L’elettrico eclettismo nostalgico di Federica Messaggeri, in arte ZAREEN

Federica Messaggeri, in arte ZAREEN, è una delle giovani promesse della scena EDM italiana. Appassionata di moda e con una carriera da modella alle spalle, incarna un mix unico di determinazione, creatività e passione per l’esplorazione. Nata da una fusione di culture italo-egiziane, si sente profondamente legata alla sua identità italiana, ma il suo cuore è affascinato dalle terre arabe e dal Medio Oriente. In passato ha rivelato come il suo posto del cuore sia il deserto, in quanto evoca in lei un particolare senso di appartenenza e nostalgia. Tuttavia, Istanbul rimane la sua città del cuore, per la ricchezza culturale che la contraddistingue, con le sue tradizioni e colori. In particolare, afferma che il cantato arabo è da sempre qualcosa che le permette di riconnettersi con il mondo, così come il suono del sitar, presente nella musica di alcuni artisti che ammira, come Hossein Alizadeh e Anoushka Shankar.

Federica Messaggeri Zareen
Dress & Bracelet Max Mara, earrings & bracelet Pianegonda, rings Project 2098

L’anima vintage di ZAREEN

Tutto questo si riflette tanto nella sua estetica quanto nei suoi set. «Il vintage è ciò che della moda amo di più. Qualche tempo fa possedevo un vintage market e facevo parte di un progetto di vintage upcycling che forse esprime bene il “taglia e cuci” che mi piace fare tra presente e passato, tanto nelle mie scelte estetiche quanto nel mio stile musicale». ZAREEN si distingue come una DJ dalle sonorità funky e i ritmi groovy. Porta avanti la sua predilezione per la scena francese, l’house vecchio stile e la black music che ha segnato la scena disco tra i decenni dal ’70 al ’90. La sua anima vintage si riflette anche nelle selezioni musicali, che includono brani della scena funky con influenze mediorientali e suoni come quello del Korg M1 e le intrusioni delle trombe e del sax. Nonostante l’amore per i suoni d’epoca, Federica/ZAREEN non esita a includere nei suoi set pezzi più recenti, a patto che conservino un tocco retrò e un ritmo coinvolgente. In questo modo riesce a dar vita a mix sempre eclettici, che trasmettono la sensazione di sorvolare attraverso diverse epoche e stili musicali.

Grazie alla sua musica, Federica esprime la propria creatività ed esuberanza, portando il suo pubblico alla scoperta di viaggi sonori innovativi ed esperienze uniche. Tutto questo è possibile viverlo e ritrovarlo in forma condensata attraverso il suo primo singolo El amar, uscito il 28 giugno. L’obiettivo dichiarato di Federica è quello di riuscire a tramandare dei significati e garantire una continuità, «un flusso che segua e glorifichi le pieghe del tempo».

«Secondo me per distinguersi non è sempre necessario creare qualcosa di mai sentito prima o di “forzatamente originale”. Spesso è sufficiente riuscire a creare un ponte tra la vastità di bellezze che ci offre il passato e i nuovi linguaggi contemporanei»

Qual è, secondo te, la sfida più grande che una giovane artista deve affrontare per riuscire a distinguersi all’interno del panorama EDMcontemporaneo?

Secondo me per distinguersi non è sempre necessario creare qualcosa di mai sentito prima o di “forzatamente originale”. Spesso è sufficiente riuscire a creare un ponte tra la vastità di bellezze che ci offre il passato e i nuovi linguaggi contemporanei, in modo tale da poter godere ancora di tali bellezze. Sono sempre stata affascinata dal passato sin da piccola, amo il vintage follemente, ho avuto un’ossessione indelebile per gli anni venti e tuttora nei miei set c’è una forte influenza delle sonorità 80s, dell’ house 90s e del groove funk dai primi 70s ad oggi (così come di terre diverse, specialmente quelle mediorientali). E mischiare questa ricerca con pezzi recenti che strizzino l’occhio alle stesse sonorità e/o sono palesemente figli di quelle scene musicali è la chiave per regalare non solo un’esperienza ma un viaggio, un significato, una continuità: un flusso che segue e glorifica le pieghe del tempo. 

C’è una caratteristica personale o un’attitudine che trovi sia indispensabile possedere per mandare avanti la carriera da DJ?

Ti direi la caratteristica che penso sia indispensabile per portare avanti ogni cosa: la gioia. Credo che il DJ sia un canale, un catalizzatore fra la musica e le persone attraverso la cui arte ed espressività la musica arriva al pubblico in modi sempre nuovi. E nel mio caso perché ciò accada l’entusiasmo e il trasporto sono indispensabili. Dietro la console c’è uno spazio di libertà e sospensione della realtà che porta sia il DJ sia chi lo ascolta in un posto altro.

Federica Messaggeri Zareen Top & pants Isabel Marant, sunglasses Balenciaga by Kering, necklace Sydoria
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«Il cantato arabo è sempre stato una di quelle cose che per qualche motivo mi riconnette con il mondo»

Esiste un suono in particolare che, attualmente, ti dona pace?

Il cantato arabo è sempre stato una di quelle cose che per qualche motivo mi riconnette con il mondo; così come il suono del sitar, da Hossein Alizadeh ad Anoushka Shankar. 

Quali sono invece i suoni o gli strumenti che ami particolarmente inserire nei tuoi DJ set e perché?

Sicuramente le voci nere dell’house 90s, il suono del Korg M1 e le intrusioni delle trombe e del sax. Ma anche le percussioni mediorientali nei set in cui ho la possibilità di inserire qualcosa più su quelle corde; e per restare sul groove i bassi funk tipici dei 70s, le drums della Roland TR-909 e Roland TB-303 dritte dagli 80s. Ovviamente la mescolanza fra la scena araba e i synth anni 80s/90s dà origine ad un melting pot super originale.

«La moda e la musica sono esattamente il mezzo con cui ricollegarmi alle mie radici»

La musica e la moda sono due ambiti molto diversi tra loro, ma che allo stesso modo permettono a chiunque di esprimere una o più sfaccettature di sé. Nel tuo caso, poi, sono strumenti attraverso cui ricollegarsi alle proprie radici. In che modo le tue scelte musicali ed estetiche riflettono la persona che sei?

Hai detto bene, sono esattamente il mezzo con cui ricollegarmi alle mie radici, come ho già detto in altre sedi è il mezzo per esprimere anche questa mia forte nostalgia per un passato -reale o immaginato che sia- che si perde un po’ nel tempo. 

Ci racconteresti il DJ set che ricordi con maggior affetto?

È difficile perché per me i set più belli sono sempre quelli in cui le persone si coinvolgono e si lasciano trasportare di più indipendentemente che siano eventi grandi o piccoli o privati o club. E quello a volte è puramente randomico. 

Quest’anno però ho suonato per la prima volta in Egitto, una delle mie due terre d’origine (ho fatto Pacha, Hardrock e alcuni beach club) e questa cosa mi ha dato una grandissima emozione, ha -in qualche modo- riallacciato qualcosa dentro e fuori di me. 

Federica Messaggeri Zareen Total look Dolce & Gabbana, earrings Sydoria
Total look Dolce & Gabbana, earrings Sydoria

«Il mio consiglio è di natura generale ed è quello che cerco di ripetermi ogni giorno: perseverare nei sogni e nei desideri che danno significato alle cose»

Qual è il consiglio che daresti a qualcuno che si trova agli esordi di questa carriera o che sogna di intraprenderla?

Il mio consiglio è di natura generale ed è quello che cerco di ripetermi ogni giorno: perseverare nei sogni e nei desideri che danno significato alle cose. Solo ciò che ha significato sboccia o dura, almeno per me è così. Non riesco a fare nulla in cui non vedo un senso, un’idea, un piccolo cosmo pieno di luce e magia.

E poi restare umili, accettare le critiche costruttive e ignorare gli stupidi e le cattiverie, perché chi demolisce è sempre chi non ha il coraggio di provarci. E provarci vuol dire anche partire da zero e accettare che la strada è tanta e anche in salita, ma sicuramente bellissima. 

A quali progetti stai lavorando e quali novità ti (e ci!) attendono?

Il 28 di Giugno è uscito il mio primo singolo in cui potrai e potrete, spero, sentire gli echi di tutte le cose che ci siamo detti. Stay Tuned!

Federica Messaggeri Zareen Dress Belfiori, shoes Casadei, necklace Sydoria
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Federica Messaggeri Zareen Top & pants Rotate, earrings & necklace Sydoria
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Credits

Photographer Kali Yuga

Stylist & Creative Director Julie Wozniak

Make Up Artist Rossella Pastore – Blend Management

Hair Stylists Alessandro Pompili & Damiano Seminara

Stylist Assistants Giulia Risaliti & Veronica Peschiera

Rivendicare la libertà con la musica, perché la musica rende liberi: Ellen Allien

Ellen Allien è un pilastro della techno e della scena rave internazionale. Ha fondato la sua etichetta discografica BPitch Control nel 1999, che negli anni è diventata un punto di riferimento per l’elettronica di avanguardia, contribuendo a lanciare le carriere di numerosi artisti emergenti. Più tardi, nel 2018, ha presentato al mondo una seconda etichetta: UFO Inc., focalizzata sulla techno grezza e pura. Come produttrice ha pubblicato una serie di album e singoli che spaziano dal genere techno al minimal, incorporando elementi di acid house (eredità della scena di Soho a Londra che ha sperimentato negli anni ’90), electro e ambient.

Icona della club culture, Ellen è anche una figura influente nella moda, grazie a quell’estetica distintiva e avanguardista che riflette il suo spirito creativo. Nella sua carriera ha lavorato infatti anche come modella e stilista, ma anche come curatrice di eventi culturali, contribuendo a plasmare l’immagine di Berlino come capitale mondiale della musica elettronica. I suoi progetti fondono musica, moda, arte, fotografia e editoria, dando vita a un universo unico, speciale e specifico.

Total Look Diesel Sunglasses Balenciaga By Kering
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Ellen non solo domina i dancefloor dei principali club di tutto il mondo come DJ, ma contribuisce anche alla scena underground con i suoi rave We Are Not Alone. Si tratta di una serie di party lanciata dall’artista nel 2016, che prevede la formazione di veri e propri collettivi composti dai migliori talenti della techno berlinese. Dal 2020 a tali eventi corrispondono delle compilation suddivise in 3 parti, da circa 12 pezzi ciascuna.  Tra le sue ultime imprese ci sono proprio l’ultima edizione di We Are Not Alone Pt. 7-9 (la cui release giungerà nell’estate) e l’EP Rave LUV presentato a marzo. Entrambi sono stati prodotti da BPitch. L’anno scorso, infine, Ellen ha festeggiato il 20º anniversario del suo album seminale Stadt Kind, l’opera con cui l’artista ha iniziato a ridefinire il panorama della musica elettronica nel mondo.

La libertà rivendicata dalla musica di Ellen Allien

Nata a Tempelhof, la berlinese Ellen Allien ha vissuto la Second Summer of Love di Londra nel 1988, anno in cui è entrata a contatto con la musica elettronica. Tornata a Berlino, ha poi vissuto quell’incredibile momento storico che è stato la caduta del muro. Non stupisce, dunque, che termini quali rivoluzione, libertà, unione e connessione siano spesso associati tanto alla sua produzione musicale, quanto alla sua personalità.
Si approccia alla musica come a un qualcosa di spirituale. Per lei si tratta di un impulso imprescindibile, che le permette di entrare in contatto con le persone, oltre che con il suo Io più intimo. Con questa sensibilità, dà vita a musicalità uniche che colpiscono, accarezzano e curano l’anima di chi l’ascolta e si scatena ai suoi set. Focalizzarsi sulla forza liberatoria che la musica esercita sul corpo umano è ciò che le ha permesso di dar vita a una carriera versatile e sempre innovativa, con cui continua a ispirare e influenzare generazioni di artisti e appassionati di musica.

«Credo di aver imparato molto immergendomi profondamente nel mio universo musicale, concentrandomi sul raccogliere e analizzare la musica che più mi attira»

Ci ha scritto poco prima che partisse in aereo per un fine settimana a Bogotá e poi Detroit, dove ha suonato ai rispettivi eventi Baum Festival e Detroit’s Movement Festival. In occasione di quest’ultimo poi, ha portato l’evento “We Are Not Alone” all’afterparty ufficiale presso il Russell Center. «Ho ascoltato un brano che ho realizzato per la compilation “We Are Not Alone”… è stato appena masterizzato, suona così bene ora e non vedo l’ora di suonarlo questo fine settimana su un grande palco!».

Sei una vera icona nella comunità della musica elettronica, e anche una mentore per molti artisti del settore. Dal momento che sei riuscita a sostenere una carriera di successo per così tanto tempo, vorrei chiederti: quali credi siano stati i fattori principali, in termini di tratti personali o abilità, che hai imparato lungo il cammino e che si sono rivelati fondamentali per il tuo percorso?

Oh, la lista è lunga! Penso che sia importante non chiedere alle persone cosa pensano, ma fare per conto proprio. Credo di aver imparato molto immergendomi profondamente nel mio universo musicale, concentrandomi sul raccogliere e analizzare la musica che più mi attira, fino quando non mi rende felice. È in quel momento che, di conseguenza, sento il desiderio di condividerla con il resto del mondo. Pensare alla creazione artistica, dunque, e non agli affari, al business. Fare la DJ ti insegna come creare e veicolare energie, ed è ciò che amo fare di più.

Ellen Allien
Total Look Palmatic Studio

«We Are Not Alone esiste per condividere musica e dare spazio alla nostra comunità»

Lavorando con così tanti artisti all’interno del tuo progetto We Are Not Alone, sicuramente hai sviluppato un’abilità particolare nel riconoscere il talento. Secondo te, quanto è difficile distinguersi come artista nel panorama EDM di oggi?

We Are Not Alone esiste per condividere musica e dare spazio alla nostra comunità. Siamo amanti della musica e abbiamo bisogno di spazio per socializzare e sognare. Lavoriamo con molti DJ molto talentuosi – artisti che creano il proprio stile musicale e con un’energia esplosiva dietro la console. Ne abbiamo ancora più bisogno ora perché sembra che il mondo sia al contrario. Perciò, non vediamo l’ora di andare avanti e guardare al futuro! Mi sembra che abbiamo bisogno di una rivoluzione.

Stiamo organizzando tanti eventi speciali quest’anno – il festival Wall To Wall dove abbiamo curato un palco, Nitsa a Barcellona e NEXUS a Parigi. Poi con RSO, la nostra casa a Berlino, faremo un “weekender” in ottobre e un evento da 2500 persone nello spazio The Valley. Ancora, faremo un’altra festa lì alla fine di dicembre per chiudere l’anno. Facciamo anche il nostro evento “Vinylism” all’ADE di Amsterdam ogni anno.

Total Look Diesel Sunglasses Balenciaga By Kering

«La combinazione del fare DJ e produzione musicale mi ha aiutato a trovare il mio modo di mixare o costruire il viaggio musicale in un modo unico per me e il mio sound»

Qual è la cosa che ti emoziona di più quando ti approcci a un nuovo palco o set?

Amo sempre vedere il locale e le persone. Dopodiché devo cercare di entrare in contatto con quel determinato spazio, in modo da poter costruire un viaggio musicale, qualcosa che valga la pena di essere ricordare. Ascoltare su un buon sistema audio la musica che amo e mixare musica in una storia per me è spesso molto spirituale. A volte mi sembra una forma di rivoluzione, una protesta, altre invece la vivo come una storia d’amore. Mescolare diverse parti insieme, mixare un’altra traccia nella pausa, e così via… non mi annoio mai, perché lo percepisco come un hobby molto creativo, anche se poi è il mio lavoro. La combinazione del fare DJ e produzione musicale mi ha aiutato a trovare il mio modo di mixare o costruire il viaggio musicale in un modo unico per me e il mio sound.

Come percepisci l’attuale scena techno e quanto pensi sia cambiata rispetto a quando l’hai scoperta a Londra negli anni ’90?

Ora i club techno sono ovunque. Adesso le community sono ancora più importanti per poter dare e ricevere supporto, in modo che la parte commerciale dell’ambito non uccida la scena musicale. La scena ha davvero sofferto in Europa per il coronavirus e le guerre che hanno colpito profondamente la nostra società. Quindi queste piattaforme e luoghi sono importanti per poterci sentire vivi. Abbiamo bisogno di spazi per noi e non solo di roba commerciale venduta.

Ellen Allien
Dress & Fur Dsquared2, Shoes Agl, Tights Golden Lady, Necklace Palmatic Studio

«Berlino è stata in grado di evolvere la techno quando era in declino e spingerla di nuovo in alto. Il potere della musica e le idee della comunità hanno formato la città»

Secondo te, qual è la caratteristica principale che distingue Berlino come capitale globale del techno?

Berlino è stata in grado di evolvere la techno quando era in declino e spingerla di nuovo in alto. Il potere della musica e le idee della comunità hanno formato la città – senza di noi nella scena techno, Berlino sarebbe una città completamente diversa. Molte persone si sono trasferite qui per lavorare nell’industria musicale. La scena dei club e degli eventi di Berlino non ha venduto il posto agli investitori – la città ha venduto la città agli investitori. Ora ci sono molti investitori senza anima che calcolano solo i soldi, ma è la nostra anima, la musica, che rende la città ciò che è.

Ci sono suoni o generi a cui ti senti particolarmente legato e che tendi a usare più spesso nei tuoi pezzi? Se sì, quali sono e perché?

Amo le band cold wave perché usano i miei sintetizzatori preferiti. Mescolare queste canzoni nei miei set techno mi sfida e mi sembra concettualmente più radicale che suonare tech house a 150 bpm!

Ellen Allien
Total Look Diesel Sunglasses Balenciaga By Kering

Credits

Photographer Alessandro Fabi

Stylist Stefania Sciortino

Hair Stylist Eleni Charismoglou Bantoula

Make Up Revlon

Photographer Assistant Alex Emma & Giordano Balletti

Stylist Assistant Chiara Carrubba

Location Studiophotografia 

L’arte di essere empatici: i set di Fiona Kraft

Francese di nascita e iniziata alla musica sin da bambina, Fiona Kraft ha imparato a suonare il pianoforte mentre ascoltava con i genitori gruppi come i Toto, i Police, i Supertramp. Il padre lavorava nella nightlife, quindi è cresciuta frequentando l’ambiente dei club, da cui è rimasta affascinata. Nell’adolescenza si dedica alla carriera di modella, ma in modo quasi istintivo si avvicina sempre più al mondo della musica.

Inizia a fare la DJ nel 2014: i suoi set sono carichi di musicalità e magia euforica, passando dal vibrante afrohouse ai più sintetici tech house e progressive. Col tempo, la sua anima artistica e il profondo bisogno di esprimersi liberamente la portano alla produzione musicale e nel 2019 pubblica la sua prima musica originale. La svolta avviene nel 2021, quando esce Nomad, brano di successo che riceve il supporto dei grandi nomi dell’industria. Oggi, in seguito alla pubblicazione dell’EP Deeper Feelings, Fiona ha deciso di perseguire l’indipendenza fondando la propria etichetta NON MERCI MUSIC, lanciata a giugno 2024, insieme al brano The Base.

Fiona Kraft
Long Sleeve Shirt 44 Label Group, Top Under Armour, Pants Marni, Boots Gianvito Rossi ,Necklace & Ear Cuff Giulia Dominici Jewels, Sunglasses Impuri Eyewear

Al suo animo fortemente empatico si affianca anche uno spirito imprenditoriale. L’artista infatti gestisce un marchio di eyewear d’avanguardia chiamato IMPURI, che produce solo pezzi in edizione limitata. Unici, dunque, come i suoi DJ set. Sempre positivi e potenti, questi ultimi hanno portato Fiona in oltre 40 nazioni tra Asia, Europa, Africa e Americhe. Si è esibita negli eventi e nei locali più prestigiosi e culturalmente rilevanti del momento, come Caprices Festival, Pacha Festival a Buenos Aires, Fabric London e Watergate Berlin per citarne alcuni.

«Per costruire qualcosa, hai bisogno di studiare, sacrificarti, devi avere il coraggio di uscire e devi lavorare fino alla morte, ma la cosa più importante è la perseveranza!»

Quali attributi personali o atteggiamenti ritieni siano stati essenziali per costruire la tua carriera (e perché)?

Per me è più una vocazione che una carriera. Scrivere musica o fare il DJ sarebbe qualcosa che farei anche se fossi ancora da solo nella mia stanza o in qualche fiera locale. Per costruire qualcosa, hai bisogno di studiare, sacrificarti, devi avere il coraggio di uscire e devi lavorare fino alla morte, ma la cosa più importante è la perseveranza! Non c’è dubbio su questo. Ho iniziato a suonare il pianoforte da bambino e a fare il DJ solo dieci anni fa e nulla è stato facile, ma devi presentarti ogni giorno. Anche adesso la strada è ancora lunga, ci sono ancora tante cose nella mia lista di cose da fare, quindi devo raddoppiare la perseveranza.

Qual è l’emozione iniziale che provi quando ti avvicini a un nuovo palco, con tutte le persone di fronte a te?

Come DJ ho un enorme effetto sulle persone facendo molto poco, lo vedo come una grande responsabilità. Questo mi porta sempre un po’ di stress prima di salire sul palco. Non importa se è un grande palco o c’è un pubblico più piccolo. Ho anche una sensazione di eccitazione, è sempre un’avventura condividere l’energia e interagire con tutte quelle persone che non hai mai incontrato prima. Amo osservare le persone, cercare di riconoscere tutti gli effetti che la musica ha su di loro, in quel momento. Il mio obiettivo è portarli in un viaggio.

Fiona Kraft
 Trench Ferrari, Top & Culotte Vi Valentina Ilardi, Boots Giuseppe Zanotti ,Jewels Lmj

«Produrre e scrivere musica per me è molto intimo, va oltre il lavoro»

Come descriveresti la tua musica in tre parole?

Autentica, potente e profonda. Produrre e scrivere musica per me è molto intimo, va oltre il lavoro. È esporre me stesso al mondo. Non sto cercando una canzone di successo o di fare qualcosa di dolce a tutti i costi. Per me pubblicare musica è raccontare storie, predicare. L’autenticità è il pilastro più forte di ogni lavoro di qualità. Nella mia musica ruota attorno a melodie serie e temi che scrivo. Può essere il tema principale o la melodia nascosta che senti solo dopo il terzo o quarto ascolto. È tutto stratificato proprio come una torta…, come la vita.
Nella mia musica puoi sentire una nuova melodia dopo il terzo o quarto ascolto, cerco di non essere ovvio. Ogni canzone è in realtà il prodotto di un pensiero o di un sentimento specifico a cui sono ossessionato in quel momento. Ci salto sopra e non mi fermo finché non ne tiro fuori una canzone. A volte ci vuole molto tempo, a volte è molto veloce. Ho bisogno di ritmi molto forti e ipnotici, per evocare un sentimento molto primordiale e grezzo che porterà le armonie e le melodie.

L’empatia è qualcosa che risuona profondamente in te. Non è solo un tratto della tua personalità; è anche uno strumento necessario da avere come DJ per connettere le persone con il tuo lavoro. Sento che è qualcosa che le persone non considerano davvero. C’è un momento o un’occasione specifica in cui hai realizzato la sua importanza?

A dire il vero, è passato molto tempo da quando ho capito che l’empatia era fondamentale. Penso che ci sarebbero meno problemi e meno ingiustizie nel mondo se avessimo più empatia. Tutti dovrebbero praticarla. È fondamentale per qualsiasi tipo di interazione e, secondo me, per una vita più consapevole. Come DJ è essenziale mettersi nei panni delle persone che sono sulla pista da ballo. Ma è assolutamente diverso quando scrivi una canzone, è un processo di creazione artistica e non c’è posto per l’empatia, si tratta solo dell’idea che hai e del tuo ego. Oscillo costantemente tra queste due fasi diverse.

Fiona Kraft
Total Look Alessandro Vigilante, Boots Giuseppe Zanotti, Ear Cuff Giulia Dominici Jewels

«Con Non Merci Music voglio anche aiutare a far emergere nuovi artisti che forse non hanno ancora avuto la possibilità di farsi notare»

Quest’anno (2024) hai fondato l’etichetta discografica NON MERCI MUSIC. Da dove nasce questo impulso a creare una nuova piattaforma e come sta andando?

Ho pensato a questo progetto fin dall’inizio della mia produzione musicale. All’inizio, molte etichette discografiche rifiutavano le mie canzoni. Dovevo adattarmi ai loro gusti e con il tempo ho imparato, ma quella era la cosa che mi dava più fastidio: adattarmi e stare in fila. Da qui ho fatto un ragionamento semplice: perché non creare la mia etichetta per non avere più questo tipo di costrizioni? Ma ho dovuto aspettare il momento in cui mi sarei sentita pronta per portare avanti una tale impresa. Ho sempre voluto differenziarmi dagli altri, sento fortemente il bisogno di libertà.
Con Non Merci Music voglio anche aiutare a far emergere nuovi artisti che forse non hanno ancora avuto la possibilità di farsi notare. Voglio costruire e condividere la piattaforma con altre “piccole Fiona” che nessuno capisce ora. È tutto molto emozionante. La prima uscita si chiama The Base ed è uscita alla fine di giugno; simboleggia il nucleo, l’essenza, il DNA dell’etichetta. The Base serve come pietra angolare del mio percorso musicale, fonde le mie due grandi passioni Rap e House.

Come imprenditrice, stai anche gestendo un marchio di occhiali d’avanguardia chiamato IMPURI. La moda ti permette di esprimere uno o più aspetti di te stesso. Come descriveresti lo stile del marchio e come riflette chi sei?

All’inizio non ero completamente coinvolta nel progetto, ma la forza dell’idea e dell’identità del marchio è molto stimolante, quindi ho iniziato a investire in esso. Per me non è solo un’azienda, è un figlio. IMPURI produce solo pezzi in edizione limitata e siamo presenti in mercati di alto livello come Mykonos, Ibiza, Porto Cervo, Milano, Parigi. Le persone impazziscono sempre quando si rendono conto che ricicliamo i pezzi danneggiati delle auto sportive per realizzare queste montature, che infatti sono all’avanguardia attualmente. Il comfort e la sensazione tattile che li caratterizzano sono molto diversi da qualsiasi altra cosa ci sia sul mercato contemporaneo! È una tecnologia molto unica e questo si riflette anche nello stile. Oggi stiamo lavorando su alcune delle mie idee di design e sulla mia prima collezione capsule, quindi sarà molto emozionante presentarla per la prossima stagione.

Long Sleeve Shirt & Pants Alessandro Vigilante, Top Vi Valentina Ilardi
Long Sleeve Shirt & Pants Alessandro Vigilante, Top Vi Valentina Ilardi

«È molto importante circondarsi delle persone giuste, questa è una delle chiavi di volta»

Quali consigli daresti a chi sta iniziando questa carriera o sogna di perseguirla?

Persistenza, persistenza e persistenza. Per la maggior parte delle persone nulla è servito su un piatto d’argento, quindi devi trovare un modo di scavarti una via, un sentiero personale. Osserva e guarda cosa fanno gli altri, ma non copiare nessuno, concentrati sulla tua unicità e segui il tuo istinto. Se una porta si chiude, vattene con dignità e spostati verso la successiva, continuamente. È molto importante circondarsi delle persone giuste, questa è una delle chiavi di volta. Per quanto tu voglia influenzare il tuo ambiente, esso ti influenzerà più di quanto tu possa prevedere! Perciò trova e scegli le persone di cui puoi fidarti incondizionatamente.

A quali progetti stai lavorando attualmente e quali nuovi sviluppi possiamo aspettarci?

Tra i momenti salienti c’è sicuramente il lancio della mia etichetta discografica Non Merci Music e il rilascio del mio singolo The Base. Sono anche molto entusiasta della collaborazione che sto facendo con il produttore premio Grammy Angelos: questa traccia rappresenta un’ode alla musica house e come cantante avremo Robert Owens, una vera leggenda del genere.
Un’altra canzone di cui sono molto entusiasta è quella che ho scritto insieme a Lov, un’incredibile cantante italiana basata a Londra. È un pezzo molto soulful, profondo, che mi ha spinto molto al di fuori della mia zona di comfort. Ho iniziato a comporla alcuni anni fa, ma solo quest’inverno ho trovato l’arrangiamento giusto. C’è anche mio padre che suona un assolo di chitarra in questa canzone. Sarà un pacchetto musicale straordinario. Ne sono molto orgogliosa, ma devo ancora decidere quando rilasciarlo. Per ora lo sto suonando nei miei DJ set e adoro la reazione delle persone.
Un’altra traccia che uscirà quest’estate è un pezzo che ha un grande messaggio sociale, si chiama Man Of War. La voce è del cantante sudafricano TheLazarusman, e trattiamo il tema del patriarcato guardando anche al dolore di e per Gaza. È un brano molto importante per me. È come una preghiera.

Appena tornata in tour dopo quasi quattro mesi di lavoro in studio, Fiona Kraft non vede l’ora di vivere la stagione a Ibiza. Qui suonerà in cinque spettacoli a Hi e Cova Santa. Altri momenti salienti la vedranno impegnata in festival quali l’Exit Festival, il Woomoon, il Watergate a Berlino, il Phi Beach a Porto Cervo, lo Scorpion a Mykonos, il Kiesgrube a Düsseldorf. Il tour si concentrerà principalmente in Europa fino alla fine dell’estate, mentre da ottobre in poi si sposterà in Asia e negli Stati Uniti.

Total Look 44 Label Group, Boots Gianvito Rossi, Rings Voodoo Jewels
Total Look 44 Label Group, Boots Gianvito Rossi, Rings Voodoo Jewels
Fiona Kraft
Long Sleeve Shirt & Leather Pants Halfboy, Top Under Armour, Necklace & Ear Cuff Giulia Dominici Jewels

Credits

Photographer Marco Bertani

Stylist Carlotta Borgogna

Make Up Artist Martina Ginisi

Hair Stylist Helena Collaviti

Stylist Assistant Bianca Giampieri

Photographer Assistant Filippo Federici 

Antonio Spinelli non balla per vivere. Vive per ballare

Quando ci facciamo guidare dalla passione, il resto si evolve in funzione di essa. È questa la lezione di Antonio Spinelli, ballerino professionista che è entrato nel mondo della danza quando ha cominciato a muovere i primi passi e da quel momento non si è più fermato. «Non ho mai considerato la possibilità di fare della danza un mestiere, non mi è nemmeno mai interessato. Ballo perché è ciò che amo fare di più al mondo e continuerò a farlo finché ne avrò la possibilità, indipendentemente da dove mi condurrà la vita».

All’età di 4 anni Antonio viene accompagnato dal padre nella scuola di danza del paese. Originario di Mugnano, in provincia di Napoli, il ballo è una passione che condivide proprio con il padre. «Gli è sempre piaciuto ballare e quindi, quando c’era la sigla di Beautiful, mi prendeva sulle sue ginocchia e mi faceva andare a tempo con lui». A scuola Antonio si è formato cominciando dai balli latino-americani e spostandosi negli anni verso altri stili: danza classica, contemporanea e hip-hop. È quest’ultimo lo stile che maggiormente lo appassiona e a 14 anni entra a far parte della mega-crew Unbox Crew, che partecipa al celebre format di Italia’s Got Talent.

La conquista della semifinale dei mondiali negli Stati Uniti, fa capire ad Antonio che è il momento di affrontare lo step successivo. Lascia la crew e investe nella propria formazione in giro per l’Italia e l’Europa, studiando con coreografi di fama internazionale. Una serie di audizioni vincenti lo portano a esibirsi per gli MTV EMA, all’Eurovision, in un music video di Ed Sheeran e a far parte della crew di ballerini di Rosalía nel suo Motomami World Tour. Tra i grandi traguardi raggiunti di recente si annoverano l’aver ballato al Festival di Sanremo, all’O2 Arena con Dua Lipa in occasione dei BRIT Awards e l’esibizione con Bad Bunny ospitato al celebre Saturday Night Live. Infine, è stato l’unico italiano a esibirsi nel main stage del Coachella 2024 a fianco del cantante Peso Pluma (mentre nel 2023 aveva ballato con Rosalía).

«È la danza ad avermi trovato, ad avermi scelto, e non il contrario»

Quale credi sia stato il punto di svolta per farti arrivare dove sei oggi?

Credo che un grande punto di svolta nel mio percorso sia stato quando mi hanno selezionato per prendere parte al musical di Romeo e Giulietta. Ero in un momento un po’ particolare della mia vita: mi sono rotto prima il menisco sinistro e poi il destro a distanza di nemmeno un anno. Facevo fisioterapia per cercare di tornare a ballare, ma nel frattempo avevo iniziato l’università di economia aziendale per avere un piano B nella vita. Durante quel periodo difficoltoso, ho partecipato a una lezione di Veronica Peparini, e dopo neanche un mese mi hanno chiamato dalla produzione di Romeo e Giulietta per far parte dello spettacolo. Non me l’aspettavo.

Dico sempre che è la danza ad avermi trovato, ad avermi scelto, e non il contrario. Non ho mai pensato che fosse una cosa che potesse realmente portarmi da qualche parte. Ballavo semplicemente per il grande piacere e la passione di farlo, senza esigere niente in cambio. Tramite questa chiamata improvvisa invece, mi si è aperto un mondo. 

Antonio Spinelli
Total look Vivienne Westwood, socks Dsquared2

Qual è l’aspetto più complicato dell’essere un ballerino in Italia?

Gli ostacoli nel mondo della danza in Italia sono molteplici. Nonostante l’alta qualità dei danzatori e dei coreografi, credo che il sistema di intrattenimento non valorizzi adeguatamente il settore. La possibilità di ottenere visibilità è limitata, le occasioni sono scarse; basta pensare che molto spesso anche solo gli artisti non impiegano ballerini nei loro progetti. Per questi motivi si tratta di una competizione per poche opportunità. Devi trovare un modo per emergere, mantenendo sempre un’etica professionale e di conseguenza investire moltissimo sulla tua preparazione e sulla tua immagine.

E da qui l’altro problema: la sostenibilità economica. Purtroppo, spesso le paghe sono basse, con addirittura progetti non remunerati, se non in “visibilità”. Investire in workshop, audizioni e concorsi è dispendioso, così come costruire e curare un’immagine riconoscibile e originale di sé e questo non viene considerato. Inoltre, la mia esperienza mi ha insegnato che in Italia i ballerini sono spesso considerati artisti di serie B, per cui vengono messi in secondo piano nei progetti. Può essere frustrante, ma molti di noi stanno lottando per ottenere maggior rispetto e giustizia nel settore.

Antonio Spinelli
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«Finora la danza mi ha portato in luoghi e fatto vivere situazioni che per me erano inimmaginabili»

Qual è l’esperienza legata alla danza che ricordi con maggior affetto?

Fatico a scegliere una sola esperienza, perché finora la danza mi ha portato in luoghi e fatto vivere situazioni che per me erano inimmaginabili. Ad esempio, essere stato selezionato per apparire nel videoclip di Ed Sheeran per il brano “Two Steps” è stato incredibile, soprattutto girando in Ucraina di notte sotto la neve. È stata un’esperienza che mi ha fatto riflettere sull’impatto che la danza ha sulla mia vita. Durante il tour di Rosalía, poi, ho avuto l’opportunità di scoprire culture diverse e imparare nuove tradizioni. Ho vissuto tanti momenti indimenticabili, come ballare di fronte a un pubblico super entusiasta a Buenos Aires e ammirare lo spettacolo di luci dei telefoni a un concerto in Spagna. Di fronte a certi panorami ti scendono le lacrime.

Un’occasione particolarmente speciale è stata quando ho ballato per la mia famiglia e i miei amici più cari, durante un concerto a Milano. Erano venuti a vedermi in una cinquantina di persone a me care, tra cui la mia famiglia, con cui poi abbiamo festeggiato. Ancora, partecipare a Sanremo è stato più emozionante di quanto mi aspettassi! Essendo un festival storico così caro agli italiani, mi hanno visto praticamente tutte le persone che conosco, cosa molto più rara quando mi esibisco in contesti più settoriali o internazionali. Sono stato travolto da congratulazioni e affetto, anche da chi non mi sarei mai immaginato. Mi ha fatto apprezzare ancora di più ciò che faccio e capire quanto sia importante per chi mi sta accanto.

«Per me, essere un ballerino non dovrebbe essere solo una carriera, ma uno stile di vita basato sulla passione e la dedizione»

Secondo te, quali sono gli aspetti fondamentali che una persona deve tenere a mente per riuscire a perseguire una carriera come ballerin*?

Per me, essere un ballerino non dovrebbe essere solo una carriera, ma uno stile di vita basato sulla passione e la dedizione. Continuo ad esplorare nuovi stili e a mettermi alla prova, uscendo dalla mia comfort zone. È importante farsi conoscere nella scena, partecipare a workshop e casting, ma non bisogna esigere immediatamente grandi risultati. Ho imparato che la vita di un ballerino non è sempre facile: ci sono davvero tanti momenti di sfida e di sacrificio. Tuttavia, è fondamentale perseverare con passione e dedizione, anche se c’è la possibilità di dover affrontare lavori diversi per sostenersi economicamente. Essere un ballerino è un percorso molto personale, e ci sono tante strade possibili da seguire: danzare per la televisione, in una compagnia, come insegnante, ecc. L’importante è continuare a muoversi in avanti, rimanendo sempre impegnati e pronti a reinventarsi.

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Credits

Photographer Luca D’amelio

Stylist Luigi D’elia

Make-up artist Beatrice Agnoli

Hairstylist Kevin D’ambrosi

Stylist assistente Michela Trupiano, Melissa Vitelli & Francesca Vona

Nell’immagine in evidenza: Total look Dsquared2, earrings Defaïence

HOLDEN insegue l’equilibrio, oltre ai sogni

Holden non ha bisogno di molto: gli basta uno studio in cui potersi muovere liberamente per poter creare la propria musica. «Il mio sogno è quello di riuscire a lavorare in uno studio che non sembri un bunker sotterraneo (ride, ndr). So che è difficile trovare studi di registrazione luminosi e all’aria aperta, ma sogno di riuscire a registrare in uno con una bella vista. Magari vicino al mare». Certo, alla fine la location influisce poco sul risultato e Holden lo sa bene. Che sia la sua cameretta o un luogo più professionale, Joseph Carta ha sempre realizzato la propria musica affidandosi interamente alle proprie possibilità e alla grande passione che lo anima. 

Classe 2000, il suo nome d’arte prende ispirazione dal protagonista del romanzo di J. D. Salinger Il giovane Holden, nel quale l’artista si rivede e si identifica per la forza d’animo e le aspirazioni. Il cantautore si distingue proprio per l’impegno nella realizzazione in prima persona di tutte le sue produzioni, un unicum artistico che dimostra una conoscenza tecnica della musica e una visione creativa tali da permettergli di esprimersi al meglio.

Ha partecipato all’edizione 23 di Amici di Maria de Filippi, durante la quale si è aggiudicato il Premio delle Radio. Un’esperienza che descrive come «stupenda, ma impegnativa sotto tutti i punti di vista». Si spiega: «Devi pensare che ogni puntata richiede un grandissimo dispendio di energie, perché ci si mette in gioco costantemente, sia a livello emotivo che fisico, che psicologico. È un’esperienza totalizzante, che non si limita alle 3 ore di registrazione della singola puntata. Mi ha dato tanto, ho imparato molto».

Oggi, dopo 8 mesi di convivenza e di lavoro a stretto contatto con le stesse persone, negli stessi posti, è libero di viaggiare e di incontrare i suoi fan, grazie al tour promozionale dell’ultimo EP.

Holden
Holden

JOSEPH, l’EP con cui Holden si rivela

Uscito a maggio, JOSEPH è stato presentato in 19 instore sparsi per tutta Italia. 19 tappe di cui l’ultima lo vede al Circo Massimo di Roma, proprio la sera del giorno in cui lo intervistiamo. «Mi rende tanto felice tornare qui a Roma, dove tutto è iniziato, per concludere l’esperienza. È stato un instore tour molto appagante e ricevere il calore di così tante persone che mi seguono è stato davvero incredibile».

JOSEPH racchiude il nuovo percorso musicale di Holden: con sei brani scritti, composti e prodotti dal cantautore, l’album è un’esplorazione sonora che abbraccia una vasta gamma di influenze, dalla dimensione urban all’elettronica, passando per la suggestiva dimensione cantautorale. In ogni traccia, l’artista conferma la sua capacità di reinventarsi e di catturare l’attenzione del pubblico con un sound personale e innovativo. L’EP contiene sei tracce, di cui quattro pubblicate nel corso dell’ultimo anno: i singoli DIMMI CHE NON È UN ADDIO e NUVOLA, già certificati disco d’oro, SOLO STANOTTE e RANDAGI. Completano la tracklist di JOSEPH i brani inediti OSSIDIANA e NON SIAMO PIÙ NOI DUE (feat Gaia).

HOLDEN
Holden

Quando gli chiedo perché è così importante avere il controllo su tutti gli aspetti di ciò che crea, lui risponde che: «In realtà è un processo abbastanza naturale, perché quando c’è un pezzo ancora in fase embrionale in realtà io ho già un’idea nella testa di come lo vorrei una volta finito. C’è un detto tra produttori secondo il quale un pezzo non lo finisci mai, lo abbandoni. Aggiungeresti e toglieresti sempre qualcosina e così un pezzo potenzialmente non sarebbe mai finito. Dunque, la sfida sta proprio nel sapersi fermare e abbandonare quel pezzo, riuscendo a dargli giustizia il più possibile in quel formato finale. Ma è un processo abbastanza naturale davvero. Quando lo riascolto capisco come manca o cosa si potrebbe migliorare sia a livello di testo che di sonorità e quant’altro. È come se percepissi le sue necessità una volta che lo ascolto».

Aggiunge poi il ruolo fondamentale che gioca il fattore temporale: «avere il tempo per realizzare un pezzo è importante. Certo non ci si può prendere troppo con calma perché si rischia di perdere la vita su un unico brano, ma credo che ciascuno di essi sia come un figlio e di conseguenza richieda cura e accorgimenti particolari ogni volta in modo differente e in base alle sue esigenze. Magari a primo acchito risalta la scrittura oppure la produzione, quindi di conseguenza lavori allo scopo di controbilanciare l’altra parte in modo tale che tutto risulti al meglio possibile. Ci tengo che i pezzi raggiungano un certo livello, un determinato standard personale, che è alto.

Certo, esistono casi in cui il tutto richiede pochissimo tempo magari, perché fatalità tutto funziona al meglio fin da subito e non c’è bisogno di metterci le mani sopra troppo. NUVOLA ne è un esempio, era pronto in due giorni circa».

Holden
Holden

Una questione di “equilibrio”, dunque. Un termine che Holden utilizza spesso quando parla di obiettivi, sia a livello di carriera che di vita privata. «Trovo sia difficile essere contenti e soddisfatti appieno di un proprio pezzo. Per me, se non altro, sicuramente lo è. Miro a trovare il giusto equilibrio tra le varie parti che compongono il brano, finché non sento che funziona. Succede un po’ a tentativi, ma quando è pronto lo riconosci, perché lo hai davanti così com’è e capisci che la sua anima è quella lì. Se parliamo di JOSEPH, però, devo ammettere che è stato davvero tosto portare a termine il progetto, soprattutto per quanto riguarda il processo creativo».

«Come sai è stato realizzato contemporaneamente alla mia esperienza ad Amici, e precisamente durante il periodo più importante della trasmissione ossia quello del serale. Mi sono visto costretto a suddividere il tempo tra la stesura dei pezzi dell’EP e la preparazione delle puntate. È stato davvero faticoso, sia psicologicamente che fisicamente perché spesso dormivo poco, lavoravo costantemente. Ho trovato difficile riuscire a risultare performante in entrambi i campi allo stesso tempo». Continua: «Ricordo quest’occasione quando dopo una puntata siamo tornati tutti in casetta per andare a dormire. Io invece sono stato in studio a registrare un pezzo fino alla mattina dopo, quando è cominciata la lezione e io ero ancora lì dalla sera prima. Per questo motivo parlo di ritrovare un equilibrio, quando penso al futuro. Come dicevo prima, la musica ha bisogno di tempo».

L’impegno estremo che sta dietro la realizzazione di JOSEPH lo rende un progetto ancora più caro a Holden, ancora più personale, perché gli ha insegnato a lavorare sotto tempi più stretti di quelli a cui era abituato. Di conseguenza, ha imparato a prendere delle scelte in modo nuovo e con un atteggiamento inedito rispetto al solito. In qualche modo, ha indagato un nuovo lato di sé e del suo modo di rapportarsi alla sua musica. È da qui che proviene la scelta del proprio nome di battesimo per l’EP.

Il programma dell’estate e il primo tour

«Ora passerò l’estate a esibirmi e sono contento, perché ci vedo la conclusione di un percorso. È la fine di un’esperienza che mi ha segnato e che rimarrà uno dei pilastri della mia vita. Adesso posso raccogliere i frutti di tutto quello che è stato fatto finora».

Tra poco cominceranno i preparativi dell’HOLDEN TOUR 2024. Si tratta del primo tour del cantautore, con undici appuntamenti dal vivo in alcuni dei club più noti delle principali città italiane, con doppie date a Roma e Milano. In questo tour, prodotto e organizzato da Live Nation, Holden porterà dal vivo il carisma e l’energia dei brani di JOSEPH.

«Il tour inizierà a novembre e non vedo l’ora perché sarà un’occasione per portare pezzi che non ho mai suonato e cantato dal vivo. Oltre al nuovo EP, infatti, porterò anche un disco che era uscito durante la pandemia che non ho mai potuto suonare! Perciò questo prossimo tour lo vivrò anche come una rivincita. Sarà bellissimo riportare in vita e offrire al pubblico quei brani con cui emozionarsi. Sarà un’esperienza incredibile».

La prima tappa del tour si terrà il 13 novembre a Firenze, per poi proseguire il 14 novembre a Perugia, il 16 novembre a Bari, il 17 novembre a Napoli, il 19 e 20 novembre a Roma, il 23 novembre a Roncade (TV), il 24 novembre a Bologna, il 26 novembre a Torino e si concluderà con le due date di Milano (Magazzini Generali) il 28 e 29 novembre.

«Ci tengo che venga fuori qualcosa di memorabile. Vorrei riuscire a offrire un’esperienza fatta in un certo modo, come la immagino quando chiudo gli occhi. Sono molto esigente. Sicuramente l’obiettivo finale però resta quello di divertirsi cantando tutti insieme, di godere del contatto umano che si crea solo con le esibizioni live. Ci tengo davvero che si rivelino date indimenticabili, sia per il pubblico che per me stesso».

Cover di JOSEPH
Cover di JOSEPH

Credits

Photographer Roberto Graziano Moro

Stylist Nick Cerioni

Fashion Week Uomo. Alcuni highlights delle collezioni Primavera Estate 2025

Dal 14 al 18 giugno 2024 si è svolta la Milano Fashion Week Uomo. Nella cornice di un calendario fitto, ma che stenta a risultare rilevante, sono state presentate le collezioni uomo per la Primavera Estate 2025. Tra nuovi debutti e attesi ritorni, poniamo l’accento su alcune delle sfilate e presentazioni che hanno maggiormente attirato la nostra attenzione.

Milano Fashion Week Uomo
Zegna Primavera Estate 2025 Backstage

Sfilate

Zegna, Oasi di Lino

La collezione Primavera Estate 2025 di Alessandro Sartori per Zegna si focalizza sulle silhouette, rappresentando un’eleganza avvolgente e rilassata, ma precisa in ogni dettaglio. Sartori stratifica ispirazioni, tecniche e conoscenze, trasformando il formale in un contesto che rimane raffinato. Il suo lavoro si basa su materiali pregiati come il canvas, il pelo cammello, il lino grezzo e il cotone giapponese, adattati su modelli non professionisti di età diverse. L’obiettivo è dimostrare l’impatto diretto che i capi esercitano sul corpo umano. La sfilata si è svolta in un ambiente industriale, adornato da piante di lino metalliche giallo Sentiero, creando un intreccio tra natura e industria.

