprimono diverse emozioni oltre ad uno storytelling veramente forte ed emozionante.
È sempre un piacere osservare i suoi lavori sulle diverse riviste del fashion system.



Ciao Jonathan, innanzitutto grazie di essere qui. Intanto ci tengo davvero a dirti che sono innamorato dei tuoi scatti da sempre perché trovo l’arte in ogni tua realizzazione!
Come ti descriveresti?

Ciao Christian e grazie! Sono una persona che lavora duro, sensibile e con i piedi per terra. Del mio lavoro apprezzo tantissimo lo story telling che nasce dalle conversazioni con i soggetti che fotografo. I viaggi sono un’altra fonte di gioia, per questo è stato strano non poter prendere un aereo negli ultimi mesi. 



Come sta procedendo la tua vita in questo momento? Come ti sei trovato in questo periodo di lockdown?

Il lavoro è stato intenso per una decina di anni, quindi ora posso sfruttare questo tempo come reale opportunità di vivere con un ritmo diverso. Ho scritto, dipinto e imparato a suonare il piano – tutte cose per cui non avevo tempo prima. Questo mi ha anche  ricordato cosa amavo del mio vecchio stile di vita. Nel complesso va tutto bene. 



Visti gli ultimi risvolti, come pensi si evolverà il mondo delle fashion week? Cosa ci dobbiamo aspettare?

Prima del Covid-19 già si parlava molto della sostenibilità nel settore della fashion week. Ora siamo al punto in cui c’è bisogno di trovare un’alternativa digitale al modello tradizionale. Attualmente non sappiamo quanto questo possa essere efficace, ma avremo un’idea migliore dopo le collezioni uomo di giugno. La fashion week non ruota solo attorno alla presentazione di nuovi design – riguarda anche le relazioni, le cene, la condivisione di idee davanti a un caffè e la fotografia del processo organico. Per questi motivi non credo che la fashion week potrà essere esclusivamente online, ma posso immaginare una sua riduzione in termini di dimensione.



Sei uno dei migliori fotografi di Street style, come stai portando avanti il tuo lavoro?

Sono molto più consapevole di quello che fotografo al momento. Prevalentemente si tratta di paesaggi e still life astratti – un cambiamento molto interessante. Ma il mio focus è stato sulla pittura e sulla scrittura – due abilità che sto ancora migliorando. 

E quali sono i tuoi progetti per il futuro? Cosa hai in programma?

Sto programmando di trascorrere un po’ di tempo in Scozia durante l’estate per riscoprire la mia terra d’origine.

Intervista di Christian Degennaro.

Gabriele Stillitani: un bartender globetrotter

Italiano d’origine ma con una storia da globetrotter. Ha vissuto tra Miami, Formentera e Lugano e grazie al suo profilo Instagram @Mint_Drink, è sempre in contatto con migliaia di persone, che ogni giorno lo seguono da tutto il mondo. Il suo locale a Lugano, punta ad entrare nel World’s 50 Best Bar. Gabriele Stillitani, in questa intervista ci racconta dei suoi viaggi, di dove ha bevuto meglio e di dove peggio.

Un elogio alle materie prime, alle tendenze asiatiche, ma soprattutto all’empatia di chi sa stare dietro al bancone.



Come hai iniziato a fare il bartender?

Per caso. Frequentavo l’Università ma ero alla ricerca di indipendenza. Grazie a un amico ho iniziato con una stagione. Il mio primo lavoro è stato a San Teodoro in Sardegna, all’Ambra Day che è un locale immenso con diversi punti bar, tutto all’aperto, e 60 dipendenti. Sono sempre stato un tipo curioso e ho iniziato a preparare lì i miei primi cocktail.



In quale bar hai lavorato?

La Sardegna è una delle esperienze professionali che ricordo con più piacere. Dall’Ambra Day sono passato al Country Club di Porto Rotondo, di cui sono diventato il bar manager. Nel 2012 mi sono trasferito negli States e, al contempo, seguivo la gestione di tre locali romani con la supervisione del Country Club. Un periodo di interminabili call e viaggi in aereo. Di ritorno dagli Usa, ho aperto a Formentera nel 2013, “That’s Amore” insieme a quattro amici. Un locale dal sapore nuovo. Facevamo “Colazioni & drink” e avevamo file interminabili a ogni ora del giorno e della notte. Nel 2014 ho lasciato Formentera e sono diventato bar manager del Tom (The Ordinary Market) di Milano. Per andare a lavorare a Lugano alla fine del 2015. Nel 2017 ho aperto La Dispensa con il mio socio con cui adesso sto puntando a entrare nella classifica dei prossimi World’s 50 Best Bar. 



Quali sono le caratteristiche di un buon bartender?

Un grande professionista deve avere l’ospitalità nel sangue. Tra i suoi punti di forza non deve mancare il saper sempre soddisfare il cliente, creando un ambiente piacevole in cui traspare divertimento e passione, anche quando la pressione al banco aumenta tra tante richieste e alte aspettative. Il cliente è una risorsa importante e, allo stesso tempo, un investimento che richiede da parte di tutto lo staff del locale un impegno costante. Ai miei ragazzi domando sempre quale sia il segreto per far sì che un cliente preferisca ad altri locali il nostro. Ecco, la risposta è una soltanto: saper padroneggiare l’arte dell’accoglienza. 



Invece, quali sono gli errori più comuni che noti in chi fa il tuo stesso lavoro?

Temo che l’errore più comune sia la noia e l’arroganza che, a volte, sostituiscono una genuina ospitalità. Alcuni bartender non mancano di esperienza ma di empatia. Per fare bene questo mestiere bisogna aver fame di gente ed essere innamorati degli altri, anche se hanno dei grandi difetti.



Come descriveresti la scena europea della mixology?

L’Europa arranca un po’ a star dietro alla mixology asiatica che, in questo momento, si attesta tra le migliori. Il livello è altissimo e alle competition più importanti l’Asia batte tutti perché investe sui prodotti, sulle idee e sui macchinari. Inoltre, gli asiatici sono facilitati a sperimentare perché hanno una clientela esigente e competente. Non a caso quest’anno 8 su 10 finalisti delle gare più importanti provenivano tra Singapore e Hong Kong. Nonostante tutto però noi barteder italiani non sfiguriamo, anzi, ci facciamo notare a livello internazionale.



Si parla di slow drinking, ma cosa ordina la gente quando esce? 

Slow Drinking vuol dire “bere particolare”, di qualità, ricercato, prestando attenzione alla giusta temperatura di servizio, al bicchiere utilizzato, e mantenendo la base alcolica corretta. Slow Drinking significa anche saper scegliere un locale di livello dall’ambiente e dalle giuste vibrazioni che emana. Quindi, la scelta cade sui cocktail che seguono queste regole, che non stordiscono di alcol e che non miscelano prodotti di linea. Per me un Margherita è buono se si è scelto un tequila top. Un Americano è perfetto se si miscela un vermouth ricercato.



Io ad esempio ordino il Negroni cocktail, sono da considerare démodé?

La tendenza di un cocktail è dettata dal suo gusto. I grandi classici restano intramontabili proprio perché hanno fatto la storia della mixology. E il futuro guarda al passato per prenderne ispirazione. Se si parla di mode, penso che i drink troppo zuccherini siano oggi fuori tendenza. Ma il Negroni è il re dei cocktail e non sarà mai démodé. Non a caso molti bartender sono diventati famosi anche per i loro twist on classic sul Negroni. A La Dispensa ne servo uno particolarissimo che ha come base un porto invecchiato sei mesi in botti di rovere in cui faccio anche macerare delle botaniche stagionali per rendere l’esperienza Negroni sempre nuova e tailor made.



Tu cosa bevi?

In questo momento bevo liscio perché in purezza si scelgono meglio i distillati che si andranno poi a miscelare. I single malt al momento sono tra i miei preferiti. Se devo invece scegliere un drink, mi piacciono quelli a base bourbon e tequila. Un Old Fashioned e un Tommy’s Margarita fatti bene non si rifiutano mai.



Tra le tue passioni, c’è anche quella per i viaggi, qual è l’ultimo posto in cui sei stato?

Vorrei tornare alle Maldive, una vacanza in totale relax fisico e mentale. Non c’è niente di meglio della tranquillità assoluta per resettare e ripartire con nuove ispirazioni.



C’è un drink che ti ricorda un viaggio in particolare? 

Del periodo di Miami ho un ricordo negativo. Tra i tanti locali, su Ocean Road ce n’erano alcuni che proponevano ai turisti un Margherita frozen da un litro. Servito in una coppa a forma di sombrero, a cui era stata aggiunta a una bottiglia di birra capovolta, il drink veniva bevuto con la cannuccia al costo di 100 dollari. Una porcheria. Parlando invece di drink seri e memorabili, non scorderò mai A Moveable Feast #1964 di Augung Prabowo, un Bloody Mary chiarificato a dir poco stupefacente, che avrebbe convinto anche Ernest Hemingway. Infatti, The Old Man a Hong Kong, oltre a essere tra i primi 10 nella classifica dei World’s 50 Best Bar, è un locale interamente dedicato al grande scrittore americano.



Se ti dicessi che domani potremmo tornare a viaggiare senza confini dove vorresti andare?

Andrei volentieri in Danimarca. Vorrei provare i piatti del Noma e bere un drink al Rømer. Considerato a Copenaghen, il miglior cocktail bar sul canale.



Che cosa metteresti in valigia?

La mia valigia è composta soltanto da infradito e costume. Ovviamente se vado al mare. In viaggio di solito porto l’essenziale adattandolo all’itinerario.



Cosa porteresti al tuo ritorno?

Adoro portarmi a casa piccole memorie di viaggio, dalle foto ai sottobicchieri. Tanti ricordi che possono farmi ritornare in quel luogo al solo sguardo.

Art meets Beauty: la visione di Edmond Eisenberg

Edmond Eisenberg è il perfetto ambassador dell’omonimo brand beauty. Figlio di Josè Eisenberg, fondatore dell’azienda e grande innovatore, ne condivide la visione e i valori. Il beauty per entrambi è una scienza esatta, e necessita di una grande ricerca tecnologica. Al tempo stesso però anche l’arte gioca un ruolo fondamentale nella strategia, poiché il prodotto beauty deve essere scientificamente avanzato e offrire un’esperienza sensoriale a chi lo utilizza. Abbiamo incontrato Edmond per scoprire il DNA di Eisenberg e i suoi consigli per una beauty routine tutta al maschile. 

Il tuo brand ha percorso generazioni differenti, come riuscite a combinare insieme tradizione ed innovazione?

La nostra filosofia riguarda i concetti di bellezza, perfezione, arte, tecnologia, innovazione ed eccellenza. Diamo estrema importanza alla ricerca e sviluppo e all’innovazione. Il nostro fine ultimo è cercare sempre il prodotto perfetto, piuttosto che una mera strategia di marketing. Ad ogni modo, EISENBERG è in primis un’azienda familiare. Questo ci permette di rimanere fedeli alla visione autentica di mio padre, ai suoi valori e di essere liberi e indipendenti per mantenere la nostra autenticità. Non siamo un’azienda multinazionale e abbiamo un’unica storia da raccontare: una creatività degna di nota, una passione reale per ciò che concerne la bellezza e il rispetto per i nostri consumatori. 

La ricerca del prodotto vi ha sempre contraddistinto. Quali sono le prossime innovazioni che vorreste introdurre?

Certamente miriamo a offrire prodotti beauty con un reale valore aggiunto, per fare in modo che i nostri clienti si sentano bene con se stessi e per offrire un’esperienza unica. Di conseguenza, la ricerca nell’ innovazione e l’ eccellenza sono le nostre priorità. Credo che la bellezza, o la sete di essa, sia eterna e lo è anche la nostra missione per trovare le formule più innovative al fine di preservare e rivelare la bellezza della pelle. Attualmente stiamo lavorando su progetti molto interessanti che non vediamo l’ora di condividere. Come per tutti gli sviluppi di prodotti futuri però teniamo i dettagli segreti fino a che il prodotto non sia effettivamente lanciato sul mercato: il che rende il momento del lancio ancora più emozionante per tutti. 



Come descriveresti la crescita e l’evoluzione del mondo beauty per gli uomini?

Gli uomini moderni hanno molto a cuore il desiderio di apparire belli e di sentirsi bene con la propria pelle, di conseguenza compiono azioni per raggiungere questi obiettivi. Vogliono essere sempre in forma e stanno acquisendo una consapevolezza di sé sempre maggiore; questo va di pari passo con il consumo di prodotti di bellezza. Oggi gli uomini sono diventati consumatori fedeli e hanno accettato l’uso dei prodotti beauty nella loro routine quotidiana.

Inoltre, la cura della pelle e della bellezza fanno parte pienamente dell’idea dello “stare bene”. 

Ultimo ma non meno importante, il Covid-19 ci ha insegnato l’importanza dell’igiene, di una sana e consapevole cura della pelle, di un brand su cui poter fare affidamento. E il nostro risponde a queste caratteristiche.  È importante creare prodotti su misura per anticipare e rispondere alle richieste specifiche degli uomini di oggi. La nostra pelle soffre quotidianamente le aggressioni dell’inquinamento, specialmente urbano. C’è una domanda in crescita per prodotti che siano facili da utilizzare, efficienti e che contengano prodotti naturali mirati. 

Quale è il vostro target per gli uomini e quali sono i nuovi bisogni?

Pensiamo che tutti gli uomini si meritino di sentirsi belli. Grazie alla nostra vasta gamma di prodotti proviamo a consegnare loro la cura perfetta per ogni bisogno specifico e per ciascun tipo di pelle: da normale a grassa, da secca a sensibile. Ogni uomo che cura il proprio aspetto e che desidera una pelle in salute e radiosa troverà la routine di skincare completa da EISENBERG Man. In genere l’uomo che acquista il nostro brand cerca prodotti veloci ed efficienti che rispondano perfettamente ai suoi bisogni quotidiani. Per lui, la cura della pelle non riguarda sono una crema da applicare quando capita perché la sua partner gli dice di farlo. Lo fa perché vuole sentirsi bene. 

Quali per te 3 prodotti must have da donna e 3 indispensabili per gli uomini

Ogni donna deve provare la “Masque Tenseur Remodelant”, una dei più venduti. È una maschera anti-età che assicura elasticità e corposità in pochi minuti. Un altro fra i migliori è il tanto amato “Soin Anti-Âge”, che ha una consistenza morbida, vellutata sulla pelle. I suoi ingredienti principali tonificano, lisciano e rassodano, in modo che la pelle appaia visibilmente più giovane. Il terzo must-have è “Crème Contour des Yeux & Lèvres”, un anti rughe specifico per occhi delicati, applicabile anche sulla zona labbra che riduce le rughe sottili e i segni della stanchezza. 

Per quanto riguarda gli uomini direi che non piò mancare il rinomato “Soin Actif Calmant Hydratant”, la cura perfetta per chi ha la pelle sensibile. Questo trattamento pensato per la città agisce a 360° come scudo contro le aggressioni esterne. Immancabile! “Complexe Anti-Âge” è una formula eccezionale per ridurre i segni dell’età. Questa crema ultra leggera è arricchita da un anti rughe e da ingredienti attivi idratanti, i quali mantengono la pelle rinvigorita tutto il giorno. Il terzo prodotto è “Duo Essentiel”, un due in uno che può essere utilizzato sia come detergente, sia come gel per la rasatura. Lascia la pelle liscia e confortevole, è un prodotto molto pratico per l’uomo di città! 

Come curi la tua pelle durante l’anno? Raccontami della tua routine estiva…

In generale rimane quasi sempre la stessa, ma in estate amo utilizzare formule fresche dalla consistenza leggera, quindi adatto la mia routine di conseguenza.

Uso Duo Essentiel per lavarmi il viso e radermi ogni mattina, poi il Gel Après-Rasage Apaisant. Mi piace molto la sua consistenza fresca e non unta! Per assicurarmi che la mia pelle riceva la giusta idratazione uso Baume Essentiel Hydratant, che dà una sensazione piacevole di benessere per iniziare la giornata nel migliore dei modi. Inoltre, uso entrambi i nostri deodoranti, o lo spray DEODORANT o il nostro DEODORANT J’OSE.

Di sera uso nuovamente Duo Essentiel per eliminare le impurità accumulate durante il giorno e poi applico Soin Crème Réparateur Nuit, che ripara in profondità e rigenera durante la notte. A questo aggiungo Élixir de Jeunesse se ho un evento speciale o per il jet-lag, che è un acceleratore istantaneo contro la stanchezza. Il tocco finale è sempre il nostro profumo iconico J’OSE, che è il mio preferito da l’Art du Parfum e che uso da tanti anni!



Quali prodotti e abiti non mancano mai nella tua valigia quando viaggi? 

La stessa routine che ho descritto in precedenza. E in aggiunta troverete nella valigia il mio iPad, un orologio, capi sportivi per allenarmi ovunque nel mondo, un completo nero o blu notte, un paio di jeans, una maglietta bianca fresca, un maglioncino di cashmere nero e ancora più importante il Rispetto per qualunque cultura e Paese in cui io stia viaggiando. 

Tu e tuo padre siete amanti dell’arte e collezionisti. Come coniugate questa passione nell’ambito beauty e la tecnologia nelle vostre linee di prodotti?

L’arte ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella mia vita e in quella di mio padre. Oltre alle nuove tecnologie, definisce ogni creazione di mio padre e si riflette profondamente nel brand. Siamo costantemente alla ricerca del prodotto perfetto, che porti risultati reali ma che offra al consumatore un’esperienza artistica e sensoriale. La nostra prima linea di fragranze “l’Art du Parfum” rappresenta perfettamente questa unione: arte e profumi in un connubio che esprime l’essenza di vita, l’eternità, la sensualità e la bellezza. Il talentuoso pittore brasiliano Juarez Machado ha creato un dipinto per ogni profumo, il quale rappresenta lo spirito di ogni fragranza e cattura emozioni. In aggiunta, ho un retaggio artistico che mi piace coltivare nella vita personale. Sono grato di poter utilizzare questa passione e che il brand ne benefici durante il processo creativo. 

Quali sono gli artisti che ti piacciono maggiormente e perché?

Dipende da quale arte stiamo parlando, ma in generale direi che i miei gusti sono molti eclettici. Se parliamo di musica, amo Verdi, Puccini, Travis Scott, ma anche Chopin, BB King o John Mayer. Se parliamo di arte, ammiro il Rinascimento e la cosiddetta Arte “Zero” italiana (Lucio Fontana e Turi Simeti), o addirittura l'”Arte Povera” che mi appassiona molto, ma anche Arnaldo Pomodoro. 

@eisenbergparis

Francesco Martino ne “Gli anni amari”

Francesco Martino è un vero e proprio attore internazionale, infatti la sua vita si è divisa per parecchi anni tra Roma e Los Angeles avendo la fortuna di formarsi nelle migliori scuole.Lo abbiamo conosciuto in diverse serie TV, ma il suo battesimo al cinema è stato al fianco di Ferzan Ozpetek ne “La finestra di fronte”.

Ora lo possiamo finalmente vedere nel tanto atteso film “Gli anni amari”, al cinema dal 2 Luglio, ispirato e dedicato alla vita di Mario Mieli a cui è intitolato il circolo di cultura omosessuale. Lui che ha combattuto le prime battaglie per i diritti LGBT.



Come hai iniziato a fare l’attore?

Tutto è iniziato all’età di quattordici anni, ero un ragazzino molto timido, e quasi per caso feci un corso di teatro e misteriosamente salendo sul palcoscenico si sbloccò tutto.

Una volta provata quell’ebrezza è difficile dire non mi piace e tornare indietro, e così è successo anche a me.

Che tipo di formazione hai avuto?

Devo dirti due, una italiana molto classica ovvero l’Accademia di arte drammatica Silvio D’Amico e l’altra Americana a Los Angeles con Ivana Chubbik, entrambe durate circa tre anni l’una.


Cardigan: Paoloni, Pantaloni: Siviglia

Ti piace la vita sulla West Coast?

Beh, è molto diversa da qualsiasi città europea, in quanto è stata costruita per essere guidata e non camminata, è un po’ come se fosse una regione con vari centri abitati collegati tra loro da grandi autostrade. 

Questo ha un impatto fortissimo appena ci arrivi poi man mano capisci come rapportarti con le persone ed il modo di costruire i rapporti è anche molto diverso, sono molto più italiano sotto questo punto di vista.


Giacca e pantaloni Lardini, T-shirt: stylist’s own

“Gli anni amari” sarebbe dovuto uscire a Marzo..

Ebbene si, era previsto per il 12 marzo, ovviamente a due giorni dal lock-down, data non fortunata, e momento storico senza previsioni.

La scelta è slittata al 2 luglio proprio per non mandarlo direttamente su di una piattaforma digitale ma dando l’occasione di ritornare al cinema a tutti gli appassionati.


Parlami del film e di Mario Mieli.

Viene considerato uno dei padri del movimento di liberazione omosessuale, al tempo si chiamava così l’attività per la difesa dei diritti, che in quel periodo erano totalmente assenti.

Io personalmente ne sapevo pochissimo e quando ho letto la sceneggiatura e ho visto che quarant’anni fa a Sanremo si teneva un convegno per capire se l’omosessualità fosse una malattia psichiatrica da curare con l’elettro shock, mi ha fatto rabbrividire.


Giacca e pantaloni Lardini, T-shirt: stylist’s own

Dimmi del tuo ruolo nel film.

Io interpreto Corrado Levi, compagno storico di Mario Mieli, intellettuale, architetto, attivista e fu anche uno dei primi personaggi sposati con figli a fare coming out, cosa totalmente inaudita al tempo con il rischio di licenziamenti e linciaggio. Il quale fondò una pratica simile a quella del movimento femminista, ovvero quella di ritrovarsi e parlare tutti insieme delle stesse tematiche di cui non si parlava con nessuno a scopo terapeutico. Quello che fanno tutt’ora gli alcolisti anonimi.


Foto: Davide Musto @davide_musto

Styling: Filippo Casaroli @filippocasaroli

Special thanks: Mpunto Comunicazione

I nuovi talenti di Netflix. Thomas Camorani, da Summertime a Sotto il sole di Riccione

Classe 2001, Thomas Camorani ha la voce del tipico bravo ragazzo, anche se come si definisce lui stesso “ sono un organizzatore di feste, sempre carico e un po’ casinista”. Nonostante la giovane età però, ha già le idee molto chiare, la prima esperienza sul set gli ha fatto capire che la strada della recitazione è quella che deve seguire da qui al futuro, e lo farà con la grande motivazione che più volte emerge nella nostra intervista.

Raccontaci il tuo percorso fino ad oggi, dal calcio alla recitazione..

Sono appassionato di recitazione sin da piccolo, passione che ho coltivato assieme a quella del calcio e della moda, ambito in cui ho lavorato a partire dall’età di 12 anni come modello. 

Allo stesso tempo però ho iniziato a frequentare corsi di recitazione, a Roma. La mia carriera di attore è certamente iniziata come autodidatta e continuo a imparare molto sul campo, non sono mai stato un invidioso e cerco sempre di prendere esempio da chi è più esperto.

Parlando invece del calcio, ero arrivato a un buon livello con una squadra in serie C ma la vita mi ha presentato una scelta. La malattia che mi ha costretto due anni in ospedale mi ha fatto ripensare a quelle che erano le mie passioni e così mi sono allontanato dal calcio e ho cominciato a studiare da solo dizione. Una volta uscito dall’ospedale mi sentivo pronto per partire. Non ho mai seguito scuole di recitazione vere e proprie, solo workshop e coaching privato. Per me conta la voglia di fare e imparare, il grosso poi lo apprendi sul set. 

Come è stato il tuo debutto da attore?  

È stato fantastico, anzitutto dal punto di vista formativo perché con Netflix ho imparato tantissimo. (5 anni di studio in un lavoro praticamente). Mi ricordo che stavo per partire per le vacanze e invece è arrivato questo progetto; un fulmine a ciel sereno che mi ha dato tantissimo ed è stata la cosa migliore che mi potesse capitare. Per partecipare alle riprese ho investito tanto di mio, anche in termini di risorse economiche, venendo da una piccola realtà di provincia gli spostamenti erano all’ordine del giorno. Fortunatamente ho sempre avuto l’appoggio della mia famiglia, diversamente alcuni miei amici non hanno creduto in me, mi deridevano. È stato un bene averli persi.  Sul set invece all’inizio avevo un po’ di timore ma è stato veloce sentirsi subito a casa. Questa tranquillità mi ha fatto capire che l’attore poteva davvero essere il mio lavoro per il futuro. 

Parlaci del tuo personaggio nella serie Summertime..

Il mio personaggio non è tra i protagonisti, ma rispecchia davvero quello che sono. Organizzatore di feste, sempre carico e un po’ casinista. Il tipico romagnolo insomma. Proprio per questo non ho avuto grandi difficoltà a interpretarlo. Sicuramente nel futuro spero di misurarmi anche con ruoli diversi da me è più complessi.

E l’esperienza in “Sotto il sole di Riccione” ?

Ho iniziato subito dopo la fine di Summertime, e le modalità per i film sono molto diverse da una serie. Basti pensare che la serie è stata girata in 4 mesi, il film in un mese solo.

Come ambiente ho preferito l’atmosfera di Summertime, Sotto il sole di Riccione è stata però una grande esperienza soprattutto per confrontarmi con altri attori di grande calibro (come ad esempio Isabella Ferrari).

Come hai vissuto i mesi del lockdown?

I mesi scorsi sono stati davvero difficili, soprattutto perché mi hanno riportato ai tempi in cui sono stato in ospedale e dove in effetti ho vissuto in una sorta di quarantena di due anni. In queste situazioni emerge tutta la mia sensibilità e allo stesso tempo la mia forza. Marzo è stato molto difficile, dopo ho iniziato a riattivarmi fisicamente e mentalmente, a riprendere le mie attività, a leggere. Sono di natura iperattivo e mi piace avere giornate molto intense e impegnate. Anche il supporto della famiglia è stato fondamentale, viviamo in una casa grande e abbiamo accanto altri parenti. Grazie a loro non mi sono mai sentito solo.

Sei molto forte sui social e in particolare Tik tok. Pensi che Tik tok possa arrivare a sostituire instagram? 

Penso che lo abbia già sostituto, tutte le aziende si stanno trasferendo su Tik tok. A Instagram manca quella parte più divertente che solo tik tok possiede, ma allo stesso tempo non mi sento ancora spinto ad abbandonare instagram. Penso che a breve assisteremo a un passaggio, proprio come è avvenuto per facebook.

Abbiamo parlato di Summertime, tu dove trascorrerai l’estate? 

Ad oggi posso dire che ogni estate è migliore della precedente. Ho in programma Jesolo e Formentera, ma dipende anche dagli impegni lavorativi che potrebbero sconvolgere tutto. In ogni caso sono uno che si adatta facilmente, sono super flessibile!

Il tuo luogo del cuore invece?

Mi è rimasta nel cuore Milano, dovevo trasferirmi qui il 10 Marzo prima della quarantena. Della città amo il nuovo quartiere di City life, Bosco verticale e ovviamente il Duomo.

Cosa non può mancare nella tua valigia quando viaggi?

Carica batterie, tantissimi vestiti (soprattutto mutande, sono fissato) ma anche diverse paia di scarpe. Collanina d’oro, il mio portafortuna. Libri sul business online e apertura della mente, altro mio interesse.

Novità in arrivo per la prossima stagione? 

Sul lato cinema ho parecchi progetti in testa, provini per una serie importante su cui incrociamo le dita assolutamente!


Instagram: @thomas_camorani Tik Tok: @thomas_camorani

Foto: Umberto Buglione per Wannabe Management

Total Look: Dsquared2

Il dandy bohémien: Robert Cavalli

Le sue movenze sono feline, il timbro di voce risoluto. D’altronde non potevamo aspettarci altro dal figlio di Roberto ed Eva Cavalli. Ho osservato a lungo le stories su instagram di Robert Cavalli prima di scrivere l’incipit dell’intervista che ha rilasciato a noi di Man In Town. E riflettendo mi sono reso conto che come pochi altri protagonisti della moda contemporanea egli celebra le sue radici. La sua amata Firenze: la culla del Rinascimento senz’altro, ma anche la pioniera della scena underground del clubbing italiano. Questo DNA perdura non soltanto nei suoi abiti, ma anche nel suo appartamento pieno di animali e squisitamente barocco. I suoi devoti follower, che ama chiamare ‘lovers’, sicuramente apprezzano la sua positività e spiritualità. E anche noi.



Cucina preferita?

La cucina fatta con creatività, in questo periodo ho avuto modo di sperimentare con semplicità dei piatti caserecci. Tante spezie, tanti odori per rendere ogni piatto appetibile e unico.

La cucina italiana, la nostra cucina, cosi completa, piena di storia dalla tavola fino al momento in cui ci si ritrova per gustare tutti insieme con gioia i miei pasti meravigliosi.

Se non fossi stato un designer cosa avresti fatto come lavoro?

Non mi definirei designer, sono uno spirito creativo, ho una sensibilità molto forte, tante volte mi perdo nelle mie creazioni, ho la fortuna di avere qualcuno che riesce subito a prendere l’idea e renderla tangibile. Magari mi esprimo prima attraverso un oggetto, che si trasforma in una melodia fino ad arrivare ad un ricamo nelle mie vestaglie Triple RRR. Non mi limiterò alla moda, specialmente ora che è momento di innovazione e visioni nuove.

Album o canzone preferiti?

Ascolto musica particolare, sono un amante delle frequenze, il mio genere si definisce Berlin school ambient, un genere di musica elettronica nata a Berlino negli anni 70’ che consiste in elementi di ambient music combinata di ripetitive e corte frequenze di note, tante volte psicodeliche creando cosí un ritmo di musica molto spirituale per me. Una vera e propria esperienza musicale.

Film, attore e attrice preferiti?

La storia di Frida Kahlo è il mio film preferito in assoluto, l’interpretazione di Salma Hayak mi fa sognare, una storia piena di colori in tutti sensi. Una donna che ha saputo, nella sofferenza della sua vita, creare tanta arte di una potenza assoluta, per le nostre generazioni da ammirare e darci tante emozioni. A suo tempo il film con una interpretazione artistica da premio Oscar.



Descrivi la tua giornata ideale.

Quello che era prima la mia routine non è quella che è oggi o perlomeno quello che sarà domani, ho trovato una espressione di vita nuova, sono più felice, ho avuto modo di vedere il mio day to day life da un’altra prospettiva fino a trovare un po’ la mia chiave per affrontare il mio futuro con una armonia nuova, piena di sorrisi, obiettivi e tanta creatività. Sono cambiate le mie usanze. Dall’apprezzare le piccole cose che sono quelle che mi danno veramente il sorriso sul viso, e l’amore per la vita.

Inizio ad avere cura di me attraverso lo sport, la meditazione e da lí nasce l’ispirazione più pura. Da lí sto portando fuori il mio nuovo concetto di immagination station, una stazione creativa nata dalla mia vita in quarantena, tra i miei animali, amori e voglia di vivere.

Quali sono le tue piú grandi ispirazioni?

Viaggiare tanto, le culture che conosci nei viaggi e le meravigliose persone che riflettono le loro usanze a loro modo. Sono affasciato da Israele, forse il paese che mi ha lasciato più un segno dentro. Gli animali mi ispirano, può essere un cliché dato chi sono, ma niente mi emoziona di più che andare ad osservare la vita animale nel loro habitat naturale. Vedere tanti Leopardi, e vedere come ognuno di loro ha le sue piccole differenze di colorazioni, grandezza dei patch, vorrei fare ogni stampa leopardata diversa dall’altra… come se ogni pezzo avesse la sua unicità come nella vita. 

Le più grandi sfide che hai affrontato nella tua vita?

La vita è tutta una sfida se tu vuoi affrontarla con questo spirito: io vivo di missioni… da completare, rinnovare, per passare cosí alla sfida successiva con il sorriso.

Piú che sfide ho tante responsabilità che sono i miei traguardi, dall’amore che do alla mia famiglia, agli amici, i miei tanti animali e cosa voglio dare per aiutare a rendere questo mondo migliore per le persone che incontrerò nel mio percorso.



Covid-19 a parte, sogni (e soprattutto speranze per il futuro)?

Spero che il Covid, assieme purtroppo alla sua drammaticità, abbia portato anche  una maggiore consapevolezza di ciò che siamo e abbiamo. 

Ci insegnerà a non dare le cose per scontate: spero in un cambiamento, dobbiamo imparare a voler bene al prossimo e alla nostra terra. Augurandomi di poterla vivere presto in tutta la sua bellezza senza mancarle mai più di rispetto.

Quando il nuovo è figlio del tempo, i must have di Cristian Sutti

“L’Heritage come concetto riletto nella sua più totale essenza, ma solo per riviverlo di contemporaneità e non solo con malinconia”. È questa la filosofia alla base del progetto di Cristian Sutti, designer ed architetto con una forte passione al vintage, ai pezzi rari ed al collezionismo.



Come è arrivato a questo progetto? Quale il suo percorso e perché la voglia di esprimersi attraverso una linea di oggetti che partono dall’idea del ri-uso?

Sono arrivato alla creazione del marchio 2010L.E. disegnando una possibile fiche con cui avrei creato dei portachiavi preziosi. Contemporaneamente ho sviluppato un mio concetto di limited edition, che si discosta da quello che è invece il suo significato standard. L’idea del ri-uso nasce dalla mia passione per tutto ciò che è vintage originale, e da creativo quale sono, ho sempre amato girare i vari mercatini delle pulci sparsi in giro per il mondo, cercando oggetti che mi colpissero e che mi trasmettessero qualcosa.

Proprio il re-made, ancora di più se pensato in un’ottica emozionale, di pensare a oggetti speciali, sembra molto importante e interessante collegato al momento storico, che guarda proprio all’etica e all’eco. Come si pone nei confronti di queste istanze? Cosa ne pensa?

Penso che più passa il tempo, più aumenta il consumismo e proprio questo aspetto incide sulla durevolezza degli oggetti, dei vestiti, delle auto e così via. Molti non sanno e non si rendono conto che una borsa in tela magari degli anni 40, appartenuta ad uno o più soldati, ha mantenuto quasi intatta la sua struttura, aggiungendo a tutto ciò quel plus dato dai segni evidenti di quella che è stata la storia di questo accessorio. Una domanda che mi sono sempre posto è stata come mai questo accessorio fosse ancora utilizzabile dopo quasi 80 anni. Il segreto è l’uso di materiali sicuramente meno performanti di quelli di oggi ma molto più di qualità.



Ci parla in generale degli oggetti che propone? Quale è l’iter progettuale?

Gli oggetti proposti nel progetto 2010 I.e. sono di varia natura. Il comune denominatore è il loro essere vintage originali. Essendo un architetto con la propensione all’industrial design, devo dire che tutto ciò che è in grado di trasmettermi qualcosa poi diventa parte di 2010 I.e. Inoltre, è curioso come spesso, mentre giro per mercatini, rimanga colpito da un oggetto, il quale a primo impatto potrebbe risultare neutro alla vista. Alla fine però potrebbe risultare che mi trasmette una forte energia e questa si traduce in creatività.

Che cosa la ispira? Quali altri mondi la affascinano? Chi sono i suoi riferimenti creativi e i personaggi che segue?

Parlare di una situazione particolare che rafforza e guida la mia ispirazione è troppo riduttivo. Sicuramente ho imparato a utilizzare la noia, poiché dalla noia e in quello che io definisco “zero mentale” escono delle ottime idee ispiratrici. Un altro aspetto estremamente importante è la tranquillità, che viaggia a strettissimo contatto proprio con la noia. Purtroppo non ho delle “muse” ispiratrici o dei personaggi di riferimento perché credo che se ci si focalizza su un elemento di riferimento si rischia poi di creare delle brutte o belle copie … ma sempre di copie si tratta ovvero di un qualcosa che non è totalmente tuo. Il futuro invece va creato, non previsto.

Da cosa nasce la sua passione per il collezionismo?

La passione per il collezionismo nasce spontaneamente. Devo dire che forse alla base c’è stato un inizio causato dal mio mood da “accumulatore seriale” per la quantità di oggetti che colpivano la mia attenzione e che andavano a toccare le mie passioni. Poi pochi anni fa ad un certo punto mi sono fermato davanti a questo grande accumulo e ho eliminato tutto ciò che consideravo statico e inutilizzabile ed ho invece trasformato ciò che avevo selezionato con cura in “utilizzabile”.

Dove scova gli oggetti più belli?

Non ci sono dei posti classici dove trovo gli oggetti più giusti. Mi può capitare di notare qualcosa di interessante camminando in campagna magari in qualche fienile o in qualche bancarella di qualche mercatino trovato per caso.



Quale è il capo vintage al quale è più legato e perché?

L’oggetto al quale sono più legato è il mio anello heritage letters creato con un vecchio tasto in bachelite proveniente da una vecchia macchina da scrivere del 1924. È sempre con me da 10 anni.

Quale il suo ideale di eleganza?

Non ho un vero e proprio ideale. Per me l’eleganza è tutto ciò che fa star bene con se stessi nelle situazioni più svariate. Preferisco parlare invece di un ideale legato più alle proporzioni, che significa che si è eleganti quando si riesce a trovare il giusto equilibrio tra il proprio fisico e ciò che si indossa.

Che cosa è invece per lei il bello?

Penso che la bellezza sia soggettiva. Bella per me è la mia compagna, belle sono le mie figlie e bello è tutto ciò che è proporzionato, in equilibrio e dove tutto è in perfetta sintonia.

Cosa non può mancare nel suo guardaroba e cosa in generale non deve mancare in quello di un uomo?

Sicuramente non devono mancare i jeans, le camicie dalle fantasie vintage, i giubbotti dei quali sono un grande appassionato e le sneakers. Diciamo che nel guardaroba maschile non deve mai mancare ciò che lo fa sentire bene, in ordine ed in equilibrio, a prescindere dal capo, qualunque esso sia.



Il suo motto personale?

Tutto è perfetto e nulla capita per caso. La prima parte di questa frase però è la più importante.

Man in Town è molto legato ai viaggi, anche se questo non è il momento ideale, viaggiamo con la fantasia. Ci porta in un luogo che ama?

Ho amato il viaggio che mi ha portato a visitare e a conoscere il Vietnam del nord e del sud, realtà incredibilmente diverse tra loro ed intrise di storia e di sofferenza. È incredibile vedere come una popolazione di contadini sia riuscita con l’ingegno e per disperazione, a tener testa ad una nazione come gli Stati Uniti.

Parlando invece di beauty al maschile, cosa non manca nel suo beauty case quotidiano e in quello da viaggio?

Non mancano mai lo spazzolino, il dentifricio, il filo interdentale e la Nivea, crema multitasking. In quello da viaggio? Troppo lungo l’elenco.

La sua Puglia e la sua Milano? Quali luoghi ci consiglia? Quali i suoi rifugi?

La mia Puglia oramai è diventata molto conosciuta e frequentata. Ci sono posti che non sono ancora stati raggiunti dal turismo consumistico e che hanno mantenuto così le loro tradizioni. Ovviamente se ve li svelassi non rientrerebbero più tra quelli più nascosti e poco frequentati. Milano poi in realtà è la mia città, quella dove sono cresciuto, mi sono laureato, quella che mi ha formato e che continua a formarmi come creativo. Milano è la città stimolante che però è capace anche di concederti la noia. Il mio rifugio principale è la mia casa, la mia sala giochi, la mia officina.



Sogni e progetti per il futuro?

Il progetto 2010 l.e. e tutto il dream team che lo segue è già un sogno. Il progetto è quello di continuare a sognare e far sognare divertendoci, anche di proseguire la mia ricerca in giro per il mondo di “pezzi” unici, oggetti che diventano parte di te e tu della loro storia.

Marco Bozzato, dal palcoscenico alle passerelle

Ballerino, modello e cittadino del mondo. Si è formato a La Scala di Milano e all’English National Ballet School di Londra. Marco Bozzato ha tutte le carte in regola per un futuro di successo e in questa intervista ci racconta quanto il vivere nuove esperienze sia indispensabile per capire bene chi si è veramente, cosa si può fare e fino a che punto ci si può spingere.

@marcbozz


Credits: Foto di Dmitry Maximov

Quando hai capito che il balletto era la tua passione? 

Non c’è stato un momento in cui è scattato qualcosa e ho capito che la danza era la mia passione, è sempre stata parte della mia vita da quando ho iniziato a quattro anni ed è stata una cosa graduale e inconscia. Quando ho iniziato a maturare mi sono reso conto di quanto realmente mi piacesse quello che già stavo facendo e così è andata.


Credits: Foto di Dmitry Maximov

Qual è il tuo più grande ricordo del balletto?

Uno dei miei più bei ricordi è sicuramente quello del mio primo spettacolo a San Pietroburgo. 

Dopo vari problemi burocratici legati al visto, ero finalmente libero di poter andare in scena e così ho fatto il mio primo spettacolo e ho avuto il mio primo ruolo da solista con il Teatro Mariinsky.

Un altro ricordo speciale è sicuramente quando ho avuto l’onore di ballare un pezzo di passo a due con una delle mia ballerine preferite, Alina Somova.


Credits: Foto di Ksenia Kirsanova

Ti sei mai sentito come se volessi rinunciare? Cosa ti ha aiutato a superarlo?

Capita spesso di scherzarci ma non ho mai pensato di lasciare la danza seriamente, perché anche nei momenti più brutti è il modo in cui io riesco a sfogarmi, liberarmi e sentirmi leggero, prova a chiederlo a qualsiasi ballerino, ballare è peggio di una droga.  

La sensazione che provo quando ballo – intendo quando ballo veramente con tutto me stesso – è qualcosa di troppo grande, potente e bello per poterci rinunciare.



Sei anche un modello, come hai iniziato questa carriera? 

Ho iniziato fare il modello subito dopo un infortunio che mi ha tenuto distante dalla sala di danza per quasi un anno. 

Dopo il diploma, mi ero rotto il legamento crociato – atterrando da un salto – poco dopo l’inizio del mio primo contratto di lavoro come professionista e sono dovuto tornare in Italia per operarmi. Sapendo che la riabilitazione sarebbe stata dura e molto lunga, la moda è una cosa che mi ha sempre affascinato e visto che mi sono guardato tutte le stagioni di America’s Next Top Model almeno quinci volte ho pensato di provare a realizzare anche questo mio sogno. 

Quindi appena ho ripreso a camminare dopo l’intervento mi sono messo in contatto con delle agenzie e così che D’Management ha deciso di rappresentarmi e affiancarmi un questo percorso.


Credits: Foto di Antonino Cafiero

La tua formazione da ballerino ti aiuta sul set fotografico?

Di sicuro la mia formazione mi permette di avere una consapevolezza e un controllo del mio corpo che chi non ha studiato danza classica per tanti anni non ha.

La difficoltà sta però nel prendere tutta la disciplina e il controllo insegnatami e trasformarli in scioltezza e naturalezza quando sono sul set.


Credits: Foto di Anastasia Senikova

Ci sono delle esperienze che ricordi con particolare piacere?

Una delle mie esperienze preferite – come modello – è di sicuro quella che ho fatto per Vogue e l’hotel St Regis a Roma l’anno scorso, aggiungerei anche la campagna che ho scattato e girato sui tetti di Parigi per Alphatauri. 

Oppure un’altra esperienza memorabile è stato il mio primo fashion show a San Pietroburgo per DLT. Sono state cose totalmente diverse tra loro ma tutte divertenti, appaganti e ragioni di crescita.


Credits: Foto di Daniel Estrada Gutierrez

Anche se siamo sicuri che non ci siano mai due giorni uguali, come è la tua “giornata tipica”?

In effetti è raro che io abbia giornate uguali nella mia vita ma in linea di massima la mia giornata tipica al momento inizia con la lezione di danza la mattina poi finita la lezione e fatto un po’ di stretching prendo il mio book e giro per Milano tra casting e shooting.


Credits: Foto di Diana Materukhina

Hai un account Instagram straordinario e un ottimo seguito, quali consigli potresti darci per distinguerci sui social?

Per quanto riguarda Instagram e i social media in generale io penso che il segreto sia quello di essere se stessi, di non copiare quello che fa il mondo ma di essere più possibile fedeli a quello che si è davvero, alla propria estetica e stile, ai propri gusti e ai propri pensieri. Oggigiorno la gente quando deve capire chi è una persona la prima cosa che fa è cercarla su Instagram, ai casting molto spesso ti chiedono il tuo nickname per vedere cosa, quanto e come pubblichi. Sinceramente anch’io sono il primo che appena mi arriva un lavoro vado a cercarmi ogni membro del team su Instagram così da farmi un’idea delle persone con cui lavorerò. Quindi quello a cui dobbiamo fare attenzione è proprio che l’impressione che il mondo ha di noi dai nostri profili social rappresenti al meglio quello che siamo davvero.


Credits: Foto di Diana Materukhina

Dove ti vedi nei prossimi cinque o dieci anni? 

Questa è una domanda molto difficile per me.

Io vivo tutto molto alla giornata e programmare il futuro non mi piace, anche se sinceramente tra cinque o dieci anni non mi immagino una vita molto diversa da quella che ho ora, a me piace la mia vita. Me la immagino migliorata, le mie carriere cresciute e io di sicuro più maturo, con occhi che vedono le cose diversamente, alla fine non si smette mai di imparare. Quindi per rispondere a questa domanda ti dico che mi immagino vivendo un update, un miglioramento, della mia vita attuale se così si può dire! 


Credits: Foto di Daniel Julia Orisha

Special thanks:

Marco Di Ciuccio – D’Management

Credits: Foto in evidenza di Emilio Tini

Intervista a Marco Guazzone: “sono uno studente privilegiato”

Abbiamo incontrato Marco Guazzone, cantante, pianista e frontman del gruppo STAG. Il suo percorso inizia con gli studi di pianoforte al Conservatorio di Musica Santa Cecilia e composizione per musica da film al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel 2010 poi, auto-produce e pubblica il suo primo singolo Love Will Save Us, che viene scelto come colonna sonora ufficiale dello spot Fox Life di San Valentino. Ma è solo l’inizio, tra il 2012 e oggi sono diverse le apparizioni in televisione e i lavori per la televisione ed altri nomi noti del panorama musicale italiano. Lo scorso Aprile esce la sua cover di Azzurro di Adriano Celentano, che diventa la sigla ufficiale del programma radio C’è sempre una canzone – Live da casa.



In che modo le tue radici inglesi e la tua esperienza nel Regno Unito hanno influenzato la tua carriera da musicista?

La parte della mia famiglia dal lato di mio padre che vive a Londra mi ha permesso di poter visitare fin da piccolo la città più volte e quindi viverla sentendomi sempre un po’ a casa imparando subito la lingua. Nel tempo che poi ho passato lì dopo il liceo, grazie alla facilità in cui ci si può esibire davanti a un pubblico, (si chiamano “open mic nights” quelle serate in cui ti segni su una lista e suoni in locali sempre pieni di gente) sono venuto a contatto con delle realtà di musica dal vivo molto forti che quando sono tornato in Italia mi hanno spinto a mettere su una band con cui lavorare.

Come si è evoluto nel tempo il rapporto con gli altri membri degli Stag?

Sono quasi dieci anni che ci conosciamo e siamo praticamente diventati una famiglia. La vita in sala prove, in studio di registrazione e in tour ti avvicina così profondamente che a un certo punto ti ritrovi ad avere dei fratelli acquisiti, non si è più solo amici o collaboratori. E poi scrivere una canzone é un processo così intimo che richiede un grande atto di fiducia. Diventa indispensabile quindi poterlo fare con le persone giuste che ti conosco per davvero.



Che tipo di immagine cerchi di avere sui diversi social network e perché?

Ho un rapporto controverso con i social perché se da una parte sono fondamentali per chi fa il musicista al giorno d’oggi, dall’altra parte non mi ci sono mai impegnato seriamente. Nel senso che non sono uno che bada ai numeri e nonostante riconosca l’importanza di una piattaforma che ti da la possibilità di azzerare la distanza tra te e chi ti ascolta dall’altra parte ho sempre preferito fare musica sui palchi, sui dischi e concentrare le mie energie sulla creatività piuttosto che sull’esposizione di questa. Sicuramente quando lo uso mi ci confronto un po’ come uno specchio che in maniera molto affascinante mi permette di far riflettere la mia immagine sul mondo esterno.

Come vivi le diverse collaborazioni con artisti di fama internazionale? 

Ho avuto la fortuna di lavorare con degli artisti di fama mondiale che mi hanno insegnato tantissimo. In queste occasioni mi sento come uno studente privilegiato che ha l’opportunità di ascoltare una lezione di vita, di umanità e mestiere che mi ricorda sempre come la musica sia capace di unire e cancellare i confini geografici, di genere e di lingua.

Hai qualche tour in programma, da solista o in gruppo?

Con gli STAG abbiamo concluso prima dell’estate una tournée in cui presentavamo in versione acustica i brani del nostro disco ultimo disco, “Verso Le Meraviglie”. Ora siamo in fase di scrittura di nuovi brani.



Qual è la differenza tra lo scrivere musica per una colonna sonora e scriverla per un artista? Quale delle due suscita maggiormente il tuo interesse?

Direi che sono due stimoli diversi che richiedono metodi creativi differenti. Da una parte hai le immagini di un film e dall’altra un artista con un mondo musicale ben preciso. In entrambi i casi secondo me il risultato è già lì, nascosto nelle immagini o nelle corde di chi hai davanti, sta a me guardare, ascoltare per farmi guidare e tirar fuori l’abito migliore con cui vestire un film o la voce dell’artista.

Quanto ha influito la tua comparsa a Sanremo Giovani con i lavori che hai realizzato in seguito?

Potermi esibire dal vivo suonando un mio brano con un’orchestra di sessanta elementi di fronte a milioni di persone è un’esperienza magica che mi porterò sempre nel cuore. A livello professionale mi ha permesso di “entrare” ufficialmente nel mondo discografico. Per esempio, a Sanremo ho conosciuto Arisa (che era in gara con “La Notte”) che dopo quell’incontro mi ha chiesto di scrivere l’inedito di X Factor dello stesso anno. Da lì è nata una collaborazione che mi ha portato a scrivere per il suo disco “Se Vedo Te” fino a ritrovarla quest’anno di nuovo a Sanremo dove per lei ho scritto e curato la versione inglese del suo brano “Mi Sento Bene” per il duetto con Tony Hadley.

Talenti da scoprire: Louis Rubi

Anche se ancora poco conosciuto, Louis Rubi è uno stilyst e designer con sede a Barcellona, che ha rapidamente guadagnato un seguito sostanziale grazie ai suoi outfit su Instagram, sempre accattivanti e altamente inventivi. Vi raccontiamo il suo percorso..

Come, quando e perché ti sei approcciato alla moda? Quando hai deciso che sarebbe diventata il tuo futuro ed il tuo lavoro?

Da bambino giocavo sempre con tutti i tipi di tessuto che trovavo in casa, una coperta poteva diventare un mantello. Ero solito travestirmi da Zorro, D’Artagnan, un(a) principe(ssa) arabo(a) o qualsiasi altro costume fosse in giro. Ho sempre saputo che avrei voluto lavorare nella moda, mi trasferii a Londra per questo motivo e lavorai come assistente alle vendite da Harvey Nichols. Da quel momento capii che la moda sarebbe stata il mio futuro.


Louis Rubi
Louis Rubi

Raccontami qualcosa del tuo brand. Come lo definiresti? Qual è il tuo consumatore tipo e a chi ti stai rivolgendo?

LR3 riguarda principalmente il voler far divertire le persone con i propri vestiti, non importa la tua origine, il colore della tua pelle, la forma del tuo corpo, il tuo genere o la tua età.

Il focus è sulle persone reali che indossano i nostri abiti, ognuna delle quali ha caratteristiche proprie. Sul nostro sito trovi moltissime persone completamente diverse le une dalle altre che indossano indumenti della stessa taglia.

Volevamo creare un brand slow fashion. Per noi è fondamentale non ripetere le cose che non stanno funzionando nella moda.

Abbiamo fatto una lista di queste ultime e le abbiamo trasformate nel nostro ethos: no ai trend/ispirazione e divertimento; nessun genere/tutti i generi; poche taglie/tutte le forme del corpo; no alle razze/siamo tutti umani; no limite d’età/tutte le età; no ai manichini/personalità reali; no al fast fashion/slow fashion; no stagionalità/collezioni permanenti; no agli stock/fatto per te; no vendite all’ingrosso/direttamente al consumatore.



Da dove arriva l’ispirazione? Quali altre passioni hai oltre alla moda? Quali sono le persone che ammiri, i tuoi “eroi”?

Probabilmente l’ispirazione maggiore mi arriva dai viaggi, esperienze che mi hanno fatto davvero aprire gli occhi. Sono davvero fortunato, perché ho la possibilità di viaggiare molto sia per lavoro che per divertimento. Là fuori ci sono così tante realtà, ciò che è “normale” in un posto non lo è in un altro. Anche internet ogni giorno è una fantastica fonte di ispirazione per nuove esperienze e viaggi. Ho un debole per le cose belle, che siano oggetti, luoghi, edifici … mi affascina la storia che sta dietro. Amo ascoltare come le persone hanno costruito i propri sogni, questi sono eroi: sono riuscite a realizzare ciò che una volta era un sogno seguendo ciò che il cuore diceva loro. 



Tu hai un grande seguito sui social, come hanno cambiato questi il tuo lavoro e la sua visione di esso?

Ancora non capisco come sia possibile, è stupendo. Le persone con me sono sempre state gentili, positive ed incoraggianti. È stato il primo posto in cui ho sentito di poter mettere realmente in gioco il mio punto di vista. I social media danno voce a coloro i quali inizialmente non avevano una piattaforma, ma già avevano un messaggio da raccontare, è strepitoso. 


Louis Rubi

Una definizione di bellezza?

La bellezza non è definita da canoni, si trova ovunque. Fermati ad osservare qualcosa per più di tre secondi e la troverai lì.


Louis Rubi

Secondo te, come può un uomo essere elegante?

In generale penso che gli uomini siano più limitati in fatto a cosa possono indossare, è un po’ noioso. L’eleganza riguarda il sentirsi sicuri di sé, l’accettarsi e il vestirsi con gioia. Mi piacciono gli uomini che si prendono cura della scelta dell’outfit ogni giorno. 


@lr3_community

Raccontami qualcosa sul tuo stile, il quale ha un ruolo importante sui tuoi social. Cosa non può mai mancare nel tuo guardaroba? Perché questo amore per l’oversize?

Le persone apprezzano il fatto che io giochi con volumi e proporzioni, mi piace sbizzarrirmi anche con i colori. Io amo indossare abiti larghi ed oversize da quando sono bambino, è una sensazione pazzesca.



Puoi darmi la tuo opinione in merito a questo periodo molto difficile? Come credi cambierà il sistema moda dopo il Covid-19?

Quando ripenso alle cose accadute in passato, i momenti peggiori della mia carriera si sono sempre trasformati nei più positivi. Ogni periodo difficile ed ogni crisi sono perfetti per riflettere e fare valutazioni sulle cose che non stanno funzionando come dovrebbero e su come cambiarle. Nella nostra industria la lista è lunga e dunque c’è molto lavoro da fare. Mi riferisco a molti fattori: cultura e cambiamenti nell’atteggiamento, internet, bisogni ambientali, cicli stagionali … ecc. Dobbiamo rivoluzionare l’industria ancora una volta.



Siccome Man in Town è molto affine al tema dei viaggi, puoi raccontarmi quale sarebbe la tua destinazione dei sogni (anche se ora possiamo viaggiare più che altro con la mente)?

Sarebbe o una città movimentata come Tokyo, oppure un posto lontano per trovare pace e quiete.

Sei mai stato in Italia? Hai un ricordo speciale o qualcosa che ti è piaciuto in modo particolare?

Sì, molte volte. Amo follemente l’Italia. Spagna e Italia condividono molte cose. Mi piace come le persone in Italia siano passionali ed il fatto che l’Italia è un Paese che si prende davvero cura ed è orgoglioso della sua eredità culturale. Gli italiani comprendono l’importanza della creatività e della bellezza, d’altronde ne sono circondati!



Raccontami della tua città e del tuo Paese, qualcosa da vedere e da fare

Io sono originario di un paese chiamato Badajoz, a sud ovest della Spagna. Me ne andai quando ero piccolo e da lì ho vissuto in luoghi diversi. Attualmente sono stabile a Barcellona, una città meravigliosa in cui è facile vivere e che è collegata bene a tutto il mondo.

La Spagna ha un sacco da offrire, se dovessi visitarla per la prima volta sicuramente farei un roadtrip, attraversandola tutta in macchina.

Il tuo motto personale, una citazione che ti caratterizza?

FALLO DIVERTENDOTI … altrimenti ogni cosa diventa un lavoro.



Quali sono i tuoi progetti e sogni per il futuro?

Il mio sogno sarebbe vedere LR3 crescere e mostrare che anche nell’industria della moda le cose possono essere fatte in maniera differente.

Intervista a Marco Ferrero-ICONIZE

Marco Ferrero, alias ICONIZE, è uno degli influencer e Tik-Toker Italiani più famosi al mondo. Nato a Biella ma adottato da Milano sin da quando aveva diciotto anni. Giugno è il mese dell’orgoglio omosessuale, e proprio lui del suo coming-out ne ha fatto un video virale che è passato alla storia, gioca e scherza sull’argomento con contenuti esilaranti. Segni particolari: bello e pazzo da far innamorare.



Come hai iniziato a fare i tuoi video?

Sin da piccolo ho sempre avuto questa passione per la fotografia che mi ha trasmesso mio nonno, che era un appassionato d’arte lavorando nel tessile, e così ho iniziato a scattare foto ai miei amici per poi postarle su facebook.

Praticamente loro erano i miei modelli, e poi un po’ per caso e un po’ per fortuna i miei video hanno iniziato a diventare virali, ma non era assolutamente quella la mia intenzione.

Alla fine, la mia creatività è stata premiata, quindi mi reputo anche fortunato.

Questi video li fai tutti da solo o hai un team che ti aiuta?

Credo che sia proprio la mia caratteristica, non ho persone che lavorano per me, anzi faccio tutto da solo dal montaggio alla regia.

Poi a volte quando lavoro per un brand importante mi appoggio a qualcuno, ma penso sempre che sia l’idea quella importante e non la tecnica.



A proposito dei tuoi video, voglio sapere tutto su quello del “pene saltellante”.

In quel periodo ero a Miami, e una mia a mica ha pensato ovviamente di regalarmi questo costume di carnevale a forma di pene con dimensioni umane, era sicura che qualcosa avrei combinato di certo.

Infatti, ho iniziato ad andare in giro per la città, con la gente che nel frattempo scattava foto e faceva video, in quanto capisci bene che non è da tutti i giorni vedere un pene che saltella in giro!

Come lo hai vissuto il periodo del lockdown?

Chiaramente è stata una tragedia un po’ per tutti, però io dai momenti no riesco sempre a trarne qualcosa di buono, ed infatti mi son messo a creare contenuti che magari rimandavo da tempo, ed invece avendone molto a disposizione ho messi a frutto le idee.

Ho sfruttato anche il momento visto che non ero solo io ad avere troppo tempo a disposizione, tutti quanti erano sui social molto più del solito.



Ho visto che ti sei cimentato anche nella conduzione, vorresti diventare un Mike Bongiorno? 

Mi vedrei a condurre qualcosa tipo “Total request Live” come quello che facevano da piazza Duomo a Milano, e poi mi son divertito a condurre “Mai dire quarantena”, idea che mi era venuta appunto stando a casa.

Come ti è venuto in mente il tuo nome d’arte ovvero ICONIZE.

Sinceramente non lo so nemmeno io, però mi ricordo che era di notte, sempre dal fatto che fotografavo i miei amici, ed alla fine li volevo iconizzare, e tutt’ora sono convinto che sia stata la scelta giusta, mi ci rispecchio.



Raccontaci del tuo coming-out.

Normalmente quando le persone scelgono di fare questo passo, iniziano dagli amici più stretti, hanno sempre un po’ di timori nei confronti della famiglia, io invece nel 2011 ho scelto di farlo nel modo più plateale possibile, ho fatto un video e l’ho messo in rete. Sono felice di averlo fatto perché in quel momento c’erano veramente pochi personaggi pubblici che sceglievano di farlo e questo mi ha dato una grande forza.

Manintown Live Talks

Appuntamento fisso di questo periodo sono le dirette instagram settimanali sulla nostra pagina @manintownofficial per raccontare volti noti e talenti emergenti del mondo del cinema, sport, food e cultura. Ecco gli appuntamenti delle prossime settimane da non perdere!

Paolo Viola

Paolo è uno dei più telentuosi bartender italiani, attualmente anche ambassador di Belvedere Vodka. Inizia la sua carriera giovanissimo e, dopo un’esperienza formativa a Londra, sente la necessità di tornare in Italia, dove ha all’attivo numerosi progetti.

Mercoledì 3 Giugno alle 19 in dialogo con @miriamdenicolo

Francesco Martino

Francesco è un attore italiano, formatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Grazie al teatro riesce a vincere la sua timidezza e tra i suoi film di maggiore successo troviamo “Imago Mortis”, “Fango e Gloria” e “Gli anni Amari”.

Venerdì 5 Giugno alle 18 in dialogo con @fabrizioimas

Nicola Di Benedetto

Classe 1992, disegnatore e con un’esperienza teatrale alle spalle, Nicola è una giovane promessa del cinema italiano. Tra i suoi lavori più interessanti si annovera la partecipazione nel film “Gli anni amari” del 2019, nel quale interpreta la difficile parte di Mario Mieli.

Venerdì 12 Giugno alle 18 in dialogo con @fabrizioimas

Buyer focus: il retail secondo Duomo Novara

In un periodo non semplice per il retail, abbiamo intervistato Paolo Bassani, giovane fashion buyer della boutique Il Duomo Novara, una delle vetrine più belle d’Italia e indirizzo di culto per tutti gli amanti del fashion, che, ora più che mai non potrà mancare nella nostra shopping map.

Come avete reagito a questo lungo lockdown?

Non abbiamo voluto permettere alla paura di prendere il sopravvento e annebbiare la ragione. In un primo momento abbiamo rallentato la macchina, anzi l’abbiamo proprio spenta. Dapprima il negozio fisico e in seguito anche i magazzini e gli uffici. Le sirene delle ambulanze scandivano le ore della giornata e interrompere tutte le attività è sembrata l’unica cosa da fare. Una pausa, il silenzio. Limitare la diffusione del virus era l’unico obiettivo, a maggior ragione in queste aree duramente colpite. Lavorare non era possibile e non era giusto.

Non appena la fase critica è stata superata abbiamo riaperto il canale e-commerce le cui vendite hanno permesso un parziale recupero, seppur con tempi e ritmi lenti e progressivi.

Come vi siete attrezzati sul digitale e come sarà il vostro e-commerce?

L’e-commerce Duomo esiste da poco più di un anno perciò è in continua sperimentazione. Vogliamo che sia fluido e modulabile, che diventi uno spazio dove sì fare shopping, ma anche una pagina dove lasciarsi ispirare dalle novità, da dei mondi, da persone e da idee veicolate attraverso la lente de Il Duomo pur rispettando l’immagine dei singoli brand.

Ci sono molti siti e-commerce e spesso hanno la tendenza a essere simili tra di loro: la standardizzazione è un effetto che vogliamo assolutamente evitare.

Nel concreto abbiamo un team che si occupa dello shooting, dei contenuti e dell’aspetto “estetico”. Sia chiaro, è ancora un progetto appena nato e spesso è tutto mosso da una certa artigianalità delle idee ma non vogliamo forzare i tempi. 

Come gestirete le vendite alla riapertura?

Il pericolo di svendere un’intera stagione è in agguato e ogni brand del lusso sta reagendo in modo più o meno impattante. Non abbiamo mai creduto nel potere salvifico di una scontistica aggressiva perché è all’origine della svalutazione di un qualsiasi oggetto di lusso, non limitatamente alla moda ma anche in relazione a un’automobile, a un gioiello, a un orologio.

L’acquisto di un nuovo abito o di un paio di scarpe non è solo una risposta a un bisogno reale ma soprattutto la realizzazione di un desiderio ed è inevitabile che sia perciò proprio il desiderio il motore fondamentale che muove tutto. E gli sconti svalutano il desiderio. Lo neutralizzano.

Oggi lo scenario è però piuttosto “impazzito” e bisognerà trovare un equilibrio per rimanere competitivi senza svalutare. Parallelamente i brand hanno chiuso la produzione per un lungo periodo e molte consegne sono state annullate o posticipate.

Come pensi evolverà in generale il retail post covid?

Il retail stava attraversando un periodo di difficoltà già prima dell’avvento del virus che ne ha decretato definitivamente l’esigenza di rinnovamento. Noi consideriamo l’e-commerce elemento imprescindibile del business ma non ci vogliamo arrendere all’importanza del negozio come luogo della bellezza, crocevia di immagini e suggestioni. Un luogo altro rispetto al classico negozio di abbigliamento, un luogo dove si respira lusso informale e distinto – come sono i tratti delle clienti e dei clienti novaresi – ma orientato alla modernità. Focale è quindi l’esperienza che ne deriva: all’asettico pacco consegnato dal corriere fa da contrappunto un mondo di relazioni e attenzioni che rendono l’esperienza dello shopping indimenticabile. I clienti italiani hanno bisogni diversi dai clienti americani o asiatici e quindi ci saranno conseguenze diverse da paese a paese. Sicuramente soffrirà molto chi negli ultimi anni non si è dotato di un massiccio supporto on-line o chi non ha instaurato con la propria clientela un rapporto forte e sincero. Probabilmente soffriranno molti department store.

L’auspicio è però che venga elaborata una sintesi tra il Mondo Vecchio pre-virus e un Mondo Nuovo moderno, realmente sostenibile, non solo attraverso vaghe iniziative strumentali. Così come è necessario che le aziende trovino una sintesi tra il rispetto dei conti economici di fine anno e il ritorno a un’umanità vera.

Intervista a Federico Massaro: “sono un nerd cresciuto da artisti”

Abbiamo incontrato Federico Massaro, giovane modello di successo che colleziona campagne pubblicitarie e sfilate. Noi ci siamo conosciuti nel gennaio 2018, quando eri ancora alle prime armi.
Dovevamo scattare un servizio di moda a Ferrara, forse il tuo primo servizio di moda per un vero cliente..

Che ricordi hai di quell’esperienza? Avevi avuto altre esperienze prima di quel giorno?

Federico: Quando ero piccolo mia mamma aveva tentato di farmi fare il modello. Una volta mi sono trovato sulle pagine di Vogue bambini, cosa di cui lei andò da allora molto fiera. A parte quella volta, insieme a te è stata la mia prima esperienza, o almeno la prima da modello adulto. Quel giorno ero molto curioso di capire come fosse realmente quel mondo e come si differenziasse l’essere modello dall’essere attore. Nella mia testa all’epoca erano due cose molto più simili di quanto poi ho avuto modo di scoprire.

Come hai iniziato la tua carriera di modello? qualcuno ti ha scoperto?

Federico: Era un’estataccia: avevo avuto un po’ di problemi di famiglia, così andai in Duomo a Milano vestito con l’unico blazer che avevo, un vecchio capo di Zara blu scuro che mi fu regalato da un amico di mio padre. Avevo in mente di cercare lavoro in un ristorante, perché per un attore alle prime armi non è facile vivere a Milano… Quando una ragazza, Ewa Ades, mi bloccò gridandomi “hey tu! Lo vorresti un lavoro? Penso che spaccheresti…”. Io risposi che guarda caso quel pomeriggio ero uscito in cerca di un lavoro, ma quando mi disse che si trattava di moda io le risposi che non ero interessato. Da quel giorno ne parlammo innumerevoli volte, fino a quando dopo 3 mesi mi decisi a provare. Nessuno si poteva immaginare che questo lavoro funzionasse a tal punto, o meglio, forse Ewa, ma decisamente non io. Da allora Ewa è la mia agente.

Ricordo quando ci siamo conosciuti che ti definivi nerd, in che senso ti senti nerd?

Federico: Assolutamente. Sono stato cresciuto da artisti, ma forse proprio per questo ho sempre portato avanti le mie passioni e sempre fatto cose che mi piacevano a discapito di ciò che gli altri considerassero come “cool”, “figo” o alla moda. Vado pazzo per i fumetti, i manga, gli anime, la cultura popolare videoludica e letteraria da “Star Wars” a “Il signore degli anelli” alle serie come “One piece”, “Dragon Ball” “Ken il guerriero” e mille altre. Sono sempre stato “Fede” e non smetterò mai di esserlo.

Hai fatto il liceo artistico, finito quello che percorso di studi hai seguito o stai seguendo?

Federico: Ho studiato un po’ di architettura per poi provare fisioterapia e alla fine ho avuto il coraggio di fare ciò che mi avevano da sempre consigliato e che ho sempre sognato, ovvero recitazione.