La collezione è dominata dall’uso del lino, un tessuto che rappresenta la filosofia di Zegna: elastico, strutturato e sensuale. Oasi Lino, interamente tracciabile e sostenibile, definisce il guardaroba estivo italiano con pezzi leggeri e giocosi. La silhouette è morbida e disinvolta, con pantaloncini corti, soprabiti e giacche avvolgenti, e blazer allungati. Pantaloni ampi con tasche strategiche, t-shirt sartoriali e maglieria in lino completano il look, mentre il mocassino “Mocassin” incarna l’attitudine estiva italiana.

Grande entusiasmo generale per l’attore Mads Mikkelsen, il volto del brand, che ha chiuso la sfilata.

Simon Cracker, Una questione di principio

Fedeli al loro spirito punk e sempre impegnati ad applicare un pensiero critico alla moda, i designer Filippo L.M. Biraghi e Simone Botte hanno presentato una collezione che si interroga sulle “questioni di principio”.

Il virgolettato indica quella formula comunicativa con cui si giustificano prese di posizione anche insensate, che impediscono il dialogo e possono ledere i rapporti umani. Ecco perché la “questione di principio” viene rappresentata all’interno della collezione dal nodo. Si tratta di una tecnica sartoriale che permette di visualizzare il concetto di immobilità, di indisposizione all’ascolto, alla risoluzione. Un concetto affrontato nel libro Nodi dello psicologo Ronald D. Laing, 1970.

Di conseguenza, gli abiti sono stati creati quasi esclusivamente annodando lembi di tessuto, coulisse, stringhe e lacci che trasmettono un senso di unione e ornamento, ma anche di costrizione. La collezione è strutturata in quattro colori definiti “nervosi”: nero assoluto, blu marino, verde acido e viola. Colori con cui il brand ha ulteriormente sviluppato l’effetto di tintura “sbagliata”, introdotto la scorsa stagione.

Simon Cracker questa stagione ha collaborato con ben due marchi storici: Australian e Dr. Martens. Il primo è un brand italiano di abbigliamento sportivo che nasce dal tennis, ed è caratterizzato da un’influenza club-culture. Australian ha concesso a SC di mettere mano al suo incredibile deadstock di capi semi-assemblati e tessuti. Inoltre, insieme al team creativo del brand è stata sviluppata una capsule di capi tecnici neri/neon, per la prima volta riproducibili, che faranno anche parte della main-collection Australian SS25. Il forse più noto Dr. Martens, invece, ha permesso a Simon Cracker di personalizzare alcuni suoi modelli di scarpe deadstock. Tinte, assemblamenti inediti e applicazioni manuali di spille, badge e pezzi di vecchia bigiotteria hanno reso unico ciascun paio di scarpe.

Per rendere ancora più chiara la loro posizione in merito al tema, Filippo L.M. Biraghi e Simone Botte hanno dedicato la collezione a tutti quei bambini che oggi sono vittime di quelle cosiddette questioni di principio.

Neil Barrett

Con la collezione Primavera Estate 2025, Neil Barrett reinventa l’eleganza classica, rappresentata da icone come Cary Grant e James Bond. In quest’ottica sono stati applicati dettagli sartoriali, come la pochette e il fazzoletto bianco, su capi inaspettati: t-shirt, camicie, felpe e giacche Harrington. Tessuti pregiati come il raso Duchesse e il taffetà strutturato arricchiscono capispalla, blazer, camicie e pantaloni, creando nuovi volumi e trasformando la funzionalità in decorazione. La palette di colori spazia da blu, grigi e neutri a toni vivaci come rosa alabastro, bordeaux, ocra e oro. Gli elementi tecnici, come i reggi maniche integrati, rivoluzionano l’abbigliamento quotidiano. L’obiettivo è proprio quello di giocare con i concetti di funzionale e decorativo, quotidiano e d’occasione.

Presentazioni alla Milano Fashion Week Uomo

TOD’S, Intelligenza Artigianale

La collezione Uomo Primavera Estate 2025 di Tod’s segna il debutto nel menswear del nuovo direttore creativo Matteo Tamburini. In un contesto in cui l’intelligenza artificiale sta crescendo rapidamente, il marchio enfatizza l’importanza di mantenere l’artigianato e l’attenzione all’individuo al centro del processo creativo. In pieno rispetto degli standard di Tod’s, questa prima collezione di Tamburini si distingue per la qualità, i materiali pregiati e i dettagli raffinati, che incarnano un’eleganza senza tempo tutta italiana. I capispalla della collezione presentano lavorazioni innovative su lini preziosi, e alcuni appaiono doppiati con membrane e termosaldati, per un look moderno e funzionale. Il celebre Gommino si rinnova con una versione sabot in colori naturali, mentre il Bubble Gommino viene reinterpretato nel modello barca con l’accessorio T-bar.

Va posto un accento sulla collezione Pashmy, che con la sua selezione di pellami morbidi e leggeri, rappresenta l’apice della qualità artigianale che Tod’s vuole promuovere, sostenendo i valori del Made in Italy.

Noskra, Ethereal

Con Ethereal, Noskra ha realizzato una collezione che celebra la bellezza della natura, invitando a riflettere sulla connessione che essa possiede con il brand. “Sostenibilità e innovazione” stanno alla base di questa nuova linea firmata da Andrea Lonigro, sempre unisex. L’ispirazione principale deriva dalla maestosità della natura; da qui le particolari texture e dettagli nel design, che vogliono riflettere la complessità delle superfici di tronchi, foglie e rocce. I tagli e le forme morbide puntano al comfort, mentre la palette si muove tra il bianco e il nero. Un elemento chiave della collezione sono i pantaloni modulabili e versatili, pensati per adattarsi a chi li indossa: più vestibilità in un solo capo.

Paul & Shark, Hello Capri

Paul & Shark prosegue il suo viaggio estivo, iniziato nel 2023, tra le più affascinanti coste Mediterranee. Si tratta di un concetto che vede protagonista il mood Riviera, rinnovato di anno in anno seguendo sempre nuove e iconiche località. Per questa stagion, il brand fondato a Varese nel 1976 abbraccia i colori, le stampe e le vibrazioni di Capri. La collezione Riviera Capri Primavera Estate 2025 esalta uno stile minimal, ma chic. Ai costumi in tessuto stampato ultralight ad asciugatura rapida sono abbinati le polo in seta e le camicie in lino colorato. L’essenza dell’isola è catturata nella stampa realizzata con Liberty of London: un fermo immagine di Capri, dove le stradine tortuose, le bouganville fiorite, gli edifici storici e le piccole barche dei pescatori locali fanno sognare la vacanza perfetta.

CARRER

CARRER è il brand lanciato da Manu Ríos e Marc Forné nell’ottobre 2023, che mirano a reinventare i classici del workwear. Ispirato dai loro stessi guardaroba e influenzato dall’essenza delle loro città preferite, il marchio combina elementi di abbigliamento basic vintage con lo stile streetwear. La collezione Primavera Estate 2025 introduce nuovi stili estivi e più leggeri, oltre a una palette di colori più ampia. Include anche il primo set di stampe con un esclusivo pixel camo. Il camouflage è una stampa molto cara ai creatori; per imprimerla del concetto di “carrer” (strade) è stata fusa alle silhouette pixelate di più di 50 città internazionali, sovrapposte in diverse dimensioni e colori.

Giancarlo Commare parla di Maschile plurale, da giugno su Prime Video

Maschile plurale è arrivato nelle sale il 15 febbraio 2024, a due anni dall’uscita su Prime Video del precedente Maschile singolare, opera prima di Alessandro Guida. In occasione del Pride Month, la piattaforma di streaming partecipa ai festeggiamenti lanciando questo secondo capitolo il 20 giugno. Abbiamo contattato Giancarlo Commare, l’attore protagonista del progetto, per parlarne.

Giancarlo Commare by Vincenzo Valente
Jacket Carlo Pignatelli 

«Amo questo progetto da sempre, dal primo film. Per me è stato davvero un regalo enorme. Amo la storia, amo quello che racconta e amo le persone che ne fanno parte. Ho instaurato dei rapporti indelebili con ciascuno di loro. Ti assicuro che è molto raro in un ambiente di lavoro così frenetico. Però in questo caso davvero tutti, dai tecnici ai truccatori, dalla produzione agli attori, ci si sono dedicati con tantissimo amore. Considera che abbiamo girato il film in soli 17 giorni! Ti lascio immaginare la complessità. Ma il fatto che ne sia uscito qualcosa di così bello testimonia quanto amore ci sia dietro».

Questa passione traspare dalla pellicola e raggiunge i cuori di tutti gli spettatori che, con Maschile plurale, hanno avuto l’occasione di ritrovare i personaggi a cui si erano affezionati, per vederli crescere. Il sequel è stato prodotto da Fabula Pictures e Rufus Film in collaborazione con Prime Video e permette di osservare l’evoluzione del rapporto tra Antonio (Giancarlo Commare) e Luca (Gianmarco Saurino), dopo la drammatica scomparsa di Denis (Eduardo Valdarnini). Oltre all’amica storica di Antonio, Cristina (Michela Giraud), troviamo Tancredi (Andrea Fuorto) ossia il nuovo fidanzato di Luca. Le altre new entry del cast sono Francesco GheghiGiulio CorsoNicole RossiClaudio Colica e Lidia Vitale.

«Pensa che all’inizio nessuno ci credeva. Nessuno voleva investire in questo film» mi confida Giancarlo. «I ragazzi (Alessandro Guida, il produttore Matteo Pilati e lo sceneggiatore Giuseppe Paternò Raddusa ndr) in un primo momento lo hanno autoprodotto. Una volta finito e confezionato è arrivato Prime, che lo ha apprezzato e ha scelto di investirci, permettendogli di avere successo». Prosegue: «Questo aspetto è uno di quelli che più mi piace del mio lavoro: l’effetto sorpresa. Le svolte nei progetti fatti col cuore che, nonostante i dubbi e le difficolta, alla fine vengono premiati».

Il passaggio da (Maschile) singolare a plurale

Il passaggio da singolare a plurale nel titolo riflette il contenuto della trama. Nel primo capitolo, Antonio impara a fare i conti con se stesso quando si ritrova “da solo”, dopo il divorzio col marito. In questo nuovo film, invece, dovrà apprendere a stare nuovamente con gli altri.

Amare se stessi è l’unico modo per riuscire ad amare qualcun altro. Nella nostra società, però, questo concetto viene spesso confuso con l’individualismo, che con l’amore non ha niente a che fare. Anziché sentirsi parte di un insieme, le persone tendono a vivere come proiettili sparati nella storia: veloci, violenti e soli. «È un argomento di cui parlavo con un amico poco tempo fa, quindi cadi a fagiolo!» mi confida Giancarlo Commare. «Credo che la difficoltà stia nel fatto che viviamo in una società che corre veramente troppo. Io stesso soffro questa cosa, perché mi sento spesso in ritardo. Parlando con chi mi circonda, però, mi accorgo che è una sensazione che in realtà accomuna quasi tutti».

Prosegue: «Mi reputo fortunato, perché in questo momento della mia vita ho la possibilità e il privilegio di potermi fermare, smettere di correre e tirare il fiato. Di restare semplicemente in ascolto. Così mi rendo conto che non sono effettivamente in ritardo, ma che si tratta di un modo in cui il confronto con gli altri mi fa sentire. Penso che molti di noi vivano questa sensazione, e che alcuni siano entrati in questo loop così a fondo, da trasformarsi in dei “proiettili”, come dici tu».

Giancarlo racconta di come ne abbia fatto esperienza in prima persona: «Prenderne coscienza e riuscire a fermarsi significa volersi bene. Io mi sono sentito un proiettile per tanto tempo, sempre alla rincorsa del complimento altrui, sempre con l’ansia di dover dimostrare qualcosa a qualcuno. È una dinamica che col tempo ha trasformato il mestiere che amo in una sorta di lotta; qualcosa che non mi faceva più stare bene. Ho dovuto affrontare delle esperienze che mi hanno aperto gli occhi su questo malessere e da quel momento ho imparato a dire qualche no. Ho capito che si trattava di rispettarmi, di amarmi».

«Sono un attore, racconto storie. Se non vivi, che storie racconti?»

Tornando al film, in Maschile plurale Antonio trascorre i tre anni che noi non vediamo rincorrendo l’obiettivo di diventare pasticcere. Punta al traguardo senza godersi il viaggio, per ritrovarsi profondamente insoddisfatto una volta oltrepassata la linea d’arrivo. «Ripenso alla poesia “Itaca” di Konstantinos Kavafis, dove l’autore invita i lettori proprio ad apprezzare il viaggio» dice Giancarlo. «È giusto e importante prefissarsi degli obiettivi, ma bisogna cogliere tutto ciò che circonda il percorso. Infine, è necessario concedersi del tempo per festeggiare, per assaporare l’esperienza. In caso contrario, non si sarà mai soddisfatti e mai contenti. Se lasci Itaca è per arricchirti di esperienze e conoscenze e non per tornarci nello stesso modo in cui sei partito».

Giancarlo Commare by Vincenzo Valente
Jacket, shirt and trousers Moschino 
Shoes Marsèll

L’importanza del viaggio e della rappresentazione

Sentirsi persi una volta raggiunta la meta è un altro sentimento universale, un’esperienza condivisa da molti, Giancarlo compreso: «Succede che carichiamo quei traguardi di aspettative esagerate. Oppure che fantastichiamo su come sarà una determinata situazione, e ne rimaniamo delusi quando la viviamo nella realtà. Ciò accade per diversi motivi: possiamo aver sopravvalutato quella meta oppure, nel frattempo, siamo cambiati noi e i nostri desideri».

Quindi hai vissuto questa sensazione nella tua carriera?

Assolutamente sì. Ma la vita è sorprendente. Ho riscoperto la magia dell’essere attore proprio in seguito a quei momenti difficili, quando ho acquisito una maggior consapevolezza rispetto a certi argomenti. La stessa magia che ricordo di aver percepito la prima volta che sono salito su un palco, all’età di 10 anni circa.

Giancarlo Commare by Vincenzo Valente Maschile plurale
Jacket Carlo Pignatelli 

Da un punto di vista di ricezione da parte del pubblico, ti sembra che progetti di questo tipo vengano accolti in maniera positiva e ampia o sono ancora considerati prodotti di nicchia rivolti a una minoranza?

Trovo che la prova di quanto siano universali questi progetti stia nella quantità di persone che puoi vedere nelle strade e nelle piazze in questi giorni.

Questi film catturano la realtà, raccontano di persone vere, che esistono, che vivono gioie e dolori quotidiani tanto quanto chiunque altro. Mi sembra assurdo che nel nostro Paese qualcuno che dovrebbe garantire il benessere di tutti i cittadini scelga di discriminare ancora dei gruppi di persone. O che tenti di propinarci un modello di società “migliore”, come se alcune persone fossero più meritevoli di vivere appieno le loro vite rispetto ad altri. Si rivolgono a una società che semplicemente non esiste, perché non corrisponde in alcun modo a quella in cui viviamo davvero. Evidentemente è più facile rintanarsi in vecchi retaggi noti, che provare a mettersi in discussione e andare incontro al cambiamento. Però vedo che le nuove generazioni sono diverse dalle precedenti, quindi ho speranza nel futuro.

Giancarlo Commare by Vincenzo Valente Maschile plurale
Trench coat, trousers and gloves Dolce e Gabbana 
Boots Marsèll

A proposito di cambiamenti, un altro pilastro di Maschile plurale è il concetto di sequel, sia a livello di prodotto culturale che di relazione amorosa. In amore, tu credi nelle seconde occasioni?

No, onestamente fatico a crederci. Certo esistono sempre le eccezioni, ma a livello generale trovo difficile che quando una relazione finisce sia possibilità riprenderla e portarla nel futuro. Personalmente mi sentirei come se stessi tornando indietro, e non credo abbia senso. Cresciamo come individui, ognuno a modo proprio e con le proprie esperienze. Perciò trovo che il rischio di ritrovarsi e non essere sulla stessa lunghezza d’onda sia troppo alto. Per funzionare, una seconda occasione dovrebbe trovare entrambe le parti cresciute e consapevoli del proprio cambiamento e pronte ad andare avanti insieme. Non è impossibile, ma sicuramente molto difficile.

Giancarlo Commare by Vincenzo Valente
Jacket Gentile Milano 

Credits

Photographer Vincenzo Valente

Stylist Simone Folli

Fashion assistant Nadia Mistri

Make up Claudia Ferri

Press office Manzo Piccirillo

La “Cultura Italiana” secondo Diss Gacha

Il mese di maggio è stato a dir poco esplosivo per Diss Gacha, che ha pubblicato il suo nuovo album Cultura Italiana Pt.1 e si è esibito sul palco del MI AMI Festival 2024.

Diss Gacha Cultura Italiana
Jacket & tank top GCDS, pants Bonsai 

La stella ascendente Diss Gacha

Con un entusiasmo contagioso e la passione travolgente di chi crede davvero in quello che fa, il ventiduenne Diss Gacha ha “solamente” un paio d’anni di carriera alle spalle, ma la sua voce è già considerata una delle principali della sua generazione. Le fondamenta per il successo, d’altronde, ci sono tutte.

Gabriele Pastero si distingue per il suo talento nel maneggiare le rime e per essere riuscito a dar vita a un linguaggio originale e particolarissimo. Il suo stile e la sua presenza scenica sono davvero unici e la sua trasparenza gli ha permesso di circondarsi di una fanbase che lo ama e lo rispetta. Sono stati proprio i suoi “ballas” infatti ad averlo catapultato nel panorama musicale italiano contemporaneo, dopo aver reso virale su TikTok il pezzo Captato, che ottiene il disco d’oro nel 2023. Da quel momento Diss Gacha è cresciuto molto, riuscendo a delineare con sempre maggiore accuratezza i contorni del proprio personaggio e della propria musica.

Il suo secondo disco, Cultura Italiana Pt.1, rappresenta infatti l’intero mondo artistico e personale di Gacha. Anticipato dall’uscita del brano +++! a inizio anno, l’album è stato pubblicato il 31 maggio e costituisce il primo vero strumento di espressione personale dell’artista. “Italiana” è lo stile con cui Gacha propone un concetto speciale di “Cultura”, strettamente legato alla sua vita. Si tratta di una rivisitazione contaminata delle sue origini, profondamente influenzate dalla cultura contemporanea americana. Los Angeles, in particolare, è un po’ la sua seconda casa: è qui che ha lavorato all’album ed è questo l’origine del suo titolo di Principe del Mississippi. In questa Cultura Italiana Pt.1, l’America è testimoniata anche dalla presenza di cori gospel in diversi brani del disco e dal featuring con Wiz Khalifa in Mississippi Drive. La seconda collaborazione internazionale per Gacha, che segue Lamborghini Narcos con Lil Gotit del 2022.

Diss Gacha Cultura Italiana
Sweater Members of the rage

«In questo disco, ho cristallizzato alcune fasi importanti della mia vita e questo mi ha fatto stare bene, sono felice del lavoro svolto»

Nel post di Instagram con cui hai annunciato la pubblicazione di Cultura Italiana Pt.1, hai espresso un pensiero che ho trovato molto bello: «Forse un disco non cambierà il mondo, ma cambierà il Nostro di mondo, e quello di tutti quelli che hanno la fortuna di decidere di entrare in questo viaggio». Indipendentemente dall’effetto che i nostri progetti hanno sulle vite altrui, a volte è importante riconoscere il modo in cui in primis influenzano noi stessi e la nostra esistenza. Per cui la mia prima domanda è: quanto e in che modo questo album specifico ha influito sulla tua vita? Sia a livello personale che lavorativamente parlando.

Sicuramente tanto. A livello personale, questo disco mi ha accompagnato in una fase di crescita, ha coinciso con una serie di momenti significativi della mia vita durante i quali avevo più bisogno di esprimermi. Anche a livello lavorativo, questo disco ha rappresentato una crescita, perché avevo necessità di parlare di cose nuove, di esprimermi in maniera diversa rispetto a quanto fatto prima, mi sono sentito più pronto nel farlo. In questo disco, ho cristallizzato alcune fasi importanti della mia vita e questo mi ha fatto stare bene, sono felice del lavoro svolto.

«Mi sono sentito più tranquillo e più libero nel poter parlare di più di me»

Nella musica, secondo il tuo parere, gli album sono il modo migliore per riuscire a esprimersi appieno e instaurare un rapporto con la propria fanbase. È proprio ai tuoi fan, infatti, che dedichi Due minuti e 10, dove rifletti sull’importanza del riconoscersi veramente felici, nel momento in cui lo sono anche le persone che ami. Come è nato e cresciuto questo album?

Questo album è nato dall’esigenza di esprimermi maggiormente. Dal punto di vista produttivo Sala ha lavorato a suoni più innovativi, ricercati. Da parte mia c’è stata la voglia di raccontarmi un po’ di più, dopo che i miei fan hanno capito le mie prime cose. Mi sono sentito più tranquillo e più libero nel poter parlare di più di me. Sentivo che c’era il bisogno di dover parlare un po’ di più di me. L’idea di Cultura Italiana c’è dal 2019, abbiamo sempre voluto chiamare il nostro primo disco così. Abbiamo pubblicato più singoli, finché tutto è cresciuto passo dopo passo, anche grazie alle esperienze che abbiamo avuto la fortuna di fare e alle collaborazioni che abbiamo realizzato. Abbiamo guardato il nostro quadro e ci siamo detti che per la parte prima era tutto giusto, boom.

Cultura italiana è anche il titolo del primo brano del tuo primo album Cultura. Dal momento che la lungimiranza è un’attitudine che ti caratterizza e a cui tieni molto, mi chiedo: la scelta di intitolare il secondo album allo stesso modo di quel brano era nei piani sin dall’inizio o è qualcosa che è nato in un secondo momento? Qual è il legame (se ce n’è uno) tra i due titoli?

C’è sicuramente un legame, il brano Cultura Italiana è stata una sorta di anticipazione, in una chiave un po’ più gospel. Il testo è profondo e personale, parlo un po’ più di me. Non ce ne siamo accorti, perché è stato fatto in maniera naturale, ma quando è successo ci siamo detti: “Cazzo è tutto collegato, è incredibile”.

Diss Gacha Cultura Italiana
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«Abbiamo sentito che le cose che stavamo facendo erano giuste, avevano bisogno di quella conferma, eravamo nella settimana in cui usciva Cultura Italiana Pt.1»

A maggio ti sei anche esibito al MI AMI 2024. Ci racconteresti com’è stato e cosa ti sei portato a casa da quest’esperienza?

Era la prima volta al Mi Ami e mi è piaciuto veramente tanto. Era un pubblico diverso dal solito ed era molto interessato ad ascoltare la musica, anche se alcuni non mi conoscevano. Sono fiero e grato di aver inserito il coro gospel all’interno del live. C’è stata un’emozione assurda, la fanbase era carichissima, sono davvero felice di come è andata. Abbiamo sentito che le cose che stavamo facendo erano giuste, avevano bisogno di quella conferma, eravamo nella settimana in cui usciva Cultura Italiana Pt.1. Abbiamo sentito che eravamo nel punto giusto.

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«Anche se a volte possono sembrare più attraenti le situazioni al limite, quelle rischiose e ambigue, la verità è che tutti vogliono vivere bene e stare bene»

In un’altra intervista hai affermato di essere consapevole del peso che hai sulle spalle, della responsabilità legata all’impatto culturale che eserciti su chi ti ascolta. C’è qualcosa che vorresti trasmettere in particolare o un “segno” che vorresti lasciare con la tua musica?

Il segno che vorrei lasciare è quello di far stare bene sia me che le persone che ascoltano la mia musica… i fan, le persone che vogliono entrare veramente nel mio viaggio e quelle che mi stanno accanto, che sono le più importanti della mia vita. Mi piacerebbe anche essere un esempio per i nuovi artisti che arriveranno, che possano dire “Cazzo lui ha sempre creduto in quello che voleva” e che seguano il fatto che noi non abbiamo mai droppato, ma abbiamo sempre fatto musica per noi. Spero di lasciare una traccia positiva nel mio mondo e in tutte quelle che ci vogliono entrare. Anche se a volte possono sembrare più attraenti le situazioni al limite, quelle rischiose e ambigue, la verità è che tutti vogliono vivere bene e stare bene.

Ultima domanda. Credi molto (e giustamente) nell’importanza del riconoscere le peculiarità di ogni artista, affinché venga spinto proprio per le sue caratteristiche e non lo si riduca a diventare uno dei tanti che hanno un successo momentaneo perché seguono il gusto o il trend del momento. Quali sono le tre caratteristiche che meglio definiscono e distinguono Diss Gacha?

Credo molto nel riconoscimento delle caratteristiche peculiari di ogni artista, quelle che lo differenziano. Non sarò mai favorevole ad uniformarmi, la cosa più bella è portare la musica nel mainstream e non fare musica per il mainstream. Le tre caratteristiche che distinguono il mio progetto sono le sporche, che mi caratterizzano tanto; poi la seconda caratteristica è l’attitudine, la positività, e la terza è quella di fare ciò che ci piace, non necessariamente secondo la tendenza del mercato attuale, anche andando un po’ controcorrente.

Jacket Avirex
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Quest’estate Gacha porterà dal vivo le nuove canzoni con Cultura Italiana Summer Tour, passando dai principali eventi live estivi come il Nameless Festival (15 giugno) e il Red Valley Festival (17 agosto).   

Credits

Photographer: Nico Gulino (1st, 2nd, 4th, 5th photo) – Giovanni Zanotto (3rd photo)

Stylist: Francesca Cavalcanti

Non solo moda: arte e design nella collezione di Lucio Di Rosa

Lucio Di Rosa, noto celebrity matchmaker dalla invidiabile carriera ventennale, ha collaborato con un esteso ventaglio di maison d’eccellenza – Armani, Versace, Elie Saab, Dolce & Gabbana, solo per citare alcuni nomi. Tra i suoi progetti più recenti, una realtà innovativa che porta il suo stesso nome. Parliamo di LDR22, non il solito showroom o una classica agenzia, ma un’autentica casa; un punto di incontro nel cuore di Milano, collocato all’interno del maestoso Palazzo Meli Lupi di Soragna. La sede milanese, inaugurata lo scorso dicembre, ha esteso il successo già ottenuto dall’headquarter di Los Angeles, anch’esso pensato per ricreare un’atmosfera da vera e propria dimora.

«È stata Sharon Stone in persona a chiedermi: Perché non fai qualcosa di simile a casa tua, ma inserendoci il lato business, a Los Angeles?». Così ci racconta lo stesso Lucio Di Rosa, che poi prosegue dicendo: «Ho sviluppato via via una certa ossessione per il nuovo; una passione che mi è stata passata da Donatella Versace, con cui ho lavorato per 14 anni. Lei ha sempre spinto su questo modus operandi orientato al rinnovo, all’innovazione; è stata per me una vera e propria mentore».

Il celebrity matchmaker Lucio Di Rosa
Il celebrity matchmaker Lucio Di Rosa, ph. Eric Michael Roy

LDR22, la realtà firmata Lucio Di Rosa che connette brand, celebrities e arte

Molto più di un press office internazionale. LDR22 propone un’ampia gamma di servizi: consulenza corporate, pianificazione di eventi, talent scouting, creazione di concept, arrivando fino alla direzione di campagne. Un progetto ambizioso insomma; quella concepita da Lucio Di Rosa è una realtà unica nel suo genere, che mira alla creazione di sinergie ad hoc e a lungo termine tra brand, industria dell’intrattenimento e celebrities. Con accesso privato, gli spazi del Palazzo si articolano in una ramificazione di stanze ricche di boiserie, opere artistiche e wallpaper. E a rendere ancor più interessanti questi ambienti, i mobili personalizzati firmati Fornasetti, creazioni che esaltano il concetto di artigianalità con un design unico e non standardizzato.

Lucio Di Rosa, LDR22
LDR22, ingresso con dettagli Fornasetti e opera scultorea di Mattia Bosco

L’arte, elemento principe all’interno della realtà LDR22, è sempre stata parte integrante della vita del noto celebrity matchmaker. «Mio nonno era un pittore; un uomo terribile, tipico siciliano, così come mia nonna: molto rigido nell’educazione e molto attento all’etichetta. La passione per l’arte è nata in me proprio a partire dai suoi ritratti» spiega Lucio Di Rosa.«Quando il nonno dipingeva, ci si doveva fermare immobili dietro al cavalletto per tre ore. Questo era valido per tutti i parenti. Nel tempo si è specializzato nelle nature morte di frutta e agrumi, così come nei paesaggi di Tunisi, poiché la sua famiglia originariamente proveniva da lì ed è stata costretta a emigrare con l’arrivo dei francesi. Siamo cresciuti sempre con quel cavalletto fisso in casa. Io non ho mai preso in mano un pennello, mentre i miei cugini più piccoli erano obbligati ad andare alle sue lezioni di pittura pomeridiane».

Lucio Di Rosa. Il nuovo spazio milanese di LDR22
Il nuovo spazio milanese di LDR22

La strategia selettiva di LDR22

Parlando poi di strategia adottata, LDR22 presta particolare cura nel vaglio dei nomi da includere nel progetto. La parola-chiave è una e una sola: selettività; solo pochi marchi sono scelti in linea con la visione di Lucio. Lo spazio di Milano, grazie al concept artistico affidato alla curatrice Jessica Tanghetti, si presenta come un interlocutore dinamico nel mondo dell’arte contemporanea, promuovendo il dialogo con artisti nazionali e internazionali, nuovi ed emergenti.

«A Los Angeles abbiamo marchi più consolidati come Gianvito Rossi, con i quali condivido comunque una certa visione. Nel nuovo spazio milanese voglio invece selezionare realtà che percepisco come affini al mio modo di vedere le cose e lavorare, ma diverse da quelle in California. Lo scopo è anche quello di permettere a diversi nomi di emergere, evitando il rischio di cannibalizzazione reciproca. Des Phemmes di Salvo Rizza è un esempio della direzione che vogliamo prendere qui a Milano. Da quando abbiamo cominciato a collaborare a settembre, il marchio ha raggiunto una serie di importanti traguardi, con capi indossati da Anne Hathaway e Sharon Stone».

Lucio Di Rosa partecipa al Salone del Mobile 2024 con una personale sull’artista Maurizio Donzelli

E ora, in vista del Salone del Mobile 2024, Lucio Di Rosa e Jessica Tanghetti inaugureranno una personale dedicata a Maurizio Donzelli, in collaborazione con Cortesy Gallery. La mostra, intitolata Netes Mai, aprirà l’8 aprile e sarà visitabile su appuntamento ogni giorno, dalle 17 alle 18 su prenotazione, per l’intero periodo dell’Art Week e della Design Week. «Il lavoro di Maurizio Donzelli e la finezza e complessità che lo caratterizzano, pongono in luce molteplici affinità con LDR22 e lo spazio che lo ospita, Palazzo Meli Lupi di Soragna» spiega la curatrice. «La profonda ricerca condotta dall’artista, unita all’eterogeneità dei media utilizzati nell’esposizione, restituisce poi un lavoro altamente interdisciplinare da un punto di vista di contaminazioni creative».

“A KIND OF BEAUTY” di Gabriele Micalizzi: una mostra sull’estetica del conflitto

Dal 4 aprile al 28 giugno 2024, alla 29 ARTS IN PROGRESS gallery di Milano sarà possibile ammirare A KIND OF BEAUTY di Gabriele Micalizzi. La personale raccoglie per la prima volta alcuni tra gli scatti più significativi dell’archivio del fotoreporter. Curata da Tiziana Castelluzzo, la mostra fotografica è un’antologia dei diversi scenari di guerra sperimentati e immortalati da Micalizzi in bianco e nero, ai sali d’argento e a colore.

A KIND OF BEAUTY Gabriele Micalizzi
© Gabriele Micalizzi The Slow Power of the People, Cairo, Egypt, 2011, Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Gabriele Micalizzi e il reportage di guerra: nascita ed evoluzione di una vocazione

Gabriele Micalizzi è un fotoreporter di guerra nato a Milano nel 1984. Si occupa di fotografia da quando viene a contatto con la camera oscura presso l’Istituto d’Arte della Villa Reale di Monza. La sua carriera, invece, comincia nel 2004 all’agenzia fotogiornalistica NewPress. Durante questi anni si occupa di eventi di cronaca, politica e sport, e le sue foto appaiono su testate del calibro del Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giorno.

La sua formazione fotografica prosegue con un corso di reportage presso l’Accademia di fotografia John Kaverdash. Nel 2007 entra nello studio dell’agenzia Magnum di Alex Majoli e nel 2008, sotto la direzione creativa di quest’ultimo, fonda il collettivo CESURA. Insieme a lui ci sono Andy Ricchelli, Arianna Arcara, Luca Baioni, Alessandro Sala e Luca Santese.

Si avvicina alla fotografia di guerra per la prima volta nel 2009, quando affianca l’esercito italiano e francese in Afghanistan. L’esperienza gli permette di scoprire quella che si può definire una vocazione personale: l’abilità di cogliere scene tragiche e restituirne una composizione estetica precisa e perturbante. Gli scatti di Micalizzi non romanticizzano l’orrore dei conflitti; ne catturano la complessità sia dal punto di vista concettuale che visivo.

A KIND OF BEAUTY Gabriele Micalizzi
© Gabriele Micalizzi L’Umarell, March of Return, Gaza, 2018, Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

«Gabriele ha una straordinaria capacità di sintesi», spiega la curatrice Tiziana Castelluzzo, «riesce a coniugare in un unico scatto poesia, potenza e bellezza. Le sue fotografie, anche quelle più esplicite, sono espressione metaforica di una realtà più ampia, più complessa che induce lo spettatore a porsi interrogativi sugli eventi, sull’uomo e sulla natura dei conflitti. Gabriele non solo ritrae la guerra ma la vive in prima persona mettendosi accanto ai combattenti, al centro della scena, correndo i loro stessi rischi. I suoi scatti portano con sé non solo ciò che raccontano ma anche tutto il suo bagaglio emotivo. Lo sguardo di Gabriele però non è mai giudicante ma libero e aperto; sembra guidato da una necessità di chiarezza e di comprensione degli aspetti più intimi e più umani dei fatti della storia».

A KIND OF BEAUTY Gabriele Micalizzi
© Gabriele Micalizzi Broken Dreams – 22, Donbas, Ukraine, 2022, Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

La guerra è un teatro

La guerra secondo Gabriele è come un teatro. Questo termine viene usato nell’ambiente militare per definire la zona di conflitto, dal momento che al suo interno ognuno svolge un ruolo preciso, in una determinata scena e in una limitata porzione temporale. Il compito del fotoreporter è quello di raccontare e narrare attraverso una sola arma: la macchina fotografica. Unico mezzo disponibile, essa diventa strumento d’azione per riuscire a condividere quel palco dove le emozioni accelerano, si espandono e si enfatizzano; dove le amicizie si sedimentano e rinforzano e la solidarietà diventa bisogno primario e indissolubile.

A KIND OF BEAUTY Gabriele Micalizzi
© Gabriele Micalizzi Bright Darkness, Sirte, Libya, 2016, Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Micalizzi è presente in tutti i principali scenari di guerra che hanno segnato l’ultimo ventennio. Parliamo delle rivoluzioni arabe, dei conflitti mediorientali contro il califfato, delle guerre in corso in Ucraina e Palestina. Il suo sguardo ci permette di essere testimoni senza rischi di quegli eventi così tragici e apparentemente sempre lontani. Il suo obiettivo racconta vicissitudini precise e contemporanee, ma le cui fotografie danno vita a spunti di riflessioni senza tempo.

«Sono sopravvissuto a 4 attentati, ho oltre 100 punti sul mio corpo, ma niente mi fermerà dal raccontare la storia e dare voce a chi non ne ha» afferma Gabriele Micalizzi.

A KIND OF BEAUTY Gabriele Micalizzi
© Gabriele Micalizzi Beyond, Cairo, Egypt, 2011, Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Una selezione delle sue opere sarà presentata al MIA Photo Fair durante la Milan Art Week.

Tra Milano e Parigi, i direttori creativi della nuova stagione

Questa stagione di presentazione delle collezioni Autunno Inverno 2024 2025, ha visto diversi nuovi direttori creativi misurarsi con il perenne arduo compito di ri-lanciare alcune tra le più storiche e celebri case di moda.

Tod's, backstage sfilata autunno inverno 2024 2025
Tod’s, backstage sfilata Autunno Inverno 2024 2025

TOD’S e ROCHAS

Tali show si sono succeduti tra le settimane della moda di Milano e Parigi, dove rispettivamente Matteo Tamburini da Tod’s e Alessandro Vigilante da Rochas hanno ricevuto il testimone dai predecessori Walter Chiapponi e Charles de Vilmorin. Due marchi colti in due momenti opposti della loro storia. Un Tod’s in gran forma, grazie ai 4 anni di lavoro del predecessore Chiapponi; Rochas invece più instabile, alla ricerca di qualcuno in grado di ridare alla maison l’antico lustro che le era proprio.

E proprio da Rochas è passato Matteo Tamburini, designer dal curriculum notevole, e conosciuto da pochi addetti ai lavori. Classe 1982, è nato a Urbino e cresciuto a Pesaro. La sua esperienza nel settore include due anni da Rochas e due da Schiaparelli a Parigi; tre anni e mezzo circa da Pucci e più di sei da Bottega Veneta. Il suo obiettivo è quello di rendere ancora più contemporaneo il marchio Tod’s; da sempre simbolo di altissima qualità artigianale italiana, dove capi essenziali, ma sofisticati, percorrono il confine fra tradizione e innovazione.

Alessandro Vigilante, al contrario, è una figura nota nel settore, dal momento che è direttore creativo del marchio eponimo da lui fondato nel 2021. Particolarmente legato al mondo della danza, il suo lavoro spesso gira attorno all’investigazione del corpo umano in movimento. È la prima volta che assume la direzione creativa di un altro brand e per il debutto di Rochas è ripartito dagli archivi. Ne ha tratto una collezione che si ispira al contesto di massimo splendore della maison fondata da Marcel Rochas: la Parigi degli anni ’30. La mancanza di riconoscibilità è ciò di cui la maison francese soffre oggi, per cui Vigilante dovrà occuparsi di ristabilirne l’identità, nel tempo che gli sarà dato.

MILANO: BLUMARINE e MOSCHINO

A Milano, il sopracitato Walter Chiapponi ha invece presentato la sua prima collezione per Blumarine. Lo storico marchio italiano, fondato a Carpi nel 1977 da Anna Molinari e il marito Gianpaolo Tarabini, era stato catapultato nuovamente sotto i riflettori nell’era di Nicola Brognano. Caratterizzato da una visione iper-trendy ispirata agli anni Y2K, e sviluppata con l’aiuto della celeberrima stylist Lotta Volkova, Blumarine si è pian piano allontanato dalle proprie radici e forse troppo. Walter Chiapponi ha riportato in carreggiata il marchio con una collezione (e una campagna) che rimanda al suo DNA: un mondo fanciullesco, intriso di magia, spensieratezza e sottile erotismo. Caratteristiche che riportano il brand agli anni ’90, quando i capi venivano scattati da Helmut Newton ed erano ricchi di dettagli quali le ruches, le balze, il raso, lo chiffon e le stampe animalier.

Quella di un gran ritorno alle origini è anche la sensazione, piacevolissima, che ha accompagnato la collezione di debutto di Adrian Appiolaza per Moschino. Approdato nel marchio dopo la prematura scomparsa di Davide Renne, il designer argentino 51enne ha avuto pochissimo tempo per dar vita al nuovo progetto. La Collezione n.0 (così battezzata da Appiolaza) è parsa più che altro come un manifesto d’intenti; una presa di posizione rispetto al lavoro che si vuole portare avanti da qui in futuro. Grande estimatore dello storico marchio italiano e collezionista dei suoi abiti, Appiolaza ha rimesso in evidenza i meccanismi sovversivi, ironici e provocatori che caratterizzavano l’approccio alla moda del brillante Franco Moschino.

Meccanismi che nel decennio di direzione creativa di Jeremy Scott si erano persi. Ruolo fondamentale, nella riuscita di questa collezione dall’animo cauto, ma denso di significati, lo ha giocato anche lo styling di Nunzio Del Prete, già noto per il lavoro che fa da Magliano.

PARIGI: CHLOÉ e ALEXANDER MCQUEEN

Spostandoci a Parigi, il debutto della tedesca Chemena Kamali da Chloé, ha riportato in auge il “boho chic”; guadagnandosi l’approvazione sia dalla critica che dal pubblico.

Kamali ha un passato nella maison fondata da Gaby Aghion e resa celebre dalla collaborazione pluridecennale con Karl Lagerfeld. Qui, ha lavorato sotto Phoebe Philo, Hannah MacGibbon e Clare Waight Keller. Per lei, dunque, è stato un po’ come tornare a casa. L’estetica boho non è propriamente sinonimo del marchio, ma corrisponde alla fase di massimo splendore che Chlo ha vissuto nei primi 2000; e per la quale il brand è riconosciuto nel mondo. Fluidi e romantici abbiti in chiffon hanno sfilato in passerella associati a stivali al ginocchio, frange, pelle e colori poverosi. Sienna Miller in front row con Pat Cleveland e la figlia Anna, hanno contribuito a riportare a galla quell’immaginario iconico in cui le zeppe erano protagoniste. La sfida per Kamali ora sarà rifuggire dalla nostalgia e contribuire a un’evoluzione sensata per mantenere Chloé rilevante nel panorama moda.

Evoluzione che si attende forse con più ansia che mai da Alexander McQueen; la cui collezione di debutto firmata Seán McGirr è risultata la più divisiva della stagione (e forse degli ultimi anni).

Il 35enne irlandese McGirr possiede un’evidente attitudine concettuale acquisita negli scorsi 3 anni passati da JW Anderson; e proviene da una famiglia operaia come l’eternamente compianto Lee McQueen. Come ricorda la giornalista di moda Rachel Tashjian nel suo articolo per il The Washington Post, Alexander era il suo secondo nome. Un uomo dal talento unico, in grado di riversare i propri traumi e demoni interiori negli abiti che creava, rendendoli oggetti non di desiderio, ma di culto, per il resto del mondo.

L’asticella, per chi si ritrova a coordinare la direzione creativa di uno storico brand di moda, non è mai stata così alta. McGirr però si è detto eccitato dalla sfida e per nulla oppresso dal peso che un tale compito porta con sé. Come dichiarato in backstage alla stampa, ha sviluppato la collezione a partire dai sentimenti che animavano il lavoro di McQueen, piuttosto che dagli archivi del brand. Perversione, mistero, erotismo, sofferenza e impertinenza, dunque. Ironicamente però, il suo obbiettivo finale, era quello di dar vita a una collezione uplifting (edificante, esaltante ndr).

Ne è risultata una collezione per molti più vicina a un progetto sperimentale di tesi di uno studente di moda. Sono apparsi chiaramente alcuni riferimenti alla collezione The Birds della Primavera Estate 1995, da cui McGirr è partito. Si sono sovrapposti look dal preciso taglio sartoriale e identificativo della maison (Lee McQueen aveva una formazione come sarto da Savile Row). Sono apparse calzature ispirate ai cavalli dei nomadi irlandesi Pavee e abiti decorati da specchi che rimandano agli schermi frantumati degli iPhone. In chiusura, tre “car dress” in acciaio sagomato che alludevano al lavoro di meccanico del padre di McGirr. Tanti, forse troppi spunti che, anche se interessanti, hanno soffocato la possibilità di ottenere una visione o narrazione coerente e indicativa della nuova direzione che vuole prendere il marchio.

È vero anche, però, che in seguito alla bufera di critiche scagliate contro Sean McGirr, dovremmo fare tutti un passo indietro e riconoscere la difficoltà estrema di portare avanti un progetto così strettamente legato al suo fondatore. O domandarsi, piuttosto, se una manovra di questo tipo abbia ancora realmente senso.

Tra Arte, Classicità e Innovazione: la Nuova Boutique Ferragamo a Milano

Ferragamo ha riaperto a Milano la sua boutique dedicata alle collezioni donna.

boutique Ferragamo

Al civico 3 di via Monte Napoleone, nella cornice di palazzo Carcassola Grandi, il nuovo spazio della boutique Ferragamo si estende lungo 280mq di superficie. Qui si sviluppa il progetto di Vincent Van Duysen, l’architetto belga dal tratto rigoroso ed elegante, razionale e sensuale, a cui è stato affidato il rinnovo della boutique milanese. Un approccio raffinato ed essenziale, con cui sono stati selezionati e alternati materiali preziosi come la Pietra Chambolle, il marmo Rosso Napoleon, quello Calacatta Copper, la pietra onice bianca e il Noce biondo.

Insieme, questi materiali concorrono a dar vita a un ambiente dall’allure classica, ma che risulta comunque contemporanea. Una soluzione in linea con il genio del fondatore della maison, Salvatore Ferragamo, che proprio attraverso la contrapposizione di materiali e forme inedite è sempre riuscito a dar vita a creazioni lussuose e originali. Abilità che gli hanno fatto conquistare un posto d’onore nella storia della moda italiana e internazionale.

Lo spirito di Salvatore Ferragamo

A contraddistinguere lo “Shoemaker Of Dreams” (dal titolo del documentario su Salvatore Ferragamo, diretto da Luca Guadagnino) era anche il modo di approcciare le clienti. Lo spirito di accoglienza, dello stare insieme e il rituale della prova della calzatura sono gli aspetti per cui Salvatore era amato. Allo stesso modo, la boutique vuole restituire quei valori a coloro che si addentrano nelle sue stanze. Queste ultime sono state pensate come fossero parte di una grande casa, in cui aleggia un senso di comfort raffinato. Inoltre, ogni sala trasmette una precisa energia, in linea con la collezione che ospita.

A partire dalla grande sala in cui le calzature sono protagoniste, fino all’ambiente dedicato alla seta, tutte le calzature, le borse, gli accessori e l’abbigliamento sono disposti lungo un percorso di scoperta, puntellato di corner che invitano al relax e alla conversazione.

Prosegue l’epoca del Nuovo Rinascimento nella boutique Ferragamo

“Sono felice di vedere le collezioni che ho creato per Ferragamo in uno spazio che ne valorizza il design e i dettagli. Scenario perfetto per la mia creatività, espressione di un’eleganza sensuale” ha dichiarato Maximilian Davis, l’attuale Direttore Creativo del marchio dal 2022.

Con il suo talento Davis ha rinnovato profondamente la superficie di Ferragamo, riportandolo in auge tra i brand più interessanti del panorama moda attuale. Una delle campagne pubblicitarie da lui concepite e universalmente apprezzate è la celebre “New Renaissance”, realizzata per la collezione AI23. In linea con quello spirito di Rinascimento contemporaneo, la nuova boutique si pone come mecenate per una nuova generazione di designer.

Si incontrano opere come Acquario di Andrea Mancuso/Analogia Project, autore anche di un tavolo nell’ambiente d’ingresso della boutique. Entrambi sono stati ideati sotto la supervisione di Nilufar e della sua fondatrice Nina Yashar. In alcuni spazi compare Corallium, la collezione di tavoli creati da Andrea Anastasio; editata dalla galleria Giustini/Stagetti, Roma, il designer utilizza fili di cuoio per “cucire” le pietre, isole cromatiche matericamente in relazione con lo spazio. Ancora, si trovano i pezzi unici di JoAnn Tan, un esercizio di upcycling virtuosistico e raffinato. Si tratta di mobili espositori ricoperti a mano con centinaia di frange di pelle, scarti recuperati nelle sedi produttive Ferragamo; a essi si aggiungono i pouf “insetti”, con ricami in rafia o patchwork di pelle ispirati ai pezzi d’archivio zoomorfi.

Design e arte che combinati danno spesso vita anche agli abiti, alle calzature e agli accessori che arricchiscono l’immaginario della moda. Ma soprattutto, danno vita al mondo Ferragamo: dalle origini ad oggi e verso il futuro.

Icy Subzero vola con il suo singolo “I CAN FLY”

Venerdì 22 marzo 2024 è uscita I CAN FLY, l’ultimo pezzo di Icy Subzero. Il rapper emergente di origine romana si è fatto conoscere al grande pubblico in relativamente poco tempo. Le sue EGO e MUJER, entrambe contenute nell’EP Sottozero del 2022 si sono aggiudicate rispettivamente un disco di platino la prima (con oltre 47 milioni di stream su Spotify e 13 milioni di views su YouTube) e due la seconda, (65 milioni di stream e 26 milioni di views per il videoclip ufficiale).

Con un catalogo ridotto e con un totale di oltre 140 milioni di streaming per i suoi brani, Matteo D’Alessio (nome di battesimo di Icy Subzero) ha toccato i 2,5 Milioni di ascoltatori mensili su Spotify, ed è stato selezionato tra i testimonial per la campagna Radar 2023. Il suo ultimo brano era uscito a dicembre dello stesso anno, dal titolo: “1 MESSAGGIO”.

Icy Subzero può volare e non vede l’ora di spiegare le ali

Classe 1999, con I CAN FLY Icy intraprende una nuova strada all’inseguimento del suo sogno di fare della sua musica una carriera. «Una delle mie più grandi preoccupazioni è quella di passare la vita a tirare cazzotti a una porta che non si sfonderà mai. Da una parte mi sembra di non aver fatto niente di che finora, di essere davvero solo all’inizio. Ho l’impressione di non essermi ancora palesato al mondo. Dall’altra, se mi guardo indietro e ripenso al me stesso di 3 anni fa, mi dico: okay qualcosa di figo finora in realtà l’ho fatto».

Com’è tipico e giusto di un artista alle prese con un nuovo mondo di possibilità e opportunità, confida di avere un milione di cose nella testa che non vede l’ora di far uscire e altrettanti progetti che spera riuscirà a realizzare. «Certo uno deve essere bravo a darsi la pacca sulla spalla e celebrare un successo raggiunto, ma allo stesso tempo mantenere il focus per continuare a crescere». Essere curiosi, scalare la montagna continuando a spostare la vetta più in alto. «Per me è già assurdo venire contattato per suonare nei weekend ed essere pagato, e al contempo portarmi dietro gli amici con cui anni fa pensavamo sarebbe stato impossibile farcela».

Icy Subzero I CAN FLY
Icy Subzero

«È un pezzo che segna un nuovo inizio nel mio percorso e dal quale seguiranno tutti i nuovi step d’ora in avanti»

 “I CAN FLY” è un pezzo che segna una nuova svolta nel tuo percorso, sotto diversi aspetti: come ti senti?

Erano sei mesi che non droppavo niente quindi non sapevo cosa aspettarmi; invece, ho notato la stessa ricezione che c’era stata con le ultime release, per cui sono contento. Significa che il mio pubblico di base è rimasto fedele e per me significa tantissimo.

 “I CAN FLY” costituisce un punto di rottura, perché realizzarla mi ha permesso di uscire da determinati canoni che ho seguito finora. In un certo senso è un pezzo con cui posso vantarmi, soprattutto con me stesso, perché mi permette di ripensare a tutto ciò che mi è accaduto in questi anni e di cui vado fiero. È un pezzo che segna un nuovo inizio nel mio percorso e dal quale seguiranno tutti i nuovi step d’ora in avanti.

Ho notato un salto di livello anche per quanto riguarda il video e le visual in generale…

Sicuramente il video fa un 10 a 0 ai precedenti, ma questo è assolutamente merito di Giulio Rosati che è un mostro e ha dato vita a qualcosa di pazzesco. Abbiamo fatto 2 giorni interi sul set, 24 ore quasi filate: alla fine eravamo distrutti, ma contenti. Girare questo video mi ha permesso di uscire dalla mia comfort zone in diversi modi ed evolvermi rispetto a chi ero prima. Non mi sento stravolto rispetto alla persona che sono sempre stato, ma sicuramente è stata un’esperienza che mi ha rinnovato. Si cerca sempre di migliorare, no? Vorrei che ogni pezzo segnasse un level up, per me, rispetto a quello precedente.

Icy Subzero I CAN FLY
Icy Subzero

«Mi sono sempre sentito molto giudicato, e il sostegno che ho trovato nei fan, negli amici e nella mia famiglia mi riempie il cuore»

Se dovessi fare un punto della situazione, come ti senti rispetto a questo traguardo? C’è da sottolineare che hai avuto molto successo in poco tempo, se pensiamo che EGO e MUJER sono usciti nel 2022, segnando il punto di svolta per te…

Tutto ciò che abbiamo fatto finora è stato affrontato con la consapevolezza che si tratta di un percorso, la cui mira è: “Chi vorrebbe essere Icy e chi sarà?”. “I CAN FLY” costituisce un ulteriore passo in quella direzione. Ho bene in mente chi voglio diventare e tutto ciò che faccio si muove in funzione di questo obiettivo. Non mi do limiti temporali, le cose succedono quando devono succedere, ma sicuramente questo nuovo brano mi fa sentire più vicino al traguardo. Sia dal punto di vista del sound, che delle visual, che dello styling e quindi della mia immagine.

Quindi hai preso parte attiva nelle decisioni che dovevano essere prese nei diversi ambiti?

Assolutamente, in questo senso sono insopportabile (ride, ndr), non c’è cosa che mi riguardi in cui io non metta bocca. Con tutti i rischi del caso, perché è capitato che non abbia seguito certe indicazioni e suggerimenti che mi erano stati dati e di conseguenza le cose non siano andate bene come mi immaginavo. In questa occasione, infatti, mi sono affidato maggiormente alle direttive del team, ma segnalando sempre le poche cose principali a cui tenevo e in cui credo davvero. Sono comunque circondato da un team fortissimo, quindi mi sento fortunato e sono felice che il risultato abbia soddisfatto a pieno le mie aspettative.

Quando lo abbiamo ideato siamo riusciti a trovare un parallelismo che adoro tra “I CAN FLY” e la carriera di un artista: lanciarsi da un palazzo significa lanciarsi nel vuoto di una nuova esperienza, con tutta la gente che ti guarda aspettando il momento in cui impatterai al suolo. Non puoi prevedere davvero cosa succederà. Nel video io finisco per cadere sulla folla sottostante, che alla fine è il mio pubblico, che mi prende e mi sostiene: questo rispecchia ciò che effettivamente è successo a me. Mi ci rivedo tanto. Mi sono sempre sentito molto giudicato, e il sostegno che ho trovato nei fan, negli amici e nella mia famiglia mi riempie il cuore.

Icy Subzero I CAN FLY
Icy Subzero

«Più che i commenti negativi di uno sconosciuto, ciò che mi spaventa di più sono le mie aspettative. Sono il giudice più severo di me stesso»

La percezione del pubblico è qualcosa con cui chiunque si espone mediaticamente oggi deve fare i conti. I social possono risultare particolarmente utili e, in effetti, parte della tua notorietà è dovuta proprio a TikTok, la piattaforma con cui inizialmente il pubblico ti ha conosciuto. Al contempo, però, i social costituiscono terreni insidiosi da percorrere. Come vivi questa nuova esposizione mediatica tu?

Non ci soffro particolarmente. Non bado molto ai commenti sotto i post di Instagram o TikTok, ma leggo sempre i messaggi che mi arrivano in privato. Questi mi influenzano di più, e fortunatamente ricevo solo amore. Più che i commenti negativi di uno sconosciuto, ciò che mi spaventa di più sono le mie aspettative. Sono il giudice più severo di me stesso.

Ci possono essere dieci mila persone che mi odiano e un milione di altre che mi ignorano, ma se ce ne sono 10 a cui arriva ciò che voglio trasmettere, per me è sufficiente. Sono usciti pochi pezzi finora e, di conseguenza, ci sono tante sfaccettature di me che non ho potuto ancora mostrare. Ciò che scrivo però, per quanto possa apparire banale, risuona sempre in modo profondo con la mia vita. Per cui sono soddisfatto quando scopro che qualcuno ci si è ritrovato ed è entrato in connessione con i miei pezzi.

Icy Subzero I CAN FLY
Icy Subzero

«Vado molto a periodi, mi piace ascoltare generi diversi e in base a come mi sento, creo»

Molti dei tuoi pezzi sono caratterizzati da una certa influenza latina. Come si interseca questo aspetto con la tua “romanità”?

È un tipo di musica che mi piace molto. A essere onesto è un’influenza di questo periodo, perché quando ho cominciato a fare musica ero più vicino al trap “tradizionale”, se vogliamo chiamarlo così. Vado molto a periodi, mi piace ascoltare generi diversi e in base a come mi sento, creo. Quindi non è un genere a cui voglio rimanere legato e non vorrei essere associato a quello andando avanti. Semplicemente è un tipo di sonorità con cui mi sentivo in sintonia in questo momento della mia vita.

L’essere di Roma invece credo sia proprio il mio punto forte. Abbiamo un attitude diversa da quella più tipica del panorama milanese, che costituisce comunque il centro della scena. Per cui forse diventa più facile distinguersi una volta che ci si riesce a stabilire nel giro. Basta pensare a Noyz (Narcos, ndr) o a Tony (Effe, ndr) o Gemitaiz: “pochi, ma buoni”.

C’è un aneddoto in particolare che, quando ci ripensi, ti fa apprezzare maggiormente quello che stai facendo?

C’è stata una serata in cui mi trovavo in Puglia per suonare. Quando sono arrivato nel backstage mi informano che c’è una ragazzina di 17 anni di Praga che non è mai stata in Italia, ma che è venuta appositamente per sentire la mia esibizione. Purtroppo, è affetta da SLA e un’associazione di Praga le ha chiesto di esprimere un desiderio che potessero aiutarla a realizzare e la sua risposta è stata che voleva venire in Italia a un concerto di Icy Subzero. Mi aveva scoperto tramite TikTok e aveva chiesto alla madre di accompagnarla. Questo per me è stato potentissimo. Mi ha permesso di rispondere alla domanda: «Ma di concreto, io, che sto facendo?». Ora con lei ci sentiamo sempre, è qualcosa di davvero speciale che mai avrei immaginato di vivere.  

“Muro” è fuori! Il nuovo brano di RBSN con Marco Castello

Quando una collaborazione musicale nasce dalla vera amicizia produce un suono diverso. Lo dimostra Muro, il nuovo brano di RBSN, al secolo Alessandro Rebisani, con Marco Castello in uscita oggi 8 Marzo per ODD Clique.

Parole in inglese che si fondono con inedita e sorprendente naturalezza a quelle in siciliano, plasmando una canzone che va oltre il tempo e lo spazio. Un botta e risposta sfaccettato di blues, tra chitarre feline e un piano Rhodes vellutato.

Muro è la prima uscita discografica di Odd Clique, un collettivo giovane e intraprendente nato a Roma, che mira a celebrare e diffondere la sua ricca scena musicale dal respiro internazionale. Questa sera, venerdì 8 marzo, al River Loft / Lanificio di Roma ci sarà il Launch Party dell’etichetta, oltre che il release party di Muro. Il brano verrà eseguito dal vivo in full band in apertura all’esibizione di Mansur Brown, ospite principale della serata. Straordinario chitarrista britannico, Mansur Brown è anche autore, produttore e polistrumentista, capace di unire nella sua musica flamenco, hip hop e afrobeat.

Muro RBSN e Marco Castello
Muro cover

«La musica è un modo per esprimere e condividere. Tra artisti deve esserci senso dell’altro e non competizione. Dev’esserci ascolto totale. È così che si crea qualcosa di maggiormente fruibile e nutriente per chi ascolta»  

Come descriveresti l’altro in tre parole?

RBSN: Velocissimo, fortissimo, ma anche serissimo.

M. C.: Bellissimo, dolcissimo, gli voglio benissimo.

E come descrivereste la vostra musica?

RBSN: Ovviamente è un’introspezione, nasce in quel modo e per me è stata anche una chiave per capire la musica in generale e ora è diventato un vettore quindi qualcosa che mi fa fare le cose. Un catalizzatore. Rispetto alla musica di Marco io gli dico sempre che per me lui è un mediatore, possiede una grande forza nelle cose che dice e che fa.

M. C.: La mia musica è una copia della copia dela copia di un sacco di altre cose con dentro delle storielle che mi piace raccontare. La music di Ale invece è un’astronave potentissima che fa viaggiare. Quando chiudo gli occhi la ascolto e volo e viaggio per altre galassie.

Muro RBSN e Marco Castello
RBSN e Marco Castello by © Federico Zanghi

«Il tema del viaggio è una componente essenziale per chi fa musica perché musica è viaggiare stando fermi»

Navigando questo tema del viaggio, il brano “Muro” è una tappa dei vostri singoli percorsi come artisti, che però avete condiviso. Nonostante corriate su binari in qualche modo paralleli, il vostro incontro ha dato vita a qualcosa di davvero innovativo. Com’è successo?

RBSN: La musica come diceva Marco è davvero tutta una copia della copia della copia, soprattutto nella nostra generazione. Quando ci siamo trovati per suonare siamo partiti dal modello di una cosa molto vintage per cui mi fa effetto sentir dire che quello che ne è nato venga percepito come qualcosa di “nuovo”. Sicuramente io marco abbiamo tantissime caratteristiche e gusti diversi, ma a livello di musica abbiamo trovato molti punti in comune e credo sia lì che ci siamo trovati.

M. C.: Al di là delle affinità e amicizie in comune per me è stata un’occasione per rituffarmi in qualcosa che io sarei voluto diventare. Mi spiego meglio: la mia formazione è di stampo jazzistico più o meno come quella di Ale e degli altri ragazzi che hanno collaborato alla nascita di “Muro”. Perciò quell’oceano lì è sempre stato nel mio cuore, finché non mi sono buttato nelle canzoni in italiano. Avere l’opportunità di registrare finalmente un pezzo che rimandasse a quei suoni e a quelle atmosfere per me è stato bellissimo e anche un po’ un’esperienza catartica. Ho realizzato che c’è ancora una porta aperta per me e che non sono costretto a suonare lo stesso genere per sempre.

Avete registrato in una location piuttosto speciale: una casa sugli scogli a Scilla. Pensate abbia influenzato in qualche modo la stesura del pezzo?

RBSN: Senz’altro. Eravamo ospiti di Federico Romeo, che è il batterista. Io c’ero già stato e altri componenti c’erano già passati nella loro vita. È un luogo ricolmo di vita e di ricordi e in qualche modo registrare lì ha segnato un pezzo di storia per la villa perché non era mai successo un evento di questo tipo. Ha contribuito anche alla scrittura del pezzo sicuramente, anche perché si tratta di un’opportunità sempre più rara fare le cose in questo modo nella contemporaneità. È una fortuna essere in condizioni buone sia a livello pratico che creativo. Infatti, il pezzo è nato in 5 ore… questo significherà qualcosa no?

M. C.: Sì ha contribuito senz’altro all’ispirazione di fondo. Per quanto mi riguarda, come mi sono seduto di fronte al mare immerso in questo posto bellissimo ho cominciato a suonare in automatico, come se fosse esploso tutto ciò che avevo dentro. Inoltre, il clima era stupendo, eravamo tutti presi benissimo, mangiavamo insieme, dormivamo bene, e questo ha messo tutto nel giusto binario, permettendo che le cose filassero lisce e con amore, come è giusto che sia.

Muro RBSN e Marco Castello
RBSN e Marco Castello by © Federico Zanghi

«Quella del muro è un’immagine concettualmente ricca di significati, perché può rappresentare sia un ostacolo, che una protezione, ma anche qualcosa da abbattere per liberarsi»

Il testo appare come un dialogo tra due persone, un alternarsi di stimoli continuo espresso in due lingue differenti. Come si è sviluppato questo approccio?

M. C.: Abbiamo cominciato a scrivere separatamente e poi ci siamo resi conto che avevamo toccato entrambi dei punti in particolare, dei contrasti che evidentemente tutti e due volevamo esprimere. Così abbiamo deciso di spingere su quell’argomento e si è creato un dialogo sia tra le lingue, Ale in inglese e io in siciliano, che tra i personaggi del testo. A livello compositivo è stato divertente. Quella del muro è un’immagine concettualmente ricca di significati, perché può rappresentare sia un ostacolo, che una protezione, ma anche qualcosa da abbattere per liberarsi.

Credo che alla fine il significato del testo sia che nonostante i contrasti c’è sempre qualcosa per cui vale la pena rendere questo muro una casa, anziché ridurlo a una barriera.

RBSN: Sì esatto, si tratta di un muro che stai costruendo, un po’ come abbiamo costruito noi il pezzo. L’obiettivo iniziale era quello di riuscire a parlarci tra noi all’interno del brano, ma non eravamo certi di come arrivare al risultato. Ci siamo concentrati su una metrica semplice, anche a livello di significato delle parole: Marco ha messo in mezzo una serie di discorsi legati a proverbi siciliani, mentre io ho appuntato alcuni luoghi comuni, “figure of speech” in inglese. Così si è creato un terreno da rimpinguare con l’armonia e i vari aspetti della canzone.

È stato davvero divertente perché non sapevamo se fosse un approccio sensato, ma quando ci siamo resi conto che aveva funzionato siamo morti dalle risate.

Questo approccio alla musica, in riferimento al contesto in cui è nato “Muro” e il modo in cui è stato scritto il suo testo, è caratteristico del vostro modus operandi o è stata un’esperienza nuova? In questo caso, pensate vi condizionerà in futuro?

M. C.: Nel mio caso, dedicandomi a un altro genere rispetto a quello di Ale e di “Muro”, sono portato a registrare le mie canzoni “non live” come invece è successo in questa occasione. Per cui tale approccio mi è piaciuto tantissimo, proprio perché solitamente il mio approccio consiste nello stratificare elementi in successione e invece in questo caso è stato come fotografare un momento. È bello che il pezzo sia nato da una jam tutti insieme.

RBSN: Sì un po’ per necessità, un po’ perché lo volevamo fare, abbiamo registrato tutto live. Sicuramente vivermi Marco e scrivere qualcosa con lui è stato stimolante, perché c’è proprio qualcosa legato al suo modo di essere che riempie lo spazio ogni volta che entra in una stanza. Mi ha insegnato ad ascoltare meglio e di conseguenza a saper come trascinare meglio, sia che si tratti di audience o di qualcuno con cui stai lavorando. Quindi se la registrazione live è certamente qualcosa di molto figo per noi entrambi nerd musicali, l’esperienza in sé con i ragazzi è stata molto speciale.

Muro RBSN e Marco Castello
RBSN e Marco Castello by © Federico Zanghi

«Forse l’obiettivo è più che altro vivere in modo più organico con la musica, quindi legare la quotidianità alla scrittura e al suonare ecc. senza necessariamente puntare a una meta da raggiungere. Trasformare la musica in un vero e proprio stile di vita»  

Spostandoci sull’etichetta dietro il lancio di Muro, com’è stato lavorare con ODD Clique e cosa significa lavorare con una realtà emergente nell’industria musicale oggi?

RBSN: Marco e io abbiamo un amico in comune, Federico Zanghì che appartiene al direttivo di ODD Clique e ha fatto da tramite affinché ci conoscessimo nel 2021. Ci siamo trovati benissimo e da quel momento abbiamo deciso di provare a suonare e creare qualcosa insieme. Dopo una serie di situazioni, dinamiche e brani in fase di finalizzazione, abbiamo trovato l’occasione giusta per dar vita a qualcosa di ufficiale e fatto bene, ossia con un editore e senza dipendere da nessuno. Fare community e gruppo infine è stata la scelta davvero vincente e qualcosa che in Italia, a livello di musica e cultura, forse dovremmo fare di più.

M. C.: Sottoscrivo tutto. In completa onestà io sono stato forse un po’ bruciato dalle dinamiche più industriali in un certo senso della musica. Perciò realtà come ODD sono un toccasana per la scena musicale italiana, affinché possa rinfrescarsi e rinnovarsi. Purtroppo, molte delle grandi etichette nascondono del marcio, quindi ben vengano realtà indipendenti come questa! E mi riferisco a progetti che siano veramente indipendenti e non sottomarche delle major, come spesso accade.

Cosa augurate l’uno all’altro per il futuro?

RBSN: In generale quando penso a Marco nel futuro me lo immagino mentre vola in luoghi inesplorati e tocca nuove frontiere. Credo di sapere dove vorrebbe stare lui, almeno idealmente, e sono sicuro che prima o poi ci arriverà.

M. C.: Spero che Ale possa essere sempre soddisfatto e felice di quello che fa.

RBSN e Marco Castello by © Federico Zanghi

Milano Fashion Week donna Autunno Inverno 2024 recap: da Ferragamo a Lorenzo Seghezzi e Yezael

La Milano Fashion Week si è conclusa tra gioie e dolori, lasciando una serie di punti di domanda circa la sua impostazione e rilevanza, che sicuramente porterà a interessanti confronti nei prossimi mesi.

La realtà odierna è sempre più difficile da affrontare e sembra che nuovi immaginari alternativi in cui rintanarsi fatichino a prendere forma. L’ossimoro maggiormente discusso è l’ascesa vertiginosa dei prezzi del lusso in un mondo che punta alla sopravvivenza. Inoltre, sorge un dubbio circa il ruolo effettivo della narrazione all’interno delle presentazioni delle collezioni. In diversi casi, infatti, la loro attenzione sembra essersi spostata sul prodotto anziché sulla storia che solitamente lo accompagna. Una manovra che forse risponde anche alle accuse di scarsa qualità che sui social vengono scagliate sempre più spesso alle maison di lusso, sia da parte di clienti storici, che novelli.

In questo clima di incertezze, poi, rispetto agli scorsi calendari della Milano Fashion Week alcuni brand hanno scelto di non sfilare e di optare per la formula della presentazione. Non sono mancati comunque i debutti di stagione e le proposte più sovversive di marchi emergenti e coraggiosi.

Maison Yoshiki Paris

Cuore italiano: alcuni big della Milano Fashion Week

Marco Rambaldi è il grande rappresentate di quei brand emergenti che, stagione dopo stagione, stanno marciando con successo nel complesso panorama moda italiano. “Memento amori, ricordati che Devi Amare, ricordati il cuore, la notte, la felicità: alcuni l’amore lo fanno per noia, noi invece di professione” recita il comunicato stampa. Amore al centro di tutto, dunque, anche della collaborazione con Vogue Italia per il progetto con il Parlamento Europeo in vista delle elezioni di giugno 2024. I valori democratici, di uguaglianza e di rispetto sono da sempre condivisi e veicolati dal lavoro di Marco Rambaldi. I suoi capi, il suo casting e tutto l’universo del marchio sono da sempre intrisi di messaggi politici chiari e inclusivi.

A questo proposito, la collezione Autunno Inverno 2024 è sembrata una resa dei conti, in qualche modo; un momento per guardarsi indietro e trarre delle conclusioni rispetto ai risultati raggiunti. In passerella, infatti, sono apparse rivisitazioni di pezzi e lavorazioni d’archivio, dove si giocava con il concetto di coprire il corpo per mostrarlo, risaltarlo. Erotismo che libera i corpi di qualunque genere, età, forma ed etnia e li rende potenti strumenti di comunicazione. Le collaborazioni con realtà come Redaelli 1893, D-house laboratorio urbano e Cuoio di Toscana esprimono l’animo italiano del marchio, mentre quelle con UGG e Swarovski ne sottolineano l’apertura internazionale. Una collezione per trasmettere fiducia nel domani che verrà.

Rimanendo in territorio prettamente italiano, Maximilian Davis ha presentato quella che viene definita da molti la sua miglior collezione per Ferragamo realizzata finora. Una serie di look spogliati di una qualsivoglia narrazione, forse non necessaria in quanto puri oggetti del desiderio dall’allure sofisticata e dalla qualità altissima. Con lo sguardo rivolto agli anni ’20, il focus era tutto sul prodotto: dai capispalla e completi in lana agli abiti sfrangiati e trasparenti, la resa era sinonimo di lusso e frutto delle più alte maestranze artigianali italiane. I look giocavano con la monocromia e una palette che si muoveva tra il verde oliva, il mostarda e il nero. Ha fatto un gran ritorno anche il “rosso Ferragamo”, che aveva contraddistinto l’arrivo di Davis alla casa di moda quattro collezioni fa, e che sembra rimanere un suo segno distintivo.

Lo stesso vale per la collezione Autunno Inverno 2024 di Ermanno Scervino, intitolata Fashion Atlas. I capi della donna Scervino si focalizzano sulle forme del corpo femminile, interpretate come espressione di forza. Le silhouette risultano accentuate e potenti grazie all’uso di tessuti tradizionali maschili quali il gessato e le grisaglie in lana, a cui sono stati incorporati elementi sensuali come il corsetto. I materiali sono il cardine su cui ruotano i look, quasi tutti monocromatici e dunque resi interessanti dalla giustapposizione delle texture. Shearling ricamato a mano, corsetteria in satin rosa chiaro e pelle effetto coccodrillo sono alcune delle lavorazioni-espressioni della maestria artigianale toscana scesa in passerella. Sinonimi di lusso italiano, di cui il brand è rinomato portavoce.

Anche da Missoni, uno dei marchi storici protagonisti nella nascita del Made in Italy, la narrazione è stata sostituita da un esercizio di stile. La riga occupa il centro della collezione e si espande a ricoprire tutto ciò che la circonda. La linearità delle righe si ritrova sia nelle silhouette che sui tessuti, viene declinata matericamente nel punto pelliccia e nel tweed Caperdoni. Il bianco e il nero amplificano questo ritorno all’essenziale e il rigore permette l’intrusione solamente di colori primari e terrosi. L’approccio geometrico sembra essere caratteristico della nuova direzione creativa di Filippo Grazioli, che col suo lavoro sta tentando di modernizzare i motivi caratteristici di Missoni.

Donne per le donne: Vivetta, Chiara Boni e Francesca Liberatore

Muovendosi per le stanze di Cavoli a Merenda, suggestivo ristorante situato in un edificio del XVIII secolo nel cuore di Milano, la collezione Autunno Inverno 2024 firmata Vivetta riprende l’esercizio di dualismi caro alla stilista. Compaiono infatti elementi a contrasto nei look, ma accomunati da quel decorativismo romantico di fiocchi e rose che eleva l’ordinario a universo onirico. L’atmosfera regnante era quella cozy di casa, che Vivetta Ponti desiderava trasmettere attraverso i capi: languidi e iper-femminili, maliziosi e un po’ capricciosi, in pieno gusto coquette.

La rosa è il centro da cui si dirama la collezione, fiore sinonimo di bellezza e fragilità, un qualcosa da custodire con cura. Un concetto che però non vuole essere espressione totalizzante della donna Vivetta, anzi. Ben conscia del modo in cui si presenta, la donna narrata nella collezione non si prende sul serio, accessoriandosi di ironia. Da qui i gioielli dalla forma fallica, che si alternano a mise talvolta monastiche. Intrigante, infine, la scelta di far indossare per la prima volta qualche look della collezione anche a dei modelli uomini. 

Chiara Boni celebrava il punk borghese con la sua collezione Autunno Inverno 2024, incarnando lo spirito autentico della moda britannica con irriverenza ed eleganza. La collezione si ispirava a una valigia di ricordi di viaggio, reinterpretando pezzi inediti con il suo stile italiano. Ecco allora che i pattern tartan e scozzesi dominano, creando un’atmosfera cozy e senza tempo nel guardaroba. Motivi sartoriali tradizionali come lo spigato e il Principe di Galles si mescolano con silhouette femminili arricchite da dettagli kilt. Il jersey iconico del brand imita la flanella, mentre il velluto aggiunge raffinatezza. La palette di colori evoca la campagna britannica, spaziando dal bianco invernale ai toni intensi del mirtillo e del blu artico. Ancora, maxi fiori celebrano la bellezza dei giardini britannici. Ad aprire e chiudere la sfilata una modella d’eccezione: Anna Cleveland, figlia della top model e leggenda della storia della moda Pat Cleveland.

Francesca Liberatore ha offerto gratuitamente alcuni biglietti per la sua sfilata della collezione Autunno Inverno 2024 2025, grazie al Patrocinio del Comune di Milano. La sfilata si è tenuta nella sala Verdi del Conservatorio di Milano, presentando un mix di grunge romantico e eleganza. La collaborazione con l’Alpen Symphonie Orchester e la Fondazione Società dei Concerti di Milano ha sottolineato la forza che scaturisce dalle arti congiunte e il valore che possono creare. La Fondazione La Società dei Concerti ha presentato il concept di Swipe Your Stage!, permettendo al pubblico di ammirare i dettagli degli abiti attraverso tablet forniti in dotazione. Liberatore ha affermato: «I miei sono dei test, delle esperienze sconosciute che desidero vivere e far vivere al mio pubblico proprio in funzione di quella creatività che presuppone il nuovo e quindi l’imprevedibilità del risultato finale, che spero sempre possa aggiungere qualcosa alla visione ed emozionalità collettiva».

I debutti di Maison Yoshiki Paris, J Salinas e Custo Barcelona alla Milano Fashion Week

Maison Yoshiki Paris è il nuovo marchio di alta moda di Yoshiki Hayashi, musicista giapponese, ma anche compositore, produttore discografico, regista cinematografico. Dall’universo tradizionale dei kimono legato alla sua attività familiare e al suo marchio Yoshikimono, fondato nel 2011, Yoshiki non è nuovo all’industria della moda. Il suo nuovo brand di lusso ha debuttato alla Milano Fashion Week con una sfilata presso l’Università Bocconi.

Per l’occasione, Yoshiki ha selezionato un team di alto livello proveniente da tutto il mondo, tra cui l’iconica Carlyne Cerf de Dudzeele, Maida Gregori Boina per il casting, i lead artist Odile Gilbert per l’hair styling e Kabuki per il make-up, e Kuki de Salvertes, direttore dello sviluppo del marchio. La collezione, completamente immersa nel nero con rari accenti di rosso, si componeva di 37 outfit in versione total look, comprendenti abbigliamento, accessori e scarpe. L’intenzione dichiarata è quella di dar vita a un brand lifestyle. In questa direzione, infatti, vanno le collaborazioni con il marchio giapponese Grounds per le sneaker e i pezzi di gioielleria ispirati all’hardcore firmati Archived Prototypes.

J Salinas, stilista peruviano, ha fatto il suo debutto alla New York Fashion Week nel 2016 dopo aver completato gli studi in fashion design presso il prestigioso Philadelphia College of Textiles & Science negli Stati Uniti. Questa stagione ha scelto di tornare sulle passerelle presentando la nuova collezione alla Milano Fashion Week. Il suo lavoro è un omaggio all’emporio tessile peruviano, da cui proviene la scelta di collaborare con i comitati di tessitori andini. Tutto ciò ha aggiunto un tocco di sostenibilità e autenticità alla sua produzione, con artigiani locali che hanno realizzato a mano molti dei suoi capi. Tale approccio non solo valorizza le tradizioni artigianali locali, ma crea anche legami significativi tra le comunità.

La collezione Autunno Inverno 2024 di Salinas, chiamata HUAYLARSH, è un tributo ai costumi dei balli tipici della città di Junìn, situata sulla cordigliera centrale del Perù. Le trame e le lavorazioni della collezione si ispirano ai fiori dei costumi tipici della regione andina, e si manifestano attraverso stampe e ricami di lana di alpaca lavorati a mano.

Custo Barcelona torna a sfilare a Milano dopo 15 anni. Il marchio, fondato dai fratelli David and Custo Dalmau a Barcelona negli anni 80, ha presentato l’ultima collezione donna al Museo della Scienza e della Tecnica. Un clash di colori, stampe e tessuti, dove il laminato rimanda chiaramente al passato del brand.

Presentazioni Dentro e Fuori Calendario

Lorenzo Seghezzi e Yezael di Angelo Cruciani sono stati scelti come special guest per l’apertura del nuovo LIVE STORE powered by Sold Out District. Si tratta di un innovativo format retail milanese in Corso Buenos Aires 56, che mira ad aggiungere valore allo shopping district della città. Il negozio è il frutto dell’esperienza di Corrado Alota, fondatore dei negozi Jdc, e Andrea Pezzali di Two Leaders, noti per la gestione del retail. Questo nuovo punto vendita è concepito come un hub vivente di moda, creatività e cultura, con una rotazione settimanale di brand e un’area eventi che offre visibilità a nuovi talenti.

Per l’apertura, il fashion designer Lorenzo Seghezzi ha presentato una serie di look couture realizzati per la cantante BigMama a Sanremo 2024. Noto per la sua maestria nell’arte della corsetteria e la moda su misura, l’orizzonte estetico di Seghezzi si basa su lemmi provocatori ed ironici, atti a mettere in discussione la supremazia bianca, eterosessuale e cisgender caratterizzante il mondo occidentale. Con il proprio lavoro pone inoltre degli interrogativi circa i concetti di machismo e mascolinità tossica troppo spesso associati a quelli di forza e potere. In prima linea nella promozione e difesa dei diritti civili e dell’uguaglianza, Seghezzi è impegnato anche sul fronte della sostenibilità, utilizzando da sempre solo materiali upcycled per le collezioni.

Yezael di Angelo Cruciani è stato il protagonista del secondo opening di LIVE STORE. Con live music di Plastik Doll e una performance artistica, Yezael ha dimostrando il legame tra moda e musica intrinseco al brand, da sempre trasmettitore di messaggi socio-culturali. Recentemente ha curato la performance sanremese della band LA SAD e Donatella Rettore per la notte dei duetti Sanremesi.

Dopo la partecipazione allo scorso Pitti Uomo 105, Borsalino ha presentato la nuova collezione Autunno Inverno 2024 in via della Spiga. Il tema è quello del miraggio nel deserto, con colori che incendiano grafismi inediti e investono forme nuove. Materiali tecnici e lavorazioni innovative riflettono la qualità manifatturiera degli artigiani di Alessandria, guidati dall’head of style Jacopo Politi.

STIAMO SOTTOVALUTANDO LA BERLIN FASHION WEEK?

La Berlin Fashion Week è una delle vetrine satelliti che ruotano attorno alle quattro canoniche settimane della moda di New York, Londra, Milano e Parigi. Una kermesse che per la stagione Autunno/Inverno 2024 ha occupato i giorni fra il 5 e l’8 febbraio 2024 e con la quale sono state presentate, per necessità, sia le collezioni uomo che donna.

Nonostante il titolo di sorella minore, però, la Fashion Week di Berlino si è rivelata un hub creativo di tutto rispetto, oltre che un esempio virtuoso di collaborazione tra poteri forti e brand emergenti. I quasi 20.000 ospiti nazionali e internazionali hanno partecipato ai 32 spettacoli di moda e ai 42 eventi collaterali, confermando l’ascesa della Settimana della Moda tedesca tra i nuovi poli della moda globale.

Il ruolo chiave del Fashion Council Germany per la Berlin Fashion Week

Responsabilità ed elogi per un tale successo sono da ritrovare nel Fashion Council Germany e nel modo in cui contribuisce attivamente a promuovere la moda e il design nel paese e nel mondo. Fondato nel gennaio 2015 a Berlino su iniziativa di esperti dell’industria nazionale, il FCG promuove il design tedesco come un patrimonio culturale ed economico e sostiene giovani designer provenienti dalla Germania. Per raggiungere questo obiettivo, il FCG si concentra sull’Educazione, sulla Sostenibilità e sulla Tecnologia della Moda, nonché sulla promozione del dialogo interdisciplinare e del networking. Pertanto, il Fashion Council svolge un lavoro di lobbying essenziale nella politica, nell’economia e nella cultura, mira alla visibilità e sottolinea la rilevanza globale del design e della produzione di moda tedeschi a livello nazionale e internazionale.

Fin dalla fondazione della Berlin Fashion Week poi, anche il Dipartimento del Senato di Berlino per l’Economia, l’Energia e le Aziende Pubbliche è stato attivamente coinvolto e sostiene una varietà di format diversi inerenti alla Settimana della Moda berlinese. Lo dimostra la collaborazione con il FCG per i concorsi BERLIN CONTEMPORARY e STUDIO2RETAIL: due iniziative che condividono l’obiettivo di rafforzare la rilevanza internazionale di Berlino come centro della moda e offrire una vetrina ai talenti del design e alle loro collezioni.

Le iniziative che premiano i talenti: BERLIN CONTEMPORARY e STUDIO2RETAIL

Il BERLIN CONTEMPORARY è un concorso in cui vengono selezionati 18 marchi (consolidati e emergenti) che convincono sia stilisticamente che dal punto di vista dell’artigianato e del concetto, con un potenziale economico internazionale. Ricevono un premio di 25.000 € ciascuno per le sfilate. La giuria, composta da sette esperti internazionali di stampa, social media, sostenibilità e sviluppo economico, valuta i marchi e i loro concetti in base alla performance di design, alla commercialità, all’impatto mediatico e al grado di innovazione. Oltre al premio in denaro, i vincitori ricevono supporto aggiuntivo nella comunicazione e nella produzione degli spettacoli, nonché preziose connessioni di rete e contatti per le vendite e le relazioni pubbliche.

STUDIO2RETAIL invece è l’iniziativa B2C della Berlin Fashion Week, che si propone di rendere la moda accessibile a tutti. Il concorso STUDIO2RETAIL sostiene il commercio al dettaglio fisico, gli eventi e altri designer tedeschi a Berlino e porta l’atmosfera speciale della BFW anche per le strade della città. Vengono premiati all’interno del concorso i concept di eventi rivolti ai consumatori finali che mettono in primo piano temi chiave come la sostenibilità, l’inclusione, l’educazione e la comunità. I cinque concept più convincenti ricevono un supporto di 5.000 € ciascuno.

Grazie a STUDIO2RETAIL, chiunque può far parte della settimana della moda di Berlino, che si tratti di lavorare nell’industria della moda o di essere semplicemente appassionati di moda. L’accesso è offerto da una rete di atelier, pop-up store e negozi che aprono le loro porte durante la Berlin Fashion Week e offrono speciali, oltre a un calendario degli eventi che elenca tutti gli eventi a cui possono partecipare anche gli appassionati di moda senza esperienza professionale, inclusi i concept premiati nel concorso.

Streetstyle by Caroline Kynast

I protagonisti della Berlin Fashion Week

Un po’ come faceva Londra prima, Berlino rappresenta oggi movimenti e tendenze (sub)culturali progressiste che uniscono moda, arte, design così come la scena dei club e della musica. La Settimana della Moda di Berlino riflette queste interconnessioni e si concentra su temi rilevanti come la sostenibilità, l’inclusione, l’innovazione e lo sviluppo del talento.

Tra brand già noti nel panorama moda internazionale (per i più attenti) e altri nuovi talenti, le collezioni presentate sono accomunate da casting che celebrano la diversità e da design stimolanti. Alcuni sicuramente meglio indirizzati da un punto di vista commerciale rispetto ad altri, ma tutti interessanti sotto l’aspetto creativo.

È possibile dividere a grandi linee i marchi che rispecchiano maggiormente quell’idea di moda berlinese più diffusa nell’immaginario comune. Parliamo di quella legata alla scena del clubbing e della vita notturna, dove il nero e i design maggiormente edgy la fanno da padrone. Dal lato opposto, invece, va un altro gruppo: i brand che provano a discostarsi da quest’estetica e indagano altre forme espressive, altri significati dell’essere berlinese (o tedesco) nella moda.

I rappresentanti del “Berlin-style”

Al primo gruppo appartiene il duo Namilia, che torna dopo il successo della scorsa stagione con la collezione In Loving Memory of My Sugar Daddy. L’altro amato duo è quello di Richert Beil. Il brand ha celebrato il suo decimo anniversario, riproponendo nell’ultima collezione i propri pezzi distintivi e reinterpretando i design e i pattern della loro collezione d’esordio del 2015. Ancora, Haderlump e Anonymous Club, considerati i migliori esponenti dell’ultima edizione della Berlin Fashion Week in termini di scenografia ben rappresentativa dello spirito di Berlino. Questo si traduce nell’estetica disruptive e oscura che rappresenta la città.

Infine, Marie Lueder e la sua Mono-Myth, ispirata alla passione della designer per l’artigianato medievale e che questa stagione ha collaborato con la Tintoria Emiliana di Stone Island, per sviluppare tinture rifinite a mano sui capi di punta.

Dichiaratamente ribelli e difensori della libertà di espressione più autentica, tutti questi brand hanno infuso nelle loro collezioni messaggi politici. Che fossero claim femministi o di empowerment più in generale, li si vedevano associati a look sovversivi, sia dal punto di vista della costruzione sartoriale che del binarismo di genere.

I brand della controcorrente

Fanno parte del gruppo “in contro-tendenza” le realtà del collettivo SF10G, Lou de Bètoly, Malaikaraiss (che sfila anche alla Copenhagen Fashion Week), il noto William Fan e Gerrit Jacob. Quest’ultimo è il giovane designer che ha aperto la BFW. Identità, sensibilità e savoir-faire accomunano le collezioni di questi brand, dove capi senza tempo, ma dai twist avanguardistici e, a loro modo, punk.

Tra i citati, la collezione di Lou de Bètoly sembra essere quella accolta con più entusiasmo.
La designer parigina con sede a Berlino è riuscita a dar vita, nel tempo, a un universo preciso dove regnano il surrealismo, la nostalgia, la decadenza, l’eccesso e l’onirismo. Con un passato da Jean Paul Gaultier, prima di stabilirsi a Berlino e creare il proprio marchio, le sue creazioni sono state viste su Dua Lipa, Rosalía e Beyoncé.

Chi sono gli artisti in gara a Sanremo 2024: Mahmood, Mr. Rain, Loredana Bertè, Negramaro, La Sad e Maninni

Sanremo 2024 è qui. Il tanto atteso 74° Festival della Canzone Italiana si prepara alla sua prima serata. Nel frattempo, per chi se li fosse persi, ecco alcuni tra gli artisti che si esibiranno sul rinomato palco dell’Ariston.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: La Sad

La Sad è un trio musicale nato del 2020 e composto da Theø, Plant e Fiks. I tre artisti desideravano unire i loro percorsi musicali per creare un nuovo collettivo con sonorità e immaginario punk, reinterpretati in chiave moderna. Theø, Plant e Fiks provengono da diverse regioni italiane (Lombardia, Puglia e Veneto) e si sono uniti grazie alla comune passione per la musica e a un forte legame di amicizia sviluppatosi nel corso degli anni.

Theø è un cantante ed ex chitarrista con esperienza di tour internazionali, mentre Plant è una giovane promessa con radici nel panorama trap ed emotrap. Fiks invece si distingue per un’attitudine punk e liriche dal tono cupo e riflessivo.

Fin dal loro primo singolo, SUMMERSAD, La Sad ha preso una direzione innovativa sia sul piano sonoro che delle tematiche affrontate nelle liriche, trattando argomenti legati alla depressione e ai problemi relazionali. Successivamente, hanno pubblicato altri singoli come Psycho girl, Miss U, 2nite e Summersad 2, consolidando la loro posizione nella scena musicale italiana e aprendo nuovi orizzonti musicali.

Il 14 gennaio è uscito il loro album di debutto STO NELLA SAD, che li ha consacrati come ambasciatori del nuovo emo italiano. Il trio ha continuato a pubblicare nuova musica, con brani come Summersad 3 e Sto Nella Sad Deluxe, che contiene collaborazioni con artisti come Villabanks, Steven Moses e Youv Dee.

La Sad ha ottenuto successi significativi, come la certificazione Disco d’Oro per il singolo Toxic da parte di FIMI/GfK Italia. Hanno proseguito con l’uscita del quarto capitolo della Summersad, Summersad 4, e nel corso dell’estate 2023 hanno intrapreso il Summersad Tour, organizzato il Summersad Fest e partecipato a eventi come Love Mi e esibizioni con gli Articolo 31.

Il 1° dicembre 2023 hanno pubblicato il singolo Memoria. Partecipano alla 74° edizione del Festival di Sanremo con il brano Autodistruttivo, confermando la loro presenza e influenza nel panorama musicale italiano contemporaneo.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Loredana Bertè

Loredana Bertè è un’icona della musica italiana che ha attraversato cinque decenni con la sua presenza carismatica e la sua voce potente. Sin dal suo debutto nel 1974 con l’album Streaking, ha dimostrato una versatilità unica e una capacità innata di trasmettere emozioni attraverso la sua musica.

Durante la sua lunga carriera, Loredana Bertè ha regalato al pubblico una serie di brani indimenticabili. Per citarne alcuni, ricordiamo Sei Bellissima, Dedicato, E la luna bussò, Non sono una signora, Acqua, Re, Fotografando. Nel 2018, ha ottenuto un enorme successo con il singolo Non ti dico no, in collaborazione con i Boomdabash, che è stato al vertice delle classifiche per settimane e ha ricevuto numerose certificazioni.

A Sanremo 2019, il brano Cosa ti aspetti da me ha fatto conquistare a Loredana Bertè tre standing ovation, consacrandola a vincitrice morale della 69ª edizione del Festival. Nel 2021, ha pubblicato l’album di inediti Manifesto, accolto con successo da pubblico e critica.

Una delle caratteristiche distintive della sua carriera è stata la capacità di abbracciare una vasta gamma di generi musicali, dal pop al rock, passando per il blues e il jazz. Questa versatilità le ha permesso di rimanere rilevante nel panorama musicale italiano e di attrarre un pubblico sempre più ampio.

Oltre alla sua musica, Loredana Bertè è stata un’importante voce per le questioni sociali, difendendo sempre le sue convinzioni e affrontando temi importanti. Uno fra tutti quello dell’emancipazione femminile. Ha organizzato eventi come Amiche in Arena contro la violenza sulle donne e continua a essere un’icona di stile e personalità amatissima dal pubblico italiano.

Con il suo talento, passione e determinazione, Loredana Bertè ha lasciato un’impronta indelebile nella storia della musica italiana, di cui continua a far parte. Calcherà il palco dell’Ariston di Sanremo 2024 con Pazza, una canzone che è un grido liberatorio d’amore verso se stessi e la vita.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Mahmood

Mahmood, all’anagrafe Alessandro Mahmoud, è nato a Milano nel 1992 da madre italiana e padre egiziano. Oltre a essere un artista di fama internazionale, è anche un apprezzato autore, con diverse collaborazioni di successo nel panorama musicale italiano. Fin da giovane, Mahmood ha coltivato una grande passione per la musica pop, urban e R&B, studiando canto, pianoforte e solfeggio.

Il suo debutto al Festival di Sanremo avviene nel 2016 nella sezione Giovani con il brano Dimentica, classificandosi al quarto posto. Nel 2018 pubblica il suo primo EP ufficiale, Gioventù Bruciata, seguito dall’omonimo album, certificato disco di platino. Nello stesso anno, vince la sezione Giovani del Festival di Sanremo con la title track Gioventù Bruciata, ottenendo il diritto di partecipare alla gara tra i big l’anno successivo.

Il 2019 è un anno chiave per Mahmood: vince il Festival di Sanremo con il brano Soldi, che diventa una hit planetaria e conquista numerosi premi e certificazioni. Rappresenta l’Italia all’Eurovision Song Contest, classificandosi al secondo posto e vincendo il premio per la miglior composizione musicale. Durante l’estate, raggiunge nuovi successi con il singolo Calipso e continua a consolidare la sua fama con il brano Barrio.