Hai un sogno nel cassetto?

Federico: Tanti, ma non nel cassetto! Non mi è mai suonato bene come modo di dire, mi è sempre parso come qualcosa di passivo. Anche se a volte con difficoltà, preferisco provarci sempre. Uno dei miei sogni più grandi è di poter aiutare le persone che amo a migliorare la loro vita, di essere il loro bastone, appoggio e ispirazione, come lo sono, e sono sempre stati, i miei nonni per me. 

Hai un fisico molto curato. Che sport fai? 

Federico: Ho fatto molti sport differenti, ma nessuno di essi con il fine di avere un bel fisico. Ho sempre seguito le mie passioni e questo ha contribuito a farmi amare l’attività fisica in generale. Intrapresa la carriera da modello, per poter restare all’interno di certe taglie, ho dovuto abbandonare diversi sport, ma non è detto che in futuro io non li riprenda. Nella mia vita ho fatto Football Americano, Basket, Judo, Jiu-jitsu, Kendo, Kali, Silat, Canioning, Sub, Vela, Windsurf e anche altri, sopratutto arti marziali e sport legati all’acqua, Il mio elemento. Attualmente faccio H.E.M.A., ovvero arti marziali storiche europee e vado in palestra.

Seguendo i tuoi video sui social sembra che ti piaccia cucinare, segui una dieta particolare?

Federico: Niente di particolare, ma cerco di evitare la carne, il pesce e i loro derivati il più possibile, cercando di mangiare tutto ciò che so fare bene: come la verdura, i legumi e la frutta.

Versace, Armani e Dolce e Gabbana, sei un modello molto amato dai big della moda italiana. Che tipo di moda piace, come ti vesti?

Federico: Nella mia vita privata mi vesto comodo e con cose che mi fanno sentire a mio agio, non seguo nessuna moda, metto ciò che mi fa star bene. Per andare al lavoro e ai castings sono solito mettere dei jeans. Se devo comprare una cosa deve piacermi, se non sono convinto fino in fondo, piuttosto torno a casa a mani vuote. Quando invece mi innamoro di qualcosa lo metto sempre fino a quando si rompe.  Ho un debole per le giacche molto lunghe che, essendo nerd, amo definire “stile Matrix” e mi piacciono molto gli occhiali strani e originali.

In particolare hai fatto numerosissimi lavori per Dolce e Gabbana e sei diventato tra i loro modelli di punta. Tra le tante campagne, la più curiosa credo sia “Millenialskin 4 men”, la prima pubblicità per il trucco da uomo. Un passo importante anche per la storia del costume. Come lo vedi il trucco sugli uomini, tu ti trucchi?

Federico: Sono molto contento che anche riguardo a questo stiano svanendo molti pregiudizi. Personalmente non ne faccio uso, ma trovo bello avere la possibilità di poterlo fare e non doversi per forza sentire occhi giudicanti addosso. Sono pro a qualsiasi cosa non nuoccia a nessuno e permetta di esprimere meglio se stessi, sentirsi più a proprio agio o entrambe le cose.

Si sente spesso parlare della moda come un posto in cui i modelli scendono a compromessi.
Tu hai avuto esperienza spiacevoli?

Federico: Penso che la Moda sia un mondo bellissimo, ma non è un mondo perfetto e privo di corruzione. Sì, mi è successo che qualcuno provasse ad approfittarsene, succede spesso, sopratutto all’inizio. Quando si comincia questo lavoro si è spesso naive e certa gente potrebbe provare a sfruttare la cosa a proprio vantaggio. Per fortuna si impara in fretta ad evitare certe situazioni. In questo settore, come in tutti gli altri, ci sono persone fantastiche, persone orribili e tutto quello che di grigio sta nel mezzo: quello che importa è chi si sceglie di essere. Mio nonno era solito dire “se non trovi la persona che cerchi, sii la persona che volevi trovare”.

I tuoi genitori e parenti cosa pensano della tua carriera ? Sono contenti?

Federico: Sono contenti e penso anche preoccupati, spesso sentono il mio successo più di quanto lo senta io.

Cosa consiglieresti ad un giovane ragazzo che vuole fare il modello?

Federico: Quando io iniziai ero pieno di domande, ma tutte queste domande mi sono servite a capire chi fossi e chi volessi diventare. Forse gli suggerirei di guardarsi dentro in modo sincero e di cercare di capire se e quanto questo sia quello che desidera davvero e il perché.

In poco tempo ti sei costruito un grosso pubblico social, secondo te come è stato possibile?

Federico: Mi è sempre piaciuta l’idea di mostrami per quello che sono sui social… tutto qui. Di modelli che “fanno i modelli” il web è già pieno. Sono me stesso, scrivo i miei pensieri sui post o metto delle frasi significative per me e che mi parlano personalmente. Amo immedesimarmi nelle altre persone e amo l’idea che esse possano farlo con me a loro volta. A volte pubblico cose inerenti al lavoro, ma non troppo. Non sono il mio lavoro.

HyperFocal: 0

Cosa hai fatto durante questi giorni di quarantena? Hai sei consigli per le persone che si annoiano e che sono demoralizzate dalla situazione?

Federico: Ho studiato come girare ed editare video. Ho cercato tra le mie passioni qualcosa che io potessi portare avanti anche da casa. Avendo internet le possibilità sono infinite. In più mi sono allenato da casa cercando sul web tutti gli esercizi che potessero essere fatti anche senza attrezzature specifiche.

Per vedere l’intervista a Federico Massaro:

Longlife health clinic: i consigli della Dott.ssa Lucia Magnani ai tempi del Covid-19

A Castrocaro Terme esiste un vero e proprio tempio della cura del corpo e della mente: la Longlife Health Clinic (www.luciamagnanihealthclinic.it) creato e diretto dalla dott.ssa Lucia Magnani. Una sontuosa struttura con i muri dalla fantasia zig-zag dove l’uomo torna protagonista e, sopra ogni cosa, il suo benessere. Trattamenti per rivedere stili di vita errati, meditazione e gestione dello stress. Un luogo imperdibile per chi ama l’equilibrio interiore. Abbiamo avuto la fortuna di scambiare alcune battute con la sig.ra Magnani circa come comportarsi di fronte alla pandemia ancora in atto e le abbiamo chiesto dei consigli per fronteggiare questo terribile nemico comune globale.

1. Perché la detersione del corpo e del viso è fondamentale durante la pandemia? 

Il virus di cui parliamo oggi è un virus aereo che si sposta attraverso le goccioline di saliva che vanno nell’aria e che possono entrare facilmente in contatto con la pelle, motivo per cui tutte le norme adottate in questo periodo ci spingono a lavare frequentemente le mani. Sappiamo ormai molto bene che servono 30/40 secondi per lavarle con sapone ed un metodo abbastanza attento e scrupoloso. Oltre a questo non bisogna tralasciare di lavare i capelli che inevitabilmente, con il loro movimento, possono farci entrare in contatto con le particelle depositate sulla cute e sui capelli stessi, attraverso le fessure del viso, principalmente naso e bocca. 

È importante quindi che il viso sia deterso. Le forme di detersione sono quelle comuni, lavarsi con il sapone ed usare latte detergente. Vorrei però dare un suggerimento: sulla pelle c’è un film idrolipidico, un microbioma molto importante che ci protegge. Questo microsistema naturale funge da barriera verso gli altri microrganismi e non possiamo far alterare la pelle con l’utilizzo di saponi o detergenti troppo aggressivi. Suggerisco quindi di lavare il viso con una crema nutriente naturale da utilizzare come un normale sapone che risciacqueremo dopo aver strofinato il viso con un prolungato massaggio. 

2. Quali novità ci saranno per la riapertura di Longlife Health Clinic dopo il covid? 

La riapertura riproporrà i nostri percorsi di attenzione allo stile di vita per salute, benessere e lunga vita. Da tempo Longlife Formula ha messo al centro del suo percorso la valutazione dello stress ossidativo responsabile dei processi di invecchiamento e infiammazione generalmente descritto dal nostro organismo, la prevenzione, la corretta alimentazione, a un corretto movimento e momenti di relax. Per far questo agiamo a più livelli. Alla riapertura però il nuovo focus sarà concentrato sulla difesa del sistema immunitario che inizia con una corretta alimentazione e con gli integratori

Basato su un’alimentazione cardinale principale della salute nella quale verranno privilegiati nutrienti specifici per stimolare il sistema immunitario. Oltre a questo, siamo partiti dalla ricerca di tutti quegli elementi nutritivi contenuti nella frutta, nella verdura e in altri alimenti importanti per la difesa del nostro sistema immunitario: le vitamine C, A, D, i minerali, l’omega 3 ed alcuni aminoacidi specifici. Proponiamo una dieta con cibi nutrienti che contengano questi principi attivi e a tutto questo aggiungiamo le nostre tisane stimolanti. 

Ovviamente facciamo attenzione anche agli alimenti da ridurre e in alcuni casi da escludere totalmente: sale, salumi, dolciumi, carni grasse, formaggi, zuccheri e alcolici. 

Molto importante è anche il relax e stiamo inserendo corsi di yoga e meditazione, sfrutteremo i nostri ampi spazi: il nostro parco e le aree attrezzate, per respirare all’aperto senza poi dimenticare il valore indubbio delle nostre terme messo in evidenza attraverso dei trattamenti stimolanti per il sistema immunitario tra cui le cure inalatorie con acque sulfuree e salsobromoiodiche he potenziano i nostri naturali meccanismi di difesa e aumentano la produzione di anticorpi al livello delle vie respiratorie. 

Abbiamo il privilegio di avere nella nostra Health Clinic questa componente termale preziosissima che contribuisce a creare uno stato di relax, di benessere e di salute. 

Questi sono i capisaldi del nuovo percorso per il rafforzamento del sistema immunitario ottenuti grazie anche al lavoro preziosissimo dei nostri medici e specialisti che, ad personam, sono pronti a suggerire altre eventuali attività come l’ozono terapia ad esempio, e tutti gli aspetti che vengono attentamente calibrati per quello che riguarda la prevenzione. 

Questo filo conduttore del rafforzamento delle difese immunitarie serve per difenderci da qualsiasi aggressione esterna, dalla più semplice alla più complessa. 

Un altro percorso che sto definendo per la riapertura della Lucia Magnani Health Clinic, è legato alla respirazione e a tutte le tecniche utili per ridare energia al nostro corpo soprattutto in questo periodo in cui l’energia è diminuita per le ragioni che sappiamo. Per migliorare le tecniche di respirazione andiamo dalle semplici passeggiate alla ginnastica più complessa fino alle più moderne terapie di riabilitazione respiratoria. 

Il nostro percorso chiamato LONGLIFE RIABILITAZIONE RESPIRATORIA sarà totalmente focalizzato su questo tema. Inoltre proseguiranno i nostri 7 classici percorsi Relax, Clean, Weightloss, Evergreen, Restart, Sport ed Energy con proposte di 3 giorni, 7 giorni, 15 giorni. 

3. Un percorso giusto per l’uomo? 

Io mi sono sempre focalizzata sulla persona e qui studiamo e analizziamo caso per caso dando risposte specifiche seppur diverse sia per l’uomo che per la donna. 

Abbiamo tutte le capacità e gli specialisti per affrontare il settore maschile in tutte le sue sfaccettature e siamo veramente attenti a qualsiasi esigenza dell’universo maschile. Tra i nostri clienti abbiamo l’uomo business che necessita un’attenzione al relax ed ha anche bisogno di rimettersi in forma e ritrovare energia fisica e mentale, ed abbiamo l’uomo sportivo che aiutiamo spesso nel modo di fare sport, un modo più adeguato. Penso ai ciclisti ad esempio, il percorso sport li aiuta a migliorare potenza e resistenza, forma e prestazioni fisiche anche nel caso del solo ciclismo dilettantistico. 

Per l’uomo consiglio vivamente il percorso energy e il percorso sport anche se l’uomo è molto attratto dal percorso evergreen

4. Lei ha studiato anche gli integratori, quali sono quelli giusti in questo periodo? 

Gli integratori sono il pilastro del nostro sistema Longlife Formula

Ne abbiamo diversi ma quello che in questo periodo è il più efficace e il più completo in senso generale è decisamente l’integratore Agecore che va a sopperire eventuali carenze importanti da colmare e stimola le difese immunitarie. Le molecole antiossidanti e non succitate sono tutte presenti nell’ integratore anti stress ossidativo “AGECORE plus” di Castrocaro. La sua somministrazione quotidiana (2 caps /die, 1 + 1 ai pasti principali riesce a riequilibrare, in 10 giorni, lo stress ossidativo ematico, evidenziato da analisi specifiche effettuate presso Long Life Formula di Castrocaro. Per il riequilibrio del GSH (glutatione ridotto) sono necessari circa 2 mesi. 

Insieme ad Agecore consiglio anche i Tremat, gli Omega3, che hanno un’elevata capacità di essere assorbiti dall’organismo.

Manintown Live Talks

Appuntamento fisso di questo periodo sono le dirette instagram settimanali sulla nostra pagina @manintownofficial per raccontare volti noti e talenti emergenti del mondo del cinema, sport, food e cultura. Ecco gli appuntamenti di questa settimana da non perdere!

Claudio Sona

Claudio è un modello e influencer, reso celebre dalla trasmissione televisiva Uomini e Donne. La popolarità arriva immediatamente per lui, amato sui social e con un enorme seguito soprattutto per la sua spontaneità e simpatia. Non si lascia però chiuse altre porte, motivo per il quale non ha rifiutato alla carriera da influencer.

Mercoledì 27 Maggio alle 17.30 in dialogo con @stefano_guerrini

Ludovica Bizzaglia

Ludovica è una giovane e talentuosa attrice italiana, diplomata al liceo linguistico. Esordisce nella sitcom Appuntamento al Tubo e poco dopo otterrà ruoli in altre pellicole come Amore 14, diretto da Federico Moccia, la commedia Sharm el Sheikh, un Natale al Sud. La vediamo recitare anche in numerose serie tv, fra le quali Un posto al sole e L’allieva. Nel 2019 partecipa al video musicale di Irraggiungibile e di Senza farlo apposta ed inoltre pubblica il suo primo romanzo: Abbi cura di splendere.

Giovedì 28 Maggio alle 17 in dialogo con @massibenet

Alessandro Egger

Alessandro è un modello e attore italo-serbo. Inizia la sua carriera in giovane età, infatti a 13 anni è protagonista di uno spot televisivo. Attualmente è uno dei volti principali delle sfilate di moda Dolce & Gabbana, ma ha da sempre intervallato la carriera da indossatore con ruoli cinematografici e serie tv. Lo vediamo comparire in Un medico in famiglia, Pechino Express, The Band. È molto attivo sul suo profilo personale Instagram, nel quale oltre ai lavori da modello, si diletta a pubblicare contenuti innovativi e curiosi: recentemente interpreta Alexandra, la sua versione femminile.

Venerdì 29 Maggio alle ore 17.30 in dialogo con @fabrizioimas

Intervista a Moisé Curia

Moisé Curia, è un attore giovane con un curriculum vitae di tutto conto, ha in iziato a lavorare appena uscito dal Centro sperimentale di Roma, e come dice lui, è anche stato molto fortunato, aggiungo un vero talento.

Di origine calabrese, dopo aver iniziato da una gavetta particolare ovvero facendo l’artista di strada con la serie TV “Braccialetti rossi” raggiunge il pubblico italiano facendo breccia al cuore di tutti.

Lo abbiamo apprezzato in “Pezzi Unici” diretto da Cinzia TH Torrini al fianco di Sergio Castellitto, di cui si attende una speranzosa seconda stagione visto il successo della prima.

Hai sempre avuto la passione per la recitazione?

Direi proprio di sì e la conferma la ebbi dopo essere stato accettato al centro sperimentale di Roma, e proprio frequentando I corsi di recitazione incontrai Giacomo Campiotti, il quale stava per girare una miniserie per Raiuno “Non è mai troppo tardi”.

Era il mio primo provino appena uscito dall’Accademia, lo presi e diventare uno dei protagonisti della serie.

Il tuo picco di popolarità lo raggiungi con la serie cult “Braccialetti Rossi”…

Proprio lo stesso regista Giacomo o a chiamarmi ad interpretare uno dei personaggi della serie di Raiuno “braccialetti rossi”, da quel momento a me e a tutti gli altri ragazzi del cast posso dire che hai cambiato la vita. È stato quasi uno shock passare dall’essere un signor nessuno all’essere riconosciuto continuamente per la strada. E dopo questa esperienza sono iniziate ad arrivare proposte lavorative veramente interessanti.

Sei reduce da un grande successo di Rai1, te lo aspettavi?

Si, aver avuto l’opportunità di lavorare con una grande regista come Cinzia TH Torrini in “Pezzi Unici”, è stata un’esperienza meravigliosa, non c’è ancora nulla di confermato però visti gli ascolti della serie ci sono tutti presupposti per una seconda.

Cinzia lascia molta libertà agli attori ma appena esci dall’idea che lei si è fatta del personaggio si incazza veramente tantissimo, devo ammettere che mi ha sgridato parecchie volte. Il ritmo thriller che ha voluto dare alla storia credo che sia la componente che ha tenuto i telespettatori inchiodati alla domenica sera.

Parlami del tuo film in uscita, appena riapriranno i cinema..

È un film molto duro, in quanto è una denuncia contro la pedofilia. Il mio personaggio è veramente difficile in quanto interpreto il rapitore della bambina non che il pedofilo.

Nel film in generale non viene nulla di esplicito e tutto implicito, un ruolo decisamente lontano da me, un tossico un pazzo un pervertito, senza svelare troppo posso dire che in tutto questo malessere c’è anche una sorta di poesia.

Nel cast insieme a me c’è Valeria Golino, c’è Cosima Stratan che ha vinto la Palma d’oro a Cannes con un film che si chiama oltre le colline, e poi molte star da Ukraina e tedesche in quanto il film è tutto girato nell’est Europa.

Che rapporto hai con la moda?

A me piace tantissimo la moda, mi è capitato svariate volte di partecipare a servizi fotografici di moda e devo dire che mi diverto tantissimo, infatti a volte mi confronto con la mia fidanzata su come vestirmi e devo ammettere che è una passione per il tessuto delle camicie.

Cosa ti rende più felice nella vita?

Sicuramente la mia fidanzata Lara, è stato un incontro bellissimo, pensavo di aver raggiunto tanti obiettivi nella mia vita, invece quando l’ho incontrata in un locale a Torino ho capito che forse mi manca qualcosa.

Ma la cosa più bella è che quell’incontro non è mai terminato siamo stati legati fin dal primo momento.

E cosa ti fa arrabbiare di più?

Non amo che non ha il coraggio di parlare in faccia, amo la chiarezza, soprattutto in un ambiente artistico. Mi infastidiscono le persone che arrivano ad un obiettivo per non so quale motivo senza lo studio la preparazione e la professionalità.

La tua vacanza ideale?

Sono nato a Rossano Calabro, quindi per me in una vacanza ci deve essere per forza al mare. Se dovessi cambiare vita andrei a vivere ai Caraibi con solo il mare davanti a me e la mia fidanzata al mio fianco.

Manintown Live Talks

Appuntamento fisso di questo periodo sono le dirette instagram settimanali sulla nostra pagina @manintownofficial per raccontare volti noti e talenti emergenti del mondo del cinema, sport, food e cultura. Ecco gli appuntamenti di questa settimana da non perdere!

Miguel Gobbo Diaz

Miguel è un attore originario di Santo Domingo, ma naturalizzato italiano. Dopo essersi diplomato al Centro Sperimentale di Roma, ha preso parte nel film La grande rabbia di Claudio Fragasso come protagonista diventando sempre più popolare. È molto attivo anche sui social: nel suo profilo instagram, infatti, il giovane pubblica foto che riguardano il suo lavoro e le altre sue passioni, tra cui la chitarra.

Venerdì 22 Maggio alle 17.30 in dialogo con @fabrizioimas

Federico Massaro

Federico è un giovane modello milanese che negli ultimi anni è diventato tra i volti maschili preferiti dai brand e sullo scenario social, anche grazie alle sue campagne per Dolce & Gabbana.

Sabato 23 Maggio alle 17.30 in dialogo con @manuelscrima

L’attenzione che genera il cambiamento: Nicola Lamberti

Ambientalista, influencer e futuro ingegnere – abbiamo intervistato Nicola Lamberti.

Su instagram parla di sostenibilità, di consapevolezza, d’impegno civico e di come possiamo contribuire positivamente e regolarmente ad aiutare il nostro pianeta.

Ci racconta com’è nato il suo amore e il rispetto per la natura, di come la moda può essere eticamente sostenibile e di come il green-washing è un’arma imperdonabile.

Le sue foto e i suoi messaggi ricordano che ogni giorno facciamo delle scelte e queste possono mettere in pericolo o salvare il nostro futuro. 

Ig: @lambert.nic

Parlaci di te, come nasce la tua attenzione alla sostenibilità?

Fin da piccolo ho amato la natura incondizionatamente; leggevo riviste e libri che parlavano di ambiente, scienza e attualità – m’informavo – poi quando ne avevo la possibilità, spingevo i miei familiari a fare gite fuori porta ed escursioni. 

Mi piace stare all’aperto, ammirare la natura, la bellezza che ci circonda e la terra, il contatto con qualcosa che devi salvaguardare, mi fa stare bene.

In questi anni ho imparato diverse discipline legate alla natura come: il surf, lo snowboard, l’arrampicata e ognuna di queste ha suscitato in me una sempre maggiore sensibilità sul tema della sostenibilità ambientale. 

Che cosa fai tutti i giorni per dare il tuo contributo?

Sono un amante della conoscenza, credo che da questa possa nascere il cambiamento di cui ognuno di noi ha bisogno, per cui ogni giorno m’informo e cerco di migliorarmi. 

Dalla scelta di usare un semplice spazzolino in bamboo, alla partecipazione a un evento che sensibilizza lo spreco alimentare. 

Tutto quello che faccio poi, in questo momento in cui i social hanno un notevole impatto sulla comunità, lo condivido con i miei cari e sui miei canali. 

Secondo te ci stiamo impegnando abbastanza da salvare la terra?

A mio parere sembra stiamo percorrendo la strada giusta, anche se siamo ancora ben lontani dal nostro obiettivo. 

Noi giovani abbiamo ben compreso la problematica ambientale ma la questione potrebbe non essere del tutto chiara per tutti.

Nel 2015 abbiamo partecipato al summit di Parigi, condividendo e accettando l’accordo di restare sotto i 2°C. Secondo le analisi dell’associazione ambientalista sarebbero 14,3 i miliardi di euro l’anno che potrebbero essere eliminati o rimodulati, in modo da incentivare l’innovazione e ridurre le emissioni e invece, vengono disposti come sussidio alle fonti fossili.

Pensi che e qualcuno non prenda troppo sul serio questa situazione?

Negli ultimi periodi è semplice trovarci di fronte a delle campagne pubblicitarie ingannevoli. 

La problematica ambientale fa scalpore negli animi umani e questo implica che ogni azienda cerca in qualche modo di essere sostenibile, ma sappiamo che il green-washing è uno dei fenomeni più diffusi in questo periodo.

Come possono i consumatori essere più attenti?

Ogni giorno noi consumatori abbiamo la possibilità di scegliere se essere attenti o no. 

Al supermercato abbiamo la possibilità di comprare prodotti a km zero, abbiamo la possibilità di evitare di comprare prodotti confezionati con la plastica, abbiamo la possibilità di scegliere di muoverci con mezzi di trasporto pubblici o comunque meno inquinanti, abbiamo la possibilità di comprare capi sostenibili. 

Poi avremmo tanti doveri quotidiani, più che possibilità, come fare la raccolta differenziata, evitare di buttare le sigarette a terra e tante altre cattive abitudini che andrebbero superate.

Parliamo di moda sostenibile, in che direzione stiamo andando?

L’industria del fashion è il secondo settore più inquinante al mondo ed io credo che, essendo l’italia, la capitale della moda, la direzione che stiamo prendendo è ottima. 

CNMI sta sostenendo l’industria tessile sostenibile, e le numerose startup che puntano in quella direzione. 

Molti grandi marchi italiani hanno presentato capsule collection sostenibili e io mi auguro che nei prossimi mesi rendano anche tracciabile la produzione in filiera, in modo da essere sempre di più trasparenti. 

Ci sono dei brand che apprezzi per la loro visione ecologica ed etica?

Negli ultimi mesi ho conosciuto moltissime start-up sostenibili italiane. 

Ho collaborato con “Acbc” che produce scarpe completamente scomponibili e sostenibili.

Al WSM di Gennaio ho conosciuto i ragazzi di “Staiy” una piattaforma e-commerce completamente dedicata allo shopping sostenibile. 

Sono entrato in contatto con “WeAreWuuls” che oltre a produrre in modo sostenibile  compensano il loro impatto ambientale donando il 5% del loro ricavato all’associazione per la conservazione dell’orso marsicano tipico dell’Abruzzo.

Che consigli ci daresti per rispettare di più il pianeta? 

Per l’Earth Day ho chiesto alla mia community di instagram a cosa non sarebbero disposti a rinunciare della terra; ognuno di loro mi ha risposto con una foto oppure un pensiero. 

Ho scritto una lettera e li ho taggati tutti. 

Il giorno dopo ho chiesto ad ognuno di loro, cosa da quel giorno, avrebbero promesso di fare per non perdere quello che più gli piace della terra. 

A volte credo che ci manchi la consapevolezza dei nostri piccoli gesti quotidiani, e proprio qui io mi sento di dare il mio consiglio, sono questi gesti a fare la differenza. 

Diventare consapevoli e conoscere cosa accade nella “nostra” via, nel “nostro” quartiere, nella “nostra” città, è fondamentale perché la conoscenza genera attenzione e l’attenzione genera cambiamento

Intervista a La Persia: “anche un uomo può essere paragonato ad un fiore”

Quante volte ci è capitato di camminare per la strada e con la coda dell’occhio rimanere ipnotizzati da un uomo vestito in maniera eccentrica, non convenzionale, chiedendoci quale sia la sua storia, la sua vita, il suo carattere e dandoci anche delle risposte eppure un famoso detto popolare dice “l’abito non fa il monaco”. 

Gianluca ha 23 anni è nato e cresciuto nella provincia di Trieste e da 4 anni risiede a Milano, sta per conseguire gli studi in fashion design ed il suo primo amore è stato il Plastic Club luogo in cui ogni sabato sera da vita ad una sua performance e luogo che sin dagli anni ’80 ha riunito i ghettizzati con lo scopo di crearne un vero e proprio culto. 

In una società che tende ad etichettare tutto ciò che ci circonda, Gianluca ha deciso di vivere la sua vita senza alcun tipo di barriera esprimendo la propria identità e fluidità di genere come pretesto politico e sensibilizzazione per i diritti di ogni comunità. 


Quale è stata la tua prima sensazione entrando al Plastic Club? 

Faccio parte di una generazione social e di conseguenza da adolescente guardavo le foto di quel locale online anche se non c’ero mai stato.

Il primo sabato al Plastic me lo ricordo perfettamente, forse è stata una delle poche volte in cui mi sono sentito nel posto giusto al momento giusto, si prova una sensazione di accettazione ed è come se fosse tramandato un senso di appartenenza, di non sentirsi sbagliati.

Probabilmente credo siano state queste sensazioni che mi hanno affascinato e ad oggi sono contento di farne parte. 

Siamo abituati, erroneamente, ad etichettare le persone, ad oggi quale sarebbe la tua etichetta? 

Non amo le etichette e non penso di utilizzarle anche in questo momento, credo che siano solo un mezzo utilizzato dalla società per definire qualcosa che crea un disagio, che non sappiamo spiegare o che siamo abituati a vedere in un modo ben definito e di conseguenza l’essere umano circoscrive quella persona in un determinato ambiente ed idea condivisibile dalla maggioranza. 

Questa è la difficoltà che provo io tutti i giorni quando cammino per la strada, la gente mi guarda e non mi capisce. 

Quando hai capito ed accettato ciò che eri?

Io dico sempre che per me tutto è partito dalla strada, non mi sono mai dichiarato ma ho vissuto questa mia fluidità con un senso di non appartenenza.

Abitavo in periferia e la sera uscivo con una gonna sopra i jeans, la mia famiglia non ha mai supportato le mie scelte ma arrivato a Milano ho preso coscienza di ciò che ero senza alcun tipo di timore.

Come mai hai scelto di chiamarti “La Persia” e cosa rappresenta per te? 

Cercavo un nome che mi rappresentasse, poi ho pensato che tutti mi hanno sempre chiamato con il mio cognome ovvero “Persia” ed ho deciso di aggiungere un articolo femminile per giocare sulla mia fluidità e dare, se vogliamo dire così, un tono alla figura del mio personaggio. 

Faccio molta difficoltà a scindere Gianluca da “La Persia” in quanto siamo molto simili, credo però che La Persia sia una versione extra di me, è il personaggio notturno che mi permette di fare le cose che di giorno non immaginerei mai di fare, parlandosi chiaro, nonostante io ami i miei look del sabato sera non mi sognerei mai di andare a prendere un caffè con gli amici in corsetto e tacco a spillo o forse sì ma farei solo scandalo, invece io vivo la mia femminilità in altri modi, penso sia più rivoluzionario un uomo con giacca, cravatta ed una gonna che si sente sicuro di se.

La Persia non è uno stereotipo, mi da la possibilità di abbattere dei preconcetti che esistono nella mia mente ed è in grado di dar vita ad un effetto domino sulla gente rendendola libera. 

A chi sono dedicate le tue performance del sabato sera? 

Credo per lo più che siano dedicate a qualunque categoria di persona che si senta ancora oggi ingabbiata in una definizione.

Io cerco di fare il possibile, nel mio piccolo, per liberarsi dei preconcetti, che sia una ragazza che non ha alcun timore a mostrare la sua peluria ascellare o un ragazzo che abita in periferia che vorrebbe poter indossare la gonna e mettersi l’ombretto.

Io per lo più non sono una drag-queen e vorrei che la gente capisca che un uomo in gonna non è obbligatoriamente omosessuale o voglia diventare una donna, magari ha solo il coraggio di abbracciare la sua parte femminile e che male c’è?

Il gender-less è entrato negli ultimi anni nelle maggiori case di moda, a cosa credi sia dovuto questo cambiamento e presa di posizione?

Il gender-less nella moda è sempre esistito, partendo dagli anni ’70 con l’introduzione dell’unisex come rivendicazione dei diritti femminili ed anche negli anni ’80 furono lanciate sul mercato le prime gonne da uomo ma non furono capite, non eravamo ancora pronti e non lo siamo tuttora. 

Vivienne Westwood ha sempre combattuto per sdoganare questi preconcetti ma probabilmente solo con il manifesto creato da Alessandro Michele con Gucci si è riuscito a smuovere qualcosa nel settore fashion e all’interno della società.

Non capisco perché un uomo non possa essere paragonato ad un fiore come una donna, perché l’uomo deve essere rude e potente mentre la donna deve essere leggera e soave, chi ha deciso che un uomo non possa essere potente indossando del pizzo? 

Molto di quello che vediamo oggi sfilare in passerella è frutto di proposte creative passate ritenute avanguardiste, non credo che la società sia ancora pronta ed aperta ma almeno ci stiamo provando. 

Quale sarà la prima cosa che farà Gianluca e di conseguenza anche La Persia al termine della self-isolation?

Gianluca sicuramente vorrà tornare nel suo studio creativo a fare ciò che ama, passeggiare con amici e tornare a socializzare responsabilmente. 

Per La Persia la situazione è più complessa essendo probabilmente i locali notturni le ultime attrazioni a poter riaprire, speriamo comunque nel poter ricalcare quel piccolo palcoscenico e sfoggiare tutti i look che ho cucito durante questi giorni chiuso in casa.

Ho voglia di intrattenere le persone e quindi stiamo pensando di creare un nuovo progetto ma non posso ancora rivelare nulla. 

Davide Marello : “Il mio marchio è un album di ricordi della mia vita”

Viviamo in un’epoca in cui ognuno vuole tutto e subito, crediamo di poter raggiungere i nostri obiettivi semplicemente perché ci crediamo ma se ci fermassimo a pensare, apprendere e migliorare per poi continuare ad inseguire i nostri sogni?

C’è chi trova sin da subito la propria strada e chi ha bisogno di tempo e d’esperienza per capire come raccontare la propria storia. 

Davide Marello è nato e cresciuto ad Asti, a 18 anni si è trasferito a Milano e dopo aver intrapreso gli studi di moda presso l’istituto Marangoni con varie esperienze per piccoli e grandi brand, ha presentato il suo marchio Davi Paris lo scorso giugno a Parigi dove attualmente risiede, un traguardo che ogni giovane designer sogna, eppure è solo l’inizio di questa storia.


Quando hai capito di voler diventare un designer?

Ho avuto la fortuna di crescere con una nonna sarta che probabilmente mi ha trasmesso l’amore per la sartoria ed in più, subito dopo la maturità, credevo che Milano e la moda sarebbero state il mio escamotage da un lavoro d’ufficio sedentario. 

Stiamo parlando di un periodo, quello di fine anni ’90, in cui la moda aveva un forte impatto sulla società, era il periodo delle top model e di Gianni Versace, mi affascinava la visione di una femminilità esuberante, l’approccio al colore e l’idea di mischiare il sacro con il profano. 

Sicuramente il mio primo imprinting estetico è stato Versace mostrando il suo amore per la Magna Grecia ed io ho sempre avuto una passione per la mitologia confrontata con l’arte contemporanea, probabilmente ho iniziato questa carriera pensando di lavorare sulla moda femminile grazie a lui poi con il tempo ed esperienza ho affinato la mia estetica e gusto scoprendo la mia strada. 

Qual’é stata la scintilla che ti ha spinto a dar vita ad il tuo brand “Davi Paris”?

Credo che la scintilla sia stata il potere della moda sulle persone, il poter essere attirati da un abito e riuscire a mutare la percezione che gli altri hanno di noi stessi. Con la moda puoi sottolineare il tuo carattere ma anche trasformalo o semplicemente nasconderlo, sono stato affascinato da questo aspetto sin da piccolo.

Ho subito anche il fascino della fotografia grazie ad Helmut NewtonRichard Avedon e Steven Meisel che riuscivano a trasmettere emozioni e stati d’animo con delle semplici immagini. 
Io in realtà non ho mai pensato di voler dar vita ad una mia visione, ho sempre amato lavorare su dei progetti già esistenti e riutilizzare l’archivio di un brand per dar vita ad una nuova storia, probabilmente ho capito con il tempo di esser pronto a fare un grande passo ed avere un’idea ed una visione tale da poter far ascoltare anche la mia storia.

Ho sempre pensato che prima di entrare in guerra uno debba essere munito delle proprie armi per essere in grado di difendersi ma anche di attaccare e alla fine sono sceso in campo anche io. 

Cosa ti ha spinto verso la moda uomo e a chi si rivolge “Davi Paris”?

La mia prima esperienza con la moda uomo è stata con Giorgio Armani, credo di aver appreso molto su come si formi un’immagine ben precisa dell’uomo e come questa possa seguire dei codici predefiniti ma ho anche capito che la condivisione ed il confronto con le nuove generazioni sia essenziale. 

Mi piace rivolgermi ai ragazzi più giovani perché credo che la moda sia freschezza e contemporaneità ma al tempo stesso cerco di creare una via di fuga dalla monotonia della realtà, ho voluto dedicare un momento di evasione a tutti gli uomini con la camicia popeline azzurra perché in questi anni ho capito che anche il maschio alpha ha l’esigenza di mostrare un nuovo aspetto di se stesso e proprio per questo il mio primo capo fu una camicia con stampa floreale. 

Ho voluto formulare il mio progetto anche con una certa fluidità di genere, io dico sempre che la mia collezione è maschile perché mi piace pensare ad un uomo che voglia indossare qualcosa di diverso che pesca un po’ per tessuti e forme associate al mondo femminile ma che mantiene un sottile equilibrio.

Devo dire che sono rimasto anche un po’ sorpreso da vedere i miei capi indossati da rapper e trapper anche se trovo stupendo il poter utilizzare la moda per esprimere quella vena estrosa che appartiene alla cultura show-off della black music è molto interessante vedere come le persone possano interpretare il mio messaggio più romantico e legato a Parigi adattandolo alla propria storia.

Sono stato sempre etichettato come designer sartoriale avendo lavorato a lungo per Alessandro Michele e Boglioli ed in questa mia collezione ho voluto strapparmi un’etichetta mostrando un nuovo aspetto della mia creatività per poter magari stupire. 


Perché la decisione di presentare la tua prima collezione a Parigi?

La scelta di Parigi è stata una scelta naturale, dopo aver lasciato la direzione creativa di Boglioli ho voluto prendere un momento solo per me, staccarmi dai ritmi frenetici della moda così ho colto l’occasione per abbandonare la mia comfort zone per vivere un’esperienza a Parigi, una città che ho sempre idealizzato, molti miei amici designer mi raccontavano delle loro brutte esperienze in questa città ma io invece l’ho subito amata, trovo che sia un luogo che mi assomiglia molto. 

Parigi è una città romantica, melanconica, culturale e con una leggera vena nostalgica senza trascurare la bellezza dell’arte antica in perfetta armonia con quella moderna, purtroppo in Italia siamo molto attaccati al passato non riuscendo a dar spazio alla contemporaneità. 

Ho voluto che Davi Paris fosse un progetto più onesto possibile per questo motivo ho ritenuto giusto presentarlo nella città che più mi rappresenta. 
 
Quale è la tua definizione di “designer”?

Per me il designer è colui che riflette nella moda ciò che vive. 

Io amo viaggiare e prendere spunto da altre culture ed al tempo stesso scopro ogni giorno nuove cose nella mia città cercando di essere molto lucido per far si che le mie esperienze personali incidano col giusto peso sul mio progetto.

Credo che il mio marchio abbia tanto di me, del mio vissuto e del mio passato, mi dico sempre che Davi Paris è un po’ come un vecchio album fotografico di ricordi della mia vita che condivido con il mondo. Il designer di successo è colui che interpreta una storia ed un’estetica per rompere gli schemi. 

Cosa ti manca di più di Milano? 

Milano per me rappresenta l’Italia, la forza che trasmette, la meritocrazia e lo scambio perché è una città che se sei in grado di “dare” ti restituisce tutto. 

Se devo esser sincero mi manca, mi manca come noi italiani siamo in grado di affrontare e risolvere i problemi, l’artigianalità ed il nostro know-how che dovremmo tutelare soprattutto in questo momento di crisi. 

Ricordi la tua prima camicia stampata e a cosa ti sei ispirato? 

Per me è stato un colpo di fulmine, era un vecchio archivio di una stamperia, una stampa con dei grossi fiori nei toni del rosa, cipria, azzurro, una sorta di camouflage floreale al limite tra il maschile ed il femminile, mi fece pensare subito ad una gonna plissettata che indossava sempre mia nonna, ecco il potere dei ricordi e della fotografia che riaccendono delle sensazioni.

Ho voluto darle il nome di mia nonna “Rita” e per me è stato come un talismano o portafortuna, un bel ricordo. 

Avendo intrapreso un percorso di studi universitario nel settore moda, cosa consiglieresti ai ragazzi che oggi sognano di diventare designer? 

Credo che i requisiti fondamentali per un designer siano l’umiltà e l’ambizione ed è molto difficile farli coesistere in quanto spesso l’ambizione ti porta a non essere umile e a voler bruciare le tappe. 

Noto che questa nuova generazione tende a volere tutto e subito, il successo istantaneo non esiste, per crescere bisogna applicarsi con la cosiddetta “gavetta” per costruire la propria strada ed affinare la professionalità, serve capacità di resilienza e tanta personalità.

Ad oggi, specialmente dopo questa grandissima crisi, bisogna essere molto attenti a ciò che si fa e per tutti coloro che vogliano aprire un marchio credo debbano valutare ogni singola decisione partendo da un messaggio molto forte e concreto e non solo poesia. 

Quale sarà il cambiamento di Davi Paris al termine della self-isolation?

Non so quale sarà la svolta del settore moda e tantomeno del mio brand, credo solo che in futuro ci sarà molta più selezione per far continuare a far scegliere il proprio marchio. 

Io sto cercando di far crescere il mio progetto nella maniera più organica possibile, non voglio che cresca troppo in fretta, preferisco che inizialmente sia un messaggio più intimo e congruo con la mia visione per questo motivo son riuscito a contenere i danni che questa pandemia ha apportato al nostro settore.

Mi manca poter toccare con mano i tessuti, avere un confronto umano con il mio team ma non credo che la mia creatività ne abbia risentito, son pronto a rimettermi in gioco, bisogna continuare a convincere le persone che tu sia il progetto da salvaguardare.

Alex Prequel, tra tattoo e viaggi

Alex Prequel (@alexprequel_tattoartist) è un tatuatore specializzato nello stile Abstract e Watercolor con base in Italia anche se partecipa a molti convegni sui tatuaggi in tutto il mondo. Ha iniziato la sua carriera nel 2013, a 22 anni, in modo davvero naturale perché è sempre stato a contatto col mondo dell’arte. Disegnava sin da bambino, prima il diploma al Liceo Artistico e poi a vent’anni il suo primo tatuaggio. Da allora, i tatuaggi sono certamente aumentati e l’amore per il disegno e la passione per questo lavoro si sono uniti definitivamente.

Raccontaci la tua formazione e come sei arrivato al mondo del tattoo

Disegno fin da piccolo, sono sempre stato portato e affascinato dal disegno. Ho frequentato e mi sono diplomato al Liceo Artistico ed è lì che ho imparato veramente a disegnare, ho sperimentato tante varie tecniche negli anni quali: matita, carboncino, pantoni, acquarello, acrilico, riproducevo ritrattistica anche su modelli dal vivo e ho fatto anche modellato con argilla e un po’ di scultura. 

Dopo il liceo ho frequentato quasi 2 anni di Università in Design industriale del prodotto, interrotto poi perché è subentrata la passione per il tatuaggio e da subito mi sono concentrato su questa professione che ormai svolgo da quasi 7 anni. 

Come stai vivendo la quarantena?

Inizio a lamentarmi a livello lavorativo, come tutti penso. Il mio lavoro è la mia passione, quindi oltre al fattore incassi, mi manca proprio svolgere ciò che amo fare. Fino ad ora ero speranzoso di riaprire il mio Studio e poter riniziare a Tatuare da Maggio, invece il desiderio e la voglia si prolungano fino a Giugno a quanto pare. Stringiamo i denti. 

Comunque cerco di rimanere attivo il più possibile artisticamente parlando anche da casa e penso molto a progetti futuri. Per quanto riguarda la routine da quarantena non male dai, lavoro e ho lo Studio nelle Marche a San benedetto del Tronto ma abito in provincia Abruzzese, e fortunatamente sono abbastanza circondato da parchi e praterie. Solitamente amo il caos delle grandi metropoli ma in questo periodo mi ritengo fortunato a trovarmi qui, posso prendere una boccata d’aria in tranquillità mettiamola così, al contrario della gente che si trova a Milano o Roma magari. 

Come cambierà il tuo lavoro post Covid-19?

Noi Tatuatori professionisti siamo già pronti a riaprire, lavoriamo da sempre con tutte le preoccupazioni e le protezioni necessarie che prescindono da questa situazione Covid. Non vedo l’ora di ricominciare a lavorare ma spero il governo si accorga di noi tatuatori e ci faccia riaprire prima di Giugno, perché nel periodo estivo solitamente abbiamo un grande calo di richiesta. Infatti, la gente si espone al sole e va al mare e si tatua di meno, dato che non è per niente indicato fare queste cose con dei tatuaggi fatti da poco tempo. Quindi se così fosse, sarebbe come stare fermi 6 mesi, non solamente 3. Speriamo bene, dipende anche dalla risposta che darà la clientela. 

Sei appassionato di viaggi, raccontaci i tuoi luoghi del cuore nel mondo

Vietnam – Mua Caves Ninh Binh: è una montagna con 2 piccoli templi sopra e un dragone, si trova nel ben mezzo del nulla, nella zona di Tam Coc, si cammina parecchio e per arrivare qui in cima, si devono salire più di 500 gradini, ma non gradini normali sono circa 50 cm l’uno, si arriva in cima con il fiatone ma la vista lascia ancor più senza fiato. È un esperienza mistica perché devi sudare per raggiungerà la vetta e poter ammirare ciò che ti circonda. 

Amsterdam – Kees de jongenbrug: adoro questo ponte nel centro di Amsterdam nella zona Jordan. È uno spettacolo da vedere, tutto si incrocia: le strutture caratteristiche della città, il canale, le barche, le bici. È uno scenario che descrive perfettamente il mood di Amsterdam. 

Miami Beach –  Lummus Park: da premettere che amo tutta Miami e Miami Beach, ma mi concentro su questo parco perché è strategico per godersi a pieno l’atmosfera Sunshine, percorre tutto l’Ocean Drive, quindi da un lato si ha la vista dell’immenso Oceano e delle lunghe spiagge e dall’altra tutti i possibili locali, ristoranti, bar, hotels tutti in stile Art Decó. 

NYC – the high Line: La High Line è un parco lineare sopraelevato, situato nella parte West side di Manhattan nel quartiere Chelsea, mi piace in modo particolare perché oltre ad essere rilassante passeggiare lì, e proprio suggestivo camminare tra i vari grattacieli che si trovano ai lati del parco e poter ammirare le strade piene di vita sottostanti all parco. Offre una visuale diversa perché è a metà strada tra il vedere NYC nella tua piccolezza dal basso camminando per strada, oppure vederla completamente dall’alto di un grattacielo. Qui puoi ammirare sia in alto che in basso. 

San Francisco – Golden gate Bridge: è un ponte sospeso che sovrasta il Golden Gate, lo stretto che collega l’Oceano Pacifico con la Baia di San Francisco. Per quanto mi riguarda penso sia il ponte più bello che esista, soprattutto per il luogo in cui si trova, tutto ciò che lo circonda è mozzafiato. Visto dall’alto sembra come se venisse fuori dall acqua. In lontananza da qui si ha anche una bellissima vista di San Francisco. 

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Manintown Live Talks

Tre dirette instagram settimanali sulla nostra pagina @manintownofficial per raccontare volti noti e talenti emergenti del mondo del cinema, sport, food e cultura. Ecco gli appuntamenti di questa settimana da non perdere!

Manuele Mameli

Manuele è un giovane make-up artist con una carriera brillante e un portafoglio clienti da capogiro. Abbiamo imparato a conoscerlo attraverso Chiara Ferragni, tra selfie su Instagram e scatti mozzafiato alle sue opere di make-up, ma la live di oggi sarà l’occasione per scoprirlo più da vicino.

Lunedì 11 maggio alle 17 in dialogo con @stefaniasciortino


Filippo Marsili

Nato a Roma, il 22 gennaio 1998 ha solo 21 anni. La sua carriera di attore è appena iniziata e i suoi primi progetti  hanno preso il via proprio tra 2019 e il 2020. Il più imminente, è rappresentato dalla seconda stagione della serie italiana Netflix Baby.

Venerdì 15 Maggio alle 17.30 in dialogo con @fabrizioimas


Matteo Oscar Giuggioli

Dopo gli studi di recitazione ed essersi fatto le ossa sui palcoscenici più importanti di Milano, nel 2017 debutta sul grande schermo nel film Gli sdraiati di Francesca Archibugi. Nel 2018, interpreta Tom in Succede di Francesco Mazzoleni  e poi la televisione con Un passo dal cielo 5, la serie cult di Rai Uno. Attualmente lo troviamo nelle vicende di Vivi e lascia vivere sempre sulla rete ammiraglia.

Sabato 16 Maggio alle 17.30 in dialogo con @massibenet

Home sweet home: riflessioni tra architettura e design con Diego Thomas

La maggior parte di noi lo conosce perché è uno dei giudici di Cortesie per gli Ospiti su Real Time, anche se in realtà Diego Thomas è un architetto specializzato in interior design con percorso professionale di tutto rispetto.

Le passioni per l’architettura, l’interior e l’artigianato nascono fin dai tempi degli studi universitari con un filo conduttore: quello di trovare un’unione armoniosa tra ambiente esterno e interno. Lo abbiamo intervistato in questa pausa dalle scene per conoscere meglio l’uomo e il professionista…

Racconta il tuo percorso professionale e come è nata la tua passione per l’architettura

Immagina che se da piccolo mi avessi chiesto “cosa vuoi fare da grande?” avrei risposto “il gelataio”, ma, attenzione, questo solo fino ai sei anni! Il mio settimo anno fu il vero anno di svolta perché maturai il pensiero innovativo di poter mangiare sempre gelati senza venderli; cambiai così la risposta in “voglio fare l’architetto”.  

Tutti si chiedevano come facesse un bimbo così piccolo a sapere cosa fosse un architetto: dipendeva dallo stile di vita di mia madre, artista, che si divideva tra i suoi quadri e i restauri di vecchie case di famiglia, che amava trasformare insieme agli operai e anche a me, che l’accompagnavo spesso nei cantieri. In linea di principio, quindi, con l’architettura ci sono nato e cresciuto.

Come sei approdato a Cortesie per gli ospiti?

Grazie a un’amica, o grazie a un corniciaio, forse grazie ad entrambi: praticamente una mattina dovevo ritirare un quadro che avevo fatto incorniciare e il corniciaio non lo trovava mentre io aspettavo spazientito.

In quel frangente un’amica d’infanzia mi manda uno screenshot di un annuncio che passava in TV, qualcosa tipo “stiamo cercando architetti simpatici”. Così, per ingannare il tempo mentre il corniciaio ribaltava il suo negozio per recuperare il mio quadro, chiamai il numero dell’annuncio e mi rispose la produzione di Cortesie Per Gli Ospiti.


Il cast di Cortesie per gli Ospiti: l’architetto Diego Thomas, la lifestyle coach Csaba Dalla Zorza e lo chef Roberto Valbuzzi

Mentre, finalmente, mi allontanavo con il mio quadro sotto braccio, prendemmo un appuntamento per un provino nel mio studio. Ne facemmo tre, a strettissimo giro, e dopo circa un mese venni catapultato direttamente dal mio studio di Campo de’ Fiori al set televisivo, e dovetti rapidamente abituarmi a tutte quelle telecamere puntate su di me…

L’errore più frequente che hai riscontrato nelle case viste sino a oggi?

A chi gli chiedeva consiglio, il grande Gio Ponti rispondeva: “Se è un artista se la caverà senza consigli, per l’intuizione e il temperamento. Se non lo è il consiglio è rivolgersi a noi. Gli faremo cose bellissime.” 

L’errore più frequente, infatti, è quello di non investire nella consulenza di un professionista quando si approccia una casa. Molti credono di risparmiare, ma studi scientifici dimostrano che chi si affida a un progettista alla fine risparmia tempo, soldi e fatica, e il risultato sarà sicuramente migliore.

La casa (o le case) che ti hanno sorpreso in positivo?

Tutte le case che ricevono voti sufficienti mi sorprendono in positivo. La mia preferita? Una villa in Puglia, un’antica masseria ampliata con una struttura moderna ma rispettosa del contesto. Il tutto incorniciato da un giardino con vasche e sculture. L’armonia di quel luogo ci pervase tutti e gli abitanti sembravano illuminati dalla bellezza.

Nel backstage di Cortesie, tutto sembra rilassante e facile. Quanto tempo lavori al programma e quale impegno implica? 

Sembra facile ma non lo è! I set cominciano alle 8 del mattino, forse i preparativi anche prima, e terminano la notte tra le 22 e l’una del giorno dopo, tutti i giorni. Dico ”i set”, al plurale, perché sono due al giorno.

Infatti registriamo le puntate incrociandole  con due troupe diverse che si sovrappongono in due location differenti. Solo noi conduttori, gli addetti al trucco, un operatore e un producer facciamo doppio turno trasferendoci da un set all’altro.

I concorrenti, per loro fortuna, sono coinvolti solo parzialmente in tutto questo enorme lavoro di squadra. Il pubblico a casa, infine, vede il risultato condensato in 50 minuti dai montatori che spesso lavorano in casa di produzione a doppio turno: un gruppo di giorno e uno di notte, la mattina si scambiano i cornetti e il cappuccino.

Se potessi avere carta bianca e budget illimitato, come immagini la casa del tuoi sogni?

Con una bella vista.

Quali sono gli architetti e le opere che per te sono stati importanti nella tua formazione?

Penso che ogni architetto abbia dato il suo contributo in positivo ma anche in negativo. Se dovessi farmi disegnare la casa da qualcuno che non sia io, tra gli architetti del passato sceglierei sicuramente Michelangelo, tra gli architetti moderni forse ne sceglierei uno sconosciuto ai più, che praticamente ha fatto un’opera sola: Pierre Chareau con la sua Maison de Verre a Parigi.

Una casa concepita agli inizi degli anni Trenta molto poco instagrammabile ma danzante, dove  la tecnica diventa poesia, un ibrido tra il deco e  la purezza del razionalismo, che portò a un risultato ancora più innovativo per il tempo

Diego nella vita di tutti i giorni: quali sono le tue passioni e il tuo look fuori dalla tv?

In TV sono in vesti ufficiali, con la giacca e a volte la cravatta. Nella vita di tutti i giorni sono più casual: amo sperimentare, anche con i look. 

Quando viaggi per lavoro e per piacere cosa, non può mancare nella tua valigia?

Delle cuffie per la musica, non vivo senza. L’architettura è musica.

Come hai vissuto il lockdown e come prevedi cambierà il post covid anche nel tuo lavoro?

L’emergenza è devastante, sotto tutti gli aspetti. Fortunatamente ho continuato a lavorare: anche se le riprese di Cortesie per gli Ospiti si sono interrotte, ho scritto molto, soprattutto un nuovo libro, e disegnato per portare avanti le progettazioni in attesa che ripartano i cantieri. Lavorare mi ha aiutato a mantenermi vitale.

In questo periodo miei validi alleati sono stati la musica e i libri, oltre che il mio cane che ringrazio perché ogni tanto mi porta a fare la passeggiatina sotto casa, nel centro storico di Roma deserto, dove ci siamo più volte imbattuti in pappagalli e perfino un riccio!

Pensare che gli animali si sono riappropriati dei loro spazi mi ha regalato un sorriso. Nei momenti peggiori, infatti, le uniche notizie confortanti sono quelle sull’ambiente: l’inquinamento che diminuisce drasticamente è un pensiero positivo. 

Un altro risvolto bello della situazione è la riscoperta del vicinato: nell’antico rione dove vivo è capitato di parlare con i vicini della finestra di fronte, siamo arrivati anche a fare aperitivi dai terrazzi intorno. Credo che questi legami rimarranno anche quando, finita l’emergenza, ritorneremo a uscire.

Il confinamento dentro casa ha, poi, messo al centro l’importanza degli interni in cui viviamo. Ho avuto un boom di richieste perché le case sono diventate il nostro unico habitat: fondamentale non solo abitarci al meglio, ma anche lavorarci e studiarci. Le abitazioni, infatti, cambiano e assumono nuove funzioni diventando anche uffici e scuole individuali.

In un’ottica post covid anche il modello di città va ripensato. La concentrazione di funzioni, spazi e persone va rivista in un’ ottica di dispersione che consenta il distanziamento: dalla riorganizzazione degli spazi urbani a un nuovo tipo di mobilità pubblica, fondamentali, ad esempio, le piste ciclabili. Per le città d’arte, il turismo deve forzatamente virare da un sistema pensato per gli stranieri a uno per l’utenza interna, molto diverso. Sto appunto lavorando ad un articolo accademico su questi argomenti.

A tu per tu con il pastry chef Damiano Carrara

Assaggia dolci tutto il giorno, un pasticcino con crema e fragola, un cannolo siciliano con ricotta, un mini bignè al cioccolato, poi qualche fetta di Sacher o una crostata di frutta; dopo il primo boccone sa se la crema è troppo liquida o troppo densa, se la crostata è troppo dolce o il bignè poco ripieno.

Ieri su Real Time in “Cake star”, oggi padrone di casa su FOOD NETWORK con “Fuori Menu”, Damiano Carrara fa il mestiere più bello del mondo. 

Cappotto lungo verde a quadri: Daks London 
Completo color cammello: Caruso  
Cintura: Boggi Milano
Camicia bianca: Canali 
Scarpe stringate: Church’s

Ma dietro grandi risultati ci sono spesso grandi sacrifici e la fame di arrivare e di lasciare il segno, ed è questo il suo caso, quello di una ragazzo di provincia con il marcato accento fiorentino, quello aspirato che piace un po’ a tutti, come lui.

Diciannove anni, un posto fisso da metalmeccanico e la noia che cresce, poi l’apatia, poi la voglia di fuggire.

“Mi rendevo conto che non avrei combinato nulla e non avrei scoperto il mondo, così decisi di prendere il primo treno per Dublino e partire. Mi ritrovai in una città nuova senza conoscerne la lingua, spaesato, una città diversa dalla campagna da cui provenivo, con le mucche e il latte fresco ogni mattina e le uova ancora calde. Cosa fa un ragazzo in Irlanda? Il cameriere, il barman, ci si rimbocca le maniche e si cerca una strada, un sogno, come quello americano che ho rincorso a Los Angeles, Las Vegas, New York, non mi fermavo più, lavoravo 20 ore al giorno.”

Come si svolgevano le tue giornate? 

“Sette mesi in cui a mezzogiorno porti i piatti ai tavoli di chi vuoi diventare, la sera fai i cocktail e la notte costruisci il tuo piccolo business: un laboratorio di pasticceria che oggi è diventato un franchising.”

Pantaloni grigi: Canali 
Dolcevita nero: Sandro Paris
Giacca nera: Karl Lagerfeld
Sneakers nere: Puma x Ralph Sampson  
Guanti neri: Boggi Milano

Oggi in California, dove ti sei trasferito nel 2008, sei proprietario della Carrara Pastries, una pasticceria con 70 dipendenti che ha clienti come le sorelle Kardashian; come ci sei arrivato?

“La sera al locale raccoglievo delle belle mance, gli italiani piacciono all’estero, siamo dei simpaticoni; la mattina entravo a fare il primo turno al ristorante, non senza aver fatto un’ora di attività fisica; sono stato presto promosso manager quindi la sera avevo anche la responsabilità di contare il denaro in cassa; alle 23.00 cenavo con mio fratello, un pasto frugale, una volta in laboratorio ci occupavamo della preparazione dei dolci, finivamo alle 4 di notte, e mi toccava fare qualche chilometro a piedi per depositare i soldi in banca; alle 7 la sveglia, una vita stressante che non auguro a nessuno.

Quale è stato il primo locale dove hai lavorato in America? 

“Cafè Firenze, titolari italiani, e per di più fiorentini, (Jacopo e Fabio), 300 posti a sedere, un ristorante elegantissimo e disperso, il luogo ideale per viverci.”

Con chi hai coltivato il tuo sogno americano? 

“Mio fratello mi ha sempre accompagnato in questo viaggio, lui è il mio migliore amico, il mio braccio destro. Oggi è responsabile del laboratorio, prima di lavorare insieme faceva il pasticcere a Lucca, aveva 24 anni quando ha lasciato tutto per stare con me. Nel lavoro, ha sempre avuto una visione italiana, quel patriottismo orgoglioso da “Italians do it better”, ma io avevo capito che con gli americani era necessario aprire la mente e accontentarli, perchè sono abituati a gusti mixati e meno tradizionali dei nostri. Quando qualche cliente chiedeva un dolce con una ricetta storpiata, lui si infuriava e diventava rosso come un peperone. Abbiamo lavorato molto insieme e sofferto insieme la fatica del lavoro, dormendo solo 3 ore a notte. A pensarci mi vengono i brividi.”

Cappotto lungo cammello: Caruso 
Gilet beige: LBM 1911
Dolcevita bianco: Caruso  
Pantalone Tortora: Caruso 
Scarpa elegante stringata: Canali

Come gestisci ora il tuo tempo?

“Ho imparato a delegare, tendo a fidarmi e ho fatto bene perchè oggi la mia pasticceria dopo 4 espansioni misura 500 metri quadri, con caffetteria annessa. 
Ne ho aperta una a Malibù, una a Los Angeles, e dopo sette anni di business ho tagliato il middle man, ora importo dall’Italia e rivendo a me stesso. Non male, no?!”

Come è nato il successo in America?

“Cercavano pasticceri per un talent show in tv, sono arrivato in finale e poi hanno seguito le ospitate a “Food network star” e successivamente come giudice in altri show. In Italia invece ho ricevuto una chiamata da Magnolia per “Bake Off Italia” presentato da Benedetta Parodi, in cui sono giudice insieme a Ernst Knam e Clelia d’Onofrio, ed eccomi qua.

Ci puoi rivelare le differenze tra la Tv italiana e quella americana? 

“Abbiamo molto da imparare dagli americani in fatto di produzione: in Italia i tempi sono lunghi e dilatati, non abbiamo ancora capito che sistematizzare tutto ci permette di risparmiare tempo e denaro. Sui set ho sempre rubato i mestieri, sono della vergine, sono curioso, preciso e ho sempre voglia di sperimentare.”

Camicia bianca + completo smoking: Caruso  
Scarpe nere: Church’s 
Papillon: Zillì 

Oltre a tuo fratello, delle persone a te care, chi lavora con te?

“Il mio migliore amico, prima faceva il camionista, oggi è un grande pasticcere. Per me è importante mantenere dei legami saldi con il passato. Si chiama Federico, il suo primo tatuaggio è lo stesso che ho io sul braccio, una lunga frase che ci lega di un legame profondo e sincero:
“Il tempo di un altro Negroni e un’altra birra e saremo diventati amici per la pelle, un altro giro ancora avremo deciso di passare insieme tutti i capodanni della nostra vita. La nostra amicizia sarebbe durata il tempo che impiega un fiammifero acceso a bruciarti le dita se lo tengo troppo a lungo; la nostra invece è tutta un’altra storia”. 

Hai altri tatuaggi?

“Un joker, una tigre, un due di picche: a Las Vegas vinsi un torneo bluffando”.

Bluffi anche nella vita?

“Sono onesto, la sincerità per me è una ragione di vita”. 

Come si svolge oggi la tua giornata?

“Sveglia alle 6, un caffè latte, un’ora di allenamento (senza esercizio non mi sveglio), una prima colazione con avena e latte di soia. Dopo la doccia rispondo alle mail, controllo il conto in banca, lavoro, la sera chiamo in America per controllare la gestione delle attività, insomma è tutto incastrato al minuto, come vedi non è cambiato nulla.” (Ride)

Come è nata la passione per la cucina?

“In casa cucinano tutti, babbo, nonna, zia, io mi divertivo a preparare pasta con la Nutella a mio fratello! Poverino.”

In pasticceria cosa ordina un pasticcere?

“Una torta della nonna se sono in Toscana, oppure un Tiramisu’ o il classico bignè, che dovrebbe avere una punta di vaniglia nella crema.”

Maglione turtle neck: Acne Studios 
Pantaloni: Daks London 

Lo sai che fai il lavoro più bello del mondo? 

“Mangio dolci 8 mesi l’anno, 18 dolci al giorno uno dietro l’altro, su un set che ha delle luci da svenimento tanto sono calde, la maggior parte dei dolci che vedi sono immangiabili e se non facessi una dieta costante avrei seri problemi di salute. Facciamo a cambio?!”

Come ti vedi in un futuro prossimo?

“Vivo anno per anno fissandomi sempre obiettivi diversi e quando li raggiungo, li depenno. 
La famiglia per me è importante, ma non un obiettivo se vuoi avere successo; il tempo per il relax per me è ancora lontano. “

Sulla tua vita privata non si sa nulla, né dai tuoi social network, né dalle interviste che rilasci, perchè questo silenzio?

“Cerco di proteggermi, dalla accuse inutili, dalla volgarità, dal pettegolezzo. Il mio lavoro può essere criticato, la mia vita privata no.”

Completo verde: Sandro Paris
T-shirt bianca: Canali

Talent: Damiano Carrara 
Styling/Production: Miriam De Nicolo’
Foto: Marco Onofri 
Special thanks to: Rosa Grand Milano Starhotels (Piazza Fontana, 3)

In copertina (Cappotto lungo a quadri rosso/neri/beige: Canali, Maglione marrone: Caruso, Pantalone sabbia a quadri: Daks London)

Scopri anche l’editoriale “A stylish day with Damiano Carrara” qui.

Andrea Dal Corso: «La pandemia come mezzo per reprimere la futilità»

La realtà in questo periodo di emergenza è rappresentata da una certa dualità dell’essere. Ha bisogno di essere rielaborata, per un momento che non appena cesserà, ci farà guardare indietro con uno sguardo impavido, prudente e colmo di accortezza.

Ed è proprio questa la visione a cui si presta Andrea Dal Corso, il talent digitale protagonista di questa riflessione sugli annessi futuri in epoca post Covid-19, influenzato da una voglia prorompente di reprimere la futilità, che svela la sua indole nel voler trasformare le linee d’azione ripetute dal settore moda odierno verso nuovi fronti.

Tratteggia la sua visione del mondo con tanto di spirito disarmante, che esorta: “Ora è necessario definire una volta per tutte i piani globali ecologici e ambientali: nello smaltimento delle plastiche, nel ruolo del petrolio, nella distruzione di habitat naturali, e l’inquinamento delle acque, per arrivare alle disparità sociali, a quel cibo sprecato da molti e sognato da molti altri, alle guerre ancora in atto, dimostriamo di aver capito a pieno che l’evoluzione Darwiniana, accorgendoci che quella di oggi ha tutte le carte in regola per essere un’involuzione.”

In occasione di questo momento di reclusione universale, noi di Man In Town abbiamo voluto approfondire le ripercussioni future che andranno a influire sul piano umanitario e creativo con Andrea. 

Quale è la tua professione?

Sono un imprenditore creativo. Mi occupo di digital strategy e di content creation negli ambiti di travelling, gentleman lifestyle e benessere. Seguo, o meglio, seguivo fino a due mesi fa l’account management e il business growth dell’azienda vinicola messa in piedi con la mia famiglia. Ora mi sto dedicando ad un progetto di cultura digitale che lancerò a giorni assieme al mio team. Ho sempre lavorato nella moda come indossatore, vista da me come una forma d’arte, in quanto mi aiutava ad esprimermi, cosa che faccio attraverso ogni forma di creatività.

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

La pandemia ha colpito ogni settore, sicuramente la moda è uno tra i più rilevanti. Ma sono più che certo che le menti creative che competono nel fashion sapranno cogliere questa occasione come un nuovo punto di partenza, un nuovo stimolo che partorirà idee brillanti, eclettiche per i costumi quotidiano. 

Sicuramente nei reparti di produzione dedicato un ampio spazio alla ricerca, ma non come la si intende ora, ossia girare il mondo in cerca di “scopiazzamenti” di vario genere per poi farli propri. Ricerca intesa come vero e proprio studio di nuovi materiali che grazie alla nanotecnologia aiuteranno nella prevenzione di un eventuale futuro scoppio pandemico. 

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi?

“Tutto parte dal caos” ebbene oggi possiamo dire che tutto ripartirà, ri-nascerà, ma in maniera nuova e con nuovi occhi. Questo periodo forzato di chiusura in realtà ha aperto le menti di molti. Ha scardinato imposizioni mentali autoimposte guardando a nuovi orizzonti. 

Tutti stiamo prendendo sempre più consapevolezza di due grandi aspetti: 

1. Di quanto stia prendendo sempre più una fascia di mercato il digital business a discapito dell’offline; 

2. Di quanti siamo. Prima eravamo troppo impegnati nelle nostre vite per renderci conto di quante altre vite simili alla nostra vivono realtà similissime alla nostra. Da qui una nuova grande consapevolezza: distinguerci.  Il mondo online per certi versi è più tosto di quello off line, dove non ci sono barriere di spazio. Non posso essere il migliore insegnante di inglese del mio paese soltanto perché siamo in tre o quattro ed io solo quello nato per primo. Le leggi del mondo online non tengono in considerazione lo spazio; forse il tempo detiene ancora una certa importanza, ma occhio, passa molto più in fretta il tempo digital rispetto a quello offline.

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di miglior impatto?

Sicuramente questa tragedia collettiva globale ha sensibilizzato perfino i brand fashion che ancora oggi si affidano ad una produzione con sfruttamento umano, in condizioni davvero disagiate. 

Il “fil rouge” che spero accompagnerà tutte le prossime collezioni sarà di un “Mondo Unito”, un’umanità capace e desiderosa di aiutarsi vicendevolmente se vuole continuare a popolare questo pianeta che sempre più ci fa capire quanto lo si stia mettendo a dura prova. 