Nel 2020, Mahmood pubblica il singolo Rapide, seguito da altre produzioni di successo come Eternantena e Moonlight popolare. Nel corso degli anni, continua a pubblicare musica di qualità, con album come Ghettolimpo, accolto con entusiasmo da pubblico e critica.

Oltre alla sua carriera musicale, Mahmood si distingue anche come autore e personalità poliedrica, collaborando con altri artisti e partecipando a progetti cinematografici e televisivi di rilievo.

Il suo percorso artistico è caratterizzato da successi continui e riconoscimenti prestigiosi, confermandolo come una delle figure più influenti e innovative della scena musicale italiana e internazionale. Mahmood torna a calcare il palco di Sanremo 2024 con la nuova Tuta gold.

mahmood
Mahmood. ph. Giulia Bersani

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Maninni

Alessio Mininni, meglio conosciuto con il nome d’arte Maninni, nasce con una profonda passione per la musica, ispirato dai grandi del rock italiano e internazionale. Fin da giovane, coltiva il suo talento per la chitarra, il piano e la batteria, mettendo le basi per la sua futura carriera da produttore e autore.

Caratterizzato da un’anima taciturna ma empatica, Maninni trova ispirazione non solo nella musica, ma anche nella cucina, nel cinema e nelle serie TV, che influenzano costantemente il suo stile e le sue composizioni.

Il suo debutto nel panorama musicale avviene con singoli come Parlami di te, Peggio di ieri e Senza. Successivamente, firma con Sony Music Italy e pubblica brani come Vestito rosso, Vaniglia e Bari NY. Nel 2022, raggiunge la finale di Sanremo Giovani con il brano Mille Porte.

Il 2023 si rivela un anno di crescita significativa per Maninni, con l’uscita di singoli come Dicono, Graffi e MONOLOCALE. Si esibisce in importanti eventi musicali, tra cui il Concerto del Primo Maggio a Roma e apre alcune date del tour dei The Kolors. A ottobre dello stesso anno, viene premiato dalla SIAE come giovane cantautore più suonato dalle radio.

Attualmente, Maninni è in gara alla 74° edizione del Festival di Sanremo con il brano Spettacolare, che anticipa l’uscita del suo primo album omonimo, previsto per il 9 febbraio 2024. Il suo talento e la sua versatilità lo rendono una delle promesse più interessanti della scena musicale italiana contemporanea. A marzo, intraprenderà un tour nei club per promuovere il suo nuovo lavoro e continuare a conquistare il pubblico con la sua musica.

Sanremo 2024
Maninni

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Mr. Rain

Mr. Rain, pseudonimo di Alessio Raina, è un cantautore, rapper e produttore italiano nato nel 1991. Fin da giovane si appassiona alla musica, trovando ispirazione nei pezzi di artisti come Eminem e nella scena hip hop italiana e internazionale dell’epoca.

Il suo percorso artistico ha inizio nel 2009 quando comincia a scrivere i primi pezzi sotto lo pseudonimo di Mr. Rain. Nel 2011 pubblica il suo primo mixtape, Time 2 Eat, che ottiene un immediato riscontro a livello nazionale. Pur avendo ricevuto l’invito a partecipare a X Factor nel 2013, decide di declinare l’offerta, preferendo seguire la sua strada indipendente.

Nel corso degli anni, Mr. Rain ha pubblicato una serie di singoli e album che hanno conquistato il pubblico e la critica. Tra i suoi successi più eclatanti ci sono brani come Carillon, I grandi non piangono mai, Ipernova, Fiori di Chernobyl e Non c’è più musica. Il suo stile unico e le sue liriche profonde e personali hanno contribuito a renderlo uno degli artisti più amati e rispettati della scena musicale italiana.

Nel 2021, Mr. Rain pubblica il suo terzo album, Petrichor, caratterizzato da una forte tematica legata alla pioggia, che per l’artista rappresenta una fonte di ispirazione fondamentale. Nel dicembre dello stesso anno, tiene un concerto sold out al Fabrique di Milano, confermando il suo status di artista di grande successo.

Nel marzo 2022, Mr. Rain pubblica il suo quarto album, Fragile, interamente scritto e prodotto da lui stesso, confermando la sua versatilità e il suo talento sia come musicista che come produttore.

Nel febbraio 2023, Mr. Rain partecipa al Festival di Sanremo con il brano Supereroi, classificandosi terzo e conquistando il pubblico con la sua performance energica e coinvolgente. Il singolo ottiene un incredibile successo commerciale, diventando cinque volte platino in pochissimo tempo.

Nel corso della sua carriera, Mr. Rain ha continuato a collezionare successi e riconoscimenti, collaborando con artisti di fama internazionale e consolidando il suo status di superstar della musica italiana contemporanea. Concorre tra i Big di Saremo 2024 con il brano Due altalene.

Sanremo 2024
Mr. Rain

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Negramaro

I Negramaro sono una delle band più iconiche della musica italiana degli ultimi vent’anni. Con una carriera che spazia dal pop-rock all’elettronica penetrante, hanno lasciato un segno indelebile nel panorama musicale nazionale. Per dirne una, sono stati la prima band italiana a suonare allo Stadio San Siro di Milano e all’Arena di Verona.

La loro storia artistica è intrisa di un’inconfondibile formula ispirata a una miscela di esuberanza pop-rock e romanticismo. Come gruppo musicale, i Negramaro non rappresentano solo una storia artistica unica, ma soprattutto l’epopea di un’amicizia straordinaria. Il gruppo, infatti, si è formato nei primi anni zero sui banchi dell’università, crescendo e consolidandosi nel tempo. Ciò è avvenuto anche grazie all’intuito di Caterina Caselli, che li ha scoperti e voluti con sé nella Sugar fin dagli esordi.

La band, composta da sei artisti, ha inciso a fuoco gli ultimi vent’anni della musica italiana attraverso canzoni diventate ormai cult. Dall’omonimo album uscito nel 2003 fino all’ultimo disco di studio Contatto, il percorso dei Negramaro è caratterizzato da una serie di record e certificazioni multiplatino. La loro carriera comprende otto album di studio, un album live, un greatest hits e due docu-film.

Una formula sonora che mescola influenze diverse e testi che affrontano tematiche profonde e universali; ecco come i Negramaro hanno conquistato il cuore di un vastissimo pubblico, diventando una delle band più amate e rispettate del panorama musicale italiano. La loro musica continua a ispirare e a emozionare, confermando il loro status di icone della musica contemporanea italiana.

Partecipano al Festival di Sanremo 2024 con la canzone Ricominciamo tutto.

Chi sono gli artisti in gara a Sanremo 2024: Ghali, Irama, Gazzelle, Il Volo, Geolier e Il Tre

Mancano poche ore all’ufficiale inizio della 74esima edizione del Festival della Canzone Italiana e l’aria si fa sempre più elettrica. Carichi di curiosità e aspettative, siamo tutti pronti a scoprire le nuove proposte musicali che arricchiranno le nostre playlist nei prossimi mesi. Ecco, nel dettaglio, quali sono gli artisti in gara a questo Sanremo 2024.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Gazzelle

Gazzelle, una delle voci più amate e sincere della sua generazione, incanta il pubblico con la sua poetica romantica e spiazzante. Le sue canzoni hanno raggiunto oltre un miliardo di stream, guadagnando 24 dischi d’oro e 22 dischi di platino. I suoi concerti rappresentano un vero e proprio rituale collettivo, testimonianza tangibile di un amore incondizionato che ha affascinato mezzo milione di persone e ha riempito lo Stadio Olimpico il 9 giugno 2023.

Il suo mondo comunicativo è schivo e malinconico, ma sempre multiforme e imprevedibile. Flavio, come è conosciuto tra i suoi più intimi, ha conquistato il cuore degli ascoltatori con i suoi quattro album: Superbattito (2017), Punk (2018), Ok (2020) e Dentro (2023), ottenendo l’affetto trasversale dei suoi fan. Ha collaborato con vari artisti, tra cui Marco Mengoni, thasup, Fulminacci e Noyz Narcos, arricchendo il panorama musicale italiano con la sua versatilità e originalità.

A partire da marzo, l’artista farà ritorno sui palchi italiani con il tour DENTRO X SEMPRE, che toccherà 11 delle principali arene sportive del paese. Tutto qui è il brano che porta a Saremo 2024, scritto con F. Nardelli, e prodotto da Maciste Dischi.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Geolier

Geolier è un talento con pochi pari, caratterizzato da una personalità poliedrica ma distintiva, capace di evolversi costantemente e di presentarsi al suo pubblico con una freschezza sempre nuova. È senza dubbio uno dei fenomeni musicali più eclatanti emersi in Italia negli ultimi anni. Originario di Napoli, ha radici profonde ma è sempre teso a superare confini geografici e musicali.

In pochissimo tempo, Geolier è diventato un punto di riferimento per l’urban italiano, conquistando una vasta base di fan e collezionando importanti riconoscimenti: ben 53 dischi di platino e 23 dischi d’oro. Il suo disco d’esordio, Emanuele, ha piantato i semi del suo successo, mentre il suo secondo album, Il Coraggio dei Bambini, ha scritto un nuovo capitolo nella storia della musica italiana.

Il Coraggio dei Bambini, certificato cinque volte platino da FIMI/GfK Italia, ha dominato le classifiche musicali del 2023, posizionandosi al primo posto sia su Spotify che nella Classifica Top Album FIMI 2023. Geolier ha conquistato anche le classifiche di fine anno di VEVO, raggiungendo il primo posto nella Top 10 Artisti Italia e il terzo posto nella Top 10 Video Italia con il brano Come vuoi.

Dopo due tour sold out nel 2023, Geolier ha annunciato nuovi concerti per l’estate del 2024, tra cui tre imperdibili date allo Stadio Diego Armando Maradona di Napoli, diventando così il primo artista a esibirsi live per tre volte consecutive in questo luogo di culto per i tifosi della squadra. Si presenta tra i Big del Festival di Sanremo con il brano I p’ me, tu p’ te.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Ghali

Ghali Amdouni, meglio conosciuto con il nome d’arte Ghali, è un rapper italiano nato a Milano nel 1993 da genitori tunisini. Tra gli artisti più iconici della sua generazione, Ghali ha avuto un impatto davvero significativo sulla cultura italiana e internazionale con la sua musica e il suo immaginario poetico.

Con una carriera ricca di successi, Ghali vanta un impressionante palmares di 50 dischi di platino e 16 dischi d’oro. Su Instagram conta oltre 2,7 milioni di follower, mentre su YouTube ha raggiunto la soglia dei 3 milioni di iscritti.

Il suo debutto nel panorama musicale italiano avviene nel 2017 con l’uscita del suo primo album intitolato Album, che ottiene il triplo disco di platino e viene pubblicato con l’etichetta indipendente da lui fondata, la Sto Records. Nel 2018 raggiunge il successo europeo con il singolo Cara Italia, che conta oltre 137 milioni di visualizzazioni su YouTube. Nel 2020, Ghali partecipa al Festival di Sanremo come super ospite, presentando il singolo Good Times, estratto dall’album DNA, che diventa un successo immediato, conquistando il doppio disco di platino in soli sei mesi.

Il suo secondo progetto discografico, intitolato Sensazione Ultra, viene pubblicato nel maggio del 2022. Comprensivo di 12 tracce, l’album esplora le sue due anime: quella legata alla musica hip-hop e quella più pop.

Oltre alla sua carriera musicale, Ghali è noto anche per il suo impegno sociale e umanitario. Nel 2022, ha lanciato una campagna di raccolta fondi a favore di MEDITERRANEA Saving Humans. Questa è culminata nella donazione di una rescue boat per la MARE JONIO, che ha contribuito a salvare numerose vite umane nel Mediterraneo Centrale.

Per il suo impegno e la sua influenza culturale, Ghali è stato recentemente riconosciuto a livello internazionale, apparendo sul New York Times. Inoltre, è stato inserito nella Time 100 Next 2023: la lista delle 100 giovani personalità che stanno plasmando il futuro del mondo.

A dicembre 2023, Ghali pubblica il mixtape PIZZA KEBAB Vol.1: un ritorno alle sue radici musicali, dove esplora la trap in modo adrenalinico e riflessivo. Una caratteristica del suo stile unico. Porta sul palco di Sanremo 2024 Casa Mia, un brano con cui ha detto che vuole «ripartire da zero».

Sanremo 2024
Ghali

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Il Tre

Il Tre, il cui vero nome è Guido Senia, è un rapper romano nato nel 1997 ed è considerato una delle stelle nascenti dell’hip-hop italiano. Con una carriera in rapida ascesa, ha conquistato 4 dischi di platino e 2 dischi d’oro, posizionando entrambi i suoi album al numero uno della classifica ufficiale Fimi/Gfk.

Nelle sue canzoni, Il Tre affronta temi profondi: l’importanza delle piccole cose, l’attaccamento alla famiglia e agli amici, la coerenza con se stessi, la fragilità e la fiducia nei propri sogni. La sua carriera è decollata nel 2016, quando ha vinto il prestigioso One Shot Game, un contest nazionale con oltre 400 partecipanti.

Nel 2018, pubblica il mixtape Cracovia Vol.2, esaurendo le copie fisiche in meno di una settimana. Il successo continua con il singolo Bella Guido, che entra subito nella Top Viral di Spotify. Nel 2021, firma con Atlantic Records/Warner Music e pubblica l’album di debutto Ali – per chi non ha un posto in questo mondo, certificato platino e debuttato al numero uno della classifica FIMI/Gfk.

Il suo successo prosegue con singoli come Te lo prometto” e “Cracovia Pt.3, seguiti da Guess Who’s Back nel 2022 e ROMA nel 2023. A settembre 2023, pubblica il suo secondo album INVISIBILI, che debutta anch’esso al numero uno della classifica ufficiale.

Nel 2024, Il Tre fa il suo debutto al Festival di Sanremo con il brano Fragili; il 9 novembre invece si esibirà live per la prima volta al Palazzo dello Sport di Roma. Un evento che sarà una grande festa per celebrare e ringraziare il suo pubblico, consolidando così il rapporto speciale che li lega.

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Il Volo

Il Volo è il trio italiano più famoso al mondo, composto dalle straordinarie voci di Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble. Con una carriera che spazia per oltre 15 anni, hanno conquistato il pubblico di tutti i continenti, riempiendo palazzetti e arene in tutto il mondo. Il loro talento li ha portati a realizzare un totale di 13 album, che includono progetti internazionali e collaborazioni con le più grandi star del panorama musicale globale.

In Italia, il legame de Il Volo con il Festival di Sanremo è particolarmente rilevante: nel 2015 vincono il festival con il brano Grande Amore, che li porta al podio all’Eurovision Song Contest. Nel 2019 invece raggiungono il terzo posto con Musica che resta. Quest’anno parteciperanno alla 74esima edizione con il brano CAPOLAVORO.

Per far conoscere al pubblico le molteplici sfaccettature del trio, Il Volo ha annunciato una serie di importanti appuntamenti per il 2024. Tra questi è incluso un significativo World Tour, che toccherà le più suggestive venue d’Italia, tra cui l’Arena di Verona con 3 date a maggio.

La storia de Il Volo inizia nel 2009, quando i tre giovani artisti debuttano come singoli partecipanti al talent show di Rai 1 Ti lascio una canzone. Notati da Michele Torpedine, manager di grandi nomi come Andrea Bocelli e Zucchero, il trio intraprende rapidamente una carriera artistica internazionale. Tra i momenti più significativi del loro percorso, ricordiamo la tournee di dodici concerti con Barbra Streisand in America e Canada nel 2012; ancora, la partecipazione alla XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama nel 2019, di fronte a Papa Francesco e a oltre un milione di persone.

Il Volo continua a consolidare il proprio successo con eventi speciali. Ne sono un esempio il Tributo a Ennio Morricone nel 2021 e l’EP natalizio 4 Xmas nel 2023.

Sanremo 2024
Il Volo

Gli artisti in gara a Sanremo 2024: Irama

Filippo Maria Fanti, meglio conosciuto con il nome d’arte Irama, è nato a Carrara il 20 dicembre 1995. A soli 7 anni sviluppa una grande passione per la musica, ispirandosi a grandi cantautori italiani come Fabrizio De André e Francesco Guccini, e inizia a comporre le sue prime canzoni.

Nel 2016, Irama fa il suo debutto al Festival di Sanremo nella categoria Nuove Proposte con il brano Cosa Resterà, che ottiene la certificazione disco d’oro. Nell’estate dello stesso anno, vince la sezione Giovani del Coca Cola Summer Festival. L’anno successivo torna al festival estivo di Canale 5 nella categoria Big.

Nel 2017, conquista un posto nella scuola di Amici di Maria De Filippi e vince il programma. Il suo singolo Nere raggiunge la certificazione di quadruplo Platino e anticipa l’album Plume. Quest’ultimo resta al primo posto della classifica per undici settimane consecutive, un record per l’Italia. L’album ottiene il triplo disco di platino e vende oltre 100 mila copie fisiche.

Nel 2019, partecipa alla 69esima edizione del Festival di Sanremo con il brano La Ragazza Con Il Cuore Di Latta, certificato doppio disco di platino. Il suo tour registra il tutto esaurito, concludendosi con un concerto sold out al Forum di Assago.

La carriera di Irama continua a crescere grazie al successo dei suoi singoli, come la hit dell’estate 2019 Arrogante, certificata doppio Platino. Nel 2020, pubblica il brano Milano feat. Francesco Sarcina, i cui proventi sono destinati all’emergenza COVID-19. Inoltre, il suo singolo Mediterranea diventa il brano più ascoltato dell’estate su Spotify e ottiene la certificazione di quattro volte Platino.

Irama ha partecipato anche alla 71ª edizione del Festival di Sanremo con il brano La Genesi del tuo Colore, che ottiene la certificazione di tre volte Platino. Nel 2021, esce il singolo Melodia Proibita, certificato doppio Platino, e collabora con Rkomi nel brano Luna Piena, certificato tre volte Platino.

Con numerosi successi e riconoscimenti, Irama si conferma come uno degli artisti più apprezzati nel panorama musicale italiano. Il suo album IL GIORNO IN CUI HO SMESSO DI PENSARE raggiunge la certificazione triplo Platino e rimane in top 10 per oltre 30 settimane. Nel 2023, pubblica l’album No Stress, certificato Oro. Partecipa al 74° Festival di Sanremo con il brano Tu no.

Il nuovo album della cantante Any Other è un percorso catartico lungo il viale dei ricordi

Any Other, all’anagrafe Adele Altro, ha lanciato il suo nuovo e terzo album: “stillness, stop: you have a right to remember” per 42 Records. Cuore gentile e animo sensibile, la cantante è reduce da anni complessi, in cui ha lavorato molto cavalcando il successo dell’ultimo disco Two, Geography del 2018, e affrontando al contempo aspetti irrisolti e dolori del proprio vissuto. A questo percorso è conseguito un disco intimo e introspettivo, dove la potenza dell’onestà si scatena in messaggi dalle eco universali. Un sound etereo e raffinato che si rinforza di venature rock, accostato a testi delicati, ma taglienti, precisi. Otto tracce, come sempre in inglese, in cui Any Other si mette in gioco e tira un po’ le somme, con il desiderio di liberarsi dalle grinfie del passato e andare incontro al futuro con spirito rinnovato.

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

Nella vita Adele fa anche parte del collettivo Queer Machete, fondato nel 2019 insieme agli amici e coinquilini Cecilia Grandi e Nino Buonincontri. Nata come forma di protesta un po’ ironica e spensierata verso la nightlife milanese, i tre hanno cominciato in modo «totalmente caotico e bellissimo» a fare dj set e proporre serate alternative ed economicamente accessibili alla comunità queer. Un progetto genuino che ha fatto successo e che riempie i cuori dei tre amici. Secondo Adele, inoltre, Queer Machete le permette di vivere la musica in modo diverso, dal momento che, come artista, si occupa di un genere totalmente diverso. «È il bello di essere una persona queer. Non devi limitarti a una versione unica di te, ma puoi abbracciarle tutte».

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

«Mi sembra tutto nuovo»

Sono trascorsi sei anni dall’ultimo disco. A primo acchito, un periodo lunghissimo. Cosa comporta racchiudere tutto questo tempo in un unico progetto e poi vederlo prendere il volo?

È strano. In generale sono molto lenta a fare le mie cose, e infatti anche tra il primo e il secondo disco sono passati 3 anni. Non ho mai avuto interesse nel garantire l’uscita di un disco all’anno, perché ho bisogno di tempo e distacco dai progetti per rileggerli col senno di poi e riuscire a capire, in un certo senso, come li ho realizzati. In questo caso il lasso di tempo ha compreso anche i due anni di pandemia, che sicuramente non hanno aiutato. Ero frenata da diverse dinamiche e preoccupazioni. Ricordo però che ad un certo punto sapevo che doveva accadere, dovevo produrre l’album. Era la primavera del 2022 e mi sono detta “okay è arrivato il momento e lo devo fare, perché se continuo a mettere davanti gli altri anziché me stessa (in termini di lavoro e coinvolgimento artistico) non farò mai più un disco”.

A posteriori, è stato strano anche per me rendermi conto di tutto il tempo che è passato. Mi accorgo che questa cosa ha avuto un effetto particolare sulla mia persona e sul mio essere artista. In un certo senso, mi sembra la prima volta che realizzo un album, il che è assurdo perché non ovviamente non è così. Però mi sembra tutto nuovo. Sicuramente aver lavorato e suonato tanto in questi anni mi ha regalato una nuova e maggior consapevolezza rispetto a ciò che posso offrire. Ma per farti un esempio: quando hanno riferito a me e Marco Giudici, il mio migliore amico e compagno di musica da dieci anni a questa parte, che la data di Milano era sold out, ci siamo stupiti tantissimo. Per qualche motivo non ci aspettiamo ancora “niente”, e alla fine se ci penso è una cosa bella.

Marco Giudici, tra l’altro, è corresponsabile dell’arrangiamento e della produzione di questo nuovo album. Una prima volta per Any Other. Com’è andata?

È andata benissimo, il che non significa che sia sempre stato facile. Lavorare a così stretto contatto con qualcuno a cui sei tanto legato tira fuori il peggio di te, perché non ci sono quelle barriere o limiti per cui senti di doverti trattenere o comunque comportare in un determinato modo. Però è andata benissimo proprio perché lui mi conosce a fondo, a livello artistico oltre che umano; quindi, il processo è risultato molto naturale. Sembra quasi che sia cominciato tutto proprio dieci anni fa, quando ognuno curava il proprio percorso e ci spalleggiavamo solo per alcune cose. Poi è successo sempre di più, finché non abbiamo collaborato in toto a questo progetto.

Devo ammettere poi che condividere scelte e responsabilità mi ha fatto molto bene, perché tendo a essere un po’ maniaca del controllo. Invece così mi sono potuta concentrare su altri aspetti che sono comunque molto importanti nella realizzazione di un disco e ho imparato a delegare.

Inoltre, quando esce un disco c’è una porzione pubblica, che è quella di cui si impossessano gli altri, e una parte tua privata, che riguarda te e come lo fai. Quella parte te la porti dietro per sempre. Quindi è bello poter passare il tempo a suonare con il tuo migliore amico perché condividi momenti che rimarranno indelebili nelle vostre memorie. Durante la stesura dell’album, poi, ho passato un periodo di vita davvero difficile, ma lui c’è stato, sempre e comunque. E di questo sono davvero grata.

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

«Da persona queer mi rendo conto che anche io ho bisogno di punti di riferimento, di trovarmi, anche nei prodotti artistici di cui fruisco»

Creare punti di contatto credo sia particolarmente importante per la comunità queer. Trovare qualcuno in cui identificarsi e in cui rivedere la propria esperienza di vita è fondamentale nel processo di accettazione di sé e di ricerca del proprio posto nel mondo. Il tuo album affronta una serie di tematiche molto personali, tra cui l’identità di genere, la salute mentale, il rapporto con i genitori. Trattandosi di argomenti cari alla comunità queer, in quanto caratterizzanti di tante esperienze che accomunano chi ne fa parte, senti una responsabilità in questo senso? Oppure vivi la tua musica come esperienza catartica personale?

Credo che una cosa non escluda l’altra. Sicuramente lo faccio in primo luogo perché ha qualche utilità per me stessx. Allo stesso tempo, però, le esperienze che ho vissuto e che vivo sono estremamente trasversali e orizzontali, non le reputo speciali nel senso di particolarmente singolari. Da persona queer mi rendo conto che anche io ho bisogno di punti di riferimento, di trovarmi, anche nei prodotti artistici di cui fruisco. Perciò la vivo come un guardarci tutti in faccia e dire “okay, siamo sulla stessa barca”. Mi fa molto piacere quando qualcuno mi scrive o mi si avvicina ai concerti per ringraziarmi di averlo fatto sentire meno solo, perché a me capita la stessa cosa con altri artisti.

Dal momento che suoni in Italia, ma anche tanto all’estero, ti sembra che questo meccanismo funzioni in modo diverso nei vari paesi?

Sul piano di cosa viene recepito direi di no, nel senso che ai concerti credo ci sia un piano di comunicazione non verbale per il quale, anche se qualcuno non conosce l’inglese, per esempio, può sentirsi comunque connesso ai miei brani. Le emozioni e le sensazioni ti arrivano. Parlando invece di consapevolezza mi sono resa conto che fuori dall’Italia c’è maggior familiarità con certe tematiche, come il significato di gender imbalance o del termine queer banalmente. Devo dire però che le cose sono cambiate tanto negli ultimi anni e in positivo. Sicuramente poi non è un solo il nostro paese a essere in difetto, nessun posto è il paradiso in questo senso.

Poi di fatto c’è tanto lavoro da fare su queste tematiche, anche solo a livello di industria musicale, e a prescindere dal confronto tra paesi. E non mi tiro fuori da questo discorso, sia chiaro. Penso che abbiamo tutti bisogno di analizzare il nostro contesto e vedere dove possiamo migliorare, per rendere il mondo un posto più giusto e accogliente nei confronti davvero di tutti.

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

«La rabbia è un’emozione sana. Può e deve essere gestita in modo costruttivo, perché in caso contrario le conseguenze sono terribili»

Spostando il focus, parliamo dell’aspetto visivo del tuo fare musica. Il videoclip di If I Don’t Care, uno dei due brani anticipatori dell’album, affronta il tema della gestione della rabbia attraverso una scelta artistica che comprende sbrilluccichi, colori dalle tonalità morbide e delicate, abiti e accessori che rimandano al mondo dell’infanzia. Da dove viene questa associazione così curiosa fra tema del brano e visual?

È partito tutto da uno spunto che ho dato io, ma che poi è stato rielaborato in modo spettacolare dalla mia migliore amica Cecilia Grandi (@tuttotonno su Instagram). Ha avuto lei la responsabilità della direzione artistica del video. L’idea di fondo era trasmettere come la rabbia non sia necessariamente qualcosa di negativo. È un’emozione legittima, che a volte si scatena per proteggerci da certe cose. Spesso la rabbia viene rifiutata o definita come qualcosa da soffocare e reprimere. Invece è un’emozione sana, può e deve essere gestita in modo costruttivo, perché in caso contrario le conseguenze sono terribili.

Volevo che passasse questo messaggio, e con più leggerezza possibile. Il claim del brano poi, da cui deriva il titolo If I Don’t Care, è tanto legato a un’idea di leggerezza, di lasciar andare, di non farsi sopraffare. Infine, è una scelta estetica che rende tutto un po’ più camp e questa caratteristica mi piaceva tantissimo (ride, ndr).

Any Other nuovo album
Any Other by © Ludovica De Santis

«Quando lavori con qualcuno che ti ha a cuore sai che qualsiasi spunto, suggerimento o proposta arrivi da lì, è dettata dall’amore»

Collaborare con i propri migliori amici, ma più in generale con persone a cui si è legati da sentimenti di affetto, ammirazione e simpatia, ovviamente regala esperienze memorabili. A livello di risultati, però, credi che comporti qualche differenza?

Assolutamente sì e in senso positivo. Da una parte c’è la questione della fiducia, per cui quando lavori con qualcuno che ti ha a cuore sai che qualsiasi spunto, suggerimento o proposta arrivi da lì, è dettata dall’amore. E viceversa. Mentalmente ti mette in uno stato d’animo diverso, più sereno. Nel mio caso poi, che con Cecilia e Marco ho iniziato a suonare rispettivamente 15 e 10 anni fa, ci si conosce così bene che si sanno già i riferimenti culturali, musicali e artistici reciproci. Di conseguenza ci si intende molto prima e in modo più profondo.

È vero che si tratta di lavoro, ma alla fine della giornata sono alcune delle tante esperienze che farai nella vita e se hai la possibilità di affrontarle insieme alla tua famiglia scelta, cosa può esserci di meglio? Per me è una questione di priorità: di certo vuoi che le cose vengano bene, ma se puoi farle bene e con chi ami, hai vinto a priori.

Any Other by © Ludovica De Santis

«Bisogna ascoltarsi, perché quando si sta bene con se stessi poi si sta meglio anche con gli altri»

Chiudendo il cerchio, c’è qualcosa in particolare che vorresti venisse trasmesso o notato da chi ascolterà l’album?

Capita spesso, soprattutto durante la crescita, di aver a che fare con persone, contesti, situazioni che ci fanno mettere in dubbio chi siamo e la validità di chi crediamo di essere. E non ci fa bene. Abbiamo tutti un istinto che ci aiuta a identificarci e dobbiamo assecondarlo, perché quella cosa lì è valida. Io non l’ho fatto e di conseguenza ne ho sofferto tanto, perché non sono stata in grado di dire: no, se sento di essere così è perché lo sono davvero. Perciò ho appreso che riconoscerlo è davvero importante. Bisogna ascoltarsi, perché quando si sta bene con se stessi poi si sta meglio anche con gli altri. Abbiamo una responsabilità nei nostri confronti, e ce lo dobbiamo di capire come fare a star bene.

Il titolo “stillness, stop: you have a right to remember” richiama in diversi modi quanto hai appena affermato. L’accento sul ricordare, poi, mi sembra particolarmente interessante. Che significato ricopre questo verbo all’interno del progetto?

Ricordare è davvero importante. Ne ho preso coscienza andando in terapia e scoprendo il fenomeno della rimozione dei ricordi in seguito a un trauma. È un qualcosa che accade a chiunque, più di quanto si pensi. E, come dicevo prima, ho avuto esperienze di vita piuttosto comuni. In generale comunque non credo che le difficoltà rendano necessariamente più forti e che, di conseguenza, dovremmo essere sempre grati di doverle affrontare. Ricordarsi di tutto, però, tanto delle cose belle quanto di quelle spiacevoli, mi sta servendo a mettermi in gioco, ad additare le brutture e a superarle con consapevolezza. Il titolo dell’album rimanda a questo: ricordati di te, di chi sei e non permettere a nessuno di fartelo dimenticare.

Any Other, cover del nuovo album

Nei live Any Other suonerà il nuovo album con una band di 5 elementi. Il tour organizzato da DNA concerti comincia con un concerto speciale proprio oggi, venerdì 26 gennaio, allo Spazio Teatro 89 a Milano.  Proseguirà poi il 17 febbraio allo SPAZIO211 a Torino, il 23 a Musici Per Caso a Piacenza, il 29 al Locomotiv a Bologna, il 1° marzo a Officina degli Esordi a Bari, il 2 all’Angelo Mai a Roma, l’8 allo Spazio Teatro 89 e il 9 al Colorificio Kroen a Verona.

Con il nuovo album Any Other tornerà anche in tour in Europa. Al momento sono già annunciate le date in Germania, organizzate da Brighter Agency: gli appuntamenti tedeschi in programma sono il 12 aprile a Heppel & Ettlich a München, il 13 a Bedroomdisco Kirchenkonzert a Darmstadt, il 14 a Bumann & SOHN a Köln, il 15 a Kantine am Berghain a Berlin, il 16 a Die Hebebühne a Hamburg e il 18 a Feinkostlampe a Hannover.

LE MAISON CHE HANNO ATTIRATO L’ATTENZIONE ALLA PARIS FASHION WEEK UOMO

La Paris Fashion Week Men’s ha mostrato chiaramente quanto un sistema solido, e che scommette sulle nuove generazioni, possa dar vita a un calendario ricco di proposte stimolanti. Con ben 76 show (42 défilé e 32 presentazioni), sulle passerelle si sono fatti notare numerosi brand emergenti, mentre alcuni grandi nomi sono tornati nella Ville Lumière: Valentino, Balmain Homme e Gmbh. Tra tutti, però, alcune maison sono riuscite (nel bene e nel male) a catturare la sacrosanta attenzione di fan, degli addetti ai lavori e degli utenti social, garantendosi così l’eternamente agognata visibilità.

SETTIMANA MODA UOMO PARIGI
Balmain Homme fashion show

Louis Vuitton: il più discusso alla Paris Fashion Week uomo

Con Pharrell da Louis Vuitton, la nuova direzione creativa del marchio è ormai evidente e non lascia spazio a malinconie di alcun tipo (fatta eccezione per un richiamo a una collezione del suo predecessore Virgil Abloh per Off-White). Tra cappelli da cowboy, turchesi originali dell’Amazzonia, stivali in pelle di struzzo e accenni all’abbigliamento da lavoro, l’Autunno Inverno 2024 2025 ha sfilato in passerella accendendo gli animi (e i dibattiti sui social). L’ultima fatica di Pharrell sembra celebrare la Western culture americana apparentemente più stereotipata e hollywoodiana, ma in realtà c’è di più. Con una performance dei Native Voices of Resistance di un tradizionale brano Lakota, co-composto da Pharrell e Lakota “Hokie” Clairmont, il creativo ha voluto ricordare al mondo come gran parte dei cowboy originali fossero in effetti nativi americani.

Un’intenzione narrativa la sua, dunque, di diffondere una storia spesso poco contemplata e di restituire all’immaginario comune una sua versione più vicina alla realtà, affinché possa essere nuovamente apprezzata. Ovviamente il focus è sulla pelletteria, con la Speedy e la Keepall in primo piano, proposte in colori pop e sgargianti, che affiancano il Damouflage – ormai motivo distintivo di Pharrell – e una collaborazione con Timberland. Intercettando il revival Wild Wild West che da qualche tempo si era insinuato nella cultura pop contemporanea (un saluto a Pedro Pascal ed Ethan Hawke in “Strange Way of Life” di Almodóvar), Pharrell ha mandato in passerella una collezione i cui echi non tarderanno a mostrarsi su tutti i vostri amici più trendy.

Givenchy senza Matthew Williams

La prima collezione dopo la dipartita del direttore creativo Matthew M. Williams è stata realizzata dal team di Givenchy. Il tema preso in considerazione è la definizione di “Gentleman” nei tempi odierni e la maison ha provato a crearne un modello sulla base del guardaroba di Hubert de Givenchy stesso. Da qui la prima uscita della line-up, dove il look è caratterizzato da una camicia ispirata alla nota uniforme da lavoro del couturier.

In generale, la celebre formalità delle impeccabili scelte vestimentarie di Givenchy è stata trasferita su abiti da giorno e da sera dalle linee nette, rivisitati da maniche a mo’ di cappa (che lui amava). Gli accenni al workwear e lo styling riportano i look ai nostri giorni, con layers e accostamenti moderni. La ricerca del team è evidente nelle stampe storiche apparse su giacche, un top, una camicia e pantaloni: quella con il motivo a candelabri risale al 1954, mentre la stampa all-over con il muso di un gatto è dell’Autunno Inverno 1952. Infine, l’iconico foulard con la stampa realistica di capelli lunghi (Primavera Estate 1953), è stato rivisitato e reinserito per la prima volta in una collezione maschile.

EGONlab-els alla Paris Fashion Week Men’s

A primo sguardo la collezione Autunno Inverno 2024 2025 di Florentin Glémarec e Kevin Nompeix dimostra chiaramente come il loro marchio, EGONlab, sia maturato. Le proposte sono generalmente più commerciali e la partnership con UGG è un’ulteriore prova della nuova direzione che sembra aver intrapreso il brand. Le silhouette da power-suit anni Ottanta (che a quanto pare continueranno a definire il nostro guardaroba) diventano un mezzo per lavorare sulle proporzioni del corpo. Su quest’onda delle grandi spille rimboccano il tessuto dei cappotti e di un maglione, lunghe cinture segnano il punto vita, top asimmetrici s-coprono i torsi. Quest’approccio al corpo richiama il disturbo da dismorfismo corporeo, spesso legato al mondo dei social e alla percezione distorta che le nuove generazioni, ma in generale anche chiunque abbia un account, hanno del proprio aspetto.

Schermi e filtri hanno distorto gli standard di bellezza, spostato la linea che separa realtà e finzione e le conseguenze psicologiche sugli utenti sono state palesate da tempo. L’attenzione dei fashionisti (e non) però è ricaduta su EGONlab per alcuni look che mostravano modelli in passerella senza top, ma vestiti solo di etichette (labels). Un trick interessante per scatenare un ulteriore quesito: “Il re è nudo?”. Il lusso è rappresentato dalle etichette, dalle griffe? L’attenzione ricade più su quello che sui capi di abbigliamento effettivi? Agli occhi altrui, sono le etichette che di definiscono? Oppure la moda è un gioco dove ognuno può sfogare la propria fantasia e, in questo caso, immaginare che i modelli indossino qualsiasi cosa ci passi per la mente?

Le riflessioni personali di Rick Owens

Porterville è la città natale di Rick Owens in California, e il nome della sua ultima collezione maschile. La location d’elezione questa volta era casa sua, affacciata su Place du Palais Bourbon nel settimo arrondissement di Parigi. Tutto urla intimità. In un momento storico come questo, circondarsi delle poche certezze che si hanno, aprire la propria casa a “pochi” ospiti scelti (un centinaio circa) è sembrata la scelta migliore per il designer, che solitamente organizza degli show-festival. La lotta all’intolleranza (che racconta di aver subito proprio a Porterville) è la sua missione.

Proporzioni grottesche e disumane sono la risposta a tempi altrettanto oscuri, esemplificate negli stivali gonfiabili e nelle cappe-bozzolo in alpaca, dalle apparenze aliene (tipiche del brand) e disturbanti. Il cuore gentile di Owens si è palesato invece con l’invito ad alcuni artisti di partecipare alla collezione con idee proprie; nella stessa direzione va il casting, sempre singolare, che questa volta tra i nomi di spicco comprendeva Gena Marvin, l’artista trans russa esiliata dal proprio paese.

LOEWE e “l’algoritmo della mascolinità”

Ancora una volta Jonathan Anderson ci mette di fronte le contraddizioni che caratterizzano la contemporaneità. In particolare, il designer riflette sullo stato della moda oggi che siamo completamente immersi nel mondo digitale, dove internet detta le regole, ma perché internet, alla fine, siamo noi. Secondo le parole di Anderson è finita l’era del “questa stagione andrà questo o quello”: tutto è possibile e tutto è lecito.

Ormai tipici della poetica andersoniana, arte, moda, filosofia ed erotismo si fondono per porre l’attenzione su gesti, capi e abitudini vestimentarie che caratterizzano l’uomo contemporaneo. Tutto questo è stato trasmesso tramite un’eccellente manovra di styling, che conferisce alla collezione quel non-so-che di trasandatezza cool, di menefreghismo misto pigrizia misto bad boy. Pantaloni infilati nei calzini, cinture slacciate le cui cinghie si sovrappongono alle camicie, colletti sbottonati e tirati dal peso delle borse a spalla. Tutto ciò costellato dalle stampe realizzate in collaborazione con l’artista americano Richard Hawkins, i cui dipinti sovrapposti di giovani uomini prendono forma a partire dalla pop culture, la storia dell’arte e il porno.

Xoxo, BALMAIN Homme alla Settimana della Moda Uomo di Parigi

Olivier Rousting ha presentato la sua prima linea uomo, Balmain Homme, dopo 4 anni. In linea con la sua concezione “loud” di moda e lusso, generalmente lontana dalle tendenze e dichiaratamente contraria al tanto dibattuto “quiet luxury”, la collezione incarna un uomo “libero, che non ha paura del giudizio altrui” ha affermato Rousting.

L’attenzione, però, sembra essere ricaduta interamente sull’ultima uscita, dove una maestosa Naomi Campbell ha sfilato con un maxi cappotto cammello appoggiato sulle spalle, e una cintura scultorea a cingerle la vita. Si tratta di un bouquet floreale sorretto da due braccia che sembrano fuoriuscire dal cappotto. Un twist teatrale ed eccentrico, sicuramente esplicativo della poetica del brand. Come è stato fatto notare a profusione sui social però, si tratta di un accessorio che rimanda altrettanto fortemente a un’altra nota maison francese… Per il resto, Rousting si è divertito a ironizzare sulle critiche circa le dimensioni delle sue labbra, stampando e ricamando impronte di baci e bocche suadenti sui capi, rimanendo coerente rispetto alle sue affermazioni.

Lo speech di Gmbh

Serhat Işik e Benjamin Alexander Huseby hanno chiuso la Settimana della Moda di Parigi con un messaggio forte e chiaro: cessate il fuoco. I designer di Gmbh, il primo di origini turco-germaniche e il secondo di origini pakistane, nato in Norvegia, non sono nuovi a claim di questo tipo. Già nel 2021 infatti avevano realizzato una capsule collection battezzata Free Palestine. La moda (teoricamente) chiave di lettura di una società in un determinato contesto storico e geografico, può rivelarsi uno strumento molto efficace per trasmettere una presa di posizione politica.

In un discorso di apertura allo show, i designer hanno schiettamente espresso la loro preoccupazione riguardo l’attuale panorama politico mondiale. «Si tratta di mostrare la nostra umanità», ha spiegato Huseby: «Gran parte del nostro lavoro riguarda la bellezza del nostro patrimonio e mostrare al mondo che le nostre apparenze non ci rendono terroristi.» Ha aggiunto: «La moda fa parte di un processo di guarigione, di decolonizzare le nostre menti e inviare un messaggio di apertura, umanità e tolleranza».

Sfilano lungo la passerella le silhouette tipiche del brand, provenienti dal mondo techno berlinese. Il colletto delle giacche, però, era ispirato alla kefiah: alle volte nel design, altre nel motivo a scacchi. Alcune stampe raffiguravano il logo della Nazioni Unite e lo slogan “Untitled Nations”, mentre in altri casi si trattava di una fetta di anguria i cui colori rimandano alla bandiera della Palestina. Ad aumentare l’emotività della collezione, il casting di modelli includeva amici e parenti di Işik e Husbey, alcuni “protetti” da balaclava e altri che indossavano i tradizionali copricapi da preghiera.

I Flash “Haute Couture” di DIOR Men dalla Paris Fashion Week Men’s

Kim Jones lancia l’haute couture maschile nella storica maison di Avenue Montaigne. Partendo dalla vita di uno zio ballerino e fotografo, tale Colin Jones, il designer si è ispirato a un suo reportage stile “un giorno nella vita di” relativo al grande Rudolf Nureyev. Lo zio Colin Jones faceva parte del British Royal Ballet negli anni Cinquanta e nel 1966 realizzò il servizio su Nureyev per il Time Life.

Lo show si basa interamente su questa vicenda: un libro fotografico sulle immagini di Nureyev scattate dallo zio è stato distribuito fuori dallo show e la collezione è stata dedicata a lui e al fratello David, il padre di Kim Jones stesso. Il legame della maison con il mondo della danza è segnato anche dall’amicizia di Monsieur Dior con la ballerina Margot Fonteyn, cliente della casa di moda e partner di Nureyev nel debutto di Romeo e Giulietta del 1965.

I look da giorno sono quindi ispirati a tutto questo background, dove a rubare la scena sono forse le “ballerine” da uomo, calzatura di tendenza per la stagione. I veri protagonisti però sono senza dubbio i look da sera che sfociano nell’Haute Couture: un kimono argentato realizzato a mano a Kyoto, a cui sono susseguite tuniche imperlate e t-shirt e top in pelle stampata cocco. Il toile-de-jouy Dior e l’abito Debussy hanno ispirato alcuni look, mentre perline e diamanti dell’alta gioielleria Dior impreziosivano cappotti, giacche e top all’altezza del collo o della vita. Un approccio tutto sommato pragmatico, ma dal risultato sofisticato: la manovra tipica di Kim Jones nelle sue collezioni uomo.

Pausa caffè con DADAˈ: la cantante si racconta in occasione del nuovo singolo “Doce Doce”

Un grande amore per la musica in tutte le sue sfaccettature, un percorso atipico comprensivo di un’esperienza negli studi di X Factor e un flusso creativo che scaturisce da ogni sua mossa. Gaia Eleonora Cipollaro nasce a Napoli nel 1995, e il suo nome d’arte DADAˈ parla di lei più di quanto si possa immaginare.

DADAˈ
DADAˈ, ph. Danijel Cvijic

Chi è DADAˈ, l’artista napoletana dietro la collaborazione con Caffè Kimbo

«Non sono fatta per le regole, ho bisogno di sentirmi libera di scegliere. Soffro di discalculia, per cui il concetto stesso di regola per me è sempre stato diverso, in qualche modo. Ho dovuto trovare delle mie logiche per riuscire a formarmi al meglio e come potevo».

Il nome DADAˈ si rifà alla corrente artistica appartenente alle cosiddette Avanguardie Storiche diffuse in Europa nel primo Novecento. Rompere le regole e uscire da ogni schema precostituito è il fulcro del dadaismo e nel caso di Gaia un reminder alla persona e artista che è. «L’accento finale lo vedo come una porticina, che per me è sempre aperta verso tutto quello che voglio e posso essere».

Innamorata di arte, letteratura e, ovviamente, musica, DADAˈ sta studiando psicologia all’università per imparare a conoscersi meglio, comprendere maggiormente il proprio mondo e quello artistico, con tutte le sfumature più occulte e umane che li caratterizzano.

In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo Doce Doce, realizzato in collaborazione con Kimbo, l’artista si racconta.

«La curiosità mi ha spinta a seguire chi già svolgeva questo mestiere, per apprendere dal vivo quanto più potessi»

Sei sempre stata appassionata di musica? Qual è stato il percorso che hai affrontato per giungere al punto in cui ti ritrovi oggi?

Sono partita dalla musica classica, in quanto volevo fare la concertista (ride a ripensarci, ndr) quindi ho studiato per 7 anni chitarra classica (acustica?) e intorno agli 11 anni ho cominciato a scrivere canzoni. L’uso della parola per creare testi, questi racconti hanno preso un po’ il sopravvento sulla musica e con grande sorpresa della mia insegnante ho abbandonato gli studi di chitarra per dedicarmi al canto e all’armonia moderna. Dieci anni dopo ho lasciato anche quelli in quanto mi sentivo limitata, percepivo una certa forma di chiusura nell’approccio adottato dai vari insegnanti, una geometria che per me era troppo ostica.

Ho sempre provato ad assecondare il mio istinto, avvicinandomi ad altri generi musicali in modo amatoriale. Per un periodo, ad esempio, mi sono imposta di ascoltare per un mese solamente musica jazz, quello dopo solo rock e così via. Dalla musica classica al folk, dal cantautorato italiano a quello inglese. Come dico sempre: “dai Dream Theater a Peppino di Capri”. Questa curiosità mi ha spinta a seguire chi già svolgeva questo mestiere, per apprendere dal vivo quanto più potessi. Mi sono circondata di cantanti e musicisti più grandi, che seguivo ai concerti e alle esibizioni in giro per l’Italia. Il tutto in modo un po’ caotico se vogliamo, avevo 16 anni e nessuna idea precisa di dove volessi arrivare.

In questo modo però ho iniziato a suonare in apertura per qualche artista underground o per strada, giusto per sperimentare e per orientarmi su cosa mi piacesse maggiormente. Ho scritto molto, in italiano, in inglese e poi in napoletano. Infine, durante il lockdown ho cominciato a produrre al pc con i vari programmi e software che avevo a disposizione, dando vita a nuovi brani. Sempre per gioco, in modo istintuale, ma così mi sono accorta che ero giunta a un punto di sintesi dei miei percorsi, un momento in cui tutto ciò che avevo imparato stava fluendo in un’unica direzione. Un giorno ho deciso di inviare un brano al produttore Big Fish, che conoscevo, per chiedergli un feedback. Dopo 15 minuti mi aveva già comunicato che il giorno seguente mi aspettavano per firmare, perché il pezzo era fortissimo.

DADAˈ
DADAˈ, ph. Danijel Cvijic

«Con la mia voce non tento di veicolare messaggi, ma piuttosto narrazioni dal respiro universale»

La tua musica fonde in modo inedito il dialetto napoletano e un mix di generi musicali attraverso sperimentazioni sonore uniche nel panorama musicale italiano odierno. Dietro queste scelte artistiche, quella della lingua in particolare, c’è un’intenzione “educativa”, ossia di diffusione della cultura e tradizioni partenopee sotto una nuova luce?

Non proprio e anzi credo sia giusto fare chiarezza su questo punto: tendenzialmente si presume che chi canta in napoletano si voglia fare portatore delle proprie tradizioni, ma è più che altro uno stereotipo. Certo, nel momento in cui si canta in napoletano ci si pone in qualche modo al centro di Napoli, si incarna automaticamente tutto ciò che la città è agli occhi del mondo.

Io però mi reputo una cantastorie, i testi dei miei racconti non hanno a che fare necessariamente con Napoli, se non per alcune espressioni e modi di dire che sono tipici della lingua e quindi della tradizione. Con la mia voce non tento di veicolare messaggi, ma piuttosto narrazioni dal respiro universale. Allo stesso tempo non credo che la musica napoletana, come genere in sé, abbia bisogno di essere raccontata, dal momento che la musica italiana intesa come musica leggera si è sviluppata da alcuni brani della canzone napoletana ottocentesca. Sicuramente oggi c’è una nuova apertura verso la musica partenopea, ascoltarla va di moda, ed è bello perché ciò porterà sicuramente alla nascita di nuovi spunti nella storia della musica.

Invece la scelta di adottare diversi mix sonori e di generi da dove nasce?

È qualcosa che non ho propriamente scelto, non si tratta di sperimentazioni strategiche o programmate. Anzi, si tratta di una caratteristica della mia musica che mi hanno fatto notare da fuori e che mi rende molto felice, anche perché ognuno ne percepisce una sfumatura diversa e trovo sia bellissimo così. Voglio che la mia arte sia un’esperienza aperta più che una corrente ben definita. È un prolungamento del mio carattere, sono fatta in questo modo anche io, non mi piace incasellarmi o etichettarmi in modo preciso, preferisco seguire ciò che mi fa stare bene. Sia nella vita che, di conseguenza, nella mia musica.

DADAˈ
DADAˈ, ph. Danijel Cvijic

«Dirigo tutti gli aspetti dei miei progetti musicali e visivi, dai costumi, al make-up, dalla produzione alle riprese»

Nel 2023 è uscito Mammarella, il tuo primo EP, che contiene brani inediti e cover rivisitate. Come ha segnato il tuo percorso questo progetto, sia in termini di carriera che di vita?

Anche nel caso di Mammarella ho messo insieme una serie di racconti. Sono partita da brani già esistenti che ho totalmente capovolto, comeVerd Mín” che proviene da un brano in lingua celtica, oppure ne ho creati di inediti. È l’esempio di “Tir Tir”, che parla di una sirena pescata dai marinai: a Napoli, Partenope è la sirena “possente” che ha dato vita alla città e la possiede. Io invece canto del lato più umano e fragile di Partenope, rivendendomi in lei nella sofferenza causata dall’essere rimasta impigliata nella rete. Mi rendo conto che il binomio libertà e identità è qualcosa che sento fortemente e che torna sempre nei miei brani, senza che io lo voglia necessariamente. È un po’ il fulcro della mia poetica.

Sono rimasta molto contenta dalla resa dell’EP perché è stato ben accolto dal pubblico, sia per la trovata di far uscire una canzone a settimana, sia per l’aspetto visual. Anche il tour è andato benissimo e le 50 date estive che ho affrontato mi hanno aiutato a capire quali sono i miei limiti e a riscoprire la mia resistenza. È stato l’ennesimo piccolo-grande passo che mi ha insegnato tanto e mi piace l’idea di imparare direttamente sul palco, attraverso esperienze del genere. È un approccio che mi dà modo di vivere lentamente in tutte le mie forme creative. Dirigo tutti gli aspetti dei miei progetti musicali e visivi, dai costumi, al make-up, dalla produzione alle riprese.

In riferimento a questo tuo ruolo di direttrice creativa, le scelte estetiche dietro i tuoi videoclip sono precise e li rendono impattanti, energici, teatrali. Concorrono a imprimere nell’immaginario di chi ascolta quelle narrazioni di cui parlavi poco fa. Da dove deriva quest’altra sfaccettatura di DADAˈ?  

Fin da bambina ho sempre amato esprimere la mia creatività in diversi modi, dalla pittura alla scrittura ai lavoretti-bricolage. Quindi avere la direzione artistica dei miei progetti è un sogno che si avvera. Stancante (ride, ndr), ma ne vale la pena. La musica per me è forse la parte “più facile”, nel senso che è quella che riesco ad avere per prima sotto gli occhi. Per me, infatti, la musica viaggia per immagini, forse un retaggio della cultura partenopea dove ci sono parole che racchiudono tantissimi significati e immagini diverse (tipo i kanji giapponesi). Ho diari e taccuini pieni zeppi di appunti per questo motivo e la testa perennemente affollata da immagini, parole e idee. Talvolta i membri del mio team devono chiedermi di calmarmi e concentrarmi su una cosa alla volta.

DADA'
DADA’, ph. Danijel Cvijic

«Il caffè è il portale verso quest’altro mondo, in Italia è il simbolo dell’incontro per eccellenza e di conseguenza, perché no, dell’incontro con se stessi»

Oggi è uscito il tuo nuovo singolo “Doce Doce”, brano di cui hai curato anche la produzione e che rielabora lo storico jingle del Caffè Kimbo nel ritornello. Raccontaci come sono nati il singolo e il relativo videoclip.

Anche in questo caso ho seguito la direzione artistica del progetto a 360°, dalla musica al testo, fino alla cura di ogni dettaglio del videoclip. Una grande responsabilità! Di nuovo, il brano è nato insieme alle immagini, quindi sono strettamente collegati l’uno all’altro. Mi è stato chiesto di rielaborare il jingle di Kimbo e in automatico l’ho ricucito su un brano a cui fatalità stavo lavorando in quel periodo. È difficile da spiegare, ma è come se tutto si fosse allineato perfettamente a livello astrologico o energetico. Per i costumi e i set di scena sono stata affiancata da Daria D’Ambrosio, una bravissima fashion designer campana.

Doce Doce (ossia “Dolce Dolce”) gira intorno al tema della noia e del piacere: la pausa caffè è un momento di piacere che ci concediamo. Un rituale con cui, attraverso un gesto molto semplice, dedichiamo del tempo a noi stessi e stacchiamo dal tran-tran quotidiano. La noia in questo caso si riferisce all’avere a disposizione una gran quantità di tempo. Come ci accadeva da bambini, quando le opportunità erano infinite e ciascuno poteva impiegare le ore come meglio credeva. È noia intesa come possibilità di scelta, e quindi di sfogo creativo.

Ecco perché nel video viene mostrata una madre che, mentre lava il figlio piccolo, fantastica su tutto quello che potrebbe sperimentare se avesse del tempo tutto per sé. C’è una forte connotazione ironica ovviamente, ma il messaggio è vedere la bellezza che sta nella libertà di immaginarsi chiunque e dovunque; anche quando nel quotidiano occupiamo ruoli predefiniti o siamo inseriti in schemi rigidi. Il caffè è il portale verso quest’altro mondo, in Italia è il simbolo dell’incontro per eccellenza e di conseguenza, perché no, dell’incontro con se stessi.

«Nelle 50 date del tour ho imparato che stare da sola sul palco forse non fa per me… accompagnata dai musicisti sarà per me un nuovo capitolo, in cui potrò srotolare una nuova serie di possibilità»

Stasera ti aspetta uno showcase per il lancio del nuovo brano al Museo Madre di Napoli. Si tratta di una performance dal vivo riservata a 100 fan e agli addetti ai lavori, dove presenterai anche il videoclip, le foto e i materiali di scena. Ci si saranno anche altre sorprese sonore realizzate proprio per la collaborazione con Kimbo, ispirate al mondo musicale del caffè.

Il 26 gennaio invece ti esibirai col nuovo brano all’Auditorium Porta del Parco di Bagnoli di Napoli, dove presenterai per la prima volta al pubblico la tua nuova formazione live con band. Come ti senti e cosa ti aspetti?

Sono molto contenta, la presentazione di stasera sarà pazzesca ed è bello coronare questa collaborazione con Kimbo con un evento del genere. Sarà un momento di gioco, ma anche artistico-espositivo: con Daria D’Ambrosio abbiamo creato queste scenografie giganti, a forma di cucchiaio e tanto altro, non vedo l’ora.

Il 26 invece sarà il primo live in cui sarò in band: come ti dicevo prima, è un altro momento formativo e di piacere per me stessa. Nelle 50 date del tour ho imparato che stare da sola sul palco forse non fa per me, mi piacerebbe vivere il contatto con il pubblico e l’esperienza del palco senza dover gestire macchine o altro. Accompagnata dai musicisti sarà per me un nuovo capitolo, in cui potrò srotolare una nuova serie di possibilità.

Michel Haddi: Beyond Fashion – svelato il II atto

A Milano, presso la galleria 29 ARTS IN PROGRESS, il 16 gennaio è stata inaugurata la seconda parte di Michel Haddi: Beyond Fashion. La mostra ripercorre gli oltre 40 anni della memorabile carriera di Haddi, il celebre fotografo franco-algerino oggi di base a Londra.

© Michel Haddi – Molly Sims_Citizen K Magazine, Miami, 2005 – Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Dentro la mostra Michel Haddi: Beyond Fashion Part Two

Si tratta della sua prima personale all’interno del panorama meneghino e la celebrazione si articola su 6 mesi di esibizione. Nei candidi spazi di 29 ARTS IN PROGRESS gallery, pubblico e collezionisti potranno riscoprire alcuni degli scatti più significativi di Haddi, caratterizzati dall’eclettismo proprio del fotografo.

Lontano dalle più classiche concezioni di fotografia di moda, Haddi nella sua carriera ha ritratto tutti i principali volti di Hollywood e del fashion system degli anni ’90: da John Galliano a Nicolas Cage, da David Bowie a Sarah Jessica Parker, da Debbie Harry a Djimon Hounsou. Scatti in B/N, nudi, colori iper-saturati, pose plastiche e sensuali, ritratti che delineano l’individualità di ciascun soggetto e composizioni ironiche, ma anche erotiche. Gli scatti dalle atmosfere tropicali americane anni Novanta poi, rimandano ad alcune emblematiche campagne pubblicitarie create dall’artista per brand del calibro di Versace, Chanel, Armani, Yves Saint-Laurent.

Sopravvissuto a un’infanzia difficile, il fotografo è riuscito a svettare tra i colleghi e guadagnarsi un posto d’onore nell’olimpo della fotografia di moda. Il suo sguardo peculiare è sempre stato in grado di catturare l’essenza di chi gli si trovava davanti, dall’altro lato dell’obiettivo fotografico, restituendone un’immagine autentica e per questo indelebile al passare degli anni. “Colui che vede” è la traduzione letterale del suo nome in lingua semitica ed è proprio il caso di dirlo: un nome una garanzia.

L’ascesa di Michel Haddi

Michel Haddi nasce a Parigi nel 1956 da padre francese (un soldato, che non ha mai conosciuto) e madre algerina. Trascorre l’infanzia in un contesto difficile, fra le mura di un orfanotrofio e conseguenti difficoltà economiche. Fin da giovane però, emerge la sua passione per la moda, alimentata dalle riviste di settore come Vogue. A 18 anni lavora di giorno come cameriere e la notte come guardiano notturno in un hotel. All’improvviso la svolta: incontra Ben Lee, un fotografo canadese a Londra, che lo introduce al mondo della fotografia e lo invita a lavorare per lui come assistente nel suo Studio a Soho. La dedizione e voglia di imparare di Haddi lo portano a inaugurare il proprio studio fotografico in soli tre anni. Nel 1981 inizia a collaborare con Vogue, segnando così l’inizio di una carriera di successo. Il suo talento lo porta a espandersi oltre Londra, conquistando anche Parigi e Milano, i centri della moda degli anni ’80 e ’90. Michel diventa un punto di riferimento nel mondo della fotografia di moda, contribuendo al suo successo e immortalando per sempre il fervore creativo di quell’epoca particolarmente sfrenata.

© Michel Haddi – Giorgio Armani fashion show, Vanity Fair Italy, Milan, 2010 – Courtesy of 29 ARTS IN PROGRESS gallery

Michel Haddi: Beyond Fashion Part Two, sarà in mostra alla galleria in San Vittore 13 a Milano fino al 16 marzo 2024. Nelle prime due giornate di inaugurazione l’artista sarà presente per realizzare dei ritratti dal vivo del pubblico, coinvolgendolo in un’esperienza unica ed emozionante, che è stata intitolata “Be A Legend”.

Risoluti nelle intenzioni e leggeri nello spirito. I brand indipendenti alla Milano Fashion Week Uomo

Il weekend di MFW Uomo Autunno Inverno 2024 2025 è volato via. Da qualche tempo l’impressione comune è che il mondo si stia riducendo sempre più a quello spazio buio sotto il letto, da cui temi possano uscire mostri indicibili. Armarsi di capi-corazza, quindi, sembra l’unica soluzione, e la più logica, da adottare. I brand indipendenti però dimostrano di non aver perso la speranza, anzi. La ricerca di verità più profonde, insite in qualunque soggettività, è un approccio a cui rimandano diversi marchi, così come la caparbia determinazione a proseguire lungo il cammino, un passo dopo l’altro. Ritrovare una certa leggerezza del cuore resta l’obiettivo comune e, forse, anche l’unico trend su cui dovremmo puntare.

brand indipendenti Wella
Backstage da Federico Cina, foto by Wella

I brand indipendenti alla Milano Fashion Week Uomo Autunno Inverno 2024 2025

Tra show emozionanti e presentazioni suggestive, abbiamo identificato le collezioni di alcuni dei brand indipendenti all’interno della scena milanese che si sono contraddistinti in questa stagione Uomo Autunno Inverno 2024 2025 della Milano Fashion Week. Elencati qui di seguito in ordine rigorosamente sparso.

Gli unicorni protagonisti del CO-ED Show di Dhruv Kapoor

In un mondo spaccato dai conflitti, consumato dall’avidità umana e animato dalla sete di potere, Dhruv Kapoor lancia un messaggio: “Better Together”. La collezione Autunno Inverno 2024 2025 di Kapoor si basa sull’unione per un mondo migliore, utopico forse, dove regnano pace, armonia, equilibrio e amore. Sui capi il tema dell’unione si concretizza nella fusione tra sport, utility e sartorialità. Preziosissimi ricami stagliano su tessuti tradizionali reimmaginati, sulle maglie sportive (back to Bloke Core), e si alternano a giacche biker in lamé o ai tailleur in neoprene. Le silhouette ibride fondono cropped e oversize, morbido e attillato, rigore e spensieratezza. Con questo spirito nascono la collaborazione con Huma Eyewear e la partnership con Nike, i cui capi sono tutti upcycled. Tema ricorrente e simbolo della collezione è l’unicorno bianco, incarnazione fiabesca di magia, fantasia, energia maschile e femminile insieme. Per celebrare i 10 anni di Dhruv Kapoor sono stati riproposti alcuni capi d’archivio sotto la capsule collection “KPR Vault”. Lo styling è firmato Giorgia Cantarini, mentre lo show è stato presentato su Instagram da Marc Forne.

Scalare la città con Domenico Orefice

Domenico Orefice ha debuttato alla Milano Fashion Week con la collezione A1 R1 25. Il nome proviene dall’alpinismo e in particolare si riferisce al grado di difficoltà dell’arrampicata in artificiale e al parametro di rischio. Il brand di sportswear di nuova generazione ha presentato una collezione quasi esclusivamente in total black, a-gender e a-seasonal, con uno styling edgy per veri “cool kids”. L’intenzione è fornire una sorta di armature ai cittadini del futuro, che dovranno combattere gli elementi atmosferici per farsi strada nelle città. La ricerca di un nuovo equilibrio fra ambiente urbano e naturale, e in particolare montano, è anche alla base dell’installazione HYBRID ITER con cui la collezione è stata presentata presso la Fondazione Sozzani. Il designer campano si è rivolto all’azienda italiana Gruppo Cinque per i tessuti dei suoi capi, che tra gli altri comprendono materiali tecnici traspiranti e al contempo garanti di riparazione dal freddo. In generale la collezione è stata concepita per essere combinata a quella precedente presentata a Pitti, A0 24 Moderate. Un approccio pragmatico e sostenibile, per un brand che ha l’obiettivo di annullare le distanze tra ambiente naturale e urbano, tra sartorialità e sportswear, tra Made in Italy e innovazione.

In volo con ADSB Andersson Bell

In via Tortona 27 un’enorme installazione gonfiabile ha accolto gli ospiti di ADSB Andersson Bell per il suo show “Air House”. L’opera artistica è stata realizzata da Byungchan Lee.

La collezione Autunno Inverno 2024 2025 volteggia intorno al tema del volo con un omaggio a Ki-Ok Kwon, la prima aviatrice della Corea del Sud, ed evocando l’estetica delle uniformi dell’Aeronautica Militare. Romanticismo e funzionalità, utilitarismo e decorativismo: un alternarsi di concetti e codici che, grazie anche allo styling di Robbie Spencer, si traducono in nuovi significati vestimentari. Si ispirano al paracadutismo tanto le giacche quanto le gonne, con lunghezze trasformabili per dare libertà di sperimentazione. Il lato maggiormente strutturato della collezione, con i bustier e i tagli sartoriali, si ammorbidisce con i cargo, i volumi ampi e le linee rotonde. Il layering dinamico e i patchwork trasmettono un approccio giocoso e divertente all’estetica più seriosa delle uniformi.

Sublimare un istante, Federico Cina

Catturare il cambiamento, un passaggio di stato, una trasformazione nell’attimo esatto in cui avviene, è forse possibile? Qual è il colore più adatto a rappresentare tale istante? Quest’incognita anima “Colori del nulla”, l’ultima collezione di Federico Cina.

Cina parte dai quadri di Luigi Grossi, dialoga con l’architettura brutalista, riflette sull’inutilità della decorazione di Adolfo Loos e passa per le visioni trasformative di Bill Viola e per gli scritti di Salvatore Settis sul senso del classico. Lavora dunque per sottrazione, si lascia alle spalle ciò che risulta superfluo, proprio come quando si abbandona una versione di sé che è cresciuta, dopo essersi scontrata con una nuova realtà. Una versione cambiata. I capi presentano linee definite, il taglio è a vivo, le silhouette geometriche, per un guardaroba essenziale e strutturato. Anche i colori rimandano alla rigidità, a un severo processo di costruzione ed evoluzione. La Tortellino Bag, dalle linee morbide ma scultoree, rappresenta la tradizione che si fa materia, un oggetto del desiderio proveniente da ciò che consideriamo “classico”.

Le infinite traiettorie cui conduce Pronounce

Fondato nel 2016 da Yushan Li e Jun Zhou. La collezione gira intorno alla farfalla di Zhuangzi, un grand pensatore Taoista che si addormentò per un giorno intero e sognò di essere una farfalla. Al suo risveglio non sapeva se fosse davvero un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che aveva sognato di essere un uomo. I confini tra sogno e realtà sono quindi indagati nella collezione. Il focus principale però risiede in un aspetto più fisico-meccanico del volo della farfalla, ossia il percorso che traccia con il suo volo. Ecco allora il dettaglio delle corde che si intrecciano e si annodano delineando traiettorie sui capi, talvolta rese tridimensionalmente da corde in velluto a coste. Percorsi che si incontrano anche nella fusione tra il Cheongsam tradizionale manciù (noto anche come qipao cinese) e la sartorialità occidentale, tra i completi Mao e il denim. Alcuni look-anteprima della capsule PRONOUNCE X POP MART THE MONSTERS includono illustrazioni stampate con i personaggi del retail toy brand cinese. UNDETECTED ha realizzato a mano tutti i gioielli della collezione, mentre AOKANG ha collaborato alla realizzazione delle calzature.

Simon Cracker invita al riposo ristoratore

Quando fuori il mondo tuona senza sosta, feroce e impietoso, “La nanna” è l’unica occasione di trovare riparo. Il sonno è un agognato rifugio. Su questo concetto hanno riflettuto James Joyce e Banana Yoshimoto in alcune loro opere e attorno a questo tema Simone Botte e Filippo L.M. Biraghi hanno costruito la nuova collezione. Contrariamente alle precedenti, dunque, i capi per la stagione Autunno Inverno 2024 2025 sono stati realizzati per trasmettere quiete, tregua, guarigione. Rigorosamente upcycled, la collezione verte sulla sartoria maschile (DNA del brand), su una palette dai colori polverosi, sbiaditi, i contorni smussati e consumati dal tempo. La gentilezza, pilastro attorno cui si radica il marchio, viene espressa dalle inedite sfumature nate dalle tinture post-assemblamento dei capi, dalle paillettes opache, le perle e le vernici argentate. Ancora, le stampe dei capi in denim sono il frutto della mano gentile di Sue Clowes, designer e figura chiave nella storia della band Culture Club (esatto, quella di Boy George) e della scena New Romantic inglese degli anni Ottanta.

La leggerezza di MORDECAI

La collezione #1 “Tecniche di volo” ha segnato per MORDECAI l’ingresso nel calendario ufficiale di Camera Nazionale della Moda Italiana. Con essa il Direttore Creativo del brand, Ludovico Bruno, si è interrogato sull’ambivalenza dei capi di abbigliamento, partendo dalla volontà di “viaggiare leggeri”. Qui la leggerezza è intesa in senso quasi calviniano, ossia il liberarsi di inutili zavorre superficiali, l’accogliere ciò che è indispensabile. Anche nel vestire. La silhouette è il punto di partenza e di arrivo della collezione, dove rigore ed essenzialità danno vita a un guardaroba maschile dallo stile distinto e definito. Ciò si riflette anche nella scelta della palette dai toni neutri, a cui si aggiungono il cognac, il marrone bruciato e il grigio scuro mélange. Il focus è sui capispalla e sulla maglieria, realizzati in baby alpaca, super kid mohair, merino, cashmere e cotone. L’effetto finale è una collezione casualwear raffinata e di lusso.

Mordente by NOSKRA, la luce in fondo al tunnel

L’ultimo giorno di Milano Fashion Week ha segnato il debutto ufficiale di NOSKRA, con una presentazione ad hoc presso Foro Buonaparte. Il brand di outerwear-tech streetwear fondato da Andrea Lonigro nel 2020 vuole dar vita a un universo distopico, un mondo di mezzo che prende forma da un’esperienza sensoriale profonda, intima e potente. È proprio in questo modo che è nato NOSKRA: il giovane designer e fondatore del marchio non ha una formazione “classica”, infatti, ma una sensibilità creativa sviluppata da viaggi ed esperienze personali. La collezione vuole fornire un guardaroba ai viaggiatori contemporanei, farsi fiaccola con cui percorrere il tunnel della vita, a mente aperta e con spirito coraggioso. Lo stesso nome del marchio si ispira alla runa “Kenaz” che significa appunto “fiaccola” e a cui viene associata la lettera K.

L’allestimento della presentazione è a opera di Mariano Franzetti e Nicola Pantano, mentre la collezione è stata battezzata “Mordente”. Parka oversize, pantaloni a gamba larga, bomber con le maniche removibili e cargo voluminosi con tasche stile workwear. Capi che definiscono il DNA e l’estetica del brand.

Vestirsi per l’Antartide: 7506 porta il concetto di coolness a un nuovo livello

Nasce 7506: il punto d’intersezione tra la moda, la ricerca scientifica e il progresso in ottica sostenibile. Un progetto rivoluzionario nel campo dell’abbigliamento tecnico, che garantisce performance migliori in ambienti estremi. Questo tramite l’ottimizzazione delle naturali proprietà d’isolamento termico dell’aria in un’innovativa architettura di prodotto.

Scienza e abbigliamento per il progresso. A Milano è stato presentato 7506, nuovo marchio rivoluzionario dell’abbigliamento tecnico. Si è trattato del primo di una serie di eventi curati e moderati da UNLESS, organizzazione no profit per la ricerca scientifica in Antartide. Rientreranno tutti sotto il titolo Antarctic Broadcasting, un progetto concepito per attirare l’attenzione e catalizzare conversazioni necessarie sull’Antartide e sui temi a essa correlati. Il settimo continente costituisce infatti la regione chiave per comprendere e studiare i cambiamenti climatici e la sostenibilità della vita sul pianeta.

Tra gli ospiti intervenuti alla presentazione si annoverano i fondatori di 7506 Lino Dainese e Alberto Piovesan, e la fondatrice di UNLESS, Giulia Foscari. Rocco Ascione, che è ingegnere presso l’unità tecnica antartica di ENEA,ed è Responsabile dell’Organizzazione delle Spedizioni del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA). Inoltre, è Station Leader presso la stazione italo-francese Concordia in Antartide. Infine, è intervenuto Matteo Ward con una stimolante riflessione sul concetto di sostenibilità e sulle profonde implicazioni che esercita nell’ambito del design. Cool, no?

A fine talk, nel Pop-up Lab di 7506 è stato possibile esplorare l’intera collezione 7506.

Tuta Antartica 7506
La Tuta Antartica di 7506

La rivoluzione del progetto 7506

7506 nasce per soddisfare la necessita di migliorare le performance in ambienti estremi e in particolar modo quelle degli scienziati in Antartide. Il marchio è figlio della collaborazione tra i laboratori di ricerca e sviluppo di D-Air Lab e UNLESS. L’associazione ha infatti ispirato e guidato il progetto di ricerca e sviluppo, in relazione a questo ambito scientifico.

«Le tecnologie adottate da 7506 facilitano la vita degli scienziati e di conseguenza le loro attività di ricerca in Antartide», afferma Giulia Foscari. Il segreto: l’aria. Risorsa preziosa e performante, il suo valore viene amplificato dal design stratificato dei tessuti e dei prodotti. Come sottolinea il direttore creativo e co-fondatore Alberto Piovesan nel suo intervento, 7506 ha permesso di muovere notevoli passi in avanti in ambito design.

Di fatto, il team ha progettato degli ecosistemi portatili capaci di migliorare la performance del corpo umano in ambienti estremi. Ogni capo è una seconda pelle innovativa, ideata per consentire un’esplorazione sicura in zone dove le bassissime temperature mettono a rischio la vita degli scienziati. 

‘Surviving the Cryosphere’: il primo episodio di Antarctic Broadcasting

In Antartide i ricercatori dedicano la loro vita alla scienza, affrontando temperature che raggiungono i -89,2°c e venti che soffiano a 259 km/h. Nell’episodio 01 di Antarctic Broadcasting, intitolato Surviving in the Cryosphere, la protagonista è stata la ‘Tuta Antartica’, un esempio unico nel suo genere di “abbigliamento intelligente”. Presentata per la prima volta con l’esposizione dell’intero progetto alla Biennale di Venezia, si tratta di un prodotto che garantisce comfort, mobilità e massima sicurezza.

La Tuta Antartica protagonista della collezione 7596

La Tuta Antartica è composta principalmente da due macro-strati. Parliamo di una corazza esterna ed un sotto-tuta, che sono in grado di comunicare e scambiarsi informazioni vitali per gli esploratori. Parliamo di frequenza cardiaca e respiratoria, umidità, ossigenazione del sangue e temperatura corporea. 

A mantenere costante quest’ultima ci pensa un brevetto di D-Air Lab. Grazie ad esso, si innesca un processo di riscaldamento autonomo delle estremità del corpo sulla base di informazioni trasmesse da sensori esterni di temperatura. Il sistema è ulteriormente potenziato dalla possibilità di usare un’app per determinare i livelli massimi e minimi di temperatura, che avviano l’attivazione e la disattivazione del sistema.

La Tuta Antartica diventerà la divisa ufficiale dei ricercatori in missione presso la stazione italo-francese Concordia.

Le tecnologie innovative dei capi 7506

È stato possibile evolvere e declinare le tecnologie sviluppate per la Tuta Antartica su altri prodotti. In questo modo è nata una serie di capi funzionali e performanti, sia in ambienti estremi che in contesti urbani. La collezione testimonia la costante ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra forma, tecnica e funzione nel design.

Alcuni esempi di tali tecnologie sono: un’imbottitura perforata per gli strati interni, che crea una rete di cupole in cui viene immagazzinata l’aria. Ciò massimizza la capacità d’isolamento termico e riduce il peso dei capi. Ad amplificare la performance dei prodotti, poi, un’innovativa architettura di diversi materiali in sei strati. Agendo organicamente in risposta alle necessità del corpo, questi diventano un’estensione della pelle umana, ne consentono la termoregolazione e garantiscono la sostenibilità delle funzioni vitali.

Il Pop-up Lab di 7506 rimarrà aperto fino al 15 marzo 2024. Un laboratorio urbano che permetterà al pubblico di immergersi nel processo di design innovativo dell’azienda.

Il fenomenale caleidoscopio ELASI e il suo nuovo singolo “Franco” (feat Anoraak e Dumar)

Franco è il titolo del nuovo singolo di ELASI, con la partecipazione di Anoraak e Dumar, che è uscito proprio oggi per Trident/Believe Music Italia. Abbiamo colto l’occasione per chiacchierare con l’artista riguardo il suo percorso, l’industria della musica e in particolare il genere elettronico. Dal suo appartamento in Chinatown a Milano, ELASI ci ha guidato attraverso il suo mondo. Una realtà variopinta e multiforme, che non si lascia limitare dai confini tradizionalmente imposti dal mercato musicale.

ELASI by Manuel Bifari
ELASI

ELASI: una vita legata a doppio filo con la musica

Elisa Massara, nome d’arte ELASI, nasce ad Alessandria nel 1993. A soli sei anni inizia a studiare musica e a dieci è già iscritta al Conservatorio Vivaldi della città, dove si dedica al pianoforte e alla chitarra classica. Il suo sogno è cantare su un palco le canzoni che scrive (altra cosa che comincia a fare già da piccolina). A quattordici anni circa comincia a esibirsi live nei pub e nelle sagre di provincia, insieme ai compagni della band punk-rock di cui entra a far parte. Nel frattempo alterna le serate con la band alle lezioni di musica classica, portando avanti quella che definisce ironicamente “una sorta di doppia vita”.

Amante della musica in tutti i suoi generi e sfaccettature, le piace scoprire e provare a studiare i relativi modi per crearla.  È con questa attitudine che si è avvicinata al mondo dell’elettronica.

«È un mondo che ti permette di unire tanti strumenti e generi, perché con i software puoi estrapolare qualsiasi tipo di campione o di suono. Melodie provenienti da luoghi lontani, voci, cori tradizionali e folkloristici. Con l’elettronica mi sono sentita libera di giocare con i generi che avevo imparato a suonare negli anni e di fonderli con quelli appresi più recentemente (il funk e il jazz, per esempio)».

Nonostante ciò, però, quando pensa a una carriera nella musica, ELASI si immagina di arrivare al massimo a proporre idee e realizzare progetti per conto di terzi. «Non mi sono mai sentita abbastanza brava per riuscire ad avere una carriera come artista solista», afferma. Si iscrive così a un corso universitario di economia per l’arte a Milano, il suo “piano b”. Continua a coltivare la passione per la musica parallelamente agli studi e al momento di redigere la tesi di laurea si sposta a Los Angeles. Lì ha l’opportunità di svolgere un praticantato in uno studio di composizione di musica per il cinema. In questo modo ha la possibilità di approfondire il mestiere della produzione: «Però continuavo a considerarla un’attività che si sarebbe limitata a soddisfare la mia curiosità, piuttosto che viverla come uno step verso un mestiere. E poi facevo la dog sitter per mantenermi» (ride, ndr).

ELASI continua sulla strada dell’economia, svolgendo anche lavori nell’ambito per qualche tempo, ma alla fine il destino la riconduce alla musica. Nel 2019 firma il suo primo contratto discografico e da quel momento diventa ufficialmente un’artista musicale.

ELASI by Luca Secchi
ELASI

«Io ho deciso di seguire il mio istinto e la mia verità e di non limitarmi a un solo aspetto della mia persona e passione, ma di continuare a nutrirle tutte contemporaneamente»

L’eclettismo che caratterizza il tuo percorso è ben riflesso dall’estetica con cui il tuo alter ego artistico si presenta al pubblico. Il ruolo che la moda gioca nella tua vita in ambito performativo è lo stesso che gioca nella quotidianità?

Direi di sì. I look con cui mi presento sul palco sicuramente non sono gli stessi con cui esco di casa e purtroppo non ho la make-up artist che mi trucca ogni mattina, però giocare con l’abbigliamento in modo creativo è una cosa che mi è sempre piaciuta. Da piccola amavo travestirmi ogni volta che se ne presentava l’occasione e oggi adoro andare alla ricerca di capi estrosi, particolari e scovare pezzi unici. È quello che faccio di più. Non seguo le tendenze e non mi interessa molto accaparrarmi l’ultimo drop del brand in hype o l’ultima borsa della maison di lusso. Anzi, ultimamente la principale designer che seguo è mia mamma! È molto brava a cucire, perciò le mostro o disegno dei capi che vorrei avere, e lei me li realizza.

Questo stesso ecclettismo però si è rivelato un problema per qualcuno. Alcune persone con cui ho collaborato mi hanno chiesto di scegliere un genere distinto, definito, un modo di scrivere preciso, di decidere se fare o la cantautrice o la cantante o la producer o la dj. Questo perché, a detta loro, avrei rischiato di veicolare un’identità confusionaria. Io ho deciso di seguire il mio istinto e la mia verità e di non limitarmi a un solo aspetto della mia persona e passione, ma di continuare a nutrirle tutte contemporaneamente.

ELASI by Luca Secchi
ELASI

Dal momento che hai viaggiato molto e vissuto all’estero, pensi che questa richiesta di limitarsi a una categoria ben definita sia una caratteristica del mercato musicale in generale o di quello italiano?

Faccio fatica a generalizzare, perché per quanto riguarda il mercato americano si tratta di un panorama talmente ampio che a confronto quello italiano è una realtà microscopica. Anche lì puoi incontrare gli stessi ostacoli che si possono ritrovare in Italia, quindi credo sia una caratteristica che non distingue un mercato dall’altro. A me basta sapere che sono esistiti ed esistono tuttora personaggi che sul loro eclettismo hanno fatto una carriera: penso a David Bowie per quelli meno recenti o a Shygirl nel contemporaneo. Di conseguenza mi rendo conto di essere un personaggio sicuramente più di nicchia rispetto a chi magari mostra un’identità più precisa. Di certo si viene lanciati nel mainstream anche grazie a questa caratteristica. Ma mi sembra che i progetti che ho realizzato finora abbiano riscontrato comunque successo, perciò questa strada, per la persona che sono, mi pare funzioni.

ELASI by Manuel Bifari
Total look Vivetta

«Non è un progetto indirizzato esclusivamente alle donne, non vogliamo auto-ghettizzarci in questo senso. Però sicuramente l’intento è quello di accogliere e sostenere chi tendenzialmente fa più fatica ad entrare in questo sistema»

Sei co-fondatrice di POCHE Cltv, il primo collettivo italiano di produttrici di musica elettronica. Com’è nato questo progetto e come si è sviluppato? 

POCHE è nato nel 2021 da una domanda apparentemente banale che Plastica (l’altra fondatrice e producer) e io ci siamo fatte nel periodo del lockdown: «Ma noi conosciamo altre ragazze produttrici?». Lavoriamo sempre in mezzo a colleghi, ma non abbiamo mai incontrato altre colleghe. Quindi, tramite passaparola, ci siamo informate su quali altre produttrici ci fossero in giro per l’Italia e abbiamo messo insieme un elenco. Spiccano ragazze davvero interessanti: dalla produttrice di musica da film come Ginevra Nervi, a Federica Furlani che si occupa di musica per il teatro; da quella più techno come Giulia Tess, fino a IDRA, che si dedica a un genere più ambient. Professioniste con background super diversi, ma accomunate dal fatto che la musica elettronica è il loro mestiere. Spesso poi non sono conosciute nel mainstream, quindi con POCHE cerchiamo di dar loro maggiore e meritata visibilità.

Come anticipavo il progetto è nato durante la pandemia, quindi i primi approcci sono stati le riunioni su Zoom dove condividevamo contatti, punti di vista, lavori, ma anche frustrazioni. Da lì è nata l’idea di dar vita a un progetto che potesse diventare una piattaforma o comunque farsi punto di riferimento per chiunque volesse dedicarsi professionalmente alla musica elettronica. Non è un progetto indirizzato esclusivamente alle donne, non vogliamo auto-ghettizzarci in questo senso. Però sicuramente l’intento è quello di accogliere e sostenere chi tendenzialmente fa più fatica ad entrare in questo sistema.

Nel concreto POCHE organizza corsi di formazione gratuita, in cui si utilizza il software di produzione musicale Ableton, che è il maggiormente diffuso. Il collettivo dà la possibilità di fare networking a scopo professionale e organizza rassegne musicali che possano dar voce ai nuovi talenti.

Un esempio è l’evento che abbiamo gestito alla Triennale di Milano, che ci ha concesso la direzione artistica di un palco per una rassegna di concerti di musica elettronica di produttrici. Siamo molto felici che il collettivo stia catturando l’attenzione di istituzioni importanti, grandi brand e agenzie di media. Significa che qualcosa di buono lo stiamo facendo!

ELASI by Luca Secchi
ELASI

«Adoro vedere gli altri felici e facendo la dj mi sembra di avere l’opportunità di modificare in positivo il loro umore (e di conseguenza il mio)»

Un’ulteriore sfaccettatura di ELASI è l’essere dj. Come si ricollega alla tua carriera?

Dal momento che creo musica per professione, essere una dj per me è una sorta di continuum inevitabile.  Ascolto tanta musica, in generale, quindi ho sempre fatto tantissima ricerca e di conseguenza imparato a selezionare. Fin da piccola amavo scegliere la musica da ascoltare in auto, alle feste ecc. Riuscivo sempre a captare il mood delle persone e a proporre musica che le entusiasmasse, le rendesse felici. Adoro vedere gli altri felici e facendo la dj mi sembra di avere l’opportunità di modificare in positivo il loro umore (e di conseguenza il mio). La sento veramente come una sorta di vocazione! Nonostante siano pochi anni che mi esibisco in modo professionale, sono contenta dei risultati che ho ottenuto finora. Quest’anno, in particolare, sono riuscita ad affermarmi un po’ di più nel panorama, quindi sono davvero soddisfatta.

È recente l’uscita di Autostop, il singolo prodotto da Rocco Rampino con il featuring di Willie Peyote. I toni intimi e le sonorità malinconiche del pezzo vengono rappresentati visivamente da un bel video musicale, dove tu e Willie interpretate i protagonisti. È un singolo che ha segnato un evidente cambio di rotta rispetto a CHE CALDO, uscito l’estate scorsa. Autostop racconta gli ultimi strascichi di una relazione ormai giunta al capolinea, ma che risulta difficile da spezzare. Scritto con delicatezza nella malinconia di un pomeriggio di novembre, tu e Willie rappresentate i diversi punti di vista della coppia, dove ognuno affronta la situazione in modo diverso. Da un lato qualcuno si chiude e vede il distacco come unica soluzione, dall’altro c’è chi non si arrende e continua a dare tutto se stesso con propositività.

Un concept opposto a quello di Franco, il nuovo singolo composto e scritto con Dumar e Anoraak, il musicista, producer e dj francese con cui hai già collaborato. Un pezzo allegro e spensierato, che fa ballare e la cui origine sembra molto diversa da quella di Autostop…

Franco parla di gioco, amore libero, nonsense ed è un pezzo nato per divertimento, senza alcuna reference particolare al mio vissuto. Autostop invece parte da esperienze strettamente personali, sia mie che di Willie Peyote. Quindi le origini dei due pezzi sono opposte direi. Franco è stata scritta in un’ora, cosa che capita raramente, ma ti fa capire la leggerezza e la spontaneità che caratterizzano il brano. È nato tutto quando Anoraak, Dumar e io ci siamo ritrovati a jammare in uno studio per una session organizzata da Italia Music Export (una branca della SIAE che si occupa di diffondere la musica italiana all’estero). Da lì ha avuto origine il beat.

Il testo è stato messo in piedi a partire dalle mie “supercazzole”, si può dire? Innanzitutto, Franco è un soprannome che amo dare a chiunque in tono ironico e divertente, perché suona buffo e amichevole. Dopodiché ci sono tante frasi nonsense, dove compaiono parole-stereotipi italiane con risonanza internazionale: fusilli, Bocelli ecc. Anoraak è francese e io italiana, e tra di noi parliamo in inglese. Stavamo cercando un punto d’incontro per scrivere il testo. E da lì la scelta di parole che venissero comprese universalmente, ovviamente in modo molto ironico. Sono contenta, mi sembra sia un pezzo davvero divertente.

ELASI by Manuel Bifari
Total look Vivetta

Franco chiude in bellezza il tuo 2023, un anno ricco di nuova musica, concerti e dj set, residenze artistiche e collaborazioni creative. Tirando le somme, cosa ti porti di tutto questo nel 2024 e cosa preferisci lasciarti dietro?

Guarda, dall’esterno questo anno è apparso bellissimo proprio perché ricco di date e nuove opportunità, ed effettivamente è stato emozionante. Però ti confesso che, al tempo stesso, è stato tanto difficile e doloroso per diversi motivi. Per cui mi auguro che il prossimo anno sia un po’ più leggero (almeno emotivamente!).

Credits

Photographers Luca Secchi e Manuel Bifari

Art Director Arianna Puccio (Studio Cemento)

Make-up Monica Crosta

La Gran Merenda di Natale: un viaggio gastronomico all’Excelsior Hotel Gallia di Milano

All’Excelsior Hotel Gallia, a Luxury Collection Hotel, Milan, il Natale ha un sapore diverso. Con la Gran Merenda di Natale siete invitati al Gallia Bar & Lounge per intraprendere uno straordinario viaggio culinario.

Gran Merenda Natale Gallia
Gran Merenda di Natale

La Grand Merenda di Natale all’Excelsior Hotel Gallia

Situato tra il nuovo distretto finanziario di Milano, Porta Nuova, e l’Isola, l’Excelsior Hotel Gallia è un punto focale dell’ospitalità meneghina. Curato dal pluripremiato studio di architettura milanese Marco Piva, l’interior design dell’albergo concilia l’estetica contemporanea con l’originale stile Belle Époque dell’albergo.

Struttura figlia della The Luxury Collection® (di Marriott International, Inc) l’hotel ripropone la Gran Merenda di Natale, ma con un concept tutto nuovo. Quest’anno gli Chef Vincenzo e Antonio Lebano vi guidano in un itinerario culinario. Nel team di alto profilo anche l’Executive Pastry Chef Stefano Trovisi e i fratelli Cerea, 3 stelle Michelin. Partendo dal Sud Italia, si passa dalla Toscana e dal Trentino-Alto Adige, fino ad arrivare a Milano per scoprire le eccellenze gastronomiche natalizie delle diverse regioni italiane. In tavola cartellate, struffoli, cassatine, panforte, ricciarelli, torrone, strudel, pandoro e panettone, per celebrare le tradizioni di Natale più autentiche.

Le suggestive decorazioni natalizie e l’iconico albero di Natale arricchiscono gli interni dell’Excelsior Hotel Gallia, donando all’ambiente una meravigliosa atmosfera di festa avvolgente.

Gran Merenda Natale Gallia
Gran Merenda di Natale

Il Natale in viaggio con le opere d’arte ‘luminose’ di Marco Lodola

La sorpresa di quest’anno, però, è la preziosa collaborazione con la Galleria Deodato Arte, che ha permesso l’esposizione delle opere luminose di Marco Lodola. L’artista ha realizzato queste opere d’arte con il neon, tra le quali la Vespa spicca come protagonista. Con quest’ultima, l’esposizione partecipa alla rappresentazione della metafora del viaggio ed è visibile al piano terra dell’hotel. L’insieme concorre a trasmettere un senso di avventura e di esplorazione, aggiungendo un tocco di luce e di contemporaneità al tradizionale contesto delle festività.

Il panettone dell’Excelsior Hotel Gallia a casa tua

Oltre all’esperienza della Gran Merenda di Natale, Excelsior Hotel Gallia arriva direttamente anche nelle vostre case. Il Panettone Tradizionale, il Panettone ‘Anima del Sud’ e l’Albero di cioccolato infatti possono essere acquistati presso il pop up shop dell’hotel o sul portale www.cosaporto.it. Si tratta dei tre dolci natalizi per antonomasia, firmati dall’Executive Pastry Chef Stefano Trovisi.

Il Panettone Tradizionale è la versione moderna del Panettone Classico Milanese, frutto di oltre 56 ore di amore e passione per realizzarlo. Per l’impasto vengono utilizzati il burro AOP (DOP) delle Ardenne, le uova biologiche allevate a terra, le arance candite Navel provenienti dall’area tirrenica calabrese, l’uvetta australiana 6 Corone e un blend di vaniglia di Tahiti e Madagascar.

Il Panettone ‘Anima del Sud’ invece è un omaggio alle origini degli chef Lebano e del Pastry Chef Stefano Trovisi. Per l’impasto vengono utilizzati il burro AOP (DOP) delle Ardenne, le uova biologiche allevate a terra, un blend di vaniglia di Tahiti e Madagascar, le albicocche Pellecchiella, frutto antico e prelibato che matura nelle soleggiate terre vesuviane, e il Cioccolato Fondente 100% Criollo Chuao.

Infine, l’Albero di cioccolato è un classico del Natale da condividere. Ogni anello, in cioccolato Valrhona Komuntu 80% e frutta secca e candita, si può mangiare singolarmente o condividere con gli altri.

La Gran Merenda di Natale verrà servita presso il Gallia Bar & Lounge tutti i pomeriggi dalle 15.30 alle 18, fino al 6 gennaio.

Jonathan Anderson vincitore dei Fashion Awards 2023

La serata dei Fashion Awards è uno degli eventi di gala più importanti del calendario della moda internazionale. Per l’occasione il tappeto rosso ha rivestito la scalinata del Royal Albert Hall di Londra, calcato da celebrities, designer e personaggi affini al fashion system. L’illustre British Fashion Council, come sempre, ha selezionato e premiato le candidate e i candidati di questa edizione 2023.

Ecco allora i vincitori annunciati ai Fashion Awards 2023, quest’anno presentati da Pandora.

Storia dei Fashion Awards

I British Fashion Awards (BFA), ora noti come The Fashion Awards, sono uno dei premi più prestigiosi nell’industria della moda britannica. Istituita nel 1984 dal British Fashion Council (BFC) la cerimonia annuale celebra l’eccellenza nel design e nel contributo alla moda da parte di talenti britannici e internazionali.