Come dicevo, la ricerca verso materiali tecnologici in aiuto alla prevenzione, ma soprattutto una manifattura pressoché autonoma all’interno del proprio Stato. Far girare le rispettive economie, per poi esportarle. Questa sarà la vera sfida che oggi diviene ancora più importante per la ri-partenza. In seconda analisi, dal mio punto di vista bisognerebbe fermare tutta questa spettacolarizzazione e dare un taglio agli sprechi. Basta cambiare decine di vestiti a stagione ma piuttosto puntare a capi che durino nel tempo. Ho apprezzato molto la lettera di Giorgio Armani in cui suggerisce al Mondo di “iniziare a togliere il superfluo e ridefinire i tempi”. 

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi?

I creativi al giorno d’oggi hanno un’importanza incredibile. Sono quelli che una volta si potevano definire come gli “inventori.”Peccato che ad oggi c’è ben poco rimasto da inventare di nuovo. Si puó sicuramente migliorare il modo con cui comunichiamo e forse la tendenza non sarà più quella di “accorciare” sempre di più le distanze, bensì veicolarle. Trovare il modo per smettere di rendere accessibile tutto a tutti, ma semplificare il processo di condivisione e di ricerca della qualità delle informazioni a chi riesce davvero ad apprezzarla. 

Abbiamo popolato ogni genere di piattaforma con ogni genere di contenuti: personali, culturali, ispirazionali, comici, trash, motivazionali e in molti casi pure tragici come il cyberbullying o il revenge porn. Ora c’è bisogno di fare ordine, i creativi sapranno rendere Semplice ciò che semplice di per sé non è. Un po’ come Piero Angela iniziava di parlare di cultura, Storia e Arte in quel cubo dedicato all’intrattenimento, ma lo faceva in un modo talmente “smart”, termine che ancora non esisteva, da rendere tutto di facile comprensione per tutti.

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19?

Personalmente non sono spaventato, perché so che cercherò di risolvere ogni cosa si prospetti. Non è da confondere con un atteggiamento del tipo: “anche se mi cade il mondo affianco io resto immobile.” Sto educando il mio mindset ad essere pro-attivo, trasmettendo la stessa grinta alle persone che mi seguono attraverso i miei canali. 

Di per sé il nostro quotidiano necessità di nuove abitudini, tornando a quelle pre-pandemia e per certi versi potrà sembrare uno shock uguale o maggiore rispetto a quello di rimanere in casa. Penso che ognuno debba prepararsi già ora mentalmente a 360 gradi. Altrimenti sarebbe come prepararsi lo zaino durante il tragitto verso la scuola. No, lo zaino va preparato il giorno prima, organizzando libri, penne e pennarelli in base alle materie del giorno successivo. 

Ci saranno le stesse misure che stiamo adottando ora per andare in farmacia o a fare la spesa, dovremo soltanto replicarle in ogni aspetto sociale ancora per un po’. Vediamola come una grande lezione di civiltà globale. 

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia?

Ho deciso di non aspettare il “post-epidemia” per capire i cambiamenti del mio lavoro e piangere su tutte le perdite avute in questi due mesi. Da un mese e mezzo sto lavorando ad un progetto digital assieme al mio team che è quasi arrivato alla sua fase di lancio. Ne sono davvero orgoglioso perché ci ho messo anima e cuore e spero rappresenti un piccolo tassello infinitesimale di quella creatività di cui oggi abbiamo bisogno. 

Per quanto riguarda il mio lavoro usuale sicuramente ripartirà a singhiozzo e dovrò quasi continuare ad attingere dai miei risparmi per continuare a pagare spese e investimenti, ma non demordiamo, ogni tempesta troverà luce. 

Riflessioni conclusive? 

Madre Natura ancora una volta ha suonato il suo campanello d’allarme. Se vogliamo continuare a coesistere in questo pianeta dobbiamo invertire la direzione attuale. La pandemia globale è stato il veicolo per fermare un mondo che ha perso la sua rotta alla longevità. Ora è necessario definire una volta per tutte i piani globali ecologici e ambientali: nello smaltimento delle plastiche, nel ruolo del petrolio, nella distruzione di habitat naturali, e l’inquinamento delle acque, per arrivare alle disparità sociali, a quel cibo sprecato da molti e sognato da molti altri, alle guerre ancora in atto, dimostriamo di aver capito a pieno che l’evoluzione Darwiniana, accorgendoci che quella di oggi ha tutte le carte in regola per esser un’involuzione. Sicuramente questo è un periodo di forte introspezione e sta alimentando il nostro livello di empatia. 

Instagram: @andreadalcorso

Marco Scomparin: «Spero che la moda torni a preferire la creatività»

Lo sappiamo, saper emergere nel mondo della moda non è un gioco da ragazzi. Non è qualcosa che viene improvvisato, o semplicemente una sequenza di episodi che si avverano per puro caso.

Difatti, per ottenere il tripudio nel bramato fashion world e gestire la propria immagine (sapendo incrementare la risonanza favorevole di un’audience a tutti gli effetti) occorre fruire un mix di intelligenza, perspicacia, buon tempismo e stile.

Lo sa bene Marco Scomparin che, oltre alle sue migliaia di follower, è diventato un vero e proprio imprenditore, operando sia in ambito digital marketing che delle pubbliche relazioni.

Il giovane ci tiene a distinguersi per la sua coerenza stilistica e per l’impronta dei suoi look originali. Inoltre, racconta la sua esperienza in settore moda come un percorso che mira a “riflettere sul temperamento contrassegnato dalle offerte di supporto e di condivisione, annesso alle competenze ed esperienze che possono essere utili a tutta la comunità.” 

Ma il mantra di Marco recita: “La mia più che una visione è una speranza. Spero che la moda impari da questa situazione, e ritorni a prediligere la creatività ai diktat imposti dal consumismo. Fra niente e troppo esiste tutto un gradiente di possibilità che potrebbe soddisfare tutti, anche perché in termini di aderenza alla verità, troppe informazioni equivalgono di fatto a una sola informazione, quindi tant’è. Occorre dissociarsi dal filone di pensiero global, e va affrontata la creatività con un approccio più specifico, inseguendo i veri valori.” 

Il suo grande cavallo di battaglia si rivela essere: “comunicare e condividere” innegabilmente con buon gusto. 

Il talent possiede una caparbietà fondata su principi che vogliono puntare ad accrescere un vero senso di integrità sociale, specialmente nella sfrenatezza numerica che vige nel settore attinente agli influencer. “È un guaio per la società, che certi principi che si vorrebbero tenere saldi siano invece così malfermi, e mi riferisco proprio all’onestà, alla parola data, al senso dell’onore, valori che anche volendo non torneranno forse mai di moda.”

Mille sono i quesiti da affrontare, ecco perché abbiamo approfittato per parlare a Marco su come vede evolvere la moda e la comunicazione dopo questa particolare situazione.

Di che cosa si occupa la tua professione?

Sono un comunicatore. A volte lo faccio nelle vesti di PR, altre in quelle di Influencer. Comunicare e condividere sono necessità imprescindibili per me. 

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

La mia più che una visione è una speranza. Spero che la moda impari da questa situazione, e ritorni a prediligere la creatività ai diktat imposti dal consumismo. Ormai non c’è più tempo per sviluppare nuove idee, Non si tratta più di SS e FW, per il semplice fatto che c’è una pletora infinita di capsule collection, poi avviene la cruise, la fall, ci sono i co-branding, poi a qualcuno viene in mente di fare la sfilata fuori calendario in capo al mondo e successivamente c’è l’Alta Moda. Non oso immaginare come possa fare un creativo a incrementare idee sempre nuove se la sua creatività è sempre messa a dura prova, a maggior ragione quando le idee sono messe a dura prova con ritmi da catena di montaggio.

Questo meccanismo malato, inevitabilmente, porta tutti i brand a copiare l’un dall’altro, creando i famosi fenomeni di massa.

Umanamente non è possibile avere delle idee brillanti costantemente, e la moda, presa nel vortice di continuo guadagno, ha forse strizzato eccessivamente i propri creativi. Abbiamo davvero bisogno di 4-6-8 collezioni all’anno che sono oggettivamente poco interessanti? Poniamoci questa domanda. Secondo me fra niente e troppo esiste tutto un gradiente di possibilità che potrebbe soddisfare tutti, anche perché in termini di aderenza alla verità, troppe informazioni equivalgono di fatto a una sola informazione, quindi tant’è.

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi?

Un cambiamento molto importante e positivo già lo abbiamo visto. L’obiettivo dei social è sempre stato quello di promuovere in qualche modo la propria attività, questo concetto è però recentemente slittato su una ben più nobile offerta di supporto e di condivisione di competenze ed esperienze che possono essere utili a tutta la comunità.

Da Giorgio Armani, per arrivare a Bulgari e a Versace per citare i big, fino alle piccole aziende che in qualche modo sono riuscite a convertirsi per produrre mascherine, guanti, igienizzanti, etc. Questo è un grande segno di cambiamento, ed è anche un’ottima occasione per creare nuove e più solide connessioni con il pubblico. Il ToV non è più:“Cosa posso fare per te?”, ma è diventato: “Di cosa hai bisogno da me/dalla mia azienda in questo momento difficile?.” 

Non pensavo di vedere tanta solidarietà, e questo è positivo perché essere uniti è la nostra unica vera forza e con i social lo possiamo fare anche meglio.

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accostarsi a un’etica di miglior impatto?

La moda è la seconda industria più inquinante al mondo, quindi per essere più etici bisogna innanzitutto inquinare meno! La moda è noto, ha una sovrapproduzione elevata di prodotto, che spesso troviamo negli outlet alla metà della metà della metà del prezzo di cartellino originale. Abbiamo davvero bisogno di questo? Il surplus smaterializza il valore del prodotto ma anche quello psicologico.

Soprattutto nel lusso, la produzione consapevole (a partire dalle materie prime), la sostenibilità, e il rispetto verso i propri dipendenti dev’essere un ingrediente necessario domani più che mai. 

Inoltre, come si fa per l’educazione sessuale, anche per quanto riguarda la sostenibilità, sarebbe utile andare per le scuole e insegnare alle generazioni di domani il valore di questa scelta di vita che oggi viene considerata un vezzo per vendere un po’ di più o giustificare un prezzo più alto, mentre domani quando i ghiacci si saranno sciolti, e in estate avremo 60 C° all’ombra, forse ci toccherà più da vicino.

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi?

Questa è una domanda che si stanno facendo tutti, dal fast fashion al lusso. Sicuramente un modo è quello di stare più vicino al cliente finale, avvicinarsi a lui con un’experience sempre più unica dall’offerta disponibile.

Quando un cliente si sente speciale ed è felice, tende a voler ripetere l’esperienza per provare nuovamente il senso di appagamento generato. Io penso che mai più di adesso sia necessario massimizzare la cultura e i valori dei singoli clienti. Occorre diversificare il prodotto con un’offerta che si muove sempre più inseguendo le esigenze dei clienti e non andare avanti come un treno secondo il trend del momento.

Quindi occorre dissociarsi dal filone di pensiero “global” ma va affrontata la creatività e quindi la vendita di prodotti con un approccio più specifico, inseguendo le culture locali mercato per mercato.

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19?

L’aspetto peggiore sarà sicuramente quello economico: molte aziende (non solo del settore moda) saranno in crisi e probabilmente non tutte riusciranno a reinventarsi con dinamiche che permettano loro di sopravvivere anche in una dimensione di social distancing. Per quanto mi riguarda invece, è la nuova metodologia del lavoro che mi spaventa: io sono un uomo di pubbliche relazioni, quindi contatto umano e di rapporti fisici, reali; di pranzi fuori e di colazioni incastrate in agenda.

Penso che per quanto viviamo nell’era della velocità, in qualche modo il mio lavoro cambierà: non prenderò più sei voli al mese, non riuscirò più a fare 100 eventi all’anno o comunque saranno eventi di altro tipo: ci sarà un approccio più digitale che però perderà inevitabilmente quel contatto umano che fa della mia professione un elemento indispensabile per ogni azienda.

Potrò ancora stare 15 ore in ufficio? Forse no perché ci dovremmo andare a scaglioni o a turni. Sicuramente non faremo più una fashion week come quella che abbiamo visto a Febbraio 2020 a Milano. Non ci saranno più duemila presentazioni e duemila sfilate, tanto più che non sappiamo nemmeno se ci saranno le sfilate a settembre, e quindi occorreranno nuovi approcci soprattutto per noi che facciamo di lavoro pubbliche relazioni. 

Indubbiamente questo virus è stato in qualche modo un’opportunità per molte aziende di capire se lo smart working funziona per il loro tipo di business. Magari qualcuno avrà pensato, da domani, di applicarlo al 50% dei dipendenti così da abbassare molti consumi perché tanto la gente lavora di casa e comunque rende allo stesso modo.

Il controllo del padrone sul dipendente deve in qualche modo evolvere e voltare pagina su risultati che puntano al raggiungimento degli obiettivi e non tengono conto delle ore lavorate. Ciò che è certo è che il mondo comunque cambierà e sta già cambiando perché la gente non uscirà per i prossimi sei mesi, o non sarà in grado di farlo allo stesso modo. Infine dobbiamo pensare che ci sono degli impedimenti che vanno oltre il nostro piccolo orticello, perché è vero che sono tutti bravi ad approvare la strategia di marketing e PR in videocall con rallegramento collettivo della dirigenza, ma all’interno della moda non lavorano solo il design, le PR e il Marketing.

Non me ne faccio niente della strategia vincente se non ho qualcuno che mi cuce le borse da vendere. Perché alla fine gira sempre tutto intorno al prodotto, non dimentichiamocelo.

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia?

Il destino di un comunicatore è di sapersi innamorare di ogni prodotto e di ogni cliente al fine di saperlo proporre al meglio. Il cambiamento è intrinseco della comunicazione: oggi l’olio di palma è buono e domani non lo è più. Ieri la famiglia tradizionale era rappresentata con la mamma sorridente che infornava il pane aspettando che il marito tornasse a casa dall’ufficio, mentre oggi la mamma è un avvocato di successo e il papà invece va a prendere le bambine a scuola di danza o, ancora, ci sono due papà e nessuna mamma o due mamme e nessun papà. E come si suol dire, de gustibus non disputandum est. Il mio lavoro cambierà come è sempre cambiato nel corso della storia, ma forse lo farà un po’ più velocemente rispetto al solito.

Riflessioni conclusive?

Prima di questa pandemia, in molti casi la noia di vivere aveva raggiunto livelli tali che la gente aveva cominciato a seguire con interesse personaggi improbabili, senza arte né parte, giusto perché avevano bisogno di uno svago e distrazione.

L’intrattenimento in alcuni casi aveva raggiunto livelli così bassi da ridurre inevitabilmente il livello generale di alcune categorie. Molto spesso ho sentito frasi del tipo “gli influencer non hanno più nessun tipo di credibilità” oppure “tutti si comprano i follower, non voglio investire in questo settore falso e plagiato”.

Non dico che questo non accada mai, il mondo non è perfetto, ma ci sono personaggi che spostano movimenti di migliaia di persone, che in pochi giorni raccolgono milioni di euro per ampliare ospedali o che riescono a sensibilizzare una nazione su temi fino a prima lasciati nell’ombra. La credibilità è la base di ogni brand e l’influencer è colui che può dargliela e rendere un prodotto realmente credibile.

Certo la scelta non è facile, la fuffa c’è (ma non si vede), ed è per questo che esistono dei professionisti capaci di consigliare al meglio le aziende al fine di scegliere ambassador veritieri, onesti e che realmente possano avere un impatto sul loro brand. Questa pandemia in un certo qual modo ha determinato una piena affermazione degli influencer o meglio, dei social network e degli influencer, intesi come i canali in cui si sono rifugiate le persone per avere conforto e per impegnare il proprio tempo in queste giornate infinite.

Sembra inoltre, aver determinato la rottura tra gli influencer capaci di influenzare grazie alla bontà dei propri temi, delle proprie opinioni e di riflesso anche dei propri numeri, rispetto ai presunti tali, che negli anni addietro si sono avvalsi di servizi per gonfiare le numeriche ma che, alla fine, si sono di fatto sgonfiati durante la pandemia. Abbiamo visto infatti che, i personaggi che non ha avuto nulla da dire, non sono riusciti a intrattenere il pubblico adesso che è più attento. 

È un guaio per la società, che certi principi che si vorrebbero tenere saldi siano invece così malfermi, e mi riferisco proprio all’onestà, alla parola data, al senso dell’onore, valori che anche volendo non torneranno forse mai di moda perché in fin dei conti non lo sono mai stati a prescindere dal settore in cui si opera, al di là dell’importanza data e delle dichiarazioni di facciata. E tuttavia, che sarebbe un mondo senza principi morali? Temo esattamente questo, quello di sempre.

Instagram: @marcoscomparin

La solidarietà glamour di The Children for Peace

La onlus diretta da Debra Mace e dal pr Massimo Leonardelli The Children for Peace aiuta da sempre i bambini del terzo mondo affinché abbiano un presente migliore e possano vivere un brillante futuro. Essa è attiva in paesi poveri o in via di sviluppo dove il soccorso umanitario rappresenta un’emergenza improrogabile.

Questo innanzitutto grazie a un team di medici e virologi straordinari che mettono a disposizione la loro conoscenza viaggiando insieme ai suoi fondatori in paesi come la Colombia, Uganda, la Siria e via dicendo.

The Children for Peace ha inoltre attivato un programma speciale per la prevenzione e la cura stessa dell’Hiv in questi paesi. Grazie ai suoi fondi sono già stati realizzati ambulatori pediatrici, asili nido e scuole per l’infanzia.

Ambassador della ONG è l’ex top model (nonché presidente della Women Management) Piero Piazzi. Deus ex machina di questa incredibile organizzazione è Massimo Leonardelli. La sua è una storia straordinaria, segnata da una sola e grande vocazione, ovvero quella di mettere al servizio del prossimo le sue conoscenze per dare vita a qualcosa di immenso valore umano che ha trovato nella Onlus la sua perfetta espressione.

Ogni persona che collabora con il pr infatti deve necessariamente fare anche qualcosa per la sua Onlus. Se non avviene questo scambio umano non si intrattiene in nessuna conversazione: the Children for Peace è la sua creatura, e come ogni padre desidera il meglio per la sua creatura.

I nove anni trascorsi in seminario poco più che adolescente hanno gettato i semi di questa sua vocazione nell’aiutare il prossimo. Madre Teresa, Sophia Loren, Anna Wintour: bastano questi tre nomi che hanno segnato il suo percorso umano e professionale per comprendere.

Noi di Man in Town abbiamo scambiato quattro chiacchiere durante il lockdown con Massimo Leonardelli.

Quanto meno abbiamo, più diamo. Sembra assurdo, però questa è la logica dell’amore”.

Mi pareva opportuno iniziare con un pensiero di Madre Teresa, che hai personalmente conosciuto. Un messaggio di speranza in un momento delicato come questo. Come stai personalmente reagendo?

Un proverbio africano dice “Se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a passare la notte con una zanzara“

Reagisco secondo il  proverbio ,perché nel grande  e nel piccolo gesto ognuno di noi può fare qualcosa per aiutare. In famiglia, nella comunità. Certo viviamo un momento strano, difficile e ci sentiamo inermi, però e esattamente in questi momenti che bisogna dare il meglio di se stessi, la forza e il desiderio di reagire deve essere presente in ognuno di noi.

Sono tante le frasi che abbiamo ascoltato in questi giorni , gli aiuti morali che ci vengono dati ,fra le tante  quella che mi ha colpito maggiormente e mi ha dato forza è quella Papa Francesco “siamo tutti sulla stessa barca”,questa ricerca del sostegno l’uno nell’altro 

Le giornate le passo leggendo, vedendo film, lavorando sia per the Children for Peace che per i miei clienti. Ha un senso di colpa a rimanere a casa. E poi trovo che le giornate passano troppo velocemente! 

La Onlus che hai fondato nel 2005 con Debra Mace, the children for Peace, cosa sta affrontando in questo periodo? C’è un modo per aiutarla concretamente?

La situazione in questo momento in Africa diciamo è ancora “stabile“, in Uganda dove siamo presenti in maniera molto attiva la situazione è ad oggi di 55 contagiati, le autorità hanno preso diverse misure di restrizione, perciò tutti a casa, vietate le messe, l’assembramento di persone, nessun mezzo pubblico etc.

Ed è qui il grande problema: la povertà aumenta, non c’è cibo, abituati per la loro realtà a vivere la giornata facendo lavori occasionali, riempire i contenitori d’acqua per guadagnare circa 1 euro al giorno, avendo cosi la possibilità di dare un pasto alle propria famiglie. Penso ai bambini, agli orfani. 

Stiamo cercando di far fronte a questa emergenza grazie all’aiuto dei nostri sostenitori, grazie a Piero Piazzi nostro Ambassador e grande amico stiamo raccogliendo fondi per il centro di GULU. Qui “limitarsi “è un lusso inaccessibile, l’economia prende forma lungo le strade vendendo i  prodotti dell’orto,  questo è il grande incubo, mi spaventa molto!

Tornando alla moda, so che stai lanciando un neonato progetto di charity e moda/arte online. Ci puoi svelare qualcosa in anteprima?

È un progetto che nasce con il desiderio di coinvolgere giovani artisti nelle diverse sfere: cucina, arte, design, fotografia e musica

L’obiettivo di …(il nome sara svelato a breve) è supportare una maggiore alchimia sociale tramite iniziative di beneficenza a livello nazionale ed internazionale.

I beneficiari della nostra organizzazione saranno bambini e ragazzi in difficoltà, legati ad associazioni e non.

I ragazzi che aderiranno eccellono in diversi ambiti, e sono desiderosi di dare una mano tramite la condivisione del proprio tempo e delle proprie esperienze.

Una forte diversificazione in termini di contenuti sarà il motore che darà continuità al progetto durante l’anno e fungerà da linfa vitale nei canali social.

I principi cardine sono l’autodeterminazione, intesa come la possibilità per un ragazzo di immaginare un futuro diverso da quanto consentito dalla sua condizione. 

I modelli della nostra raccolta fondi 2.0 premieranno sia chi riceve sia chi dona, tramite un sistema di reward fisico (vendita di t-shirt, oggetti di design, arte), multimediale (vendita di immagini), ed esponenziale (eventi).

Attraverso la vendita ci sarà anche una vetrina per far si che i giovani artisti si facciamo conoscere.

Questo modello incentiverà sia le donazioni che l’adesione alla nostra iniziativa e nasce dalla consapevolezza della capacità di spesa ridotta del nostro target di donatori, basato su ragazzi che studiano o si trovano alle prese con le prime esperienze lavorative.

Questo team working è composto da giovani ragazzi che sono il nostro futuro e permettimi di ringraziare il mio teamd  di collaboratori nonché gli artisti emergenti che seguo. Mac, Francesca, Federico, Lorenzo e tanti altri che sono sicuro aderiranno a questa iniziativa!

Ti sei fatto un’idea di come la moda, altra tua grande passione ma soprattutto il tuo lavoro, reagirà al covid-19? 

Ha ragione il Signor Armani quando dice “basta agli sprechi. E importante rivalutare l’essenziale rispetto al superfluo” Questa è sempre stata la mia idea, il mio pensiero Credo fermamente nella ripresa della moda e delle sue filiere, sono un ottimista per natura, ci saranno dei cambi certo, molto più tecnologia per quanto riguarda la parte “esteriore” sfilate etc.

Mentre sul mercato ci sarà sicuramente una maggiore attenzione al prodotto, un intimismo più forte … non può non esserci la fisicità del capo e del prodotto, penso agli show room, ai negozi.

Si sono sicuro che ci riprenderemo! Sono molto deluso dal governo da come tratta la moda in questo periodo. Poi abbiamo un sistema moda che trovo perfetto, iniziando dal Presidente CNMI Carlo Capasa che afferma “Sapremo rialzarci“

E poi il mondo dell’editoria, penso a quello che ha fatto e sta facendo la Conde Nast, Simone Marchetti sta facendo un lavoro incredibile con Vanity Fair, cosi come GQ con il direttore Giovanni Audifreddi, e poi la copertina bianca di Vogue, grandissima idea di Emanuele Farneti. E, last but not least, voi di Man in Town che state facendo dei contenuti per intrattenerci in queste giornate un po’ giù di corda.

La moda c’è e continuerà ad esserci, forse ancora più “presente”

Pierpaolo Piccioli, Anna Wintour e Sophia Loren sono soltanto alcuni dei nomi che hanno segnato la tua brillante carriera. Concludiamo con qualcosa di più leggero, un aneddoto legato al loro grande cuore parlando di cosa hanno fatto per aiutare la tua Onlus.

Permettimi di ricordare il momento incredibile della passata edizione del GCFA..Sophia Loren e il Signor Valentino!

Quello è stato un momento unico…

Quando il giorno prima il Signor Valentino e il Signor Giammetti sono venuti al Hotel Château Monfort a Milano per incontrare Sophia Loren sono stato preso da un ‘emozione unica, la commozione di rivederli insieme.. ho pianto dalla gioia e pensavo alla prima volta che vidi la Loren da Valentino.. la stessa identica emozione rivissuta 30 anni dopo! 

Tanti sono i personaggi che da sempre ci aiutano, Pierpaolo Piccioli è un uomo eccezionale, con una sensibilità incredibile, grazie a lui abbiamo aperto una parte dell’ambulatorio a Gulu e tutto questo mettendo a disposizione per le sue sfilate di Alta Moda 2 posti che sono andati all’asta ..

Cosi come Piero Piazzi che ha coinvolto le grandi modelle e modelli , con Giovanni Gastel che ha offerto un ritratto dietro una generosa offerta … poi il libro di Amina Marazzi e di tutti i sostenitori da sempre di Children

In Africa esiste una parola UBUNTU che si significa “ Io sono perché tu sei “ un individuo non è niente senza gli altri esseri umani , include tutti .accoglie le nostre differenze e le valorizza

Ecco perché dovremmo essere tutti UBUNTU.

Intervista al brand strategist Yossi Fisher: il mondo della moda post Covid

Abbiamo intervistato Yossi Fisher, brand consultant e stratega creativo, che anche in questo periodo delicato continua a portare avanti i marchi e a condurre progetti a livello internazionale con clienti e associazioni. Ecco alcune riflessioni inerenti alla fase che sta attraversando il fashion system.

Sei connesso con tanti creativi in tutto il mondo. Quale è il sentimento generale delle persone in questo momento?

Al momento circolano molte emozioni e nessuno nega le incertezze di questi tempi. Ciò che sto notando è che mentre per alcuni questo periodo sta causando grandi problemi alle loro carriere lavorative o ai loro affari, la maggior parte delle persone lo sta usando come un modo per capire realmente cosa li rende felici e cosa vogliono tornare a fare o meno quando tutto questo sarà finito. In fin dei conti, sembra un momento di grande riflessione e le persone lo stanno usando per fare un passo indietro e ridefinire su quali valori sono costruiti i loro affari o le loro carriere lavorative e qual è la loro rilevanza progressiva, come se stessero navigando in una nuova serie di panorami industriali.  

Come pensi che riuscirà il mondo della moda a superare la crisi e a ripensare al suo proprio modello?

Il mondo della moda al momento è obbligato a fare un grande passo indietro e a rivalutarsi nella sua totalità. Ogni cosa, dalle strutture freelance ai contenuti, dalla produzione alla manifattura, dal retail al design passa per il Live streaming, così come le Fashion Week, le dinamiche delle Pubbliche Relazioni e le iniziative digitali… e questa è solo la punta dell’iceberg. Inoltre, essendo un sistema, tutte le componenti della moda influiscono anche sulla sua economia e su come l’industria opera nella sua totalità. 
La moda, per questo, sarà costretta a fare un grande passo indietro per poi poter andare avanti. 
Essendo un’industria collettiva, ognuno di noi ha percepito in un modo o nell’altro il suo momento di “pausa forzata”, ma fino ad ora non c’era ancora stato nulla che avesse veramente portato il cambiamento in tutti i suoi canali, rendendo così questo periodo molto stimolante. 

Se mi chiedessi se c’è troppo romanticismo e non abbastanza praticità in questo periodo, ti risponderei che io credo che questa crisi sarà il catalizzatore per delle pratiche economiche più sane e per degli stimoli per delle iniziative di salute mentale, specialmente tra le comunità creative e freelance. Molte persone che appartengono a questi circoli stanno già ripensando al perché si siano messi per così tanto tempo in giri di incertezze finanziarie e mancanza di stabilità lavorativa. Dato che hanno trovato nuovi interessi e hobbies che li rendono felici durante questa pausa forzata, molti si stanno chiedendo che cosa vorranno fare veramente una volta finito tutto. 
Per quanto riguarda le varie imprese, avranno bisogno di umanizzare ancora di più le loro pratiche e dovranno affrontare molte questioni. Ad esempio, se negoziare valori etici per margini più elevati e vendere più prodotti sia sostenibile a livello emotivo e ambientale e come le loro catene di distribuzione e le loro pratiche verranno analizzate dai consumatori e se saranno considerate dei valori e dei cambiamenti umani. 

Sono consapevole che molti pensano che la sostenibilità sarà una forza trainante, ma anch’essa ha le sue sfide: specialmente per la sua tendenza ad avere dei costi molto elevati nei confronti dei consumatori che condividono i suoi valori, ma non si possono permettere i prezzi dello slow fashion. 

Dato che siamo in un mondo con sempre meno persone impiegate e una situazione finanziaria difficile, molte imprese dovranno riformulare strategicamente le loro perdite se stanno progettando di anticipare la curva e di contribuire a ridefinire il settore. 

Come vedi il futuro del retail (negozi fisici vs negozi digitali)?

Siamo ancora molto lontani da un mondo completamente online, ma senza dubbio ci stiamo evolvendo. Il mondo fisico e quello digitale giocheranno un ruolo molto importante nel futuro del retail, ma entrambi dovranno essere ancora più focalizzati sul consumatore. Gli spazi fisici, probabilmente, dovranno ridimensionarsi, integrare più componenti digitali, tenere meno scorte e trattare i loro spazi come esperienze piuttosto che solo come luoghi in cui comprare. Esperienze di brand dinamiche all’interno del punto vendita, che gravitano molto più attorno alla loro cultura rispetto che ai prodotti e che rappresentano un modo per spronare i consumatori a tornare. 
Le iniziative online e digitali dovranno diventare più personali. Attualmente nello shopping sull’e-commerce manca un po’ di personalizzazione e di suggestioni emozionali coinvolgenti, quindi avere dei brand specialists potrà dare l’opportunità di fare dirette con proiezioni programmate, presentazioni e flussi di raccolta (a tu per tu con i vip o sessioni collettive, dove i consumatori potranno intervenire con domande per comprendere meglio i loro acquisti) che saranno un buon modo per approfondire la comunità, fidarsi e condurre conversazioni D2C. 

Sicuramente assisteremo a più confusione e distorsione del mercato mentre ciascuno troverà il suo orientamento. Il retail fisico dovrà ridimensionarsi per investire più a fondo nei suoi ecosistemi, mentre il mondo digitale dovrà avere maggiori investimenti di prova visto che la profondità delle sue fondamenta e delle sue strutture è ancora in fase di esplorazione. 

Io credo che i brand vincenti dei prossimi 6-18 mesi saranno quelli che promuoveranno un approccio più etico e un modello di business più focalizzato sul cliente. 

Hai iniziato a fare alcune conversazioni in diretta con designer e imprenditori. Cosa hai ricavato da questi dialoghi? 

Mi sono piaciute le dirette Instagram “Talks & Zoom Session” di cui ho fatto parte in questo periodo. Infatti, lì mi è permesso condividere consigli, strategie e approfondimenti con molte comunità e piattaforme (come ad esempio qui su MANINTOWN). 
Tuttavia, più di ogni altra cosa, sto cogliendo queste opportunità per ascoltare meglio le persone con cui mi sono impegnato e le domande che sto ricevendo dal mio seguito collettivo. 

Avere un approccio empatico in queste conversazioni mi ha permesso di prevedere di cosa avrà bisogno il mondo dopo il Covid-19. Una cosa che ho notato è l’approccio umano con cui si sono svolte queste conversazioni in diretta. Siamo tutti vulnerabili durante questo cambiamento globale ed è ovvio essere così interconnessi. Ognuno di noi, infatti, deve ricordarsi che nonostante stiamo attraversando una serie di nuove sfide, lo stiamo facendo insieme. In particolare, i social media e le comunità online ci stanno offrendo supporto in molti modi ed è una cosa parecchio bella da vedere. 

Qual è il tuo consiglio per le imprese e per i brand che vogliono ricominciare? 

Ora come ora l’intelligenza emotiva è molto più importante del quoziente intellettivo. Il futuro delle imprese e dei brand, infatti, non saranno i prodotti o i servizi, ma sarà l’empatia. Avere empatia d’ora in avanti sarà fondamentale e soprattutto sarà lo strumento più importante a nostra disposizione. Le persone e le imprese che stanno per uscire dallo scenario sono quelli che non si sono solo focalizzati sui loro problemi, ma coloro che hanno cercato di risolvere anche quelli degli altri. 

Per una boutique, ad esempio, una buona idea potrebbe essere quella di creare un’iniziativa o una campagna per le persone che si sono trovate recentemente ad essere disoccupate, offrendogli un outfit completo e una consulenza per il CV (magari offerta da un professionista esternalizzato). In questo modo quando le imprese riapriranno e cominceranno ad assumere ancora, queste persone saranno pronte e ben equipaggiate per accaparrarsi il mercato e migliorare le loro vite di nuovo.

Per le aziende CBD, invece, forse è il caso di integrare nella loro cultura una sessione di meditazione, dei video-esercizi, dei consigli giornalieri e una dieta sana per promuovere un corpo sano. È importante, infatti, cercare dei modi per aiutare gli altri nella loro salute mentale, proporre iniziative gratis di auto miglioramento e fornire delle risorse per nutrire e supportare gli spazi mentali delle persone. 
Tutte queste idee dimostrano che a tutte le imprese realmente importa dei consumatori ed è ciò di cui le persone hanno bisogno, più di ogni altra cosa. 

Anche innovare le iniziative di apprezzamento dei consumatori attraverso canali digitali e fisici sarà una componente fondamentale per avere un grande successo nel tempo, così come approfondire l’apprezzamento della comunità e rafforzare le relazioni con i clienti. Per offrire una strategia di partenza, inoltre, le imprese dovrebbero porsi delle domande come: che cosa interessa ai consumatori? Che cosa migliorerebbe le loro vite? Come potremmo fargli capire che i loro valori si allineano ai nostri? Come potremmo farlo in un modo che non sia la vendita diretta? Come potremmo umanizzare il nostro approccio?

Questi sono dei consigli di salute e delle azioni empatiche che non servono solo a farci riacquistare fiducia nei brand, ma ancora più importante, servono a farci riavere fede nell’umanità. 

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Gabriele Esposito: «iniziare a capire la vera essenza della vita»

Figlio Italiano, adottato dall’arte, innamorato della danza: Gabriele Esposito, classe 1997, si racconta in un flusso di idee continuo, con tanto di spirito lungimirante. “La moda ha sempre avuto la grande forza di essere d’impatto, e forse la gente dopo tutto questo avrà bisogno di leggerezza e trasparenza.” 

Un po’ come Penelope nell’Iliade Troiana, il sogno gli reca conforto, echeggiando passioni che mirano al di là dell’ideale fashion, ma che puntano a superare la contingenza dell’ordinario. 

Stigmi, critiche e schemi: Gabriele li varca. Anzi, data l’attuale contaminazione che sta sfasando il mondo, ci narra i giudizi e pareri sul futuro del settore creativo a ridosso della sue due più grandi passioni: la danza e la moda. 

Passioni che si respirano sui suoi profili social, con l’intento di illustrare intrecci tutti da scoprire.

Di che cosa si occupa la tua professione? 

Io sono un ballerino. In più, da un anno a questa parte, ho iniziato a lavorare nel mondo della moda, come digital talent. 

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia? 

Penso che in generale per tutti i settori sarà difficile rialzarsi, proprio perché questa epidemia ha portato allo sgretolamento di molti settori, e soprattutto quando si parla dell’ambito artistico, è sempre e purtroppo messo in secondo piano, anche se forse siamo quelli che costantemente cercano di mutare, e soprattutto la moda con il passare degli anni ha avuto una metamorfosi in base al momento storico, politico e sociale. Io voglio essere positivo. 

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi? 

Cambieranno molte cose secondo me, la gente ha bisogno di realtà, mescolata a quel pizzico di magia e immaginazione, quella che penso tutti noi in questo momento vogliamo, chi non sogna, di riuscire ed avere quanto meno una vita simile a quella che conduceva prima, l’essere umano ha bisogno avere la propria routine, immagina se da un giorno all’altro questa non si possa più condurre, saremmo tutti spiazzati ed è quello che è successo ora. Quindi cambierà secondo me anche il modo di comunicare. 

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di miglior impatto? 

Diciamo che secondo me la moda ha sempre avuto la grande forza di essere d’impatto, forse la gente dopo tutto questo avrà bisogno di leggerezza e trasparenza, sicuramente non sarà semplice, ma questo settore ha sempre avuto un capacità di comunicazione eccezionale, anche grazie alle fantastiche persone che ci lavorano, certo dovranno reinventarsi nuovamente, ma un artista non vede l’ora di “fare la muta.” 

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi? 

Dalla parte creativa, secondo me, c’è a chi questa situazione può aiuterà tanto, è vero che per creare si ha sempre bisogno di stimoli, ricerca, viaggi, persone, però tutta questa situazione può aiutare a capire realmente quali sono le nostre capacità, senza flussi esterni. Quindi questo grande uragano potrà portare alla realizzazione di materiale veramente fantastico. 

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19? 

Non cosa mi spaventa di più, è una situazione così strana e che secondo me farà cambiare tanto le nostre abitudini, soprattutto all’inizio, quindi non saprei. La cosa che varierà sarà l’approccio con le persone, tutti avremo un cambiamento drastico, anche quello che prima era un semplice abbraccio avrà un valore diverso da quello di prima, quindi non è tanto la paura, ma sarà quasi strano quello che per noi prima era la normalità. 

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia? 

Il mio lavoro cambierà sicuramente, anche se sono sempre pro ai cambiamenti, non so cosa mi aspetta perché secondo me, finché non si potrà ritornare ad una vita quasi normale, nessuno saprà. 

Riflessioni conclusive? 

La conclusione è che adesso abbiamo tutti tanto tempo da investire su noi stessi e che invece di buttarci giù, possiamo spendere per sperimentare e studiarci. Non è facile, lo so, chi di noi non ha avuto un momento di down in questa quarantena, ci sta e forse ci fa anche bene, rigenerare tanta energia che magari spendevamo in cose inutili, così da canalizzare ora, nelle cose essenziali, in tutto quello che ci piace. 

Abbiamo la fortuna di poterci chiudere tutti nel nostro fantastico mondo, magari scoprirne di più, e iniziare a capire che bisogna essere un po più leggeri nella vita e non crearci degli enormi castelli. 

Instagram: @gabesposito

Photo courtesy of Alessia Tamburro (@alessiatamburro)

Manuel Otgianu: “Il mondo della moda è in prima linea in questa “guerra” contro il Covid-19”

Il passato non si dimentica mai. Ne basta solo un piccolo accenno per rammentar ricordi, e trasportare la mente allo stato del presente. Ed è proprio questo su cui riflette Manuel Otgianu, il talent digitale che ricalca l’utilizzo dei social come vincolo di supporto che, nonostante la crisi dovuta alla pandemia attuale, sono in grado di portare un pizzico di leggerezza nei momenti di calamità.

Come lui, l’onda dei paladini digitali lo fanno sembrare facile, ma la vera difficoltà sta nel trasmettere un messaggio di positività capace di infondere moralità.  

Di che cosa si occupa la tua professione?

Comunico attraverso i canali social le mie passioni, confrontandomi quotidianamente con le persone che mi seguono. I contenuti che realizzo parlano di moda lifestyle e viaggi.

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

Sono e saremo tutti pronti ad adeguarci alle esigenze che si presenteranno una volta tornati alla normalità. E non vedo l’ora che accada!

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilitàeconomica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi?

Ancora una volta l’utilizzo dei social si è dimostrato di grande aiuto. Sono state avviate campagne di raccolta fondi, veicolati messaggi importanti e aiutate molte persone a sentirsi meno sole in una situazione di emergenza come questa. Qualcosa probabilmente è già cambiato.

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di miglior impatto?

Per adesso mi concentrerei sulla situazione attuale, il mondo della moda è presente in prima linea in questa “guerra” contro il Covid-19. Oltre alle importanti donazioni in termini economici, i più grandi gruppi hanno convertito i propri stabilimenti produttivi italiani nella produzione di camici monouso, mascherine e gel disinfettanti. E tutto questo è davvero meraviglioso!

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi?

Credo che in questo momento tutti i creativi si stiano impegnando a realizzare contenuti più interattivi per aiutare le persone ad avere qualche momento di leggerezza durante queste particolari giornate. Quindi il tutto è meno patinato e più reale, più leggero e sicuramente più divertente!

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19?

Non vedo paure legate al termine di quest’epoca, ma solo sollievo. Ciò che mi ha spaventato è realizzare quanto siamo fragili.

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia?

Cambierà proporzionalmente a come usciremo da questa epidemia. Probabilmente in un primo periodo le esigenze saranno diverse, ma tutti non vediamo l’ora di tornare alla normalità.

Riflessioni conclusive?

#stayhome, e usciremo presto!

instagram: @ulmn

Francesco Cristiano, la creatività come un divenire di idee inaspettate

Il mondo di cui parla Francesco Cristiano è quello della moda e del suo futuro, e,  più accuratamente, quello dell’introspezione. La sua è una visione che predilige la creatività nel vero senso dell’essere.

Si racconta demarcando l’autenticità e la naturalezza trattando tematiche che vogliono accingersi al cambiamento. Richiama un’indole di creatività come strumento esponenziale, che inciti rinnovamento spirituale per suscitare uno sguardo critico sulla vita.

D’altro canto, vivendo in un mondo ricco di imperfezioni, abbiamo sempre bisogno di inseguire cambiamenti, purché superino la mediocrità. 

Di che cosa si occupa la tua professione?

La mia professione da Visual Merchandiser si occupa di realizzare non solo l’aspetto estetico delle vetrine, ma anche di tutto il punto vendita. Per farlo, oltre alla grande passione e creatività, serve tanta ricerca e immaginazione.

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

La creatività è sempre stata e sempre sarà un divenire di idee inaspettate, una pagina bianca da colorare. Questo periodo buio sarà sicuramente di ispirazione. Di una cosa sono certo, l’e-commerce è il futuro.

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi?

Vivere oggi senza più like, condivisioni e stories, forse sarebbe meglio. Le piattaforme social continueranno a stupirci sempre di più, coinvolgeranno in maniera esponenziale sempre più persone. Le aziende non vorranno più un tuo Curriculum ma semplicemente sapere il tuo user Instagram.

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di miglior impatto?

Una moda più eco-sostenibile per salvaguardare l’intero pianeta, riducendo sempre di più l’impatto ambientale e magari un ritorno alla vera produzione Made in Italy.

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi?

Verso una creatività pura e dinamica. Non é semplice, bisognerà a mio parere seguire l’intuizione per avere il coraggio di raggiungere obiettivi che possano però nello stesso tempo essere affini con ciò che accade intorno a noi: una creatività che sia rinnovamento spirituale e di ispirazione per uno sguardo critico sulle vite.

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19?

Il ritorno alla vita frenetica.

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia?

Nulla cambierà del mio lavoro dopo l’emergenza, torneremo a vivere ma ci sarà molta più consapevolezza in ogni gesto che faremo, cambieremo le nostre abitudini tornando a dare più valore ai sentimenti.

Riflessioni conclusive?

Magari dopo questa esperienza torneremo ad apprezzare i piccoli gesti e avremo più rispetto reciproco anche per chi ha idee o visioni differenti dalle nostre. Sicuramente la moda ci aiuterà a vivere il futuro con leggerezza, quello di cui abbiamo più bisogno.

Instagram: @francesco_cristiano

Andrea Zelletta: «La cosa che mi spaventa di più del contesto sociale attuale è l’incertezza che ci separa dalla normalità»

Tratti armoniosi, fisico scolpito e sguardo limpido: Andrea Zelletta con il suo look da star-sensation ha all’attivo una carriera da modello, influencer con 500 mila followers e per di più fa il Dj a tutto campo. I suoi punti di forza? Affascinante, certo, ma anche competente e appassionato.

Parla di responsabilità collettive, di cambiamenti doverosi e si narra attraverso i canali social con empatia ed entusiasmo. Nel vestire, porta un mix nonchalantche sposa tradizione e contemporaneità.

Un’icona digitale moderna che fin dagli esordi apprende la moda “come arte, lo stilista come un grande artista e l’espressività come l’atto finale”, siamo riusciti ad indurlo a trattare temi che spaziano dalle ripercussioni in campo digitale post-epidemia al futuro del settore moda. 

Di cosa si occupa la tua professione? 

Faccio il modello e Dj. Lavoro nella moda da diversi anni è un mondo che mi è capitato ma che mi è subito piaciuto. Fare il modello significa mettere a disposizione il proprio corpo, le proprie forme a ridosso dei grandi marchi, dei capi d’abbigliamento in sfilate e servizi fotografici. Questo il significato comune io, invece, lo intendo in modo più profondo. La moda per me è arte, lo stilista un grande artista e la loro grande espressione è l’atto finale: la sfilata, il servizio fotografico. Da qui prendo il significato del mio lavoro che per me è essere parte della loro espressione. Ad accompagnarmi in ogni occasione è la consapevolezza di essere importante per l’atto finale del lavoro di un artista e per la sua riuscita. Questo mi stimola sempre a dare il massimo un mondo che mi sono andato a cercare è quello della musica, da sempre una mia passione. Infatti da più di un anno impiego le mie giornate a fare il Deejay, mixando, selezionando dischi per preparare le serate previste da calendario della mia agenzia. Ho vissuto il periodo che ha preceduto questa emergenza globale, il weekend nei clubs dove era prevista la mia performance, durante la settimana, a far musica e a studiare progetti per il tour estivo. L’attuale situazione non mi consente di far pronostici su quando potrò tornare in consolle nei locali e su quando si potrà tornare a ballare e a vedere i clubs pieni. La priorità in questo momento è che la vita di tutti sia tutelata. Aspettare per me non è un problema, perché sono convinto che quando tornerà tutto alla normalità, entrare nei locali, calpestare il palco della console, fare il mio dj set e vedere le folle ballare sarà ancora più bello. 

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

Sicuramente il mondo della moda, il mondo creativo, non essendo settori di sussistenza, sentiranno la crisi più di altri. Leggevo qualche giorno fa che secondo una recente indagine le vendite del comparto caleranno del 30 %. Beh, di fronte a un dato del genere è difficile essere ottimisti. Sicuramente sarà determinante per la ripresa, l’evoluzione dell’emergenza di un’economia molto importante per il settore, quella degli Stati Uniti che ad oggi non lascia ben sperare. Io credo in generale che il segmento luxury avrà una ripresa più veloce mentre tutto quello che non lo è, avrà una ripresa più lenta. La gente andrà mediamente alla ricerca di abiti più duraturi e eviterà di mettere le mani al portafoglio spesso come faceva prima. Sono fiducioso di una cosa, che l’aumento degli investimenti nel digitale potranno velocizzare la ripresa. Nella moda è ormai risaputo che sia fondamentale, sia come marketplace visto che l’e-commerce era un canale di vendita in crescita già prima del Covid-19, sia come canale di promozione visto che buona parte degli investimenti pubblicitari dei grandi marchi si concentrano su Social e Influencers. 

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi? 

Il Covid-19 ci ha costretto alla distanza forzata e la gente si è rifugiata in quello di cui disponeva. I Social ma più precisamente tutte quelle App di video conferenza. Al momento è questo lo scenario che si va sempre più a definire. Quando si tornerà alla normalità, buona parte di questa tendenza è destinata a rimanere, la restante tornerà alle vecchie abitudini, quindi all’utilizzo classico dei Social. Sicuramente questa situazione ha inciso in tutti i mondi. Penso a quello food in cui il delivery fino a qualche tempo fa era una moda diffusa nei grandi centri, ora è diventato un servizio indispensabile anche in quelli piccoli. Queste sono le cose a cui mi vien subito da pensare perché tra le cose più vicine a me ma si potrebbe impiegare molto altro tempo a raccontare come questa emergenza in poche settimane ha rivoluzionato le abitudini mie e di tutta la gente. 

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di migliore impatto? 

Sembra che la moda in questo momento abbia capito che non sia il momento di vendere, ma sia il momento di far del bene. Tutti i grandi stilisti donano risorse economiche e producono mascherine o camici. In questo momento è questa l’etica vincente, di migliore impatto, di una moda che manifesta estrema vicinanza alla gente. Tutto questo sono sicuro che aiuterà i grandi marchi a ripartire. Mi viene da pensare a Armani, a cui sono particolarmente legato, che ha annullato la sua sfilata durante la fashion week quando si iniziava solo a parlare dei primi contagi, che ha messo in campo ingenti risorse economiche e ha trasformato in poche settimane fabbriche di capi di alta moda in fabbriche per camici monouso da donare al sistema sanitario italiano. Se dovessi pensare invece all’etica nella moda domani, vedo temi della sostenibilità e della trasparenza della filiera sicuramente tra quelli che si faranno spazio nel settore. 

A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi? 

In questi tempi il settore creativo punta a creare nella gente la consapevolezza che è un mondo che per riuscire deve fare del bene. E va sempre più verso quella direzione. Non si acquisterà un prodotto ma si acquisteranno dei valori. E’ un mondo che senza valori non può stare in piedi; è un mondo che ora più che mai sta cercando di guadagnarsi la stima della gente perché scegliere un capo piuttosto che un altro significherà sceglierlo sì per il brand ma anche per i valori che questo ha espresso. 

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19? 

La cosa che mi spaventa è l’incertezza che ci separa dalla normalità. Questa situazione è per tutti nuova e non si sanno le cose come andranno esattamente. Non esiste nessuno, neanche gli esperti, in grado di dirci come si evolverà l’emergenza e quindi nessuno in grado di capire quando effettivamente ognuno di noi potrà tornare alla vita di qualche settimana fa. Purtroppo è un timore con cui ho imparato a convivere. Provo a non pensarci condividendo il mio tempo con Natalia, la persona che amo e impiegandolo facendo quello che mi piace di più: musica, tanta musica e forma fisica. 

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia? 

Il graduale ritorno alla normalità non permetterà subito di vedere i soliti eventi e le solite sfilate. I DJ si esibiranno dalle proprie case in diretta streaming sui social e si accontenteranno di performance in locali più piccoli. Le sfilate saranno fatte senza assembramenti sugli spalti e tutti si accontenteranno di leggere i media, e di vedere i video delle stesse su Youtube. Quando non ci saranno restrizioni, parte dell’importanza che sta acquisendo l’online rimarrà invariata mentre per il resto, torneranno ad avere importanza gli eventi e le sfilate offline che permetteranno di rivivere le emozioni che solo loro sanno regalare. 

Riflessioni conclusive? 

Intanto vi ringrazio per l’intervista. È stato un modo per pensare e toccare degli argomenti a me cari. Colgo l’occasione per dire di essere fiero di esser capitato nel mondo della moda perché sta dimostrando al mondo intero, nel momento più difficile, di far del bene e che l’arte della moda è anche questa. E poi per raccontarvi che la mia passione per la musica è diventato il mio lavoro che sicuramente tornerò a fare con più motivazione di prima. Non mi resta che mandare un saluto dando a tutti appuntamento, quando la salute di tutti sarà messa al sicuro, nei clubs d’Italia dove metterò musica e potrò vedervi di nuovo ballare. Non so quando tutto questo potrà accadere ma dipende da noi. Per far sì che questo accada il prima possibile, ora l’imperativo è: rimanere a casa! 

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Simone Pollastri: «Date importanza al tempo, lavorate su voi stessi, e non fermatevi mai»

Solare, determinato e indubbiamente ingegnoso: Simone Pollastri, classe 1998, è più di ciò che sembra. Con il suo mix di stile e predisposizione in ambito digitale, oltre a costruire il proprio percorso da solo, oggi conquista i propri fan attestando che ci si può dedicare a molteplici passioni allo stesso tempo.

Siamo riusciti ad avere un po’ del suo prezioso tempo per riflettere sull’evoluzione in campo mediatico, futuro della moda e i cambiamenti che influiranno sulle esperienze nel settore creativo post-epidemia. 

Di che cosa si occupa la tua professione?

La mia professione si occupa di comunicazione, advertising e mondo del fashion. Nello specifico io sono un videomaker/director che opera nel campo della moda. Mi occupo di fashion film, campagne di advertising per vari brand come Moonboot, Superga, Dolce & Gabbana, Guess, Sara Giunti, Ermanno Scervino, LIUJO e tanti altri con i quali ho collaborato nel corso degli anni. Ho 21 anni, vivo a milano e come spiega la mia bio di instagram “both sides of the camera” di lavoro mi occupo anche di altro, lavorando come influencer e modello con l’agenzia Wannabe Management che mi rappresenta. Grazie ad essa, ho portato a termine progetti molto belli come campagne per Vans, Ellesse e tanti altri progetti digital che mi vedono in veste di talent per l’appunto. Una sorta di doppia personalità: davanti e dietro la telecamera. 

Come vedi il futuro del mondo della moda e dell’ambito creativo post-epidemia?

Mi ritengo fortunato perché per il tipo di lavoro che faccio come talent posso lavorare ovunque da casa o in giro per il mondo. Cosa diversa invece per quanto riguarda lato video in cui i progetti richiedono la mia presenza sul set etc. Sicuramente questo scenario che stiamo affrontando in questo periodo porterà a cambiamenti nel settore della moda, nuove tipologie di lavoro che prenderanno sempre più piede vedi lo smart working, nuovi canali di comunicazioni nuove piattaforme, una tipologia diversa nell’approccio a progetti di vario genere. Bisogna prendere questo periodo storico e farne tesoro per il futuro, imparare da quello che sta succedendo adesso per migliorarsi e migliorare tutti insieme una volta ripartiti. Spero fortemente che quello che stiamo vivendo in questo periodo serva soprattutto a far capire l’importanza di portare contenuti autentici in grado di sensibilizzare le grandi masse che seguono i talent su tematiche di vita concreta reale di tutti i giorni, non del “sogno Instagram” passatemi il termine che si cerca di far credere. Alla gente serve autenticità. 

Con l’avvento dei social, in particolar modo nel corso di questo periodo di instabilità economica e sociale, a tuo parere quale sarà lo scenario che cambierà maggiormente da ora in poi?

Una cosa che mi ha fatto riflettere molto in questo periodo è che nonostante io con i social ci lavori, prima che questa epidemia scoppiasse il social era visto come lo strumento che divideva le masse, la gente, l’opinione pubblica andava a togliere importanza alla relazione pubblica. Mentre adesso che ci troviamo chiusi in casa costretti a dare un nuovo valore al tempo, viene dato un nuovo valore anche ai social che sono visti invece come strumento di unione per informare e unire un popolo intero. Sicuramente il mio settore, così come tanti altri, sta subendo e subirà una forte battuta d’arresto dovuta a questa situazione e probabilmente lo scenario sarà quello di un settore che si ripartirà ma basandosi in gran parte il mondo della moda su eventi, relazioni pubbliche, sfilate, progetti, experience etc avrà bisogno di un pò di tempo prima che questa grande macchina torni a funzionare a pieno regime.

Quali sono le mosse che secondo te il sistema moda deve attuare per accingersi a un’etica di miglior impatto?

Cercare di diventare l’intero settore moda più SOSTENIBILE possibile. Come? Riducendo gli impatti ambientali per l’intero settore sulla produzione, utilizzando materiali riciclabili ed eco-sostenibile e cercando di ridurre al minimo i consumi. Ci sono già molte grandi azienda che hanno abbracciato questa policy per esempio Diesel con la quale ho avuto modo di collaborare ha lanciato la sua collezione Diesel-Up cycling for fatta di materiali riciclati da altri capi e messi insieme per formare un capo iconico. Ma adesso devo dire in generale che il settore moda essendo avanguardista è molto propenso a politiche di questo gente favorevoli all sostenibilità e come Diesel ci sono tante altra realtà. 

 A tuo parere, verso che rotta si sta orientando il settore creativo? E cosa punta a raggiungere in questi tempi?

Di questi tempi secondo me la creatività rimane sempre un arma a nostro favore, a cui far fronte se affiancate ad una buona iniziativa per lanciare un messaggio che possa aiutare o essere di conforto o di informazione alle persone. Quindi credo che i talent in un momento come questo debbano sentirsi stimolati e in dovere di mettere a disposizione la loro creatività, unire le forze per cercare di trasmettere un qualcosa di reale, che sia un messaggio positivo o di informazione di qualsiasi tipo farlo arrivare a più gente possibile. Ad esempio, sto partecipando in questi giorni ad una bellissima iniziativa proposta da Lacoste che ha deciso di affidare la gestione della sua pagina social alla creatività dei talent al fronte di creare una community di persone con scambi di idee  e opinioni di ogni tipo. Si disegna l’iconico coccodrillo di Lacoste sotto una nostra nuova interpretazione e lo si condivide sui nostri canali social creando un vero e proprio engagement e si mette a disposizione la nostra creatività per il brand. Un gesto semplice ma che può portare anche solo un sorriso o un po di felicità per tutte quelle persone che vogliono abbracciare l’iniziativa. 

Cosa ti spaventa di più appena cesserà l’epoca Covid-19?

Non è il cosa mi spaventa di più, perché come già dicevo prima sono convinto e ho già messo in contento che il nostro settore ripartirà, seppure con calma e con i suoi tempi, ma ripartirà e torneremo con il tempo a pieno regime. Ma il discorso è proprio questo, ovvero che non sappiamo di quanto tempo in realtà stiamo parlando di quando si ripartirà di quando si potrà tornare alla normalità e questo mi spaventa molto. Non è il cosa mi spaventa di più, perché come già dicevo prima sono convinto e ho già messo in contento che il nostro settore ripartirà, seppure con calma e con i suoi tempi, ma ripartirà e torneremo con il tempo a pieno regime. Ma il discorso è proprio questo, ovvero che non sappiamo di quanto tempo in realtà stiamo parlando di quando si ripartirà di quando si potrà tornare alla normalità e questo mi spaventa molto. 

Come cambierà il tuo lavoro dopo l’epidemia?

Non credo cambierà radicalmente perché come dicevo prima faccio un tipo di lavoro che mi consente di lavorare circa ovunque da casa dalla palestra in viaggio. Di certo all’inizio saranno ridotti gli eventi di moda ci sarà meno possibilità di relazionarsi con persone del settore per poi ripartire piano piano. Per il resto credo che cambieranno le tipologie di progetti per lo meno all’inizio viaggi per lavoro e progetti simili saranno in stand-by e inizierà a prendere piede a livello lavorativo anche Tik Tok che ormai è una realtà assodata già da tempo. 

Riflessioni conclusive?

Spero che questo tempo possa servire ad ognuno di noi per riprogrammarsi, rimettere ordine nella propria vita e soprattutto dare un nuovo valore al tempo e non sprecarlo mai. Inoltre credo che questo momento ci debba insegnare l’importanza delle piccole cose, in un momento così difficile per tutti il sapere di non essere soli, ma di avere i familiari, un abbraccio un sorriso sono tutti piccolo destri che nella vita di tutti i giorni non ce ne rendiamo conto ma adesso iniziamo ad assumere un significato speciale. Date importanza al tempo, lavorate su voi stessi, organizzate i vostri progetti futuri, ma non rimanete fermi. Mai.

Instagram: @simpll8

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“Battere il virus con la creatività” 8 domande a Mauro Porcini

Mauro Porcini arriva in PepsiCo nel 2012 come primo Chief Design Officer di sempre. Di origini italiane, vive a New York e oggi condivide con noi la sua esperienza durante l’epidemia di Covid 19.
Mauro è un esperto di design e di global branding, sostenitore del Made in Italy e dello stile italiano. Durante questa pandemia globale gli abbiamo chiesto qual è suo punto di vista, la sua esperienza e un messaggio per aziende e privati.

1.Una fonte d’ispirazione o un riferimento?

Probabilmente per molti posso sembrare abbastanza ovvio, ma prima di tutto i miei genitori. Mi hanno insegnato l’importanza della cultura, della conoscenza e dell’apprendere con curiosità. L’arricchimento culturale dello studio, l’interessamento e la lettura sono i valori più importanti che la mia famiglia mi ha trasmesso. La mia famiglia ha da sempre amato le persone di cultura: insegnanti universitari e personalità televisive che in qualche modo contribuiscono a dare rilevanza ad alcuni aspetti culturali della nostra vita.

Un valore molto importante che mi hanno insegnato è la necessità di essere una brava persona. I miei sono devoti cattolici, molto cristiani, molto religiosi. Mio padre è architetto e pittore, da giovane ero circondato da dipinti nella mia casa. Ciò è stata una grande fonte di ispirazione per me dal punto di vista artistico e, da bambino, ho potuto disegnare molto. E’ stato davvero divertente per me disegnare con lui e imparare tutti i tipi di tecniche. Mia madre invece era innamorata della letteratura, della scrittura e della lettura e adora scrivere poesie con contenuti religiosi.

I miei genitori sono totalmente non tecnologici, ma hanno capito come creare un blog. Pubblicano diversi libri, dipinti, schizzi di poesie. Sono stati d’ispirazione per tutta la mia vita.

 2. La tua definizione personale di design…e come lo hai applicato nelle tue esperienze professionali? 

Il design è completamente incentrato sulle persone. Si tratta di capirne i bisogni e i desideri. Pertanto, comprendere quello che è importante, ciò che è rilevante, ciò che è significativo per le persone e quindi creare soluzioni. Potrebbe essere un prodotto, un servizio, un marchio, un’esperienza: tutte le soluzioni che risolvono quei bisogni e quei desideri e sogni. Questo è ciò che fanno i designer.

Per fare questo, dobbiamo comprendere tre dimensioni. Una è il mondo degli esseri umani, psicologia e antropologia. Semiotica e semantica, quindi comprensione delle persone. La seconda dimensione è il business: come fare branding, distribuzione, come lavorare con i clienti: è importante perché una volta comprese le esigenze dei clienti, devi anche trovare un modo per creare soluzioni che possano essere vendute. La terza dimensione è la tecnologia: quella del prodotto, per fabbricarlo. Il prodotto deve essere realizzabile, vendibile e devi avere le tecnologie giuste per fare tutto questo.
La connessione tra persone, strategie e la tecnologia è la chiave per poter essere un buon designer.

3. Come vivi a New York e come influenza il tuo lavoro? Quali sono gli altri luoghi che ti ispirano o ti rilassano?

Amo profondamente NY, la definisco la capitale delle capitali. Persone da tutto il mondo vengono a New York per fare affari, creare e ispirare. C’è una densità di persone incredibili con grandi idee e un’irresistibile spinta a cambiare il mondo che non puoi trovare in nessun’altra città. Questo la rende una straordinaria “piazza” dove le persone con idee incontrano persone con risorse per renderle possibili.

Avere questa densità di persone con idee, unità ed energia sorprendenti per far accadere le cose è molto stimolante, ma allo stesso tempo potrebbe essere faticoso. Hai sempre il desiderio di essere fuori, unirti e incontrare queste persone che possono ispirarti.

Per compensare questo, ho una casa dove posso fuggire nella natura a 2 ore di distanza dalla città, negli Hamptons. Adoro svegliarmi e vedere cervi nel giardino e sentire il suono del camino scoppiettante. Nella mia vita sono sempre stato in una sorta di sospensione tra due mondi: da un lato una piena energia della città e dall’altra tutta l’energia della natura, li amo entrambe e un equilibrio dei due è ciò con cui mi sento a mio agio.

4. Come stai affrontando la situazione del coronavirus e quali stereotipi o preconcetti vorresti combattere?

(Mauro fa un respiro profondo e sospira, so che si sta preparando per esprimere la sua opinione onesta con molta empatia. Se segui Mauro sul suo account IG, sai già che i suoi post sono spesso pieni di messaggi di coinvolgimento sociale e sensibilità umana. L’impatto del problema del coronavirus, la carenza sanitaria di personale e attrezzature, l’impatto che questa pandemia ha sul nostro paese e sugli altri, è un tema che ha profondamente a cuore).

La situazione del virus Corona è strabiliante in tanti modi diversi. Nessuno se lo aspettava. Nessuno capisce come affrontarlo: è spaventoso e difficile da capire. Il problema è che molte persone stanno sottovalutando l’entità di questa crisi. Come italiano che vive a New York, il mio messaggio è “Sveglia! Questo non è solo qualcosa che sta accadendo in Italia”.

L’Italia ha il secondo sistema sanitario con le migliori prestazioni al mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Gli Stati Uniti sono molto indietro: ci sono molti meno letti d’ospedale. I miei pensieri e le mie preghiere vanno a tutte le famiglie e tutti gli individui che sono stati e ne saranno colpiti. Dobbiamo assicurarci di essere al sicuro come individui, famiglie e se abbiamo un team o delle aziende è necessario dare la priorità alla sicurezza di queste persone. Dobbiamo anche trovare modi per mantenere le esigenze aziendali di base, in particolare in settori specifici: sistema sanitario, alimenti e bevande, produzione e consegna, produzione di qualsiasi attrezzatura di sicurezza, nonché informazioni e intrattenimento.

La soluzione è stare a casa. Molti di noi dovranno essere in prima linea nella lotta contro questo virus. Alcuni di noi potrebbero essere in grado di lavorare da remoto, mentre molti altri no.

Nel mio caso sto leggendo più libri che stavo pianificando di leggere e per i quali non ho mai avuto tempo, ho ricominciato a disegnare. Sto anche scrivendo il mio libro. In realtà, scrivo questo libro da anni. Ma ora sono completamente dedicato a questo.

Il mio obiettivo è crescere e diventare migliore come professionista e anche come essere umano. Quindi è così che reagisco a questo virus e come lo sto combattendo.

5. Il tuo messaggio di solidarietà ed energia per superare questo momento

Il mio messaggio di solidarietà è: battere il virus con la creatività. Come ho già detto, stiamo vivendo una tragedia con un bilancio di vittime molto pesante, ma abbiamo anche l’opportunità unica di riavere indietro il tempo nella nostra vita per rallentare, investire su noi stessi e crescere come esseri umani imparando nuove cose. Leggi il più possibile. In breve, fai qualcosa che avresti sempre voluto fare, ma non hai mai avuto il tempo di fare.

Questo è il modo in cui batteremo questo virus a livello emotivo. Ovviamente, dobbiamo ancora combattere ovviamente questo virus in un modo più pratico e contenerlo.

Usiamo la creatività per migliorare noi stessi, per crescere e infine condividerla anche con gli altri per ispirare quante più persone possibile in questo momento di difficoltà.

6. Parliamo del Made in Italy, di cui sei un grande sostenitore, come vedi evolvere il ruolo del designer nelle attività future in un mondo in cui l’interazione fisica sembrano essere sempre meno prevalenti?

Oggi esiste un nuovo materiale con cui i designer possono giocare e con cui hanno bisogno di giocare e sono byte e gigabyte di informazioni che puoi tradurre in tanti modi diversi: video, contenuti digitali.

Come funziona la comunicazione tra dispositivi? Qual è l’interfaccia utente e in che modo i prodotti si connettono tra loro creando dialoghi tra loro? In che modo gli esseri umani si collegano con quei prodotti, dai loro termostati intelligenti alla tecnologia indossabile per i loro smartphone o dispositivi del futuro che interagiranno con la loro casa, i loro vestiti e la loro auto. Studiamo la connessione di tutti questi dispositivi. Anche quando è intangibile progettiamo il modo in cui interagisci con loro e quanto sia facile da usare e intuitivo. Creiamo qualcosa che alla fine della giornata può essere sintetizzato e definito come un’esperienza e quindi c’è una sua componente fisica e c’è anche una sua parte immateriale.

Alla fine, tuttavia, facciamo esattamente quello che stavano facendo i designer del passato. Comprendiamo le persone, i loro bisogni, i loro desideri e creiamo soluzioni che sono significative per loro, dove il materiale non è solo legno metallo o plastica ma anche intangibile come byte e l’esperienza immateriale delle persone con questi contenuti fatti di byte e questi prodotti fisici che alcuni come trasportano, ricevono o inviano i contenuti.

7. Hai viaggiato in tutto il mondo per educare i brand e i loro professionisti sulle migliori pratiche: un consiglio ai marchi in questo momento di stallo e crisi?

La mia raccomandazione a qualsiasi marchio in tutto il mondo in questo momento è quella di essere sensibile ed essere parte della conversazione globale. Di creare un contenuto autentico. Deve essere allineato alla promessa del tuo marchio, a ciò che rappresenti. Deve essere pertinente per il tuo pubblico di destinazione. Partecipa alla conversazione, invia un messaggio specifico che invoca energia e positività o offri soluzioni che possono essere informative o divertenti. Offri valore al tuo pubblico in modo informativo, divertente e autentico possibile, in linea con le tue promesse, il tuo posizionamento e con il tone of voice tipica dei tuoi marchi.