Nel corso degli anni, la struttura e le categorie dei premi sono evolute per riflettere i cambiamenti nell’industria della moda, spaziando da “Designer of the Year” a “Model of the Year”, “Stylist of the Year” e molte altre. Nel corso degli anni i Fashion Awards hanno ottenuto il sostegno di importanti marchi e sponsor, consolidando la loro importanza. La cerimonia di premiazione è diventata un evento di alto profilo, che ogni edizione attira celebrità, designer e personalità influenti del settore da tutto il mondo. Oltre alla consegna dei premi, la serata talvolta comprende sfilate di moda, performance musicali e altri spettacoli.

Nel 2016, i British Fashion Awards vengono ribattezzati The Fashion Awards, riflettendo l’aspetto sempre più globale e internazionale dell’evento. La serata ha anche lo scopo di sostenere diverse organizzazioni benefiche legate alla moda e per questo motivo ha introdotto nel 2019 la categoriaSostenibilità“. Si tratta di un riconoscimento per gli sforzi di designer e aziende nel ridurre l’impatto ambientale del loro lavoro.

I vincitori dell’edizione 2023 dei Fashion Awards

Quest’anno il premio Designer of the Year è andato a Jonathan Anderson. Al designer inglese è stato riconosciuto l’impegno e la dedizione con cui segue JW Anderson (il suo brand omonimo, lanciato a soli 24 anni) e il marchio spagnolo LOEWE, di cui è direttore creativo dal 2013.

Martine Rose (con il suo brand omonimo) e Maximilian Davis (per Ferragamo) sono stati insigniti rispettivamente dei premi British Menswear e Womenswear Designer of the Year.

Il duo Chopova Lowena si è aggiudicato il premio New Establishment Womenswear Designer, mentre quello di New Establishment Menswear Designer è andato a Bianca Saunders. Chopova Lowena è il marchio fondato da Emma Chopova e Laura Lowena, che hanno esordito con la collezione Autunno Inverno 2017-2018 alla Central Saint Martin. Bianca Saunders invece segue il proprio brand omonimo e da settembre 2023 è mentore presso l’Istituto Marangoni di Londra.

Paloma Elsesser è Model of the Year. Un traguardo storico, dal momento che si tratta della prima volta in assoluto che una modella plus size vince questo premio. Un riconoscimento importante per chiunque, come Elsesser, combatte quotidianamente contro la grasso-fobia, il razzismo e la misoginia fuori e dentro il mondo della moda.

L’Outstanding Achievement Award del 2023 è andato a Valentino Garavani, in onore alla sua carriera pluridecennale che ha cambiato e influenzato l’industria della moda tutta. Il prestigioso premio riconosce così gli sforzi creativi e innovativi de L’ultimo imperatore, nei suoi quasi cinquant’anni da designer.

Jonathan Anderson

Talenti emergenti ai Fashion Awards 2023

Il premio della BFC (British Fashion Council) Foundation Award è stato assegnato a Conner Ives. Nato e cresciuto a Bedford, New York, il giovane designer risiede a Londra da quando si è iscritto alla Central Saint Martins. Laureatosi nel 2020, Ives era già tra i finalisti del rinomato LVMH Prize nel 2021.

Il premio Isabella Blow Award for Fashion Creator è andato a Campbell Addy, fotografo e regista nato e cresciuto a South London. Il suo lavoro segue le narrazioni uniche e le emozioni autentiche provenienti dalla natura, focalizzandosi su casting distintivi e sui volti meno rappresentati nella scena mainstream.

Premiazioni speciali

A Sarah Burton è andato lo Special Recognition Award. Un premio speciale per il contributo eccezionale che ha regalato all’industria della moda con il suo lavoro da Alexander McQueen.

A Sam Smith (i cui pronomi d’elezione sono they/them) il premio Cultural Innovator Award, dedicato a chi è riuscito a innovare l’industria dell’intrattenimento esercitando al contempo un impatto significativo nella moda.

Infine, Michaela Coel si è aggiudicata il premio The Pandora Leader of Change Award: un riconoscimento assegnato dallo sponsor dell’evento. Questo premio celebra chi sfida costantemente lo status quo per creare un cambiamento positivo a livello globale. Chi usa la propria piattaforma per modificare positivamente le percezioni circa temi sociali importanti, facendosi voce e volto di una rappresentazione alternativa autentica.

Evoluzione (ecologica) di un’istituzione: i velluti Redaelli 1893 sempre più green

L’eccellenza manifatturiera si riflette anche nelle scelte coraggiose che si prendono per proseguire verso il futuro. Redaelli 1893 lo dimostra con la nuova linea di velluti tinti con pigmenti naturali e di fake fur in velluto ecologico, petrol e cruelty free.

Entrata a far parte del Gruppo Marzotto nel 2012, la Radaelli Velluti è sinonimo di velluti haute de gamme a livello mondiale, con una produzione che si rivolge alle più note maison di moda, ai teatri più prestigiosi del panorama nazionale e internazionale (come il Teatro alla Scala, La Fenice, il Metropolitan Opera House) e alle più celebri aziende automobilistiche (Lancia, Fiat, Alfa e BMW).

Tessuti pregiati e una produzione sempre più sostenibile

Durante la sua storia risalente al 1893, come suggerisce il nome del marchio, l’azienda Radaelli Velluti ha messo in pratica continue sperimentazioni in ambito produttivo. Il fine è sempre stato quello di trovare e adottare approcci maggiormente sostenibili e di ridurre il proprio impatto ambientale. Ne sono un esempio i metodi di produzione che permettano di non utilizzare prodotti chimici durante le diverse fasi di lavorazione dei tessuti.

Oggi, l’obiettivo raggiunto è quello di essere riusciti a valorizzare al massimo tutti i benefici di un prodotto naturale, senza compromettere la vita degli animali. Le fibre intrecciate delle fake fur di Redaelli 1893 infatti mettono in evidenza tutti i meriti di lana, cotone e viscosa, dimostrando come si possano realizzare delle alternative effettive alla pelliccia tradizionale. Inoltre, un team giovane ed entusiasta sta traslando la storia del velluto europeo nel presente, mantenendo vivi i segreti del materiale con un’ottica innovativa.

Ogni velluto Redaelli si caratterizza per le straordinarie performance che combinano una sensazione emozionale al tatto, una visione tridimensionale e notevoli qualità tecniche. Questi risultati eccezionali derivano dalla selezione accurata di materie prime ad alto contenuto tecnico e di massima qualità. Le collezioni offrono massima personalizzazione grazie a una vasta gamma di basi e strutture, tra cui cotone, viscosa, seta, lana e Trevira. Le fantasie vengono create con tecniche avanzate come stampe policrome o ton sur ton, ink jet, per corrosione o a pigmenti. Ancora, lavorazioni dévoré eleganti e intramontabili, o tecniche di finitura che includono spazzolatura, goffratura e tamponatura con feltri.

Le iniziative di Redaelli 1893 a favore dell’ambiente

Redaelli 1893 si impegna costantemente nella ricerca e sviluppo di nuovi metodi di produzione. Questo approccio ha recentemente portato all’introduzione di una linea di velluti tinti naturalmente, utilizzando esclusivamente pigmenti naturali denominati Cinque Terre. Derivati dall’ossidazione del ferro e provenienti da materiali riciclati, offrono una straordinaria resistenza alla luce e una varietà cromatica ricca di sfumature e tonalità delicate.

L’azienda fa parte della Better Cotton Initiative (BCI), un’importante organizzazione non-profit impegnata a rendere la produzione globale di cotone più etica e sostenibile. Redaelli è anche certificata GOTS (Global Organic Textile Standard), il più rilevante standard per la produzione sostenibile di indumenti e tessuti derivati da agricoltura biologica. Tale certificazione attesta un impegno sostenibile a 360°, dalla fase manifatturiera al prodotto finito.

L’azienda adotta rigorosamente materie prime certificate GRS (Global Recycled Standard) e viscosa certificata FSC (Forest Stewardship Council). Si tratta di viscosa proveniente da foreste gestite in modo responsabile secondo standard ambientali, sociali ed economici severi.

Redaelli 1893
Tessuto della linea Corinth di Redaelli 1893

La storia di eccellenza di Redaelli 1893

Redaelli 1893 è un’azienda dalle solide radici. Le si deve alla determinazione del suo fondatore, Alfredo Redaelli, e all’intraprendenza con cui ha sviluppato il business insieme all’imprenditore Paolo Finzi. Fondata nel 1893 a Lecco, l’azienda si è affermata come leader mondiale nella produzione di velluti di ordito, introducendo in Italia la lavorazione del velluto doppia pezza.

Dopo un periodo di formazione da operaio in Germania e a Lione, infatti, Alfredo Redaelli fonda il primo stabilimento a Rancio nel 1910. Nasce così la “Fabbrica di velluti e Peluches Alfredo Redalli S.A.” che negli anni seguenti apre altre due unità produttive (Malpensata di Lecco e Mandello del Lario), ottenendo il riconoscimento internazionale. In particolare, la collaborazione con il gruppo lionese JB Martin, specialista nei velluti leggeri e chiffon, ne consolida il successo.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il vellutificio affronta diverse comprensibili difficoltà. Sotto la guida di Riccardo Redaelli però, figlio di Alfredo, vive un periodo di rilancio con il potenziamento dei macchinari. Nel 1963, Alfredo Redaelli, nipote dell’omonimo fondatore, prende le redini dell’azienda, portandola attraverso ristrutturazioni, ammodernamenti e acquisizioni.

Nel 2007, Redaelli Velluti acquisisce il gruppo tedesco Girmes GmbH, noto per la produzione di pellicce finte e velluto. L’acquisizione comprende i due marchi del gruppo: Niedieck, fondato nel 1879, e Christoph Andreae, un prestigioso produttore di velluto per arredamento fondato nel 1687.

Infine nel 2012 l’azienda arricchisce la gamma di prodotti del Gruppo Marzotto, rafforzando la sua posizione nel settore.

Dai cieli dell’Inghilterra a quelli di Biella: Alan Scott, il brand di lusso inglese Made in Italy

Spicca il volo Alan Scott, il nuovo marchio inglese Made in Italy di sportswear extra lusso. La prima collezione è ispirata alla libertà di movimento degli uccelli in volo, animali cari nei ricordi del designer.

Alan Scott Bryan Adams
Un’immagine della campagna di Alan Scott scattata da Bryan Adams

La falconeria e le radici di Alan Scott

È possibile azzardare che la pratica venatoria della falconeria abbia accompagnato l’essere umano lungo tutta la sua storia. Se ne ritrovano infatti le prime tracce già nell’Epopea di Gilgameš, il racconto epico della Mesopotamia, nonché una delle opere letterarie più antiche dell’umanità.

Alan Scott era solito praticare la falconeria come hobby insieme al padre Anthony, facendo volare e addestrando uccelli rapaci nel nord dell’Inghilterra. La passione intrinseca a questa tradizione familiare è alla base della collezione di lancio di Alan Scott, nuova stella nel firmamento della moda di lusso internazionale.

La tecnologia cashmere stretch nella prima collezione del marchio

Presentata con un pop-up store a settembre 2023 da Harrods a Londra, la linea maschile Alan Scott propone capi sportswear, eleganti e di lusso per chiunque segua un lifestyle contemporaneo inscritto nel viaggio e nel Business. I lasciti della tradizione falconiera e l’ispirazione personale si ritrovano nei dettagli artigianali in pelle: dai delicati inserti alle complesse cuciture che ricordano i cappucci e i guanti usati nello storico sport.

Ad essi si aggiunge l’innovazione del cachemire stretch: una tecnologia brevettata che contraddistingue tutta la produzione Alan Scott. Sviluppato dal creatore tessile Ardizzone, nel biellese, questo tessuto avanguardistico condensa i concetti di lusso e funzionalità come mai prima d’ora. Il cashmere è da sempre sinonimo di uno stile di vita ricercato e sofisticato, che rifugge l’apparenza a vantaggio dell’essenza. Reso praticissimo dall’eccezionale flessibilità, il nuovo tessuto garantisce libertà di movimento e raffinatezza esclusiva.

I capi sono interamente realizzati a mano in cashmere elasticizzato. I pezzi chiave della collezione comprendono: un completo giacca e jeans Indigo Denim, una giacca Biker pesante che simula il design del chiodo in pelle e un soprabito double-face a doppia spazzolatura. Il guardaroba garantisce uno stile contemporaneo e internazionale con tonalità che vanno dal nero, al grigio fino al blu notte. Alla collezione si aggiunge una selezione di accessori da viaggio, che abbinano il cashmere alla pelle di cervo.

L’impronta di Alan Scott svelata dall’arte e dalla fotografia

L’ispirazione e la campagna della collezione sono state scattate da autori differenti. Il duo italiano di base a Londra Coppi Barbieri, maestri della fotografia still life, hanno catturato l’essenza delle ispirazioni di Scott nello stile di dipinti antichi. Opere che mettono il dettaglio in primo piano, rendendolo protagonista dell’immagine. I capi della collezione invece sono stati fotografati dal canadese Bryan Adams, rinomato cantautore e musicista, oltre che fotografo specializzato in ritratti e attivista.

Dato il successo della prima presentazione nella sezione International Designer di Harrods, il grande magazzino londinese ospiterà il ritorno di brand con un secondo pop up store a febbraio 2024.

Le infinite possibilità che un Monolocale può custodire: alla scoperta del nuovo brano di Maninni

Maninni, nome d’arte di Alessio Mininni, ha rilasciato un nuovo singolo intitolato Monolocale. Il suo mantra di vita è: “Svegliarsi la mattina e inseguire un sogno per il quale magari si soffre anche, fa bene” (dalla canzone Sono sempre i sogni a dare forma al mondo di Ligabue). Vivere con questa convinzione significa condurre un’esistenza all’insegna della speranza, di una passione bruciante che funge da carburante per continuare a muoversi. È un punto di vista sulla vita positivo, che permette di non abbattersi di fronte agli ostacoli, ma anzi di trarre da essi insegnamenti che si facciano strumenti di riscatto. Tutto ciò viene riflesso perfettamente nel nuovo brano Monolocale, prodotto da Maninni in collaborazione con Shune e uscito per Epic/Sony Music Italy il 17 novembre.

Maninni
Maninni

Tra le mura di Monolocale

Tra inedite sonorità indie pop, più fresche e dirette di quelle a cui ci ha abituati, l’eclettico songwriter in questo nuovo singolo si espone e canta di gioia e paura nelle relazioni d’amore. Le due emozioni concettualmente contrastanti vengono qui abbracciate da Maninni, come due sfaccettature di uno stesso prisma. Monolocale rappresenta non solo il nido d’amore dei protagonisti della canzone, ma diviene esso stesso simbolo e trasposizione metaforica della relazione vissuta.

Fresco di premio SIAE come giovane cantautore più suonato dalle radio con Graffi, il singolo precedente che ha riscontrato grande successo tra il pubblico, Maninni si racconta. In chiamata da Bari, sua città natale, l’artista si gode del meritato riposo a casa. «Stiamo già chiudendo delle date per il tour dell’anno prossimo. E in questi mesi lavoreremo alle nuove canzoni e al nuovo disco» ci anticipa, ma rivela che si concederà qualche settimana per staccare la spina e riprendersi dal tour appena concluso.

Maninni
Maninni

«Credo che la carriera di un artista si concentri soprattutto sui live. Mi sento un po’ vecchia guardia su questo topic, ma per me è importantissimo poter fare delle date del genere, soprattutto con i miei musicisti»

Il tuo primo tour europeo, un’enorme prima volta, si è concluso da poco. Cosa ti sei portato a casa da questa esperienza?

È stato fantastico, ci sono state delle date davvero molto belle e le quattro di chiusura del tour, che sono state fatte all’estero, sono state incredibili. È stata veramente un’esperienza stupefacente. Inoltre abbiamo aggiunto una data fuori programma, che consisteva in una partecipazione ospitata in un teatro per un festival, in acustico, diversa dalle altre. Qui mi hanno consegnato il premio SIAE, a sorpresa. Non ne avevo idea, non me l’aspettavo, mi è arrivato il premio sul palco così. È stato davvero bellissimo.

Ho portato a casa un’esperienza live strepitosa. Perché suonare dal vivo le mie canzoni con la mia band per la prima volta è stato speciale. Ci sono state altre date live in passato, ma quando ti esibisci in un tour che riguarda solo te e i tuoi brani è diverso. In questo caso invece è stato bello sperimentare per la prima volta anche l’impatto delle mie canzoni sulla gente, vedere una reazione dal vivo. Credo che la carriera di un artista si concentri soprattutto sui live. Mi sento un po’ vecchia guardia su questo topic, ma per me è importantissimo poter fare delle date del genere, soprattutto con i miei musicisti. È stata la prova del nove in qualche modo e mi sono divertito davvero tanto.

È uscito il nuovo singolo Monolocale. Sei soddisfatto? Ci racconti com’è nato e come si è sviluppato il brano?

Sì, sono molto soddisfatto, soprattutto per come si presenta la canzone. Abbiamo tirato fuori questo singolo un po’ dal cilindro, in maniera totalmente spensierata e senza alcuna vera aspettativa. Eravamo (e siamo) molto soddisfatti di come è andata Graffi, il singolo precedente, quindi questa volta volevamo affrontare il nuovo singolo in maniera più scanzonata. Molti mi hanno detto: «Ma come, siamo a novembre! Non tiri fuori una ballad?». Secondo me però le canzoni non hanno stagioni. Dipende tutto dall’andamento della vita dell’artista. In questo periodo mi sentivo di tirar fuori una canzone spensierata, up-tempo, che mettesse di buon umore la gente. E mi sembra abbia funzionato, il riscontro sembra positivo. Ho anche già beccato la canzone in radio questa mattina [ride, ndr].

Maninni
Maninni

«Dopo questo tour divertentissimo in cui abbiamo sperimentato la resa live dei pezzi up-tempo, che non mi aspettavo mi piacesse così tanto, ho scoperto un altro lato di me. Un lato più spensierato, a tratti ironico nei testi e generalmente più divertente»

Quello che hai appena descritto è il tuo modus operandi nella scrittura dei testi delle canzoni o adotti un approccio diverso di volta in volta?

Le mie canzoni nascono sempre in modo diverso, a seconda del periodo che sto vivendo. Ma ti parlo soprattutto in termini di produzione, quindi tutto il mondo sonoro che poi il brano si porta alle spalle. Sono un eterno affezionato alle ballad perché credo che abbiano quel tocco in più, che arriva al cuore più profondamente. Però dopo questo tour divertentissimo in cui abbiamo sperimentato la resa live dei pezzi up-tempo, che non mi aspettavo mi piacesse così tanto, ho scoperto un altro lato di me. Un lato più spensierato, a tratti ironico nei testi e generalmente più divertente. Per cui, quando alla fine del tour ho ripreso in mano questo brano che avevo scritto diverso tempo fa, la volontà è stata subito quella di portarlo verso una direzione sonora totalmente spensierata, che facesse sorridere la gente.

Nel complesso in effetti il pezzo fa venire voglia di ballare e trasmette un forte senso di ottimismo, di farcela nonostante le difficoltà. Sei un tipo ottimista?

Sì, cerco sempre di guardare il bicchiere mezzo pieno e, se non lo è, lo riempio io. Cerco di scacciare i pensieri negativi o di analizzarli per ricavarci del buono. Perché non tutto il male vien per nuocere, no? Alla fine nella vita l’importante è essere felici e ognuno ha i propri motivi per esserlo. Spesso però cerchiamo la felicità in cose che scopriamo poi non essere davvero importanti per noi. Credo che la felicità stia nei piccoli gesti, nelle piccole cose. Anche in un semplice monolocale, dunque, anche se a tratti può risultare stretto e soffocante, soprattutto per due persone. Credo invece che se ci si riesce a focalizzare sui piccoli aspetti che la vita di coppia regala, anche un monolocale si può trasformare in qualcosa di speciale.

Questa canzone è frutto di riflessioni personali nate durante il periodo di isolamento per la pandemia, dove tantissime coppie si sono ritrovate a spartire monolocali 24h per settimane. Ciò ha causato numerose separazioni, ma anche regalato diverse conferme. Credo che le conferme siano derivate da una scoperta d’intimità di coppia a un livello superiore, quando scopri che per stare bene è sufficiente condividere momenti semplici, ma genuini, anche in pochissimo spazio.

Maninni
Maninni

«Quando scorriamo i video di TikTok, lo facciamo a una velocità tale per cui non godiamo di nessun contenuto in particolare. Questo approccio si è insinuato anche nelle nostre vite, dove i momenti belli e le esperienze che potrebbero renderci felici ci passano davanti e non riusciamo a goderne appieno»

È un messaggio piuttosto raro da sentire oggi, dove l’eterna corsa all’avere ed essere “di più” muove quotidianamente tutti noi. Perché risulta così difficile dar maggior valore a ciò che abbiamo, anche se poco, secondo te? Perché ci focalizziamo sempre su quello che ci manca?

Non voglio peccare di presunzione, assolutamente, ma secondo me la causa di questo atteggiamento verso la vita sono i social. Credo caratterizzi soprattutto noi giovani. Se ci fai caso, oggi la velocità con cui una persona ha la possibilità di scoprire ed esplorare nuovi contenuti, nuova musica, ecc. caratterizza anche il modo che ha di fruirne. Quando scorriamo i video di TikTok, lo facciamo con una velocità tale per cui non godiamo davvero di nessun contenuto in particolare. Questo approccio si è insinuato anche nelle nostre vite, dove i momenti belli e le esperienze che potrebbero renderci felici ci passano davanti e non riusciamo a goderne appieno. Stiamo già pensando al dopo. Non riusciamo a concentrarci su una cosa in particolare, a valorizzarla, perché ci sembra sempre di non avere tempo per farlo.

È così un po’ anche con la musica: esce una canzone ogni settimane e da un venerdì all’altro è già vecchia. Ne sono uscite così tante, nel frattempo, tutto scorre così velocemente che la gente non ha modo e nemmeno più voglia di fermarsi, concentrarsi e dedicare tempo solo a una canzone. Bisognerebbe invece ripensare questo sistema, sedersi e prenderselo un po’ di tempo, perché quello alla fine è l’unica cosa davvero importante che abbiamo nella vita. Il tempo è sicuro che continui a scorrere, che non torni più indietro e se lo si fa passare senza dare importanza alle cose che davvero hanno senso, poi quelle cose non le recuperi più.

Sono d’accordo. Credo sia una dinamica legata anche al consumismo che caratterizza la nostra società. L’idea che “più consumi, meglio stai” e che ci porta ad acquistare compulsivamente oggetti di cui ci stufiamo altrettanto velocemente.

Esattamente! È un discorso che si applica a tantissimi temi odierni. Penso al fast fashion. Acquisti una felpa, un paio di scarpe o di pantaloni che poi tra un mese non metterai più perché sono passate di tendenza. Oppure semplicemente perché senti l’esigenza di acquistare qualcos’altro ancora più nuovo. Questo perenne sguardo in avanti non ci permette di apprezzare nemmeno quello che scegliamo di acquistare e di consumare, ci fa dimenticare i motivi per cui quell’oggetto o quel contenuto ci piacevano.

Maninni

«Sto vivendo un periodo in cui voglio sperimentare, provare, cambiare. Lo vivo come quando guardi attraverso un bicchiere pieno d’acqua: la realtà dall’altra parte si deforma in base a come giri il bicchiere e quindi il tuo punto di vista cambia»

Per Monolocale hai collaborato con Shune, già produttore di Tedua e Bresh e altri. Com’è stato lavorare insieme?

È stato un incastro interessante, perché non ho mai collaborato con un produttore che non c’entrasse quasi nulla col mio mondo. Dargli la canzone è stato un po’ un esperimento. Come dicevo, sto vivendo un periodo in cui voglio sperimentare, provare, cambiare. Lo vivo come quando guardi attraverso un bicchiere pieno d’acqua: la realtà dall’altra parte si deforma in base a come giri il bicchiere e quindi il tuo punto di vista cambia. Dare in mano una mia canzone a qualcuno che possibilmente la pensi in modo diverso da me, in termini di gusto e approccio musicali, sembrava la cosa giusta da fare per cambiare il mio punto di vista. E così è stato.

Mi è piaciuto tantissimo, perché quando mi ha presentato la prima versione del brano l’ho ritrovato in una veste che non pensavo potesse assumere. Era nuova, interessante, stimolante. Da lì ci abbiamo lavorato su, al team si è unito Enrico Brun, che da quasi un anno è il mio produttore, l’abbiamo resa un pochino più nostra, ma la base di partenza pensata da Shune è rimasta quella.

C’è qualche artista o produttore in particolare con cui sogni di collaborare? Perché?

Angelina Mango mi piace molto come artista: la reputo molto forte tra quelli emergenti, credo che sia la più interessante. Scrive, canta e si muove bene sul palco, produce le proprie canzoni… è veramente forte.

Poi ultimamente ho un piccolo sogno nel cassetto, ossia provare a collaborare con qualcuno che non c’entri assolutamente nulla con la mia musica, come potrebbe essere un rapper. In quel caso i nomi da sogno proibito sono Fabri Fibra e Marracash.

Questo 2023 è stato un anno ricco di successi ed esperienze positive per la tua carriera. Cosa ti spaventa di più del futuro e cosa desideri maggiormente, invece?

Ciò che mi spaventa è l’insoddisfazione, i rimpianti. Pretendo sempre il massimo da me stesso come persona, quindi ciò che desidero di più è sentirmi soddisfatto dei miei traguardi, della mia vita. Sogno di arrivare a un certo punto della vita dove guardarmi indietro e poter dire: sono contento di com’è andata.

Maninni

Un ponte tra Italia e Giappone: la carriera di attrice di Jun Ichikawa

Jun Ichikawa nasce a Kumamoto, in Giappone, e la sua famiglia si trasferisce in Italia quando lei ha 8 anni. Con un padre tenore e la madre soprano, Jun studia danza per 16 anni, crescendo in un ambiente dove la sensibilità alla bellezza viene posta al centro dell’educazione. Questo approccio è caratteristico della cultura giapponese, di cui Jun Ichikawa si fa portavoce oggi nel Belpaese (e viceversa) tra cinema, teatro e tv.

Jun Ichikawa tra cinema, teatro e serie tv di successo

L’espressione artistica di Jun Ichikawa si articola fra cinema, teatro, serie televisive e alcune esperienze come doppiatrice. La sua formazione è avvenuta sotto il tutoraggio di pilastri di settore come Giuseppe Agirò, Ermanno Olmi (che la introduce nell’industria cinematografica scegliendola come protagonista di Cantando dietro i paraventi), Dario Argento, Giuseppe Tornatore, Alessandro Siani.

Un percorso che le ha regalato soddisfazioni e riconoscimenti svariati, tra cui il premio della critica nel 2005, nell’ambito della IV edizione del Premio Internazionale “Giuseppe Sciacca”, e il più recente premio come Migliore Attrice per Satyagraha di Nuanda Sheridan, all’International Tour Film festival.

Jun Ichikawa non nasconde che nella vita le siano stati negati ruoli e partecipazioni a provini a causa delle sue origini asiatiche, denunciando così la discriminazione razziale che hanno subito (e subiscono) gli artisti italiani di seconda generazione in Italia. Al contempo, però, si dice speranzosa per il futuro dell’industria e del paese tutto, dal momento che alcuni cambiamenti su questo tema sono chiaramente in atto.

Jun Ichikawa by Gioia Maruccio
Jun Ichikawa indossa Blazer L.M.B. 1911, skirt Morfosis, shoes D’Antan

«Ora mi sento ancora più responsabile nel fare da ponte tra le due culture a cui appartengo, quella giapponese e quella italiana»

La tua è una carriera intensa e particolarmente eclettica, che vanta esperienze al fianco di alcuni dei più grandi nomi del cinema italiano (Olmi, Argento e Tornatore, per citarne qualcuno). Hai prestato la voce a personaggi di film iconici come Lost in translation di Sofia Coppola e la saga di Harry Potter.

Cosa pensi sia cambiato maggiormente nel tuo approccio al mondo dello spettacolo dagli inizi della tua carriera ad oggi?

Ripensando a quando iniziai a calcare il palcoscenico, ormai più di 25 anni fa, credo che il mio intento sia ancor oggi di cominciare qualsiasi produzione sempre con lo stesso spirito di ricerca e gioco. Questo proprio per dar senso alla parola “recitare”, che tradotta in inglese (to play) o in francese (jouer) rende molto lo spirito di questo mestiere. Gioco inteso dunque come “gioco serio”, quello in cui ci si diletta da bimbi, dove ognuno interpreta il proprio ruolo con grande responsabilità e devozione.

Ciò che è cambiato maggiormente in me, a parte gli anni che avanzano (ride, ndr) è forse il fatto di sentirmi ancora più responsabile nel fare da ponte tra le due culture a cui appartengo: quella giapponese e quella italiana. Ora cerco di condividere le esperienze e le conoscenze che ho acquisito nel tempo in ogni cosa che faccio.

Recentemente il lungometraggio Non credo in niente di Alessandro Marzullo, in cui hai recitato, è stato presentato ai Globi d’Oro. Si tratta di un’opera sperimentale su diversi fronti, quello visivo in primis. Curioso anche il fatto che sia stato girato in soli 13 giorni (non consecutivi). Cosa ti ha colpito maggiormente di quest’esperienza?

Ciò che mi ha colpito molto è l’approccio con cui ho visto il regista Alessandro Marzullo operare per creare la sua opera prima. La passione, la meticolosità con cui ha affrontato tutto il processo di creazione del film e la sua distribuzione. Solitamente un film viene distribuito in diverse sale italiane per un periodo limitato di tempo, quindi spesso e volentieri quelli super indipendenti come il nostro finiscono nel dimenticatoio, con amici che ne chiedono quando ormai la distribuzione si è chiusa. Alessandro, invece, ha deciso di creare degli eventi cinematografici uno dopo l’altro, con date quasi secche. Così, ha instillato nel pubblico una curiosità tale per cui a più di un mese e mezzo dall’uscita della pellicola ci sono ancora le sale stra piene!

Sono rimasta molto colpita dal desiderio di Alessandro di raccontare dei messaggi necessari. L’idea del film nasce in un periodo come il lockdown che penso ci abbia segnato un po’ tutti. Per quanto mi riguarda, ringrazio il regista che mi ha dato la possibilità di raccontare un’esperienza molto personale di cui avevo desiderio di condividere.

Jun Ichikawa by Gioia Maruccio
Blazer L.M.B. 1911, skirt Morfosis, shoes D’Antan

«Solitamente è difficile superare un film di successo: questo traguardo è stato un’ulteriore prova che, se un film è fatto da una squadra affiatata, non può far altro che vincere»

Attualmente sei impegnata con la promozione del film Addio al nubilato 2, uscito su Prime Video lo scorso 17 ottobre. Si tratta di una pellicola che è stata molto attesa dal pubblico grazie al successo del primo capitolo. Quando sei venuta a conoscenza del sequel, avevi particolari aspettative o preoccupazioni in merito al progetto?

Siamo molto felici che “Addio al nubilato 2” di Francesco Apolloni sia stato il film più visto su Prime Video alla prima settimana dal debutto. Non sempre un sequel riesce, anzi. Solitamente è davvero difficile superare un film di successo, per cui questo traguardo è stato un’ulteriore prova che, se un film è fatto da una squadra affiatata, non può far altro che vincere. Sin dalla prima lettura [della sceneggiatura, ndr] ho avuto piena fiducia nella produzione e nel regista.

Inoltre, ho provato una grande gioia al sapere di poter girare un altro film con Laura Chiatti, Antonia Liskova e Chiara Francini, con cui sono legata anche fuori dal set. Una vera amicizia che ci ha contraddistinto sin dal primo film e penso che traspaia anche nel sequel. Inoltre, girare con un gruppo di piccoli grandi attori tra cui alcuni non professionisti, mi ha dato la possibilità di osservare e scoprire quanto avessi da imparare, anziché da insegnare.

L’altro grande progetto a cui ti stai dedicando è la tournée teatrale Iliade. Il gioco degli dèi con la regia di Roberto Aldorasi. Il tuo ruolo sarà quello di Afrodite, la dea della bellezza, dell’amore e della generazione. Qual è l’aspetto più complesso che hai riscontrato nell’interpretare questa divinità? Ci sono invece dei lati della tua persona che credi si siano rivelati dei punti di forza per poterti calare nella parte?

Si tratta di un’Iliade un po’ atipica. Il punto di vista è quello degli Dèi che, come fossero burattinai degli esseri umani, giocano a interpretare gli eroi tanto decantati storicamente; lo fanno con grande cinismo, ma anche tanta delicatezza.

Al momento siamo ancora in fase di costruzione scenica dello spettacolo. La bellezza di fare teatro sta nel poter lavorare su un testo e su un personaggio più a lungo. È stimolante per me scoprire ogni giorno le difficoltà di un personaggio come Afrodite. Nella vita quanti di noi si ritrovano davanti a problematiche da risolvere? Il mio maestro di esoterismo e arti marziali, Roberto Sforza, mi racconta sempre come la vita si misuri valutando in quanto tempo si riesce a intuire la miglior soluzione a un problema. La chiave sta nel capire a chi e come chiedere aiuto. E qui faccio entrare in gioco il teatro. Per me fare teatro è vivere il potenziale di una vita giorno per giorno, facendo nascere e morire personaggi quotidianamente. La sfida sarà scoprire quanto (inevitabilmente) ci si sentirà legati al personaggio e quanto sarà importante non affezionarcisi troppo.

Per fare questo mestiere secondo me, è molto importante prepararsi fisicamente e mentalmente ogni giorno. Più mi alleno e più mi sento ricettiva verso l’esterno, pronta ad avere l’energia ottimale per lavorare in gruppo. In questo caso l’approccio e l’umanità a cui i registi, ma anche i miei compagni di viaggio Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Iaia Forte, Haroun Fall, Francesco Meoni, Elena Nico, Marcello Prayer ed Elena Vanni stanno dando allo spettacolo è molto stimolante e di grande ispirazione.

Per il personaggio di Afrodite sto lavorando sulla sensualità, ma anche a una determinazione guerresca. Secondo il mito le antenate di questa divinità, come Inanna o Astarte, erano celebri per essere non solo Dèe della fecondità e dell’amore; rappresentavano anche la guerra e la violenza. Sto cercando di attingere alla mia tradizione giapponese per arricchire il personaggio, associando la marzialità dei Samurai alla sensualità di una geiko.

Jun Ichikawa by Gioia Maruccio
Blazer L.M.B. 1911, skirt Morfosis, shoes D’Antan

Jun Ichikawa: «In cuor mio confido molto nelle nuove generazioni. Spero ci possano essere più film e serie dove etnie e generi siano sempre più compresenti in un panorama come quello italiano»

Ripensando al tuo percorso, c’è qualche consiglio che avresti voluto ricevere prima nella vita?

Nel mio percorso ho avuto il privilegio di incontrare molti maestri come Ermanno Olmi, Giuseppe Argirò, Paolo Rossi, Ridley Scott. Tutti loro mi hanno dato molti consigli sul comportamento in scena e sul palco; mi hanno insegnato quanto sia importante essere grati di lavorare e a riconoscere le diverse maestranze che fanno parte di questo mestiere.

L’unica cosa di cui forse avrei desiderato di più è un incoraggiamento riguardo al mio essere asiatica. Ricordo di aver ricevuto tanti no ai casting perché non abbastanza italiana e sentendomi dire spesso: “Brava! Peccato che non sei abbastanza italiana.”

Per mia fortuna negli anni ho anche avuto anche modo di incontrare registi e colleghi che hanno fortemente creduto in me. In alcuni casi hanno addirittura modificato dei ruoli affinché li potessi interpretare, come è accaduto ad esempio per la serie RIS o per il film Addio al nubilato. Noto però che c’è ancora tanta reticenza nell’inserire ruoli asiatici, soprattutto quando si tratta dei protagonisti di un film o di una serie televisiva.

In cuor mio confido molto nelle nuove generazioni. Spero ci possano essere più film e serialità dove etnie e generi possano essere sempre più compresenti in un panorama come quello italiano, dove la multiculturalità è sempre più evidente e non più una rarità da ignorare.

Credits:

Creative Direction & Stylist Cosmo Muccino Amatulli

Photographer Gioia Maruccio

Hair & Make up Isabella Avenali

Stylist assistant Giulia Lafece

FIDIA, lo scultore italiano che fa impazzire Los Angeles con la sua pop art concettuale

Il 2023 sta volgendo al termine, ma per il rinomato scultore Fidia Falaschetti i progetti sono tutt’altro che esauriti. Italiano con base a Los Angeles, l’arte di FIDIA incalza lo spirito critico di chi la osserva, suscitando interrogativi necessari sulla società consumistica contemporanea. Affascinato dalla street art, la cultura hip hop e il branding design, il lavoro di FIDIA è ispirato all’estetica pop americana. In particolare, rimaneggia figure iconiche del mondo dell’intrattenimento e del mondo corporate, affiancandoci spesso twist ironici, dark e provocatori.

Fidia
Ass Throw Boy

La nuova edizione di Ass Throw Boy di FIDIA

Una delle opere più riconoscibili ed esplicative del suo immaginario è Ass Throw Boy. Si tratta di una scultura-omaggio alla celebre serie giapponese Astro Boy, che quest’anno festeggia 60 anni. Per l’occasione, il 23 novembre FIDIA lancerà un’edizione in 100 pezzi di miniature da 25cm, in rame ossidato, in vendita a livello mondiale dal 24 novembre.  

Fidia
Galvanica, Ass Throw Boy

Altre sue opere celebri che ricordiamo sono M***** Mouse, Ronald McDonald e Le Big Mac. Simboli della nostra cultura che ci rassicurano e ci donano un senso di appartenenza, di identificazione con un segmento spazio-temporale in cui esistiamo. Al contempo però, nascondono lati meno piacevoli, più grezzi. L’operazione dell’artista è dunque quella di smontare questi segni e di risignificarli per ciò che rappresentano davvero. Anche se il risultato potrebbe non essere di nostro gradimento.

«Vedo la mia pop art concettuale come un modo di fare qualcosa di buono per la società – più passano gli anni, più diventa importante per me», afferma FIDIA. «Siamo tutti parte di un sistema, una società consumistica, che dobbiamo sfidare, dobbiamo esserne più consapevoli se vogliamo impedire che paesi di artisti e poeti diventino paesi di influencer». Aggiunge: «Naturalmente, sono un consumatore anche io, ma voglio far parte delle conversazioni – forse alla gente piacerà quello che faccio e forse no, ma qualunque risposta è un punto di partenza. La pubblicità veicola i suoi messaggi in modo molto efficace, così mi ha sempre colpito l’idea che potrei usarne le stesse tecniche per trasmettere un messaggio diverso, trasformandone le icone per dire qualcos’altro. E, sì, mi piace anche far ridere la gente.»

A dicembre l’artista sarà il protagonista di uno show alla fiera del Miami Art, mentre in primavera ci sarà Crash Flow, una mostra personale nelle gallerie di Los Angeles e Tokyo.

Fidia
Ass Throw Boy

Lasciare un segno

La critica ai tempi velocissimi, ai contenuti superficiali e alla cultura dell’usa e getta e del marketing selvaggio sono al centro della ricerca di FIDIA. Contrario a tutto questo, l’artista sogna di riuscire a lasciare un impatto umano per mezzo della propria carriera. Desidera essere parte del cambiamento. Ricordiamo allora il suo sostegno a una serie di enti di beneficenza internazionali che si occupano di questioni relative ai diritti umani. Citiamo l’asta d’arte The Biebers – Lift LA x Inner City Arts, Amnesty International, il 7 º Annual Arnold Schwarzenegger Westime Charity Event e il supporto a Fashion Fights Cancer.

Dieci anni di soffice prestigio: il Teddy Bear Coat di Max Mara festeggia in una casa peluche

Felice anniversario Teddy Bear Coat! Il 2023 segna un decennio dall’ascesa trionfale del cappotto Teddy di Max Mara nel mondo della moda. In questo tempo si è affermato come il cappotto must have grazie alla sua forma avvolgente “cocoon”, al tessuto pregiato e alla magica combinazione di glamour e giocosa eleganza. Al di là della sua funzione pratica, il Teddy Bear Coat di Max Mara è diventato un’icona, in grado di interpretare lo zeitgeist dei nostri tempi. Secondo il suo creatore, Ian Griffiths, questo è il segreto dietro il suo straordinario successo che ha conquistato i cuori e influenzato i gusti di tutto il mondo.

Teddy Bear Coat anniversario Lucas Possiede
Alessandra Mastronardi by Lucas Possiede

La storia del cappotto Teddy di Max Mara

Questa stagione si celebra il decimo anniversario del Teddy Bear Coat, capo iconico nel firmamento della moda. Nato nel 2013 da un’intuizione di Ian Griffiths, direttore creativo di Max Mara dal 1987, il Teddy trae ispirazione da un capo d’archivio degli anni ’80 del marchio. Trasformandosi istantaneamente in un it-coat ambito, da quel momento il capo viene sfoggiato dalle luminarie dello star system. Da Julia Roberts a Heidi Klum, da Hailey Baldwin a Georgia May Jagger, nessuna resiste al suo fascino.

Il suo volume sontuoso è un tributo all’eclettismo, mentre la sua flessibilità lo rende adattabile tanto allo stile urbano quanto allo sfavillante red carpet. È sufficiente un tocco di accessorio per trasformarlo! Di stagione in stagione, si rinnova nelle incarnazioni di gilet e biker, conservando la sua notorietà grazie alla silhouette avvolgente e al tessuto morbido e caldo.

Il segreto del Teddy Bear Coat è custodito nella fusione alchemica di soffici fibre di lana e alpaca o cammello, accarezzate da una base di seta, generando un equilibrio sublime tra eleganza e praticità.

Il direttore creativo di Max Mara, in un momento di riflessione, rivela come sognava di creare un capo che rispondesse al desiderio universale di conforto e sicurezza in un mondo che ci atterrisce sempre di più. Al contempo, però, ambiva a lanciare un indumento vistoso e di prestigio. Questo cappotto unico ha conquistato il cuore di donne di tutte le età, avvicinando anche una clientela più giovane al marchio. Oltre ai 90mila capi venduti del Teddy originale, nel tempo la Teddy family si è espansa abbracciando bomber, gilet e accessori, dando vita così a un universo completo.

Ian Griffith Teddy Bear anniversario Lucas possiede
Ian Griffiths by Lucas Possiede

Il decimo anniversario del Teddy Bear Coat

In occasione del decimo compleanno del Teddy Bear, è stata svelata una speciale campagna pubblicitaria che vede protagonista Mariacarla Boscono, immortalata dall’obiettivo magico di Tyler Mitchell. L’iconico cappotto avvolge la sua figura, mentre viene diffuso un messaggio intriso di significato: “I was, I am, I will be. Beyond Time”.

Maxmara.com e dieci selezionati negozi Max Mara nel mondo presenteranno capi e accessori concepiti esclusivamente per questa occasione. Tra le novità spiccano il glamour dello Sparkling Teddy Coat, disponibile nei toni eternamente raffinati del cammello o del bianco, e il Mini Teddy Coat, un delizioso cappotto pensato per le bambine dai 5 ai 12 anni. Quest’ultimo è accompagnato da accessori abbinati, come guanti a manopola, paraorecchie e cuffiette irresistibilmente soffici.

La festa di compleanno nella Fluffy Residence

In occasione di questa celebrazione, Teddy ci invita a varcare la soglia della sua dimora incantata: la Fluffy Residence, una casa dove ogni oggetto è morbido come un peluche.

Questo paradiso eccentrico si erge con linee sinuose e un’aura di tenerezza, trasformando lo spazio in una residenza interamente avvolta nel tessuto Teddy. È più di un luogo; è uno stile di vita, una zona di comfort dove ci si sente a proprio agio, sia dentro che fuori casa. E poi, la celebrazione continua con la possibilità di sperimentare il Magic Mirror e scoprire il proprio alter ego Teddy. Dopo l’affascinante Chengdu, la magia della Fluffy Residence si trasferirà dal 11 al 18 novembre al Portrait Milano. Le visite possono essere prenotate su maxmara.com.

Adidas Originals e Wales Bonner insieme giocano per vincere

Squadra che vince non si cambia. La nuova release tra adidas Originals e Grace Wales Bonner ha già conquistato tutti, ancora una volta.

adidas Originals e Wales Bonner
Un’immagine della campagna adidas Originals x Wales Bonner

La partnership tra il brand tedesco di sportswear e quello della designer britannico-giamaicana risale all’autunno del 2020, quando per la prima volta hanno unito le forze. Ne è conseguita una serie di release periodiche che hanno sempre incontrato il favore del pubblico, grazie alle intuizioni di Wales Bonner nel remixare i codici iconici dell’archivio adidas.

Le nuove Samba sono giù cult

Le scarpe sono ovviamente il punto focale delle collaborazioni e il modello Samba è lo special guest sempre presente. Il merito della sua ascesa all’olimpo dei pezzi più cool da possedere è anzi da attribuire proprio a Wales Bonner, che una collezione dopo l’altra ha infuso la scarpa di rimandi allo sportswear degli anni ’70, ’80 e ’90. L’estetica della designer di base a Londra è infatti tanto precisa quanto ricca di riferimenti culturali, sempre maneggiati con grande sapienza e creatività.

Ecco allora che nascono le nuove Samba con la linguetta oversize incisa e la tomaia lussuosa in quattro diverse proposte. I modelli Cream White e Dark Brown in finto pelo di cavallino, la Core Black e la Fox Brown in camoscio a pelo corto e pelle. Dalla collezione Primavera/Estate 2024 di Wales Bonner proviene la stampa animalier leopardata. Tutti i modelli poggiano su un’intersuola in gomma tipica delle OG degli anni ’40 e sono arricchiti dagli occhielli ricoperti da anelli in ottone.

adidas Originals e Wales Bonner Samba
Alcuni modelli Samba adidas Originals x Wales Bonner

I pezzi chiave di abbigliamento ruotano invece attorno al nylon ultraleggero. È il caso della tuta azzurro pallido con dettagli riflettenti e del maglione nero con un vivace colletto di maglia verde a contrasto. Ancora, dei set con le iconiche tre strisce a contrasto, presente anche in variante a maglia color mogano. Tutti i capi sono disponibili in taglie unisex, per un effetto ‘atletico’ e al contempo raffinato e sofisticato, impronta tipica di Wales Bonner.

La campagna Autunno/Inverno 2023 di adidas Originals by Wales Bonner

A differenza delle stagioni precedenti, nella campagna Autunno/Inverno 2023 le ambientazioni naturali lasciano spazio a immagini più raffinate e minimaliste realizzate in studio. Gli scatti ritraggono i profili dei modelli e di alcune icone del panorama street, come lo skateboarder Na-Kel Smith. La scelta degli sfondi minimali è stata presa allo scopo di enfatizzare la semplicità delle silhouette e la complessità evocativa dei personaggi. Le immagini della campagna sono accompagnate da una serie di brevi interviste in movimento condotte dal drammaturgo, attore e filantropo Jeremy O. Harris.

La collezione Autunno/Inverno 2023 di adidas Originals by Wales Bonner è disponibile dall’8 novembre su adidas.com e presso selezionati rivenditori.

Una serata al museo, sognando l’amore: il programma speciale del Museo Bagatti Valsecchi a Milano

Raccontare l’amore in tutte le sue forme e sfaccettature: questo il nobile obiettivo del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, che con il ricco palinsesto Stasera al museo. Le voci degli amori ritorna anche a novembre.

Antonio D’Amico, conservatore della casa museo dal 2021, si è incaricato di curare il programma annuale dell’iniziativa. L’ispirazione dietro il tema del palinsesto proviene dal motto latino ARS VOX AMORIS, inciso su un dossale ligneo del Salone d’Onore del Museo. È proprio questo il luogo d’elezione per le serate artistiche. Qui si alterneranno musica, poesia, canto e teatro, ossia tutte quelle forme d’arte in grado di dar voce all’amore.