8) Ultimo ma non meno importante, Mauro, parliamo delle tue SCARPE. Hai lasciato temporaneamente New York per rimanere a casa negli Hamptons, per ritirarti e seguire le linee guida dettate dal concetto di “Distanziamento sociale” per combattere la diffusione di questo terribile virus. Le tue amate scarpe (da te e noi) sono ora in quarantena?

Mi mancano le mie scarpe a New York! Ho la mia raccolta di emergenza, sai, qui in America alcune persone hanno raccolte di pomodori e fiori e biscotti e patatine per usarle in caso di catastrofi, io ho quella delle mie scarpe, circa 50 paia. In questo modo, sai, mentre le altre coppie, restano a New York riposando ed essendo al sicuro, godrò altrettanto in sicurezza, godendo di questa raccolta più piccola qui…

Ci scherza, ma Mauro è davvero un amante delle scarpe e ha una collezione di circa 350 scarpe, di cui 50 ora in quarantena con lui, il resto nel suo appartamento a New York.

Vogliamo che Mauro si riunisca presto in sicurezza con le sue amate scarpe in quarantena, curioso di vedere cosa progetterà dopo, e auguriamo a tutti voi di stare al sicuro, riposare e lavorare su un futuro migliore utilizzando la Creatività per sconfiggere il virus!

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Come affrontare la quarantena. I consigli di 6 influencer

GLI INTERVENTI DI 6 INFLUENCER CON PSICOLOGI, PERSONAL COACH, SCRITTORI, IMPRENDITORI

Si dice che la disperazione crei delle occasioni, o forse è meglio dire che nella disperazione c’è chi sa utilizzare le proprie risorse per trovare soluzioni al problema. 
L’emergenza Coronavirus sta colpendo tutti, indistintamente, tutti i mestieri, tutte le classi sociali, tutte le razze, ed è inevitabile che in momenti come questi emergano le persone in grado di fare qualcosa di utile, mentre la massa rimane nell’ombra. Anche i social network fanno sentire la loro voce, luogo in cui le tendenze, fino a ieri, volgevano al brutto, al volgare, al superficiale. I social network, frittata di influencer che si pasticciano il corpo mostrando solo una reale assenza di contenuto che è diventata una moda, oggi paiono rifiorire. E siamo certi che ci sarà da domani una inversione di tendenze, una nuova primavera che guarda al bello, al contenuto di qualità, alla condivisione intelligente e matura. E allora chi ha qualcosa da dire finalmente oggi può contribuire alla causa ognuno con le proprie velleità; quindi non solo tutorial che mostrano come inserire un bottone dentro un’asola, ma interventi concreti con psicologi, sportivi, imprenditori

Dall’agenzia Venicemesh 6 influencer hanno cercato di dare il proprio contributo intelligente per alleggerire questi giorni di quarantena forzata. Abbiamo fatto una chiacchierata con ciascuno di loro: c’è chi ha discusso con psicoterapeuti che danno consigli alle coppie su come affrontare le distanze obbligate; chi ha registrato interventi con agricoltori che hanno mostrato le reali difficoltà del settore e le misure da adottare; ci sono studenti costretti a utilizzare nuovi metodi di studio per portare avanti tesi ed esami, e sportivi senza attrezzi che si ingegnano nella creazioni di strumenti per l’allenamento. 

6 personalità diverse, 6 mestieri diversi, 6 modi di sfruttare al meglio il nostro tempo e trasformarlo da difficoltà a risorsa. 

Ambra Ronconi @ab_ambra 

Ambra è una psicologa ipnoterapeuta che durante la quarantena ha avuto modo di fare una chiacchierata con una collega psicoterapeuta familiare. 

Qui alcuni consigli per coppie e famiglie, a partire dal servizio gratuito che offre l’ordine degli psicologi, disponibili per video-chiamate e assistenza in un periodo di forte stress. 

Per la coppia che vive nella stessa casa:

  • Rispettare gli spazi: “imparare a bussare”, accettare i momenti della giornata in cui ciascuno dedica il proprio tempo in linea alle esigenze e ai gusti. Gli spazi sono intesi come “aria vitale” dell’individuo.
  • Ritagliare i momenti di condivisione: decidere insieme lo spazio della giornata in cui concedersi tempo, può essere una cena, il momento del pranzo, la visione di un film insieme.

    Per le coppie distanti: 
  • Prima regola: Congelare ogni sorta di conflitto
    Per le coppie separate in questo momento è opportuno non rimuginare il passato, perchè non potersi vedere e risolvere quindi la questione vis a vis, porta a rancori e accumuli di rabbia. 
  • Non colpevolizzare l’altro: Evitiamo frasi del tipo “Tu hai detto … Tu hai fatto”, sostituendole con “Io mi sento…” Raccontiamoci imparando a cambiare la prospettiva dello stare insieme, raccontiamoci per conoscerci.
  • Condivisione: possiamo fare delle video-chiamate che accorciano le distanze, vedere delle serie tv nello stesso momento per poi discuterne, leggere un libro insieme e parlare dei temi, cenare insieme in video-chiamata, per rendere la vita di coppia il più normale possibile. 
    La condivisione nella coppia è fondamentale e rinforza il rapporto. Un buon dialogo è un ottimo inizio. 

    Consigli su come affrontare l’epidemia:
  • Seguire le informazioni da fonti attendibili, evitare le fake news, che creano ansia e smarrimento.
  • Strutturare la giornata in modo che la settimana sia una settimana lavorativa, quindi mettere la sveglia, lavarsi, truccarsi, vestirsi esattamente come se ci si appropinquasse al luogo di lavoro. Tenere il pigiama tutto il giorno allunga la percezione del tempo e ci si affatica più facilmente. Organizzare il tempo significa anche concedersi il riposo, per cui il fine settimana è dedicato al relax.
  • Gestire la fame: avere molto tempo a disposizione porta alla noia, che crea spazi vuoti spesso riempiti dalla corsa al frigorifero. Impariamo a controllare la fame e a regalarci solo piccoli sfizi all’ora dello snack, una volta al giorno. 
  • Tenere un diario. Questo consiglio è valido soprattutto per le persone ansiose. Permette di scaricare tensione e di allenare la mente all’operazione; è inoltre un valido modo per imparare a conoscerci meglio e più profondamente.

Gloria Bombarda @gloriabombarda

Gloria ci porta nel mondo dei libri insieme alla scrittrice Felicia Kingsley.
Per Gloria i libri sono come un biglietto gratis per fare il giro del mondo. Leggere permette di viaggiare con la fantasia senza limiti di spazio. In questo periodo sta leggendo “Un albero cresce a Brooklyn”, della scrittrice statunitense Betty Smith, una New York inizi ‘900 dove i piccoli negozianti, il macellaio di fiducia, il barbiere, le bancarelle, sono i luoghi abitudinari che creano l’atmosfera del romanzo.

E allora il consiglio è quello di essere positivi e leggere libri che aiutino a questa attitudine, un modo valido per concedersi distrazione e momenti di gioia.

E-book o cartaceo? 
Qui sta a voi, c’è il classicista che ama ancora sentire il profumo della carta e tastarne la ruvidezza tra le mani; avere il piacere di sottolineare le frasi che tornerà a leggere chissà quando nella vita, scrivere degli appunti a margine, collezionare pezzi della propria crescita intellettuale/culturale. 
In questo caso aiutiamo le piccole librerie, che in alcuni paesi fanno anche consegne a domicilio. 

Per gli spiriti innovativi, gli e-book sono un’ottima soluzione risparmio. Costano meno, non occupano spazio, e soprattutto sono soggetti a continue promozioni. 
Essere una booklover, ci confida Gloria, avvicina ai follower e crea un legame di credibilità e durevolezza.

Paola Bettinaglio @paola_bet 

Paola ha tenuto una diretta Instagram con Elisa Vianello, che si occupa di psicologia infantile e psicoterapia.
Il tema è la filmografia, in che modo influenzano le pellicole in questo momento di difficoltà e panico e i consigli sui film da vedere. 

NO: ai film che argomentano guerra e pandemie, rischiano solo di creare ansie e preoccupazioni. Tutte le informazioni che la nostra mente raccoglie durante la visione, le portiamo a letto con il rischio di creare disturbo al sonno. 
SI: alle commedie, ai film leggeri e a quelli che ci riportano all’infanzia. Italia 1 a questo proposito ha inserito nel palinsesto tutta la Saga di Harry Potter.

Consigli utili: l’App SimulWatch è la nuova applicazione che permette di trovare in modo semplice, all’interno di un sistema di ricerca avanzata, tutti i migliori film in streaming disponibili sulle principali piattaforme quali Netflix, Infinity, CHILI; Amazon Prime Video, iTunes, Rakuten, Google Movie. La cosa divertente è che gli utenti possono chattare tra di loro e commentare i film in diretta!

Andrea Dal Corso @andreadalcorso

Lo ricordiamo tutti nel ruolo di corteggiatore a Uomini e Donne, ma Andrea Dal Corso è anche uno spumantista, cioè colui che si occupa della produzione di vini spumanti. E la chiusura di ristoranti, e grandi catene alberghiere ha vanificato gli sforzi di aziende i cui prodotti vanno deteriorandosi, come per alcuni vini il cui consiglio è quello di berli entro breve tempo per mantenere gli standard di qualità e gusto. Per fortuna, ci confida Andrea, gli e-commerce stanno di contro, alzandosi in richiesta, come rivela Tannico, l’enoteca online di vini italiani più grande al mondo

E il made in Italy è l’altro tema su cui Andrea pone l’attenzione, consapevole di essere un portavoce digitale e di avere la possibilità, se non altro, di influenzare in maniere consapevole e utile le masse che lo seguono, i follower. 
Le aziende vinicole si stanno rendendo conto che il passaggio immediato dalla vendita usuale a quella alternativa, cade sui social network, la comunicazione diventa digitale, gli influencer diventano il mezzo per vendere, il tramite con cui comunicare un prodotto in maniera diversa e innovativa. 

Consigli: prediligete vini italiani, Lugana, Chiaretto, Prosecco… Mai come ora serve aiutare il nostro paese a una rinascita più florida. Inoltre non siamo secondi a nessuno in fatto di vini!

Dove acquistare: cortilia.it è il selezionatore dei migliori prodotti italiani dove poter far la spesa online, e dove trovare frutta, verdura, carni, pesce, pasta, uova, scelti da produttori amanti della natura e del nostro territorio. 

Anselmo Prestini @anselmoprestini_

Come vive uno studente ai tempi del Coronavirus? Come organizza la sua giornata in assenza delle lezioni in aula? Ci risponde Anselmo, 24 anni, studente all’ultimo anno di magistrale allo IULM. 

Se pensavate di trovare un allievo allo sbaraglio che festeggia l’assenza di esami vi sbagliavate: Anselmo è lo studente modello, studia come ogni mattina, ascolta la lezione dal pc dove dall’altra parte dello schermo si collega il professore, oltre ad altri 70 ragazzi che nel frattempo mangiano, giocano col gatto, fanno una partita alla PlayStation. Perchè perdere la concentrazione è un attimo, e a questo proposito viene in soccorso Carlo Merli, psicologo e psicoterapeuta che ci porta all’attenzione della “tecnica del pomodoro“, ovvero quell’oggetto che funge da timer in cui calcolare 20 minuti di totale concentrazione, per poi concedersi 5 minuti di pausa.
E’ un tecnica efficace inventata da Francesco Cirillo, sviluppatore di software e utlizzata da molti imprenditori di successo.

Federico Corvi @federicocorvi

Federico è una di quelle anime avventuriere e spericolate che scelgono lo sport come stile di vita. Federico è uno sciatore professionista del mondo freeride, quei matti che piroettano sulla neve ad altezze folli e una personalità simile non poteva che farci divertire con la sua creatività: infatti, non potendosi allenare nella sua palestra ed essendo costretto alla quarantena a Cortina d’Ampezzo, tra monti e vallate, Federico si è costruito una palestra con le sue mani. 

Attrezzi alla Flintstones, ciocchi di legno come pesi di un bilanciere uniti da una lunga trave, anch’essa di legno; corde fatte di spaghi con un sasso legato al centro che faccia da peso; bottiglie d’acqua per i bicipiti; allenamento su per le montagne trainando una carriola carica, Federico non si ferma e di diverte a creare con la fantasia. 
Federico Colli, tecnico federale di sci alpino e suo preparatore atletico, gli ricorda che alle porte lo aspettano le gare e che è importante mantenere la forza fisica.

Consigli: se non avete una palestra in casa, usate la fantasia e create pesi con i mezzi disponibili

Se avete uno spazio tipo un piazzale, fate dei segni con dello scotch a terra e allenatevi con scatti, percorsi e attività aerobica. Bastano 40 metri quadri. 

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#MANINTOWNSUPPORTMADEINTALY Focus on: MARCO MELIS EYEWEAR

“Fare un occhiale è come fare un abito; è questo che voglio dare al mio cliente – racconta Marco Melis – Tutto può essere studiato e scelto nei dettagli per rispecchiare i gusti e le esigenze di chi lo calza.

L’occhiale custom made può essere personalizzato nella forma e persino all’interno dell’asta dove possono essere apposte una firma o una dedica”.  

Questa la filosofia di Marco Melis, nome sinonimo di occhiale fatto, costruito, concepito e realizzato in Italia. La combinazione perfetta tra l’heritage e il saper fare artigianale con una visione proiettata al futuro.

Melis disegna occhiali dal 1996, partendo dall’incontro con maestri artigiani per seguire tutte le fasi di progettazione dell’occhiale. Da questa passione è nata MARCO MELIS EYEWEAR, realtà che disegna e produce occhiali a tiratura limitata e per settori speciali quali cantieri navali, case automobilistiche e motociclistiche. Abbiamo incontrato Marco Melis per farci raccontare il suo percorso.

Quali sono i valori e la filosofia dell’azienda?

La MARCOMELIS Eyewear parte dal concetto della progettazione e si esprime attraverso i propri laboratori dove crea, in qualità di prototipi, modelli che vengono destinati anche ad altri brand. Avvalendosi dell’uso dei pantografi degli anni 60 e delle mani esperte dei maestri artigiani cadorini, crea le proprie collezioni esprimendo la propria artigianalità e il Made in Italy.

Quali le parole chiave per definirla?

Indiscutibilmente il taglio sartoriale contraddistinto dalle esigenze dei clienti o dei brand ci porta a essere versatili nella realizzazione delle collezioni ad hoc, da qui scelta di lenti, plastiche e del taglio che deve avere in prospettiva l’occhiale.

Il dettaglio sull’asta dell’occhiale…

Sulle aste dei miei occhiali è incisa una frase che rappresenta tutto l’orgoglio della mia origine: “Fatti da un Italiano“. Realizzo tutto in Italia a differenza di quanto fanno tanti altri che delocalizzano in Paesi a noi distanti per cultura, etica e storia produttiva, pur fregiandosi del titolo generico “Made in Italy”. Fatti da un italiano è assunzione di responsabilità, è conoscenza tramandata ma è anche ricerca e sviluppo.
Fatti da un italiano è soprattutto l’opera di un uomo che “fa” con le sue mani un oggetto ideato, progettato e realizzato completamente in Italia, perché la qualità̀ non può derivare dall’appellativo “Made in Italy”, ma dal trasferimento sul prodotto dei nostri valori artigiani, come emanazione stessa della storia e della creatività della nostra terra.

Come è nato questo progetto fotografico?

Il servizio fotografico è nato dal momento in cui abbiamo avuto come prima esigenza fare arrivare agli occhi dei nostri clienti la realtà che viviamo ogni giorno, ancor prima che ricevessero i nostri occhiali. Un progetto fotografico realizzato da Carlo Mogiani e Matteo Curti.

Come prevedi cambierà il settore dopo il Coronavirus?

Dopo il Covid-19 come per tanti prodotti ci sarà una grossissima richiesta, questo sarà dettato dal fatto che molti appuntamenti fieristici sono saltati. La cosa più auspicabile, ma di questo ne siamo verosimilmente ottimisti, sarà la ricerca del vero prodotto italiano, non solo da parte dell’Italia ma anche dal resto del mondo.

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Talenti da scoprire: Matteo Oscar Giuggioli

Matteo Giuggioli ha 19 anni e dopo gli studi di recitazione ed essersi fatto le ossa sui palcoscenici più importanti di Milano, nel 2017 ha debuttato sul grande schermo nel film Gli sdraiati di Francesca Archibugi. Nel 2018, interpreta Tom in Succede di Francesco Mazzoleni per poi ricoprire il ruolo di Klaus in Un passo dal cielo 5, la serie cult di Rai Uno. Tra i lavori più recenti invece, c’è il film Sotto il sole di Riccione, sceneggiato e prodotto in via esecutiva da Enrico Vanzina, la cui uscita è prevista in primavera.

Come è iniziata la tua carriera da attore? Raccontaci il tuo percorso formativo

È nato tutto con il gusto per il bello, per l’arte in tutte le sue forme, dalla pittura alla falegnameria, dal cinema alla musica. Di per sé, la passione per la recitazione arriva un po’ per gioco con un corso extra scolastico di teatro. Parte con due ore alla settimana in una palestra, da tutto ciò che è più vero, nudo, crudo, un qualcosa che stava in piedi solo grazie alla poesia. Negli spettacoli mi sentivo compreso, poi ho iniziato ad affiancare al teatro qualche provino e subito dopo Miguel Lombardi a scuola, Gli Sdraiati..

Tra i personaggi che hai interpretato c’è un ruolo in cui ti sei rivisto particolarmente?

Non amo portare al lavoro me stesso. Io sono io, Io sul lavoro non esiste, esiste il mio ruolo. Quindi, per semplificare direi un 50% si e 50% no. 

Su cosa stai lavorando adesso? Puoi svelarci qualcosa sui tuoi prossimi personaggi?

Oltre ai lavori in uscita, in questo momento sto lavorando ad una serie, ma purtroppo non posso ancora svelare nulla. 

Hai un’icona del cinema come riferimento?

Hitchcock, Almodovar, Fellini, Inàrritu, Bertolucci Phoenix, Meryl Streep, Jim Carrey, Noè, Eddie Redmayne, Elio Germano, Luca Marinelli, Alessandro Borghi. Ma ce ne sono davvero tante.

Che rapporto hai con i social, quale messaggio cerchi di trasmettere in questo periodo drammatico?

Non sono ossessionato dai social. É il più grande mezzo di comunicazione al giorni d’oggi, lo uso come lo usavo prima, se ho una bella foto o qualcosa di importante da dire posto, altrimenti no. É un passatempo, un divertimento come in passato, con la differenza che ora ho qualche follower in più. I social hanno il potere di far diventare un’idiota una star, è per questo che la gente li usa cosi tanto. Per fortuna io devo dimostrare quanto valgo su un’altra piattaforma. 

Tre oggetti importanti per te in queste giornate..

“Lettere A Un Giovane Poeta” di Rainer Maria Rilke, Netflix, il telefono per sentire i miei amici. 

Che rapporto hai con la moda, ami dei brand in particolare?

Ritengo di avere un buon senso estetico, quindi si, sono estremamente affascinato e attirato dalla moda, mi piacerebbe studiarla.

Tre capi essenziali del tuo guardaroba..

Non ci sono dei capi essenziali, il mio guardaroba varia in base al mio stato d’animo, alle mie emozioni e al mio periodo. Il vestito è parte dell’anima di una persona. 

Ami viaggiare? consigliaci una meta in cui recarci appena si potrà riprendere a farlo.

Si, amo viaggiare e il mio lavoro mi porta in continuo spostamento. La vera vacanza però è stare a casa mia, con la famiglia e i miei fratelli. 

Un luogo del cuore

Semplicemente casa.

Photo credits: Marco Colombo

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Alessio Vassallo “La concessione del telefono”

Alessio vassallo, Siciliano DOC, un vero talento del panorama del cinema italiano, un attore impegnato a trecentosessanta gradi nel suo lavoro, con cinema, TV e tanto teatro.

Quest’anno l’abbiamo visto anche presentare i “Fabrique du Cinemà Awards”, che sono appunto i riconoscimenti per tutti i giovani talenti nelle arti cinematografiche.

Dopo aver lavorato precedentemente con Camilleri ne “il giovane Montalbano” e “la stagione della caccia”, ritorna a Vigata, per interpretare Pippo Genuardi ne “La concessione del telefono” che andrà in lunedì 23 Marzo ore 21.25 su RAI1.

MI racconta Alessio che per lui è un grandissimo onore tornare in questa cittadina siciliana per la quarta volta, interpretando il ruolo del protagonista (Pippo) un commerciante di legnami, che come vedremo si dall’inizio del film inizierà a scrivere delle lettere al prefetto, per cercare di ottenere la concessione della linea telefonica.

L’ambientazione è nella prima metà dell’800’, quindi stiamo parlando dei primi prototipi, lui si permette di fare una cosa del genere in quanto benestante e conduce la cosiddetta “bella vita” grazie ai soldi del padre di sua moglie che lo vizia un po’ in tutto.

È un uomo a cui piacciono i lussi dell’epoca, infatti possiede anche un quadriciclo a motore, ma vi è un motivo specifico per cui brama questa concessione, non mi svela nulla su questa suspense che avvolge il film, dobbiamo vederlo tutti per capirne il perché.

Entrerà in un vortice di equivoci incredibile, arrivando al punto di essere considerato sovversivo, e sono proprio le alte cariche dello stato che iniziano ad insospettirsi non capendo questa sua necessità di codesta linea telefonica.

Da li ne succede un dramma all’italiana, un po’ come accade nei film dei fratelli Cohen, dove da una palla di neve ne succede una valanga, quindi una vera e propria commedia degli equivoci sulla stupidità umana, e la complessità della burocrazia del nostro paese, che dal 1800 ad oggi è cambiata ben poco.

Alessio ci garantisce che si ride molto, in quanto siamo un po’ tutti Pippo Genuardi, in quelle situazioni con un guaio più grande di te ove però oramai è troppo tardi per fare retromarcia.

Il film TV è stato girato tra Vigata e palermo città d’origine di Alessio infatti per lui è stato un grande onore filmare per le strade di casa sua.

Siamo tutti invitati a vederlo, soprattutto per il fatto che questo romanzo era il preferito dallo stesso autore: Andrea Camilleri.

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Intervista a Gianni D’Addario

Gianni D’Addario, pugliese, di Gravina, è il co protagonista di Checco Zalone nel suo ultimo film campione d’incassi “Tolo-Tolo”, dove il suo personaggio spicca per il suo inverosimile cinismo. Ma è davvero un attore poliedrico, infatti tra poco lo vedremo anche a teatro con Pirandello, e poi in estate al Festival di Napoli con uno spettacolo ispirato a “La grande abbuffata” di Marco Ferreri.

Ovviamente hai iniziato il percorso attoriale con dei concorsi di bellezza?

Si, ho fatto Miss Italia, Mr. Italia e non mi son fatto mancare i concorsi nei villaggi turistici, classificandomi anche piuttosto bene mettendo i capelli lunghi! Ovviamente Gianni sta al gioco, in quanto facciamo riferimento ai repentini cambi di parrucca che ha nel film, i quali, definiscono la crescita del personaggio.

Il tuo con Zalone è un sodalizio che si protrae da diversi anni, in quanto ti avevamo già visto in “Quo Vado”.

Tutto nasce da un amico in comune che abbiamo, ovvero Francesco Asselta, che è anche il mio autore teatrale, e per una serie di connection dopo una serata assurda finita con me senza benzina nel motorino, mi son ritrovato a fare un provino il giorno seguente. Sono risultato abbastanza simpatico e mi ha preso.

Com’è lavorare in un film di Zalone, di cui si sa già che incasserà tantissimo e ci saranno tantissime critiche che creano sempre una grande aspettativa.

Prima di tutto devo dire che la responsabilità che senti addosso è davvero tanta per me, quindi immagina per lui! La verità però è anche che ci divertiamo tantissimo, e siamo come un gruppo di amici che gira un film. In quest’ultimo in particolar modo, ha preso tantissimi attori dal teatro, quindi persone che conoscevo benissimo e con cui avevo già lavorato precedentemente.

In questo film in particolare le critiche hanno largamente fatto da trailer al film.

La situazione si spiega semplicemente con il fatto che quando un film viene visto praticamente da tutto il paese, stiamo parlando quasi di rito collettivo, dove ognuno ovviamente deve dire qualcosa per parteciparvi. Soprattutto quando si fa della satira che colpisce la coscienza delle persone, gli animi si scuotono facilmente.

Con la tua escalation del personaggio che da disoccupato diventa Presidente Europeo alla commissione dell’immigrazione, ti sei ispirato a Di Maio?

No, mi sono ispirato a quello che era scritto nella sceneggiatura (vedi Luigi Di Maio) alla fine è un modo di agire che vedo quotidianamente nelle persone.

Ora come ti vedono in Puglia, la tua terra, dopo questo successo.

Posso dire di essere un uomo libero, in quanto non mi riconosce nessuno, a parte quelli del mio paese che sanno che ho fatto il film, giro tranquillamente.

Progetti futuri imminenti?

Esco al cinema con un altro film che è un’opera prima di Marcello di Noto, che dovrebbe chiamarsi, se non cambiano il titolo, “L’amore non si sà”, ed al mio fianco ci sarà la mia amica Silvia D’Amico. Posso dire che il montaggio che ho già visto è davvero bellissimo, con delle immagini stupende, vediamo come si organizzerà la distribuzione ma in primavera dovrebbe essere nelle sale. Poi sarò a teatro con “Sei personaggi in cerca di autore” per la regia di Michele Sinisi. E poi sempre a teatro per il festival di Napoli faremo uno spettacolo tratto dal film del 73’ “La grande abbuffata” con Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, un vero cult della cinematografia mondiale.

Dimmi del tuo CV?

Beh, diciamo che agli esordi il mio CV era un vero fake, in quanto nonostante io ce la mettessi tutta, non riuscivo nemmeno a fare i provini. Quindi, diciamo che ho dato largo sfogo alla mia fantasia in quanto non avevo grandi scuole da inserire, sono diventato famoso proprio per le mie invenzioni di esperienze che non avevo avuto.

Il ricordo più bello dei tuoi esordi?

Sicuramente lo spettacolo su Giorgio Gaber che feci quando avevo ventotto anni, dove giravo con cinque musicisti su di un furgone Ducato scassatissimo, con delle sponde altissime sopra che ci aveva fatto un fabbro per gli strumenti.

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Intervista a Leo Gassmann, vincitore di Sanremo giovani

Leo Gassman, figlio del celebre attore Alessandro Gassmann (il nonno era il grande Vittorio) e di Sabrina Knaflitz oggi ha ventuno anni ma ha già maturato diverse esperienze nell’ambito musicale tra cui nel 2018 la semifinale di X Factor. Lo abbiamo incontrato dopo la vittoria a Sanremo giovani.

Ti aspettavi di vincere Sanremo Giovani ?

Assolutamente no, è stata una sorpresa per tutti. A volte si crede così tanto in una cosa che poi quando si realizza non sembra realtà. Comunque sia, sono onorato di aver raggiunto questo obbiettivo e di aver portato un messaggio di positività a varie fasce di età. 

Da cosa prendi ispirazione per scrivere le tue canzoni? 

Di solito mi ispiro alle forti emozioni che provo e che vivo da vicino. Quando conosco una persona che mi rimane nel cuore o delle storie che mi vengono narrate o che vivo. Da qui comincia la voglia di fermarle in un brano. 

Che musica ascolti? Hai delle band o musicisti di riferimento?

Tra i cantanti internazionali gli Oasis e i Coldplay per la loro attitudine. Poi i Rolling Stones , Imagine Dragons, Ben Howard , Paolo Biribi. Parlando di italiani invece: Lucio Dalla, Ivano Fossati, Bennato, Jovanotti, Vasco , Caparezza, Gianna Nannini, Brunori sas.

Che rapporto hai con la moda?

Di alti e bassi del resto sono un ragazzo, non mi piace vestirmi in modo vistoso e ad essere sinceri quando mi sveglio metto sempre la prima cosa che capita. Poi dipende dal contesto. Occasionalmente mi piace anche vestirmi un po’ più elegante ma di solito prediligo lo stile sportivo/ street.

Sogni nel cassetto ?

Fare buona musica, emozionare ed emozionarmi facendo quello che mi fa star bene.


Styling: Stefania Sciortino

Photo credits: Davide Musto

Look: Impure Alternative Basic

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Mt Everest Fashion Runway

Una sfilata ecologica, per combattere il cambiamento climatico globale e affermare la necessità sempre più urgente di una moda etica e sostenibile. Ve la raccontiamo nel dettaglio intervistando Manuel Scrima, fotografo e regista di Milano, che ha preso parte all’ organizzazione dell’evento.

Cos’è Mt Everest Fashion Runway 2020?

Il Mt Everest Fashion Runway è la sfilata all’altezza più elevata della storia, 5643 metri, organizzata a Kala Patthar di fianco all’Everest Base Camp.
Si tratta di una sfilata ecologica, per combattere il cambiamento climatico globale e affermare la necessità sempre più urgente di una moda etica e sostenibile. Inoltre, è un Guinness dei Primati realizzato il 26 Gennaio 2020.

Chi ha organizzato l’iniziativa Mt Everest Fashion Runway 2020?

L’idea è stata di un brand di moda nepalese che si chiama Kasa. Questo marchio ha poi coinvolto sponsors e partecipanti internazionali. 
Io mi sono occupato della ricerca sponsor in Italia (mi sono rivolto a Nikon Italia e Milesi Vernici per legno) e dei modelli provenienti dall’Europa. Nikon ha fornito l’attrezzatura (fotocamere e videocamere), Milesi ha fornito la vernice per proteggere la rampa in legno della sfilata. 

Quali sono i criteri del Guinness dei primati?

Da quello che ho sentito stanno ancora formalizzando il Guinness dei primati. Occorreva superare i 4000 metri di altitudine, avere almeno 12 modelli professionisti e fare un fashion show più lungo di 30 minuti. I criteri sono stati rispettati: a brevissimo verrà formalizzato e ufficializzato il Guinness.

Raccontaci del trekking sull’Everest

Siamo partita da Luckla, celebre località nepalese a 2800 metri di altitudine che ospita l’aeroporto più pericoloso al mondo con una pista lunga appena 527 metri e larga 20. Solo per trovare il clima adatto per poter decollare e atterrare in aereo a Luckla abbiamo atteso tre giorni, sia all’andata che al ritorno. Da qui abbiamo proseguito per 6 tappe a piedi (Phakding, Namche Bazar, Tengboche, Dingboche, Lobuche, Gorak Shep) fino ad arrivare a Kala Patthar, a 5643 metri. A Namche Bazar, Dingboche e Gorak Shep ci siamo fermati due notti: a queste altezze è fondamentale dare tempo al corpo di acclimatarsi e abituarsi alle condizioni estreme. La mancanza di ossigeno è la difficoltà maggiore di questo trekking. Il gruppo era composto da una cinquantina di persone: 18 modelli, operatori televisivi, fotografi, truccatori, la stilista della sfilata, ricercatori universitari ed esperti di sostenibilità.

Che reazione hai avuto quando ti hanno parlato di questa idea?

Gli organizzatori mi hanno parlato di questa avventura quando ero a Katmandu ad agosto 2019 e mi è subito sembrata una follia. Pensavo di partecipare eventualmente andando in elicottero, ma mai affrontando un trekking così estremo. Poi il loro entusiasmo mi ha convinto a partecipare alla scalata.

Perché hai partecipato e sei stato selezionato?

Inizialmente mi sono occupato dell’organizzazione in Europa e Italia, selezionando dei modelli partecipanti e cercando sponsor. Mi dovevo occupare poi della regia di un documentario dell’evento, con una folta troupe proveniente da Bollywood. Col tempo sono arrivate altre opportunità e ho deciso di partecipare al reality show realizzato per MTV USA e di affrontare l’avventura davanti all’obiettivo e non dietro come faccio sempre. È stata una sfida ancora più difficile. Inizialmente ho fatto molta fatica ad ambientarmi, poi è andato tutto bene.

Qual è stata la reazione delle persone quando hanno saputo che avresti partecipato?

Molti mi hanno preso per pazzo, altri erano entusiasti. Io per lungo tempo non ero convinto di partecipare perché non sopporto il freddo. In effetti, è stato difficilissimo sopportare queste temperature rigide, non poter stare al caldo per due settimane, non potersi lavare, fare una doccia…

Quali sono stati i momenti più critici e le difficoltà che avete dovuto affrontare?

Il trekking di per sé è impegnativo, ma è fattibile quasi per chiunque sia un po’ allenato. La difficoltà è affrontarlo a gennaio. È un tipico viaggio che si intraprende in primavera con temperature miti. Nel nostro caso con temperature fino a -35 gradi, con tempeste di neve e vento. Oltre al trekking, 9 di noi sono stati protagonisti di un reality show e dunque hanno dovuto seguire i tempi tecnici per registrare ogni giorno interviste e video di tutto ciò che accadeva. Questo ha aggiunto molte difficoltà all’impresa, ci ha costretto a percorsi più lunghi, a viaggiare di notte e a riposare molto meno del necessario.

Le cose più estreme che hai fatto?

Credo dormire a -35 gradi a Dingboche e Gorak Shep in una camera senza riscaldamento. Le strutture di accoglienza qui sono concepite per la primavera, dunque sono fatte di legno sottile come il cartone e non hanno nessun riscaldamento. I bagni erano totalmente congelati così come tutto quello che possedevamo: dalle scarpe bagnate, al liquido per le lenti a contatto, al cibo.

È stato difficile? Quanti c’è l’ hanno fatta?

È stato molto difficile. Già dalle prime tappe 3 modelle hanno dovuto abbandonare perché infortunate. Siamo arrivati tutti stremati alla sfilata e molti di noi sono dovuti tornare facendo un pezzo di tragitto in elicottero. Solo due modelle sono riuscite a tornare a piedi per tutto il tragitto anche grazie all’aiuto di esperti Sherpa.

Quali sono stati i sintomi di chi è stato male?

La mancanza di ossigeno ad alta quota porta all’impossibilità di dormire di notte, porta nausea e mal di testa. Abbiamo sofferto tutti. Altri invece si sono infortunati durante il trekking: il terreno era molto scivoloso e spesso le salite erano molto ripide.

Che clima si è formato nel gruppo di partecipanti?

Si è formato un clima famigliare, specialmente tra i ragazzi che hanno realizzato il reality show e i membri della crew televisiva. Per capire meglio cosa abbiamo fatto bisogna guardare il programma TV. Il reality show dovrebbe essere trasmesso a Maggio negli Stati Uniti, Canada e Caraibi. Per l’Italia non si sa ancora una data.

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Inside fashion: Daniele Giovani

Abbiamo intervistato Daniele Giovani, fashion buyer della moda di Milano, ideatore e proprietario dell’omonima boutique milanese.

Hai sempre desiderato fare questo lavoro?

Ho sempre avuto un forte interesse verso il mondo della moda. Al suo interno operano numerose figure con differenti caratteristiche, ad esempio designer, esperti di comunicazioni e marketing, stylist, influencer e molte altre. Ho deciso di dare inizio alla mia attività come buyer. Da qui è nata l’idea nel 2014 di aprire una boutique multimarca dedicata al made in Italy in cui il mio stile e il mio gusto potessero evidenziarsi. Ma questo è solo l’inizio…

Come designer ho collaborato alla creazione della Fragranza Suprema “Perdizione” di Nobile 1942. È un eau de parfum unisex avvolgente e sensuale le cui note principali sono caratterizzate da neroli, ylang ylang, fiori d’arancio e vaniglia.

Inoltre, a partire dallo scorso settembre ho creato un mio Blog in cui posso esprimere e condividere i miei gusti e interessi. Tratta di accessori moda, tendenze, made in Italy, architettura, eventi e lifestyle. Si contraddistingue per il legame tra il mondo dell’accessorio e quello dell’architettura, un legame profondo che vuole evidenziare le analogie che caratterizzano le due realtà. Intende inoltre ricercare legami inediti che si associano all’accessorio.

Raccontaci il tuo percorso formativo

Dopo aver consultato i programmi di molte scuole di moda, ho deciso di iscrivermi al Politecnico di Milano perché proponeva, nell’ambito del design, un innovativo Corso di Laurea. Avevo scelto qualcosa che mi apparteneva veramente e così ho superato il test. Sono stati tre anni molto duri ma utili perché mi hanno dato la possibilità di conoscere il mondo progettuale del design e di tutte le fasi che lo compongono. Ho poi frequentato un corso di stilismo a Parigi, all’École Esmod, la scuola di moda più antica del mondo, dove ho affinato il mio gusto in una visione internazionale.

Dato che la creazione di moda si lega necessariamente all’ambito commerciale e il design della moda non va confuso con l’arte, ho deciso successivamente d’iscrivermi all’Università IULM dove mi sono specializzato in Marketing e Comunicazione per la moda, tematiche che ho approfondito anche in un corso di livello Master allo IED di Milano. 

Come nasce l’idea di una luxury boutique?

Il concetto di boutique multimarca mi ha sempre appassionato perché dà la possibilità di creare “significati” a partire da altri “significati”. Mi è sempre piaciuto creare un mio stile riconoscibile e ben identificato partendo da altri stili. La mia boutique mi piace perché è un ”luogo” a differenza di altri negozi che sono dei “non luoghi” cioè degli spazi asettici e stereotipati.

Come mai ti sei focalizzato solo sugli accessori?

Provenendo dalla cultura del Politecnico, dove la moda trova la sua massima espressione negli accessori, la scelta è stata quasi inevitabile. Penso che gli accessori costituiscano un prolungamento di sé, un modo per esprimersi ed evidenziare la propria figura e personalità.

Cos’è per te l’eleganza?

Per creare un outfit perfetto a mio avviso bisogna realizzare un’armonia tra i diversi elementi. Mai utilizzare scarpe troppo vistose con un vestito troppo basico. Il vero stile sta nelle proporzioni e nell’abbinamento coerente degli elementi. Mi piace molto mescolare codici stilistici diversi ma bisogna farlo in modo bilanciato senza che nessun elemento predomini troppo.

Tre oggetti essenziali per un viaggio?

Non potrei partire per un viaggio senza uno smoking, la Fragranza Suprema “Perdizione” di Nobile 1942 e uno smartphone che uso soprattutto per scattare fotografie, una delle mie più grandi passioni. 

Nuovi progetti legati alla tua attività?

Nel mese di maggio sfilerà nel Principato di Monaco, nell’ambito della Monte-Carlo Fashion Week, la mia prima collezione di scarpe. Sarà costituta da 12 modelli dallo stile elegante e seduttivo. Sfilerà con il brand “Daniele Giovani Design” e sarà sul mercato per la Spring/Summer 2021. A questo progetto tengo molto e lo trovo emozionante ma, per ora, non posso dirvi di più!

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Intervista a Emiliano di Meo

Emiliano Di Meo vive a Roma ed esordisce nel 2013 come autore autoprodotto con Il Chiaroscuro Delle Cose. A partire dalla sua prima opera sono subito evidenti i temi che gli sono più cari: l’introspezione dell’animo umano e il riconoscimento dell’amore come sentimento universale che non è più possibile imbrigliare nella distinzione tra i generi. Lo scrittore contribuisce a dar voce ad una comunità come quella LGBT che ancora oggi si trova costretta a combattere per il pieno riconoscimento dei propri diritti..

1. Come ti sei avvicinato alla letteratura? Quando hai capito che avresti voluto scrivere?

Mi ha sempre incuriosito l’arte in generale. La necessità che l’uomo ha di esprimere il proprio universo interiore. Da ragazzino iniziai con il disegno, ma avevo la sensazione che non mi permettesse di “dire tutto”, così da adolescente ho iniziato a scrivere ed eccomi qui.

2. Perché la letteratura strettamente LGBT e perché la letteratura erotica?

La scelta della letteratura LGBT è legata all’idea che ce ne sia bisogno più che mai, ma c’è bisogno di letteratura LGBT che provenga dalla comunità LGBT e non da chi crede di poter immaginare cosa significa essere un omosessuale oggi. Sono un uomo gay nel 2020 e chi non lo è non può capire cosa significa esserlo.  Ci sono cose che non si possono immaginare. O si vivono o non si possono capire appieno, nel bene e nel male. La storia del “ti capisco grazie alla mia spiccata sensibilità” con me non ha mai funzionato.

Mi irrita chi spaccia per letteratura LGBT testi che non provengono dalla comunità, perché non si tratta di letteratura LGBT, bensì di fantasy.

Della letteratura erotica poi mi incuriosisce la possibilità che ti dà di scavare nell’animo umano. Mi piace indagare e arrivare alle fantasie delle persone comuni, quelle non racconterebbero a nessuno, se non al proprio amico del cuore, ma, anche in quel caso, lo farebbero a bassa voce. Mi affascina l’idea di raccontare quello che fanno gli uomini quando nessuno li vede. Quello che fanno per godere.

3. Cosa rispondi a chi ritiene che la letteratura erotica sia un’espressione minore?

Che non devono aver paura del sesso o della voglia di sesso, perché è naturale. Ecco, una volta che avranno accettato il sesso come componente naturale della loro esistenza, senza morbosità, riusciranno a smettere di stigmatizzarlo. Mi fanno sempre sorridere quelli che si reputano troppo colti per la letteratura erotica.

4. Quali sono i tuoi riferimenti e idoli? Da dove arrivano le idee? Quanto c’è di biografico in quello che scrivi?

Nella letteratura non ho riferimenti. Voglio che le mie storie vengano riconosciute come unicamente mie. Non voglio che assomiglino alle storie di qualcun altro. Idoli non ne ho in generale. Diciamo che non subisco il fascino del famoso. Mi piacciono tutti gli anticonformisti, ma se riconosco che lo sono in maniera genuina, senza forzature. Mi piace l’animo rock n roll.

Le idee mi arrivano dalle mie curiosità. Dall’osservare la vita degli altri, ascoltare quello che dicono, come si muovono e, inevitabilmente, dall’osservare me stesso e di conseguenza c’è molto di me nelle mie storie. Non potrebbe essere altrimenti. A me piace parlare solo di quello che conosco.

5. C’è un personaggio a cui sei affezionato di più?

Ora dirò una banalità, ma essendo i miei personaggi li amo un po’ tutti. Ci sono, però, dei cuori puri sul serio che non si possono non amare in modo particolare. Mi piace Paolo da IL CHIAROSCURO DELLE COSE e Samuel, protagonista di SO QUANDO SEI FELICE DAL COLORE DEI TUOI OCCHI. Per un motivo del tutto opposto, poi, mi piace Davide, protagonista indiscusso di AMICI DI NOTTE. Lui mi piace perché è sporco come lo sono le persone vere.

6. Come è stato posare come modello per noi?

Divertente. È stato divertente. Ed è stata anche una piacevole sorpresa. Mi aspettavo personaggi un po’ “ingessati” e, invece, c’era un bel clima e molta disponibilità. Mi sono divertito.

7. Come ti poni nei confronti della moda?

Non ne so molto, lo ammetto. So quello che piace a me, ma non saprei dire se va di moda o no. È qualcosa che va oltre le mie capacità ed è sempre stato così. Ho i miei gusti e seguo quelli, se poi vanno anche di moda, bene, altrimenti pazienza.

8. Cosa non può mancare nel tuo guardaroba?

Gilet, mocassini e camicie a quadri.

9. La tua definizione di eleganza?

Sentirsi a posto con se stessi, ovunque, senza avvertire il bisogno di sembrare qualcun altro.

10.Come sei nel tempo libero? Viaggi? Altre passioni?

Casalingo. Sono poco mondano, però mi piace viaggiare. Mi piace mangiare cose nuove, mi piacciono i posti raccolti. Mi piace lo sport, ma più che una passione è quasi un bisogno, se devo essere sincero. Mi piace passeggiare per la mia città.

11. Consigliaci un luogo o un viaggio o un piatto ispirato a un tuo libro.

Vediamo, provo a fare tutte queste cose in un’unica proposta. Non ho ancora mai ambientato una storia in Turchia, ma conto di farlo prestissimo. Sono rimasto affascinato da Istanbul, dalla sua musica, dal cibo e dalla bellezza della sua gente.

12. Progetti e sogni per il futuro?

Continuare a scrivere senza lasciarmi condizionare dal pensiero di cosa potrebbe piacere o non piacere al pubblico. Voglio continuare a scrivere seguendo semplicemente il mio gusto e vedere come rispondono gli altri. 

Photographers: Carlo William Rossi and Fabio Mureddu

Stylist: Stefano Guerrini

Make-up: Carlo William Rossi using Mac Pro

Hair-style: Cosimo Bellomo using Hair by Sam McKnight 

Stylist’s Assistant:  Elisa Maria Montanaro and Stefano Mastropaolo

Set assistant: Mauro Angelozzi

Model: writer Emiliano Di Meo

Thanks to MAX SIMOTTI Studio

Sweaters DOPPIAA, shirt Corneliani 

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Intervista a Antonino Laspina, Italian Trade Commissioner

L’Italia torna di moda negli Stati Uniti. I nuovi trend del mercato d’Oltreoceano, che evidenziano una maggiore attenzione verso la qualità e la sostenibilità, hanno riaperto i giochi anche per le piccole e medie imprese del Made in Italy. Abbiamo incontrato Antonino Laspina, direttore esecutivo dell’Italian Trade Agency nel mercato statunitense. Nel corso della sua carriera, Laspina ha lavorato con università, comprese quelle in Cina, centri di formazione e riviste italiane e internazionali su argomenti legati al commercio internazionale e all’economia. È diventato membro del Young Leaders ‘Group (Consiglio Italia-Stati Uniti) nel 1998 fino all’attuale ultimo incarico come direttore esecutivo di ITA iniziato lo scorso Novembre.

Come stanno cambiando i mercati americani in relazione al Made in Italy?

Il mercato Americano, come tanti altri importanti mercati nel mondo, subisce profonde modifiche a seconda della composizione demografica e dei nuovi soggetti che intervengono nella spesa destinata all’acquisto di beni, in questo caso di beni di qualità, del Made in Italy. Davanti a noi abbiamo uno scenario con una forte presenza di soggetti che possiamo definire millennials, che si relazionano al Made In Italy cercando di apprezzarne alcuni aspetti che stanno emergendo recentemente, ma abbiamo anche dei clienti molto consolidati e affezionati a questo tipo di prodotti. Allo stesso tempo ci sono anche nuove tendenze relative alla possibilità che consumatori di fasce abbastanza alte possano essere interessati al Made in Italy, più di quanto lo siano stati nel passato anche per effetto della crescita della sua percezione sul mercato Americano.

E quale è la percezione del prodotto italiano negli USA?

La percezione del prodotto Italiano negli USA continua a rimanere abbastanza positiva. Direi che in alcuni settori, in termini di apprezzamento, il prodotto italiano non ha rivali perché costituisce un prodotto in una classe a se stante. Tuttavia dobbiamo tenere conto del fatto che ci sono delle tendenze che possono avvicinare i prodotti di altri paesi ad un livello pari allo standard di percezione del prodotto Made in Italy. Per noi è importante cercare di mantenere questa leadership con una fortissima azione promozionale, che deve, da un lato cercare di consolidare i consumatori nei territori dove siamo già abbastanza forti, come le zone delle coste, soprattutto con riferimento agli stati di New York e New Jersey, e la California, ma dall’altro lato andare ad operare delle azioni di promozione sui nuovi territori che stanno godendo di questa fase di crescita economica, che potrebbero essere identificati simbolicamente dallo stato del Texas.

Quali sono gli assets su cui le aziende italiane devono puntare?

Le aziende Italiane per farsi ancora strada su questo mercato e per rafforzare la propria posizione devono insistere sugli assets e i valori che hanno permesso di costruire nell’arco di questi vent’anni le posizioni di leadership che hanno ottenuto. Sostanzialmente, c’è la necessità di essere percepite come aziende che incorporano valori come la qualità, e in alcuni casi anche l’esclusività e l’utilizzazione di materie prime. Sia per quanto riguarda i prodotti attinenti al sistema della moda sia per quelli attinenti al sistema del design per la casa. Diventa importantissimo per le nostre aziende continuare ad insistere sull’ aspetto peculiare dell’Italia come centro unico rispetto ai suoi competitors, in quanto nel nostro territorio coesiste sia la fase creativa, della creative industry, che quella del settore manifatturiero. In qualche modo costituiamo un unicum e dobbiamo assolutamente puntare su questo, perché all’interno di questo meccanismo si può costruire un’ ulteriore riqualificazione del prodotto Italiano in termini di alta qualità, con delle componenti di artigianalità che sono uniche nel nostro sistema, come la craftsmanship. Tutti elementi che cominciano ad essere sempre più importanti per alcune fasce di consumatori americani. Più di quanto lo siano stati nel passato.

Come si articola e come si sviluppa il vostro piano e strategia di rilancio del made in italy?

Sulla base dei risultati degli ultimi anni si sono portati avanti un piano ed una strategia di rilancio del Made in Italy che puntano su un accresciuto valore delle risorse destinate all’attività promozionale. Come dicevo prima, questa strategia mira da un lato a fidelizzare e stabilizzare i consumatori che abbiamo in alcuni territori, ma dall’altro lato anche a conquistarne di nuovi soprattutto in quelle aree dell’interno dove le dinamiche economiche degli ultimi anni hanno permesso di avere, come ad esempio in alcune capitali, redditi pro capite che sono superiori ai 60 e 70mila dollari, e che presentano un ritardo rispetto alla percezione del prodotto italiano. Dobbiamo lavorare moltissimo per portare il prodotto sul territorio. Chiaramente uno strumento molto importante sono le attività di collaborazione con la grande distribuzione organizzata, sia che si tratti di distribuzione sul piano nazionale sia che si tratti solo di presenza di tipo interstatuale. Andremo, quindi, ad investire molto sugli inviti alla rete distributiva, svilupperemo una maggiore presenza presso le più importanti manifestazioni fieristiche italiane e addirittura ipotizziamo anche il ricorso a strumenti promozionali che sono attività proprie e autonome realizzate dall’ICE in collaborazione con altri partner. Inoltre, è importante avviare un piano di azione che copra un territorio molto più ampio per farsi conoscere maggiormente. In tutto questo c’è anche uno spazio per quanto riguarda le attività che si devono realizzare con il sistema digitale. Abbiamo, infatti, perfezionato un accordo con Amazon e stiamo studiando altre forme di collaborazione. L’idea principale è che questo mercato, come per altro i mercati che si trovano in Europa e anche in Asia, abbia bisogno di un’ utilizzazione dei due canali di commercio offline e online. Naturalmente, sarà fatto un notevole sforzo anche per recuperare l’interesse di un crescente numero di aziende Italiane per questo mercato. Tuttavia, abbiamo notato che dalla parte Italiana c’è la necessità di una fortissima azione di aggiornamento sul mercato Americano e quindi dobbiamo inviare alle aziende italiane un messaggio che gli permetta di capire che questo mercato ha regole molto rigorose per quanto riguarda la serie di normative sulla composizione dei prodotti e dei materiali, ma anche per quanto riguarda gli aspetti doganali. Questa difficoltà, però, non significa impossibilità e quindi si può pensare di aprire nuove prospettive per le aziende Italiane. La qualità comincia a farsi strada sul mercato e per questo motivo per le aziende di questo tipo potrebbe essere un’occasione per recuperare posizioni a livello globale.

Quali sono le aziende italiane che sono state supportate? I primi feedback?

I primi feedback sono abbastanza positivi. In effetti, il tempo che abbiamo avuto a disposizione per questa nuova strategia è stato abbastanza breve, ma generalmente costruiamo strategie su dei successi che sono innegabili. Per esempio, abbiamo una presenza molto consolidata nel sistema moda e una qualificata presenza di produttori di qualità. L’obiettivo è fare arrivare su questo mercato nuove tendenze, nuovi soggetti creativi e manifatturieri perché dobbiamo cogliere l’occasione che questo mercato presenta una maggiore sensibilità verso nuovi temi, come quello della sostenibilità, del green, del rispetto della natura, tutte problematiche in cui le nostre imprese si sono cimentate. Inoltre, questi temi hanno già riportato notevoli risultati positivi su altri mercati. Per noi, quindi, l’aspetto importante è quello di farci percepire come portatori di questi nuovi valori che si fanno strada sempre di più nel mercato Americano.
Per le nostre imprese, nel corso degli ultimi anni, una scommessa sono stati i trattamenti rispettosi dell’ambiente per quanto riguarda le pelli, le fibre, soprattutto quelle naturali, o altri trattamenti di prodotti necessari a costituire il processo manifatturiero del settore del tessile e dell’abbigliamento. Oggi probabilmente presentiamo in termini anche di ricerca e sviluppo una produzione più sofisticata e più in linea con queste aspettative. Siamo, quindi, molto fiduciosi sul fatto che questo tipo di risposta positiva del mercato possa rafforzarsi nel corso dei prossimi anni.

Una vostra prima valutazione dopo la collaborazione con Project?

Già con questo evento possiamo dire che abbiamo saputo cogliere e interpretare queste tendenze di cui ho parlato prima. Le nostre imprese coinvolte in questo progetto, tra l’altro, erano già un numero abbastanza interessante. Per la parte futura riteniamo che si dovrà puntare molto sugli aspetti di comunicazione di quello che oggi è il nostro sistema sia creativo che manifatturiero. Dobbiamo sapere comunicare questi valori che a volte sono peculiari o addirittura esclusivi del nostro sistema Italia. Per fare questo, abbiamo bisogno di potere utilizzare diverse piattaforme. L’idea di fondo è di potere utilizzare delle piattaforme consolidate per quanto riguarda il sistema espositivo, ma non è da escludere il fatto che a queste attività si possano aggiungere, forti di queste indicazioni che arrivano dal mercato, anche altre presenze, che possono essere di totale nuova concezione, di intesa con le imprese Italiane e con le strutture che rappresentano l’interesse delle imprese.

Si parla molto di sostenibilità, come è recepita dal mercato americano?

La sostenibilità è un fatto che si accompagna ad una sensibilità in crescita non solo sul mercato americano ma anche su altri mercati in relazione a tutte le problematiche di trattamento dei prodotti nella fase manifatturiera, ma anche alle fasi che riguardano il trattamento delle materie prime, per arrivare anche a come si coltivano le piante da cui provengono poi le fibre vegetali o come si trattano le fibre che provengono dal mondo animale. Sostenibilità, quindi, è una parola d’ordine a cui tutto il sistema deve sottostare perché sul mercato americano questa sensibilità nei confronti della natura e dei processi che non siano troppo invasivi o distruttivi, si sta facendo strada di pari passo a quello che sta avvenendo nei mercati più sofisticati. Qui la risposta del sistema Italia, secondo me, è all’altezza delle aspettative perché, come avevo evidenziato, nel nostro sistema di trattamento delle pelli abbiamo introdotto tutta una serie di processi che limitano l’utilizzazione di sostanze nocive. Abbiamo applicato le tecnologie di recupero e quindi siamo produttori di materie prime o di semilavorati che possono essere una garanzia in termini di sostenibilità. Abbiamo delle aziende che trattano fibre naturali come il cotone, però abbiamo già controllato la fase di coltivazione. Abbiamo delle società che già nella fase di selezione delle fibre naturali, come ad esempio la lana proveniente da diversi animali, hanno una grandissima attenzione e cura per quanto riguarda i processi selettivi e poi trasferiscono nel processo di lavorazione queste fibre, dove le sostanze coloranti o qualsiasi altra sostanza deve essere assolutamente compatibile con il sistema della natura. D’altra parte, siamo obbligati a fare ciò dal fatto che le nostre imprese sono collocate in un contesto della nostra campagna, del nostro sistema Italia che convive e coesiste con dei capolavori dell’architettura e dell’arte. Abbiamo una campagna che essenzialmente ha una grande protezione perché da lì derivano anche altre fonti di reddito come quelli dell’agricoltura e del turismo. È un sistema, quindi, che prima ancora che si facesse strada la sostenibilità come elemento molto forte del mercato Americano, ha dovuto fare questa scelta per causa naturale, per proprie forze interne, perché l’intervento sulla natura soprattutto in Italia deve essere molto leggero e di scarso impatto perché deve salvaguardare anche altri settori dell’economia Italiana. Quindi siamo sicuramente un sistema produttivo in grado di soddisfare questi aspetti della sostenibilità, del green, e di queste legittime aspettative che ci sono nei consumatori. D’altra parte, se il sistema Made in Italy si sta rafforzando sempre di più anche in contesti che non sono sempre stati positivi dal punto di vista dell’economia, è proprio perché è riuscito ad interpretare e dare risposte adeguate a queste aspettative.

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A model’s talk: Ricki Hall

Capelli platino e barba nerissima, occhiali da nerd e baffoni intrecciati, guance nude e pizzetto: Ricki Hall (@rickisamhall su instagram) è l’esempio lampante di come ci si possa divertire a cambiare tutto – ma proprio tutto – del proprio look senza pensare alle regole, e non solo per barba e capelli. Sembra che addosso che gli stia bene tutto perché le sue scelte che sembrano casuali, non lo sono per nulla, vengono studiate con uno styling impeccabile. Eccolo nel nostro editoriale.

A cosa ti ispiri per creare il tuo stile?

Sono un fan degli indumenti da lavoro, del denim giapponese e dell’abbigliamento sportivo americano degli anni ’50. Generalmente, per il mio stile, prendo ispirazione dai film americani degli anni ’50 e ’60 in cui è presente un cenno ai film adolescenziali degli anni ’80. Un elemento fondamentale per me è sapere sempre come sono fatte le cose, capire quanto siano sostenibili, qual è la loro qualità e conoscere le persone che le hanno prodotte. 

Quanto tempo dedichi alla tua beauty routine?

Da poco tempo mi sono rasato completamente i capelli. 
Sul mio viso, invece, utilizzo Eisemberg Paris perché secondo me crea degli eccellenti idratanti e detergenti sia per la notte che per il giorno. 
Sulla barba uso l’olio e il balsamo per barba di Captain Fawcett “Booze & Bacc” per cercare di tenerla sempre controllata e profumata di fresco. Questa routine mi richiede circa 25 minuti al giorno ed è super veloce e semplice.

Viaggi spesso per lavoro, cosa non può mancare nella tua valigia quando viaggi?

Mi porto sempre dietro le mie cuffie e le mie casse di Bang & Olufsen perché senza musica non riesco né a viaggiare né a lavorare. 
Anche le candele, però, non possono mancare perché io amo che le camere d’hotel profumino di casa. Dyptique, ad esempio, ha creato una gamma fantastica: elegante e classica con un tocco di rock n roll. 
Il mio diario è un’altra cosa molto importante per me. Infatti, prendo costantemente appunti e scrivo sempre idee per i miei brands e progetti futuri.

Qual’è la tua città preferita nel mondo?

Londra per me è il top (vivo nel sud est di Londra), mentre New York City e Milano sono al secondo posto. 
Io sono un vero e proprio inglese cresciuto nelle midlands e quindi trasferirmi a Londra a 20 anni mi ha fatto scoprire un nuovo mondo. Devo molto a questa città. Ha contribuito a creare la mia carriera. Londra, infatti, possiede una cultura incredibile ed una storia splendida. Io so di essere a casa quando davanti a me ho un’enorme English breakfast che per me è il cibo dei campioni. Ci ho creato un esercito su quella roba. 

Un posto davvero cool da non perdere a Londra?

Qualche anno fa ti avrei detto The Stables Market a Camden (lavoravo lì), ma negli ultimi due anni è cambiato tutto. Tutti i negozi vintage più divertenti e stravaganti sono stati abbattuti o hanno dovuto chiudere a causa dei prezzi di affitto sempre più alti. Attualmente un posto fantastico che frequento molto è il Brixton Market dove il cibo è insuperabile. Il loro pollo piccante è considerato uno dei migliori del mondo. 
Per una splendida visita gratuit, invece, ti consiglio invece di andare a Primrose Hill. 

La canzone in cima alla tua playlist?

Mentre ero qui a New York ho ascoltato molto Tom Walker. Una delle mie sue canzoni preferite è “Fly away with me”, ma il suo album “What a time to be alive” è semplicemente eccezionale. In realtà non è molto il mio genere perché io solitamente preferisco il metal o il rock però in quell’album ci sono alcune canzoni che mi rispecchiano molto e mi fanno pensare. 

Vantaggi e svantaggi di essere un modello?

Un vantaggio è che puoi viaggiare molto. Uno svantaggio, invece, è quando le persone ti chiedono cosa fai per guadagnati da vivere, tu gli rispondi, e loro ti guardano dall’alto al basso come per vedere se realmente tu abbia i requisiti per fare modello. 

Cosa ti piace dell’Italia?

Sicuramente le tre “P” che per me sono le Persone, la Passione ed ovviamente… la Pizza. La passione che hanno gli italiani per ogni cosa che fanno è veramente d’ispirazione. 

Piani per il futuro?

Ho un brand di vestiti che si chiama “Indigo and Goods” e attualmente abbiamo in programma alcune grandi campagne e linee di abbigliamento grandiose. 
Anche dalla mia collaborazione con il brand di grooming maschile “Captain Fawcett” stanno uscendo nuovi prodotti. Alcuni di quelli che ho creato insieme a loro, sono sono già in commercio e sono tutti per la barba, mentre quelli nuovi saranno per chiunque e comprenderanno shampoo, idratanti e detergenti. Tutti con il famoso aroma Old School per il quale siamo conosciuti… andate a vederli! 🙂

Ricki HallSUPA Model Management @RickiSamHall

Photographer: Cosimo Capacchione

Stylist: Stefano Guerrini

Grooming: Fabiana Daddato

Stylist’s assistants: Daniela Cassis, Salvatore Pezzella

Model: Ricki Hall @Boom Models Milano

Location: FLASH STUDIO Milano

Intervista di Massimiliano Benetazzo

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Quando gli amici ritornano: Claudio Sona

A quasi un anno dall’ultimo editoriale, incontriamo nuovamente uno dei nostri men in town, Claudio Sona, che ci racconta una ritrovata quotidianità, svelandoci qualche dettaglio sui progetti imminenti.

Come sta andando il periodo successivo alla chiusura della tua attività?

Se il 2019 é stato l’anno dei cambiamenti, questo é il momento della costruzione. La realizzazione di una casa che rispecchi la mia personalità e che costituisca il mio porto sicuro insieme alla scelta di una nuova attività, nel settore ristorazione, che mi dia nuovi stimoli. Sono decisioni importanti che preferisco prendere con calma ma delle quali non mi piace parlare per scaramanzia. Quanto alla televisione, non ho progetti immediati ma sono ben accette proposte che non implichino il mero apparire.

A chi ti ispiri per creare il tuo stile?

Non mi ispiro a qualcuno in particolare, anche se ho i miei stilisti preferiti. Amo essere casual nel quotidiano, però mi sento ugualmente a mio agio se devo vestirmi elegante. Mi piace spaziare, abbinando colori e modelli, per non essere mai banale o scontato.

Stai facendo crescere i capelli, li curi con prodotti particolari?

Far crescere i capelli é stata una decisione che mette a dura prova la mia pazienza perché al momento sono ingestibili. Odio aspettare, vorrei averli lunghi e subito. Facendo palestra tutti i giorni li lavo spessissimo per cui cerco di curarli per evitare che si rovinino facendo molte maschere e, soprattutto, usando prodotti di qualità.

Quanto tempo dedichi alla tua beauty routine?

Sono un incostante, non posso dire di avere una beauty routine precisa. Ovviamente ogni giorno cerco di pulire accuratamente la pelle del viso e idratarla. Faccio delle maschere un paio di volte a settimana e alla sera uso un prodotto specifico per le occhiaie. Quando riesco, cerco di ritagliarmi del tempo  per coccolare il mio corpo con massaggi e trattamenti estetici mirati.

Il pezzo in cima alla tua playlist?

Amo tutta la musica e mi piace cantare. Mi tengo aggiornato e seguo tutte le uscite del momento. Non ho una canzone preferita ma ho degli artisti che seguo da sempre. Tra gli italiani sicuramente ascolto con piacere Vasco Rossi, Marco Mengoni e Tiziano Ferro mentre tra gli stranieri Bon Jovi, perché mi ricorda la mia adolescenza, ma anche Lady Gaga e Madonna.

Il libro che hai sul tuo comodino ora?

Cerco di leggere, quando posso, e sul mio comodino ci sono sempre molti libri in attesa di essere letti. Non ho un genere preferito. In questo periodo sto leggendo “Papà per scelta”, libro per il quale farò il moderatore alla presentazione che si terrà a Verona che mi sta prendendo molto.

La prima cosa che fai appena sveglio e l’ultima prima di addormentarti?

Ormai é diventato un rito: guardare cosa fa il mio cane Oscar. Difficile fare altro. Ogni sera si stende a terra, vicino al mio letto poi, quando si accorge che mi sono addormentato, si alza e va a dormire nell’altra stanza. Al mattino, non appena sente che mi giro nel letto, capisce che mi sto svegliando e mi raggiunge accucciandosi al mio fianco.

Intervista: Massimiliano Benetazzo

Photographer: Alisson Marks

Styling: Stefano Guerrini

Stylist’s assistants: Daniela Cassis, Salvatore Pezzella

Grooming: Rodrigo Souza

Model: Claudio Sona

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Andreas Geisen: tra danza e social

Il giovane ballerino Andreas Geisen rappresenta un equilibro perfetto tra mascolinità urbana e seduzione discreta. È naturale e autentico, si prende cura di se stesso e coltiva un’eleganza senza sforzo. Prima di tutto è uno sportivo, infatti scopre la passione per la danza da piccolo, portandola avanti con duro lavoro e sacrificio. Oggi però non c’è solo danza, arrivano anche i primi lavori nella moda e l’attività di lifestyle influencer sui social che lo entusiasma sempre di più.

Come e quando hai capito di avere una passione per la danza?

Quando ho iniziato a ballare ero davvero giovane, avevo solo 9 anni. L’idea fu di mia madre e mi piacque subito perché ero l’unico maschio circondato da bambine. Verso gli 11 mi feci male e non fui in grado di ballare. Per due mesi sentii che mancava qualcosa nella mia vita. È stato così che ho capito che il balletto era la mia passione che avrebbe guidato la mia vita.

Parlami dei tuoi studi e del tuo background professionale

Mi sono formato alla Paris Opera Ballet School e al Conservatoire Supérieur di Parigi. Successivamente sono andato al Balletto Nazionale Polacco per una stagione, poi in Germania. Ho passato 4 anni a dividere la mia vita tra Parigi e l’Opera di Bordeaux.

Ci sono persone che ti hanno ispirato sia dal punto di vista professionale che personale?

Ci sono così tante persone da cui sono ispirato, ad esempio tali Neil Patrick Harris, Hugh Jackman, Rudolf Noureev, Baryshnikov. Sono anche molto ispirato da film e storie che accadono nella vita reale, dalle persone che hanno cambiato il mondo e non l’avrevvero mai pensato. Adoro i film biografici.

Quali sono le tue opere più recenti e significative come ballerino?

Sicuramente Notre Dame de Paris di Roland Petit, in primo luogo perchè è un capolavoro del 20 ° secolo, e poi per quello che è successo a Parigi l’anno scorso. È stato davvero importante per me poter cogliere questa occasione. È un bellissimo tributo a Notre Dame.

Parlami della tua carriera come modello e della tua ultima esperienza

Fare il modello è un po ‘difficile perché il mio corpo non corrisponde ai canoni della moda. I ragazzi devono essere molto alti per farlo. Il mio ultimo lavoro importante è stato ballare all’inaugurazione dello spettacolo Dior S/S a Shanghai durante la settimana della moda ed è stato semplicemente fantastico per me. Tuttavia immagino che tutte le grandi campagne a cui prenderò parte come modello saranno sempre legate al balletto.

Sei anche un content creator che parla di viaggi e lifestyle, quando e perché hai iniziato questa attività?

Ho iniziato questa attività 3 anni fa, alla fine del 2016, e la trovo molto interessante. È un nuovo modo di connettersi con un brand senza l’intermediazione di un’agenzia. Quello che mi piace è che riesco a fare la mia campagna con le mie regole. Amo quella libertà e lasciare che la mia creatività faccia il lavoro da sé.

Com’è la tua giornata tipo?

La mia giornata tipo è svegliarmi verso le 9, svegliare il mio corpo (allenamento addominali), balletto alle 11.30 fino alle 13.30, poi stretching fino alle 2.30 e poi il pranzo. Quindi le prove, o Physio, o incontri con agenzie e brand.

Quali sono i tuoi posti preferiti a Parigi?

Adoro il 2° distretto, c’è sempre qualcosa da scoprire e la strada è bellissima lì. Soprattutto intorno a Montorgueil, è come un piccolo villaggio.