Il 12, il 15 e il 19 novembre si susseguiranno tre diversi appuntamenti dedicati ad altrettante sfumature dell’amore.

Folle, Folle, Folle di amore per te, Alda Merini

La prima serata è dedicata ad Alda Merini

La prima data è dedicata a uno spettacolo realizzato in nome di Alda Merini, intitolato Folle d’amore per te. Alda Merini: passione, tormento e follia in un dialogo fra poesia e musica (con un rimando alla poesia Io sono folle, folle, folle d’amore per te della stessa Merini). La narrazione poetica e musicale è stata organizzata in collaborazione con l’Associazione Omaggio al Clavicembalo. I versi poetici di Alda Merini saranno interpretati da Sonia Grandis, e accompagnati da brani al clavicembalo eseguiti da Daniele Fontana, che suonerà musiche di autori del Barocco italiano e francese.

Le date di novembre della rassegna “Stasera al museo. Le voci degli amori

Segue una serata nel segno della musica: Bello amore. Un’esibizione di Gioni Barbera, compositore, arrangiatore e pianista che ha fatto dell’amore il centro delle sue creazioni musicali. Organizzata in collaborazione con Pepita Promozione, la serata è si resa possibile grazie a Banca Generali Private. Gioni Barbera, all’anagrafe Giuseppe Barbera, è un docente dal 1996 al CET (Centro Europeo Toscolano) di Mogol e dal 2000 è coordinatore musicale dei corsi. Tra le più importanti collaborazioni vanta quella dal 2014 con Arisa, che ha affiancato al Festival di Sanremo del 2016 in veste di direttore d’orchestra. Il titolo della serata è un omaggio al brano omonimo di Ornella Vanoni, parte dell’album “Seherazade”.

Infine, il programma si chiude con un concerto che affronta il binomio Amor sacro e Amor profano, i due contrari in eterno dialogo. Rappresentato da un alternarsi di brani sacri e di tango, inteso come sinonimo dell’amore profano, il dialogo assume la voce del soprano Lucia Conte. Graziella Baroli sarà al cembalo e Francesco Bruno al bandoneon. L’intermezzo di Couperin poi sarà una raffinata rassegna delle sfaccettature dell’amore, che andrà ad esaltare tutti gli stati d’animo.

Museo Bagatti Valsecchi Milano
Gioni Barbera

Breve storia del Museo Bagatti Valsecchi

Il Museo Bagatti Valsecchi di Milano è una casa museo situata nel cuore del Quadrilatero della Moda e aperta al pubblico dal 1994. Residenza dei fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi poi aperta al pubblico, il palazzo conserva opere d’arte che risalgono a Quattro e Cinquecento. Il Museo era la dimora di famiglia dei due baroni e ha continuato a essere abitata dai loro eredi sino al 1974. In quell’anno uno dei figli di Giuseppe, Pasino, decise di costituire la Fondazione Bagatti Valsecchi e donò l’intero patrimonio di opere d’arte raccolto dai suoi avi.

Museo Bagatti Valsecchi Milano
Graziella Baroli e Lucia Conte

Un’ora prima dell’inizio di ogni serata sarà inoltre possibile visitare il Museo liberamente, previa prenotazione obbligatoria.

Per prezzi, prenotazioni e informazioni è possibile visitare il sito www.museobagattivalsecchi.org

TOMMY HILFIGER E IL PUFFER CHE RISCALDA CORPO E CUORE

Le temperature scendono e i layer negli outfit aumentano. La stagione fredda è intrinsecamente legata a una serie di festività e tradizioni che accendono il desiderio di circondarsi dei propri affetti, oltre che di sciarpe. Di trascorrere momenti semplici e genuini che riscaldino il cuore, oltre che cercare capi per acclimatare il corpo infreddolito. E chi più di Tommy Hilfiger riesce a sublimare tradizione e modernità, dando vita a pezzi classici e al contempo innovativi? Date il benvenuto al New York Puffer, il piumino già must have.

La collezione Puffer & Outerwear Fall 2023

In occasione dei 30 anni dalla sua nascita, il brand americano celebra i rapporti umani più intimi e confortevoli, garanti di certezze in tempi carichi di insicurezza. È su questi principi che si muove la nuova collezione Puffer & Outerwear Fall 2023, dove i pezzi statement del marchio presentano twist briosi e inediti. Tommy Hilfiger si dimostra ancora una volta fedele alle proprie radici, conscio di ciò che accade nel mondo circostante e con lo sguardo orientato verso nuovi orizzonti.  

Paloma Elsesser Tommy Hilfiger
Paloma Elsesser nella campagna Puffer & Outerwear Collection Fall 2023 di Tommy Hilfiger

Il piumino New York Puffer di Tommy Hilfiger

Dal 1985 il marchio è guidato da Tommy Hilfiger, pioniere di uno dei brand di lifestyle premium più riconosciuti al mondo. Con la sua visione e la sua leadership in veste di Principal Designer, il marchio omonimo di Hilfiger celebra l’essenza del classico stile americano con un tocco moderno.

Nella nuova collezione, il New York Puffer è il vero protagonista. Questo capospalla ripropone l’appeal dei puffer originali degli anni ’90, particolarmente diffusi tra le community dei giovani, ma con i motivi più iconici del brand rinnovati. Lo troviamo infatti in versione Tommy Tartan originale, così come in rosso, bianco e blu, o ancora con l’iconica flag e il TH Monogram.

Un focus particolare va al New York Puffer in alpaca spazzolata, garante di funzionalità e stile in un unico capo. All’esterno è realizzato in poliammide riciclata al 100% con un’imbottitura in Thermolite®: si tratta di un isolante riciclato di qualità superiore e ricavato da un minimo dell’85% di rifiuti tessili e bottiglie di plastica usate. In questo caso il Lion Crest è riproposto in pelle martellata e i colori di stagione brillano energici.

Sage Elsesser Tommy Hilfiger
Sage Elsesser indossa il New York Puffer in alpaca spazzolata di Tommy Hilfiger

La famiglia è il valore alla base della nuova campagna

La campagna di presentazione vede il piumino imbottito indossato da Sage Elsesser, rapper e skateboarder professionista, oltre che fratello della celebre modella Paloma Elsesser. La sua famiglia è infatti una delle due protagoniste di questa collezione. Circondata da amici e parenti, Paloma si gode una giornata in baita sotto i raggi del sole, indossando i capispalla Tommy Hilfiger per l’autunno 2023.

Tommy Hilfiger Paloma Elsesser
Paloma, Sage e Ama Elsesser nella nuova campagna di Tommy Hilfiger

Scenario differente, ma con la famiglia al centro di tutto, anche per gli Aoki. Devon e Steve Aoki sono gli altri protagonisti della campagna pubblicitaria del marchio. Ripresi in una spiaggia di Malibù, i due passeggiano lungo la riva, godendosi lo scrosciare delle onde e l’atmosfera romantica e un po’ malinconica del mare d’inverno. Anche qui il New York Puffer ruba la scena, indossato dalla modella e attrice Devon Aoki in un lussuoso color sabbia. Il fratello Steve invece, musicista, produttore e DJ di fama internazionale, lo sfoggia nell’iconico blu Tommy Hilfiger.

La nuova collezione di Puffer & Outerwear Tommy Hilfiger Fall 2023 comprende puffer a maniche lunghe e smanicati, con e senza cappuccio. Un modello lungo alla caviglia, indossato da Ama Elsesser nella campagna. Ancora, vengono proposti cappotti monopetto a tre o quattro bottoni e cappotti doppiopetto, un modello parka, un bomber in pelle con colletto Sherling, due varsity jacket in pelle e in montone.

Pop Classicism & Design: la mostra di Daniele Fortuna chez Roche Bobois

Risignificare l’arte classica, trasferire nel presente i valori più antichi, riflettere sulla contemporaneità tramite la cultura pop. Dal 15 al 19 novembre allo showroom Roche Bobois è in mostra Daniele Fortuna con Pop Classicism & Design. Un percorso espositivo realizzato in collaborazione con la galleria Deodato Arte, dove le opere dell’artista milanese dialogano con gli spazi scenografici della maison di design francese.

Daniele Fortuna Roche Bobois mostra

Inaugurato a giugno 2022, lo showroom di Roche Bobois diventa quindi canale di trasmissione di valori condivisi dalla maison e da Daniele Fortuna. Tale progetto, poi, nasce in collaborazione con Deodato Arte, il brand punto di riferimento per Pop e Street Art. Con gallerie sparse fra Milano, Roma, Porto Cervo, Chia, Pietrasanta, Courmayeur, Bruxelles, Padova e St. Moritz, Deodato Arte propone dal 2010 artisti moderni e contemporanei di fama internazionale, quali Andy Warhol, Jeff Koons, Damien Hirst e Banksy.

Il neoclassicismo contemporaneo di Daniele Fortuna

Daniele Fortuna nasce a Milano nel 1981. Appassionato di arte fin dalla prima adolescenza, frequenta studi d’artista e gallerie d’arte tra le più importanti della città. Studia allo IED (Istituto Europeo di Design) di Milano e si avvicina anche al mondo del design. Si trasferisce poi in Irlanda, vicino a Dublino, dove prosegue gli studi e lavora in uno studio di illuminazione. È da quest’esperienza che nasce l’interesse per il legno, il materiale che sarà il fondamento delle sue sculture. Tramite la tecnica dell’intaglio, infatti, permette all’artista di dare forma plastica alle sue idee. Completati gli studi in Irlanda e, tornato in Italia, inizia a dar vita alle prime opere.

Attraverso queste opere Daniele Fortuna rielabora icone della classicità greco-romana affiancandoci colori e forme appartenenti alla cultura pop contemporanea. La selezione pensata per la mostra propone alcune serie tra le principali create dall’artista, come Colormination, Heads Will Roll e Goldenmination.

Si tratta di serie collegate dalla volontà di non interrompere i legami con la tradizione scultorea, ma al contrario di proseguire con essa per proiettarla nell’epoca odierna. Da qui la scelta alla base di adottare forme classiche e neoclassiche: tratti comuni e riconoscibili della cultura occidentale, che viene così valorizzata con l’accostamento a un immaginario chiaramente contemporaneo.

Il legno, la materia-ponte fra passato e futuro alla mostra

L’elemento principale nelle opere di Daniele Fortuna è il legno, un rimando ai temi dell’artigianalità e delle tecniche manuali antiche, adottate ancora oggi dall’artista nel proprio lavoro. Il legno poi è un materiale che rimanda sia ai concetti di malleabilità che di solidità, evoluzione e certezza, ma anche calore umano, accoglienza. Valori eterni, qui attualizzati dalle sculture dell’artista attraverso le mille sfumature dei colori vividi, brillanti ed energici, per un risultato che impedisce scivoloni nostalgici per “i bei tempi andati”.

Daniele Fortuna
Daniele Fortuna, Heads Will Roll

Questi principi sono anche i capi saldi della filosofia di Roche Bobois, la maison leader mondiale nell’arredo di alta gamma. Con 255 negozi in 55 nazioni, questa realtà dimostra da sempre il proprio impegno culturale tramite le collaborazioni con il mondo dell’arte, promuovendo la visione della French Art de Vivre. Partecipe entusiasta a molteplici iniziative culturali di livello internazionale, ha collaborato recentemente con Joana Vasconcelos, l’artista portoghese protagonista dell’edizione 2023 del Salone del Mobile con la sua collezione Bombom.

PETER WHITE TORNA CON L’ALBUM “ACQUA E ZUCCHERO”: PRENDETENE UN SORSO, È RINVIGORENTE

Venerdì 27 ottobre è uscito il nuovo album di Peter White, intitolato Acqua e Zucchero. Peter White, al secolo Pietro Bianchi, è un cantautore romano classe 1996. Sincero, diretto, concreto, ma al tempo stesso romantico, abbraccia il poetico disordine che è la vita in tutte le sue complessità.

“Fuori posto” in una società bramosa di catalogare ed etichettare tutto in modo tale da renderlo più comprensibile, semplice, Peter rifugge le visioni bianco-nero. «Scusa, continuo a dare risposte ambivalenti, me ne rendo conto – afferma ridendo mentre chiacchieriamo al telefono – Però credo sia un po’ tutto così, no? Ci sono diversi strati, diversi aspetti per ogni cosa».

Il terzo album di Peter White

L’affetto per le sfumature, e per il realismo che esse rappresentano, caratterizza tutta la sua produzione musicale. Tale connotazione è particolarmente evidente nel suo terzo e ultimo album. Acqua e Zucchero è un progetto ibrido, frutto di un lavoro durato un paio di anni in cui sono confluite esperienze, introspezioni, personalità e musicalità differenti. Come le acque rimescolate del mare, che le onde portano a riva tra schizzi scintillanti e morbida spuma, i 14 brani contenuti nell’album restituiscono un panorama tutto sommato chiaro e coeso.

L’album giunge in seguito a un anno ricco di release e traguardi per Peter White, che in questi mesi ha totalizzato mezzo milione di ascoltatori mensili. Il cantautore ha anche intrapreso con successo un tour in varie città italiane, coronato dai sold out di Roma e Milano, che gli ha permesso di esibirsi live e cantare insieme al pubblico il repertorio con cui in questi anni si è fatto conoscere.

Peter White dopoesco
Peter White in uno scatto di @dopoesco

«Io apprezzo anche il lato più decadente di Roma, perché lo trovo molto poetico»

Partendo proprio dalle basi, tu sei di Roma e nei tuoi testi fai diversi riferimenti alla città: che rapporto hai con la capitale? Quanto ha influenzato il tuo percorso artistico?

Direi che abbiamo un rapporto ambivalente, di amore e odio. Come diceva il grande Alberto Sordi, “Roma è un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi”. Ed è assolutamente vero, ma allo stesso tempo è anche una città fatiscente. Passi da uno scenario all’altro in un batter d’occhio, puoi passeggiare in mezzo a scenari meravigliosi e ritrovarti in vie piene di sporcizia, con strade distrutte e il traffico intenso. Io apprezzo anche questo lato più decadente di Roma, perché lo trovo molto poetico. È una città che ti dà una forte carica, che ti attacca anche un certo modo di fare, perché è comunque molto libera sotto diversi punti di vista. Va detto che io apprezzo molto anche il viaggio. Amo viaggiare, confrontarmi con nuove culture e arricchirmi con tutto ciò che mi possono offrire.

La tua cifra stilistica è l’accurata ricerca che sta dietro le parole delle tue canzoni. Riesci a ricordare quando è stata la prima volta che hai realizzato l’enorme potere evocativo che hanno le parole, e come potevi sfruttare questo loro potenziale?

Penso si tratti di una consapevolezza che ho un po’ sempre avuto. Crescendo con due genitori giornalisti e frequentando il liceo classico sono sempre stato messo di fronte all’importanza di scegliere le parole con cura. L’attenzione nel selezionare un termine piuttosto che un altro, quindi, è sicuramente qualcosa che ho introiettato dal contesto in cui mi sono trovato. Allo stesso tempo però sono sempre stato maggiormente portato per le materie umanistiche rispetto a quelle scientifiche, non ho mai avuto difficoltà nello scrivere i temi o i saggi brevi. È sempre stato qualcosa che mi riesce semplice.

A proposito di parole, i tuoi testi sono personali ma anche universali nei messaggi. Sei un estroverso o parli dei sentimenti solo attraverso la musica?

Questa è una domanda interessante. Direi che ho un lato estremamente introverso e uno estremamente estroverso. Sono una persona che tendenzialmente sta bene in mezzo agli altri, non ho difficoltà ad aprire un dialogo, anzi. Mi piace parlare, chiacchierare e sentire storie. Però scelgo accuratamente con chi confidarmi, perché devo sentire di potermi fidare. Mi piacciono le persone dirette, oneste. In quel caso mi apro tanto.

Con la musica all’inizio è stato qualcosa piuttosto impattante devo ammettere, ma bellissimo: cantare di argomenti personali offrendoli a potenzialmente chiunque e vedere come nella tua esperienza si riflettono anche esperienza altrui è speciale. C’è da dire anche che proprio questo meccanismo però è peculiare, perché quando tu lanci nel mondo un pezzo, per quanto soggettivo esso sia, nel momento in cui ti lascia diventa subito qualcos’altro. Si trasforma proprio in base a chi lo riceve e ne fruisce. E ognuno lo fa a modo suo, rendendo quel pezzo diverso in qualche modo.

«Una particolarità di questo album è stata proprio la scelta del titolo che, al contrario delle altre volte, avevo in mente fin da subito. Sentivo che doveva avere questo nome, in quanto il concetto che ci sta dietro mi è molto caro»

È appena uscito Acqua e Zucchero, il tuo nuovo album. A partire dal titolo e dalla copertina, l’acqua è un elemento che ritorna spesso in questo progetto, soprattutto attraverso i riferimenti al mare. È una caratteristica che avevi in mente sin dall’inizio o è venuta da sé?

Questo album è frutto di due anni di lavoro, si tratta di un progetto che è stato molto impegnativo per me, e di cui sono tanto orgoglioso. Vederlo prendere il volo mi riempie di soddisfazione.

Una particolarità di questo album è stata proprio la scelta del titolo che, al contrario delle altre volte, avevo in mente fin da subito. Sentivo che doveva avere questo nome, in quanto il concetto che ci sta dietro mi è molto caro. Bere acqua e zucchero è il modo forse più semplice, ma comunque efficace, di riprendere la carica nel momento del bisogno. Una miscela quasi banale a primo impatto, ma energetica e accessibile a chiunque. È un titolo che presenta bene anche il contenuto dell’album: un disco ibrido, un miscuglio di musicisti, produttori e sonorità.

L’album, dunque, si è sviluppato con questo approccio: seguire in modo onesto il flusso degli eventi e trarne pezzi altrettanto sinceri. Non avevo previsto, però, che sarebbe stato un tema ricorrente nei brani. È qualcosa che è venuto da sé evidentemente.

Il progetto discografico contiene i featuring con chiamamifaro, Galeffi e Gemello. Qual è per te il valore aggiunto di avere delle collaborazioni nell’album?

In modo forse un po’ anacronistico a me piace chiamarli duetti, proprio perché si tratta di uno sforzo a due, un’occasione speciale dove due talenti danno vita a un pezzo unico, che rimarrà per sempre. Penso molto all’impronta indelebile che le collaborazioni lasciano nel tempo, perché testimoniano qualcosa del contesto in cui sono nate. Le considero dei “patti di eternità” che vengono stretti fra artisti-amici. I rapporti umani e le esperienze che vivi sono sicuramente il principale valore aggiunto, così come le nuove sonorità che gli altri ti fanno scoprire.

Parlando dei featuring di questo album, Gemello è sicuramente una conferma. Fino ad oggi abbiamo lavorato a diversi pezzi assieme e siamo amici, per cui è un ottimo alleato per le mie canzoni. Con chiamamifaro ci siamo conosciuti in occasione di questo progetto e devo dire che mi ha sorpreso nel migliore dei modi. Devi sapere che inizialmente, quando abbiamo lavorato al testo di Baricentro, il ritornello non mi convinceva. Non riuscivo a capire quale fosse il problema, ma non appena ho sentito la sua voce entrare nella canzone mi sono detto: “Ecco, è perfetto così”. Trovo che le nostre voci funzionino benissimo insieme, sono complementari in qualche modo. Galeffi infine è un grande autore oltre che un grande essere umano e lavorare con lui è stata un’esperienza davvero unica.

«Credo che il fatto di poter seguire approfonditamente tutte le fasi del progetto sia ciò che gli dona libertà alla fine. Gli permette di nascere e di evolversi liberamente»

Acqua e Zucchero fa parte di un nuovo percorso musicale, un cambio di rotta verso l’indipendenza. Dal momento che segui tutti i passaggi dei tuoi progetti musicali, ti chiedo: ti sei sempre sentito un artista a tutto tondo? Poter seguire lo sviluppo delle proprie idee, a partire dal loro concepimento all’effettiva concretizzazione, è il sintomo di un “bisogno di controllo” che ti caratterizza o piuttosto l’espressione di un desiderio di libertà?

È una bellissima domanda. Non ci ho mai pensato, ma probabilmente è un po’ entrambe le cose. Credo molto nelle sfumature, nulla nella vita è bianco e nero. Sicuramente esiste una parte di voglia di controllo, ma perché sono una persona a cui piace fare le cose in un certo modo, soprattutto se credo molto in un progetto. Non faccio mai qualcosa tanto per fare. E anzi, credo che proprio il fatto di poter seguire approfonditamente tutte le fasi del progetto sia ciò che gli dona libertà alla fine. Gli permette di nascere ed evolversi liberamente. Ovviamente poi non si tratta solo di me: c’è sempre un team fantastico che mi accompagna, lavora sodo e fa prendere vita alle mie idee.

Sei nel bel mezzo di un tour importante che ti sta facendo girare l’Italia. Cosa ti ha colpito maggiormente dell’esperienza?

Abbiamo fatto un bel giro, mi sono esibito in diverse location speciali: da Torino a Milano, qui presso l’Arci Bellezza dove risiede l’affascinante antica Palestra Visconti, dal Monk di Roma a Bologna. Ho scoperto alcuni locali stupendi che non conoscevo, nonostante siano diversi anni ormai che canto sul palco, e questo mi è piaciuto molto. Come sai ad oggi sono usciti sei dischi con il mio nome, ma fino ad ora ho fatto uscire singoli per lo più. Molti di loro sono confluiti in questo nuovo album, Acqua e Zucchero, per cui è stato divertente cantarli con la consapevolezza che sarebbero entrati a far parte di un nuovo progetto, con un nuovo contesto.

Peter White dopoesco
Peter White in uno scatto di @dopoesco

Con uno sguardo ancora più ampio, se dovessi fare un paragone tra il Peter del primo album e quello di oggi, cosa diresti che è cambiato maggiormente?

La consapevolezza. Quando sali su un palco per la prima volta e ti esibisci per un pubblico, ti porti dietro una certa spensieratezza, un modo di porti e di comportarti particolare, che col tempo lascia il posto a qualcos’altro. Direi proprio a una consapevolezza maggiore di quello che stai facendo, di ciò a cui vai incontro, impari a identificare ed esprimere ciò che vuoi comunicare, infondere, trasmettere, ottenere con la tua arte. Quando approcci il tuo primo disco sei felicemente spaesato, emozionato, provi tutto, sperimenti su diversi aspetti e vedi cosa ne esce. Forse ad oggi vedo questo mondo con meno spontaneità, nel senso che non ho più quello sguardo inedito e ingenuo che mi caratterizzava agli inizi della mia carriera, ma ho guadagnato più sicurezza in me stesso.

Cosa auguri al Peter del futuro?

In questo periodo cerco di rimanere focalizzato sul presente, per godere di quello che mi succede al massimo. Non voglio proiettarmi troppo in avanti. Sicuramente però mi auguro di poter continuare a fare ciò che amo, ossia scrivere musica e cantare. È quello che mi piace e che mi riesce meglio, per cui non riesco a immaginarmi fare altro. 

Ares Wami Lalique Spyder, la supercar di lusso dal fascino retrò

Il vento scompiglia i capelli, saturo di profumi agrumati e floreali. Il sole brilla all’orizzonte, ingioiellando di luccichii il mare blu intenso. Da un lato domina il verde lussureggiante, tutto inerpicato sulla roccia, mentre dall’altro lo sguardo cade a strapiombo nella baia. L’asfalto è rovente e la Ares Wami Lalique Spyder sfreccia in tutto il suo splendore.

Ares Wami Lalique Spyder
Due modelli di Ares Wami Lalique Spyder

L’incontro tra Ares Modena e Lalique (nel segno della Dolce Vita)

La nuova roadster firmata Ares Modena e Lalique è il sogno divenuto realtà degli amanti dei motori e dei collezionisti, accomunati dalla passione per il vintage e da un debole per il lusso.

Ispirata nell’estetica alle decapottabili più iconiche degli anni ’50 e ’60, la Ares Modena Wami Lalique Spyder è un vero e proprio gioiello su ruote. Caratterizzata da una moderna ingegneria, carrozzeria in fibra di carbonio lavorata a mano e ben 13 elementi in cristallo Lalique, quest’auto è stata pensata per regalare un’esperienza di guida unica e raffinatissima ai propri guidatori.

Con una produzione limitata a soli 12 esemplari, Lalique Spyder nasce dall’unione delle menti di Waleed Al Ghafari, direttore esecutivo di Ares Modena, e Silvio Denz, presidente e CEO di Lalique. La passione per la Dolce Vita, per l’artigianato e gli standard elevatissimi sono il minimo comune denominatore delle due personalità. Sinonimi di iperlusso, sia Ares Modena che Lalique adottano un approccio rispettoso della tradizione, ma progressista nell’utilizzo di tecnologie moderne nei metodi di fabbricazione, permettendo così la realizzazione di prodotti unici ed eternamente sofisticati.

Ares Wami Lalique Spyde

Il metodo ‘tailor-made’ delle auto Ares Modena

Ares Modena è una società italiana indipendente fondata nel 2014 da Dany Bahar e Waleed Al Ghafari, che crea veicoli di lusso su misura nel cuore della famosa Motor Valley del nostro paese. Il credo aziendale è riuscire ad appagare quel desiderio di individualità che è proprio dell’essere umano. Il metodo di lavoro consiste nel collaborare con i clienti in modo costante e personale, a partire dalla fase iniziale di progettazione fino al primo test su strada. Questo processo collaborativo permette ai clienti di interagire attivamente con il team di design interno, incarnando così l’etica di co-creazione che definisce l’identità dell’azienda.

La portata globale di Ares Modena è testimoniata dalla sua rete che si estende attraverso un’ampia gamma di studi, strategicamente posizionati a Bologna, Dubai, Kitzbühel, Marbella, Modena, St. Moritz e Zurigo. Ogni studio è una prova dell’impegno di Ares nel fornire esperienze di lusso senza pari alla sua clientela esclusiva.

Ares Wami Lalique Spyde
La caratteristica griglia del radiatore della Ares Wami Lalique Spyder

La storica cristalleria Lalique

Nata nel 1888, Lalique è una delle principali cristallerie francesi. Il suo fondatore è il rinomato artista avanguardista René Lalique, noto pioniere di un modo di creare flaconi di profumo imitato ancora oggi. Simbolo di maestria e artigianato unici, l’azienda è un marchio di lifestyle di lusso che vanta un know-how trasmesso per ben 3 generazioni. A partire dalle creazioni Art Nouveau e Art Déco di René, le opere magistrali prodotte dalla famiglia Lalique sono esposte nelle maggiori istituzioni museali di tutto il globo. Il laboratorio in cui prendeva vita l’estro dell’artista è stato in origine quello di Combs-La-Ville, vicino a Parigi. Nel 1922 invece la fabbrica di Wingen-sur-Moder in Alsazia diventa la nuova fucina d’elezione della famiglia e tale rimane fino ai giorni nostri.

A restare immutata nel processo creativo è anche l’essenza dello stile di Lalique, ossia il contrasto distintivo e ormai famoso tra cristallo trasparente e satinato. Si deve l’utilizzo di questo materiale a una fortunata intuizione di Marc Lalique. E così, dal 1945 il figlio di René segna il fondamentale cambio di rotta dell’azienda verso un futuro ancor più scintillante.

Nel febbraio 2008, la società svizzera Art & Fragrance (ora Lalique Group S.A.) ha acquisito la società Lalique S.A. dal gruppo Pochet e Silvio Denz ne è diventato presidente e amministratore delegato. Sotto la sua guida è avvenuto il definitivo riposizionamento dell’azienda. Oggi è un marchio di lifestyle internazionale, che vanta linee di profumi, oggetti decorativi, gioielli, arte, interior design e ospitalità.

Nonostante l’adozione di nuovi strumenti e tecnologie all’avanguardia nella fabbricazione, le tecniche degli artigiani sono rimaste invariate. Il materiale viene lavorato a mano, modellato, il cristallo fuso viene “raccolto” come il miele, pressato o soffiato. Una volta raffreddato, viene tagliato, levigato e lucidato.

Motori d’élite: i dettagli della Ares Wami Lalique Spyder

L’inconfondibile griglia del radiatore che ricorda la Maserati A6GCS Frua o la silhouette, la linea del telaio e le prese d’aria laterali che si rifanno alla Ferrari 250 GT California. Ciascun elemento di design della Ares Wami Lalique Spyder si ispira alle leggendarie decappottabili degli anni ’50 e ’60. Chi riuscirà a sedersi al volante avrà la possibilità di scegliere fra quattro varianti di colori, tra cui gli evocativi Rosso Amalfi e Azzurro Mediterraneo.

La forza della lavorazione artigianale di Lalique prende vita negli interni. L’azienda non è nuova a questo campo: al contrario, la tradizione automobilistica del brand risale addirittura agli anni ’20, quando René Lalique cominciò a creare elaborate mascotte di vetro. Queste venivano esibite con fierezza sui tappi del radiatore delle auto dell’epoca, simboli di potere e di buon gusto.

Oggi, quella storica tradizione prosegue con i 13 cristalli Lalique che rivestono l’interno della Wami Spyder, realizzati a mano in Alsazia. Nell’abitacolo in fibra di carbonio i gioielli incontrano il rovere inglese e la pelle italiana che riveste cruscotto, volante e sedili. Gli ornamenti in cristallo, i sedili, la leva del cambio, le gomme e lo stemma sul cofano presentano motivi iconici Lalique, come Masque de Femme e Coutard. Tocchi di classe unici, per una vettura che è molto di più. La Ares Wami Lalique Spyder è più che è un veicolo, è un’esperienza esclusiva per chi ha il piacere di osservarla o il privilegio di guidarla.

Dettagli lussuosi della Ares Wami Lalique Spyde

Dopo Élite, la moda: Manu Rios e Marc Forné lanciano il brand Carrer

Manu Rios ha lanciato una proprio linea di moda. Partito dal grande schermo, atterrato sulle cover delle principali riviste di moda e lifestyle, l’attore spagnolo classe 1998 oggi è in prima linea nel mondo dell’abbigliamento come cofondatore di una nuova linea. Dopo l’ingresso nel fortunato cast della serie Netflix Élite, dove interpreta Patrick, Rios si è trasformato velocemente in uno dei volti più noti e amati dello star system odierno.


Considerato da molti un’icona di stile rappresentativa della Gen Z, deve sicuramente molto all’amico, influencer e stylist spagnolo Marc Forné. È proprio partendo dal loro rapporto di amicizia e dalla passione condivisa per la moda, infatti, che i due hanno dato vita al nuovo scintillante progetto Carrer.

Carrer, il brand di Manu Rios e Marc Forné

Carrer si descrive come capsule collection che giungerà ai consumatori con diversi drop mensili in quantità limitate, il primo annunciato in queste ore e il prossimo a novembre con un focus sulla maglieria.
La label parte da una serie di capi basic ispirati al vintage e allo streetwear. Pezzi utilitaristici accessibili, genderless e adatti ai viaggi. “Reworked classics” è il concept, oltre che lo slogan. Denim, camicie Henley, pantaloni cargo, capispalla tipo bomber ispirato a Harrington, colori che vanno dai toni del marrone al grigio, dal blu al bianco off.

Sostenuto da un anonimo investitore di minoranza catalano, Carrer venderà attraverso una piattaforma online. Prevede di aprire la distribuzione ai partner di vendita al dettaglio l’anno prossimo, oltre che ad ampliare l’assortimento di prodotti con gli accessori.


La campagna del lancio è stata scattata dalla fotografa di moda Adriana Roslin a Barcellona, città cara ai due giovani imprenditori. Le strade del capoluogo catalano, così come quelle della capitale Madrid, costituiscono un vero e proprio punto di partenza per Carrer.

Moving in different spaces” è il motto del marchio, che per i suoi fondatori esplicita l’intenzione di mandare avanti un percorso di collaborazioni sempre nuove con diversi creativi che i due ammirano.
Con il seguito enorme che i due amici vantano sui propri canali social, i contatti con altrettanti giovani creativi non mancano sicuramente. La possibilità di dar vita a una rete interconnessa di talenti da cui far sbocciare progetti inediti e creativi è già un’ottima premessa per il nuovo marchio.

Art & Fashion: 5 mostre di moda da non perdere

Nel segno del continuo scambio tra arte e moda, una selezione di appuntamenti in giro per il mondo dove i protagonisti del fashion dialogano con il design, con la scrittura e con la fotografia. Un tour che attraversa quattro città per visitare le mostre di moda più interessanti a Londra, Parigi, Madrid e New York.

arte moda mostra Barbara Sánchez-Kane
Artwork by Barbara Sánchez-Kane from New Lexicons for Embodiment

LONDRA: le mostre sulla moda di Gucci e Prada

Dopo l’inaugurazione di Shanghai sbarca a Londra (presso il 180 Studios), la mostra immersiva Gucci Cosmos, che resterà aperta fino al 31 dicembre 2023. On display i modelli più̀ iconici prodotti nei 102 anni di storia della Maison esposti in modo particolarmente scenografico toccando diversi temi cari all’azienda. Gucci Cosmos accompagna i visitatori in un viaggio che si snoda avanti e a ritroso attraverso i decenni, esplorando la storia della Maison e le sue radici fiorentine in un inno alla sua inesauribile creatività̀.

La storia di Gucci si può dire che sia davvero iniziata a Londra nel 1897, quando il giovane Guccio Gucci trovò lavoro come facchino e lift boy presso l’esclusivo Savoy Hotel della città. Trasportando i bagagli degli ospiti attraverso le celebri porte girevoli e azionando l’ascensore per raggiungere le camere e le suite, il giovane Guccio ebbe modo di conoscere da vicino i gusti e lo stile di vita dell’élite internazionale, assimilando nuove idee e interessi culturali più̀ cosmopoliti. Ispirato da queste esperienze e deciso a fare del suo nome un simbolo dell’arte della valigeria, Guccio tornò a Firenze e nel 1921 fondò l’omonima pelletteria, a cui seguì l’apertura del primo negozio Gucci in Via della Vigna Nuova.

I dettagli della mostra Gucci Cosmos

Gucci Cosmos esplora il modo in cui i codici e lo spirito di Guccio Gucci si sono concretizzati nei modelli più̀ iconici della Maison. Inoltre, gurada al modo in cui questi classici che hanno definito un’epoca abbiano sempre ispirato e siano stati reinterpretati dai suoi visionari stilisti. La mostra illustra come la visione progressista della Maison, ancorata alla migliore tradizione e maestria artigianale italiana, abbia consentito a Gucci non solo di essere specchio dei tempi, ma di definirli esercitando così la propria influenza sulla società̀ e sull’estetica di quel periodo storico.

Un progetto ideato e realizzato dalla celebre artista britannica Es Devlin che ha dichiarato: «Come sforzo creativo ed espressione dei tempi, la Maison e la sua storia nel corso dell’ultimo secolo si possono ricostruire guardando alla loro capacità di evolversi e, più in generale, di espandersi seguendo l’evoluzione della nostra stessa consapevolezza, e di pari passo alla nostra capacità di attuare mutamenti cognitivi. Così come un abito che può essere modificato e riadattato, come la pelle che cambia durante la muta e continuamente si rinnova. Per questa edizione della mostra a Londra, ho voluto enfatizzare il ruolo cruciale della città nel mito delle origini della Maison, che vede il giovane Guccio Gucci salire e scendere nella ‘Ascending Room’ – la ‘stanza ascendente’ – rosso lacca del Savoy, dove i suoi incontri con gli ospiti e i loro lussuosi bagagli avrebbero forgiato il suo futuro».

arte moda mostra Gucci Cosmos
La sezione Carousel di Gucci Cosmos

Prada Reporter presenta: Witness to Nature

Sempre a Londra si apre Witness to Nature presso il nuovo pop-up store di Prada all’interno di The Selfridges Corner Shop. La mostra celebra la natura e l’umanità attraverso quattro temi chiave. Le oltre 150 immagini sondano l’enigma irrisolvibile della natura, con la sua giustapposizione di micro e macro, potenza e fragilità, bellezza e pericolo, mentre l’umanità osserva e contribuisce alla sua perpetua trasformazione. Catturate ai quattro angoli della Terra da 8 fotografi internazionali, le immagini mettono in moto una conversazione con Prada circa il complesso rapporto tra uomo e natura, in perenne evoluzione. L’esposizione rientra nel più ampio progetto Prada Reporter, realizzato in collaborazione con Magnum Photos.

PARIGI celebra il talento di Iris van Herpen

Dal 29 Novembre al 28 aprile 2024 il Museo di Arti Decorative di Parigi ospiterà Iris van Herpen: Sculpting the Senses. Dopo lunga attesa, una grande mostra in Europa vuole celebrare la designer olandese, innovatrice nel campo della moda per l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia con cui confeziona le sue collezioni sempre sperimentali e oniriche. Con il suo lavoro, van Herpen sfida le norme convenzionali del settore, abbracciando sia tecniche più tradizionali, sia materiali non convenzionali.

L’esposizione esplora il ruolo del corpo nello spazio, la sua relazione con l’abbigliamento e l’ambiente circostante, e il suo futuro in un mondo in continua evoluzione. Una selezione di oltre 100 capi d’alta moda creati da Iris van Herpen si fondono con opere d’arte contemporanea di numerosi artisti. Per citarne alcuni: il Collectif Mé, Wim Delvoye, Rogan Brown, Kate McCgwire, Damien Jalet, Kohei Nawa, Casey Curran, Jacques Rougerie, insieme a creazioni di design di Neri Oxman, Ren Ri, Ferruccio Laviani e Tomáš Libertíny. Inoltre, pezzi provenienti dal mondo delle scienze naturali, come coralli e fossili, creano una connessione unica con i pezzi storici.

MADRID: Writing the Prado con Loewe

Il Museo Nazionale del Prado di Madrid e la Fondazione LOEWE collaborano per il progetto Writing the Prado. Si tratta di un programma di residenze che invita scrittori di fama internazionale a interagire con le collezioni e la ricca storia del Museo, per lasciarsi ispirare nelle loro creazioni letterarie. L’obiettivo è tradurre in forma letteraria la bellezza storica e artistica delle opere e delle collezioni del museo madrileno. L’arte che si mescola alla scrittura. Le opere di ciascuno degli autori partecipanti vengono poi pubblicate congiuntamente dal Museo e dalla prestigiosa rivista letteraria Granta.

Chloe Aridjis è la seconda autrice invitata a partecipare all’iniziativa, seguendo il vincitore del Premio Nobel 2003 John M. Coetzee. La scrittrice messicano-americana, già vincitrice del Premio PEN/Faulkner per la fiction 2020, trascorrerà nove settimane a Madrid a partire dai primi di ottobre. Durante la sua residenza Aridijis parteciperà a una serie di colloqui pubblici coinvolgendo il Museo, le sue opere d’arte, collezioni private e pubbliche, artisti, gallerie e palazzi. Il ruolo della Loewe Foundation sarà quello di finanziare, nell’arco di un triennio, due residenze all’anno. Ognuna di esse consentirà agli scrittori di compiere una totale immersione nel museo durante un tempo massimo di due mesi ciascuno. Al lancio del progetto il direttore creativo di Loewe, Jonathan Anderson, ha affermato: «Questo progetto rappresenta un’opportunità incredibile per addentrarsi nel mondo infinitamente stimolante del Museo del Prado e creare nuove ed entusiasmanti connessioni interculturali».

Barbara Sánchez-Kane in mostra a NEW YORK CITY

Dal 15 settembre è in mostra New Lexicons for Embodiment, la prima personale di Barbara Sánchez-Kane presso la kurimanzutto gallery di New York.

Sánchez-Kane, designer e artista proveniente dal Messico i cui pronomi d’elezione sono lei/lui. La mostra si focalizza su come gli abiti siano in grado di modellare le nostre identità e le espressioni di noi stessi. L’artista decostruisce e re-immagina le identità più tradizionali attraverso i suoi capi e alcune sculture. L’ispirazione dietro queste ultime proviene da una guida di design degli anni Venti. Realizzate a partire dai tessuti, le sculture astratte appaiono come “abiti mutanti e mutevoli” che sfidano la percezione dell’osservatore. Lontani dai concetti di efficienza e utilitarismo, questi capi rifuggono l’idea di produttività per combattere la convinzione che “lento” sia sinonimo di “male”. Vestiti e accessori complessi che rendono la vita più complicata, ma che permettono così di viverla con più calma, di scorgerne la bellezza nei risvolti più ostici.

mostra are moda Barbara Sánchez-Kane from New Lexicons for Embodiment
Artwork by Barbara Sánchez-Kane from New Lexicons for Embodiment

Gli show più belli della Paris Fashion Week: 5 sfilate di cui sentiremo ancora parlare

Il fashion month di settembre è ormai alle spalle ed è il momento di tirare le somme. Parigi, in questa stagione, ha rivendicato un ruolo centrale tra le quattro capitali della moda. Funzionalità e creatività hanno sfilato mano nella mano lungo le passerelle dei vari marchi in calendario, ricordando a tutti la bellezza del “fare moda”. In un panorama dove insicurezze e sfiducia nel futuro stanno intaccando tutti gli aspetti del sistema, alcuni show della Paris Fashion Week si sono distinti per essere andati controcorrente. Si tratta di marchi che hanno perseverato e portato a termine uno dei compiti più difficili della moda odierna: creare sogni.

1. Il cuore di Demna Gvasalia da Balenciaga

Una sfilata in famiglia. Ecco cosa ha caratterizzato la presentazione della collezione SS24 di Balenciaga, forse lo show più chiacchierato della Paris Fashion Week. La famiglia di nascita e quella che Demna Gvasalia ha scelto e portato con sé alla maison in questi anni di direzione creativa. Parenti, amici e muse dello stilista hanno calcato la passerella, a partire dalla madre Ella, per finire con il marito Loïck Gomez. Noto anche come BFRND, Gomez ha indossato l’abito da sposa finale, e ha mixato e firmato (come sempre) la colonna sonora dello show.

Ancora, tra i modelli c’erano insegnanti del designer, come Linda Loppa, e altri membri del personale accademico dell’Anversa Academy. Star del fashion system come la giornalista e critica di moda Cathy Horyn, e volti della comunità LGBTQIA+ come Amanda Lepore. Gli amici di sempre, come l’artista Eliza Douglas e l’attrice Isabelle Huppert, la cui voce ha risuonato per tutto lo show mentre leggeva un testo istruttivo sulla costruzione di una giacca. La lettura si ripeteva in modo ossessivo con ritmi sempre più frenetici, creando uno stato di agitazione e apprensione in chi ascoltava. Metafora della pressione esercitata dal sistema moda.

La scommessa (vinta) di Balenciaga

Lo show, dunque, consisteva in un’opera che tratta le fondamenta della couture, l’importanza del ricordare le proprie radici e gli affetti più cari. Il tutto in un climax sviluppatosi in un mare rosso di pesanti tendaggi drappeggiati. Sulla passerella si sono succedute silhouette e look ormai noti nella storia della Maison, raffornzando l’attenzione sul messaggio che Gvasalia voleva trasmettere: il mondo di Balenciaga è l’insieme di ciò che egli ama della moda. È un riflesso della sua persona, delle sue abilità creative ed esecutive, della sua vita. È qualcosa che va oltre le tendenze e il concetto di lusso “trickle-down”. Una dichiarazione importante, una presa di posizione chiara e rinvigorente. Forse anche un modo per porre fine alle critiche che lo perseguitano dal disastro mediatico che ha seguito l’infame campagna del 2022. A giudicare dalle reazioni del grande pubblico, sembrerebbe avercela fatta.

2. Il nuovo ottimismo di Rick Owens

Una nebbia fucsia e gialla, petali di rose che cadono dal cielo e Diana Ross che canta I still believe in love. L’atmosfera al Palais de Tokyo era insolitamente positiva e ottimista da Rick Owens questa stagione. Lo stilista noto come “Principe delle Tenebre” ha scelto, infatti, di rompere (momentaneamente?) con le atmosfere lugubri e cupe che da sempre caratterizzano i suoi show, per indagare orizzonti più speranzosi. Certo è rimasto l’utilizzo del nero, le declinazioni extraterrestri, le silhouette affilate e le spalline ingigantite che arrivano fin sopra alla testa. Il generale sentore di leggerezza e freschezza però si respirava nelle cappe gonfiate dal vento, nei rosa polverosi che vanno dal cipria al malva, nei marroni caramellati e nei rossi succosi.

L’avanzare lentissimo delle modelle, dovuto sicuramente anche agli impossibili sandali-stivali dal plateau spropositato e tacco trasparente, dava un tono solenne allo show. Una nota quasi straniante se confrontata con l’estetica dei capi, che però in questo modo possono essere scrutati con attenzione, ammirati, impressi nella mente. Una lentezza che non appartiene alla società contemporanea, e che sicuramente non è propria della moda. Ma proprio per questo è stimolante ed eccitante, e lascia chi osserva con il dolce presentimento che il futuro ci riservi ancora qualcosa di bello.  

3. La stella splendente di Mugler

Casey Cadwallader non sta mancando un colpo. Alla guida di una delle maison di alta moda francesi maggiormente impresse nell’immaginario e nei cuori dei fashionisti di tutto il mondo, Mugler, Cadwallader sta ampliando la propria fanbase come pochi sono riusciti a fare in così poco tempo. Con un archivio complesso da maneggiare proprio per l’unicità e l’originalità che lo caratterizzano, il designer americano è riuscito a ridare forma e senso al marchio Mugler, rendendolo tra i più desiderabili del panorama contemporaneo.

Le top model in passerella per Mugler

L’alto tasso di drama e hype che circonda le sfilate di Mugler è sicuramente legato al cast sempre inclusivo e glamour. Stavolta c’erano icone pop del calibro di Angela Bassett, Paris Hilton, Helena Christensen, Paloma Elsesser, Anok Yai e Fan Bingbing. Ancora, Mariacarla Boscono, Amber Valletta e Irina Shayk, che sono ormai di casa. In un corridoio d’aria provocato dai ventilatori industriali posti ai lati della passerella, metri e metri di tessuto si muovevano scenograficamente dietro le modelle. L’effetto voluto era quello di creature marine che avanzano nell’acqua fluide, morbide e sensuali. Sono apparse però anche creazioni dalle forme rigide, bizzarre, stravaganti. Un abisso di esseri ammalianti e conturbanti.

Tutti questi aspetti caratterizzavano l’estetica di Thierry Mugler, il fondatore del marchio, e Cadwallader li sta portando avanti con spirito innovativo. Lo show era il primo live alla Paris Fashion Week dall’arrivo del nuovo direttore creativo nel 2018, e si è svolto il penultimo giorno di calendario. Nonostante ciò, è stato uno dei più acclamati della stagione. Cos’altro aggiungere? Bravo, Casey.

Fiori per riflettere sullo stato dell’arte alla Paris Fashion Week

«Floreale? Per la primavera? Avanguardia pura». L’esclamazione ironica della temutissima Miranda Prisley de Il Diavolo veste Prada risiede “rent free” nella mente di chiunque lavori nella moda e non solo. Questa stagione, però, anche l’immaginaria direttrice di Runaway potrebbe doversi ricredere. Il fiore, infatti, era alla base delle collezioni SS24 di Marni e Undercover: non un banale decoro stagionale, ma uno strumento di riflessione su tematiche ampie come l’importanza del lavoro manuale nella società odierna e il dualismo vita-morte.

4. “L’estasi della mano secondo”: Francesco Risso di Marni

Gli abiti-scultura e découpage floreali di Marni hanno sfilato negli spazi dell’hotel particulier di Rue de l’Université, ex-casa di Karl Lagerfeld a Parigi. Più vicini alla Couture che al RTW e realizzati a scopo scenografico più che utilitaristico, queste creazioni visivamente incantevoli hanno dato modo agli ospiti di volare in un mondo fantastico, lontano.