Quali sono i luoghi che ami di più per ricaricare/riabilitare te stesso?

Non ho un posto preferito, perché ogni settimana scopro nuovi bar. Nuovi hotel.  Immagino che siano dove mi sento al meglio, casa e negli studi di balletto.

Quando viaggi, quali sono gli elementi essenziali per te?

Quando viaggio i miei elementi essenziali sono il mio telefono, le mie cuffie, una bottiglia d’acqua e limone, vestiti comodi, i prodotti per la cura della pelle e un costume da bagno.

L’ultimo libro che hai letto o la musica che ami?

L’ultimo libro che ho letto è stato Notre Dame de Paris di Victor Hugo. In questi giorni ascolto l’artista francese Angel e la playlist Jazz Romance su Spotify. Inoltre, sto ascoltando il re leone perché farò l’audizione per lo spettacolo di Broadway.

I tuoi prossimi progetti e sogni nel cassetto?

Ho questa enorme audizione per lo spettacolo di Lion King the Broadway in arrivo a Febbraio, oltre a tutte le audizioni delle compagnie di balletto. E vorrei anche provare un po’ di recitazione. Vediamo cosa ha da offrire il 2020!

Photo credits:

Anthony Pomes @apomesphoto
Marion Colombani @studiomarioncolombani
Elle Urakova @by_elleurakova

Andreas Geisen @andrew.gsn

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Intervista a Marco Bianchi: il gusto della felicità

Per Marco Bianchi cucinare è un gesto d’amore, per noi stessi, per le persone che amiamo, per tutti coloro che ci vogliono bene. Ma anche parlare di cibo e di salute rappresenta un modo di esprimere questo amore. Da qualche tempo è tornato nelle case degli italiani, sempre in cucina, con un nuovo programma, Il gusto della felicità, in onda su Food Network, canale 33 del digitale terrestre. Nel suo libro invece, Il gusto della Felicità in 50 ricette, si racconta ripercorrendo i momenti più importanti, gli incontri, gli aneddoti e i ricordi che lo hanno reso la persona che i suoi tantissimi fan conoscono e amano.  

Ti definisci un food mentor, ma cosa significa nel concreto?

Significa ogni giorno andare alla ricerca di quello che il cibo ci può offrire, in qualità di prevenzione e benessere. Il mio compito è quello di studiare la letteratura scientifica e di portarla allo stato pratico nella quotidianità, attraverso i blog e i canali social.

Come è nato il tuo impegno con Fondazione Veronesi?

È nato un po’ per caso, ero ricercatore e borsista nello staff di Umberto Veronesi, nella parte di oncologia sperimentale, e chiacchierando con il Professore mi sono innamorato anche dell’aspetto divulgativo. Questo incontro ha permesso di sensibilizzarmi ulteriormente all’argomento, infatti mi sono buttato a capofitto su questo progetto che ha avuto poi un ottimo riscontro.

Quali sono oggi, secondo te, le barriere sulla prevenzione che bisogna abbattere?

Sicuramente tante, prima tra tutte quella sugli uomini. Sto portando avanti una campagna proprio dedicata a loro, ed è imbarazzante scoprire quanto un uomo oggi sia ignorante in termini di prevenzione. Un’autopalpazione ai testicoli, ad esempio, dovrebbe essere una prassi normale che chiunque potrebbe fare tutti i giorni sotto la doccia ed invece diventa per gli uomini qualcosa che non hanno mai pensato di fare. Purtroppo, invece, è un tumore che colpisce il genere maschile giovane, tra i 15 e i 45 anni, e ad oggi è ancora uno dei primi che colpisce questa fascia d’età. Abbiamo tanto da imparare dalle donne, che sono sempre in prima linea su questo, dal pap test alla visita ginecologica alla mammografia, sono certamente più attente.

Oggi ci sono molte più intolleranze rispetto ad un tempo, penso anche alla celiachia ad esempio. Perchè questo fenomeno? Quali potrebbero essere dei consigli?

Abbiamo veramente un incremento di sensibilità e intolleranze. Sembra dovuto al fatto che abbiamo perso l’abitudine di mangiare in maniera varia, ma ci focalizziamo sempre sugli stessi alimenti sensibilizzando così il nostro intestino a non accettare determinate sostanze come glutine, zuccheri e grassi. Purtoppo, ognuno di noi ha una propria sfaccettatura sotto questo punto di vista. Basterebbe resettarsi con un digiuno mirato, educato e fatto con un medico, variando la dieta. In un secondo tempo si potrebbero reintegrare pian piano alcuni alimenti mentre altri invece andrebbero allontanati per un certo periodo.

Quale è la tua giornata tipo?

Dipende, ho giornate veramente varie. La più standard vede la sveglia alle ore 7, una colazione piacevole e abbondante perché deve essere un momento bello e poi c’è lo studio dell’agenda e degli impegni da fare. Dopodiché, inizio solitamente con qualche riunione, e in base ai periodi sono più rilassato o meno. Devo anche gestire la vita da papà: c’è sempre la spesa da fare, devo cucinare, e a volte lo mostro attraverso i social mentre altre volte preparo 7/8 piatti diversi che poi presento nel corso delle settimane o dei giorni.

Prossimi libri o prossimi progetti in cui ti vedremo?

Fino a fine Gennaio sono in onda con “il gusto della felicita” su FoodNetwork dalle ore 21. Poi sto mettendo in cantiere un nuovo progetto TV che spero vada in porto e un nuovo libro. Per quest’ultimo ho ancora le idee un po’ confuse, ci metterò la testa da gennaio in poi.

Il food ha avuto un’esplosione sui canali TV negli ultimi anni. Ti piace che se ne parli così tanto?

All’italiano piace sedersi a tavola e ama cucinare e finché abbiamo programmi che fanno questo posso funzionare ancora anch’io. Tuttavia, mi distinguo dagli altri, mi piace essere un po’ di nicchia sotto quel punto di vista perché non cucino di tutto e seleziono ingredienti e ricette. Vado a cucinare per migliorare la salute altrui, e finché l’obiettivo c’è ed è forte, bisogna sempre inventarsi qualcosa di nuovo affinché non diventi tutto troppo monotono.

Rispetto ai social invece, cosa pensi anche di questa ascesa?

È la nostra rivoluzione oggigiorno. Probabilmente li guardiamo anche troppo, però dipende sempre dagli usi che ne facciamo. Personalmente, è l’unico modo che ho per scambiare opinioni con la mia community e quindi anche di migliorarmi. Le critiche possono esserci sempre e, costruttive o distruttive che siano, ci permettono di allinearci con le esigenze della fan base.

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La rivoluzione etica di Brunello Cucinelli

Il suo capitalismo umanistico ha cambiato il modo di fare impresa, attraverso il sostegno della cultura e del tempo libero.

È il re del cashmere, prodotto nell’antico borgo umbro di Solomeo. Secondo un sistema imprenditoriale rivoluzionario che difende e promuove i valori di cultura, tradizione e soprattutto dignità umana. Dai bonus cultura per impiegare il proprio tempo libero in maniera costruttiva, alla scelta di dare un limite ben definito alle ore di lavoro, al di fuori delle quali è fortemente consigliato di non rispondere a mail e telefonate di lavoro, per dedicare quel tempo (dalle 17.00 in poi) a tutto quello che può arricchire mente e anima nel profondo.   “Le mansioni dell’artigiano e dell’operaio sono dure e ripetitive. E se ti faccio lavorare oltre l’orario ti rubo l’anima. Inoltre, la creatività è solo dove c’è la bellezza”.

Non solo una meritatissima laurea ad honorem in filosofia, ma il maestro di eleganza e portatore sano del Made In Italy nel mondo, di un’eleganza vera e credibile, si trova al terzo posto tra gli uomini vestiti con classe nella classifica di Gq Uk.

Il suo prodotto è un vero caso di eccellenza senza eccezioni che, unito al suo metodo imprenditoriale fuori dal coro, gli ha fatto raggiungere dei traguardi incredibili anche nel periodo di crisi più buoio per l’economia italiana, fino ai brillanti risultati del 2019 che hanno registrato un’ulteriore crescita dei profitti del 9%. Un eroe dei nostri giorni, insomma, i cui interessi non si limitano mai soltanto all’impresa, la sua Fondazione Brunello Cucinelli e Federica Cucinelli sono costantemente impegnati nel restauro dei tre monumenti più rappresentativi di Norcia: la Torre Civica, il Teatro e il Museo della Castellina. “C’è bisogno di avere maggiore coraggio per dare un segnale di speranza alla gente” ha dichiarato l’imprenditore che con coraggio lavora sempre a fianco della gente, perché, parafrasando una citazione di Kant, non esiste bello senza bene morale.

Pierfrancesco Favino con un tuxedo in velluto Brunello Cucinelli durante i 32mi European Film Awards, presso la Haus Der Berliner.

BERLIN, GERMANY – DECEMBER 07: Pierfrancesco Favino, wearing Brunello Cucinelli, attends the 32nd European Film Awards ( Europaeischer Filmpreis ) at Haus Der Berliner Festspiele on December 07, 2019 in Berlin, Germany. (Photo by Matthias Nareyek/Getty Images)

Stefano Accorsi ha indossato un abito tre pezzi su misura Sartoria Solomeo, in tela di lana, camicia effetto denim e accessori Brunello Cucinelli durante la premiere del film “La Dea Fortuna” a Roma.

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Moda sostenibile: Hand Picked

Il brand presenta a Pitti Uomo 97 una collezione ispirata alla natura e ai suoi colori, una collezione completa e ampia in cui si riconferma un’estrema qualità dei materiali e una cura per i dettagli che solo l’attenzione alla sostenibilità e il Made in Italy possono garantire. Abbiamo intervistato Franco Catania, Founder di Hand Picked e CEO di Giada Spa che ci ha raccontato come è nato il progetto.

Quando e come è nato il progetto Hand Picked?

Private label di Giada SpA, Hand Picked nasce nella PE19, presentandosi al pubblico con una capsule di 15 pezzi e una filosofia molto green. hand picked nasce dalla voglia di Giada nel mettere in campo tutto il know how acquisito in oltre 30 anni di attività che l’ha resa leader mondiale nel settore del denim di lusso

Come sta evolvendo dopo le prime stagioni?

Dopo il lancio a Pitti Uomo nel giugno 2018, Hand Picked oggi è  posizionata in oltre 250 punti vendita in tutto il mondo con una collezione che nella stagione AI20/21 è  composta da 117 capi tra pantaloni e top 

Quali sono i dettagli che rendono speciale la collezione?

I capi in collezione sono frutto di tanta ricerca, sia per quanto riguarda i materiali in prevalenza ecosostenibili, sia per quanto riguarda lo stile. Ogni pantalone, caratterizzato da una manifattura sartoriale, nell’intera filiera produttiva vede circa 80 passaggi per arrivare ad essere completo e un tempo di lavorazione  3/4 volte superiore rispetto a un qualsiasi altro 5 tasche. Giada, infatti, è sempre stata attenta ai particolari, dal sacco tasca con bordino logato, il nostro baffo – segno distintivo del brand – ricamato a punto pettine, bottoni e rivetti in rame martellato a mano, grograin cucito all’interno della bottoniera e l’innovativa salpa in appleskin.

Qual è il capo iconico della capsule?

Giada è famosa in tutto il mondo per il 5 tasche, per cui il capo che più ci rappresenta è il Ravello insieme all’Orvieto, ma anche altri capi con concezione comfort come il Colonna e il Vieste stanno riscontrando grande successo.

Quanto è importante la sostenibilità per il brand?

Hand Picked si basa sul concetto ecofriendly,  perchè riteniamo che la moda debba dare il proprio contributo nel rispetto e nella tutela dell’ambiente. oltre ai materiali, anche le diverse fasi di lavorazione sono all’insegna della sostenibilità. Infatti, oltre a riciclare il 60/70% dell’acqua, riutilizziamo gli scarti di lavorazione come la pietra pomice che viene impiegata nel giardinaggio, oppure il tessuto riutilizzato nell’industria automobilistica.

Il denim rappresenta il core business di Giada SpA, come è cambiato il mercato in questi ultimi anni?

il demin da tessuto utilizzato per la realizzazione di capi da lavoro, quindi indossati da operai, oggi è diventato un must have da indossare in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi contesto perché  la sua versatilità  lo trasforma da capo sportivo a capo elegante.

Le sfide e i progetti per il futuro?

Giada conta su una forza lavoro composta da circa 1000 addetti tra diretti e indiretti. personale specializzato e appassionato, con questa spinta, puntiamo a obiettivi sempre più ambiziosi e a mercati nuovi dove la richiesta di capi sartoriali si sta sempre più affermando.

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SEMIR x Dumpty: intervista a Yang Zhu

Durante la Milano Fashion Week siamo stati invitati alla sfilata di SEMIR x Dumpty, che hanno portato sul palcoscenico mondiale pensiero e attitudine della giovane Generazione Z cinese.

SEMIR ha inoltre intrapreso una collaborazione con il principale salone europeo di moda, WHITE MILANO, che da anni promuove internazionalmente i migliori designer e brand del segmento fashion. Abbiamo intervistato il loro E-Commerce Marketing Director, Yang Zhu.

Siete a Milano per la prima volta, come mai avete scelto questa fashion week per mostrare i vostri progetti?

La fashion week è un evento molto importante per SEMIR perché vogliamo essere un brand internazionale, infatti nelle scorse settimane abbiamo sfilato anche a New York e Londra. Lo facciamo per essere presenti con le nostre collezioni e come brand, e anche perché sfilare a Milano è sempre stato un nostro sogno oltre che un obiettivo, nonostante non sia facile arrivarci.

Abbiamo lavorato molto duramente affinché questo sogno si realizzasse, anche perché ci sono molti altri brand di lusso che presentano le proprie collezioni durante la Milano Fashion Week. Per questo motivo, per noi è un onore e un motivo di orgoglio avere uno spazio durante questa settimana.

Come avete conosciuto White?

Anche nel mercato cinese White è abbastanza conosciuto, quindi molti brand e designer lavorano per trovare delle opportunità attraverso di loro. Inoltre, White ha da tempo diversi agganci in Cina, quindi sappiamo che sono una piattaforma molto forte con cui collaborare e siamo lieti di essere aiutati da loro e di poterci lavorare.

Quali sono le principali caratteristiche di un e-commerce cinese?

Penso che la cosa più importante sia la convenienza, infatti è molto conveniente per i consumatori cinesi acquistare online e soprattutto è diventato parte della routine di tutti, specialmente di quella della generazione più giovane. Un altro fattore importante è il fatto che si debba avere un uso smart degli e-commerce, anche perché acquistare tramite i social media è normale per i giovani cinesi.

Non è una questione che riguarda solo il negozio, ma anche lo stile di vita che ci gira intorno. La nostra compagnia presta molta attenzione alle nuove generazioni per offrire loro il servizio migliore in maniera conveniente.

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Ritratto di un designer: Mauro Grifoni

Tutto è iniziato nel 1992, da un taglia e cuci “improvvisato” nell’armadio del nonno e del padre sulle loro camicie. Da quel momento in poi il designer Mauro Grifoni non si è più fermato. Dall’intuizione che sarebbe stata quella la strada da intraprendere, ha costellato di successi il suo percorso creativo improntato sull’heritage sartoriale italiano, ma declinato in formule e soluzioni stilistiche sempre atipiche e assai raffinate nell’esecuzione. Noi di Man in Town abbiamo avuto l’onore di conoscere un po’ meglio questo protagonista della moda italiana e il suo entusiasmo per il nuovo progetto chiamato Covert.

Essendo uno dei top player della industry italiana c’è qualche altro sogno nel cassetto che vorresti raggiungere?

Quando ho iniziato era tutto un sogno e posso dire che con il mio precedente brand MAURO GRIFONI molti di quei sogni sono riuscito a realizzarli.
Oggi resto un sognatore perché è una delle miei caratteristiche , ma penso di essere più razionale.

Covert è un progetto che segui con passione, cosa rende diversa una direzione artistica dall’altra?

Nel nome stesso che ho voluto per questo mio progetto COVERT siamo già verso una direzione artistica mai scontata.
COVERT = nascosto come aggettivo.
COVERT = rifugio come sostantivo.
Considero Covert non per tutti ma allo stesso tempo può esserlo.
Non seguo delle logiche commerciali scontate e nemmeno la direzione artistica lavora su immaginari preconfezionati che poco si addicono alla filosofia del brand, amiamo guardarci intorno per poi cercare di offrire una nostra interpretazione.

Hai qualche talento segreto? Un hobby insolito o comunque particolare?

Amo cucinare, mi rilassa. Lo faccio quasi sempre per le persone che amo, per gli amici e per me stesso, è la mia terapia segreta. Non ho un vero hobby attualmente se non il mio lavoro.

Sempre per conoscerti un po’ meglio, come è nata la tua passione per la moda?

Fa ridere però è la verità… Ai tempi usavo molto la camicia e quelle che vedevo sul mercato non mi piacevano quindi prendevo quelle di mio nonno e mio padre e cominciavo a tagliare, cucire etc etc, ad un certo punto sia mio nonno che mio padre mi hanno proibito di entrare nei loro armadi ed è lì che ho pensato di produrmi e vendere le prime camicie… morale della favola, sono nato con la camicia!

Chi è Mauro oggi? Verso dove sta volgendo lo sguardo e cosa punta a raggiungere?

Il solito sognatore più concreto, amante di quello che faccio, curioso del sapere e del fare con una famiglia stupenda e 3 fantastici rhodesian ridgeback. Mi piacerebbe vedere Covert come un figlio cercando di insegnargli rispetto, educazione e buone maniere, poi se sarò stato bravo un giorno qualcuno potrà raccontarlo.

Se potessi descrivere la tua vita con un libro, quale sarebbe e perché?

 Il paragone con un libro mi sembra di non essere all’altezza però ultimamente ho letto IL SILENZIO DELLE PIETRE di Vittorino Andreoli, in cui il protagonista è un uomo esasperato dalla follia del proprio tempo. Mi è piaciuto sopratutto perché è un’analisi sui limiti della nostra epoca, ma anche sui nostri.

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Benessere al maschile, risponde l’urologo

Parliamo di benessere tutto al maschile con il Dott. Nicola Macchione, specializzato in Urologia presso l’Università degli Studi di Milano e con all’attivo numerose esperienze internazionali. Se l’interesse verso la “salute del maschio” da parte di società e media era marginale fino a qualche tempo fa, oggi fortunamente aumenta sempre di più. Nicola cerca di superare questa sfida medica e culturale quotidianamente, e per farlo utilizza anche i social (@md_urologist su Instagram e @NicolaMacchione su Twitter) offrendoci diversi spunti di riflessione attraverso il racconto della sua professione.

Come è nato il tuo interesse per questa specialità?

Ecco, è sempre molto difficile rispondere a questa domanda, in praticolar modo perché in realtà le motivazioni che spingono un medico ad interessarsi di una specifica branca della medicina, sono molteplici e spesso sconnesse tra di loro. Ebbene, io, come molti miei colleghi, cominciato il percorso di studi, sapevo da che punto iniziavo, ma non ero conscio di cosa sarei finito a fare. Ed è proprio nel corso degli studi e della formazione, che gli incontri, le patologie trattate, le prime esperienze chirurgiche da studente; in qualche modo ti segnano e finiscono con l’influenzare quella che è la scelta finale. Io, ho trovato la branca uro-andrologica sempre estremamente interessante. Pensa, che mi formavo in un periodo storico dove il concetto di “salute del maschio” era praticamente assente nel percorso di studi. Non se ne parlava, anzi, era qualcosa di cui vergognarsi, ancora un tabù. Molte patologie come il tumore della prostata, il deficit erettivo e anche l’eiaculazione precoce,  erano trattate marginalmente. Per questo ho scelto questa branca della medicina che in qualche modo ti esponeva ad “una sfida in più”, non solo medica, ma anche culturale.  

Molti temono la tua figura, ma quando è opportuno cominciare ad andare dall’urologo?

Spero in realtà che nessuno tema l’urologo, ma hai colto in pieno il punto con questa domanda.  In realtà, non esiste una “data di scadenza” per cui è utile andare dall’urologo, ma esiste il buon senso. Anche qui si tratta di un fattore puramente “culturale”. Mentre siamo abituati a sentire di una donna, appena adolescente, che si reca dal ginecologo (nonostante non abbia problemi, ma solo per eseguire una valutazione del suo stato di “maturità e crescita”). Non lo siamo affatto se sentiamo di un adolescente che si reca da un urologo. Tale evento subito tende a farci pensare alla presenza di un “problema”, una “malattia”.  Questo perché mentre la maturità della donna passa attraverso le note “perdite mensili”, e quindi l’idea del sangue ci porta a pensare alla presenza di un qualcosa da dover controllare, la maturità del maschio, passa clinicamente “inosservata”, e quindi perché recarsi dal medico ? Per cui si rimanda al “buon senso” di ognuno, o alla fortuna di avere medici di famiglia scrupolosi.

Nell’ambito della tua professione quali sono le malattie e i disagi per cui vieni interpellato più di frequente?

Dipende dalle fasce di età di cui parliamo. Solitamente i pazienti tra i 15-20 anni giungono alla mia osservazione per problematiche sostanzialmente legate all’apparato genitale, che vanno dal “dolore al testicolo” alla “fimosi serrata”. Come del resto accade anche per i pazienti di età compresa tra i 20-30 che tendenzialmente arrivano con problematiche che sono legate a disfunzioni dell’apparato genitale, ma che riguardano argomenti differenti; come il deficit dell’erezione, l’eiaculazione precoce e per questioni “morfometriche” del pene. I pazienti invece dai 30 ai 50 anni, giungo solitamente all’osservazione per problematiche “minzionali; legate soprattutto alla prostata. Queste vanno dalle prostatiti sino a quadri di ipertrofia prostatica. Poi superati i 50 anni, tendenzialmente le differenze tra le fasce di età si appiattiscono per cui vedo paziente per i motivi più vari; ovviamente aumenta la percentuale  di malattie oncologiche dell’apparato uro-genitale.

I cibi migliori e quelli invece da evitare per la salute di noi uomini

“Lascia che il cibo sia la medicina”, sembra avesse detto Ippocrate. E mai come in questi ultimi anni studi scientifici ci mostrano ogni giorno di quanto il padre della medicina non si sbagliasse affatto. Tanto è vero che l’uso di integratori alimentari usati per il benessere e la prevenzione di patologie dell’apparato uro-genitale è un fenomeno che cresce esponenzialmente. Esistono molte sostanze in natura capaci di “aiutare” il nostro corpo ad “invecchiare meglio” e quindi a prevenire processi patologici. Pertanto in generale utile impostare una dieta che preveda un giusto rapporto tra carboidrati, proteine e grassi. Ridurre gli zuccheri ed i grassi totali, un giusto equilibrio tra omega-3 (effetto antinfiammatorio) ed omega-6 (pro-infiammatori). Per cui pesce (olio di pesce), riso, olio extravergine di oliva, carote, zucca, zucchine, cavolo, finocchio, cicoria e rape (radici in genere) ad alto contenuto di tali grassi. Per ridurre gli omega-6 (perché co-fattori degli stati infiammatori) razionare l’apporto di carni fresche e conservate, salumi, insaccati, uova, fritti, dolci, bevande zuccherate, farine raffinare e formaggi grassi. Bene anche l’uso di soia, curcuma, zafferano, pomodoro e semi di zucca.

Un tema importante è quello dell’inferitilità, quale la relazione tra stile di vita e questa problematica?

Negli ultimi anni assistiamo all’incrementare del numero di pazienti che giunge alla nostra osservazione per “infertilità”. Tale fenomeno sicuramente è legato a moltissimi fattori, sociali, culturali (che per fortuna stanno cambiando) ed ambientali. La condizione di fertilità è un equilibrio in continuo divenire che cambia continuamente. Tale condizione può avere diversissime cause; prima tra tutte quelle genetiche, ambientali, comportamentali ed anche sociali. Infatti fattori che influiscono oltre a quelli cromosomici, sono l’età (ormai sempre più avanzata) alla quale si decide di diventare papà; l’inquinamento (esposizione continua a sostanza tossiche), comportamenti sessuali inappropriati (trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili), ed altri ancora. In questi casi è sempre utile eseguire un corretto inquadramento del soggetto affetto da infertilità, ma soprattutto della realtà “coppia”.

Utilizzi molto i social per raccontare il tuo lavoro, quali sono i feedback di chi ti segue?

Negli ultimi anni il modo di comunicare ed informare è cambiato moltissimo; anche in ambito scientifico. Basti pensare all’uso di twitter durante i meeting internazionali per comunicare tra audience e relatori. Ho deciso di cominciare con i social (Instagram e Twitter) per far sì che le informazioni (non quelle di dottor Google, ma quelle dei medici veri) arrivassero ad un pubblico quanto più ampio possibile. Insomma per smetterla di lamentarmi della disinformazione “in rete” e per fare “informazione & formazione”. I feedback sono positivi, mi giungono ogni giorno mail e messaggi per info e curiosità in merito a “falsi miti” e veri e propri problemi uro-andrologici.

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Stars & The City: Susan Miller si racconta e ci svela il futuro

Uno dei tanti vantaggi di vivere nel costante trambusto di New York è la capacità di entrare in contatto con una moltitudine di esperienze culturali diverse, e con l’ispirazione delle persone che le hanno create. Di recente, ho avuto l’opportunità di incontrare l’astrologa stellare Susan Miller, autrice di fama mondiale ed editorialista per diverse riviste di moda internazionali. Susan è anche la fondatrice del sito web Astrology Zone: creato nel 1995, oggi conta 300 milioni di page views annuali ed è letto con entusiasmo da 11 milioni di persone all’anno. Tutti i lettori attendono con impazienza il primo giorno del mese, quando Susan pubblica in modo molto elegante e divulgativo le sue previsioni astrologiche complete per il mese a venire.

Susan ha suggerito la data del nostro incontro dopo aver consultato il suo calendario astrologico per l’anno (The Year Ahead). Quel giorno c’è stata una congiunzione tra il Sole e Venere, che, come mi ha spiegato, è una data fantastica per ogni tipo di comunicazione e collaborazione.

Non potevo essere più eccitata di avere un’astrologa così rispettata davanti a me, e per di più in una data perfetta per la nostra intervista! Quel giorno ero elettrizzata per i milioni di possibili risposte che avrei potuto ricevere a tutte le mie domande. È un’oratrice meravigliosa e una splendida persona con la quale passare del tempo. Di seguito un’ intervista esclusiva riguardo la sua vita e il suo lavoro oltre che una visione anticipata per i prossimi mesi, che pubblicheremo a ridosso del 2020.

Quindi, ci stavamo chiedendo: quando hai sentito crescere in te questa passione per l’astrologia?

Volevo imparare l’astrologia, ma non avrei mai voluto che qualcuno sapesse che conoscevo questa materia. Pensavo dovesse essere un mio segreto perché  non era accettata. Avevo 14 anni e avevo appena passato un anno intero in ospedale a causa di un terribile intervento chirurgico per correggere un difetto della nascita, ma sfortunatamente ebbi un problema diverso quando mi svegliai: ero paralizzata dal ginocchio in giù. Non avevo nessuna certezza riguardo al fatto che sarei stata in grado di camminare nuovamente. Ho pregato i miei santi protettori, ma avendo solo 14 anni all’epoca volevo sapere se sarei riuscita a camminare di nuovo. Il mio piano era quello di non dire mai a nessuno che conoscevo l’astrologia. Mia madre non voleva insegnarmi niente a riguardo perché aveva paura che avrei studiato troppo poco prima di dare consigli ai miei amici, ma ha ceduto dopo un anno, dopo la mia promessa di studiare per 12 anni e di non leggere le carte a nessuno al di fuori della mia famiglia. La gente pensa di poter imparare l’astrologia in pochi mesi, mentre lei mi ha detto che ci avrei impiegato 12 anni altrimenti non sarei stata abbastanza competente.

Se potessi tornare indietro nel tempo, quale personaggio storico saresti e perché?

SM: Thomas Jefferson!

Afferma così, e con molta passione mi spiega che in quel momento storico nel 1776, anche se si sarebbe dovuta vestire come un uomo, avrebbe voluto far parte dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, un gruppo molto coraggioso e disposto a sacrificare le proprie vite per la libertà.

MT: Pensavo che mi avresti risposto Cleopatra magari…

SM: Mi piace l’Egitto! Gli egizi misero l’astrologia sulle loro mappe. Sai cosa sarebbe stato divertente? Cleopatra che si faceva leggere il tema natale.

Raccontaci della tua giornata tipica da astrologa. Facciamo finta che seguiamo Susan per 24 ore a New York. Cosa fai?

Potresti trovare la mia giornata abbastanza normale. Mi sveglio alle 6, e come prima cosa chiamo la banca per assicurarmi che il mio personale abbia ricevuto e incassato i propri assegni. Mentre controllo queste cose con la banca, mi lavo la faccia e applico una maschera. Dopodiché prendo le vitamine, e dopo la doccia metto sieri e le mie creme idratanti. Alle 9 faccio un’intervista internazionale in Europa (se il reporter è in Asia, faccio queste interviste alla mezzanotte dell’orario di New York). Per le 10 sono fuori casa. Prendo una tazza di caffè – magari anche un cornetto – e inizio a scrivere dal coffee shop, può essere che mi fermi anche per tre o quattro ore prima di cambiare location. Rimango sveglia fino alle 2 di notte, non ho bisogno di dormire molto.

Photo courtesy: Il Carlyle, a Rosewood Hotel New York

Lavori da casa o in ufficio?

SM: Ti sembrerà divertente; vado da Dunkin’ Donuts. Tutti mi prendono in giro per questa cosa perché è un negozio strano, arancione e viola con un personale molto amichevole. Starbucks non mi piace, è troppo cupo, preferisco l’atmosfera che c’è da Dunkin’ Donuts. Bevo soltanto una tazza di caffè al giorno.

Quando me ne vado da lì cerco un altro posto in cui lavorare. Scrivo tutto il giorno, perché quando lavoro per il mio sito web, Astrology Zone, ogni segno zodiacale mi richiede almeno 7 ore di tempo. Ariete e Toro sono i primi due segni, quindi potrei impiegare un’intera giornata a scrivere per quei due perché devo fare calcoli e devo memorizzare tutti i vari aspetti del mese.

Qui posso mostrarti…”, dice Susan mentre mi porge una cartella di 40 pagine piena di grafici e calcoli per i passaggi e le eclissi a venire, e mi rivela che avranno un ruolo importante per tutti noi nel mese di dicembre,” il giorno di Natale ad essere precisi. Sarà una fantastica giornata!

Susan mi dice anche che va a Los Angeles una volta al mese, perché è lì che si trovano diversi membri del team che la supporta con il suo sito web.

Quali sono i tuoi posti preferiti in città?

Chiunque venga qui dovrebbe andare ad Ellis Island, è il posto che preferisco da far vedere ai miei amici. Inoltre, adoro vedere il ponte di Brooklyn dalla terrazza del Soho House – è così bello! Se dovessi portare dei bambini a New York, li porterei al Central Park Carousel perché è dove mia madre mi portava quando avevo cinque anni, e anche alla piccola barca tra la 72esima strada e la Fifth Avenue.

New York ha anche così tanti ristoranti ottimi che è praticamente impossibile stabilire quale sia il migliore. Per avere una vista meravigliosa mi piace andare al Top of the Rock – è di gran lunga migliore rispetto alla vista dall’Empire State Building. Un hotel che mi piace molto è il Carlyle, dove vado sempre per bere il thè, che è anche l’hotel dove il Presidente Kennedy e Jackie erano soliti dormire durante i loro soggiorni qui. New York, aggiunge con uno sguardo luminoso, è “attraente” e “nessuna città al mondo è come New York a Natale. L’intera città è illuminata – New York sa come celebrare le festività, inoltre a dicembre nevica spesso. Faccio parte del National Arts Club, e a Natale ti fa sentire come se ti trovassi in una macchina del tempo, tornando indietro fino agli albori della città, davvero affascinante.

Che influenza ha Mercurio retrogrado sulle nostre vite?

Questo aspetto dell’astrologia colpisce tutte le persone in modo uniforme, sebbene influisca un po’ di più su Gemelli e Vergine perché sono segni governati da Mercurio. Mercurio governa l’editoria, la radio ed il mondo digitale, quindi influisce anche su tutte le persone che lavorano in questi settori.

Avrai comunicazioni sbagliate, guasti agli apparecchi, problemi ai software e ai computer. È un momento frustrante. Mercurio in realtà non diventa retrogrado, ma visto dalla Terra sembra tornare indietro rispetto agli altri pianeti. Ed è la proporzione tra i due pianeti, Mercurio diventa retrogrado tre volte l’anno per tre settimane e mezzo. Io viaggio durante Mercurio retrogrado, nonostante Mercurio governi i viaggi – basta essere un po’ più prudenti.

MT: E per tutti gli imprenditori che ci stanno leggendo, tu non firmeresti nessun contratto in quel periodo, giusto?

Non firmare un contratto durante Mercurio retrogrado perché potresti doverlo rifare più tardi: potrebbero esserci cose mancanti, confuse oppure non di tuo gradimento. Controlla gli indirizzi. Una volta andai a Detroit per vedere un’agenzia pubblicitaria e l’indirizzo che avevo era sbagliato, perché nel frattempo si erano spostati dalla parte opposta della città. Anche se devi spedire un pacco o una lettera è importante controllare gli indirizzi, perché Mercurio governa le poste.

“I giorni peggiori per Mercurio retrogrado sono le date di inizio e di fine del retrogrado.” – Susan ci consiglia di stare molto attenti a concederci uno spazio di una settimana prima e dopo questo periodo. Ha una chiara descrizione di Mercurio retrogrado sulla homepage di Astrology Zone. Scorri verso il basso e vedrai un elenco dei suoi pezzi, incluso quello, sul lato sinistro della sua homepage.

Questa domanda è divertente ma cosa pensi che un influencer non dovrebbe fare sui social media durante Mercurio retrogrado?

Oh! Il mio consiglio è quello di non condividere troppo. È come se fosse una scena della fiction “Gossip Girl” – un influencer non dovrebbe condividere troppe cose, perché finirebbe col pentirsi di ciò che ha scritto. Parlare troppo durante Mercurio retrogrado può metterti nei guai.

Sei stata la prima a capire l’importanza di Internet e hai lanciato il tuo sito astrologyzone.com nel 1995. Come si è evoluto il web fino ai giorni nostri?

Internet ora ha più funzionalità. Era il 1995 quando ho iniziato, non c’erano nemmeno i colori – tutto era in bianco e nero e quando guardavi un film, il video era piccolo quanto un francobollo e poco dopo il computer crashava!

Avere un e-commerce era molto difficile agli inizi, Internet permette di scambiare informazioni in tutto il mondo alla velocità della luce, come ad esempio mandare le informazioni dall’Alabama alla Danimarca, poi dall’Alaska al Texas – hai capito cosa intendo. L’e-commerce era una sfida perché, durante questi movimenti, alcune informazioni andavano perse (controllare testo inglese).

Pensavo che gli ingegneri non avrebbero mai risolto questo problema, ma alla fine ci sono riusciti. Ho poi lanciato l’app di Astrology Zone nel 2002 ma ho cambiato gli sviluppatori nel 2012 e l’ho rifatta diverse volte. Il nome ufficiale è “Daily Horoscopes Astrology Zone + More by Susan Miller” (http://apple.co/2gcVDnn  Android.  http://bit.ly/2y7pHaT)

Quando ho iniziato su internet, durante i primi sei anni,  appena facevo un’apparizione alla televisione, i produttori non volevano che lasciassi agli spettatori l’URL del mio sito web, perché credevano che il pubblico non sapesse cosa fosse un URL; allora gli dissi che non lo avrebbero mai saputo se nessuno gliene parlava. Sembrava che il mondo dovesse correre per sempre dietro alla tecnologia.

Come puoi ottenere il meglio dall’astrologia?

L’astrologia può essere uno strumento utile per coloro che sono disposti a cogliere un’opportunità.”È come ottenere opzioni, spetta ai lettori sapere cosa vogliono, riconoscere l’opportunità quando la si vede e agire su di essa quando arriva”.

Cosa ne pensi dell’ascesa dei social media come Instagram?

Mi piace Twitter perché le persone discutono di idee e perché puoi inserire facilmente un link e le foto sono molto più grandi che su Instagram. Instagram non ti consente di pubblicare un link, devi andare ogni volta sul profilo che ti interessa. Ad ogni modo sono su entrambi e il mio nome è lo stesso, @AstrologyZone. Ci sono troppi Susan Miller nel mondo! Il problema su Instagram è che 12 persone fingono di essere me. Inoltre vorrei vedere persone che condividono opinioni e idee, non solo foto con indosso un nuovo cappotto o con in mano una borsa firmata. Adoro la moda, ma per questo preferisco le riviste per tenermi aggiornata. Le riviste scelgono con cura i loro editor, che inseriranno la collezione di un designer tenendo conto di quelle passate in modo che ciascuna collezione attuale differisca dalle altre. Su Instagram, puoi vedere i lavori di Versace o Valentino, ma non puoi ottenere una spiegazione della direzione che il designer ha deciso di prendere quest’anno. Le riviste sono più complete a mio avviso.

Comincio a illuminarmi e cerco quasi un abbraccio quando afferma:

“I redattori sono eccezionali. E voglio il loro consiglio. Grazie.”Susan scrive per Amica in Italia e Vogue (Giappone), W (S. Corea) e Claudia (Brasile), SModa (Spagna), Vogue (Cina), Vogue (Grecia), e spesso scrive storie di copertina per Grazia (Francia) e Elle (Australia) per citarne alcuni. Il suo legame con il mondo della moda è sempre stato forte. Ci racconta che voleva diventare una stilista quando era piccola e vorrebbe lavorare di più con gli stilisti, quindi la nostra prossima domanda è obbligatoria.

Nella moda chi sono i designer e gli stili che ami di più e perché?

Dolce & Gabbana- sospira in soggezione (si può dire che adora il marchio). Valentino, dice con voce determinata. Ho appena visto questo vestito e sto pensando di prenderlo. È rosso, il mio colore preferito. Ha i volant. Adoro i tocchi femminili e Valentino (così come Dolce & Gabbana) comprendono le donne. In America, adoro Oscar De la Renta, anche se i suoi tagli non si allineano perfettamente al mio corpo. Mi piace Akris, il designer svizzero. Ho già detto che adoro Dolce & Gabbana? Tutti quei fiori!

Il tono di Susan si fa più alto, il suo entusiasmo per la moda e il design sta prendendo forma e le sue risposte scorrono con fiducia e passione.

“Adoro i fiori. Adoro tutto ciò che è femminile. Mi piace anche un design leggermente più formale. New York è formale. Los Angeles è molto più informale, anche negli incontri di lavoro, e mi ci vuole un po ‘di tempo per abituarmi ogni volta che vado. ”

Molti brand si sono resi conto del valore di collaborare con la tua esperienza come astrologa. Con quali marchi hai collaborato?

Oh, sono davvero tanti! Dior (borse Lady Dior), Apple, Furla, Veuve Clicquot, Chanel, Guerlain, Clarins, Lancôme, Chopard, Mac Cosmetics, Saks Fifth Avenue, Bloomingdale’s, per citarne alcuni. Conosco molti marchi francesi, ma mi piacerebbe lavorare con altri marchi italiani! Sono per metà italiana. La parte di mio padre è siciliana. (La famiglia materna di Susan è tedesca.) Oltre alla moda il beauty, è ambasciatrice della compagnia di bellezza Fresh, di proprietà di LVMH dal 2015 e dell’edizione Hotel a Miami. Unire l’astrologia nelle collaborazioni con i marchi è un modo unico ed efficace per raggiungere il pubblico e può essere estremamente creativo. Da gennaio a marzo 2020, ad esempio, il flagship store di Bloomingdale a New York City presenterà una boutique di Astrology Zone curata da Susan che offrirà oggetti unici selezionati, dall’abbigliamento maschile  alla gioielleria, dalla tecnologia e al design fino aall’abbigliamento per neonati, insegne e simboli. Queste collaborazioni sono curate in dettaglio da Susan e dai direttori di moda di Bloomingdale. Sono enormi operazioni di branding che possono a volte coinvolgere il talento di 30 persone!

Città preferite?

Amo Kyoto, voglio andare sul Monte Sugarloaf in Brasile, poi vorrei andare in Sicilia e muoio dalla voglia di visitare Milano. Adoro Roma e ho trascorso molto tempo lì. È tempo di vedere Milano!

Cosa non può mancare quando viaggi?

I miei gioielli, creme idratanti e le mie maschere. Adoro La Mer e tutte le maschere di Fresh part di LVMH. Uso anche altri brand ma Fresh ha le maschere più incredibili. Adoro la maschera al tè nero, quella chiamata idratazione alla rosa, la maschera al miele e la maschera Lotus Youth Preserve e la maschera al nettare di vitamina. Sono tutte fantastiche.

Fragranza preferita?

Alien di Thierry Mugler, è tutta a base di fiori. Mi piace anche Bal a Versailles di Jean Desprez, è un profumo meravigliosamente morbido e poudrè con un pizzico di vaniglia. È un profumo francese classico.

Entrando in temi specifici, cosa ci aspetta per tutti per il resto dell’anno? E nel 2020?

Ci sono tante belle novità per tutti i segni!

(Assicurati di seguirci, stiamo pianificando una grande storia e un elegante oroscopo 2020 in collaborazione con Susan, che annunceremo la fine dell’autunno.)

Le migliori date per gli affari nella restante parte del 2019? E per l’amore?

Senza esitazione quasi senza che io sia in grado di completare la frase, afferma dicembre!

SM: Dicembre è fenomenale. Si inizia con il 15 dicembre in Giove, e il trenta in Urano. Un aspetto trigono è pura armonia. Inoltre, segna la data! Adoro il 27 dicembre: Giove si congiunge con il Sole: il giorno più fortunato dell’anno. Non accadrà di nuovo in un segno diverso fino al 2021.

Cosa dovremmo fare in quei giorni fortunati, se potessi darci consigli.

Piantare un seme. Inizia una relazione o un’attività. Fai un viaggio importante se sei un Toro, ad esempio. Cancro? Decidi una relazione e, se sei innamorato, affidati al matrimonio. Ogni segno sarà influenzato in diversi modi. Sto scrivendo un grande libro sull’anno 2020, ma c’è troppo da dire a proposito di questo!

Quale è il segno più elegante?

Leone e Pesci, sebbene la Bilancia sia l’arbitro del gusto. Il Leone vuole fare un grande ingresso, mentre ai Pesci piace mescolare il vintage con i nuovi design in quanto non vogliono apparire come la prossima persona accanto a loro.

Quale il più trendy?

I gemelli, decisamente, e fanno combinazioni fantastiche con gli accessori.

Il più classico?

Capricorno, per esempio la principessa Kate.

Gli Scorpioni amano il nero. A loro piacciono le linee semplici e classiche in modo da poter mescolare e abbinare e sentirsi quasi come se avessero un’uniforme quotidiana a cui non hanno bisogno di passare troppo tempo a pensare.

All’Ariete non piace il frou-frou, predilige linee sottili, sorprendenti ma meravigliosamente tagliate.

I Vergine sono perfezionisti e maniaci dei dettagli. Sanno vestirsi bene e hanno fatto amicizia con il loro sarto.

Pesci e Cancro sono romantici. Sagittari in movimento e richiedono conforto.

I Toro amano le cose classiche fatte di tessuti belli e tattili.

Bilancia è l’arbitro del gusto e ama essere aggiornato sulle ultime tendenze. Acquario, non ha bisogno dell’approvazione sociale, non segue le tendenze, le avvia.

In attesa delle nuove eclissi e del tuo libro per il 2020, possiamo dare delle previsioni brevi ma molto interessanti per i nostri lettori riguardo gli ultimi mesi del 2019? Puoi dare una previsione per ogni segno?

Ariete: puoi aspettarti un’importante svolta nella carriera.

Toro: viaggiare. viaggi a lunga distanza o la decisione di tornare all’università per un diploma avanzato

Gemelli: i Gemelli riceveranno un sacco di soldi e non verranno emessi da uno stipendio ma piuttosto da un bonus, una commissione, una royalty o denaro esterno, come il capitale di rischio.

Cancro: matrimonio! Oppure il cancro può ottenere un aiuto straordinario da un partner commerciale, agente, manager, pubblicista, commercialista e collaborazioni di tipo simile.

Leone: incarichi di lavoro eccellenti e invidiabili avanzano anche in salute e fitness

Vergine: La Vergine ha gli aspetti romantici più belli nel 2020. Se la Vergine vuole un bambino, quest’anno può averne uno. La sua creatività raggiungerà anche nuove vette.

Bilancia: casa e immobiliare brilla per lei.

Scorpione: contratti e fortuna con i clienti a breve distanza. La chiave del successo dello Scorpione sarà nel modo in cui comunicano con gli altri.

Sagittario: il 2020 sarà un anno enorme di ricompensa finanziaria.

Capricorno: questo segno è il favorito del cielo quest’anno e otterrà una cornucopia di chicche. Stanno entrando nel loro anno di smeraldo una volta ogni 12 anni, dove un grande desiderio diventa realtà.

Aquario: riceverà aiuto dai VIP dietro le quinte. Si preparerà per il 2021 quest’anno, il suo anno di smeraldo. Devono iniziare a staccarsi da obblighi o associazioni che non trovano più utili o interessanti. Il 2021 sarà il loro grande anno.

Pesci: amici e gioia dai gruppi a cui appartengono. Ciò include anche il lavoro su un’organizzazione benefica o umanitaria: è qui che risiede la felicità dei Pesci.

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Bagnaia, rookie blasonato

Lo abbiamo presentato nel numero di Manintown di Gennaio, quando solo da qualche mese era diventato Campione del Mondo di Moto2 con i colori dello Sky Racing Team VR46, mentre fresco di contratto con la Pramac Ducati si accingeva ad intraprendere una nuova stagione, questa volta in MotoGP. Abbiamo seguito Francesco Bagnaia in questi primi Gran Premi di stagione, dopo il trittico extraeuropeo, nelle tappa spagnola e poi in quella francese ed italiana al Mugello. E’un rookie nella classe regina e non è facile scendere in pista sfidando i suoi idoli.

Quest’anno ti confronti in pista Valentino Rossi, il tuo idolo, il tuo mentore. Hai detto che per te non è propriamente un avversario…

Confermo che è difficile vederlo un avversario come tutti gli altri piloti. Di certo è qualcosa di… davvero figo! Io sono nato nel 1997, l’anno in cui ha vinto il suo primo titolo mondiale in 125cc. Per me è un esempio, per la forza che ci mette per continuare a correre ad alti livelli e migliorarsi di continuo.

Per la  MotoGP con il team Pramac Racing e contratto diretto Ducati per 2 anni. Hai detto che vuoi crescere, imparare, un obiettivo realistico può essere il titolo rookie?

Sì, anche se non sarà facile. Cercherò di essere il miglior esordiente dell’anno e come performance rientrare nel Q2 (seconda sessione di qualifiche, ndr). Considerando il livello della MotoGP non è facile, ma ci provo ad ogni gara.

Nel calcio spesso alle presentazioni dei nuovi calciatori dicono “Ho sempre sognato di indossare questa maglia”. Nel tuo caso, per davvero, sei sempre stato un Ducatista, volevi proprio correre con questa moto…

Assolutamente sì. La Ducati è una moto e un’azienda che mi sono sempre piaciute tantissimo. Un po’ meno diciamo dal 2010 al 2013 in MotoGP, ma nei successivi anni ho visto un grande cambiamento. Sono tutti molto, molto motivati a vincere, lavorano tantissimo e non si risparmiano mai. Inoltre sin da bambino volevo correre con una Ducati…


Ducati ha scritto pagine di storia del motociclismo anche in Superbike: se ti chiedessero di correre qualche gara in questo campionato l’anno prossimo? Ai Ducatisti piacerebbe…

Extra-MotoGP in particolare vorrei correre in un prossimo futuro in Giappone, alla 8 ore di Suzuka. Una gara che mi ha sempre affascinato per l’atmosfera, per tutto il contorno, ma non solo. Mi piacerebbe molto correrci con Ducati, ma al momento non prende parte all’evento: in futuro, chissà…

In Ducati sembrano già pazzi di te, anche perché vogliono dimostrare che un “deb” possa andare subito forte con una moto finora ritenuta difficile…

“Sono dell’idea che sia più complicato per un pilota passare da un’altra MotoGP alla Ducati, rispetto che per un rookie salire per la prima volta in sella alla Desmosedici. Me ne sono accorto già dai primi test: la Moto2 è una moto che praticamente “non frena”, non curva velocemente, ha chiaramente dei limiti. In sella ad una MotoGP tutto ti sembra più grande e… migliorativo, dove hai sempre un gran margine per andare più forte. Forse per questo mi sono trovato subito bene con la Ducati, non avevo pregressi riferimenti in sella ad una MotoGP. L’attenzione che ripone in me la casa madre? Chiaramente è positivo e ne sono onorato, me lo hanno dimostrato sin dal primo giorno. Poter lavorare con Christian (Gabarrini, capo-tecnico) e Tommaso (Pagano, telemetrista) è il massimo. Mi sono trovato subito bene con loro, si sono interfacciati con me con umiltà, senza impormi nulla, trovando insieme la strada per migliorarci. Davvero il top!

Se dovessi paragonare la guida di una MotoGP a qualcosa nella vita di tutti i giorni, cosa penseresti?

Non ne ho idea. La MotoGP è assurda: frena troppo, viaggi ad oltre 300 orari, in curva sembra non avere limite. Non saprei a cosa paragonarla: è qualcosa di unico.

Da pilota professionista sei un giramondo: molti tuoi colleghi si sono trasferiti ad Andorra o Lugano, tu pensi vivrai ancora a lungo in Italia?

Si dice “mai dire mai nella vita”, ma non credo. Sono dell’idea che vivere in Italia sia il massimo: come si sta qui non ha eguali.

Sei un ragazzo tranquillo, riservato, educato… La definizione di “pilota della porta accanto” ti piace?

Mi sembra un appellativo un po’ “moscio”… Però sì, mi piace. Sono fatto così, cerco di essere disponibile con tutti, mi sembra doveroso.

Diventare un pilota professionista richiede impegno, sacrifici, anche tanti rischi. Di questi tempi, ti ritieni comunque un privilegiato?

Assolutamente sì e so perfettamente di esserlo. Per questo ringrazio sempre la mia famiglia per i loro sacrifici di questi anni, così come la VR46 e chi mi è stato sempre accanto. Ci penso sempre.

Quando sei diventato Campione del Mondo in Moto 2 con lo Sky Racing Team VR46 ti sentivi cambiato?

Io no, affatto. Ma posso dire che ho notato più che altro un avvicinamento da parte di persone che si sono appassionate al motociclismo proprio in seguito al titolo mondiale vinto, soprattutto a Chivasso, la mia città. “

Foto: Ufficio stampa Pramac Ducati

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Tortu, in lotta con il vento

La stagione di atletica è iniziata. Filippo Tortu veloce lo è sempre di più ed è in una forma sbalorditiva già adesso. Ha lasciato a bocca aperta tutti con quel suo 9’’97 nei 100 metri alla Fastweb Cup di Rieti. Il 20enne finanziere, nello scrivere negli annali il record italiano, è stato fermato solo dal vento. O meglio. Il vento a favore, eccessivo, che quel giorno a Rieti non ha permesso di omologare il risultato. Quel suo magistrale risultato purtroppo non è stato convalidato come record italiano, ma mai un atleta tricolore aveva corso la distanza più velocemente in qualsiasi tipo di condizioni.

Quanto ti dispiace per quello che è successo a Rieti? 

Naturalmente c’è un po’ di rammarico per il vento, ma queste sono le regole dello sport. In fondo siamo solo all’inizio della stagione, il risultato alla Fastweb Cup è stato un importante indicatore per capire che stiamo lavorando molto bene. Il mio obiettivo grande sono i Mondiali di Doha e manca molto, per cui non devo perdere la concentrazione.

 Ti piace gareggiare in Italia?

Sì, molto e per fortuna vivo ogni competizione con il giusto distacco, cosa che mi permette di affrontare la quotidianità con il sorriso.

Il distacco sarà difficile al Golden Gala Pietro Mennea il 6 giugno…

In effetti mi attendono i 200 metri a Roma, dove Livio Berruti conquistò l’oro. È una gara da onorare. Inoltre io tra i migliori atleti al mondo, per me è fondamentale confrontarmi”.

Lo scorso anno in 9’’99 hai battuto il record storico di Mennea, come vivevi questo grande campione fino a quel momento?

Come continuo a viverlo anche ora: esempio e leggenda dello sport. Lui aveva preso anche 4 lauree. Io sto frequentando la Luiss, l’università dove c’è una borsa di studio intitolata a lui. Per me è un modello da seguire non solo in pista. 

Come te la cavi tra studi e allenamenti? 

Quando aumentano gli impegni è sempre più complicato studiare ed essere in giro per gareggiare, ma con uno sforzo maggiore si può fare. Sono iscritto a Economia, non ho dubbi, laurearmi è una cosa a cui tengo.

Tra gli atleti del passato e del presente chi ti appassiona di più? 

Livio Berruti, appunto, che ha appena compiuto 80 anni. Lui lo sport lo ha sempre vissuto in maniera spensierata ma professionale, in modo da divertirsi in tutto quello che faceva. Mi piace anche Armand Duplantis, 18enne prodigio svedese, oro nel salto con l’asta, lui è un fenomeno mondiale.

E sui 100 metri avverti rivali?

Non sento rivali e quando sono in pista penso solo a me stesso e ai miei risultati, non presto attenzione agli altri. 

Ti allena Salvino, tuo padre. Non sempre avere un familiare stretto come allenatore è cosa semplice, come funziona il vostro rapporto?

Ci rapportiamo in maniera diversa, quando siamo sulla pista oppure quando siamo a casa. In pista io sono l’atleta e lui l’allenatore, riusciamo a interagire molto bene, senza sforzo in maniera naturale. Ma anche fuori abbiamo un bel dialogo. Sono fortunato a poter passare tanto tempo con mio padre ed è un ottimo tecnico dal punto di vista professionale, ho fortuna doppia.

Avverti di più l’adrenalina quando sali su un palcoscenico per essere premiato rispetto a quando sei in gara? 

In entrambi i casi, anche se sono due cose diverse. L’adrenalina che si sviluppa in gara è dovuta ad una grande sensazione di incertezza, non sai come andrà a finire. Quando invece ricevi un premio quella sensazione scaturisce dalla soddisfazione, che si trasforma in orgoglio per quello che ti viene riconosciuto. 

Ti senti uno da “gran serata”? Come gestisci questo tipo di eventi? 

Amo molto lo sport in tutti i sensi per cui mi piace vedermi sullo stesso palcoscenico insieme ai grandi campioni, mi piace sentirmi uno di loro.

Se ti chiedessero di scegliere tra l’andare in un ristorante stellato o una semplice pizzeria per quale opteresti? 

Con gli amici assolutamente la pizzeria, mentre con la famiglia scelgo il ristorante stellato, i miei sono amanti della cucina raffinata. 

Il tuo look preferito?

Sono uno dai gusti classici, mi trovo bene in giacca e camicia oppure con magliette semplici, jeans e scarpe sportive. Non sento il bisogno di essere sempre alla moda.

Foto: Sprintacademy

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Giacomo Cavalli: da campione di vela a surfer fashion model

Come hai iniziato come modello e cosa ti piace di questa professione?

È una storia divertente, mi trovavo in aeroporto, all’incirca cinque anni fa.Due ragazzi che lavoravano per uno dei brand italiani principali mi confusero per Simon Nessman, il modello canadese, chiamandomi “Simon Simon”. Hanno poi realizzato che non ero lui e mi hanno suggerito di iniziare la carriera da modello.

Non ero interessato all’inizio poiché ero troppo impegnato nel cercare di realizzare il mio sogno di andare alle Olimpiadi di Rio, infatti stavo facendo una campagna di vela per la Nazionale Italiana.

Due anni dopo, quando stavo cercando degli sponsor ho provato ad intraprendere questo percorso; la prima campagna che ho fatto è stata per un brand di abbigliamento per vela. Per altri motivi poi, ho dovuto smettere con questo sport e ho iniziato il percorso da modello.

Quale il momento più gratificante fino ad ora?

Penso sia stato il Vogue Paris Foundation Night, un gala dove tutto il Jet-set era presente, di fianco a me avevo Adriana Lima, nel tavolo vicino Naomi Campbell e Pharrel Williams. E’ stata una serata bellissima!

Sei uno sportivo e pratichi surf. Come è nata questa passione?

Sono sempre stato appassionato di qualsiasi cosa riguardasse l’acqua, quando ero molto piccolo ho iniziato con la vela (la passione più grande di mio padre), poi dopo aver smesso, ho iniziato con il surf. È stato amore a prima onda, ora non riesco a stare senza. 

Viaggi molto per questo sport, dove vai a surfare? Un ricordo legato al surf?

Una delle cose che più mi attrae del surf è ciò che lo circonda, per rincorrere l’onda perfetta devi sempre andare nei posti più lontani e a volte selvatici del mondo, e quel contatto con la natura è fantastico. Il mio posto preferito per surfare è l’Indonesia, luogo con una bellissima cultura e delle belle onde. Uno dei ricordi più belli che ho viene sicuramente dalle Galapagos, mentre stavo per cavalcare un’onda ho visto qualcosa sotto di me, pochi secondi dopo stavo condividendo quell’onda con un leone marino che nuotava e giocava nell’acqua.

Quali insegnamenti hai tratto dalla pratica sportiva?

A mio parere lo sport è caratterizzato da due aspetti: la competizione, quella vera dove vieni giudicato e devi allenarti duramente. Grazie a questo impari cosa sia il sacrificio e la determinazione. Lo sport mi fa sentire meglio, amo ogni tipo di attività all’aria aperta che ti porta lontano dalla città e ti fa apprezzare la natura in tutta la sua bellezza. 

Segui, come sportivo e come modello, un regime alimentare specifico?

Sinceramente no. Cerco di mangiare sano, ma ciò non significa non mangiare! Più pratichi sport, più facile diventa con il cibo. Sono italiano, amo la pasta e la pizza, quindi se voglio mangiare devo allenarmi molto per mantenermi in forma.

I tuoi idoli, le tue icone di riferimento nella moda e nello sport ?

Nel mondo della moda, direi Simon Nessman, è molto simile a me. Ho una storia da raccontare, la carriera da modello mi è capitata, non è completamente il mio mondo, sono felice di avere delle possibilità che si trasformeranno in qualcosa di più grande un domani. Per quanto riguarda lo sport il mio idolo è LeBron James, mi ha sempre ispirato, è molto di più di un atleta, è un filantropo, un leader vero, una star che però gioca sempre per gli altri. E’ arrivato dal nulla ed ora è la persona che è. Sarebbe un sogno incontrarlo.

Una frase che ti rappresenta o rappresenta la tua filosofia di vita?

Ascolta il tuo cuore, esso conosce tutte le cose tratta da L’Alchimista di Coelho.

Cosa è sinonimo di eleganza per te?

Per me l’eleganza è qualcosa di sontuoso, ma allo stesso tempo senza sforzo.

Progetti e sogni per il futuro?

Bella domanda. Ora sto facendo un master in International Management in Bocconi a Milano e sto cercando di bilanciare lo studio con la carriera. Una volta terminati gli studi vedrò cosa fare della mia vita, ciò che mi piacerebbe è unire le mie esperienze nello sport e nella moda con quello che sto studiando e magari avere la mia attività che sia basata su ciò che mi ispira.Se invece continuerò a lavorare come modello, cercherò di farla diventare recitazione. Mi piacerebbe lavorare grazie alle mie capacità e non solamente per il mio aspetto.

Photographer: Alessio Matricardi

Stylist:

Stefano Guerrini @stefano_guerrini

Grooming:

Erisson Musella @erissonmusella

Model:

Giacomo Cavalli at Elite

Stylist assistants

Fabiana Guigli @fabipoppyAnastasia Mariani @annie__1991

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La street art, la moda e il viaggio: Alice Pasquini

Alice Pasquini, (in arte Alicè)  è un’artista contemporanea le cui opere sono esposte sulle superfici urbane, nelle gallerie e nei musei di centinaia di città in tutto il mondo. Street artist, illustratrice e scenografa italiana, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma e in Spagna, prima all’Università Complutense poi all’Ars Animation School di Madrid, è diventata un’artista poliedrica sperimentando diverse tecniche, generi e medium espressivi. È inoltre tra le poche esponenti femminili affermate a livello internazionale tra i protagonisti del movimento street art. Noi la incontriamo a ridosso dell’apertura del primo store di Canada Goose a Milano, di cui Alice è artefice delle grafiche che verranno poi utilizzate anche per l’opening di Parigi e per gli altri store monomarca nel mondo.

Il tuo progetto con Canada Goose, un incarico importante. Come è avvenuto il processo creativo?

Abbiamo pensato alla rappresentazione di personaggi immersi nella natura, con l’utilizzo di colori naturali e in un momento di rivelazione dovuto all’immersione ed al contatto con l’ambiente. E’ questo il fil rouge che lega le opere pensate per Canada Goose a Milano e nelle altre città internazionali dove interverrò.

Quali i valori che ti legano al brand?

La vita all’aperto, l’avventura, il concetto di trovare un contatto con la natura nella città. Canada Goose nasce come capo outdoor da lavoro e questo riguarda da vicino la mia professione che si svolge all’aperto e espesso in condizioni difficili.

Il tuo rapporto con la moda.

Io ho sempre dei vestiti molto sporchi di vernice (ride). Sono molto affascinata dalla moda anche se viaggio spesso e il mio lavoro mi impone un abbigliamento estremamente funzionale.

Ti dedichi principalmente alla street art. Proseguirai a lavorare in questo senso o hai intenzione di modificare?

Il mio lavoro è legato ai muri delle città dove ho dipinto. Ma c’è anche un lavoro fatto in studio che, in quanto artista, mi porta a fare mostre personali ogni due anni, spesso legate ad un’idea  o ad un  un concetto che sto studiando in quel periodo, cercando  anche il giusto supporto per esprimermi. Ne è un esempio la mostra sui confini dove avevo utilizzato delle vecchie mappe geografiche del mondo. Oppure quando ho sperimentato la street art in 3D, stampando dei grossi poster e lasciando al pubblico degli occhiali appositi per guardarli. Piuttosto che la ricostruzione di una casa delle bambole abbandonata perché stavo facendo un lavoro sull’oggetto transizionale.

Parte tutto da una mia curiosità personale, da qualcosa che sto studiando in quel momento che poi diventa anche un corpo di lavoro per una mostra. C’è anche una vita dentro lo studio dentro al quale io porto poi le cose che trovo nei miei viaggi di strada.

Come nasce l’ispirazione nel tuo lavoro?

L’ispirazione nasce spesso dal supporto, dal contesto, dai colori del luogo in cui si trova il muro in cui andrò a interpretare, qualcosa che improvvisamente stimola la mia fantasia e ispira per poi aggiungere una storia a qualcosa che ha già una sua storia.

Hai sempre voluto fare questo sin dai tempi degli studi?

Non sapevo che un giorno la street art (graffiti ai miei tempi) sarebbe stato il mio lavoro però ho sempre saputo che avrei fatto arte nella vita

A che punto è la street art in Italia?

Diciamo che ormai sono tanti anni che esiste questa forma d’arte, quindi da quando sono nati i graffiti negli anni ’50 ad oggi c’è stata una grande evoluzione e, piano piano, avendo vissuto abbastanza l’evoluzione degli anni ’90 ad oggi, sto notando adesso un grande riconoscimento da parte delle istituzioni, magari in principio sono stati prima i marchi e il pubblico a rendersi conto, però adesso sta diventando anche una cosa istituzionale, come tutti i movimenti artistici, ad un certo punto hanno un apice, un’esplosione, poi rientrano in qualche modo in un contesto di accettazione e comprensione.

Un luogo che vorresti visitare e uno in cui consigli di andare.

Io ho dipinto in tutti i continenti tranne Antartide. Sicuramente mi piacerebbe dipingere una mongolfiera, un mio grande sogno. Fare un viaggio in mongolfiera dipinta da me. Ho dipinto barche, navi, moto, ogni mezzo di trasporto. La mongolfiera mi manca. Altrimenti un viaggio alla ricerca delle mie radici, come quello che mi ha permesso un piccolo Paese molisano come Civitacampomarano dove ora c’è un Festival di street art importante ed il Paese sta rivivendo grazie all’arte.

Il necessario da portare in un viaggio.

Bomboletta, quaderno, colori, macchina fotografica, giacca comoda, una maschera per il viso.

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È street food mania, mangiare per strada è il nuovo gourmet

Altro che stellati, il vero caso di successo nel mondo della ristorazione è lo street food. Il cibo da strada batte ogni gourmet e segna dei risultati incredibili. Negli ultimi 5 anni sono raddoppiate le imprese di ristorazione ambulante ma il dato più rilevante è che sono i giovani under 35 e gli stranieri a guidare questo nuovo fenomeno.

L’ultimo rilevamento risale alla seconda metà dello scorso anno e prendeva in esame il periodo 2013-2018. In questo lasso di tempo i food truck (questo il nome dei punti vendita su ruote) è passato da 1.717 a 2.729 attuali. Di questi oltre 600 (22%) sono gestite da Millenials con una crescita, nel quinquennio, del 23,9%. La diversificazione dell’offerta è testimoniata da un altro dato che fissa al 52,1% la quota di mercato rappresentato da imprenditori stranieri. Ricercatore di street food in giro per il mondo, Maurizio Rosazza Prin, secondo classificato nella seconda edizione di MasterChef Italia e volto televisivo, riporta nel suo blog Chissenefood, ricette, idee e racconti che raccoglie nei luoghi più disparati.

Quali sono i motivi del successo dello street food che lo hanno fatto passare da cibo per i meno abbienti a proposta d’avanguardia?

Le mani, la sensazione tattile e la libertà di muoversi che ti procura il godere di un cibo senza doverti sedere in una tavola è assolutamente impagabile. Rimane la convivialità senza la geometria della tavola. Più che avanguardia è un ritorno al passato dove il cibo aveva un significato funzionale e veniva cucinato là dove doveva essere consumato. E dopo la sbornia dei menù degustazione, il trionfo della tavola con le mille portate, parallelamente è nata questa esigenza di libertà. E come ogni contro cultura ha finito per diventare la cultura dominante e non è affatto raro che venga proposto nei grandi ristoranti come un elemento in un menù di degustazione. La mia critica è che deve rimanere popolare, nei prezzi e nella proposta: ai venditori di cibo da strada vorrei dire di non farci pagare il prezzo delle vostre operazioni di marketing ma di darci qualcosa di vero, con l’anima e a un prezzo giusto. Come dovrebbe essere. E prima di pensare ai format e alle gastro operazioni di marketing pensare a far da mangiare bene, solo questo è il successo di un cibo, se è buono e giusto, preparato pensando alle persone e non ai business plan.

Per molti lo streetfood è sinonimo di cibo fatto velocemente e con poca cura, tu cosa ne pensi?

Anzi, il contrario, c’è tantissima cura. Coloro che scelgono di stare in mezzo alla strada a cucinare, scelgono di voler stare a contatto con il cliente finale e non possono più mentirgli, siamo tutti troppo attenti e notiamo tutto. Io sto vedendo grande passione da parte di chi ha scelto veramente di dedicarsi a questo stile di vita. Per noi è un fenomeno, mentre all’estero è la realtà e il motore della cultura gastronomica, pensa all’Asia, dove è normare mangiare per strada. Andare a fare file chilometriche per un piatto, in baracchini che fanno bene magari solo un piatto, ma divinamente. Un mio amico chef cinese mi racconta sempre di quando è in Cina e si sveglia alle 5 per andare al mercato al banchetto del tofu fresco, dove sanno fare solo questo con mille salse, null’altro e lo fanno da 150 anni. Pensi che in 150 anni ci abbiano messo poca cura, poco igiene nel farlo?

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Daniele Innocenti: la voce della Maremma

Conserva gli occhi birbanti e curiosi di un bambino, una lingua tagliente che cela a tratti un velo di malinconia, ma sopra ogni cosa una verve invidiabile con cui conquista tutti gli ascoltatori radio della Bassa Toscana. Passione si: per la musica e per i giovani che come ogni bravo pigmalione sa fare, consiglia nelle carriere e nelle mosse da intraprendere affinchè i loro sogni si realizzino. Daniele Innocenti, che delizia le serate della costa d’Argento nel suo affascinante format radiofonico Funk Shack, si racconta in esclusiva a Man in Town.

Agli albori della tua decennale carriera ti sei trasferito in Inghilterra. Parlaci di questa esperienza


Londra, non l’Inghilterra, che sono anni luce dall’essere la stessa cosa. E niente a che fare con la carriera quanto con l’inquietudine di un ragazzo di provincia che amava la musica alla follia (ero già un DJ ma sapevo che a Londra il massimo a cui potevo aspirare, perlomeno agli inizi, sarebbe stato un posto come lavapiatti ne solito ristorante italiano). E Londra era la musica, più di qualsiasi altra città al mondo. Una città che ha culturalmente, e sottolineo culturalmente, la musica pop nel suo DNA. 

Anche solo leggere la stampa specializzata (NME, ad esempio) mi comportava una goduria quasi fisica. Ho imparato l’imparabile. E soprattutto ho imparato a rispettare il pop, a comprenderne i complessissimi meccanismi che lo rendono imprescindibile dai tempi, dai costumi e dalla cultura di ogni epoca. E ovviamente veneravo la radio, di cui ero assolutamente drogato: la BBC nella fattispecie, e i suoi leggendari fuoriclasse, da cui ho imparato a calibrare ogni singolo respiro lavorando non solo sul tono della voce ma sui tempi, sui silenzi e, a rischio di suonare ampolloso, sulla psicologia. 

Londra è stata anche il primo impatto di uno “small town boy” con una comunità gay vastissima (che sino a quel momento non mi ero neppure mai sognato che potesse esistere), con la militanza (Act Up), una nightlife che mi avrebbe reso un vero e proprio castigo frequentare locali una volta rientrato alla base (il gap con la vita notturna italiana non è robetta) e certo che si, il sesso per il sesso: sempre, ovunque, in quantità industriale, per misurarmi con la mia fisicità, compresi i limiti, e acquisire una consapevolezza di me e del mio corpo che mi ha semplicemente stravolto la mia vita. Sono tornato scheletrico ma con due spalle di granito.

Cosa consiglieresti a un giovane appassionato di musica che sogna di fare lo speaker radio?
Consiglierei di prepararsi tecnicamente, musicalmente, e culturalmente. Non diventi farmacista senza una specifica, solidissima preparazione. E non vedo perchè dovrebbe essere altrimenti per una professione bella, importante (e difficile!) come quella del DJ: Ecco, questo gli direi: è un lavoro bellissimo. Ma non così facile come pensi. Se è un hobby, ok: fallo come vuoi. Ma per farlo diventare una professione, preparati.  E preparati duro.

Sei anche un event planner: cosa serve per realizzarne uno di successo?


Dipende dal tipo di eventi. La mia formulina magica però è sempre stata quella che io chiamo delle tre T: tradizione, trasgressione e un pizzico di trash. Naturalmente un po’ di maestria nel mescolare gli ingredienti male non fa.

Cosa rende Orbetello così magica?


Orbetello è un inferno, una gabbia, una riserva indiana per quell’inquietudine giovanile di cui ti parlavo poco fa. Ma una specie di piccolo paradiso in terra quando tutta quell’euforia, quella curiosità, quella smania di vita si tramuta in qualcos’altro. Magari grazie alla maturità, a quel po’ di senso di sfinimento che a un certo punto inevitabilmente subentra quando hai navigato nella tempesta più che abbastanza.

Quello che a me personalmente la rende irrinunciabile è il contatto ipnoticamente quotidiano con la natura: gli aironi, i gabbiani, il verde, la laguna, la spiaggia, gli odori. Certo, sotto un aspetto professionale o creativo, non è la Mecca. E a volte è semplicemente una rottura di palle ammorbante. Ma più in generale è il posto perfetto dove approdare quando decidi che è ora di vivere in pace.

Ti vediamo impegnato nel salvare le vite di decine di gatti ogni giorno. Una cosa ammirevole. Da dove nasce la passione per gli animali? 

Se qualcuno me l’avesse detto qualche tempo prima gli avrei riso in faccia. E’ stata una svolta totale, assoluta, definitiva: diventare un operatore volontario nel randagismo felino mi ha tramutato in un altro uomo. Non so da dove è nata questa cosa, ma so cos’è stata.

E’ stato il dire finalmente basta ad essere io stesso il centro delle mie attenzioni. E’ stato il dedicare una parte della mia vita a qualcosa che è altro da me. E’ il passare nel giro di poche ore dal chiasso, il glamour, la magia degli amplificatori, della bella gente, dei drink, dello sballo, della sensualità ad un marciapiede sudicio, faccia a faccia con delle creature in seria difficoltà, ormai ridotte a vivere in un contesto che è strutturato per essergli perfettamente ostile.

Su di me ha avuto un effetto sconvolgente: meno soldi, meno ore di sonno, meno abiti carini, meno di tutto quello che mi piaceva, ma finalmente un bel senso di tranquillità con cui andare a dormire. Fortemente consigliato.

Progetti attuali e futuri?

Niente progetti. Un infarto importante come quello che ho subito qualche settimana fa ti sbatte in faccia tutta la tua vulnerabilità. E a questo punto, l’unica cosa che mi viene voglia di progettare è un modo per poter continuare ad occuparmi dei miei gatti, di Funk Shack, degli amici, delle cose belle della mia vita quanto più a lungo possibile. Soprattutto non dandola così per scontata, la vita. Visto che evidentemente non lo è.

Sei appassionato di Motown e anni Settanta. Cosa ti lega a questi periodi?

Innanzitutto l’amore per la musica black. Il primo album che ho comprato con la paghetta di papà quando ero realmente ancora un bambino, a costo di terribili rinunce tipo il cinema e il gelato la domenica pomeriggio con li amichetti, era di Joe Tex.

Ma nello specifico, la Motown per me è riscossa, riscatto. Giovani artisti, belli e incredibilmente talentuosi a cui però non era concesso l’uso del bagno nei locali in cui si esibivano perchè neri. Salvo poi diventare nel giro di due o tre anni le megastar ultra glamour che tutti veneravano, che radio e tv si contendevano, e che i ragazzi americani (finalmente anche quelli bianchi) imitavano. La quintessenza della riscossa.

Certo, da appassionato di produzione da un punto di vista prettamente tecnico e artistico, credo che la leggendaria parabola Motown costituisca l’apice massimo mai raggiunto in termini di genio creativo e innovativo dell’intera storia della musica moderna. A mio parere (ma non solo mio) ancora lì, imbattuta e imbattibile.

Lasceresti un verso di una canzone per i nostri lettori?

Certo che si: “proprio come faceva Pagliacci – cerco di nascondere la mia tristezza – sorridendo in pubblico mentre da solo in una stanza piango – le lacrime di un clown quando nessuno lo vede”. Tutto il senso dell’essere artista in una delle mie preferite in assoluto: “The tears of a clown” di Smokey Robinson.

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A model’s talk: Daniele Carettoni

Saluta la crew con un sorriso ammaliante e senza altri indugi si prepara a lavorare. Ha in programma altri servizi fotografici prima del volo di stasera, quindi non ha moltissimo tempo. Con in sottofondo le canzoni di Rihanna, ci racconta dei suoi ricordi e del suo passato.

Daniele Carettoni è un modello italiano che vive a New York e che non immaginava che fare il modello sarebbe diventata la sua passione. Descrive se stesso da giovane come un “ragazzo normale” che ha ottenuto la sua laurea in Information Technology, in contemporanea alla carriera nel basket e ovviamente al divertimento. E’ successo tutto quando la ex ragazza di Daniele, anch’essa modella, gli ha proposto di lavorare come modello part-time. Da quel momento è iniziata la sua carriera.

“Partecipavo a qualche evento, mi divertivo con altre persone interessanti che facevano parte del settore. Ho iniziato a viaggiare molto ed è lì che ho realizzato che non volevo passare tutta la mia vita davanti ad un computer, dentro ad un ufficio per otto ore al giorno. Volevo viaggiare di più”.

Per lavoro, è già stato in Spagna, Svizzera, Germania, Cina, Turchia, Brasile e ora si è trasferito a New York. A volte si sposta a Washington e Miami per poi andare verso Los Angeles. Nonostante i jet privati e i resort di lusso sembrino un sogno, Carrettoni afferma che ci vogliano molti sforzi e tanta disciplina per avere successo e garantirsi una carriera lunga e prosperosa in questo mondo.

Riconoscendo i grandi cambiamenti nel mondo della moda grazie all’era del digital, ora è entusiasta per le nuove sfide che gli si sono presentate, soprattutto come social media manager.

Quale è la differenza tra lavorare a Milano e a New York?

A Milano bisogna andare ai casting, incontrare gli stilisti, i clienti e altri professionisti, mentre a New York è l’agenzia che svolge tutto il lavoro. Ci sono più modelli e clienti, ma meno casting perché le agenzie prendono le decisioni per i modelli. La qualità del lavoro, il budget che hanno, il numero di persone che lavorano per te per un progetto è un’esperienza diversa.

Come concili lo sport e la dieta?

Mi sveglio presto la mattina perché se vuoi avere successo svegliarsi presto è fondamentale. Lavoro sui social perché è parte della mia vita. Fra tre settimane potrei avere almeno 3 casting, dipende. Vado in palestra quattro volte a settimana.

Sei felice di aver scelto la carriera da modello?

Si, ma sono anche un po’ un imprenditore. Bisogna occuparsi un po’ dei tutto e a volte fare il modello è solo una piccola parte. Quando sono sul set è solo il 5% del lavoro. Il resto è preparazione.

Quali sono i tuoi paesi preferiti?

Amo la Cina perché in quel momento volevo divertirmi e viaggiavo con gli amici. Sono stato 3 mesi a Shanghai ma sono stato anche a Guhan, Guangzhou e Pechino. E’ stata un’esperienza stupenda. Dato che in Cina hanno un gusto particolare per quanto riguarda le campagne e i servizi fotografici, tendono a vedere lo stile italiano in modo diverso. A volte è divertente perché parlano della mafia e del Padrino. (ride)

Qualche episodio divertente di un servizio fotografico?

Uno dei momenti più divertenti è stato in Cina, quando una makeup artist stava preparando i miei capelli per un servizio. Ha messo della cera e poi della lacca. Dopo avermi pettinato, ha cosparso dei glitter rosa su tutta la testa. Ero confuso. Non mi ero mai lamentato prima perché i make up artist possono fare ciò che vogliono. E’ la moda, e anche se non sempre capisco le scelte, le accetto comunque. Questo però è stato l’unico caso in cui ho parlato con il cliente che ha poi concordato sul fatto che i glitter fossero troppo.

Cosa fai quando hai tempo libero a New York?

Tempo libero? Mi piacerebbe. (ride) Mi piace viaggiare molto. Quando posso, prenoto un volo. Vado a Washington, Boston o a nord di New York. Cerco semplicemente su Google dei posti da visitare e ci vado.

Hai dei posti a cui non puoi rinunciare?

Si, due parole: pizza ed espresso. Ci sono dei posti gestiti da italiani come Ribalta o PizzArte. Osteria Piemonte è un altro ristorante a SoHo che offre piatti autentici italiani. Il ristorante è gestito da un ragazzo torinese che è anche un mio amico, ecco perché ci vado spesso.

Il cibo è una grande parte della mia vita. Mi piace mangiare. Un’altra attività che svolgo spesso a New York è andare a bere drink negli hotel. C’è un Mandarin Oriented a Columbus Circle, non lontano da dove abito. C’è una bellissima vista dalla vetrata su Central Park con tutti i grattacieli. Tanto crescono i grattacieli tanto cambiano i posti per raggiungere una vista più bella. Baccara è il mio secondo posto preferito dove andare.

E invece per fare festa?

Non vado a feste perche mi sveglio presto. Devo allenarmi per essere al meglio durante i servizi fotografici.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Volevo stabilizzarmi a New York, ma ora è ormai un anno e mezzo. A New York, ho iniziato a lavorare con magazine italiani e nel frattempo lavoro molto anche come social media manager. Curo il profilo di due brand americani. Da modello, penso che tutti stiano piano piano diventano digital, quindi le agenzie svaniranno entro 10 anni. Ci sono gia agenzie che lavorano solamente online. Oggi il futuro si basa sulla multifunzionalità. Sei un modello, social media manager, designer e molto altro.

Hai pensato di andare ad Hollywood?

Nel passato, mi era stato offerto un ruolo i un reality show, ma ero un po’ timido per fare video produzione. Stare dietro la telecamera e posare per le foto ed essere bravo per i video shootings significa mostrare abilità diverse. Non ho la stessa passione per poterlo fare.

Fotografo: Antonio Avolio

Stylist: Stefano Guerrini

Assistente stylist: Davide Spinella

Grooming: Livia Primofiore

Assistant grooming: Carola Di Bello

Model: Daniele Carettoni @Boom Models (Milano) @bmg (NY, CHICAGO) @ THE INDUSTRY

Interview by: Thaina Paz & Tatevik Avetisyan

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Roberto Valbuzzi e l’amore per il food

Ci diamo appuntamento sul lago, la giornata è ventosa e regala al lago un aspetto di mare, con le piccole onde biancastre, l’acqua dai riflessi mordorèe, la sensazione che il vento porti un’aria nuova e più fresca, quella dei primi giorni di primavera che d’un tratto apri gli occhi e vedi i paesaggi colorati dai fiori appena sbocciati, così, da una notte all’altra.


Sediamo al tavolino di un bar dove lo attendo con una tortina mangiata a metà e dei piccoli passerotti che fanno banchetto con le briciole. Lui ordina una centrifuga ed un cannolo siciliano, ma non essendoci si accontenta di un succo alla pesca. Voleva fare il militare Roberto Valbuzzi, chef della giurìa di “Cortesie per gli ospiti”, ma il destino gli ha scritto un incipit fatto di ristoranti e nonni agricoltori, ed è per questo che parla con deliziosa voluttà di cibo, e con rispetto di natura:

“Crotto Valtellina”, il ristorante di Malnate, è il locale di famiglia passato dal mio bisnonno al nonno, e da mio padre arrivato a me. Lo dirigo insieme a lui che mi aiuta moltissimo nell’organizzazione, insieme ad altri validi collaboratori che si occupano anche del catering. Ci vuol disciplina in cucina, ordine, obbedienza, ma soprattutto medoto, perchè tutti si aspettano che tu dia il massimo in ogni ambito della vita: lavoro, set, catering, vita privata…

E tu in cosa sei più bravo? 


Riesco a gestire tutto, altrimenti non lo farei, anche se dormo tre/quattro ore a notte, ma ritaglio 4 viaggi l’anno da dedicare a me e alla mia famiglia. E’ con loro che condivido i momenti più intimi e quelli più veri, mia moglie, i miei genitori e i miei quattro amici.

Sarà difficile avere il lusso del tempo con tutti i tuoi impegni…


Investo molto sulla formazione del personale al ristorante, così da poter delegare a persone di fiducia e poter avere sempre più tempo per me. I miei coetanei escono la sera, vanno in discoteca, spesso i miei amici mi rimproverano di non esserci, ma non sempre capiscono che sto costruendomi un futuro. Se non ora, quando?

Nel tuo passato la figura di tuo nonno è ricorrente


Faceva pascolare le pecore per i prati e io lo accompagnavo, ricordo l’odore fresco dell’erba e gli aromi di montagna, il murmure delle foglie sopra di noi quando ci riposavamo sotto la chioma di un albero a spiluccare noci, che lui rompeva col suo bastone.

E la tua nonna? 


E’ lei ad avermi insegnato a fare il primo formaggio della mia vita: la ricotta. Avrò avuto otto o nove anni. E legato a queste rievocazioni ho creato un piatto, dal nome “Scatola dei ricordi”. Rompendo la scatola emergono tutte le essenze dei fiori di montagna, quelli che fioriscono vicino casa in diversi periodi dell’anno, li ho glassati, miscelati con la ricotta fatta mantecare leggermente, e da cui si distingue l’affumicatura di tabacco, quel sentore legnoso che portava addosso mio nonno che fumava troppo. 

Pantalone e t-shirt bianca dal suo guardaroba.
Cappotto Tom scozzese beige brown e olive green: Sartoria LaTorre


Se fossi un piatto che piatto saresti?

L’hamburger.

L’hamburger?


A chi non piace l’hamburger?
E’ un comfort food, puoi mangiarlo ovunque e puoi farlo con le mani (un saluto a Csaba dalla Zorza), puoi sporcartici le mani; dall’hamburger ci si lascia coinvolgere, puoi imbottirlo con gli ingredienti più disparati ma soprattutto in un ottimo sandwich si racchiude l’essenza di un piatto in tre morsi. E’ una questione di equilibri e bilanciamenti.

Se dovessi cucinare un piatto ad personaggio storico, per chi cucineresti?

Luigi XXVI. Mi ha sempre affascinato la vita all’interno delle cucine di quel periodo, una cucina di ricerca e di sviluppo, dove il servizio a tavola era un vero e proprio show. Lo chef era necessariamente spinto a cercare e inventare, doveva essere creativo, sfornare ricette, trovare l’ingrediente esotico, divertire il re, altrimenti si passava dal taglio della torta al taglio della testa!

E cosa gli avresti cucinato? 


Probabilmente una pasta al pomodoro e sarebbe stato felice, ne sono certo!

Qual è l’ingrediente più importante in un piatto? 


L’energia. 

Io cucino e mi emoziono, non faccio distinzioni tra i commensali, cucinerei con amore per tutti perchè cucinare è un atto d’amore che rivolgo prima di tutto a me stesso. Il messaggio che cerco di lanciare sui social, in video durante “Cortesie per gli ospiti”, nei vari programmi tv, nei miei ristoranti, è il racconto di quanto sta dietro il piatto. La passione e la dedizione per gli alimenti, cibi che coltivo con le mie mani, prodotti che conosco e vedo crescere, per poi utilizzarli nelle mie cucine; so dove trovare gli ingredienti migliori e più sani, so dove pescarli e questo è un mondo che vorrei portare nel piatto, tutto l’ecosistema dalla nascita alla trasformazione. Quando chi mangia comprende questo insegnamento, di sicuro apprezzerà di più anche quello che avrà nel piatto.

E’ una vita stressante quella in cucina, che vede un alto tasso di alcolisti e depressi 


E suicidi. E’ un attimo, ti danno la stella e poi subito te la tolgono, non hai più vita sociale, un bicchiere diventa una bottiglia e si è sempre sotto pressione. Io mi reputo molto fortunato, perchè ho un ottimo autocontrollo ma soprattutto perchè spesso mi fermo, rifletto sui risultati ottenuti e godo di queste piccole felicità. 


Dovessi consigliare un viaggio, quale meta sceglieresti?

Ho un rituale, ogni anno devo trascorrere almeno tre giorni in Sardegna, la terra dove sono cresciuto. Qualche anno fa ho girato Mauritius, Maldive e Marocco e avevo ancora una certa nostalgia, era il “mal di Sardegna”. Cosa mi mancava? Il profumo del mirto, della terra bruciata, il sentirmi a casa, quella sensazione ovattata di serenità,  e i culurgiones, i malloreddus con la salsiccia, le seadas, e la “mazza frissa”, una salsa di semolino e panna simile alla polenta morbida, che accompagno al pane fatto cuocere insieme al maialino. 

Al secondo posto metterei Kunming, una città rurale di 6 milioni di abitanti situata nella regione dello Yunnan, zona meridionale della Cina. Una campagna che ricorda Bangkok e Bali con sapori e profumi di fritto, di pesce, quegli aromi forti e selvaggi che ti coinvolgono come un uragano, ti avvolgono, ti sconquassano e poi ti spazzano via. E’ come un tornado tra le papille gustative.
Da quel luogo ho portato con me il te’ pu- erh  un tè stagionato affumicato, pressato con foglie intere dalle ricche proprietà e dal costo molto alto perchè pregiato. Sono sempre a caccia di sapori nuovi. 


C’è qualcosa che ti manca della tua cucina quando sei via?


Cucinare.
Capita quando sono in vacanza o quando sto sul set per lungo tempo, per molte registrazioni. Manca il momento che dedico a me, quando sto seduto al tavolo di casa a pensare, riflettere, per poi alzarmi, andare nella mia cucina e creare. E’ come un rituale che nutre il mio spirito. 


La tua idea di cena romantica ? 

Sono un cancro ascendente cancro e devo dire che questa mia sensibilità mi ha sempre aiutato con il gentil sesso, coltivo le emozioni e mi lascio coinvolgere; ma cosa c’è di più bello nella vita?
Mi basta un pezzo di pane, un bicchiere di vino, una spiaggia sul mare, un bellissimo tramonto e l’amore della mia compagna. 


Cos’è per te la felicità ?


Quello che mi rende felice ce l’ho e la cosa molto bella è che non sento il bisognoso di altro.

Chi nasce nel mondo occidentale, oggi, nasce sotto una stella favorita, a patto ci siano complicanze di altro genere, abbiamo a disposizione mezzi che ci permettono di crearci la nostra fortuna, siamo molto facilitati dalla visibilità dei social e dallo scambio di contatti. 

Il segreto di una felicità duratura sta nel ritagliarsi il tempo per gioire delle piccole cose, dei piccoli risultati quando li si è raggiunti, per poi darsi obiettivi nuovi e crescere. 

Hai mai assaggiato qualcosa di immangiabile sul set? 

Spaghetti, cozze, vongole e sabbia. Come sgranocchiare dei gusci.

“Cortesie per gli ospiti” riconferma il suo successo e manda in onda la terza stagione, siete un trio molto affiatato? 


Csaba è una donna d’altri tempi, molto composta, educata, molto attenta alla forma, esattamente come la si vede in video;  Diego è la fotografia della festa, ci fa ridere nel momento di  grande imbarazzo e strappa sempre a tutti una risata. Andiamo molto d’accordo, siamo un trio ben assortito. 


Un gruppetto di ragazze in festa, di cui una col velo da sposa, chiede da lontano una foto con Roberto, dopo averlo riconosciuto. Lui gentilmente si alza e concede il suo tempo e una chiacchierata; poi si sposta verso il lago per una foto, lui che il lago lo conosce, lo vive e lo rimira accarezzando i suoi cani quando sta a casa. Di fronte al lago parla di felicità e di amore, di passione e di costruzione, lo fa con l’eloquio di un vecchio saggio, e mi scordo dei suoi trent’anni.(ndr)

Pantalone denim Jeckerson, giacca mèlange Sartoria LaTorre, Tshirt dal suo guardaroba.

Talent – Chef Roberto Valbuzzi

Photographer: Antonio Avolio

Stylist: Miriam De Nicolo’

Stylist Assistant: Irene Lombardini

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Il cuore di Marco Ferri è in Africa

Marco Ferri, classe ‘88, ex concorrente dell’edizione 2018 “Isola dei Famosi” e figlio dello storico difensore dell’Inter Riccardo Ferri, è laureato in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM (Milano) ed ha ottenuto un Master in International Marketing presso la European School of Economics (Londra). Inizia la carriera di modello all’età di 18 anni, per poi atterrare nelle tv cilene e spagnole nel 2014 con la partecipazione a reality shows. Oggi lega il ruolo di influencer marketing al volontariato, un progetto che gli sta molto a cuore. La sua più grande passione? I viaggi.


Mi dà appuntamento a casa sua e io penso che lo faccia per proteggersi, per giocare in un campo familiare, per “stare al sicuro”. Entro quindi in punta di piedi, perché intervistare è un po’ scoprire, e come lo psicologo “rovista, indaga” con una domanda, così l’intervistatore “scava” per far emergere la persona e lasciar riposare il personaggio.    Mi accoglie con un gran sorriso nella sala con il tavolo del poker, quello dedicato alle serate con gli amici, mi rivelerà più tardi. Una sottile consolle ospita due bicchieri da whisky, un Bombay, un Ramazzotti e altri liquori; alle pareti sono incorniciate copertine vintage di Vogue: raccontano la sua passione per la moda. Sul tavolo davanti al divano ecco “Valentino, at the Emperor’s Table”, il libro firmato dallo stesso couturier, conosciuto al suo compleanno nel 2018.   Iniziamo la nostra chiacchierata per ripercorrere la storia e le passioni di Marco Ferri, figlio del calciatore Riccardo Ferri da cui ha ereditato la passione per lo sport; un volto che si è fatto conoscere al grande pubblico grazie alla partecipazione all’Isola dei famosi 2018. Dopo i successi e i gossip televisivi Marco è oggi impegnato nella sua carriera e crescita nel mondo dei social media come influencer e digital marketing specialist.

La casa di questo moderno arbitro d’eleganza, ricca di dettagli che svelano il piacere delle comodità e guizzi da don Giovanni, mi fa tornare in mente un passaggio che Proust, nella «Recherche», regala al personaggio di Swann: “Diverse volte basta rovesciare le reputazioni create dalla gente per avere il giudizio esatto su una persona”.      Chi è il vero Marco Ferri, dietro l’immagine nota? Sulle pareti grigio scuro che portano alle camere ecco un prima e un dopo: Marco a un anno con pantaloncini a righe bianco e neri e una t-shirt rossa in tono con le sdraio fronte mare, in un sorriso spensierato di quell’età che non conosce ancora dolori, e Marco a 25, cui le righe fanno da sfondo a un corpo tonico e a uno sguardo che le esperienze hanno reso più sicuro. Nella camera da letto, nel loro fiero isolamento su una piccola mensola laccata di nero, una glacette e due boule da vino rosso, intonse e linde, pronte per essere servite davanti al camino che arde a comando. Saranno oggetti d’uso o simulacri rituali?

Viaggi moltissimo. Quale meta ti ha cambiato la vita? Quando si parla di mal d’Africa si parla seriamente, è qualcosa di profondo che si radica in noi e magari rimane lì per poi tornare a galla, com’è successo a me, che ho avuto la fortuna di visitarla già da bambino. Andai in Kenya con i miei genitori, era una vacanza tra Malindi, Watamu e i villaggi locali per esplorare la realtà kenyota, e quando sei giovane sì ti colpisce, ma non hai ancora i mezzi per “muoverti” e fare qualcosa. Quest’anno quella lampadina si è riaccesa, quella voce rimasta dentro di me mi ha sussurrato cosa fare e finalmente il progetto ha preso vita: ho unito il mio lavoro di influencer marketing al volontariato.

Qual è il progetto? Dedicare i miei viaggi di lavoro a realtà difficoltose come quelle africane e dare una mano concreta, acquistando mezzi di prima necessità: alimenti, pannolini per i bambini, indumenti, set per l’igiene personale… La più grande gioia è quella che ti porti a casa, quella che ti regala la luce negli occhi dei bambini che ti ringraziano per una caramella, quei sorrisi che vorresti donar loro tutti i giorni per i giorni a venire; la gratitudine delle madri (gli uomini di giorno sono fuori al lavoro, in genere svolgono lavori artigianali i più fortunati, mentre altri stanno in città a girovagare sui motorini) che si rallegrano per la visita e i piccoli doni. Ricordo i bambini che si divertivano ad acchiappare un drone, e com’erano educati in attesa del loro turno per ricevere qualcosa dalla grande spesa fatta insieme alla mia troupe. Se tutti facessimo quel poco, forse la situazione cambierebbe, questo è il messaggio che sto trasmettendo anche sui social: sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe.

La tua paura più grande? Ho paura di non innamorarmi più.

Sento una nota di distacco: una delusione? La società si evolve e oggi le relazioni sono diventate più effimere e superficiali: mi portano a sentirmi un poco vittima del sistema. Chi non ti conosce crede di avere in pugno la verità, solo perché legge i contenuti dei tuoi account social, che per me sono lavoro e traducono una piccolissima parte dei miei pensieri e della mia vita intima.    Ho paura che i pregiudizi, che hanno spesso le persone che incontro, possano limitare gli aspetti più romantici della conoscenza. Prima dei social c’era più naturalezza e ci si dava il tempo di scoprirsi.

Esiste una canzone che racconta il tuo viaggio? Possiedo una playlist in ordine cronologico a cui aggiungo canzoni da cinque anni, dovessimo pescarne una a caso, tra queste, saprei raccontarti la città in cui mi trovavo in quell’istante, cosa vivevo e la sensazione che mi provoca, è come sfogliare un album di ricordi.    Per esempio mi viene in mente ‘Electricity’ di Dua Lipa che mi ha accompagnato in viaggio verso Dubai. E ancora un’altra canzone ha accompagnato nel 2014 il mio percorso in Cile da Nord a Sud, dopo aver partecipato a tre programmi molto forti: Morandè con Compañia, Gran Hermano VIP 5  e la Divina Comida, un programma di cucina per il quale fui premiato.

Quali i profumi che ti caratterizzano? Ne alterno quattro in base agli stati d’animo: Eau de Rhubarbe Ecarlate di Hermes (“lo uso in estate”); Rive Gauche di YSL, daylight; Spicebomb di Viktor&Rolf, legnoso e speziato, il cui package è una bomba a mano; Wood & Spice di Montale, legnoso, ha molto successo con le donne.

E quali sono i profumi che ami sentire su una donna? Non sono un fan dei profumi forti su creature tanto delicate, sarebbe come profanarle. Coltivo la semplicità, gli odori naturali dei capelli appena lavati e quelli della crema spalmata sul viso prima di andare a letto.

Se ti dicessero “hai 30 secondi prima di partire per un lungo viaggio”, cosa porteresti con te? La mia GoPro,  un drone e il filo interdentale.

Foto: Marco Onofri
Stylist: Miriam De Nicolò
Location: Vistaterra, Via Carandini 40 Parella (TO)

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L’arte del viaggio: Christian Pizzinini e Antonio Lodovico Scolari

I travel ambassador per l’Italia di Atelier Voyage, fondatori di Pizzinini Scolari Comunicazione, si raccontano a Manintown.

Come è nata l’avventura con Atelier Voyage?

C. Ho conosciuto Gerhard Gerhard Lindermeir e Gabriel D. Doucet Donida di Atlier Voyage presso il Rosa Alpina di San Cassiano sulle Dolomiti. Insieme abbiamo capito che condividiamo molte passioni per i viaggi tailor-made e non solo. I fondatori aperto da pochi mesi il loro atelier di Milano e noi siamo diventati i travel ambassadors per l’Italia.

A. Idem.

Come vedi l’evoluzione del mondo social legato al business travel?

C. Il mondo social legato al viaggio all’estero è già ben delineato.

A. La figura dell’influencer è molto legata alle opportunità. Pochi sono in grado di raccontare i luoghi e gli hotel, ma spesso cadono nell’autopromozione di se stessi.

Tre aggettivi per definirti.

C. Curioso, esteta, intraprendente.

A. Dinamico, alla ricerca di stimoli continui, indipendente.

Meglio partire ben organizzati o a occhi chiusi?

C. Meglio andare sul sicuro e affidarsi a un travel designer.

A. La figura del travel designer è in grado di strutturare il viaggio, non sempre costoso, sulla base di necessità e budget.

Valigia piccola o grande?

C. Un esperto viaggiatore riesce a partire abbastanza snello.

A. Spesso si esagera con cose in eccesso, ma meglio un capo in più che un acquisto last minute. E poi noi italiani sappiamo vestirci bene.

I tre viaggi del cuore.

C. Uno dei miei resort preferiti è l’isola di Jumby Bay ad Antiqua. In Italia un posto magico è il Capofaro a Salina, immerso nei vigneti di malvasia. Ed anche il Tyrol di Selva di Valgardena, un hotel di tradizione, dove soggiorni tra amici. 

A. Ladakh, piccola regione indiana ai piedi dell’Himalaya, stretta tra il Pakistan e la Cina. Le Maldive e il Venezuela con le sue isole spettacolari. Peccato che ora sia off limits, spero di ritornare a Los Roques non appena possibile.

La persona migliore con cui partire.

C. L’amico del cuore e il mio partner.

A. Preferisco viaggi con poche persone o anche da solo, trovo che sia un piacevole momento da dedicare a se stessi.

Quale sarà la tua prossima meta?

C. Cape Town in autunno.

A. San Francisco in ottobre.

Il viaggio del futuro…

C. Un safari in Sudafrica, una crociera sul Nilo, una puntata a Tel Aviv, un saluto a Lisbona, alla scoperta del Brasile.

A. La Mongolia.

Qual è una Spa o un Hotel che hai amato? 

C. La Spa dell’Alpina Dolomites Gardena sull’Alpe di Siusi e L’Aman Hotel di Venezia.

A. L’Hôtel Ritz di Parigi, prima della ristrutturazione.


Cosa non può mai mancare in valigia?

C. Un buon libro.

A. Un libro.

Tre accessori utili che metteresti in borsa.

C. T-shirt, occhiali, costume.

A. Camicia, occhiali da sole, costume.

Il mezzo preferito.

C. Aereo.

A. Aereo.

La città più bella al mondo.

C. Parigi, rimane sempre la più elegante.

A. Roma.

Dove ti vedi in un giorno lontano?

C. Continuerò a sognare come ho fatto finora.

A. Non lo so ancora di preciso, un’idea ce l’ho e vedrò di concretizzarla.

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Tra onde e fiori

Eco-esploratore, neo-contadino, regista e waterman, Emmanuel Bouvet a 47 anni condivide con noi la sua vita tra gli oceani del mondo e il suo giardino segreto nell’isola di Maui, nell’arcipelago delle Hawaii. Una visione green.

Dice di essere che cittadino del mondo, cioè?

Amo la natura e il mare in particolare; e quindi ho un naturale desiderio di proteggerli. Sono ambasciatore per la Fondazione Race for Water: un catamarano a energia solare con una missione di scienziati che per 5 anni navigano gli oceani per studiarne l’inquinamento. Li abbiamo raggiunti sull’isola di Pasqua per raccogliere la micro-plastica che arriva sulle spiagge. Nella vita quotidiana cerco combattere la plastica. E non è facile! Sono ambasciatore di KnowledgeCotton Apparel, un marchio europeo pioniere in abbigliamento di cotone biologico con tracciabilità dei prodotti. Il loro stile cool ed elegante, poi, mi piace molto.

Ci racconta la sua giornata ideale a Maui?

Mi sveglio presto, verso le 5 e 30. Cerco di andare con Lou, mia figlia (13 anni) a fare surf un’oretta prima di portarla a scuola. Poi vado a lezione di yoga da mia moglie Carine, che insegna anche meditazione e condivide la mia passione per il surf. E così, dopo posso dedicarmi alla nostra piantagione di ninfee e ai nostri film. Se riesco, sul finire della giornata, faccio una sessione di windsurf o di foil, o andiamo a nuotare assieme alle tartarughe con Shadé, la più piccola (7 anni). Le piace molto! Mi godo l’oceano in diversi modi.

Com’è arrivato alle Hawaii ?

Sono arrivato da Parigi a Maui quando avevo 21 anni, per unire l’utile (uno stage di laurea in business school) al dilettevole (il windsurf). Per 10 anni con Carine abbiamo gestito un’agenzia di viaggi specializzata in soggiorni di surf. Poi, 15 anni fa, abbiamo comprato un’azienda agricola di ninfee e creato la Maui Water Lily Farm, senza avere grandi conoscenze di queste piante. Però il bisogno di connessione alla terra si faceva fortemente sentire.

E oggi cosa fa quando non coltiva i suoi fiori?

Viaggiamo con le figlie per la nostra serie di film The Green Wave. Dall’India all’arcipelago africano di Sao Tomé e Principe, dal Cile fino a Christmas Island nel Pacifico, o dalla Papua Nuova Guinea alla Colombia, l’idea è una: sensibilizzare all’ambiente e mostrare delle valide iniziative ecologiche, sempre scivolando tra due onde!

Com’è nata questa consapevolezza ecologica ?

Diventando padre è cresciuta in me la nozione di patrimonio e di trasmissione. Cosa lasceremo ai nostri figli? Poi, semplicemente come amante della natura, vedo è in pericolo quindi voglio proteggerla. E come surfista, vedo l’inquinamento sulle spiagge di tutto il mondo, anche in posti remoti come l’Isola di Pasqua.

Se il mare fosse una persona chi sarebbe ?

E’ la madre di tutti noi. Veniamo dall’oceano e viviamo sul “pianeta mare”. L’acqua ricopre il 71% della superficie terrestre. Noi esseri umani siamo fatti per il 71% di acqua. Coincidenza? Anche se c’è un legame materno, quasi carnale con l’oceano, c’è anche una paura nel senso animale, primitivo. Il mare è come una leonessa, capace di proteggere i suoi figli ma anche di castigarli. C’è bisogno di imparare a conoscerlo, leggerlo e soprattutto rispettarlo per sapere quando e come tuffarcisi dentro. Perché il mare puòessere un rifugio, luogo di benessere, o una tomba.

Quali sono le sue emozioni quando fa surf ?

Una grande comunione con la natura, che mi ricorda ogni volta che siamo un tutt’uno. Danneggiarla è farci del male. Sono sensibile al potere energetico del mare, alle sue virtù lenitive.

Quali sono stati i suoi viaggi più memorabili ?

La prima volta che sono partito è stato per accamparmi a 5 km dalla nostra casa di vacanza in Bretagna. E’ stato il primo viaggio che aveva il respiro della libertà e dell’avventura. “Adventure is around the corner”, come dicono gli anglosassoni! Ed è vero! Penso di non aver fatto altro da allora che ricercare questa sensazione di libertà, andando solo più lontano. Da giovane, il viaggio significa confrontarsi con il pericolo, come un rito iniziatico. Quando avevo 20 anni, con un gruppo di amici abbiamo deciso di raggiungere le isole Chagos, un mito per i navigatori, uno degli ultimi paradisi selvaggi. Sono accessibili solo in barca a vela dalle Seychelles. Abbiamo preso un catamarano di fortuna, senza moderni strumenti di navigazione. Ci sono volute 2 settimane, invece di una. La barca andava in pezzi. Siamo andati alla deriva per due giorni provando a ripararla. Imbarcavamo acqua nelle cabine. Dentro abbiamo dovuto montare delle tende. Alla fine siamo arrivati, stanchissimi ma felici. Scampati a un bel pericolo…

Che lezione ha tratto da questo viaggio pericoloso?

E’ stata un’esperienza bellissima. Sono d’accordo con Keyserling che dice che il camino più breve verso te stesso ti fa prima girare il mondo. Quindi continuo a girare! E’ anche un modo meraviglioso di incontrare la gente.

I suoi programmi attuali?

E’ appena uscito il nostro ultimo film, The Green Wave, girato in Colombia. Lo presenteremo al Festival du Film de Surf di Anglet (Biarritz), dal 10 al 13 di luglio. A giugno, saremo nella Polinesia Francese per girare un nuovo episodio.

Qual è il sogno che non ha ancora realizzato ?

Respirare sott’acqua e parlare le lingue di tutti paesi che visito.

Testo di Sabine Bouvet, Foto Pierre Bouras e Sabine Bouvet 

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Travel design su misura: i viaggi fatti ad arte di Atelier Voyage

Nei loro spazi di Milano abbiamo incontrato due vera gentleman, Gerhard Lindermeir e Gabriel D. Doucet Donida che nel 2017 hanno fondato Atelier Voyage una realtà unica nel suo genere per chi ama il viaggio all’insegna della scoperta e dell’amore per l’arte, il design, la cultura e il bien vivre. Gerhard e Gabriel studiano e disegnano insieme ai loro clienti vere esperienze su misura, un viaggio dentro il viaggio. La loro è una storia di grande passione in cui hanno unito le loro competenze differenti per creare un nuovo concetto di travel boutique agency.Gerhard è nato nel turismo, suo zio aveva una compagnia di omnibus per viaggi dalla Germania alla Spagna e per questo motivo è stato molto coinvolto sin da giovane nel mondo dei Tour Operator. Gabriel, invece, ispirato dagli anni trascorsi a Roma, è entrato alla facoltà di Architettura in Canada. Dopo i due master in Belle Arti e Performance Studies Gabriel ha lavorato come architetto ad Ottawa e a Toronto, dove ha aperto due gallerie d’arte ad Halifax e Montreal in Canada, per poi diventare “Curator in Residence” alla Saidye Bronfman Centre for the Arts di Montreal. Nel 2006, si sono incontrati per puro caso a Florianópolis in Brasile aprendo due locali a 100m di distanza uno dall´altro! Da lì, un anno dopo, si sono ritrovati a Düsseldorf per creare Atelier Voyage, un mix tra Arte (Atelier) e Viaggi (Voyage).

Come è nata la vostra passione per il viaggio?

Gerhard:  È un insieme particolare tra passione e conoscenza approfondita del viaggio, con un amore per l’architettura, il design e l’arte. Dal 2007, Gabriel ha voluto intensificare le sue esperienze di viaggi “long-haul” (a lungo raggio ndc) per meglio informare i nostri clienti sperimentando viaggi ed esperienze speciali in Giappone, Sud Africa, Cina, Bhutan, Nuova Zelanda, India, Maldive, e altre infinite destinazioni.

Quali i vostri artisti e designer di riferimento e ispirazione?

Gabriel:  Nel panorama degli artisti abbiamo gusti particolari, ma fra i nostri preferiti ci sono molti nomi nell´arte moderna o contemporanea, al di là dei grandi e ormai noti a livello internazionale come Cildo Meireles, Kiki Smith, Pipilotti Rist, Günther Uecker, Antoni Tàpies, Niki de Saint Phalle e gli ultimi lavori grandiosi di Cy Twombly. Con Atelier Voyage siamo diventati partner esclusivi di BMW Art Journey ad Art Basel in Hong Kong e Miami. Questo progetto include talenti più giovani come Broken Fingaz, Zac Langdon-Pole, Max Hooper Schneider e artisti canadesi come Attila Richard Lukacs, Chris Curreri.  Come designerammiriamo sempre l´esuberante e teatrale Philippe Starck e nel mondo del graphic design e art direction talenti come Neville Brody e Roman Cieslewicz, senza dimenticare il grande Franco Albini e altri designer italiani degli anni Sessanta, come Marco Zanuso, Franca Petroli, Claudio Salocchi, che hanno influenzato lo stile del nostro ufficio qui a Milano.

Come è nato il progetto di Atelier Voyage?

Gerhard e Gabriel:  Abbiamo avuto l’ispirazione di coinvolgerci completamente nel mondo dei viaggi, per chi ricerca i posti meno noti, ma sempre con una sensibilità verso la cultura, l´arte al di là del turismo di lusso.

Come sviluppate le vostre travel design experience?

Gerhard e Gabriel:  Nasce tutto dalla relazione intima con il cliente. Guidiamo i suoi desideri verso le migliori destinazioni e segnaliamo degli “hot spot” culinari, culturali, eventi e gallerie (sempre nei centri urbani), arrivando a suggerimenti di libri o film da vedere in preparazione al viaggio. In questo modo si può pianificare tutto in ogni dettaglio con l’obiettivo di soddisfare le aspettative più alte. 

Come sta evolvendo il mondo del travel?

Gerhard e Gabriel:  Al momento si cercano sempre di più le destinazioni particolari, dei veri scoop in luoghi non ancora troppo sfruttati (tipo l’isola di Taketomi nel sud del Giappone, le isole del Mozambico o la quinta valle del Bhutan, per esempio) o luoghi di benessere che sanno come curare il corpo, ma anche la mente e lo spirito (Kamalaya in Koh Samui, Thailandia, Malibu Ranch in California, USA, etc.).

Le vostre partnership e i travel ambassador

Gerhard e Gabriel:  Stiamo sviluppando in primis rapporti umani e di lavoro con alcuni lifestyle partner (St Barth, Tanya Heath Paris, che sono brand beauty e moda) e anche con gruppi alberghieri internazionali (Four Seasons Preferred Partner, Belmond Bellini Club, Mandarin Oriental Fan Club, Peninsula Pen Club, Relais & Châteaux 5C Club, etc.). Finalmente, in Germania come in Italia, abbiamo sviluppato un network attraverso gli Atelier Voyage Travel Ambassador che diffondo il nostro brand, un concetto vincente per noi dal 2008. In Italia i nostri Ambassador sono Antonio Lodovico Scolari e Christian Pizzinini, veri conoscitori del mondo travel, che incarnano perfettamente quel lifestyle fatto di dettagli, attenzioni e luoghi non convenzionali in cui ci rispecchiamo.

Le destinazioni e luoghi che consigliate

Gerhard e Gabriel:Come hotel o esperienze, ne abbiamo più di 5000 da scegliere, come ad esempio la Co(o)rniche Pyla-sur-mer in Francia, La Flâneuse du Nil (crociera) in Egitto, il nuovo Hotel Fasano Salvador in Brasile. Quanto alle SPA e Wellness Destination da non perdere è Ananda sull’Himalaya in India o Schloss Elmau in Bavaria. Infine per quanto riguarda i ristoranti, sono informazioni preziose per noi che riserviamo solitamente ai nostri clienti speciali. Per nominarne due qui in Europa, vi consigliamo 7132 Restaurant Silver Vals in Svizzera o Le Grand Véfour a Parigi.

Il viaggio più strano che avete fatto

Gerhard e Gabriel: Abbiamo organizzato un matrimonio sulle isole del Mozambico, raggiungibile solo con elicottero, con la richiesta specifica di una notte magica di luna piena sulle spiagge deserte durante la cerimonia per un gruppo di familiari e amici. 

Quando partite cosa non può mancare nella vostra valigia?

Gerhard e Gabriel: Al di là del costume da bagno, c`è sempre un libro tascabile, un quaderno e il nostro Kit Samsonite della HostLab personalizzata per Atelier Voyage, con tutto il necessario: maschera per dormire e i prodotti cosmetici della Linea St Barth.

Come concepite e arredate i vostri spazi/uffici in giro per il mondo?

Gerhard: Siamo sempre  influenzati dal luogo in cui ci troviamo e ci collochiamo sempre in edifici di inizi Novecento. Dopo Düsseldorf e il suo “white space” gestito dal 2007, il nostro Headquarter a Monaco di Baviera fu concepito con atmosfera Jungendstil e accenti di Nils Holger Moormann e Philipp Starck, più formale ma guardando all´idea del Club Lounge, con zone salotto per il relax e per il bar. Abbiamo poi avuto la fortuna dal 2011 a Monaco di Baviera di lanciare la cooperazione con Linea St Barth e creare uno spazio benessere. Adesso si è aggiunto dal 2016 anche l’osteopata e il fisioterapista Sergius Werner. A Milano, abbiamo scelto di creare uno spazio colorato che rifletta lo spirito e il design di questa città, con dettagli e arredi italiani degli anni Sessanta. Certamente, poiché Gabriel è architetto laureato e artista nel cuore, lascio a lui la progettazione di ogni ufficio.

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Il re di Instagram: Gianluca Vacchi

Per chi non sapesse (come fate a non saperlo?) chi è Gianluca Vacchi, vi invitiamo a dare un’occhiata al suo profilo Instagram che vanta ben 13 milioni di followers. Quest’anno a maggio gli è stato dato il GRAND PRIX ai World Bloggers Awards a Cannes. WBA è la prima cerimonia al mondo per i migliori blogger. Gianluca Vacchi era una delle star nominate quest’anno e ha visto il premio più importante.

Appena entra nella lobby del bellissimo Four Season Downtown, capiamo dal suo sorriso contagioso e dalla sua immensa energia che sarà sicuramente un’intervista piacevole e divertente. L’influencer cinquantaduenne è diventato famoso per il suo lifestyle “sempre alla ricerca del sole”, come da lui definito, la sua abilità nell’essere fit e la sua voglia di reinventare se stesso come DJ e produttore musicale. Ha collaborato con Luis Fonsi e Yandel, è comparso nel video di J Balvin “Mi Gente” e solo da pochi anni ha intrapreso una nuova carriera come DJ nei club più famosi in giro per il mondo.

Se fossi un personaggio storico.. chi saresti? e perchè?

GV: Cesare o Attila.

MT: Perché Cesare? e perché Attila?

GV: Perché mi piace pensare in grande e conquistare. Voglio conquistare il mondo e raggiungere obiettivi che mi sono imposto come una consistente misura dei miei talenti. Sto bene con me stesso quando so che sto utilizzando tutti i talenti che mi sono stati donati. Sto bene anche quando so che ho sfruttato al meglio uno dei pilastri fondamentali della mia vita: il tempo. Mi piace pensare che ci dovrebbe anche essere quell’istinto animalesco in ognuno di noi, qualcosa di quasi primitivo.

Mare o montagna? La tua destinazione preferita

GV: Entrambi. Mare e montagna. Ero uno sciatore professionista a Cortina. Sciare è stata la base per creare il mio istinto competitivo. Amo molto anche il sole. Direi che il mio lavoro ora è di “inseguire il sole”. Sto scherzando, ma amo molto entrambi.

MT: Se dovessi scegliere una destinazione oggi, dove andresti?

GV: Non posso stare in un posto dove non c’è mare o sole. Probabilmente sceglierei Los Angeles per il tuo ambiente creativo e per il tempo. Ho una casa a Miami e mi sento appagato quando sono lì. E’ un posto che rispecchia la mia personalità. Vi sono molti latino americani che io adoro.

Parliamo un po’ di moda. Quali sono 3 accessori o capi di cui non puoi fare a meno?

GV: Sicuramente jeans, t-shirt e uno smoking.

La curiosità di molti è: Su cosa si basa realmente la tua carriera?

GV: Sono sicuramente un imprenditore nel cuore. E’ parte del mio DNA. Ho ancora una azienda di cui possiedo le azioni e sono uno dei direttori. Sto pensando a cosa fare tra due o tre anni, ma non so ancora.

Come sta andando la tua carriera da DJ?

GV: Sta andando molto bene.

MT: E’ appena uscito un tuo nuovo singolo giusto?

GV: Si. Produco molto e mi piace essere un direttore musicale, non uso software come fanno molti giovani DJ. Ho molte idee, quindi do il mio tocco alle melodie che uso. Fino ad ora ho suonato in location stupende in giro per il mondo.

Sei considerato una star del web, come influenzano la tua vita i social?

GV: E’ una domanda delicata. Viviamo in un’era in cui c’è una vita reale e una virtuale, poi ci sono persone che separano la loro vita virtuale da quella reale e rappresentano se stessi diversamente in entrambe le vite. Ad esempio, se noi facessimo una foto qui e diciamo che siamo a Sydney, nessuno direbbe nulla. Ci crederebbero. Puoi fare successo solo se la vita reale e la vita virtuale coincidono. Devi mostrare ciò che realmente sei. Non mi sento influenzato, ho sempre vissuto così anche 20 anni fa..

Gianluca Vacchi: eccentrico o estroverso?

GV: Probabilmente entrambi, ma sicuramente anti-borghese. La borghesia tende ad imporre rispettabilità e conformismo come modi di vivere e non supporto questa idea.

Che consiglio daresti a coloro che vogliono avere successo nel mondo dei social media?

GV: Che sia nel mondo dei social media o nella vita reale, se non hai talento, non puoi avere successo. Non devi inventare nulla di speciale per farcela. Credo tu abbia successo sui social quando hai successo nella vita. Essere almeno un po’ anti-conformista è importante, così come lo è sognare in grande. Non vi è successo virtuale se non c’è successo reale.

Quanti tatuaggi hai?

GV: Probabilmente più di 120.

MT: Sono tantissimi. Ci diresti qual è il più importante e perchè?

GV: Sicuramente il ritratto di mio padre. Ogni tatuaggio ha il suo significato ed è collegato a qualcuno o qualcosa di importante nella mia vita. Per esempio uno è il frammento di una lettera scritta da un amico, un altro è il ritratto di mia zia.

Le città o location che sono fonte di ispirazione per te

GV: Sicuramente New York, che è un posto incredibile. Una città elettrica, che ti entra dentro e ti fa sentire vivo. Anche se la amo molto, non riesco a stare molto a NY perché è come se il tempo scivolasse dalle mani. Si muove tutto così velocemente.

Cosa ha in serbo il futuro per Gianluca Vacchi?

GV: Il prossimo step per me è iniziare una terza vita. Nella mia prima vita ho lavorato come imprenditore, nella seconda sono diventato un DJ, nella terza potrei diventare attore. Vedremo. Il segreto sta nell’essere aperto e reinventarsi sempre.

Siamo stati piacevolmente interrotti da un fan che entra nella lobby. Un gentiluomo che lavora nella Borsa di NY che si avvicina e chiede un selfie a Gianluca. Si può leggere felicità nei suoi occhi, la felicità di un fan che incontra il suo idolo dei social media. Ha inoltre confessato di essersi fatto crescere la barba per imitare quella di Gianluca e che ama ballare a ritmo della sua musica. Proprio in quel momento siamo spettatori del potere di essere un influencer. Decidiamo di lasciarci in questo modo e con un sorriso e molto ottimismo, auguriamo a Gianluca Vacchi una terza vita di assoluto successo. (ndr)

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Da volto tv a influencer: Claudio Sona

A qualche anno dalla fine della sua prima esperienza televisiva come tronista a Uomini e Donne, incontriamo Claudio Sona, classe 1987 e veronese doc. Dopo aver ripreso in mano la sua routine quotidiana, oggi coltiva nuove passioni insieme all’attività di influencer che gli permette di esporsi nella misura in cui desidera, senza lo stress eccessivo della tv. Adesso preferisce concentrarsi sui rapporti veri, tenere per se le sue fragilità e ritagliarsi i suoi spazi per riflettere.

Cosa ti ha lasciato e cosa ti ha tolto l’esperienza televisiva a Uomini e Donne?

Mi ha lasciato molti bei ricordi, come tutte le nuove esperienze mi han insegnato tanto ma allo stesso tempo mi ha tolto la privacy ed è stato difficile gestirlo perché prima di allora non ero mai stato così tanto esposto davanti ad un pubblico. 

Come è cambiata invece la tua quotidianità?

Nonostante la popolarità, ho cercato di mantenere la mia quotidianità continuando a portare avanti il mio bar, attività che avevo iniziato precedentemente al programma ma che a breve giungerà al termine. Ho deciso infatti di venderlo perché ho voglia di nuove esperienze, andare all’estero e investire sulla mia formazione.

Grazie alla tua attività di influencer stai viaggiando molto, alcune mete che ci consigli di visitare?

Partirei con Cuba, il mio ultimo viaggio che mi ha lasciato davvero stupito.  Mi è piaciuto molto il cibo e mi hanno colpito le loro usanze. Spaziando in un’altra dimensione nomino le Maldive, un paesaggio unico perfetto per chi cerca una dimensione di totale relax.  Concluderei con la Thailandia (Bangkok e Golden Triangle) e  poi l’India. Di questi luoghi mi piace soprattutto l’aspetto spirituale.

Il tuo luogo del cuore di sempre invece?

Amo l’Italia e la mia città Verona perché  è a misura d’uomo e tutto è raggiungibile facilmente, ma allo stesso tempo c’è molto movimento. Sardegna e Sicilia invece sono le mie mete estive preferite. Una città che mi ha stupito recentemente è Matera, incantevole e suggestiva.

Tre capi che non possono mai mancare nel tuo armadio

Jeans, una felpa comoda e la camicia. Non amo particolarmente gli abiti, li uso giusto per le cerimonie o le serate speciali.

Cosa non manca invece nella tua valigia?

Spero sempre di portare un costume, ma in generale capi comodi. Tendo ad esagerare con i look anche se sto via pochi giorni.

Sappiamo che sei uno sportivo, come ti mantieni in forma?

Faccio sport da quando sono piccolo, ho praticato equitazione, giocato a calcio, amo anche gli sport estremi come il bungee jumping e il salto con il paracadute, mentre nel quotidiano mi dedico al crossfit. Mi alleno tutti i giorni, due volte al giorno se posso.

Hai quindi un regime alimentare particolare?

Mangio di tutto e faccio sport anche per questo, così posso concedermi qualche sfizio.

Il tuo rapporto con i social

Devo imparare ad utilizzarli meglio e acquisire più scioltezza. Sicuramente non amo la polemica e i pettegolezzi e non mi espongo su questioni politiche. Un tema importante di cui invece mi piace parlare è il cyber bullismo, di cui in passato sono stato anche vittima. In generale uso i social con parsimonia. 

Quali profili ti piace seguire su instagram?

Un personaggio che sto seguendo molto  sui social è Mahmood, mentre come influencer mi piacciono molto le coppie di travel blogger, un settore su cui puoi giocare molto con i contenuti e postare scatti pazzeschi realizzati nei luoghi più belli del mondo.

Tornerai a breve in televisione?

Non ho programmato nulla, soprattutto adesso che andiamo incontro all’estate. Potrei valutare qualcosa a Settembre ma certamente non reality o programmi che espongano eccessivamente la mia sfera privata.

Foto: Davide Carson

Stylist: Stefano Guerrini

Grooming: Giuseppe Tamburrini

Stylist’s assistants: Davide Spinella, Francesca Minardi, Greta Tedeschi

Si ringrazia Leonardo Hotel Milano City Center, via Messina 10 Milano

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John Dagleish: l’attore trasformista

Istrionico, con modi da perfetto gentleman e un sorriso che conquista. John Dagleish ti conquista con ironia e charme, e non si può fare a meno di notare la somiglianza con Vincent Cassel, in versione British. Dalla passione per il teatro (fa parte della compagnia di Kenneth Branagh) fino al grande cinema, John è il perfetto caratterista, capace di interpretare ruoli comici come drammatici, John Dagleish non è ancora famoso a livello internazionale, ma noi di Manintown scommettiamo sul suo talento, che quest’autunno vedremo nel controverso Farming film sul razzismo in Inghilterra e in Judy, il biopic sulla vita di Judy Garland.

Sapevi cosa significasse il termine “Farming” prima di prendere parte al fim?

“Farming” è un termine colloquiale usato dagli assistenti sociali britannici per descrivere una pratica diffusa negli anni ’60, ’70 e ’80 che vedeva i genitori nigeriani mandare i propri figli a vivere con famiglie affidatarie della classe operaia in Gran Bretagna, credendo che ciò avrebbe dato loro una vita migliore. Il rovescio della medaglia di questo “farming out” è focalizzato in modo straziante in questo film autobiografico diretto da Adewale Akinnuoye-Agbaje. Io non lo avevo mai sentita prima come parola, mi preoccupava anche essere capace di esprimere appieno un personaggio che non è fittizio ma è reale. Quello che sorprende, e in qualche modo scuote, è che il film rappresenta la brutale vita vissuta in prima persona dal regista, che però ha saputo dirigerci magistralmente, sapeva cosa voleva.

Ci racconti la trama?

Basato sulla sua storia di vita di Adamsale Akinnuoye-Agbaje, Farming traccia lo straordinario viaggio di un giovane ragazzo nigeriano che, lottando per trovare un’identità, s’imbatte in una banda di skinhead nell’Inghilterra del 1980. All’età di sei settimane, il protagonista Enitan è affidato alle cure di una famiglia di operai bianchi nella città portuale di Tilbury, nell’Essex. La sua nuova madre surrogata, Ingrid (Kate Beckinsale), diventa un genitore adottivo complesso e fa fatica a guidare il nuovo arrivato. Incerto del suo posto nel mondo e privo dell’amore di una madre, desidera disperatamente appartenere a un gruppo ed è vittima delle aggressioni dei bulli, si ritrova ad essere ricoperto di talco pur di voler sentirsi bianco. Da vittima diventa però carnefice contro i suoi stessi connazionali, entra infatti a far parte di una banda locale di skinhead guidata da Levi, il mio personaggio, che decide di accoglierlo come fosse un suo esperimento, quasi al rango di un animale domestico, trattandolo con crudeltà anche se Enitan riconosce in lui l’unico riferimento che ha. La bellezza della storia, oltre che parlare di un argomento mai trattato prima, mostra il percorso di crescita di un giovane uomo che subisce la discriminazione razziale e che deve combattere le avversità. Si renderà conto che, in un mondo di odio, la sua battaglia più dura è imparare ad amare se stesso e accettarsi.

Come è stato interpretare un personaggio così violento come Levi?

È molto difficile calarsi nei panni di un bad boy come lui. Levi è sicuramente il personaggio più dark che ho mai interpretato. La parte più dura, oltre le orribili azioni che compie nel film, è stata la trasformazione fisica che ho subito, la preparazione fisica, il look e soprattutto l’essermi rasato come un vero skinhead. Guardarsi allo specchio, ripensare alle riprese non è stato facile per me, così come accorgermi di come mi guardavano le persone per strada, il sentirmi non a mio agio con me stesso. Come sono riuscito a non crollare? Ho studiato il background del mio personaggio, non per cercare di giustificare il suo comportamento, ma per provare a capirlo. Dietro la ferocia c’è sempre la disperazione.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sarà Judydiretto da Rupert Goold e in uscita in autunno. Renee interpreta Judy Garland, in particolare nell’inverno del 1968Judy Garland arriva a Londra per una serie di concerti “tutto esaurito” di cinque settimane al night club “Talk of the Town”. Nel film ci sono anche Michael Gambon, Jessie Buckley, attori incredibili. Penso che la performance di Renee come Judy sia fantastica e lei è una delle attrici più brillanti con cui abbia mai lavorato. Io intervengo interpretando Lonnie Donegan il cantante di skiffle (un sottogenere del jazz) che era tenuto a sostituirla in caso di assenza o ritardo. La grande diva è ormai anziana ed è in una spirale di alcohol e pillole, fa fatica ad esibirsi, ma è pur sempre una star.

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Isabella Sedik, ecco chi c’è dietro i luxury brand: Sedik Milan e SDK activewear

Isabella Sedik, interior designer di lusso, che ha abbracciato con la sua imprenditoria un’ambiente di nicchia, lo stesso che l’ha portata a diventare designer di moda.
Sedik Milano e SDK activewear, sono le sue due linee di abbigliamento dedicate al mondo equestre, la prima più esclusiva mentre la seconda con un target più giovane, rivolta a chi si vuole distinguere svolgendo la propria passione: l’equitazione.

Quando nasce la tua passione per l’equitazione?

Tendenzialmente arriva dall’amore per i cavalli di mia figlia, nonostante io abbia un cugino che è attualmente un Cavaliere d’altissimo livello internazionale, ed ha trasformato la sua passione in lavoro.

Invece l’idea di creare una linea d’abbigliamento high-end dedicata a questo mondo?

Inizialmente ero una designer di interni che si dedicava all’ambiente del lusso, poi successivamente son riuscita a dedicare il mio tempo nel fondare la mia casa di moda, fondamentalmente per soddisfare le mie necessità a cavallo.

Come funziona l’ambiente equestre.

L’ambito è equestre è molto particolare, ed io sono sicuramente una donna estrosa, infatti quando andavo a cavallo mi sentivo più a mio agio con una camicia di seta ed una cintura di Hermes.

Cercavo di fare degli abbinamenti che rispecchiavano maggiormente la mia personalità, cosciente dell’essere criticata in maniera spropositata da tutti. 

Allo stesso tempo ho notato che stavano iniziando ad imitarmi, quindi mi son detta siccome la qualità premia sempre, e lo so per certo perché ho sempre frequentato quel mondo li, so che anche se il prezzo è elevato, il cliente arriva lo stesso.

Prima del tuo ingresso nel fashion system, com’era la moda a cavallo.

Beh, diciamo che una volta che avevi comprato la camicia più bella e lo stivale più bello, la storia finiva li, perché non è come nella moda dove troviamo le collezioni A/I o P/E, vi sono semplicemente dei continuativi dal 1922.

Posso dire con sincerità che essendo vedova, ed ho sempre cresciuto mia figlia da sola, l’idea di creare qualcosa insieme a lei era anche una vera e propria bonding experience, quindi perché no!

Sedik Milano e SDK sono le due linee disegnate da te, cosa le accomuna?

Sedik Milano nasce quasi due anni fa con una startup, con un progetto che prende la mia impronta, quindi super lusso, senza badare a spese. 

I risultati sono stati che i capi spalla avevano un costo che andava dai 2000 ai 3000 euro, le calzature in partnership con un artigiano di altissima qualità, ed anche li con prezzi che andavano dai 1500 ai 2000.

Peccato non mi son posta la domanda che invece si pone l’utente finale ovvero a parità di prezzo dove andrebbe a spendere questi soldi? In un brand che non conosce o da Burberry, beh la risposta è evidente.

Ecco allora la nascita SDK activewear, ovvero un prodotto che non vincoli l’haute couture, ma che comunque che soddisfi un’esigenza di tailor made con la flessibilità di un e-commerce ma sempre legato al mondo del luxury.

Hai in mente di presentare le collezioni con un evento?

In effetti l’ho già fatto presentando alla fiera cavalli di Verona, che sicuramente è l’evento più importante che abbiamo sul territorio nazionale, a giugno ne abbiamo un altro, ed inoltre presenterò anche le mie giacche per l’arma dei Carabinieri ed Aeronautica Militare. Infine, a settembre presenteremo la collezione Sedik Milano durante la fashion week, dove per la prima volta una casa di moda equestre si esporrà al grande pubblico, in segno di totale versatilità.

L’uomo ideale da vestire?

Ho iniziato con la collezione donna, poi intanto ho capito cosa ne pensasse l’uomo, ora non ti nego che mio sogno sarebbe quello di vestire Alessandro Gassman.

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Filippo Bologni, un giovane Cavaliere con la sua storia

Filippo Bologni, giovane cavaliere, sette volte campione italiano, che è entrato a far parte ben due volte nel medagliere Europeo.
Fa parte del gruppo sportivo dei Carabinieri, e da quest’anno è anche testimonial per il brand più esclusivo e raffinato per tutti quelli che hanno la passione dell’equitazione: Sedik Milano.

Da quanto tempo pratichi equitazione?

Considerando il fatto che mio padre fa il cavaliere di mestiere, ed ha partecipato per due volte alle olimpiadi, posso tranquillamente dire che in mezzo ai cavalli ci sono nato e cresciuto. La prima gara l’ho fatta quando avevo otto, il mio destino era già scritto.

Fai parte di un’arma?

Si, sono oramai sette anni che appartengo al gruppo sportivo dei Carabinieri, per entrare ci sono dei bandi online, ma poi fondamentalmente l’arma sceglie lei in base al curriculum o ai risultati raggiunti dai giovani ragazzi promettenti, e li arruola direttamente.
Sicuramente è una questione di prestigio farne parte e poi a livello tecnico è un aiuto per la carriera. 

Quanto tempo dedichi al tuo cavallo?

Veramente tantissimo, calcolando che solo il lunedì ed il martedì sono a casa e mi alleno una media di cinque ore al giorno con più cavalli, in quanto non possiamo affaticare troppo l’animale per poter reggere poi il ritmo delle gare internazionali.
Invece dal mercoledì alla domenica siamo sempre in concorso in giro per l’Europa, infatti ora mi trovo a Saint Tropez, e la prossima settimana sarò in Polonia.
Ma alla fine della storia, son sempre sul cavallo.

Che rapporto hai con la moda?

Mi piace e mi interessa, infatti quando mi invitano sono sempre felice di andare a vedere una sfilata, però non mi ritengo un fashion victim.

Come avviene l’incontro con Sedik Milano?

Diciamo che la proprietaria e designer del brand mi conosceva sia di nome che di vista, in quanto essendo lei un’appassionata di equitazione ci siamo incontrati svariate volte.
Poi l’anno scorso in occasione della Fiera Cavalli di Verona abbiamo iniziato a parlare di una collaborazione, e dall’inizio del 2019 è diventata il mio main sponsor, con un’idea lungimirante per un percorso che possa durare nel tempo per poter crescere insieme professionalmente.
L’unione dello sport e della moda guidate dalla creatività di Sedik Milano, credo siano una coniugazione vincente.

Come ti senti ad essere testimonial di un brand cosi particolare?

Ovviamente per me è motivo di orgoglio anche perché ricoprire un ruolo così, con un brand di cui ero già precedentemente un estimatore, beh il vero lusso è anche questo.

Foto: Davide Musto

Stylist: Stefania Sciortino

Grooming: Antonio Bonfanti

Filippo veste Sedik Milano e SDK

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Io Fernando, non solo Alonso

Intervista esclusiva di Anna Maria Di Luca

Siamo al Baglioni Hotel Carlton, che guarda i tetti di Milano, in una bellissima e calda giornata di aprile. La suite è un set: luci, trucchi, mandorle e cioccolato fondente. Smoking per Alonso, accappatoio per Linda. E poi quel gesto che la imprigiona nuda tra le braccia di Fernando. Sono belli. Innamorati. L’odore d’asfalto e di gomme, l’eccitante rombo dei motori, tutto è lontanissimo, per spazio ma anche per tempo. Alonso due volte campione del mondo di F1 (Renault 2005 e 2006). Alonso, lo spagnolo chiamato “Magic”. Alonso senza casco, senza tuta, semplicemente Fernando che stringe la sua Linda e guarda l’obiettivo.

È insolito vederti in queste vesti, lontano da un circuito

La gente non mi vede mai così, ma il novantanove per cento della mia vita è Fernando, come ora, non è Alonso. C’è un Alonso che è il pilota e poi c’è Fernando persona.

Alonso c’è stato di sicuro fino al 2018, e poi?In verità c’è anche adesso, non ho smesso di gareggiare. Certo prima per venti domeniche l’anno c’era quel pilota, e poi dal lunedì al sabato c’era il figlio, l’amico o il fratello. Sono sempre stato una persona molto distante da quello che la gente vedeva in tv. Il pilota alla fine vive in un’atmosfera di competitività enorme e di pressione, per cui non ti comporti come sei veramente. 

Stai dicendo che c’è un “doppio” dentro di te? 

(ride)Gli sportivi trasmettono un’immagine diversa da quello che sono veramente nella quotidianità. 

Ed è anche inevitabile, quando in F1, subito dopo la gara ti levi il casco, hai ancora il volto madido e il battito altissimo e vai davanti alle telecamere, sei quello che vedono tutti in quel momento, ma sicuro non sei veramente te stesso, la tensione gioca un grande ruolo.

Quando l’anno scorso hai svuotato il tuo armadietto eri emozionato?

Si, c’era emozione. È  una parte della mia vita molto importante.Sin da bambino sognavo di correre in F1 ed ho anche avuto la fortuna di avere delle macchine molto competitive. Oggi so che la vita mi riserva altre e nuove tappe, le affronterò con lo spirito che lo sport mi ha aiutato a costruire.

Strano sentirti parlare come un ex pilota di F1, non è da te…

Non chiudo le porte a niente per il futuro, amo moltissimo i motori. Non corro in F1 ma ogni weekend mi ritrovo comunque con un volante tra le mani. In accordo con McLaren, voglio puntare allaTriple Crown(Tripla Corona)che va a chi vince F1, 24 Ore di Le Mans e 500 Miglia di Indianapolis, purtroppo questa volta non è arrivata la qualificazione in quest’ultima corsa storica dove gareggiare è pericoloso e romantico. Fino ad ora solo Graham Hill ha avuto la Tripla Corona. Farlo oggi nell’era moderna sarebbe una grande cosa. E comunque se la F1 mi si ripresentasse in maniera attrattiva, non ho dubbi, tornerei nel grande Circus.

Il grande Circus appunto, il problema era la macchina? 

La Formula 1 va a cicli, per alcuni anni abbiamo visto dominare Red Bull, per altri Mercedes, poi Williams, Ferrari, McLaren. Ci sono 5 o 6 squadre top che hanno periodi di dominio, è difficile capire quale è quella giusta in quell’anno e dove è meglio andare. Mi ritengo comunque fortunato, anche se a volte mi è mancata la macchina vincente.  Per due volte sono stato vicinissimo al titolo Mondiale, è vero, ma io lo avevo già vinto. Ci sono piloti che hanno talento e non hanno mai avuto la giusta possibilità per farcela.

Le occasioni sfumate sono il 2010 ed il 2012 vinte da Vettel, hai rimpianti?  

Se guardi indietro nella carriera dei piloti ci sono sempre scelte diverse da compiere, ma il futuro non si può prevedere, quindi va bene così. Io sono un istintivo e se in un momento mi sento di fare quella scelta vuol dire che devo farla. Non ho rimpianti in quel senso perché ho fatto quello che sentivo. 

Secondo te c’è un’età limite per i piloti? 

Come tutti gli sport non c’è una data di scadenza ma senti che il tuo corpo risponde meglio tra i 25 e i 30 anni. E quelli sono gli anni in cui io mi sono sentito fisicamente più forte e più adatto. Poi certo anche l’esperienza che viene con il passare del tempo ha la sua importanza.

La Ferrari è in cerca di una quadratura, ma anche di rinnovamento, Charles Leclerc è il giovane giusto?

Charles ha un grande talento ed esperienza in Alfa Romeo ed è della scuderia dei giovani Ferrari. Questo primo anno sarà dura, sentirà molto la pressione che si respira, dovrà assimilare, ma per il futuro credo che abbia tutte le carte in regola per avere un grande successo.

Parlando all’Alonso campione: cosa può servire in questo momento alla scuderia di Maranello?

Pazienza. Non è facile, quando ci sei dentro ad ogni weekend  ci si aspetta una vittoria, e Ferrari è il team più noto e amato al mondo. Quando gareggiavo io mancavano le competenze e le risorse tecniche ma eravamo molto competitivi, adesso lo è la macchina ma il clima di eccessiva pressione non aiuta. E poi la Mercedes è molto forte.

Per la McLaren oggi sei “ambasciatore”, impegnato anche a testare le macchine

Il ruolo di ambasciatore mi inorgoglisce. La squadra ha poi pensato che tutta la mia esperienza potrà essere utile a due piloti giovani come Carlos Sainz Jr e Lando Norris. 

Comunque pare che il tuo nome giri nel mercato, anche Mercedes

In passato ho avuto contatti con la Mercedes. Già nel il 2016 quando Nico Rosberg decise di smettere, parlai con Toto Wolff, ma alla fine non siamo mai arrivati a un sì definitivo; ero McLaren e non era facile trovare soluzioni. 

In futuro sono aperto a proposte interessanti. Se decido di tornare in F1 è solo se c’è la possibilità reale di vincere il Mondiale, non mi interessano i progetti che partono da zero, voglio una macchina vincente da subito.

Lasciamo per un attimo Alonso e parliamo di Fernando… hai più tempo libero?

Per ora la mia vita non è cambiata molto, il 16 giugno ho la 24 ore di Le Mans, poi per i test vado e vengo dal North Carolina. Diciamo che la normalità potrò ritrovarla dal 17 giugno. E finalmente potrò andare in vacanza, ovvio senza dover contare i giorni e incastrare le date come facevo quando correvo.

Ecco vacanza, quale preferisci?

La montagna mi piace, frequento le Dolomiti sia d’inverno sia d’estate, mi piace andare in mountain bike e il Trentino è davvero l’ideale per questo sport. Ma amo anche il mare: Grecia, Corsica o Sardegna, l’importante è che ci sia sempre modo di muoversi un po’. Mi piace rimanere attivo giocando a basket, calcio, tennis, per me la vacanza è questa, sfidare gli amici… 

Guardando i tuoi “cap” durante le interviste abbiamo imparato a conoscere Kimoa, il tuo marchio

Questa è un’altra sfida, mi sto mettendo in gioco come imprenditore, abbiamo iniziato puntando sugli accessori, ma produciamo anche abbigliamento e voglio far conoscere la linea attraverso blogger e social.  

Linda è parte integrante del progetto, come l’hai conosciuta?

Ci siamo incontrati al Gran Premio di Monte Carlo e poi dopo una settimana siamo usciti; mi ha cercato lei, mi ha scritto, non è stato difficile ero già molto colpito dalla sua bellezza.

Dopo tre anni la pensi sempre così?

Sono innamorato di Linda, altrimenti sarebbe difficile. Con i nostri lavori un forte sentimento è fondamentale per andare avanti.

Sei un tipo geloso? 

Direi di no, sono uno che vuole sentirsi semplicemente rispettato, e con Linda l’ho sempre avvertito. Lei però è più gelosa.

Linda si muove molto bene nel mondo della moda, a te piace? 

Non sono appassionato, ma cerco di seguire le tendenze, è parte anche del mio mondo, poi vivendo insieme a lei mi tengo aggiornato.

Come pilota del grande Circus ti senti mai solo?

Molte volte. Vedi, in effetti vivi come se fossi in una bolla, anche se tutti si preoccupano per te: squadra, sponsor, famiglia. Ma fai una vita in cui sei in giro per il mondo, solo con beauty e valigia. Al volante invece non mi sento mai solo, sto lavorando, sono concentrato, non c’è il tempo di pensare. La vita da sportivo comunque è una vita dura.

Scopri il servizio completo nell’ultimo numero cartaceo in edicola.

Photographer: Paolo Santambrogio

Fashion Editor: Valentina Serra

Talents : Fernando Alonso e Linda Morselli

Hair : Domenico Civale per Aldo Coppola Agency

Make up : Karim Borromeo @wmmanagement

Stylist assistant : Giorgio Uggeri

Si ringrazia Baglioni Hotel Carlton, The Leading Hotels of the Worlds

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SIVERAL: Il rock meneghino

Noi di Man in Town abbiamo puntato gli occhi su una band della scena rock underground meneghina: i Siveral. I membri della band sono Antonio Magrini,Lorenzo Pasquini, Fernando De Luca, Giovanni Tani JR. Amano le donne e il buon vino: Pasquini si era fatto notare alla Edizione 2016 di X-Factor. Hanno dichiarato che amano i film sci-fi e noir: un’atmosfera che certamente si respira nei loro live. Amano le arti in generale: della fotografia  semplicemente apprezzano il ricordo che evoca, mentre della letteratura l’empatia che stimola attraverso la parola scritta. Si ispirano a mostri sacri del rock quali Pink Floyd e Led Zeppelin.

1)Quali sono state le vostre influenze musicali?

A e L: Le nostre influenze musicali sono abbastanza diverse tra loro e spaziano su un ventaglio di vari generi. Potremmo definire la musica dei Siveral come un Alternative Prog Rock: un’ etichetta certamente un po’ audace ma che rappresenta abbastanza bene il sound del gruppo, influenzato in particolare da grandi maestri come Pink Floyd, AC/DC e Led Zeppelin per quanto concerne l’aspetto strettamente compositivo e da band come 30 Seconds To Mars, Radiohead, A Perfect Circle, Anathema, Deftones, Porcine Tree e Depeche Mode per quanto riguarda più la resa sonora ed il mix finale. Tracce dei nostri ascolti ed ispirazioni si possono ritrovare in “The Future Is Analog”, il nostro primo disco, composto da dieci tracce differenti tra loro, ognuna delle quali racchiude una diversa sfumatura ed interpretazione emotiva.

2) Se poteste vivere in un film quale sarebbe?

A: Recentemente ho visto “I Guardiani Del Destino” un film del 2011 di George Nolfi con protagonista Matt Damon.parla di come si possa modificare il proprio destino se solo lo si desidera realmente …  un po’ poetico, ma mi è piaciuto molto.
L: Direi “Inception” di Christopher Nolan: perdersi fra i diversi piani del proprio inconscio e ritrovarsi a rivivere ricordi e desideri mi affascina.  

3) Da quale altra arte vi ispirate oltre la musica?

A: Adoro la fotografia: molte foto raccontano una storia in un solo istante. Cogliere l’attimo è un fattore comune a molte arti ma nella fotografia è fondamentale, non si torna indietro, quel momento non si ripeterà più e solo con la giusta consapevolezza e sensibilità lo si potrà rivivere.
L: Amo la letteratura. La capacità che hanno certe menti di inventare universi alternativi, esplorare  mondi interiori e riuscire a far vibrare corde comuni a tutti, lo trovo un punto in comune con la musica. Riesce inoltre a stimolare passivamente la creatività di ogni lettore andando a creare visioni uniche ed irripetibili.

4) La vostra musa? 

A e L: Sicuramente ci sono molti stimoli extramusicali come, appunto, cinema, fotografia, arte in generale, che possono spingerti a voler creare il tuo corrispettivo musicale ad essi. Anche un paesaggio particolare o un momento vissuto può essere fonte di ispirazione continua.

5) Progetti futuri?

A e L: il 13 Maggio è uscito il nostro disco e ora siamo impegnati a promuoverlo sia sul web che in sede live. Per una band indipendente è sempre molto difficile riuscire ad emergere, ma stiamo lavorando sodo e speriamo che i risultati arrivino.
6) in quale città sognate di suonare?

A: Direi che le opzioni sono tante, ma per darti un’ idea Londra, New York, Melbourne, sono città molto attente alla musica e che lasciano uno spazio specifico alle nuove proposte, non a caso molti progetti sperimentali emergono proprio da queste città.
L: Uno dei miei personalissimi sogni sarebbe quello di realizzare un tour, non necessariamente gigantesco, in Giappone e negli Stati Uniti. Mi piacerebbe suonare in città come Osaka, Tokyo o le grandi città della costa occidentale o orientale degli USA. E’ certamente un obbiettivo un po’ impegnativo, ma spero prima o poi di riuscire a realizzarlo.
7) cosa vi lega a Milano?
A: Milano è la nostra città. Personalmente la trovo fantastica: è un porto sull’Europa e negli ultimi anni, anche in seguito ad importanti manifestazioni come l’expo, ha ritrovato un’ estetica e una cura prima trascurata.Milano offre molte possibilità, sta arrivando ai livelli di Londra e Berlino.
L: Milano è la città dove sono nato e cresciuto, ho centinaia di ricordi sparsi in giro per le sue strade e penso che siano davvero pochi i motivi che potrebbero spingermi a non viverci più.

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Traditore, Spietato: ecco il momento d’oro di Alessio Praticò

Alessio Praticò, Calabrese, sta vivendo un momento artistico davvero incredibile. Infatti, se guardate Netflix, lo potete vedere protagonista al fianco di Riccardo Scamarcio ne “Lo Spietato”.
Nel caso siate appassionati del Festival di Cannes, sarà li a presentare il nuovo film di Bellocchio: “Il Traditore”, al fianco di Pier Francesco Favino, sarà l’unico film italiano in gara.
Direi che meglio di così non si può chiedere al destino.

Questo è il tuo momento d’oro, sei protagonista nelle migliori uscite al cinema e TV, come ti senti.

Ovviamente sono super felice, in quanto come dico sempre per me il successo è il poter fare il lavoro che ho scelto di fare e che faccio principalmente per passione.

Per chi non l’avesse visto “Lo spietato”, com’è stato girare riportando in vita gli anni 80’ e 90’.

È stata un’esperienza bellissima e divertentissima, in quanto si è creata un’alchimia straordinaria con tutti gli attori, in particolar modo con Riccardo (Scamarcio) ed Alessandro (Tedeschi) con i quali ho condiviso la licenza di poter essere sempre cialtroni.
E questo anche proprio a scopo di sceneggiatura in quanto dovevamo raccontare vent’anni di amicizia.
Il tutto era avvallato dal regista Renato De Maria.
Ci tengo a precisare che il film è liberamente tratto dal libro intitolato “Manager calibro 9”, che ci rimanda immediatamente alla Milano degli anni di piombo.
Insomma, è un omaggio al genere poliziottesco degli anni 70’, con una lettura in chiave tragicomica.

Com’è stato lavorare con il maestro Bellocchio, andrete anche al Festival di Cannes con “il Traditore” ed uscirà al cinema il 23 maggio.

Innanzitutto, l’essere stato convocato direttamente dal regista senza passare dal lungo processo dei provini, questa è stata la prima vera soddisfazione che ho avuto. La considero una super esperienza in quanto mi considero una spugna io, e trovandomi a lavorare con lui, non fatto che imparare ogni singolo momento condiviso.
È un regista che lascia molto spazio agli attori per parlare ed interagire, non lo fanno tutti, questa è una cosa che non mi sarei aspettato, e mi ha piacevolmente sorpreso.

Quale ruolo ti piacerebbe interpretare dopo tutti questi cattivi

Personalmente sono quanto ci possa essere di più lontano dal cattivo, mi piacerebbe molto il potermi confrontare con un ruolo più leggero.
Una bella commedia al cinema o TV mi manca, invece a teatro l’ho già fatto.

Quanto c’è di stereotipo nei ruoli che interpreti, nel senso, se eri nato a Bolzano?

Pensa che il primo film che ho fatto è “Antonia”, prodotto da Luca Guadagnino, dove, io calabrese interpretavo un milanese, film peraltro ambientato negli anni 30’, quindi parlavo con l’accento di quel periodo.
Poi forse il caso ha voluto che in questi ultimi anni ci fossero storie ambientate e girate in Calabria e quindi ci son caduto a pennello.

Cosa ne pensi del cinema italiano.

Storicamente ha tante cose da dire e da raccontare, una miriade di registi che hanno composto la storia del cinema mondiale. Siamo molto bravi sui generi, forse dovremmo avere il coraggio di ripercorrere questa strada. Generi peraltro, copiati ed emulati in altri paesi.
Invece noi li guardiamo sempre con quell’occhio un po’ snob.
La commedia all’italiana è stata esportata ed ammirata in tutto il mondo.

Qual è la differenza nel recitare in una serie TV o per il cinema per te.

Assolutamente nessuna, come non c’è nemmeno tra cinematografica e teatrale, la differenza è solo il mezzo. Vi è solo la buona e la cattiva recitazione.

Chi era il vero sex symbol tra te e Scamarcio sul set de “Lo Spietato”.

ride(ndr) ti stupirò, Alessandro!

Foto: Alessandro Rabboni

Styling: Identity Communication

Grooming: Cinzia Carletti per Making Beauty

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Ricordando Senna, Alonso: “Grazie ad Ayrton abbiamo imparato a correre sul bagnato”

Credits: (AP Photo/Universal Pictures)


Il 1 maggio di 25 anni fa accadde qualcosa di terribile, ad Imola perse la vita il campione brasiliano, aveva 34 anni. Nacque il mito. Ayrton Senna è nel cuore di tutti. L’asfalto era bollente, i tifosi erano pronti ad assistere ad un grande Gran Premio di San Marino. Quell’anno Michael Schumacher dominava da inizio stagione. Il giorno prima , il 30 aprile, durante le qualifiche ufficiali di quello stesso GP aveva perso la vita per un terribile incidente l’austriaco Roland Ratzenberger. Senna non aveva gran voglia di correre ma scese in pista a bordo della sua Williams, si era unito alla scuderia britannica proprio quell’anno lasciando la McLaren da Campione del Mondo. Alle 14.17 le lancette degli orologi si fermarono ed il mondo non poté fare altro che restare a guardare: il piantone dello sterzo della Williams di Ayrton Senna si rompe e il brasiliano si schianta contro un muretto della curva Tamburello.

Fernando Alonso aveva 12 anni e correva in Go-kart. Il pilota spagnolo ha posato per noi per un servizio esclusivo che sarà in edicola sul magazine “Manintown” di Giugno. Ha parlato di sé, del suo amore per Linda, della sua carriera, dei rimpianti, del mondo della F1, dell’Indycar, di quello che lo lega alla Ferrari, alla McLaren e delle sfide future. Con lui abbiamo ricordato anche Ayrton Senna: “Ho in mente quel momento, il giorno preciso, ero molto affezionato ad Ayrton come tutti i giovani che come me correvamo in go-kart – racconta Alonso – è stato un colpo grande allo sport in generale e soprattutto a tutta la mia generazione, io l’ho vissuto, chi corre oggi in F1 non era forse ancora nato. I più giovani sanno chi era Ayrton certo, per il ricordo e per il nome, ma lui per la mia generazione era un riferimento, ha cambiato lo sport. Con la sua grinta, la sua passione, la sua preparazione. Ayrton è stato forse il primo pilota a prepararsi fisicamente , più degli altri. La sua bravura sul bagnato è nota, prima di lui correre sulla pista bagnata è sempre stato un mezzo tabù, i piloti erano allenati per l’asciutto e quando si ritrovavano su asfalto umido o zuppo contava solo cercare di arrivare al meglio al traguardo. Poi Senna ha iniziato ad andare forte, a vincere gareggiando sul bagnato e si è capito che aveva un metodo di allenamento, che c’era una strategia diversa da seguire quando pioveva. “Anche per questo Ayrton è stato un pilota importantissimo per tutti”.

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PECCO DI STILE: FRANCESCO BAGNAIA

Da Campione del Mondo la mia vita non è cambiata. Valentino? Un esempio: sarà figo sfidarlo in MotoGP

Vincere, ma con stile. Francesco Bagnaia, per tutti “Pecco”, non soltanto è l’unico motociclista italiano della velocità a laurearsi Campione del Mondo nel corso di un’entusiasmante stagione 2018 vissuta in Moto2 con lo Sky Racing Team VR46. Con il suo carattere, con i suoi modi di porsi, si è costruito un gradimento da parte del pubblico che ha messo tutti d’accordo. In pista è un pilota “camaleontico”, in grado di non tirarsi mai indietro nella bagarre, nella vita di tutti i giorni è riservato e ha avuto il pregio di restare se stesso. I successi non lo hanno cambiato: gli insegnamenti di Valentino Rossi, suo mentore e idolo, sono stati un tesoro inestimabile per crescere ed affermarsi da pilota professionista. Aspettando di sfidarlo quest’anno nell’ elite della MotoGP…

Trascorsa qualche settimana da Sepang, da Campione del Mondo la tua vita ritieni sia cambiata?

A dire il vero mi sento come sempre, pertanto direi di no. Le persone che mi vogliono bene si comportano con me allo stesso modo: orgogliose sì di quello che ho fatto, ma non direi che qualcosa sia cambiato. Ho notato più che altro un avvicinamento da parte di persone che si sono appassionate al motociclismo proprio in seguito al titolo mondiale vinto, soprattutto nella “mia” Chivasso. Questo non può che farmi piacere: mi rende felice“.

Ancor prima di esordire nel Motomondiale alle persone a te più vicine dicevi “Voglio vincere 5 titoli mondiali, a quel punto mi riterrò soddisfatto”. Adesso puoi dire di essere arrivato a 1 di 5 o gli obiettivi sono cambiati?

(Ride) Non si può mai dire! Cercherò sicuramente di vincere il più possibile, ma non sarà facile. In MotoGP il livello è incredibile. Oggi non ci penso, l’unico mio proposito è quello di crescere, imparare, avvicinarmi sempre più ai migliori… poi si vedrà“.

Quando hai davvero pensato “Sì, questo è l’anno giusto per vincere”?

In due occasioni in particolare. A Misano quando ho vinto, dominando per tutto il weekend, su un tracciato dove ho sempre fatto fatica in carriera. La svolta tuttavia a Buriram, in Thailandia: dopo la vittoria mi sono detto “OK, il titolo è nostro”. Non mi sbagliavo“.

Non succede spesso tra i piloti, ma prima di parlare di te dopo la vittoria mondiale hai voluto tributare un sincero ringraziamento a tutto lo Sky Racing Team VR46. “Insieme” è stato il termine che hai utilizzato di più…

Sì perché è un successo di tutti. Non è solo il pilota che vince: se non hai una moto ed una squadra di livello non puoi ottenere simili risultati. Mi è successo in passato e proprio da queste esperienze difficili mi sono reso conto di quanto sia fondamentale l’apporto della squadra. Per questo è giusto e doveroso riconoscere il merito di tutti: del team, della Academy, di tutte le persone che mi sono state vicine e che ho voluto ringraziare una per una dopo il successo mondiale“.

Adesso la MotoGP con il team Pramac e contratto diretto Ducati per i prossimi 2 anni. Hai detto che vuoi crescere, imparare, ma due obiettivi realistici possono essere il titolo rookie e qualificarti direttamente al Q2?

Sì, questi possono essere due traguardi da raggiungere. Cercherò di essere il miglior esordiente dell’anno e come performance rientrare nel Q2 (seconda sessione di qualifiche, ndr). A partire da che gara? Da subito, dal Qatar. Sarà difficile, considerando il livello della MotoGP, ma ci proverò“.

Lo scorso anno avevi due offerte (Pramac Ducati e Tech 3 Yamaha) per correre in MotoGP, ma hai fortemente voluto restare in Moto2 e posticipare l’esordio nella top class di una stagione. Cosa ti ha dato la forza, in quel momento, di dire no alla MotoGP?

La spinta più grande è dovuta al fatto che avevo una concreta possibilità di vincere il titolo mondiale in Moto2. Era la prima volta in carriera che potevo, pronti-via, giocarmela per il campionato. Salire in MotoGP affrettando i tempi non è mai una cosa buona. Inoltre mi sarei “incasinato” con i contratti: da una parte volevo onorare l’impegno preso con lo Sky Racing Team VR46, dall’altra il mio ipotetico accordo con un team MotoGP sarebbe scaduto un anno prima rispetto ai contratti siglati dagli altri piloti della categoria…

Nel calcio spesso alle presentazioni dei nuovi calciatori dicono “Ho sempre sognato di indossare questa maglia”. Nel tuo caso, per davvero, sei sempre stato un Ducatista, volevi proprio correre con questa moto…

Assolutamente sì. La Ducati è una moto e un’azienda che mi sono sempre piaciute tantissimo. Un po’ meno diciamo dal 2010 al 2013 in MotoGP, ma nei successivi anni ho visto un grande cambiamento. Sono tutti molto, molto motivati a vincere, lavorano tantissimo e non si risparmiano mai. Inoltre sin da bambino volevo correre con una Ducati…

Ducati ha scritto pagine di storia del motociclismo anche in Superbike: se ti chiedessero di correre qualche gara in questo campionato l’anno prossimo? Ai Ducatisti piacerebbe…

Extra-MotoGP in particolare vorrei correre in un prossimo futuro in Giappone, alla 8 ore di Suzuka. Una gara che mi ha sempre affascinato per l’atmosfera, per tutto il contorno, ma non solo. Mi piacerebbe molto correrci con Ducati, ma al momento non prende parte all’evento: in futuro, chissà…

In Ducati sembrano già pazzi di te, anche perché vogliono dimostrare che un “deb” possa andare subito forte con una moto finora ritenuta difficile…

“Sono dell’idea che sia più complicato per un pilota passare da un’altra MotoGP alla Ducati, rispetto che per un rookie salire per la prima volta in sella alla Desmosedici. Me ne sono accorto nei primi test: la Moto2 è una moto che praticamente “non frena”, non curva velocemente, ha chiaramente dei limiti. In sella ad una MotoGP tutto ti sembra più grande e… migliorativo, dove hai sempre un gran margine per andare più forte. Forse per questo mi sono trovato subito bene con la Ducati, non avevo pregressi riferimenti in sella ad una MotoGP. L’attenzione che ripone in me la casa madre? Chiaramente è positivo e ne sono onorato, me lo hanno dimostrato sin dal primo giorno. Poter lavorare con Christian (Gabarrini, capo-tecnico) e Tommaso (Pagano, telemetrista) è il massimo. Mi sono trovato subito bene con loro, si sono interfacciati con me con umiltà, senza impormi nulla, trovando insieme la strada per migliorarci. Davvero il top!

Quest’anno correrai anche contro Valentino Rossi, il tuo idolo, il tuo mentore. Hai detto che non sarà propriamente un avversario…

Confermo che sarà difficile vederlo un avversario come tutti gli altri piloti. Di certo sarà una cosa fighissima: io sono nato nel 1997, l’anno in cui ha vinto il suo primo titolo mondiale in 125cc. Per me è un esempio, per la forza che ci mette per continuare a correre ad alti livelli e migliorarsi di continuo. Sarà qualcosa di incredibile gareggiare insieme a lui…

Tra gli avversari ci sarà anche Franco Morbidelli, altro pupillo della VR46 Riders Academy: la stampa probabilmente ne parlerà di un dualismo tra voi su chi potrebbe diventare l’erede di Rossi. Sei della stessa opinione?

Non proprio. Io e Franco siamo amici, ci rispettiamo, poi chiaramente in pista vogliamo stare davanti. Non ci scanneremo in gara, ma non ci tireremo dietro se ci fosse l’opportunità di sorpassarci…

Di nuovi avversari hai già avuto modo di superare pronti-via Jorge Lorenzo nel corso della prima giornata di test a Valencia…

“Sì, ma solo perché è andato largo alla prima curva (ride, ndr). Per me è stato bello vederlo guidare così da vicino, ti lascia a bocca aperta”.

Dicono che hai uno stile di guida molto simile a lui…

“Lorenzo ha uno stile che privilegia molto la velocità in curva, ha delle linee molto tonde in percorrenza e nel contempo stacca forte. Vero, su diversi aspetti abbiamo una guida similare, ma ad oggi ho ancora tanto, tanto margine soprattutto in fase di staccata

A proposito: dovessi paragonare la guida di una MotoGP a qualcosa nella vita di tutti i giorni, cosa penseresti?

“Non ne ho idea. La MotoGP è assurda: frena troppo, viaggi ad oltre 300 orari, in curva sembra non avere limite. Non saprei a cosa paragonarla: è qualcosa di unico”

Da pilota professionista sei un giramondo: molti tuoi colleghi si sono trasferiti ad Andorra o Lugano, tu pensi vivrai ancora a lungo in Italia?

Si dice “mai dire mai nella vita”, ma non credo. Sono dell’idea che vivere in Italia sia il massimo: come si sta qui non ha eguali

Sei comunque legato alla tua Chivasso e a Torino, dove sei nato. A proposito, la sindaca Chiara Appendino ti ha dedicato un tweet “Hai portato Torino sul tetto del mondo”. In molti hanno risposto “Beh, almeno lui”, in riferimento alla mancata candidatura olimpica della città…

“Non so cosa sia successo al riguardo e non ci ho fatto caso a questo tweet. So solo che sono molto orgoglioso di aver portato la mia città, Chivasso, così in alto. Non era mai successo prima, penso sia positivo per tutti e anche per il motociclismo…”

Di questo sport ultimamente si è parlato a lungo per la vicenda di Romano Fenati. Sei stato suo compagno di squadra, qual è la tua opinione su quanto è accaduto?

Posso dire che Romano è un pilota che va molto forte ed è un gran talento. Anche al suo esordio in Moto2 lo ha dimostrato, ritrovandosi subito in Qatar là davanti. Parliamo di un pilota istintivo, che alle volte diventa incontrollabile, su questo certamente dovrà lavorare. Romano è un ragazzo che, quando è tranquillo, ci ridi e scherzi insieme. Giusto dargli un’altra opportunità? Per me sì. Ha compiuto un brutto gesto, così come brutta è stata la reazione della gente nei suoi confronti. Un’altra possibilità non si nega a nessuno, anche se per lui credo sarà davvero l’ultima…

Un magazine francese ha scritto che tu sei un po’ la sua “nemesi”, anche per via del tuo carattere. Sei un ragazzo tranquillo, riservato, educato… La definizione di “pilota della porta accanto” ti piace?

“Mi sembra un appellativo un po’ “moscio”… Però sì, mi piace. Sono fatto così, anche in queste ultime settimane ho cercato di essere disponibile con tutti, mi sembra doveroso”.

Al Ranch ti chiamano “Lewis” riferendosi ad Hamilton…

“Adesso un po’ meno! (ride). Inizialmente sì, perché mi vestivo con qualche felpa piuttosto appariscente, un po’ come Hamilton”.

Di recente è anche salito in moto e dovrebbe essere ospite al Ranch prima o poi…

“Pare di sì, ma credo non a breve. In moto sì, ho letto e ho visto le sue foto. Dicono che ha girato a 7″ dai migliori della Superbike? Nel caso è andato davvero troppo forte. Vedendo qualche foto di lui in sella mi sembra comunque un po’ strano…”

Diventare un pilota professionista richiede impegno, sacrifici, anche tanti rischi. Di questi tempi, ti ritieni comunque un privilegiato?

“Assolutamente sì e so perfettamente di esserlo. Per questo ringrazio sempre la mia famiglia per i loro sacrifici di questi anni, così come la VR46 e Sky per dove mi hanno portato. Ci penso sempre”

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IL VALORE DEL CROSSFIT SECONDO STEFANO MIGLIORINI

Ho sempre amato la competizione, sfidare i miei limiti per raggiungere degli obiettivi mi fa sentire vivo anche se la strada per raggiungerli non è mai semplice. L’insegnamento più grande che il crossfit mi ha regalato è quello di essere resilienti, nello sport e nella vita di tutti i giorni. Le gare in ambito internazionale a cui ho partecipato mi hanno insegnato a reagire sempre con lo spirito giusto e questa è una delle abilità fondamentali da coltivare. Avere la possibilità di essere di aiuto agli altri, trasmettendo la mia esperienza come coach, mi motiva a fare sempre meglio e a spingermi sempre oltre. Questo è il vero motivo per cui continuo a fare questo lavoro.

Come è iniziato il tuo percorso atletico e nel CrossFit?

Ho iniziato a fare Crossfit nel 2011, con Ernest Briganti che è tuttora il mio coach, cercavo uno sport che mi desse la possibilità di mettermi alla prova fisicamente e mentalmente, misurandomi con altri atleti.

Quali le difficoltà che hai incontrato nel tuo percorso?

Oltre alle scontate difficoltà che può incontrare un atleta nello sport in cui compete,relativamente all’impegno fisico giornaliero, le difficoltà maggiori sono state fronteggiare mentalmente tutte le sfide che si sono poste di fronte in questi anni di competizione.

Quali i momenti e traguardi che hanno segnato la tua crescita ?

Ogni situazione di difficoltà mi ha fatto maturare, rendendomi più resiliente.

Come si svolge la tua giornata tipo?

In genere divido la giornata in 2/3 sessioni di allenamento, intervallate dal lavoro come coach nel box Reebok Crossfit officine in cui passo l’intera giornata.

Quali esercizi non mancano mai nel tuo workout ?

Il bello dello sport che faccio è la costante varietà degli esercizi.

Seguo un programma di allenamento personalizzato dal mio coach sulla piattaforma di BHT LAB, dunque non mancano mai esercizi sulle mie weaknesses

La tua routine alimentare

Seguo un regime alimentare bilanciato e studiato su di me che ammonta a circa 4000kcal al giorno e che è in grado di sostenere il volume dei miei allenamenti.

Quali sono gli stereotipi e luoghi comuni legati al CrossFit 

Il luogo comune chi non conosce questo sport è che non è adatto a tutti. In realtà è perfettamente adattabile e scalabile a qualsiasi livello.

Foto di Stefano Facca

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VELOCE COME TORTU

Veloce, corre veloce Filippo (Pippo per gli amici), lo capisce anche chi non segue l’atletica o non legge dei suoi record (da leggenda) a 20 anni. Lo capisce chi lo guarda in quello “scatto” armonioso della campagna pubblicitaria di Fastweb. Nessun italiano è oggi più “fast” del brianzolo che è stato anche eletto uomo dell’anno agli Awards 2018 della Gazzetta dello Sport. Pippo, velocista azzurro è stato il primo italiano a correre sotto i 10 secondi i 100 metri piani, con 9’99 lo scorso giugno a Madrid ha battuto il record da sempre proprietà di Mennea. Atleta delle Fiamme gialle, in dicembre ha fatto incetta di premi e riconoscimenti. Ma sarà il 2019 l’anno della sua conferma, tra gare indoor, Mondiali di staffetta di Yokohama, Golden Gala e soprattutto i Mondiali di Doha ad ottobre.

Hai avuto un fine anno intenso, tra riconoscimenti, premiazioni e serate di gala, ma senza abbandonare la pista, avverti di più l’adrenalina quando sali su un palcoscenico per essere premiato a quando sei in gara?

In entrambi i casi, anche se sono due cose diverse. L’adrenalina che si sviluppa in gara è decisamente dovuta ad una grande sensazione di incertezza, non sai come andrà a finire. Quando invece ricevi un premio quella sensazione scaturisce dalla soddisfazione, che si trasforma in orgoglio per quello che ti viene riconosciuto.

Ti senti uno da “gran serata”? Come gestisci questo tipo di eventi?

Amo molto lo sport in tutti i sensi per cui mi piace vedermi sullo stesso palcoscenico insieme ai grandi campioni, mi piace sentirmi uno di loro.

Se ti chiedessero di scegliere tra l’andare in un ristorante stellato o una semplice pizzeria per quale opteresti?

Con gli amici assolutamente la pizzeria, mentre con la famiglia scelgo il ristorante stellato, i miei sono amanti della cucina raffinata.

Il tuo look preferito?

Sono uno dai gusti classici, mi trovo bene in giacca e camicia oppure con magliette semplici, jeans e scarpe sportive. Non sento il bisogno di essere sempre alla moda, non mi piacciono maglie lunghe e pantaloni strappati, non me li sento proprio.

Hai chiuso il 2018 capeggiando un bel numero di giovani atleti in molte discipline

Si, ci stiamo muovendo bene, ci sono molti giovani bravi. Una su tutti sicuramente Simona Quadarella, (argento 800sl campionati del mondo vasca corta ndr), ha ottenuto risultati stratosferici. Credo sia l’inizio di una nuova era di sportivi, senza togliere nulla a campioni come Nibali, per citarne uno.

Ma i record sono ormai tutti dei giovanissimi…

Speriamo

Il 2019 è pieno di aspettative?

Direi di obiettivi, che non mi mancano. Sono concentrato ed ho molta voglia di gareggiare. Farò qualche gara indoor tra gennaio e febbraio e poi a maggio inizierà la stagione vera e propria, ci sarà la staffetta in Giappone. Sarà un anno particolare con i campionati del mondo ad ottobre a Doha che è l’appuntamento clou. Confesso che ho molta voglia di affrontare soprattutto i 200 mt che torno a correre dopo lo scorso anno. I più faticosi sono sempre i 100 mt, ma ora sto preparando tutti e due e la fatica va avanti di pari passo. Sto rafforzando quanto fatto lo scorso anno puntando a mantenere stessa forza e potenza sia a destra sia a sinistra, a non creare scompensi.

A giugno scorso i giornali recitavano: “Filippo Tortu ‘9 99 nei 100, batte Mennea: è il più veloce nella storia italiana”. Come vivevi Pietro Mennea prima di batterne il record?

Come continuo a viverlo anche ora: esempio e leggenda dello sport. E poi, naturalmente, sapendo che lui aveva preso anche 4 lauree. Io sto frequentando la Luiss, l’università dove c’è una borsa di studio intitolata a lui. Per me un modello da seguire non solo in pista.

Come te la cavi tra studi e allenamenti?

Quando aumentano gli impegni è sempre più complicato studiare ed essere in giro per gareggiare, ma con uno sforzo maggiore si può fare. Sono iscritto ad Economia, non ho dubbi laurearmi è una cosa cui tengo.

Tra gli atleti del passato e del presente chi ti appassiona di più?

Livio Berruti per il passato, per il modo in cui intende lo sport, lo viveva in maniera spensierata ma professionale, in modo da divertirsi in tutto quello che faceva. Sebbene la mia generazione sia profondamente diversa io mi sento più simile a loro, a Berruti in particolare. Poi di oggi mi piacciono Armand Duplantis (18enne prodigio svedese) oro nel salto con l’asta, lui è un fenomeno mondiale.

E sui 100 mt avverti rivali?

Non sento rivali e quando sono in pista penso solo a me stesso ed ai miei risultati, e non presto attenzione agli altri, li guardo e non provo rivalità, mi piace l’agonismo.

Ti allena Salvino, tuo padre, non sempre avere un familiare stretto come allenatore è cosa semplice, come funziona il vostro rapporto?

Ci rapportiamo in maniera diversa, quando siamo sulla pista oppure quando siamo a casa. In pista io sono atleta e lui allenatore, riusciamo a interagire molto bene, senza sforzo in maniera naturale. Ma anche fuori abbiamo un bel dialogo. Sono fortunato a poter passare tanto tempo con mio padre ed è un ottimo tecnico dal punto di vista professionale, ho fortuna doppia.

Entrambi siete dei grandi consumatori di sport…

Beh la passione l’ho presa da lui, pensa che siamo appassionati anche di freccette. Ci piace vederne il livello di preparazione, osservare la tecnica e rispettare il talento di tutti gli sportivi. Ogni disciplina richiede competenza e sforzi.

La musica è una delle tue passioni e Patty Pravo, non è un mistero è il tuo mito. Da dove nasce?

Ascolto musica italiana da quando ero piccolo, e da adolescente mi è piaciuto approfondire alcuni cantautori italiani, infatti Lucio Battisti è il mio preferito. Hanno fatto pezzi che mi emozionano ogni volta che li ascolto, e seppure non sembrano brani che possano caricare io li sento prima delle gare e mi fanno un gran bene. Ascolto anche il rock, adoro i The Struts.

 

 

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LA STORIA DI UN CAMPIONE: ANDREW HOWE

Andrew Howe, atleta statunitense naturalizzato Italiano ed appartenente all’Aeronautica Militare, nasce a Los Angeles per poi arrivare in Italia con la mamma che lo allenerà sin da piccolo nella città di Rieti. Come dice lui non conosce la fatica, i traguardi raggiunti lo hanno portato ad un considerevole numero di medaglie, che ne fanno un vero e proprio orgoglio nazionale. Le sue doti non le dimostra solo in campo, infatti abbiamo imparato a conoscerlo meglio nelle sue apparizioni televisive dove carisma e humor lo hanno contraddistinto sin dal primo momento.

 

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Sei nato a Los Angeles e poi sei arrivato in Italia, com’è andata.

Mia madre, atleta anche lei, sognava ancora le olimpiadi di Barcellona, quindi non a caso, ha preceduto il mio arrivo a Rieti per fare un sopralluogo, e poi l’ho raggiunta anch’io. La città non è stata scelta a caso in quanto desiderava trovare un’atmosfera dove si potesse respirare l’atletica, avevo solo tre anni e mezzo, e ricordo ancora quanto mi mancasse il sole della California all’inizio. Il primo ostacolo è stata la barriera della lingua, ma piano piano mi sono inserito. Sin da piccolo ho imparato ad essere poliedrico nello sport, quindi ho provato un po’ tutto, poi la vita mi ha portato a scegliere l’atletica leggera passando dalla 100×1000 alla 100×300 e tante altre.

Invece tuo padre l’hai conosciuto quando eri già grande.

Avevo sedici anni quando ho incontrato mio padre, anche lui atleta, eravamo in contatto, ma internet non aveva ancora preso il sopravvento delle nostre vite, quindi era molto più complicato anche solo il sentirsi. Mia madre è stata davvero una donna eccezionale. In quanto è sempre stata molto onesta con me, ed altrettanto lui, nonostante io sia stato cresciuto dal suo secondo marito Ugo Besozzi, anche lui atleta, devo dire, che alla fine sono davvero uguale a mio padre caratterialmente. Il DNA non mente mai. 

La tua specialità in questo momento è?

Nella vita di uno sportivo ci sono sempre tanti cambiamenti, ad esempio quando ho avuto la frattura del tendine nel 2011, sono stato obbligato a modificare alcune cose, oltre allo stop obbligatorio per un certo periodo. E poi sono fermamente convinto che cambiare faccia bene quindi quest’anno mi sto dedicando ai 200 ed i 400 mt, vedremo che succederà.  

Che cos’è la fatica per te? 

Posso dire in tutta sincerità che io amo la fatica, quando sento le persone lamentarsi continuando a ripetersi che non ce la fanno, io non li capisco davvero, per me non esiste, so solo che per me è uno stimolo a fare meglio. Anzi se non la sento, mi dico che forse c’è qualcosa che manca.

La sfida più difficile che hai dovuto affrontare nella tua vita qual è stata?

Sicuramente è stato due anni fa, quando andai ad allenarmi in Svezia, dopo un periodo in cui stavo pensando seriamente di smettere. Tante situazioni non andavano per il verso giusto in quel momento, ma quando sono rientrato in Italia ed ho messo piede sul campo mi son detto: “Ma chi me lo fa fare di smettere, io voglio solo correre!” Devo ringraziare Fabrizio Donato, che mi ha allenato per due anni, e mi ha trasmesso stimoli nuovi, soprattutto nella dieta, che è sempre stata alla base per me, ma con lui l’ho potuta portare a livelli altissimi. Mi confessa che il “Kinder Bueno” purtroppo non rientrava nel regime alimentare.

Ti sei mai detto questo è impossibile non ce la posso fare davvero. 

Non l’ho mai fatto e non lo farò mai, mi hanno insegnato che se credi di poterlo fare, lo fai e basta, senza precluderti mentalmente con un’idea negativa.

Il momento più bello della tua carriera qual è stato?

Ce ne sono stati tanti, ma di sicuro il secondo posto ai campionati del mondo ad Osaka, o vincere i 200 mt al Golden Gala, ma poi alla fine siccome non ho ancora finito di correre voglio pensare a tutti quelli che arriveranno.

Come tutti i lavori agonistici non sarà per tutta la vita, hai già un piano B per cosa farai dopo?

Ho tante idee, forse troppe, non saprei nemmeno dire se possa essere un bene o un male, sicuramente allenare ed aiutare lo sviluppo di nuovi talenti, oppure cambiare radicalmente e buttarmi nel mondo della televisione, in quanto mi sono sempre divertito tantissimo in tutte le esperienze che ho fatto come ad esempio “Ballando con le stelle”. È un mondo che visto dall’esterno sembra gigante ma in verità è piccolissimo e tutti mi conoscono, però non nascondo che mi affascina.

Secondo te qual è la tua forza più grande?

Il mio sorriso in qualsiasi momento, anche i più brutti.

 

 

Ph Davide Musto 

Stylist Stefania Sciortino

Assistente fotografo Federico Taddonio 

Assistente Stylist Rosamaria D’Anna

Grooming Chiara Tipaldi per Simone Belli agency

 

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A NEW RISING STAR: MAX IRONS

Trentatré anni, figlio del Premio Oscar Jeremy Irons e una carriera avviata come attore. È Max Irons, attore britannico formatosi alla Guildhall School of Music and Drama, il cui debutto professionale in “Wallenstein” di Friedrich Schiller al Chichester Festival Theatre gli è valsa la nomination al prestigioso Ian Charleson Award. La sua carriera da attore è costellata di successi internazionali, come “Red Riding Hood” a fianco di Amanda Seyfried e Gary Oldman, il suo ‘Tommy nel thriller “The Runaway” nominato agli Emmy, o il suo ruolo come re Edoardo nella serie televisiva della BBC/STARZ “The White Queen” candidata ai Golden Globes, solo per nominarne alcuni. Tra gli ultimi progetti ricordiamo la serie spy “Little Drummer Girl” basata sul romanzo di John le Carré, dove Max interpreta Al, sotto la regia di Park Chan. Quest’anno sarà protagonista in “Condor”, una serie drammatica di dieci episodi, in cui il personaggio del giovane attore è ispirato al ruolo iconico di Robert Redford nel thriller politico “Three Days of the Condor” del 1975, su cui si basa la serie, in uscita a giugno negli Stati Uniti. Comparirà anche in “Terminal”, un thriller noir scritto e diretto da Vaughn Stein, prodotto e interpretato dalla candidata al Premio Oscar Margot Robbie, in cui Max è il sicario Alf. Ad agosto negli USA, Max è apparso come David Castleman nel film indipendente “The Wife”, scritto da Jane Anderson e basato sul romanzo omonimo di Meg Wolitzer, dove recita al fianco di Glenn Close, Jonathan Pryce e Christian Slater. Ha inoltre prestato il suo volto per marchi come Burberry e Mango. Personaggio affascinante e molto riservato, Max Irons non è un fan dei social network e si dichiara molto geloso della sua privacy. In questa intervista esclusiva scoprite i suoi prossimi progetti e l’editoriale scattato nella sua amata Londra.

Quando hai deciso di diventare attore?

Ho deciso di diventare attore quando frequentavo la scuola d’arte drammatica.  Ho diretto e recitato in un piccolo lavoro teatrale chiamato Gaggle of Saints, che è un atto unico del drammaturgo Neil LaBute. Ho quindi insegnato teatro per un anno e da lì ho avuto la conferma che era quello che volevo fare. Inoltre, se riesci a superare i tre anni di scuola di recitazione e ti diverti ancora, allora stai facendo la cosa giusta.

Come è stato il tuo percorso di formazione alla scuola di arti drammatiche Guildhall?

Intenso, terrificante ma illuminante allo stesso tempo.

Come è andata la tua prima esperienza e apparizione come attore?

Esilarante e spaventosa in egual misura.

Chi sono i registi che ti hanno maggiormente ispirato? Con chi ti piacerebbe lavorare in futuro?

Steven Soderbergh, Francis Ford Coppola, David Fincher, Christopher Nolan, Mike Nichols, Martin Scorsese e Stanley Kubrick, giusto per citare qualcuno.

Ti dividi tra serie tv e cinema, come selezioni i tuoi progetti?

Non c’è una formula fissa, valuto caso per caso. Dal cast coinvolto, la sceneggiatura, la storia della parte, è una combinazione di una serie di cose.

Quest’anno hai interpretato Joe Condor nel film Condor e il tuo personaggio si basa sul ruolo di Robert Redford. Come ti sei preparato per questa parte e quale è stata la tua esperienza?

 Fare una parte resa famosa da Robert Redford è una cosa che può intimidire, ma è anche un onore essere invitato a farlo. Tuttavia, anche se è importante rispettare ciò che è venuto prima, bisogna prendere e imparare quello che puoi e rielaborarlo perché che non ha senso cercare di emulare una determinata performance. Il fatto stesso che sei tu a interpretare la parte lo rende diverso e quindi ti permette di ampliare la tua comprensione del personaggio liberamente. Inoltre, lo scenario della nostra versione di Condor è diverso a causa dell’ambiente geo-politico estremamente mutevole in cui ci troviamo.

La tua performance in The Riot Club ha avuto grande successo ma allo stesso tempo ha creato scalpore, come descriveresti questa esperienza?

 The Riot Club è stata un’esperienza fantastica su più livelli. Lavorare con un giovane cast di attori inglesi e avere Lone Scherfig, una regista danese che racconta un inglese è stato molto entusiasmante.

Hai recitato anche il ruolo chiave di Edoardo IV nella serie storica The White Queen. Com’è lavorare su personaggi storici?

 The White Queen è ambientato durante il periodo storico della Guerra dei Roses, un momento affascinante e ricco di storia. Un’enorme quantità di risorse da cui attingere.

Esaminando la tua carriera, e tra i numerosi ruoli recitati quali sono per pietre miliari per te? Quali sono i film o le serie che rappresentano i punti di svolta per la tua crescita come attore?

 Farragut North, una commedia che ho fatto al Southwark Playhouse e al Riot Club

Quali sono i luoghi in cui ti rilassi e ti ricarichi?

Mi piace andare in bici, ma amo anche l’arrampicata. Mi piace molto anche la Grecia.

 

Il tuo ultimo viaggio che hai nel cuore?

Visitare Maiorca in bici

L’ultimo film che hai visto e ti ha ispirato?

Hereditary. Mi piacciono i film di paura e questo è estremamente bello.

Vivi a Londra o New York?

Londra, mentre prima vivevo a New York.

Hai un forte legame con Londra, quali sono i tuoi luoghi  preferiti della città?

Mi piace andare ad Hampstead Heath e al Borough Market

Raccontaci come è stato l’anno scorso e cosa c’è nel tuo futuro.

Il 2018 è stato un anno molto intenso, sono usciti al cinema ben due film: Terminal e The Wife. Ho recitato anche nella serie della BBC/AMC The Little Drummer Girl basato su un racconto di John Le Carrè. Nel 2019 tornerò a recitare nella seconda stagione di Condor. Non vedo l’ora!

Quali sono i piani per la tua carriera?

Continuare a lavorare, imparare da chi mi sta intorno e non perdere la prospettiva, cercando di divertirmi sempre mentre lo faccio. Il segreto è tutto lì.

 

 

 

 

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NON SOLO CINEMA: MATTEO MARTARI

Un passato da modello, un folgorante presente da attore. A trentaquattro anni Matteo Martari, nato sotto il segno del Sagittario, si è cimentato in molti ruoli fra cinema e televisione. Un talento naturale il suo che lo fa presto notare e approdare al cinema dove debutta con la partecipazione nel film di Gianni Zanasi ‘La Felicità è un sistema complesso’. Il salto arriva quando conquista un ruolo nella mini serie di Rai1 ‘Luisa Spagnoli’ ed entra nel cast della serie televisiva di Rai3 ‘Non uccidere’, lavori che lo fanno conoscere al grande pubblico e lo porteranno a lavorare con registi come il premio Oscar Michel Hazanavicius che lo dirige nel film ‘Le Redoutable’ presentato a Cannes. Di recente lo abbiamo visto in televisione nel secondo capitolo della produzione internazionale ‘I Medici’ in cui ha vestito i panni di Francesco de’Pazzi che ne ha decretato ulteriormente il successo in un ruolo intenso e drammatico.

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti di carriera? Più televisione o più cinema nel tuo futuro?

Nel futuro prossimo, nel 2019, andranno in onda due progetti televisivi ai quali ho lavorato: le nuove puntate di “A un passo dal cielo” e la serie “Non mentire” diretta da Gianluca Maria Tavarelli. Non è una questione di televisione o cinema, secondo me è il ruolo la giusta considerazione da fare.

Fra le tue passioni sportive spiccano i motori….

Una passione che nasce sin da piccolo, attraversando quasi tutta l’Italia tra rally con mio padre e gare di moto con mio cugino. I motori hanno sempre fatto parte della mia vita fra formula uno e MotoGP. Trentaquattro anni dopo sono cambiate tantissime cose, ma la domenica è ancora Formula Uno e MotoGP. Recentemente ho preso la licenza sportiva da pilota…ne vedremo delle belle, chissà.

Ti piacerebbe interpretare un personaggio sportivo in tv o al cinema? In caso chi e perché?

Si mi piacerebbe molto. Se facessero un film su Colin McRae, vorrei poter fare almeno il provino. È stato il più grande campione di Rally della storia (al momento).

L’esperienza più esaltante della tua vita in senso globale?

Credo sia stata la mia nascita, c’ero, anche se ho dei ricordi molto confusi a riguardo.

Capo must del tuo guardaroba?

Il cappello…

Un luogo del corpo e dell’anima.

Trovo il mio equilibrio in montagna, purtroppo però non ci vado troppo spesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ANDREA CARPENZANO

Chi è veramente Andrea Carpenzano? Le versioni sono tante, quella del “bad-boy” di Roma, oppure il giovanissimo attore, considerato la nuova promessa del cinema italiano, ma lui non si rivede in nessuna di queste. Dice di essere stato fortunato ed aver incontrato persone giuste che lo hanno instradato ad un mestiere a cui lui non pensava proprio.
La sua carta vincente è la trasparenza che ne fa un vero e proprio personaggio senza sovrastrutture.
Presto lo vedremo al cinema nei panni di astro nascente del calcio, un mix di genio e sregolatezza che incontrerà Stefano Accorsi, il quale lo aiuterà a diventare una persona migliore, dopo le tante bravate commesse. Commedia per la regia di Leonardo D’Agostini.

Trench, jacket, shirt and pants all by Gabriele Pasini

Jacket Barena, low tech hoodie by Lotto, pants Tela Genova, white sneakers Church’s

Suit and hoodie by Filippo Pecora, wrist band Nohant, trainers Church’s

Checked Trench, tartan suit and printed shirt all GUCCI

Long military orange coat Acne Studios, micro checked jacket Tagliatore, red hoodie C.P.Company, pants Pence 1979, Chelsea Boots by Church’s, hat Champion

Trench coat Allegri, striped pink jacket Thom Browne, white shirt Emporio Armani, tartan pants Gucci

Tartan Jacket, shirt with pin, all by Gabriele Pasini

Ti senti un bad-boy?

Sono stato una bella testa di …, soprattutto per la mia famiglia, ed un “paraculo” per i professori, finalmente adesso hanno visto che occupo il tempo in modo costruttivo senza far danni in giro, quindi diciamo che sono tutti più contenti.
Mi rendo conto di essere stato un macello per tutti quelli che mi stavano accanto.
Creavo costantemente problemi. Ma ora sono cambiato.

Che tipo di ragazzino sei stato?

Dipende delle fasi che ho avuto, la mia crescita è stata scandita da alti e bassi, da piccolino ad esempio ero molto tranquillo, silenzioso, tenebroso e sempre imbronciato.
Poi c’è stato il passaggio delle medie al liceo in cui ero completamente fuori di testa, andare a scuola: pochissimo, uscire alle quattro del pomeriggio per tornare alle cinque del mattino: sempre.
Finalmente ora mi son calmato, questo lavoro mi obbliga a ricordarmi che magari domani ho qualcosa da fare e quindi cerco di comportarmi bene.

Chi sono le persone che ti stanno più vicino in questo momento.

Pur se non è sempre al mio fianco, per me è mia sorella il mio punto di riferimento, è più grande di me e so di poter contare su di lei in qualsiasi momento.
Possiamo stare in silenzio, ma ci capiamo senza dire nulla.

Ti vedresti vivere in una città diversa da Roma.

Non te lo saprei dire, in quanto non sono mai stato troppo tempo lontano dalla mia città, e quando mi è capitato, alla fine mi manca sempre.
Parigi ad esempio è bellissima, ma poi ti manca la puzza, il disordine, insomma tutti i punti di riferimento della capitale.
Anche Milano, stupenda, ma questa cosa che l’autobus poi ti arriva sempre puntuale, per me è spiazzante. Non hai nemmeno il tempo di fumarti una sigaretta in pace.

Come ti sei preparato per il film in uscita con Stefano Accorsi “Il campione”.

Innanzitutto, sono entrato in una palestra per la prima volta nella mia vita, ed ho avuto occasione di toccare con mano che cosa vuol dire, alla fine non mi è dispiaciuto nemmeno troppo.
Poi mi sono allenato con una squadra di calcio, o almeno ci ho provato, perché anche se ti sforzi, se sei una “pippa”, tale rimani. Non basterà la fatica, ma ci saranno le inquadrature giuste che mi salveranno.
(mi confida che la passione per il calcio l’ha sempre avuta, ma solo da spettatore, anche perché quando da piccolo chiese a sua madre di iscriverlo, le rispose di no, perché altrimenti sarebbe diventato un “cojone”, ndr).

Cosa ne pensi di te come attore.

Oddio, non posso nemmeno dire parolacce, mi trovo in difficoltà. Non so giudicarmi, il senso critico lo abbiamo tutti, quando mi vedo recitare inorridisco, ma credo sia normale da quello che sento dire anche dai miei colleghi.
Preferisco non avere pensieri a riguardo, non sono capace e nemmeno incapace, sono così, e spero di non cambiare la mia visione, anche perché non voglio diventare una brutta persona con il rischio di sopravvalutarmi.

Hai un attore o un regista a cui ti ispiri, o con cui vorresti lavorare.

Non potrei mai ispirarmi ad un’altra persona, per quanto mi riguarda, traggo spunti dal mondo che mi circonda. Forse dal barbone sotto casa o da uno che guardo sulla metro.
Sul regista, difficile dirlo, i miei preferiti son tutti morti (ride,ndr).

La cosa che ti piace di più e quella che ti piace di meno del mestiere di attore.

Ciò che mi piace meno sono sicuramente le pubbliche relazioni forzate, solo perché non mi piace, non perché sono snob. Mi hanno sempre spiegato che fanno parte del gioco, ma per me non è cosi. Una persona; che può essere un regista, un attore o un produttore, se mi è simpatico ci vado a cena, altrimenti no, è semplice.
Non amo le imposizioni, o ancor peggio le dietrologie, solo quello.
Al contrario la cosa che mi diverte maggiormente è proprio il fatto di conoscere persone di ogni tipo dal casting director al macchinista, o l’addetto alle luci (che come dice lui, sono malati di mente di ogni tipo) e quindi fare le pubbliche relazioni non forzate.

Qual è il tuo tipo di vacanza ideale.

Non lo so perché non l’ho mai fatta pensandola come dovrebbe essere.
Forse in autunno andrei a fare un tour del vino, in Toscana o in Piemonte, visto che sicuramente la degustazione è tra le mie passioni.
In estate invece al mare in uno di quei posti che vedi solo in cartolina, che non sai esattamente se esistono davvero oppure no.

ENGLISH VERSION

Andrea Carpenzano will be in theatres soon as The Champion, but in real life is he the reputed “bad boy”?

Who really is Andrea Carpenzano? There are many versions- Rome’s “bad boy,” young actor considered to be the next promising talent in Italian film- but he doesn’t see himself as either. He claims to be lucky to have met the right people who lead him toward a career he had never even considered.

His trump card is his transparency, rendering him an honest personality without superfluity.

Soon he will appear on the silver screen as a rising football star, a mix between genius and unruly who, after years of mischief, meets Stefano Accorsi’s character who helps him become a better person. The comedy is directed by Leonardo D’Agostini.

Do you think of yourself as a bad-boy?

I was a real pain in the… especially for my family, and a piece of work to my teachers. Finally, they see that I now spend my time constructively, without running around doing damage, so I’d say they are all much happier now.
I realise that I was a disaster for all those around me.
I created trouble constantly. But now I’ve changed.

What were you like when you were young?

Depends on the phases I had. In the years growing up there were lots of ups and downs; when I was a child, for example, I was calm, quiet, even sombre and sullen.
Then there was the move from middle school to high where I was completely crazy, I barely showed up to school, I’d go out at four in the afternoon and come home at five in the morning, always.
Finally, I have calmed down. This job forces me to remember that I have to wake up and be responsible tomorrow, so I try to behave well.

Who are the people who are closest to you right now?

Even though she’s not always by my side, my sister is my go-to person; she’s older than me and I know I can count on her at any time.
We can even be together in silence; we understand each other without saying a word.

Do you see yourself living in any city besides Rome?

I couldn’t say, because I haven’t spent much time far from my city and when I have, in the end, I always miss it.
Paris, for example, is beautiful, but it doesn’t have the smell, the chaos, basically all the characteristics of my capital city.
Even Milan is great but the fact that the bus is always on time, for me, is unsettling. You don’t even have time to smoke a cigarette in peace.

How did you prepare for the upcoming film with Stefano Accorsi, The Champion?

First of all, I stepped inside a gym for the first time in my life and saw first-hand what it means to work out, which in the end wasn’t all that bad.
Then I trained with a football team- or at least I tried- because even if you push yourself, if you suck, you suck. Effort is not enough, but luckily the right camera angles and editing will save me.

I’ve always had a passion for football, but only as a spectator. When I asked my mother to sign me up for a league when I was young, she said ‘no’ because otherwise I would have become a “cojone.”

What do you think of yourself as an actor?

Oh man, I can’t use curse words, so I’m stuck about what to say. I don’t know how to judge myself, the critical sense we all have- when I see myself acting, I’m horrified. But I think it’s normal based on what I hear even from my colleagues.
I prefer not to think about it, I’m neither good nor bad, just so so, and I hope not to change my opinion. I do not want to become an arrogant person by overestimating myself.

You have an actor or director who inspires you, or with whom you would like to work?

I never get inspiration directly from another person as an actor, I draw inspiration from the world around me. It may be from the homeless man on my street or from someone I see on the metro.
As for a favourite director, it’s hard to say, but my favourites are all dead (laughs).

What do you like best and least about the acting profession?

What I enjoy least is most certainly the forced public relations, simply because I don’t like doing it, not because I’m a snob. It has always been explained to me that it’s just part of the job, but for me it’s an burden. In my book, if a person is nice- whether a director, an actor, a producer- I’ll go to dinner with him or her; otherwise I won’t, it’s that simple.
I don’t like the obligation, the blowing hot air, that’s all.
On the other hand, the thing that I enjoy the most is getting to meet all kinds people, from the casting director to the stagehand or the lighting person- I’m intrigued by all types of people- hence non-forced, natural public relations.

What is your ideal holiday?

I’m not sure, because I’ve never planned a trip thinking about the ideal.
Maybe in autumn I would go for a wine tour in Tuscany or Piedmont, as wine-tasting is one of my passions.
In the summer, though, I’d go to the seaside, to one of those places I’ve only seen in postcards that I’m not sure really exists or not.

Photography PASQUALE ABBATTISTA

Styling 11

Grooming GIUSEPPE GIARRATANA

Postproduction ALESSANDRO LAMANNA

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A TALK WITH BRITISH MODEL LAURIE HARDING

Fisico asciutto e scolpito, tratti spigolosi, occhi di un azzurro intenso: il modello britannico Laurie Harding ha conquistato tutti gli insider dell’industria della moda anche grazie alla sua educazione very British. Abbiamo scambiato qualche domanda con Laurie durante la pausa natalizia, quando si stava ricaricando per ripartire alla grande a gennaio per la moda uomo.

Che cosa ti rende felice quei giorni?
Recentemente mi sono trasferito in Italia con la mia ragazza e questa è stata probabilmente la mossa più intelligente che abbia mai fatto. E poi non dimentichiamoci la pizza!

Qualche consiglio per una carriera di modello di successo come la tua?
Sii educato, sii te stesso, sii puntuale!

Se potessi essere un supereroe, quale sceglieresti e perché?
Wonder Woman, ha un lazo che spazza via le s****te della gente, sarebbe molto utile.

Cosa ti fa continuare a muoverti?
Le persone che amo intorno a me.

C’è qualcosa che vorresti cambiare nella società moderna? Qual è un argomento rilevante su cui dovremmo essere maggiormente concentrati?
Uguaglianza, diritti umani, cambiamenti climatici. È il 2019 e sembra che in molte aree stiamo facendo passi indietro. Riformulerei la domanda.

Cosa ti aspetti dal 2019?
Un sacco di cose in work in progress. Ma troppo presto per dirlo.

Descrivici la tua routine di fitness.
Corro, ad essere sincero non faccio molto altro … un po ‘di basket a volte con gli amici.

Cosa farai dopo questa intervista?
Torna alle e-mail, purtroppo. Grazie per aver parlato con me!

 

Vestaglia: Pierre-Louis Mascia Camicia: Bally

Cardigan: Pringle of Scotland Camicia: Gucci Sandali: Hermés

Completo: Salvatore Ferragamo Camicia: Roberto Cavalli

Total Look: Hermés

LAURIE HARDING @ I LOVE MODELS MANAGEMENT (@laurieharding_)
PHOTOGRAPHER: VALENTINA FRUGIUELE (@valentinafrugiuele)
FASHION STYLIST: FABIO PITTALIS (@fabiopeet)
HAIR/MAKE UP: MISAKI KATO (@misaki_artmakeupandhair)
FASHION ASSISTANTS:
GIULIA NOBILE (@giulia__n)
TERRY LOSPALLUTO (@terrylospalluto)

 

 

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COME STA CAMBIANDO NEW YORK? IL RACCONTO DI ANDREA PEDICINI

Una laurea a pieni voti in economia presso l’Universita Ca’ Foscari di Venezia e l’inizio del suo percorso professionale in KPMG, multinazionale della consulenza e revisione contabile. Dopo solo tre anni, spinto da un destino che sembra aver scelto per lui, Andrea Pedicini si sposta a New York per occuparsi di investimenti immobiliari nella Grande Mela. Oggi è un affermato broker immobiliare e rappresenta una clientela internazionale composta prevalentemente da manager d’azienda, imprenditori, ma anche attori e atleti professionisti. Ha da poco concluso la compravendita di un blocco di 21 unità immobiliari a Manhattan per circa 14 milioni di dollari, una delle transazioni residenziali più importanti dell’anno.

Arrivi a New York nel 2010, in piena crisi. Cosa ti ha portato al di là dell’oceano? 

Il mio arrivo a New York è stato piuttosto fortuito e legato ad una serie di eventi che si sono perfettamente concatenati tra loro. Durante l’estate del 2009, quando lavoravo ancora in KPMG, ho fatto un’esperienza di circa quattro mesi in California, era la mia prima volta negli Stati Uniti. Poco dopo il mio rientro in Italia, durante una cena alla quale ho deciso di partecipare all’ultimo momento, ho conosciuto il responsabile estero di un affermato gruppo immobiliare italiano il quale, una volta preso atto del mio curriculum, e forse anche del mio spirito intraprendente, mi ha proposto di spostarmi a New York per occuparmi di investimenti immobiliari. A gennaio ero a New York.

Come hai vissuto il primo impatto con la città e come è cambiata dal tuo arrivo, quasi nove anni fa? 

Di New York, paradossalmente, ho apprezzato subito il ritmo frenetico. È una frenesia non fine a se stessa, decisamente produttiva. Dico sempre che per un giovane che ha voglia di fare non c’è posto migliore al mondo. Nel 2010 era una città che spingeva per uscire dalla crisi che aveva colpito l’economia americana, e non solo quella, un paio d’anni prima. Oggi invece, credo che New York stia vivendo una fase di transizione. Si è chiuso il ciclo inaugurato nel post-2008 e la città è alla ricerca di una nuova identità.

Come si gestiscono i ritmi frenetici di una città come New York?

Innanzitutto prendendone atto. A volte, sopratutto nei miei primi anni, mi è capitato di non rendermi conto dei ritmi con cui conducevo la mia vita. Non puoi lavorare 10-12 ore al giorno e uscire tutte le sere. Bisogna raggiungere un equilibrio e stabilire delle priorità. Oggi la mie priorità sono il lavoro, con tutte le responsabilità che ne conseguono, e la mia famiglia, soprattutto mio figlio che oggi ha tre anni.

Che cosa significa crescere un figlio in una città come New York? 

Credo che crescere un figlio sia sempre un’esperienza meravigliosa, a prescindere da dove questo avvenga. Certo New York offre delle sfide in più rispetto, ad esempio, alla provincia italiana da cui provengo (Andrea è di Pordenone n.d.r). Allo stesso tempo però offre anche molti stimoli in più. Credo che quello che più mi manca sia la vicinanza della mia famiglia d’origine, che non ha la possibilità di vedere mio figlio crescere, nonostante io e mia moglie cerchiamo di andare in Italia almeno due volte l’anno.

Tua moglie è americana, come si conciliano le differenze tra voi? 

Con tanta pazienza! Scherzi a parte, le differenze, soprattutto quelle culturali, possono rappresentare un’occasione di crescita personale importante. Questa è una delle cose che più apprezzo di New York: la possibilità di essere costantemente circondato da culture diverse e di poter imparare qualcosa da ciascuna di esse.

Chiudiamo con una domanda più tecnica. Perché oggi conviene investire nel mattone a New York? 

Da circa un anno a questa parte siamo ripiombati in pieno ‘buyer’s market’ e a gestire il gioco è oggi il compratore, a spese ovviamente del venditore. Per un investitore, il contesto attuale rappresenta un’ottima occasione d’acquisto, a maggior ragione se si presenta sul mercato con la disponibilità liquida per chiudere la transazione in 30-45 giorni. Sono infatti calati sia i prezzi, sia il numero di transazioni e c’è oggi la possibilità di spuntare condizioni di acquisto significativamente migliori rispetto ad un paio di anni fa. Siamo di fatto nella fase recessiva di un nuovo ciclo e il potenziale di rivalutazione da qui ai prossimi anni è decisamente elevato.

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MAN IN TOWN TALKS: SEM & STENN

LICK EVERYTHING

Sem&Stenn

Art Direction Simone Botte – Mua Silvia Acquapendente – special thanks to RAB (C.so San Gottardo)

1) Sem&Stenn, si conoscevano anche prima del talent show, tra gli alternativi, quanto è servito Xfactor alla vostra carriera musicale?

È servito a far conoscere quello che facciamo e chi siamo ad un pubblico molto più ampio ma non ha cambiato la nostra natura. Scriviamo, produciamo, pensiamo esattamente come prima.

2) Coppia nella musica e nella realtà, cosa di questo vi aiuta ad andare avanti?

Il nostro rapporto è sicuramente qualcosa di raro, ha aiutato e continua a farlo. Siamo due teste diverse ma che insieme raggiungono sempre un punto più alto di quello che potremmo fare da soli.

3) Il vostro stile, lo avete studiato a tavolino o è spontaneo?

Non indosseremmo mai qualcosa che non ci piace, è più una cosa istintiva: “mi piace, lo metto” Non ci sono ragionamenti più complicati di questo.

4) Avete un suono tutto vostro, parlateci delle vostre influenze e i vostri idoli..

Ci ispirano molto gli artisti che fanno un po’ quello che vogliono come Charli Xcx Tove Lo Tommy Cash Sophie e simili.

5) Siete due bravi ambasciatori dei diritti e dell’amore libero, come vi ha accolto la comunità LGBT?

C’è sempre chi ti ama e chi ti detesta. Anche nella comunità lgbt. Ma questo non influenza il nostro attivismo perché è motivato da valori in cui crediamo realmente. E continueremmo a farlo anche se fossimo soli.

6) News e anticipazioni su un qualcosa che avete in cantiere?

È una fase creativa, stiamo ore e ore in studio a scrivere. Vogliamo che i nuovi pezzi suonino avanguardisti.

7) Un consiglio alle nuove generazioni di musicisti?

Di percorrere strade nuove perché è il solo modo di lasciare il segno

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INTERVIEW: ANTONIO PERFETTO

Un sorriso capace di catalizzare l’attenzione di migliaia di follower e una spontaneità che lo rende autentico sui social e nella realtà sono senza dubbio le caratteristiche con cui si presenta Antonio Perfetto, classe 1990, appartenente a quella generazione di millenials impegnati e che lavorano sodo per portare avanti le proprie ambizioni. Non solo social nella sua vita, ma soprattutto il lavoro come digital manager e gestione di celebrities che prima dei social è la sua grande passione.

Ti senti più manager o influencer?

Decisamente manager, quello dell’influencer è stata una conseguenza data dalla condivisione dei momenti della mia vita e del mio lavoro ma sin dai tempi dell’università sognavo di poter lavorare nel mondo del digital e quindi ad oggi l’impegno più grande e soprattutto la mia vera passione è proprio il lavoro in agenzia che mi vede protagonista nella gestione di piani digital per le aziende e nell’organizzazione di progetti con alcuni volti noti della televisione come Caterina Balivo, Filippa Lagerback ed Elena Santarelli.

La professione di influencer ha una data di scadenza?

In questo settore è fondamentale la capacità di riadattarsi e crescere ma anche avere un buon management alle spalle che porti il personaggio a non fossilizzarsi. Come in altri campi vincono l’intelligenza e il talento di ognuno, se hai pochi contenuti con il passare del tempo tenderai naturalmente a dissolverti.

Tre caratteristiche vincenti per chi vuole avere successo sui social

Autenticità, costanza nell’affrontare questo lavoro che è composto da grande strategia e impegno, onestà intellettuale e circostanziale al mezzo. Crescere in maniera organica e senza trucchi sui social è fondamentale.

Viaggi spesso per lavoro, cosa non manca mai nella tua valigia?

Il “pigiama camicia” con bottoni e un paio di pantofole da camera, che possono sembrare banali ma non lo sono. Quanto all’outfit un paio di jeans, t shirt bianca e felpa con il cappuccio perché sono molto freddoloso nei viaggi in treno o aereo. Infine patch viso di Carita nei viaggi intercontinentali, da applicare prima dell’atterraggio per arrivare freschi a destinazione.

Hai una beauty routine specifica?

Ho due creme da cui non mi separo mai, una idratante e una contro la dermatite perché ho una pelle molto sensibile. Per i capelli uso lo shampoo detox di Phytorelax con argilla, ottimo per il cuoio capelluto e le lunghezze. È un marchio italiano che conosco da vicino e che mi piace anche per il fatto che non effettua test sugli animali.

L’accessorio fondamentale per un uomo?

Le collane, possibilmente che si intravedano dalla camicia a meno che la tua professione non ti porti a lavorare con la cravatta. Penso che l’uomo con la camicia chiusa fino all’ultimo bottone abbia sempre qualcosa da nascondere.

Il tuo posto del cuore?

Non ne ho uno ma diversi, dalla Pasticceria Cucchi a Milano ad Aversa che è casa e il luogo in cui ho trascorso una bellissima adolescenza e infine l’Asia che ha una cultura grandissima e mi ha ispirato molto. Anche con Los Angeles ho un rapporto particolare.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Prima di tutto vorrei essere più sicuro di me  e spero che l’ ambizione mi porti a sviluppare la mia professione e costruire una mia agenzia. Allo stesso tempo mi piacerebbe lavorare bene come protagonista sui social, qualora questo ambito non si riveli una bolla e il pubblico continui ad appoggiarmi.

Photographer: Cosimo Buccolieri

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PREPARAZIONE ED EQUILIBRIO: CHRISTOF INNERHOFER

Sugli sci dall’età di tre anni, Christof Innerhofer è uno sciatore alpino italiano, campione del mondo di supergigante nel 2011 e vincitore di diverse medaglie olimpiche e iridate. Lo abbiamo incontrato in veste di ambassador del brand Falconeri alla presentazione della nuova maglia Fulmine dedicata ai campioni dello sci e rivisitata dal brand di filati naturali che da anni  celebra e punta l’attenzione su questo sport.  Dopo diversi mesi di allenamento tra le sue montagne dell’Alto Adige, tre settimane in Argentina e una piccola frattura alla mano, oggi l’uomo jet è pronto per la Coppa del Mondo che si disputerà a Beaver Creek (USA) il prossimo Dicembre.

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Come riesci a trovare un equilibrio allenandoti spesso in paesi diversi?

La difficoltà più grande in questo lavoro oltre alla preparazione per le gare è proprio il fatto di doversi adattare velocemente a luoghi sempre diversi, al jetlag e trovare un equilibrio fuori dalle mura domestiche. La mia quotidianità è alzarmi presto al mattino, alle 7 in estate quando sono a casa e faccio preparazione atletica ,andare a dormire molto presto la sera quando ad esempio mi trovo all’estero, controllare molto l’alimentazione e cercare di dormire sempre 8 ore per notte.

Lo sci richiede una grande preparazione atletica anche in palestra, quale esercizi consiglieresti per potenziare le gambe?

Al momento sto seguendo un programma di forza-resistenza. Per le gambe mi piace molto il sumo squat, lo faccio con un manubrio di 52 kg (peso per un professionista ndr),  in questo modo non vado a sovraccaricare la schiena oppure sempre per le gambe gli affondi frontali ai cavi.

Hai un regime alimentare molto controllato, ti concedi ogni tanto qualche strappo?

Devo necessariamente bilanciare tutti i nutrienti necessari per riuscire al meglio nelle gare e sentirmi forte mentre mi alleno ma allo stesso tempo sono amante della buona cucina, soprattutto quella tipica delle mie zone. Riesco a rinunciare facilmente ai dolci, soprattutto quando sono fuori mentre quando sono a casa mi concedo i canederli insuperabili di mia mamma.

Dopo tanti anni sugli sci preferisci la praticità dell’abbigliamento sportivo o ti piace stare al passo con le tendenze della moda?

Mi piace molto indossare anche capi non necessariamente sportivi come i cardigan, i dolcevita e le camicie. Adesso sta finalmente arrivando il periodo dei maglioni di lana e di cashmere che scelgo nei colori del blu, grigio o bianco. Nelle mezze stagioni mi piace molto la giacca di pelle, in questo momento ne ho una color petrolio che è la mia preferita. Come accessori sicuramente le cinture e sneakers alte a stivaletto.

Il tuo rapporto con i social?

Utilizzo instagram per tenermi in contatto con i miei followers e postare alcune occasioni della mia quotidianità e soprattutto i viaggi che sono la parte che riscuote maggiore successo. Non sono fissato però, non ho troppo tempo da dedicarci e allo stesso tempo preferisco la vita reale.

Un viaggio che hai fatto e che ti ha particolarmente colpito?

Ne ho due che si trovano in parti del mondo opposte e diversissime tra loro, l’sola di Ko Tao in Thailandia e Vancouver in Canada.

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L’ispirazione è potere: Lenny Kravitz per Dom Pérignon

“Quando penso a Dom Pérignon, penso a persone che stanno insieme, che si uniscono. Penso alla comunicazione che permette di avere ispirazione o essere ispirati a fare qualcosa. Non hai bisogno di un’occasione. La vita è l’occasione”, così Lenny Kravitz spiega il concept per il progetto speciale con Dom Pérignon. Da qui è nata l’idea di una mostra dal titolo “Assemblage” e della campagna pubblicitaria che l’artista ha scattato per interpretare la maison. La collaborazione tra Lenny Kravitz e Dom Pérignon è una relazione che dura da circa 10 anni. “Tutto inizia con l’incontro casuale con lo Chef de Cave Richard Geoffroy – spiega Kravitz – che mi ha fatto conoscere i Millesimati della Maison e il saper fare di Hautvillers, un luogo centrale per l’ispirazione di Dom Pérignon. E’ nata un’amicizia e un mutuo scambio che ha ispirato entrambi nelle rispettive discipline. Abbiamo capito che un giorno avremmo potuto fare qualcosa insieme, pur arrivando da diversi background”. Kravitz si rivela così un creativo versatile che spazia dalla musica al design, passando per la fotografia, passione che gli  è stata trasmessa dal padre giornalista per CNBC news, che a 21 anni gli regala la macchina fotografica. La campagna pubblicitaria per Dom Pérignon si focalizza sul tema del potere dell’ispirazione, comune a tutte le espressioni artistiche, e che stimola i creativi a superare i propri limiti e la stessa maison a rinnovarsi con i suoi Millesimati. Da qui è nata l’idea di ricreare e mettere insieme una cerchia di amici e persone eccezionali che si uniscono per la gioia di stare insieme, un gruppo in cui le idee prendono forma e dove immagini di divertimento e celebrazione definiscono l’attimo. “Essere il direttore creativo di Dom Pérignon significa innanzitutto poter costruire progetti fra amici”, ci tiene a sottolineare lo stesso Kravitz che ha organizzato un dinner party nella sua casa di Los Angeles. Tra i personaggi e amici della sua cerchia invitati e catturati dal suo obiettivo sono stati Susan Sarandon, che conquista con il suo sorriso e presenza magnetica, Harvey Keitel, una vera  leggenda del cinema, Abbey Lee Kershaw, attrice in ruoli intensi che si unisce con Zoë Kravitz illuminando il gruppo con la sua eleganza festosa. E ancora Benjamin Millepied, artista che personifica lo spirito contemporaneo della danza, il designer Alexander Wang, fino al Hidetoshi Nakata, famoso calciatore impegnato in progetti filantropici, nonché ambasciatore della tradizione giapponese nel mondo. Racconta ancora Kravitz: “Non conoscevo tutte le persone coinvolte, come ad esempio Harvey Keitel, ma alla fine è stato un incontro di diverse esperienze, un assemblaggio per l’appunto di personalità singolari che si sono unite grazie a Dom Pérignon. Per questo mi ha molto ispirato il libro fotografico che ritrae i personaggi dello Studio 54 del fotografo Ron Galella che ha colto la vita notturna di New York. Così ho scattato di notte con il flash durante un dinner & dance party nella mia casa a Los Angeles, dove tutti gli invitati si sono conosciuti in modo spontaneo, interagendo e condividendo insieme le proprie esperienze, non seguendo un copione.” Con questa mostra, che arriverà prossimamente in Europa, Kravitz festeggia 54 anni con il suo nuovo album Raise Vibrations e un tour in giro per il mondo: un album che esprime la piena maturità artistica di un artista ricco di commistioni culturali e di talento in ambiti anche molto differenti.

 

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Andrea Tarella: natura fatta ad arte

Un’artista con una forte passione per la natura: Andrea Tarella ci racconta come è nata la sua passione per l’illustrazione e come coltiva l’amore per la natura. Proprio in questi giorni Andrea ha raccontato il mondo della profumeria artistica e di ricerca tramite un live sketching a Pitti Fragranze.

6 instagramQuando è nata la tua passione per l’illustrazione?

Ho sempre disegnato fin da bambino, è una passione che ho coltivato costantemente sfruttando ogni momento libero. Anche oggi, quando non disegno per “lavoro” disegno per piacere personale. Praticamente il mio tavolo di lavoro è sempre occupato.

 

Il tuo primo ricordo che avresti intrapreso questo lavoro? 

Durante la prima ”Vogue Fashion Night” ho avuto l’occasione di lavorare nello store di Love Therapy di Elio Fiorucci. Avevo un piccolo tavolino e disegnavo acquerelli per i clienti. Elio era alle mie spalle, mentre disegnavo ininterrottamente per ore fino a notte fonda. Quando tutto finì mi dissi che forse potevo fare della mia passione un lavoro.

 

Come nasce la tua passione per lnatura? 

Sono cresciuto a Verbania, dove basta poco per ritrovarsi immersi nei boschi delle montagne o nei canneti delle numerose zone umide. Da ragazzino passavo le estati nella nostra casa in montagna circondato da animali, passando le giornate a vagare da solo nelle valli. Successivamente, leggendo i romanzi di Gerard Durrel, ho iniziato a calcare le sue orme circondandomi di animali e piante e passando il tempo a osservarli.

 

Quale la figura o le persone che sono state importanti per la tua crescita artistica e professionale. 

Sono state tante le persone che negli anni mi hanno incoraggiato a coltivare la mia passione e a impegnarmi affinché potessi farne una professione. Ho avuto la fortuna di essere sempre incoraggiato e supportato dalla mia famiglia in tutte le scelte che ho fatto.

 

L’illustrazione è tornata molto di moda anche grazie al web e ai social. Come vedi questo fenomeno?

È impossibile negare quanto il web e le varie applicazioni social abbiano aiutato artisti e liberi professionisti come me a emergere e ha crearsi un mercato. Se una volta era importante avere un buon portfolio e un sito funzionale, oggi è quasi prioritario avere un profilo Instagram che esponga in modo chiaro e immediato il tuo lavoro e il tuo stile.

 

Come definiresti il tuo lavoro?

Figlio della casualità. Spesso e volentieri sperimento mentre lavoro, arrivando a dei risultati completamente diversi dall’idea iniziale.

 

Alcune collaborazioni che per te sono state particolarmente importanti per la tua carriera.

Ho avuto la fortuna di poter collaborare con Prada per un bellissimo progetto, che mi ha dato la credibilità per iniziare e continuare questa strada. Sono molteplici i progetti che mi hanno coinvolto e regalato tantissima soddisfazione, dalle collaborazioni con la famiglia Lardini alle animazioni realizzate per la Camera Nazionale della Moda.

Oltre all’illustrazione, quali progetti per il futuro e un sogno che vorresti realizzare

Sono anni che gestisco un’associazione ambientalista che si occupa di formazione e progetti di sensibilizzazione delle scuole e sul territorio. Negli ultimi anni mi occupo di progetti di orticoltura e apprendimento delle tecniche pittoriche rivolte a ragazzi con disabilità psicofisiche. Pur essendo un ambito molto distante dall’illustrazione e dal mondo della moda è una parte molto importante della mia vita che sicuramente continuerò a portare avanti e che desidero coltivare.

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Foto a cura di Andrea Tarella, Live Sketching da Pitti Fragranze

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Luke Guldan: l’attore di “The Good Place” fotografato da Richard Gerst

Quando in una serie televisiva i protagonisti sono due personaggi molto amati, come Kristen Bell, la mitica Veronica Mars in tv e amatissima per aver dato la voce ad Anna in “Frozen, e Ted Danson, carriera ricchissima che comprende due serie di culto come “Cin Cin” e “CSI”, difficile per un esordiente farsi notare. E invece nell’acclamato show “The Good Place” Luke Guldan riesce a farsi apprezzare per il suo fascino da ‘ american boy’ e per la capacità di calarsi in maniera credibile in un ruolo inconsueto, quello di un demone. Originario di Milwaukee, ma cresciuto a Brooklyn, Luke si è concentrato da ragazzo sul mondo dello sport e del fitness, ottenendo riconoscimenti, articoli e copertine di giornali specializzati, come Men’s Health e Muscle & Fitness, passando per GQ e Cosmopolitan. La passione per la recitazione lo porta ben presto sia sui palcoscenici teatrali, sia in televisione e al cinema, ottenendo dopo apparizioni in “Gossip Girl”, “Law and Order: Special Victims Unit” e “Blue Blood”, il ruolo di Chris nella serie “The Good Place”, trasmessa dal 2016 dalla NBC. Ha fotografato per noi l’affascinante Chris Richard Gerst, fotografo, che ha sede a New York, molto apprezzato per i suoi ritratti e la capacità di esaltare in maniera naturale il sex appeal giovane e fresco dei suoi soggetti. Per saperne di più del lavoro di Richard vi rimandiamo al suo sito www.gerstvisuals.com, mentre per conoscere meglio Luke eccovi la nostra chiacchierata con il promettente attore americano.

 

Puoi raccontarmi come e quando hai deciso di diventare un attore? Recitare è qualcosa che hai sempre voluto fare?
Già da piccolo. A sette anni. Avevo queste cravatte che amavo indossare. Ne avevo appese per tutta la mia stanza. Le indossavo e creavo come dei personaggi. Ricordo che stavo di fronte allo specchio e le mettevo, in genere senza camicia, anche se avevo solo sette anni. E ho continuato a tenerle, come un tratto ricorrente nella mia vita… mi piace stare senza camicia. E le cravatte non sono in genere un accessorio che un bambino indossa di solito, sono più da adulti. Ma le indossavo e creavo questi personaggi imitando gli adulti che vedevo nella vita reale o in televisione. Ho capito, pensandoci, che è quello il momento in cui ho iniziato. Con le cravatte.

Fai parte di una serie tv importante, con due attori famosi come protagonisti. In che modo questo ruolo ti ha sorpreso, e cosa hai imparato da questa esperienza?
È stato fantastico lavorare con Kristen Bell e Ted Danson nello show “The Good Place” (da noi va in onda su Italia1, ndr). E tornare a lavorare alla terza stagione mi ha dato l’opportunità di vedere come loro lavorano seguendo l’evoluzione della serie e quindi del loro personaggio. L’unico modo per descriverlo è ‘puro divertimento’. Ho imparato che le cose succedono in fretta e devi essere preparato. Sempre preparato, ma mai pronto.

Dimmi qualcosa sul personaggio che interpreti. Ti somiglia?
Chris Baker è fantastico nel suo lavoro, ha un bell’aspetto, ha successo, sta benissimo con un completo e riesce a toglierselo rimanendo affascinante, ed è un demone. Quindi io non somiglio per niente a Chris. Tuttavia c’è qualcosa di simile, l’unica cosa in effetti, entrambi amiamo andare in palestra.

Cosa ti piace della recitazione e cosa no?
È sempre diversa, anche quando interpreti lo stesso personaggio ci sono continuamente cose che non ti aspetti, nuove esperienze, collaborazioni, ti puoi ritrovare in un ambiente in cui lavori con così tante persone, per far si che ogni cosa prenda forma velocemente, è eccitante. Mi piace il processo. Inoltre, hai l’opportunità di interpretare ruoli diversi dalla tua persona, ad esempio di recente ho interpretato un go-go dancer nello show “Tell Me A Story,”che sarà in onda dal 31 ottobre sulla CBS. La sola cosa che non mi piace della recitazione o che può essere un po’ difficile riguardarsi durante una performance. Non da un punto di vista superficiale, quanto da una prospettiva creativa. Il nostro gusto è in continuo cambiamento ed evoluzione. Quindi, vedere un vecchio film o una vecchia performance può essere un po’ strano a volte, perché non sei più in quello stesso spazio creativo con la tua vita. Il tuo processo e le tue esperienze sono cambiate. Così come il tuo gusto.

Progetti e sogni per il future?
Vorrei viaggiare. Ho intenzione di organizzare un viaggio in Europa. Compresi Italia e Sicilia. Voglio vedere tutto, Inghilterra, Spagna, Scozia e Amsterdam. Sogni? Ho un copione per cui vorrei trovare dei finanziamenti e realizzarlo. Non vedo l’ora che inizino la terza stagione di The Good Place” e il nuovo “Tell me a Story”, il prossimo Ottobre- Posterò alcuni behind the scene e update sulla mia pagina instagram. Quindi seguite @lukeguldanofficial!

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Il menswear secondo Riccardo Grassi

Riccardo Grassi scommette sull’uomo dall’anima street&fashion più evoluta e lo fa con il nuovo progetto RG Man, show-room interamente dedicato allo stile maschile nella sua versione più avanguardista. Un progetto ambizioso che prima di tutto vuole essere un contenitore di novità e fucina di nuove tendenze, già a partire dallo spazio pensato per far risaltare le collezioni. Oltre ai brand già in scuderia con importanti linee uomo, come N°21, Drome e MSGM, si è aggiunto Fumito Ganryu, designer giapponese che è stato ospite all’ultimo Pitti Uomo, e rappresenta il casualwear innovativo. Proprio questo stilista visionario ha ispirato e spinto Riccardo Grassi a creare il nuovo spazio dedicato a un menswear contemporaneo. Così RG Man ospita il debutto europeo di Ground Zero, ad esempio, il brand street leader in Cina, ma anche le sneaker del newyorkese Joshua Sanders, le t-shirt e felpe di The Saint Mariner disegnate dal tattoo-artist Pietro Sedda, Alchemist, ormai sotto le luci della ribalta per le sue incredibili lavorazioni, fino alle più sovversive creazioni del russo Tigran Avetisyan.

TIGRAN AVETISYAN SS19
TIGRAN AVETISYAN SS19

Proprio nel suo headquarter in Via Piranesi, dove a breve aprirà anche un B&B dal design curato e un ristorante, abbiamo incontrato Riccardo Grassi per farci raccontare come è nato questo progetto.

Come è nata l’idea di questo nuovo spazio dedicato all’uomo?
Avevamo già una parte uomo con i brand più contemporary come MSGM o N°21, alla quale abbiamo aggiunto Fumito Ganryu, un designer molto raffinato, che è una via di mezzo tra un mondo street molto pulito e l’innovazione tecnologica. Abbiamo poi selezionato delle piccole realtà con collezioni che avessero un’identità molto precisa e soprattutto dei pezzi significativi, che diventassero un po’ l’oggetto particolare da mettere in negozio. Credo che nel menswear funzioni più l’oggetto e la storia che è dietro, lo storytelling, che il total look. Questa moda delle  “limited edition” sta influenzando il mercato in maniera potente. Abbiamo già avuto una risposta molto forte dal parte del mercato asiatico, perché loro comprano e apprezzano molto l’item particolare.

Come ad esempio Tigran Avetisyan, il designer russo con la T-shirt nella cornicie, che ha anche collaborato con Comme des Garçons…

Sì, per due volte e abbiamo portato anche un altro ragazzo russo, Walk of Shame, che fa donna e va fortissimo. Come ti ho detto sul contemporary eravamo già coperti, e volevamo affrontare la sfida dei giovani creativi: il nostro obiettivo è offrire ai negozi qualcosa di veramente speciale e unico.

Pietro Sedda
THE SAINT MARINER SS19

Anche lo spazio è stato pensato in modo molto diverso dagli altri, da chi è stato progettato?
Volevamo che questo spazio fosse molto più “raw”, per dare più importanza alle collezioni con un ambiente più crudo. Sono contentissimo ci sia un negozio così oggi. Lo spazio è stato progettato da Christian Rizzi, un giovane visual molto bravo. Credo sia il momento giusto per  dare un contesto speciale sia per la donna che per l’uomo. L’importante è che ci sia un vero  contenuto, altrimenti perché il negoziante o il cliente finale dovrebbero comprarti? Vogliamo ampliare il menswear perché credo ci sia molto spazio in questo segmento; oggi sono nati in tutto il mondo una serie di negozi molto forti che hanno fatto evolvere la corrente dello streetwear. Poi magari si evolvono in altro, senza tradire lo street, magari con proposte più colorate e pop ed è questo ciò che rappresenta il mondo giovane, quello dove si muovono i ragazzi. Ed è questo quello che vorremmo portare avanti noi in questo momento.

E quanto pensi che influisca il mondo dei social in questo mondo?
Tantissimo, questi mondi parlano la lingua dei social media, con Tigran Avetisyan ho fatto metà ordini solo inviando quel frame ai negozi. E’ un messaggio forte che arriva e si capisce, ed è virale tramite Instagram.

ARTICT EXPLORER
ARTICT EXPLORER

E cosa ne pensi della Milano Fashion Week uomo?
Milano è diventata più una destinazione per lo shopping che per la Fashion Week. Abbiamo una reputazione shopping enorme, con negozi che attirano clienti da tutto il mondo. A Milano c’è tutto in maniera molto completa, c’è un amore incredibile verso la città da parte degli stranieri, purtroppo per quanto riguarda la parte “momenti moda” deve dare una sterzata fortissima e capire come catturare questa parte giovane di cui parlavamo prima.  A Pitti, per esempio, ce la stanno facendo, sono due realtà molto diverse, ma credo si possa fare anche a Milano; la gente è pronta, le stesse persone che considerano Milano alla pari di Londra o di Berlino. Però vogliono vedere più vitalità, più show-room e multibrand forti. Siamo comunque costretti anche noi a migrare a Parigi durante le campagne vendite per sviluppare un business che nella capitale francese è sempre più attraente.

Quindi Parigi è ancora sul podio?
E’ potente perché è comunicativa e poi ha una lunga tradizione. Ma per la gente la moda a Parigi non è così cool, come a Milano. E questo è un plus in più che abbiamo, questa bellissima Milano contemporanea, la Milano dei bei locali e delle mostre, un fenomeno che è stata notati più dai turisti che dai milanesi. Le zone si stanno rivalutando e il mood che si respira è molto interessante e vivace.

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BRAND TO WATCH: VICTOR LI DEBUTTA A NEW YORK

Nato negli Stati Uniti e cresciuto in Cina, Victor Li si forma alla Parsons School of Design per lanciare insieme a Claudia Li il proprio brand, che ha recentemente debuttato alla New York Fashion Week. Un progetto in cui si fondono e incontrano oriente e occidente, unitamente a ispirazioni al mondo dell’arte e alle culture con cui il designer è entrato in contatto grazie ai numerosi viaggi in giro per il mondo da New York all’Asia arrivando fino in Italia La collezione presenta un mix di capi dai più formali a look casual, adatti al tempo libero e perfetti per viaggiare. Le linee sono semplici e i dettagli diventano il punto focale su cui si concentra l’attenzione, come ad esempio il fiocco che viene applicato su giacche, trench e camicie, rivisitazione della pochette da taschino. Linee semplici e vestibilità confortevoli per un total look che spazia dal bianco, ai toni del beige e del marrone passando per il rosa e il grigio. Grande attenzione alla scelta dei tessuti più pregiati, selezionati attraverso un’accurata ricerca in Italia, Francia e Giappone.

ritratto VICTOR LI
In occasione della sua presentazione, lo abbiamo incontrato a New York per conoscere meglio il suo percorso

Raccontami un po’ del tuo background. Come è iniziato il tuo amore per la moda maschile?
Sono nato negli USA, ma cresciuto in Cina. Ero molto interessato all’arte e ho iniziato a studiare disegno da bambino. Sapevo che avrei fatto qualcosa di artistico, nella mia carriera futura, ma non sapevo se l’artista o il designer. Sono venuto in America al primo anno di scuola superiore e ho cominciato a focalizzare i miei interessi. Ho frequentato un programma pre-universitario in fashion design alla Parsons e una programma in arte alla Cooper Union, che ha confermato il mio amore per il design. In seguito ho preso il diploma in arte alla Parsons.

Chi è il tuo designer preferito/chi ti ispira?
Miuccia Prada. Per me, Prada è arte indossabile.

3 aggettivi che descrivono il tuo stile come designer.
Sofisticato, unico, abbigliamento per la prossima generazione.

Dove ti vedi tra 5 anni?
Business e design hanno la stessa importanza per me. Spero di creare un movimento culturale, uomini che apprezzano e amano il mio lavoro e spero di continuare a lavorare su questo ad ogni collezione. In cinque anni, speriamo di avere una base di clienti fedeli sparsi per il mondo, che continuano a sceglierci stagione dopo stagione.

Come vedi evolvere la moda maschile?
Io disegno per me, e per coloro che apprezzano la sensazione data da capi di alta qualità, uomini che apprezzano un capo, i suoi dettagli come le nostre stoffe ricercate in Italia e Giappone. Vorrei dare una prospettiva nuova e fresca su ciò che la nuova generazione vuole indossare, oltre lo streetwear quotidiano.

Hai girato il mondo, dove ti senti a casa? Qual è la tua città preferita?
Casa è dove c’è la mia famiglia, ma la mia vita si svolge a New York. La mia città preferita è Tokyo.

Parliamo della collezione: cosa ti ha ispirato e come scegli i materiali?
Dato che era la mia prima collezione, e molto personale, è come se avessi disegnato per me stesso. Viaggio parecchio e volevo che il mio lancio comprendesse dei capi che siano funzionali per quello stile di vita, pezzi che porterei e indosserei durante un viaggio estivo. Abbigliamento pratico, ma un po’ più speciale che tradizionale.

Perché hai scelto New York per il lancio?
Perché sono americano, il brand è di New York, di base in questa in città.

Ci hai detto che il tuo pezzo preferito della collezione è il trench. Da dove hai preso l’ispirazione per disegnarlo?
Per questa stagione abbiamo giocato con dettagli intrecciati e sovrapposizioni. Per me, molti trench hanno un sapore un po’ troppo maturo per i giovani di oggi. Cerco di farne una versione più attuale e divertente.

Se potessi scegliere di vestire una celebrity, chi vorresti?
Timmothee Chalamet.

La moda è…?
Moda è lifestyle. Moda è ciò che scegli di indossare, ciò che decidi di mettere in valigia per un viaggio.

 

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INTERVIEW: FILIPPO BOLOGNI

Un sorriso carismatico, la faccia da bravo ragazzo, animo rock’n’roll.

Questa l’irresistibile alchimia, con l’aggiunta di una gran parlantina e una lista contatti da far impallidire anche gli head of communication più navigati, dietro al successo del giovane PR Filippo Bologni. Fiorentino, vanta esperienze con importanti colossi del lusso. Digital PR ed entertainer, dopo varie esperienze al fianco di note PR milanesi, Filippo sente che i tempi sono maturati per spiegare le vele da solo e a marzo 2018 si lancia come freelance che già vanta nel portfolio brand come Oscar Tiye ed emergenti come Riccardo Comi, al quale è particolarmente affezionato.

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Se non fossi stato un pr, cosa ti sarebbe piaciuto fare?
Fin da piccolo ho sempre voluto fare lo chef. Il problema è che tutt’oggi non so cucinare nemmeno una pasta al pomodoro.

La tua cucina preferita?
Cinese al primo posto. Poi quella di mamma.

Un tuo talento segreto?
Non me la cavo assolutamente male con il disegno. E poi sono un pallavolista nato!

Il tuo capo d’abbigliamento preferito, se riesci ad individuarne uno, quale è?
Ti direi la felpa con il cappuccio. Ci sono mattine in cui è meglio non farsi vedere!

Un posto che ti piacerebbe visitare che ancora non hai visto?
Assolutamente Tokyo. E’ un sogno che ho fin da bambino.

Cosa ti piace di più della fashion week?
I miei eventi! Si può dire? No dai, scherzo! Il fatto che riesco a vedere, anche solo per un secondo,  tutti i miei amici che non vivono in Italia e far festa con loro.

Stilista preferito?
In questo momento sono ossessionato dal lavoro che Mike Amiri sta facendo con la sua linea. Lo sento mio dal primo all’ultimo capo. Anche se, se potessi, mi vestirei YSL da capo a piedi ogni giorno.

Hai qualche rituale?
Ogni mattina appena sveglio devo ascoltare della musica anni 80, altrimenti inizio male la giornata.

Cosa farai dopo l’intervista?
Fumerò una sigaretta promettendomi che è l’ultima. L’ho fatto anche 30 minuti fa.

Photography: Mauro Maglione

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Dalla lirica al cinema, a tu per tu con Mario Acampa.

Mario Acampa (classe 1987) un percorso tra musica, fiction, teatro e cinema. Un personaggio dai molti talenti e grandi passioni, come l’opera lirica (nel 2015 firma la sua prima regia del Il piccolo Principe) per poi scrivere e dirigere nel 2017 il primo Opera Show al mondo “La vestale di Elicona” in cui si intrecciano opera lirica, balletto, prosa, musica dal vivo e arti visive. Dopo numerosi ruoli nelle fiction italiane accanto a Luciana Littizzetto, Marco Giallini, continua la sua formazione tra New York e Los Angeles e, grazie al suo curriculum internazionale, vola a Budapest sul set di Ron Howard accanto a Tom Hanks nell’ultimo film “Inferno”. A giugno vedremo Mario Acampa nel film Ulysses dove recita insieme alla star americana Danny Glover (tra gli altri protagonista in Arma Letale), a Dark Odyssey. Abbiamo incontrato Mario a Milano, dove è stato modello per un giorno, per scattare la collezione di Antonio Marras che lo ha vestito per il suo nuovo programma di Sky Classica Tao Tutti all’Opera.

Sei attore internazionale in teatro, cinema e tv, e conduttore. Se dovessi scegliere, qual è la cosa ti appassiona di più?
E’ difficile per me decidere cosa mi appassiona di più, ho sempre sentito sin da piccolo l’esigenza di comunicare e di farlo attraverso l’arte. In alcuni momenti ho pensato di farlo meglio con un solo mezzo, ma la verità è che ho capito che mi piace alternare il teatro, il cinema e la tv e la scrittura. Sono strumenti molto diversi tra loro, ma alla base c’è come minimo comune denominatore la stessa voglia di esprimermi e di suscitare emozioni e riflessioni in chi mi ascolta o mi guarda e insieme a loro c’è la voglia di provarle anche io! Il teatro ha la potenza del pubblico dal vivo ed è un’ incredibile palestra, ma se ti sforzi di sentire la presenza del pubblico anche sul set e se ricerchi la verità dei personaggi che interpreti, capisci che ogni occasione per fare arte è semplicemente una benedizione e va vissuta come tale e con lo stesso impegno e curiosità.

Sei anche laureato in legge. Quando hai capito che il mondo dello spettacolo sarebbe stato il tuo lavoro?
Da piccolo ero ferrato nelle imitazioni e poi ho sempre cantato, recitato, ballato, presentato. Durante gli anni del liceo mi sono iscritto a un corso di teatro a scuola e lì ho capito che avrei voluto continuare a fare arte e soprattutto che mi faceva stare bene. Poi giunse il momento di scegliere cosa fare dopo il liceo. I miei genitori non erano affatto favorevoli alla carriera artistica in modo esclusivo, così decisi di iscrivermi a Giurisprudenza perché è una materia che mi ha sempre affascinato. La legge è intorno a noi ed è alla base della nostra vita sociale e ne è espressione, per certi aspetti come l’arte! Poi mentre frequentavo l’università il richiamo del teatro si è fatto più forte, ho fatto una scuola e poi sono diventato Primo attore allo Stabile Privato di Torino. Lo sono stato per 7 anni e da lì è partito tutto. La Rai, il cinema…

Hai lavorato in Italia, ma anche a New York e Los Angeles. Come è stato entrare in personaggi che parlano una lingua straniera?
Recitare in inglese per me è esattamente come recitare in italiano, il lavoro che faccio sul personaggio è lo stesso e ho imparato che la lingua non è mai un ostacolo per l’arte, perché va dritta al cuore. Ho iniziato a studiare inglese da piccolo, mi piaceva sapere il significato delle mie canzoni preferite. E poi ho cominciato a vedere i film e le serie in lingua originale. Non pensavo che sarebbe mai stato utile conoscere l’inglese per il mio lavoro di attore, e poi ho incontrato a Roma la mia actor coach americana che mi ha consigliato di andare a Los Angeles e appena ho potuto sono volato in America. Dopo poco ho firmato col mio manager attuale proprio ad Hollywood e il sogno è diventato realtà. Essere sul set con Tom Hanks diretto da Ron Howard o con Danny Glover è stato incredibile.

Negli Stati Uniti è in uscita il film “Ulysses”, girato a Torino, a fianco di Danny Glover. Com’è il tuo personaggio, il dio Hermes?
Di sicuro il dio Hermes è stato il ruolo più intenso e complicato che io abbia mai fatto. In questa rivisitazione dell’Ulisse, Hermes è un transessuale con un passato di abusi e violenze. Il suo rapporto con Eolo è di schiavitù mentale e fisica. Ho cercato di entrare nel personaggio senza giudicarlo, senza provare pena o compassione o distacco, ma solo cercando di ricostruire nella mia testa tutti i tasselli che l’hanno portato a diventare ciò che è. Alla fine ci ho ritrovato gli stessi sogni di chiunque altro, le stesse paure. E così quell’Hermes che mi aveva tanto spaventato in prima lettura, è diventato una parte di me, quella parte che cerca di vincere, di lottare per i propri ideali e di riconquistare la propria libertà anche a costo della vita, ma con la convinzione di riscattarsi contro l’ingiustizia. Io lo trovo avvincente. Poi di sicuro essere accanto a star di Hollywood come Danny Glover (arma letale), Udo Kier e Skin è stato un grande stimolo. Sapere che la mia interpretazione sia stata definita “inspiring” e cioè ispiratrice di forza ed energia è meraviglioso. Spero che sia così per tutti gli italiani che dal 14 giugno andranno al cinema, così come per gli spettatori in tutto il mondo.

Quali sono gli attori a cui ti sei ispirato nella tua carriera decennale?
Se posso dirtene un paio direi Totò ed Eduardo De Filippo. Il primo perché mi ricorda quando mio padre da piccolo mi leggeva “A Livella” di Totò interpretandola, è stato forse mio padre il primo ad avviarmi all’arte senza saperlo! E poi Totò era uno spirito libero, che lasciava entrare la sua essenza in tutto ciò che faceva. Vorrei avere un briciolo della sua personalità. E il secondo, De FIlippo, perché credo rappresenti esattamente ciò che significa “tragicommedia della vita”. Eduardo riesce a far pensare, ridere e piangere allo stesso tempo e questo credo sia ciò che deve fare un buon attore se vuole rappresentare la realtà.

Ora sei in onda su Sky con il programma “Tao Tutti all’Opera”, in cui indossi gli abiti di Antonio Marras. In quali tratti della collezione ti rispecchi di più?
Antonio Marras ha capito esattamente lo stile che volevo dare alla trasmissione e ne rappresenta lo spirito. Personalmente mi ritrovo molto nel risvolto sorprendente dei suoi outfit, in una camicia bianca c’è sempre un dettaglio che ti colpisce e che ti lascia sospeso. Oppure nei completi, dalla vestibilità e dal taglio ipermoderno, ma con zip inaspettate e nello stesso tempo con tessuti della tradizione. Per questo Marras esprime esattamente il concept di TAO- Tutti all’opera, e per questo sono felice di indossare le sue creazioni. Antonio è carnale nei suoi abiti e non ha paura di lasciare il segno proprio come vorrei facesse TAO, una trasmissione pensata per divulgare l’opera lirica anche a chi non è un esperto. L’opera ha origini popolari e come tale deve arrivare a tutti. Ho cercato di lasciare la tradizione rivisitandone i modi, proprio come fa Marras con i suoi vestiti. E poi siamo alle OGR di Torino, un posto meraviglioso in cui prima si riparavano treni e oggi sono Officine di arte e cultura.

Nella vita di tutti i giorni, invece, che stile prediligi?
Amo la comodità, i pantaloni con le pence a vita alta dalla vestibilità over, le tasche alla francese, le t shirt con i dettagli ricercati, le camicie bianche, le scarpe colorate, le valigie e le borse in pelle consumata, gli occhiali. E poi le giacche in tartan, i cardigan bon ton, le righe larghe e i cappeli a falda larga. Insomma credo di essere uno spirito libero anche nel vestire; non mi piacciono le categorie e le linee di demarcazione. Lascio che i vestiti “cadano” sul corpo, come si dice, così come lascio che gli eventi mi sorprendano.

Che ruolo hanno i social network nella tua professione?
Nella mia professione credo che i social abbiano lo stesso ruolo che hanno per tutti gli altri, cioè sono un amplificatore del nostro ego. Quello che decidiamo di mettere in mostra è una scelta non solo di stile, ma anche di consapevolezza di sè. Ciò che pubblichiamo è spesso filtrato dalla nostra razionalità e non è sempre un bene, perché non sempre arriviamo agli altri come vorremmo o come crediamo razionalmente. Io personalmente come si può vedere, non ho filtro, posto sui miei social esattamente ciò che mi accade quotidianamente e mi espongo per ciò che sono. Mi fa stare bene perché non voglio prendere in giro chi mi segue. Mi piace condividere i miei momenti belli e brutti con chi sostiene ogni giorno il mio sogno e mi dà la possibilità di farlo con un applauso o guardando una mia trasmissione o un mio film.

Un sogno nel cassetto? E prossimi progetti
Per ora sogno un tiramisù gigante, un film con un ruolo folle, una trasmissione in radio o tv dove posso cantare e presentare e giocare come faccio nella vita, una pizza infinita, e la pace nel mondo. Dici che fa troppo Mr. Italia?In cantiere ci sono tante cose belle, tornerò in teatro a breve con uno spettacolo sulla vita di Nureyev che ho scritto e diretto “Processo a Nureyev” e poi mi aspetta ancora TAO per un’intera stagione su Sky e poi vedremo…

 

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Photographer Davide Bonaiti

Mario Acampa veste Antonio Marras.

IL PRINCIPE RANOCCHIO DEL NUOTO ITALIANO: FABIO SCOZZOLI

Viso da bravo ragazzo e fisico statuario. Fabio Scozzoli, classe 1988, campione europeo e mondiale nei 50 e 100 m rana. Sui social è riservato, ma gli piace condividere le sue passioni, i viaggi e qualche momento con la sua Martina Carraro, anche lei nuotatrice specializzata nella rana, e il loro cane. Agli Assoluti di Riccione il nuotatore azzurro ha migliorato il proprio record italiano dei 50 rana col tempo di 26”73, terzo crono mondiale della stagione sulla distanza.

Quando hai sentito saresti diventato un nuotatore?
È stato quando ho finito le scuole superiori. A livello giovanile ero un buon nuotatore, ma non ero un campione. A diciannove anni, quando mi sono diplomato, ho vinto anche i miei primi Campionati Italiani Assoluti ed è stato il culmine della crescita di quegli anni. Poi mi sono trasferito dalla mia vecchia squadra di Forlì a Imola, dove c’era un allenatore ungherese molto bravo, che mi ha cresciuto nella prima parte della mia carriera, dai sedici ai venticinque anni. In seguito ho avuto un anno di transizione, dovuto a un infortunio al ginocchio, poi sono andato ad allenarmi un anno in Austria. È stato molto stimolante ritrovarmi in un ambiente internazionale, entrare in contatto con altre culture, compresa la cucina, che è anche una mia grande passione

Come hai scelto lo stile rana?
È venuto naturale. Cercano sempre di insegnarti tutti gli stili, e poi, un po’ per le proprie caratteristiche fisiche e un po’ per capacità, viene fuori il tuo indirizzo, in cui ottieni i risultati migliori. Ero bravo a fare un po’ tutto, fino all’età in cui ho avuto l’esplosione nello stile rana.

Maestri o persone che sono stati particolarmente importanti nella tua vita?
Il mio babbo è sempre stato per me un grande punto di riferimento. Un esempio di calma, forza e serietà. A livello sportivo ho sempre ammirato molto Pippo Inzaghi, in cui mi sono sempre un po’ rivisto, perché era un calciatore dalle doti tecniche magari non eccelse, ma che con il lavoro e la dedizione ha ottenuto risultati incredibili.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
I Campionati Europei di questa estate a Glasgow, e quello sarà l’appuntamento finale della stagione. Si punta lì.

La tua playlist del momento?
Nell’ultima playlist che ho creato ci sono i Maroon 5, poi un po’ di musica dance con Calvin Harris, Afrojack, i Chainsmokers, e poi Hardwell, Rocky, David Guetta, Avicii, Martin Garrix. La canzone obsession del momento è “Shed a Light” di Robin Schulz, David Guetta e Cheat Codes. 

L’ultimo libro che hai letto?
Mi piace leggere libri che potremmo definire tecnici, in questo momento mi interessa molto il campo dell’alimentazione. In futuro mi piacerebbe diventare allenatore, quindi sto cominciando a documentarmi e a studiare le teorie, le tecniche e le metodologie di allenamento. Mi piacciono anche libri sulle auto, meccanica e sono appassionatissimo di Formula 1. Seguo molto Motorsport.com e lì leggo numerosi articoli. Mi è piaciuta moltissimo la trilogia de “L’ombra del vento”, una sorta di giallo storico, che mi ha preso da subito.

Il tuo piatto preferito?
Da buon romagnolo: le tagliatelle al ragù. So cucinare molto bene anche la carne, grazie al marito di mia sorella, che addirittura guarda in tv i maghi del barbecue e cuoce la carne con il termometro per controllare la temperatura.

Cosa non manca mai nella tua valigia?
Per me è essenziale avere sempre un costume perché, quando non viaggio per gare o allenamenti, vado in vacanza al mare. Nella mia valigia non mancano mai i costumi firmati Jaked e le sneaker Saucony. 

Raccontami del tuo ultimo viaggio.
Tra i miei ultimi viaggi é stato molto breve, in Puglia, a Santeramo in Colle vicino a Bari. Sono stato invitato per dare la possibilità a giovani e meno giovani di allenarsi con me per un giorno. Ho avuto la possibilità di provare le specialità culinarie di Santeramo, in particolare la carne di cavallo in ogni sua forma. Una cosa imperdibile!

Quale l’accessorio che non può mancare nella tua valigia?
La lametta per la barba e le mie comode Saucony.

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Sananda Maitreya

A tu per tu con Sananda Maitreya, parlando di musica, moda e vita.

Hai scelto da solo come chiamarti. Cosa significa per te questo cambiamento?
Il cambiamento di nome significava una nuova opportunità per ottenere un nuovo karma! Avevo fatto tutto ciò che potevo con l’identità precedente ed era diventato chiaro che, a tutti gli effetti, non rappresentasse chi fossi. È sempre stato di fondamentale importanza per me essere un uomo libero. Io sono un sognatore, non uno schiavo. Sapevo che avrei avuto bisogno di essere libero, per realizzare ciò che sentivo fosse la volontà del cielo per il mio lavoro su questo pianeta che Dio ama. Sananda Maitreya lavora per Dio, punto. Non sono mai stato troppo legato a prendere ordini da quelli che non potevano vedere la mia visione così chiaramente come me. L’industria possedeva la mia vecchia anima, quindi con preghiere e molte meditazioni, è stato deciso che avremmo creato una nuova identità e messo la nostra fiducia e fede nei pieni poteri del mio sogno.

Sei stato un pugile professionista e poi una superstar della musica soul, conosciuto come Terence D’Arby. Cosa ti porti dietro da queste esperienze passate?
La mia esperienza come pugile ha confermato i miei istinti da guerriero. Anche se non è mai stata la mia professione, sono stato un campione Golden Gloves nella mia giovinezza. Questo sport mi ha insegnato che non ero una femminuccia. Ho anche imparato il valore della disciplina, la dedizione, la passione. Tutte qualità che mi avrebbero aiutato a sopravvivere a questi anni pazzi da “superstar”, mentre stavo diventando un uomo desideroso di assumermi la responsabilità della mia stessa vita.

Come descriveresti il tuo sound in tre parole?
Tre parole? ‘D’, ‘LISH’, ‘US’!

Come sviluppi il tuo processo creativo? Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Il mio processo creativo è semplice, seguo le maree. Quando vengono le idee, uso la mia esperienza, l’immaginazione e i miei talenti per esplorare dove vuole andare l’idea. Non ho mai dettato all’ispirazione, voglio che l’idea mi porti dove vuole andare. È tutta una questione di meditazione. Ti alzi, fumi, preghi, lavori. Per tutto il tempo sono grato persino di avere un lavoro da contemplare. E un altro semplice trucco per lavorare è lavorare sempre. Sono un workaholic e abbastanza orgoglioso di esserlo. 

Quali artisti ti hanno aiutato a dare forma alla tua musica?
Wow, questa è una domanda ricca perché sono stati tanti! Principalmente i grandi cantautori e produttori. Sono stato per lo più influenzato da coloro che erano responsabili di come la loro musica meritava di essere, dal momento che era evidente che fossero padroni dei loro doni. Rod Stewart, James Brown, The Beatles, The Stones, Jimi Hendrix, Sam Cooke, Frank Sinatra, Hank Williams, Nat King Cole, Ray Charles, Led Zeppelin, Joni Mitchell, Stevie Wonder, Prince, Abba, Miles Davis, Duke Ellington, Elvis, Cream, The Who, Marvin Gaye, Al Green, Steely Dan Aretha Franklin, Patsy Cline e ancora molti altri.

Come è cambiata la tua musica con l’avvento di Internet?
Internet era un futuro che avevo previsto già nei primi anni ’90 come la mia salvezza e il mio cammino verso la libertà. Ma attenzione, paghiamo un pedaggio pesante per viaggiare sulla strada della libertà. Tuttavia era un prezzo che ero disposto a investire perché ho visto Internet come il mezzo che avevo sognato per anni, un luogo in cui potevo essere libero di essere il più creativo possibile senza non dovermi più preoccupare di qualsiasi altra considerazione se non di ciò che meglio si adattava all’arte.

Com’è il tuo rapporto con i social media? Hanno un ruolo importante nella tua carriera?
Sì, i social media giocano un ruolo immenso nella mia relazione con persone che hanno una mentalità simile alla mia. La mia musica è stata supportata fin dal primo giorno da una generazione di fan entusiasti di essere coinvolti nella mia evoluzione e progresso nel mio viaggio nello spazio/tempo come artista. È stato fantastico fin dall’inizio. Era quello che stavo cercando. Adoro la flessibilità che dà. Il contatto diretto è più intimo.

Com’è il tuo rapporto con la moda?
Il mio rapporto con la moda sta migliorando!

Suoni e ti esibisci con diversi strumenti, come unisci tutti questi per creare nuovi suoni?
Riesco a creare nuovi suoni fidandomi di ciò che sto facendo mentre lo faccio. Se lo sento, allora ho fiducia in quello che sento e poi semplicemente seguo il processo. È istruttivo ricordare che non devi conoscere cosa stai facendo, fintanto che ti diverti a farlo. Qualunque cosa stia facendo si rivelerà sempre abbastanza presto, se non ora.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
I miei piani futuri sono di continuare a promuovere “PROMETHEUS & PANDORA” con alcuni concerti nella prossima estate e di godermi il tempo che ho, essendo sposato con una donna meravigliosa e con i nostri due figli favolosi. La maggior parte dei miei più cari amici in campo musicale sono ormai deceduti. Riesco spesso a sentire i loro fantasmi che mi ricordano di apprezzare tutto questo di più. Quest’estate inizierò a celebrare il fatto di essere sopravvissuto per oltre 30 anni alle varie fasi di notorietà che ho incontrato. Sarò lieto di essere accompagnato dalla più talentuosa e amabile Luisa Corna.

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Photographer: Manuel Scrima
Stylist: Veronica Bergamini
Grooming: Stefania Pellizzaro
Photographer Assistant: Lorenzo Novelli
Styling Assistant: Chiara Piovan
Label Manager: Francesca Francone Maitreya

Budding star, Jules Houplain

Il giovane attore francese Jules Houplain ha fatto il suo debutto nel 2014, iniziando a recitare sul palco a solo 12 anni e partecipando a serie televisive e film, incluso Hidden Kisses, vincitore di molti premi, sulle lotte e problemi di un teenager gay nell’era dei social media. Interpreta il figlio di Juliette Binoche nel film in uscita Celle que vous Croyez e ha già un altro film in programmazione per il 2019  –  tutto questo e non ha ancora 20 anni. Abbiamo incontrato Jules durante alcune riprese, per scoprire cosa lo ispira.

 Hai studiato in una scuola di arte drammatica: come è cambiato il tuo approccio al lavoro?
Sono cresciuto, la mia recitazione è diventata più forte e le mie tecniche di preparazione sono migliorate. La gente, probabilmente, ha una sorta di talento naturale per la recitazione, ma esse un attore richiede molto lavoro.

Cosa ti ispira?
Il cinema francese.

Chi è il tuo mentore?
Mio zio Ludo.

Con quali registi sogni di lavorare?
Nicole Garcia, Francois Ozon e Xavier Dolan.

Chi sono i tuoi attori/attrici preferiti? 
Al Pacino e De Niro per le loro performance sempre perfette e Juliette Binoche con cui sto lavorando proprio adesso per un film. 

Qual è il tuo segreto per recitare al meglio?
Ho bisogno di conoscere gli attori con cui lavoro, instaurare una sorta di amicizia con loro, così da essere più sincero.

Come attore, è importante che i tuoi ruoli abbiano un impatto su tematiche sociali?
Si. E’ necessario aprire nuove vie di pensiero e dialogo sulle tematiche sociali. Il mondo sta cambiando. Un attore dovrebbe rappresentare e dare una voce a coloro che non ne hanno. 

Come ti prepari per un nuovo ruolo?
Cerco somiglianze con le persone che conosco.

Quali sono i criteri per cui decidi di prendere parte ad un nuovo progetto?
Il personaggio, la storia e il regista.

Come ti prendi cura della tua creatività?
Mi alleno, leggo e guardo film – spesso anche diverse volte così da poterli analizzare per bene.

Ti aspettavi che la tua carriera iniziasse così?
Non ho mai pensato che sarei stato capace di vivere facendo questo lavoro.

Dove ti vedi tra dieci anni?
Facendo ancora questo lavoro, spero! E qualche progetto internazionale, perchè no? Sarebbe molto gratificante.

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Talent: Jules Houplain
Interview by Kim Laidlaw
Photographer: Edoardo de Ruggiero
Styling: Nicholas Galletti
Grooming: Sebastien LeCorroller @ Airport agency for Bumble&Bumble

La personalizzazione è al primo posto da Zalando. Alle startup: «Non abbiate paura di commettere errori»

Come fare business digitalizzato in modo innovativo? Zalando è una di quelle aziende che, oggi, ci riesce benissimo. Primo sul fronte numeri, grazie a un 2017 archiviato in corsa a doppia cifra a oltre 4,4 miliardi di euro di fatturato, secondo grazie a una rosa di consumatori attivi, che hanno superato i 23 milioni. Al centro della sua strategia, l’e-tailer tedesco basato a Berlino mette proprio il cliente, lavorando su una customer experience personalizzata a tutti gli effetti. A raccontarla a MANINTOWN è Alessandro Pantina, Senior brand manager South Europe della società, con uno sguardo verso il futuro e qualche consiglio alla new generation di talenti.

Cosa significa fare innovazione nell’online per Zalando?
Mantenersi in movimento, ripensare lo status quo ed esplorare nuove opportunità e modalità. Siamo nati nel 2008 come sito di e-commerce e, nel 2015, abbiamo annunciato la nostra platform strategy. Da allora abbiamo ampliato significativamente il nostro business: permettiamo ai clienti di acquistare prodotti sulla piattaforma e offriamo servizi, prodotti e soluzioni a brand, retailer o fashion stylist. L’obiettivo di questa strategia è connettere tutti i player del settore fashion.

Quale è la vostra chiave di successo?
L’identificazione nei nostri clienti, capire cosa vogliono e di cosa hanno bisogno.

Nel corso degli ultimi anni quali sono state le iniziative più di rilievo?
La svolta è arrivata nel 2014, dopo una visita di Robert Gentz, ceo e co-founder del gruppo, in Cina. Le potenzialità e i progressi delle piattaforme cinesi ci hanno dato l’ispirazione per passare al livello successivo. Tra gli esempi più recenti, lo scorso mese abbiamo lanciato il progetto gax-system, che prevede l’integrazione di piccoli retailer indipendenti nella nostra piattaforma. In questo modo hanno la possibilità di digitalizzare il loro business e spedire i prodotti ai clienti di Zalando, in Germania. Per chi, invece, dispone già di un’infrastruttura tecnologica, può beneficiare di una maggiore integrazione e vendere i prodotti sul nostro Fashion store, attraverso il Partner program.

Come può oggi rinnovarsi la moda in rete?
Personalizzazione, sostenibilità e tecnologie d’integrazione sono la chiave per innovare e crescere nell’industria fashion. L’innovazione, però, non si limita solo alla moda, è piuttosto un atteggiamento generale. Il nostro focus al momento è rendere la customer experience personale, e lo stiamo facendo con un team di 600 persone.

Quali saranno i vostri prossimi obiettivi?
Vogliamo continuare a innovare l’industria del fashion e creare una nuova esperienza per i nostri clienti. Stiamo lavorando a nuovi servizi di consegna, all’ampliamento dell’assortimento e a ulteriori collaborazioni con i brand. Il nostro focus sarà sulla profittabilità.

Ha qualche consiglio da dare ai giovani startupper e alle nuove imprese?
Non abbiate paura di commettere errori.

Qual è, secondo lei, l’errore più frequente delle aziende che cercano di fare business in rete?
L’incertezza è un errore che può compromettere le aziende, che operano sia online sia offline. È importante sapere quando è necessario essere coraggiosi e audaci, ma anche quando il momento in cui è meglio mettere da parte un progetto.

Quali sono oggi i siti di e-commerce più competitivi?
Le aziende che mettono il cliente al centro e sanno veramente cosa vuole, sono quelle che hanno più successo. Pensiamo a Spotify: sulla piattaforma posso cercare e selezionare ciò che mi piace e ciò di cui ho bisogno. Allo stesso tempo la società apprende le mie preferenze e mi fa delle proposte, permettendomi di scoprire nuovi artisti o canzoni.

Ci può dare anche un consiglio di stile?
La cosa più importante è sentirsi sicuri di sé e a proprio agio in ciò che s’indossa. Se una persona lo è, avrà sicuramente successo.

Quali sono gli account che segue maggiormente su Instagram?
Sono soprattutto legati a fashion, in particolare le principali testate, food e ristoranti. Seguo anche quelli dedicati allo sport, soprattutto a tema arrampicata e corsa.

Ci può raccontare due momenti speciali che ha scattato e postato su Instagram?
Nel primo scatto sono al Treptower Park, un momento importante perché il team building e la condivisione di esperienze con i colleghi sono aspetti che danno un valore aggiunto al capitale umano dell’azienda. Nel secondo, invece, mi trovo sulla Rainbow Mountain… la perfezione della natura qualche volta supera quella dell’uomo e le esplorazioni rendono gli spiriti più liberi.

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MotoGP, ricomincia la sfida

Valentino Rossi_Courtesy Movistar Yamaha

Di questo marzo imbronciato due sono gli eventi memorabili: il ritorno dell’ora legale a fine mese e l’inizio della stagione 2018 del Motomondiale. Piloti, tecnici, sponsor e appassionati si lasciano alle spalle la carestia invernale di adrenalina per scoprire cosa succederà, dal 16 marzo, sul circuito di Losail in Qatar, quando prenderanno il via le prove libere del primo Gran Premio dell’anno tra Moto3, Moto2 e la classe regina, la MotoGP. Il campione del mondo Marc Márquez ritroverà i suoi rivali, a cominciare dal secondo classificato nel 2017, Andrea Dovizioso. E poi, Jorge Lorenzo, Valentino Rossi, Dani Predrosa, Maverick Viñales, Johann Zarco, Danilo Petrucci, Cal Crutchlow, Andrea Iannone: tutti pronti a combattere fino all’ultimo metro per vincere e, possibilmente, diventare leggenda. Diciannove appuntamenti sparsi ai quattro angoli del mondo, con il debutto della tappa in Thailandia il 7 ottobre. Diciannove storie da scrivere tra pieghe feroci, staccate tachicardiche, sorpassi impensabili.
Uno che se ne intende di cuore in gola, battaglie epiche, scontri tra duri, amicizie, risate e purtroppo anche tragedia è Paolo Beltramo, dal 1979 al seguito delle gare motociclistiche per testate come La Repubblica, Motociclismo, Il Giornale (ai tempi di Indro Montanelli), Il Giorno, per poi cimentarsi con le cronache in Tv. Nel 1990 inizia la sua avventura da inviato nei box della 500 e poi della MotoGP, un’esperienza durata fino al 2013 che lo ha reso tra le figure più amate del settore. A lui abbiamo chiesto di fare qualche pronostico per il campionato, ma siccome è una miniera di ricordi e spunti che condivide con generosità rara, ci siamo fatti raccontare di quando i paddock quasi somigliavano a un campeggio e i motor-home erano semplici roulotte.

In Qatar si riaprono i giochi: come vede questo mondiale?
Il quadro è semplice: tutti contro Márquez. È lui il fenomeno, il presente e il futuro della MotoGP. Vederlo in pista è tantissima roba, Marc è una specie di marziano, è moderno, ha innovato l’approccio alla guida, con la spalla di fuori e, anche se in tanti non lo amano, è un ragazzo simpatico. Di sicuro resta l’uomo da battere.

Chi potrebbe farcela?
Andrea Dovizioso, per esempio. Ora che gli è scoccata dentro la scintilla della consapevolezza, ha capito che è una sfida alla sua portata, se la può giocare. Prima era convinto che gli mancasse qualcosa per stare con gli altri, adesso sa di essere anche lui al top. Tutto è cambiato in lui, tranne una cosa: il suo essere una persona veramente per bene. Poi c’è Lorenzo, sempre che riesca a tirare fuori quello che ha dimostrato in passato di saper fare, e anche Viñales. Zarco è forte, però dubito che sia in grado di reggere il confronto, se non avrà una moto ufficiale. Quanto a Petrucci, nei test è andato alla grande, ma bisogna vedere se sarà in grado di fare bene nell’unico momento che conta, la gara.

E Rossi dove lo mettiamo?
Se la Yamaha gli saprà dare una gran moto, io dico che ce la può ancora fare. Quello che di Valentino che mi lascia davvero a bocca aperta è la sua passione infinita. Avere voglia di correre al top a 39 anni, significa essere totalmente dedicato a quella emozione, come quando era un ragazzino. All’inizio giocava, ora si allena come un matto giorno dopo giorno e proprio non molla. Il decimo campionato lo vuole eccome e tra tutti quelli che ho visto correre di persona, il più forte per me è lui, per come ha saputo coniugare la sua potenza di pilota a una personalità carismatica. Certo ha degli spigoli e il suo enorme successo suscita invidia, ma ha in sé una grande umanità e me lo ha dimostrato più volte. C’è chi lo accusa di essere falso, ma Rossi è totalmente vero quando corre, prova o parla di moto e questa è l’unica cosa che conta, perché lui è un pilota. E poi diciamocelo, per vincere così tanto devi essere un po’ bastardo, nell’accezione sportiva del termine.

In che senso?
Márquez vince perché è un bastardo, così come Lorenzo o, ai suoi tempi Giacomo Agostini. Marco Simoncelli era il ragazzo più buono del mondo, ma in pista era cattivo. Quando a Sepang nel 2015 Rossi accusò Márquez in conferenza stampa di averlo danneggiato a favore di Lorenzo (che poi vinse il titolo, ndr), per me fu una dimostrazione di debolezza da parte sua. Forse dentro di sé Vale era spiazzato dall’essersi trovato di fronte uno più bastardo di lui.

In effetti, in Italia non è ancora andato giù a tanti quel mondiale andato a Jorge.
Lorenzo è un po’ come Max Biaggi: si presenta peggio di quel che è. A me piaceva soprattutto all’inizio, quando era sempre incazzato e con una voglia della madonna di vincere. La mia sensazione è che non riesca  divertirsi abbastanza. Forse ogni tanto dovrebbe mangiarsi un dolce, bersi una boccia di vino, insomma, lasciarsi un po’ andare. Quando io ho iniziato a frequentare le corse era tutto molto più semplice. Si stava insieme, era come un campeggio di gente con una grande passione in comune. Adesso tutto è compresso, frenetico.

Se lo ricorda il suo primo Gran Premio da giornalista?
Certo, Salisburgo nel 1978. Avevo conosciuto da poco un fotografo molto in gamba, Franco Varisco che mi propose di seguire insieme quella tappa. Mi disse che avremmo potuto raggiungere il circuito prendendo un passaggio da Virginio Ferrari, allora tra i piloti italiani in pista. Montammo una tenda dentro al paddock, perché ai tempi nessuno ci faceva caso e capitava spesso di vedere file di mutande stese al vento ad asciugare fuori dalle roulotte dei piloti. Ricordo il freddo terribile, dei meccanici ci prestarono dei sacchi a pelo in più per coprirci ed eravamo sempre bagnati perché pioveva e a un certo punto aveva pure attaccato a nevicare. Eppure ci divertivamo tantissimo e c’era più unione tra le persone. La sera si cantava al suono delle chitarre, si beveva e si fumava. Marco Lucchinelli, spesso ci chiamava per dirci che a loro era avanzata un po’ di pasta, ma la realtà era che diceva alla sua fidanzata di buttarne giù di più apposta per darla a noi. Ai tempi solo Ferrari si allenava e in tanti lo prendevano in giro. Una volta Franco Uncini gli disse: «La moto si deve guidare, mica spezzare». Per lui l’idea di una preparazione atletica era inconcepibile.

Lei ha raccontato con allegria e genuinità la vita dei box. Come ha sviluppato il suo stile?
Credo di avere messo a fuoco un mio modo di trasmettere le corse nel 1983, dopo il grave incidente di Franco Uncini ad Assen, in Olanda. All’inizio la situazione sembrava disperata e io avevo preso in prestito una macchina per raggiungerlo in ospedale, dove stazionavo in attesa di notizie che poi passavo ai colleghi in sala stampa. Dopo un paio di giorni mi resi conto che iniziavano ad arrivare messaggi di incoraggiamento per lui e disegni fatti da bambini. Lì ho capito il senso di quello che tutti noi stavamo facendo, perché non si trattava solo di andare forte in moto, ma di dare divertimento alla gente, una cosa molto importante. Da quel momento ho sempre cercato un approccio umano al mio lavoro, parlando con tutti, sparando cazzate, seguendo l’istinto che mi portava a cogliere le tensioni, gli sguardi, i rapporti intricati che si creano nei box. Quando i diritti Tv sono passati da Mediaset a Sky e il mio contratto non è stato rinnovato è stata dura. Però quel momento di stallo mi è servito per capire quanta fortuna ho avuto nel poter fare il mio mestiere. E l’astinenza forzata ha rinnovato la mia passione per le gare. Adesso seguo 5/6 Gran Premi all’anno, commentando da studio e mi va bene così.

C’è un personaggio che ha amato più di ogni altro?
Con Marco Simoncelli ci volevamo un gran bene. Era un ragazzo fantastico perché non aveva rivincite da prendersi sulla vita. La sua famiglia era unita, felice, costruita su solidi valori e a lui piaceva la stabilità emotiva. Stava maturando, aveva tutte le carte in regola per vincere e presto le avrebbe suonate a tutti quanti. Ridevamo tantissimo insieme, ci inventavamo mille gag. Spesso Marco diceva che non trovava due decimi che gli servivano per vincere e io facevo finta di raccoglierli da terra e darglieli. A un certo punto mi era venuta l’idea di ritagliare tante tesserine che rappresentassero ognuna un decimo: le misi tutte in una scatola e gliela regalai. Suo padre mi ha detto che dopo la sua morte (in Malesia nel 2011, ndr), quando gli hanno sfilato la tuta, ci hanno trovato dentro due di quelle tessere. A raccontarlo oggi, mi vengono ancora i brividi.

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