L’amore per il fatto a mano, per l’artigianalità e per l’aspetto tattile della materia che Risso ama, viene chiamato dal designer «l’estasi della mano». Sugli abiti bustier con crinoline e su una giacca si potevano ammirare le centinaia di immagini di fiori stampate su cotone, ritagliate singolarmente, e poi pazientemente cucite una a fianco all’altra. Alcuni minidress invece erano il risultato della manipolazione di lattine scartate, rimodellate a forma di fiori che parevano sbocciare dal corpo e sporgere all’esterno. Lo scopo di queste apparizioni era quello di combattere la virtualità messa perennemente al centro delle nostre vite, ripensare la manualità e ridare spazio alla concretezza. Un modo per risvegliare i sensi e procurare gioia e piacere, rimanendo fuori dagli schermi.

5. Tra la vita e la morte: la sfilata gotica di Undercover

Parte la colonna sonora di Wings of Desire, il film di Wim Wenders. Grandi candelabri di cristallo rivestiti di tulle nero illuminano la passerella, allestita in un garage sotterraneo. In questo modo la luce che emanano è fioca, offuscata (o forse protetta?). I capi si intravedono sotto lo strato di tulle, insieme ad accessori e decorazioni come spille, pietre preziose, carte da gioco e rose di seta. Nell’insieme sembrano i fiori secchi custoditi affettuosamente tra le pagine di un libro. Quest’estetica tipicamente romantica – nel senso storico, non sentimentale – imbocca traiettorie gotiche con i ragni neri e oro ricamati sul tulle, definendo una narrazione precisa. Malinconia, sogno, paura ed emozioni stranianti sono infatti temi cari al Romanticismo, così come lo è il revival del gusto gotico.

Incantare, ammaliare, stregare. Esiste un aspetto oscuro nell’atto di affascinare qualcuno, in quanto l’origine del verbo (come per i suoi sinonimi) rimanda a pratiche magiche, maligne. Esse hanno lo scopo di privare la persona colpita della propria coscienza, del proprio intelletto, per poterla manipolare o trarne un qualche tipo di vantaggio. Il fashion designer giapponese Jun Takahashi ha dato vita a uno show magico alla Paris Fashion Week con la sua collezione SS24 Deep Mist. Un sogno ad occhi aperti, pervaso di una malinconia figlia del rinnovamento conseguente a una perdita.

Perché gli abiti terrario sono diventati virali

Un messaggio di speranza, però, si intravede nei tre look finali: si tratta di abiti-terrario che sembrano indossati da fate o spiriti benigni. I mini abiti sono stati ricavati dall’utilizzo di veri e propri grandi vasi di vetro, contenenti rose recise e farfalle svolazzanti. Rivestiti di tulle e illuminati artificialmente dall’interno, i capi restituiscono l’effetto dei candelabri, ma sono arricchiti da qualcosa di molto più prezioso del cristallo. La vita.

La vita sopra e sotto le coperte (senza tabù) nella serie tv Zorras

Zorras è la nuova serie televisiva spagnola del genere fiction scritta da Estíbaliz Burgaleta e Flora González Villanueva. Diretta da Aritz Moreno e Ana Vázque, la serie è stata prodotta da Morena Films ed è basata sulla fortunata trilogia di romanzi Zorras, Malas e Libres di Noemí Casquet.

La serie tv spagnola Zorras si ispira ai romanzi di Noemi Casquet

La battaglia sex positive di Noemí Casquet

Noemí Casquet è una giornalista e scrittrice spagnola da sempre impegnata nella promozione di una visione positiva e sana del sesso. È specializzata in tematiche che comprendono il sesso, l’antropologia sessuale, il femminismo, le relazioni affettive, la comunità LGBTQI+ e la lotta sociale. Casquet è attualmente direttrice di Santa Mandanga. Si tratta della prima piattaforma digitale di educazione sessuale e affettiva per maggiorenni.

La questione della sessualità è stata storicamente (e rimane) un tema problematico in molte società, compresa la nostra. Questo problema persiste soprattutto nel contesto dell’istruzione e in particolar modo in quello italiano. È infatti in corso un lungo dibattito pubblico sull’assenza dai programmi scolastici di un corso che educhi i giovani all’affettività e alla sessualità. Recentemente si è iniziata a manifestare una maggiore sensibilità su questo tema, certo, ma nei fatti la questione della sessualità rimane in secondo piano rispetto all’approccio educativo predominante. Ed è proprio con questa consapevolezza di fondo che entra in scena la serie tv Zorras.

Meet il “club de las Zorras”

Il primo capitolo della trilogia ha debuttato su Atresplayer il 16 luglio 2023. Atresplayer è il canale streaming della più importante società televisiva, cinematografica, radiofonica e di Internet della Spagna, Atresmedia. Atresplayer fornisce oggi un servizio competitivo rispetto a piattaforme come Netflix, Prime e YouTube.

Gli otto episodi da trenta minuti ciascuno seguono le vite di tre giovani donne: Alicia, Diana ed Emily. Interpretate da Andrea Ros, Tai Fati e Mirela Balić, le tre protagoniste non hanno apparentemente nulla in comune. Ognuna di loro proviene infatti da un contesto sociale diverso, con esperienze e personalità quasi opposte. Qualcosa in comune però ce l’hanno: lo stesso desiderio di divertirsi, di correre dei rischi, di liberarsi, di potenziare se stesse e di provare tutto. Per farlo, fondano el club de las zorras, con un obiettivo chiaro: soddisfare tutte le loro fantasie sessuali.

Insieme alle protagoniste, fanno parte del cast della fiction anche Pilar Castro, Nico Romero, Iacopo Ricciotti, Laura Galán, Chelís Quinzá, Aida de la Cruz, Juan Vinuesa, Jesús Rubio, Marta Pons, Berner Maynés, Vicenta Ndongo e Miguel Canalejo. E Noemi Casquet, l’autrice della trilogia letteraria di successo.

Una scena della serie tv Zorras
Iacopo Ricciotti, Andrea Ros e Nico Romero in una scena della serie

Non è solo sesso: cosa ci insegna la serie tv Zorras

Zorras in spagnolo significa letteralmente “tr*ie”, probabilmente l’insulto più utilizzato oggi per denigrare una persona che si identifica con il genere femminile. L’utilizzo del termine rientra in particolare nella pratica dello slut shaming, spesso indirizzato a colei che si sente libera di esplorare il proprio piacere e più in generale i diversi campi dell’eros e della sessualità. Istituendo “il club delle tr*ie”, le protagoniste si riappropriano dello slur per liberarlo dall’accezione negativa che trascina con sé. Contemporaneamente, dichiarano che sì, sono donne e vogliono (e possono!) esplorare la sfera sessuale in tutte le sue pratiche e sfumature.

Esiste un risvolto importante, per lo più taciuto o sconosciuto, dell’essere una “zorra”. Attraverso la scoperta dei propri desideri nascosti e l’esplorazione di pratiche alternative, si sviluppa infatti anche un nuovo rapporto con se stessi. Raggiungere un livello di accettazione e amore per la propria persona è un viaggio che rende più semplice entrare in intimità anche con qualcun’altro. Non si tratta solo di sperimentare o di essere “eccentrici”. Si tratta di imparare a conoscersi.

Una scena della serie tv spagnola Zorras
Mirela Balic nei panni di Emily in una scena della serie

Più serie femminili e femministe per tuttə

La serie si inserisce in un filone di intrattenimento televisivo “femminile e femminista“, dove i focus primari sono il sesso e la normalizzazione della rappresentazione del piacere femminile. Questo tipo di contenuti è fondamentale oggi, in quanto contribuisce a liberarci dai tabù di stampo patriarcale e dal punto di vista maschilista dominante.

Altri esempi di contenuti che si sono mossi in questa direzione sono la serie spagnola Valeria, tratta dai romanzi di Elísabet Benavent e prodotta da Netflix. La serie polacca Sexify e la statunitense The Bold Type, originariamente lanciata su Freeform. Tornando un po’ più indietro nel tempo, pioniere in questo campo e game-changer culturali in Occidente sono state Desperate Housewives e Sex and the City.

La doppia anima di Venezia prende forma al The Venice Venice Hotel

Venezia e la sua laguna costituiscono un microcosmo a sé stante, fuori dal tempo e dallo spazio come siamo abituati a concepirli. Una volta attraversato Ponte della Libertà, questo sentimento avvolge chiunque metta piede nel centro storico della città, che sia la sua prima o centesima volta. Un contesto extra-ordinario, dove passato e futuro si fondono in un eterno presente sospeso, sconcertante, travolgente. Quest’ambiguità, questa fusione di riferimenti ad epoche passate e lifestyle contemporanei costituisce il cuore di The Venice Venice Hotel. Un progetto innovativo tra le mura di palazzo Ca’ da Mosto, tra i più antichi del Canal Grande.

Lo spirito postveneziano del The Venice Venice Hotel

Figlio delle menti di Alessandro e Francesca Gallo, la struttura è stata concepita come un dispositivo che genera una riflessione su Venezia e sulla sua doppia natura. Da qui la ripetizione nel nome, che risalta il modo peculiare in cui a Venezia la tradizione si affianca a un modo di vivere la città moderno.

Con il prezioso sostegno del New Work City, il team interno capitanato dallo stesso Gallo, la realizzazione del Venice Venice ha portato alla definizione di “Postvenezianità”. Un neologismo che sintetizza l’approccio dell’hotel alla città: rispetto e consapevolezza particolari verso una città fragile quanto il suo ecosistema. È da qui che deriva lo stile postveneziano che distingue la struttura nel settore dell’ospitalità. Un’eredità materiale e immateriale di bellezza, arte e artigianato espressa in una nuova e inedita resa formale. È uno stile che si applica a tutta questa realtà, dalla selezione del menù all’architettura degli spazi.

Tutto ciò non poteva che essere rappresentato da Ca’ da Mosto, un palazzo simbolo della laguna. In quanto storica dimora aristocratica e fondaco mercantile, ha attraversato più di otto secoli e assorbito innumerevoli esperienze di epoche e luoghi lontani. Proprio qui è nato l’hotel più antico di Venezia (e forse del mondo): la locanda Del Leon Bianco.

Interni del The Venice Venice Hotel Venezia
Interni della Stanza 06

L’eredità storica di Ca’ da Mosto riflessa nel nuovo hotel

The Venice Venice Hotel a Venezia si fa garante di un livello di ospitalità degno di quello che offriva il suo antenato, il Leon Bianco. Le indimenticabili esperienze vissute tra le sue mura sono state raccontate da intellettuali, artisti e poeti romantici come Turner, Shelley, Dante Gabriele Rossetti. Tra gli hotel più noti sulle rotte del Grand Tour, nella locanda hanno soggiornato ospiti del calibro di Giuseppe II o Paolo Petrovic, il figlio di Caterina di Russia. L’hotel ha anche fornito l’ambientazione a Voltaire per il pranzo dei sei re del Candide.

La sensazione di essere in un ambiente accogliente è amplificata da un format innovativo e servizi speciali. L’assenza del check-in per esempio permette di potersi accomodare direttamente in camera dopo il viaggio. La flessibilità nel check-out invece dà la possibilità di svegliarsi con calma e fare un caffè in moka, o di prepararsi un drink senza uscire dalla propria stanza.

Confort preziosi che sono resi possibili anche dalla presenza di un personale fortemente coinvolto e preparato al progetto, tanto da essere definiti “Dream Builders”.

Gli interni del The Venice Venice Hotel a Venezia

L’ingresso del The Venice Venice Hotel è tracciato dalla “porta d’acqua”, costruita in omaggio alle architetture di Carlo Scarpa. Un forte rimando all’ambientazione lagunare di Venezia, oltre che all’originale “sotoportego” del piano terra di Palazzo Ca’ da Mosto. Qui comincia un percorso che si snoda tra i due piani nobili del palazzo, attraversando più di quaranta camere, ognuna diversa dall’altra. Dalla più piccola, che va ben oltre la metratura media delle classiche camere di hotel, alla suite più grande mai realizzata in città. È proprio tale percorso a riflettere l’anima avanguardista di Venezia, articolandosi tra opere storiche, contemporanee, pezzi di design, ephemera, inviti e manifesti di mostre, memorabilia e progetti speciali.

Un itinerario reso possibile grazie alla ricca e variegata collezione d’arte dei coniugi Gallo, che esplicita la passione e la visione che animano Venice Venice come progetto di hotellerie e lifestyle. Il risultato è una fitta rete di corrispondenze e rimandi, relazioni tra opere, lavori, testimonianze documentali e grafiche. Un tragitto che va dalle avanguardie storiche, alla fotografia contemporanea, fino alle esperienze dell’architettura radicale e del design.

Ogni elemento di design e di arredo è stato disegnato e realizzato appositamente da The Erose, il marchio indipendente dell’hotel.

The Venice Venice Hotel Room Venezia
Interni della Stanza 41

Lo spazio Venice M’Art e il marchio The Erose

Al piano terra di Palazzo Ca’ da Mosto, dove si trova l’antico sottoportico dell’edificio, è possibile scoprire il progetto Venice M’Art. Qui, Alessandro e Francesca Gallo hanno riattivato l’essenza dell’ex fondaco come ambiente adito a scambi e incontri, adibendolo a spazio multifunzionale dalla forte vocazione culturale.

Venice M’Art si propone quindi come spazio espositivo, store, ristorante, bar e terrazza sul Canal Grande, dove è possibile conoscere e acquistare la collezione del brand The Erose. Essa include profumi, cosmetici e pezzi in edizione limitata Arts and Crafts, realizzati con materiali veneziani tradizionali. Offre anche capi d’abbigliamento e accessori artigianali, libri unici su Venezia e esposizioni speciali.

In questo modo Venice M’Art rappresenta un ritorno all’identità commerciale storica di Palazzo Ca’ da Mosto, introducendo un nuovo concept tutto postvenenziano di shopping, ristorazione e arte. Lo spazio aperto e arioso conserva tutte le caratteristiche originali del fondaco, mentre i raggi del sole riflessi dall’acqua danzano sulle antiche pareti di mattoni a vista.

ALOHAS È IL BRAND SPAGNOLO CHE INTRODUCE UN NUOVO MODO DI FARE MODA

In occasione dell’appena conclusa Fashion Week, il noto brand sostenibile di scarpe ALOHAS ha allestito un pop-up store nel centro di Milano. Un’occasione unica e speciale per toccare con mano i modelli del marchio spagnolo, solitamente acquistabili esclusivamente online.

Fondato alle Hawaii nel 2015, ALOHAS produce i propri modelli nelle regioni costiere di Alicante, in Spagna. Con un approccio etico e sostenibile che gli ha permesso di aggiudicarsi un posto tra i migliori sustainable shoes brand, ALOHAS segue il modello di business on demand.

Dal 22 al 23 settembre, il brand ha allestito e svelato la propria collezione 23-24 nella simpatica cornice di Ichi Station, il sushi restaurant in via Solferino 25. Due giorni all’insegna del divertimento, della moda, ma anche dell’apertura a nuovi orizzonti.

Il pop-up store di ALOHAS a Milano brand scarpe sostenibile
Il pop-up store di ALOHAS a Milano

Come funziona il modello di business “on demand”?

L’innovativo modello di business “su richiesta” limita l’offerta dei prodotti in base alla domanda effettiva. In tal modo il marchio evita gli sprechi da sovrapproduzione e le rimanenze dead-stock che caratterizzano l’industria della moda. Contrastando il modello tradizionale con una soluzione moderna, ALOHAS dimostra che, adottando un nuovo punto di vista, cambiare il sistema è possibile.

Nel dettaglio, il brand offre a coloro che abbracciano gli acquisti on demand uno sconto del 30% sugli articoli delle nuove collezioni o per le prime due settimane dopo il loro lancio. In questo modo il team ALOHAS è in grado di valutare i livelli di domanda per ciascun articolo entro 14 giorni circa. Dopodiché, lo sconto si riduce al 15% per gli articoli a produzione avviata o sui pre-ordini, che richiedono circa sei settimane per essere completati. Infine, una volta che sono in stock e pronti per essere spediti i prodotti vengono venduti a prezzo pieno.

Il pop-up store di ALOHAS a Milano brand scarpe sostenibile
L’esterno del pop-up store da Ichi Station a Milano

I vantaggi della produzione locale di ALOHAS

Produrre localmente permette innanzitutto al brand di ridurre la propria impronta di carbonio. Inoltre, dà al team la possibilità di visitare regolarmente gli impianti manifatturieri, per garantire che le condizioni di lavoro siano sempre ottimali. Infine, dà la possibilità di seguire attentamente le fasi di lavorazione mandate avanti dagli artigiani di fiducia. Tra i fornitori selezionati con cura con cui il marchio lavora includono realtà certificate come Leather Working Group.

Da sottolineare che, oltre a proporre le proprie linee di scarpe, abbigliamento e accessori, ALOHAS è anche il marketplace di SVEGAN. Un’alternativa on demand di scarpe vegane che sta prendendo sempre più piede e che viene incontro alle diverse sensibilità di tutta clientela ALOHAS.

INASPETTATE COLLABORAZIONI AZZECCATE: PETER DO X BANANA REPUBLIC

La collezione SS24 di Peter Do recentemente presentata a Parigi ha svelato una collaborazione con il celebre marchio Banana Republic.

Martedì 26 settembre, Settimana della Moda di Parigi: Peter Do sfila al Palais de Tokyo sorprendendo tutti ancora una volta. Tra i look del brand del designer vietnamita, la cui ascesa sembra inarrestabile, hanno fatto capolino anche alcuni pezzi particolarmente speciali. Si tratta dei look chiave della prossima collezione Peter Do x BR, realizzata in collaborazione con lo storico marchio americano Banana Republic.

Versatili e di alta qualità, i capi della capsule collection riflettono l’intersezione tra l’utility design, la sartorialità architettonica moderna e l’artigianalità impeccabile proprie dei due brand.

Disegnata da Peter Do, che si è ispirato agli archivi di Banana Republic, la capsule include pezzi e accessori prêt-à-porter genderful. Antonimo di genderless, il termine ha un’accezione più positiva, inclusiva e liberatoria riguardo tutte le forme di espressione di sé.

Con capi declinati nella palette di colori tipicamente neutri di Peter Do, l’inaspettata partnership amplia lo spettro di ciò che ciascun brand rappresenta. Lo fa tramite una collezione fondata sulla qualità, sulla conoscenza profonda del design e sulle proporzioni sperimentali.

La capsule collection Peter Do x BR si compone di un totale di 28 pezzi e sarà disponibile per l’acquisto online e in alcuni negozi BR negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone a partire dal 10 ottobre 2023.

MILANO FASHION WEEK: ULTIMO GIORNO DI SFILATE. AVAVAV E GIORGIO ARMANI, TRA DEBUTTI PROMETTENTI E NUOVE PROPOSTE

L’ultimo giorno di sfilate della Milano Fashion Week ha portato alla luce diversi nomi emergenti e ne ha visti tornare in patria altri già noti. Una scarica creativa di nuova energia che è sinonimo di vitalità per il panorama italiano e di speranza per il futuro delle “giovani” realtà. Il tutto sotto l’ombra di Re Giorgio, che si proietta sulla città per salutare e concludere anche questa stagione meneghina.

Chiara Boni, La Petite Robe

La designer fiorentina Chiara Boni in occasione del suo debutto in calendario ha dichiarato: “Dopo anni di show negli USA sono felice di sfilare a Milano, la città che mi ha adottato e che ha contribuito a far crescere e sviluppare le mie collezioni”.

La collezione SS24 La Petite Robe è caratterizzata da nuance decise, influenzate da un avventuroso viaggio africano. Femminilità tradizionale reinterpretata in chiave moderna, elegante e disinvolta. Colori sgargianti giustapposti a stampe maxi zebrate e motivi tye-dye sono stati combinati dallo styling di Simone Guidarelli. Il soundtrack dello show è stato prodotto e composto da Thomas Costantin, che sintetizza quest’idea di un viaggio che dall’Africa approda nella metropolitana di New York. Ad aggiungere brio allo show, una performance di Drusilla Foer ha aperto la sfilata, esibendosi con Smile di Charlie Chaplin (e indossando una creazione della designer).

Karoline Vitto supported by Dolce & Gabbana

Laureata al Royal College of Art nel 2019, Karoline Vitto è una designer brasiliana con sede a Londra. Con il supporto di Dolce & Gabbana ha presentato l’ultima collezione del proprio brand, interamente costruito attorno all’idea di celebrazione dei corpi curvy. La decisione di fondare questo marchio nasce dalla reazione all’estetica skinny tipica degli anni 2000, nei quali Vitto è cresciuta in Brasile.

Allestito presso Casa Dolce & Gabbana, lo show ha visto scendere in passerella un cast di modelle con taglie dalla 10 alla 26 (taglie UK) con Ashley Graham ad aprire la sfilata. Gli abiti presentati sono stati realizzati con inserti metallici che scolpiscono il corpo accentuandone curve, rotolini e tutto ciò che è spesso causa di body shaming. Un modo per glorificare le forme femminili e riconquistare l’orgoglio e la gioia che provengono dal sentirsi bene con se stessi.

L’importanza di ricevere un sostegno (economico soprattutto) da realtà affermate come quella della celebre Casa di moda italiana è presto dimostrata. Con l’accesso ai vasti archivi del marchio, oltre al supporto di un team completo di lavoratori qualificati nell’atelier di Dolce & Gabbana, Vitto ha potuto aumentare il numero di look nella sua collezione, passando dai soliti 10 a più di 30.

Il paradiso tropicale di Shuting Qiu

La collezione SS24 di Shuting Qiu è un omaggio alla bellezza naturale e all’ambiente, ispirata al suo recente viaggio a Tenerife. La designer-pittrice fonde il fascino tropicale con la sua caratteristica visione colorata e gioiosa, arricchita dai ricami tradizionali degli artigiani di Hangzhou, città d’origine di Qiu.

Il tema centrale è la stella marina, simbolo dell’oceano, che si intreccia con motivi floreali e disegni audaci. Anche in questa collezione il brand, fondato nel 2018, si è impegnato circa il tema della sostenibilità e ha inserito tra i capi dei pantaloni in denim riciclato. Inoltre, in collaborazione con UGG, il marchio australiano con manifattura Made in Italy, sono state create scarpe dipinte a mano. Ogni capo cattura la bellezza delle isole canarie con foglie tropicali, stelle marine e piume, mentre motivi floreali, farfalle e frammenti di scogliere aggiungono un tocco giocoso e allegro. Le silhouette morbide incarnano la libertà e il comfort, il beachwear fa sognare le giornate in spiaggia e la generale esplosione di colori ci lascia col sorriso in volto.

La protesta non tanto ironica di Avavav

La viralità è un concetto chiarissimo a Beate Karlsson, la designer nata a Stoccolma che da qualche stagione presenta le proprie collezioni alla Milano Fashion Week. Camuffati da spettacoli attira-commenti (spesso anche negativi), gli show di Avavav hanno il pregio raro di veicolare messaggi di protesta o sottolineare aspetti ridicoli dell’intero fashion system tramite l’intrattenimento.

L’ottima riuscita del progetto si riflette nella calca di fashionisti che accorrono da tutto il mondo a vedere le sue sfilate, mossi da fremente curiosità. E cosa c’è di meglio per un brand se non essere considerato interessante per il pubblico-mercato?

La collezione SS24 di Avavav mette sotto la lente d’ingrandimento alcuni meccanismi che stanno dietro la progettazione di una nuova collezione. “NO TIME TO DESIGN” esprime la frenesia, il caos, la pressione sotto cui devono stare i designer di moda una volta entrati nel sistema. Un modo di lavorare che sfiora il ridicolo, ma è seriamente allarmante. Il filtro dell’ironia allora è lo strumento elettivo di Karlsson per affrontare questi discorsi, mentre manda in passerella una serie di capi effettivamente ben realizzati e indossabili, con una nicchia di mercato già conquistata. Altri, realizzati a scopo puramente comunicativo, sono già entrati nella storia. Uno fra tutti l’outfit finale: un abito oversize interamente ricoperto di post-it.

Le vibrazioni di Giorgio Armani

Da sempre lontano dalle tendenze passeggere e dalla ricerca di coolness momentanea, l’intento di Giorgio Armani resta sempre lo stesso: vestire il tempo presente con un segno vibrante, autentico, fatto di dignità ed eleganza.

Il Re di Milano a proposito dell’ultima fatica ha dichiarato: «Tutto vibra: colori, sensazioni, sentimenti. Questa stagione le vibrazioni diventano visibili: percorrono intere superfici in movimenti ondulatori, in intrecci increspati, espandono la gamma cromatica per toccare note di bronzo e argento, accendersi di verdi e viola preziosi e infine arrivare al bianco che dilaga nella sera.»

La collezione SS24 di Giorgio Armani è intitolata Vibes e secondo tre vibrazioni differenti si è articolata in passerella. Una prima parte vede forme morbide e allungate, con un accento sulle trame evidenti o evocate dalle stampe trompe l’oeil che simulano nodi e tessiture dal sapore estivo. Spicca la scelta di abbinare sneaker e scarpe basse ad abiti da sera, tutti in colori della terra elevati dai tessuti metallici. Si passa poi al blu di Armani, che richiama il mare e le sue mille sfumature. Dall’azzurro chiaro al blu profondo. Concludono la sfilata i colori luminosi come il rosa chiaro, il bianco e l’argento. Tinte e tessuti preziosi, che riescono a toccare le corde emotive di chi osserva senza dover ricorrere ad alcun tipo di intermediazione.

Rave Review fa rivivere il proprio dead-stock

Chiudendo la Milano Fashion Week, l’ultimo giorno di sfilate Rave Review ha fatto il suo debutto sul calendario ufficiale. Specializzato in up-cycling, Rave Review è il primo brand svedese semifinalista del prestigioso LVMH Prize, oltre ad aver partecipato al Gucci Fest e ad essere stato inserito nel Gucci Vault.  

Sulle note di Take My Breath Away in versione rivisitata, seguita da una cover dei Nirvana di Wuthering Heights di Kate Bush, hanno presentato la collezione SS24 Leftovers Paradise.

Con una serie di look dall’estetica grunge e dalle incursioni New Romantic, il marchio fondato nel 2018 da Josephine Bergqvist e Livia Schuck ha deciso di abbracciare il proprio stock creato nel tempo. Partendo da qui, il duo ha dato vita a una collezione con ciò che aveva già a disposizione. «Poiché abbiamo acquistato la maggior parte dei nostri materiali di seconda mano da impianti di smistamento in Svezia e Scozia, abbiamo accumulato una grande collezione nel corso degli anni. Abbiamo fatto tesoro di tutti i tessuti e gli articoli per la casa che non abbiamo utilizzato nelle stagioni precedente. Si tratta di un inventario impressionante. Per la SS24 è stata una sfida necessaria, ma anche divertente, quella di utilizzare per lo più questi tessuti, con solo una minima parte dei materiali in giacenza. Come stilisti, i limi delle risorse disponibili spesso ispirano più creatività che avere una libertà illimitata».

Inevitabile quindi che il centro della collezione fosse il taglio patchwork, ma pensato in chiave punk, distorta, con i bordi grezzi bruciati. La giustapposizione di ricami, denim strappato, tartan e lenzuola bianche e pelle nera ha dato un aspetto nostalgico ai capi, per dei look apparentemente aggressivi ma dall’animo dolce.

Show fuori calendario che segnaliamo:

L’omaggio a Leonardo di Bosideng

Celebrare il genio italiano fiorentino. Questo lo scopo di Bosideng, che torna a sfilare a Milano con la collezione FW 23/24. Il rinascimento è il punto di partenza del brand specializzato in abbigliamento outdoor leggero, che sceglie la Casa degli Atellani, insieme alla Vigna di Leonardo, come set dello show.

La sontuosa residenza apparteneva originariamente aLudovico il Moro e fu successivamente donata agli Atellani. La famiglia la concesse a Leonardo da Vinci per dipingere l’Ultima Cena, che ha ispirato profondamente l’intera collezione. Il direttore creativo Pietro Ferragina ha presentato una collezione che richiama elementi rinascimentali e disegni di Pietro Pontaluppi, un geniale designer della borghesia milanese che visse in quel contesto. I motivi tratti dai dipinti murali, gli affreschi e l’orifiamma della cancellata sono stati trasferiti su giacche e abiti trapuntati. I ricami sono stati realizzati artigianalmente con seta, cristalli e perle. La collezione gioca con opposti in termini di occasioni d’uso, silhouette e tessuti.

Le lavorazioni artigianali sono realizzate a mano, con una particolare attenzione al ricamo di Suzhou, eseguito su telaio manuale, uno dei quattro stili più antichi della Cina. Tra gli accessori spiccano gli occhiali da sole realizzati in collaborazione con Saturnino Eye Wear. Si tratta del marchio dell’eclettico musicista Saturnino Celani, perfettamente in armonia con il tema.

La sfilata a Milano rappresenta solo la prima tappa di un tour che toccherà le principali capitali della moda in Europa e Asia, seguendo le antiche rotte della Via della Seta.

L’universo inclusivo di YEZAEL by Angelo Cruciani

Nelle due cornici Palazzo Insibardi e di Lineapelle Designers Edition ha sfilato la collezione INFINITE CONNECTIONS di Yezael by Angelo Cruciani.

La prima location è stata la piattaforma dell’esposizione sulla sostenibilità voluta dal più grande distretto di tessuti al mondo, in Cina a Keqiao. Lineapelle Designers Edition si è tenuta invece a Rho Fiera. Si tratta della fiera internazionale più importante, che «racconta la bellezza e la versatilità della pelle» secondo Fulvia Bacchi, amministratore delegato di Lineapelle e direttore generale di UNIC – Concerie Italiane.

Con questa collezione YEZAEL propone in due diverse sfilate capi genderless, resi tali da una manovra produttiva applicata alle taglie. Con questo approccio progettuale inclusivo, Cruciani vuole comunicare che tutti facciamo parte della stessa storia, nonostante le infinite caratteristiche diverse che ci contraddistinguono come unici. Contribuiamo tutti a creare infinte connessione che confluiscono in un unico corso: la vita.

Dai motivi decorativi ai colori scelti, si palesa il tema dell’universo celeste. Nel comunicato stampa del brand si legge: «Questa collezione cerca di fondere il contemporaneo a quella saggezza che arriva da culture che spesso definiamo “primitive”. Un viaggio che ha avuto come punto di partenza l’infinito tutto intorno a noi: sicurezza e fragilità che si raccontano in abiti stellati, per portarci l’infinito addosso e soprattutto ricordarcelo dentro».

BRAND TO WATCH: Les Benjamins

Les Benjamins è il nuovo brand di streetwear di lusso con sede a Istanbul che mira a rappresentare l’Oriente contemporaneo.
Fondato nel 2011 dal tedesco Bünyamin Aydin, il viaggio di Les Benjamins è cominciato con 30 umilissime T-shirt stampate, il germoglio di un progetto che nel tempo ha fatto guadagnare a Aydin un invito alla Mercedes-Benz Fashion Week di Istanbul e infine uno spot alla Milano Fashion Week. L’obiettivo e il messaggio del marchio sono chiari: restituire una visione inedita dell’Oriente contemporaneo, raramente contemplato nel panorama della moda e del lusso. A questo si aggiunge una sfumatura interessata e personale: «Siamo una piattaforma che esprime come vorremmo che l’Oriente sia oggi», dichiara Aydin.

La collezione Autunno-Inverno 2023 First Wave di Les Benjamins
La collezione Autunno-Inverno 2023 First Wave di Les Benjamins

La nuova collezione First Wave

Questa stagione Les Benjamins proietta il suo sguardo in lontananza, partendo dalle nozioni preesistenti riguardanti la Terra e i suoi luoghi lontani, per giungere verso qualcosa di più astratto ed esteticamente lontano.
La collezione Autunno-Inverno 2023 del marchio di Istanbul prende il nome di First Wave: l’intenzione del direttore creativo Bunyamin Aydin è stata quella di dare vita a un progetto visivo che illustra come potrebbe apparire la prima colonia umana, una volta abbandonata la Terra e raggiunto un nuovo pianeta desertico e immaginario.
Combinando diversi pilastri estetici del marchio, tra cui elementi fantascientifici futuristici e skins da gaming con simboli culturali orientali tradizionali come il carpet monogram Les Benjamins, First Wave riflette un futuro in cui la nostalgia per la terra indugia ancora, molto tempo dopo che i suoi abitanti se ne sono andati.

Le scelte dei materiali e dei colori

I capi sono stati realizzati partendo da elementi protettivi, intesi come seconde pelli tipo body armours, con imbottiture e silhouettes tecniche militari, l’utilizzo di materiali come la pelle, la seta e il crêpe, giustapposti a hardware e dettagli funzionali provenienti dal mondo tech, come patch, tubi ed elementi con coulisse in silhouette oversize, che in qualche modo rimandano anche allo stile dei raver.
La tavolozza dei colori di base prende una piega malinconica sia nel menswear che nel womenswear, con sfumature di mogano, palude e verde silvestre, ma con lampi di tinte neon e acide che danno un tono cyberpunk alla collezione. L’effetto finale è quello di una palette che rimanda a un panorama distopico e
minaccioso, a cui però non soccombe la speranza tipicamente umana.
In linea con l’impegno del marchio verso l’idea di community, First Wave immagina un mondo in cui una nuova tribù si è venuta a formare in questo distopico territorio desertico e di cui ogni membro si fa portatore della propria nostalgia del passato e dell’Oriente, ma con energetica speranza verso il futuro.

La collezione Autunno-Inverno 2023 First Wave di Les Benjamins
La collezione Autunno-Inverno 2023 First Wave di Les Benjamins

La nuova fase di Les Benjamins in Corea del Sud

La nuova collezione FW23 ‘First Wave’ segna anche l’ingresso del brand nel mercato sudcoreano, costruendo un nuovo ponte da est a est, precisamente tra Istanbul e Seoul. Con il legame storico tra i due paesi e la familiarità con la cultura giovanile in evoluzione nella scena underground, Les Benjamins inaugura una nuova era per la moda mediorientale, diventando il primo brand a forgiare un legame tra la regione e la Corea del Sud.
«È sempre stato il mio sogno portare Les Benjamins a Seoul fin dai primi giorni del marchio», ha detto Bünyamin Aydin. «Entrambe le culture coreana e giapponese hanno avuto una grande influenza sulla mia educazione in Germania».

Viene da qui la collaborazione del brand di streetwear di lusso con il concept store coreano Empty: insieme hanno lanciato un pop-up il 6 settembre con accesso libero per il pubblico.
Inoltre, la collezione è stata reinterpretata dall’artista coreano Cho Gi-Seok, che ha contribuito così a creare una narrazione visiva in grado di collegare pubblici diversi, sfruttando la lente della moda contemporanea.

MILANO FASHION WEEK: QUARTO GIORNO DI SFILATE. DA FERRAGAMO A BOTTEGA VENETA

Heritage, legacy e artigianato di altissimo livello sono i punti focali estratti dal quarto giorno di sfilate della Milano Fashion Week. Da Ferragamo a Bottega Veneta, passando per Dolce&Gabbana, Ferrari e Bally, ci si è concentrati su un’idea di lusso che ha a che fare soprattutto con il concetto di tradizione. Questa intesa come quell’insieme di memorie, notizie e testimonianze che vengono trasmesse da una generazione all’altra. Ne sono scaturite collezioni che si distinguono per la qualità di esecuzione, con capi senza tempo che fanno riflettere proprio sul valore di quest’ultimo.

Il pit stop fashionista di Ferrari

Seppur l’associazione casa automobilistica e linea di moda suoni ancora stonata, il quarto giorno di Milano Fashion Week da Ferrari è stata eseguita una sinfonia. Letteralmente. Con il film di Michael Mann Ferrari recentemente presentato al Festival del Cinema di Venezia, i riflettori non hanno mai puntato così tanto sull’italianissimo marchio.

Rocco Iannone è il direttore creativo a cui è stato assegnato il nuovo brand di abbigliamento. Il suo compito è tentare di costruire le fondamenta di quella che potrebbe essere una delle nuove case di moda maggiormente rappresentative dell’italianità. O, se non altro, di una sua sfaccettatura inedita. Stile di vita lussuoso, una personalità sfacciata ed eccentrica, l’attrazione per il potere e un gran sex appeal. Ecco cosa caratterizza l’ideale possessore di una Ferrari ed ecco cosa caratterizza la collezione SS24 di Iannone. Capi morbidi e rilassati, a tinta unita, che vanno dal casual wear per il giorno agli abiti da sera, in una palette che tocca il blu, il bianco e il rosso, passando per il nude e il rame. Dalla pelle, al denim, alla maglieria, i tessuti si alternano su una serie limitata di look che si ripetono in modo coerente e coeso. Pensato in chiave genderless, protagonista della collezione è il boiler suit (la tuta da lavoro). E come potrebbe essere altrimenti?

Ferragamo

Maximilian Davis continua con successo il suo progetto per ristabilire Ferragamo tra i brand più desiderabili di quelli storici italiani.

Il rilancio di Ferragamo è passato, tra le altre mosse strategiche, anche dall’utilizzo preponderante di un rosso brillante a cui associare il marchio. Interessante come nella collezione SS24 di questo rosso ci sia a malapena traccia. Al suo posto è apparsa una particolare sfumatura di verde, diversa da quelle introdotte da Daniel Lee per Bottega Veneta prima e Burberry poi. Al suo fianco sono apparsi un azzurro chiaro, che sembra il colore di stagione, e un marrone terracotta. Colori che rimandano in qualche modo alla palette pittorica del Rinascimento fiorentino, periodo artistico in cui Ferragamo si è rivisto con l’ultima campagna della FW24.

Ed è proprio all’italianità del marchio l’aspetto a cui Davis sembra puntare con il nuovo Ferragamo. Sul moodboard di questa collezione sono apparsi infatti il marmo italiano e la materialità dell’Arte Povera. Le armature rinascimentali e l’arte sovversiva del 18 º secolo di Agostino Brunias. Alcune silhouette rimandano ai primi anni ’50, con la vita stretta e le gonne lunghe a ruota. Infine, nota di merito ai trench iper-chic: senza dubbio tra i migliori visti in questa stagione (che per un brand di calzature non è male).

L’erotismo è sinonimo di Dolce&Gabbana

Da Dolce&Gabbana continua l’operazione archeologica di dissotterramento e restauro delle proprie radici, con una manovra autoreferenziale sfacciatamente esplicita. Da un paio di stagioni il brand ha rimesso mano ai propri archivi allo scopo di riproporre in chiave contemporanea quei capi che hanno fatto la storia della moda. Complice il rinnovato amore delle nuove generazioni per il vintage e il revival, celebrity del calibro di Kim Kardashian hanno richiesto (o recuperato da sé) capi iconici di Dolce&Gabbana.

Prossimi al quarantesimo anniversario, Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno dato vita a una collezione in bianco e nero, risoluta e coscientemente provocante. Qui la lingerie è protagonista, così come l’erotismo che indaga e illustra. Ciò accade anche nei capi più sartoriali, come con il classico smoking doppiopetto in avorio con revers in raso nero; ancora, con il completo più sperimentale che vede il corpo della giacca ritorto di lato per creare un look monospalla. Prima che la moda post-pandemica rilanciasse la lingerie sulle passerelle, inneggiando alla liberazione dei corpi costretti tra le mura di casa, da Dolce&Gabbana i concetti di corpo e libertà costituivano i muri della Maison. E con questa collezione ce lo hanno ricordato.

Nuova direzione dei Meier per Jil Sander

I coniugi Meier sembrano essersi definitivamente staccati dalla filosofia minimalista di Jil Sander, la fondatrice del marchio che lo ha disconosciuto ancora nel 2013. Oggi di proprietà del gruppo del lusso OTB di Renzo Rosso, dal 2017 il marchio è stato portato avanti dai coniugi Lucie e Luke Meier. Stagione dopo stagione, i due hanno onorato le origini del brand e le precedenti direzioni creative condotte da altri designer, tra cui Raf Simons. Finalmente però pare che la coppia sia riuscita a rendere “proprio” il marchio. Nonostante la collezione SS24 appaia a tratti poco coesa, gran parte dei look scesi in passerella il quarto giorno di sfilate della Milano Fashion Week attira l’attenzione. Silhouette boxy e reinterpretazioni di look tradizionali, come i completi giacca pantalone e i trench lunghi, si sono alternati ad abiti genderless, intarsi metallici e stampe animalier. Una collezione dal sapore sperimentale, ma pur sempre sofisticata (come è tipico del brand).

Il debutto di Simone Bellotti da Bally

Simone Bellotti è entrato a far parte del team di Bally nell’ottobre del 2022, dopo aver trascorso ben 16 anni presso Gucci. Ha preso il posto di Rhuigi Villaseñor, che aveva lasciato l’azienda di proprietà della Jab Holding Company lo scorso maggio. La carriera di Bellotti è costellata da ruoli di grande responsabilità come senior designer presso marchi di prestigio quali Dolce & Gabbana, Bottega Veneta, Gianfranco Ferré, e il sopracitato Gucci.

Per la sua prima collezione al timone del marchio svizzero, Bellotti ha attinto al ricco archivio di Bally, che custodisce autentici tesori dell’artigianato svizzero. Il designer è stato ispirato a esplorarne soprattutto un versante oscuro, misterioso, espressivo e sovversivo. Parliamo della storia del Monte Verità, una comunità utopica di menti libere e creative fondata ad Ascona all’inizio del XX secolo. Questo rifugio per la rigenerazione spirituale e l’espressione artistica e mistica ha accolto famosi intellettuali e artisti del calibro di Carl Jung, Herman Hesse, Rudolf Steiner, Paul Klee e molti altri.

La collezione SS24 fa un ottimo lavoro nel veicolare un’idea di lusso “pragmatico” e funzionale, in cui però sono concessi i guizzi dell’immaginazione tipici e fondamentali della moda. Per omaggiare umoristicamente le tradizioni svizzere, Bellotti ha introdotto una stampa a fragola trasferita su alcuni capi e su certe borse. Tra queste ne risaltava una rettangolare e rigida, ispirata alle borse da viaggio in miniatura da bambini. Ancora, i talismani Appenzeller che sono stati modellati a mo’ di piccole campane di mucca, reinventati come pendenti per le borse e appesi alle tracolle in colori vivaci e gioiosi.

Il primo fashion show di The Attico

Allure glamour da diva contemporanea, che si sveglia al mattino senza sapere con precisione dove si ritroverà la sera. “Look from day to night” è il motto di The Attico e l’intenzione primaria dietro i design si questa SS24. Il brand è costruito sulla falsariga delle vite reali di Giorgia Tordini e Gilda Ambrosio, le sue fondatrici. Dopo essersi conquistato un posto d’onore nel fashion system internazionale, The Attico debutta in passerella il quarto giorno di sfilate della Milano Fashion Week.

L’estetica cara al loro pubblico è rimasta la stessa, con look da serate a Ibiza e da “walk of shame” di classe per le vie milanesi. Questa volta però, sembra esserci qualcosa in più. L’edonismo anni ’80, caratteristico della collezione, è fuso a un atteggiamento più rilassato e deciso; lo stesso di chi ha acquisito una nuova autostima in seguito a battaglie vinte. Lo styling apparentemente frettoloso è sinonimo di vita frenetica, ma anche di quel minimo sforzo nell’agghindarsi che esprime: “ho altro a cui pensare”. Tutto questo mostrato per strada, con gli ospiti comodamente seduti su divani in pelle anni ’70. Effortleslsy cool.

Il viaggio di Bottega Veneta

Con la collezione SS24 di Bottega Veneta, Matthieu Blazy ci fa viaggiare. Un viaggio per riscoprire la bellezza di lasciarsi ispirare da ciò che è nuovo ai nostri occhi, inedito, lontano dall’ordinario. Un’Odissea esteriore e interiore, letterale e metaforica, in cui l’unico punto fermo è l’artigianalità. L’idea è quella di staccarsi dai limiti imposti dalle creazioni umane, dimostrando fin dove invece questa capacità creativa può arrivare.

Per questa stagione Blazy ha dato vita a una collezione RTW che per la complessità di realizzazione di alcuni capi sconfina con l’Haute Couture. Si è guadagnata senza dubbio il primo posto in questo quarto giorno di sfilate della Milano Fashion Week.

Secondo il direttore creativo liberarsi dalle limitazioni della vita quotidiana significa spogliarsi dei vestiti che rimandano ad esse, metterli (letteralmente) in borsa e cambiarsi. E in questo modo, cambiare. Addio completi business e strutturati, benvenuti capi “senza confini”. Da qui il mix di riferimenti (ad animali, piante e minerali) condensati nelle linee, forme e volumi di abiti, completi, cappotti. Gonne di frange che sembrano meduse, colori brillanti come quelli dei fiori e texture ruvide come la raffia. La metafora del viaggio e la vita del nomade risiedono soprattutto negli accessori. Ci sono borse-conchiglie giganti, scarpe in pelle lavorata che somigliano a foglie di banano, spalline di perle naturali, borse stampate a mo’ di giornale. Osservare ogni look, uno per uno, è di per sé un viaggio. E allo stato attuale della moda, non si poteva desiderare nulla di meglio se non viaggiare con e grazie agli abiti.

MILANO FASHION WEEK: IL TERZO GIORNO DI SFILATE. IL MEGLIO, DA GUCCI A VERSACE

Rilanci polarizzanti, addii commoventi e cambi di rotta inaspettati. Le collezioni dei brand storici presentate il terzo giorno di sfilate della Milano Fashion Week hanno dato molto di cui discutere e su cui riflettere. I marchi più giovani, invece, sembrano affermarsi sempre più nel panorama italiano, grazie a progetti stimolanti e interessanti. “In che direzione sta andando la moda?” è l’eterna domanda che ci si pone di fronte a questi show e alle dinamiche interne che essi riflettono. Indipendentemente dall’esistenza o meno di una risposta giusta però, l’importante è continuare a interrogarsi.

L’epilogo dell’era Chiapponi da Tod’s

Una collezione che è un addio. La Primavera/Estate 2024 di Tod’s, denominata Fabbrica, è stata la lettera di congedo di Walter Chiapponi, da quattro anni il direttore creativo del marchio.

Dichiarata dai conoscitori del marchio la collezione più identificativa del designer, Chiapponi ha eliminato qualsiasi decorazione superflua, puntando a linee diritte ed essenziali, caratteristiche dell’artigianato italiano. In pieno mood “Milano Bene” le modelle sfilavano tra i laboratori di Scala Ansaldo, nel Teatro alla Scala di Milano, tra le note miscelate dell’ouverture e gli attacchi delle arie più famose. Raffinatezza a livelli altissimi. Highlights della collezione sono un cinturone che avvolge la vita come una sorta di semi-corsetto, da cui pendono ganci per tenere borsellini o guanti. Ancora, le giacche staccate dal busto, le gonne aderenti in pelle, i pantaloni morbidi, e i sabot a tacco basso. Sono tipicamente Tod’s gli abiti sartoriali maschili su misura e le sahariane in pelle.

La paura secondo Cormio

Entrare nell’universo di Cormio è come entrare in un “cabinet of curiosities”. Per il terzo giorno di sfilate alla Milano Fashion Week, Jezabelle Cormio convoglia dettagli e motivi provenienti dal mondo dell’infanzia con elementi disturbanti, dando vita a una narrazione non convenzionale, un po’ spaventosa, ma estremamente intrigante. E la paura è proprio il fil rouge della collezione, come ha dichiarato la designer in un’intervista a Harper’s Bazaar: «Donne che fanno paura, donne che hanno paura.» Ecco forse il motivo per cui l’estetica tirolese, così radicata nel marchio, in quest’occasione lascia più spazio a quella Y2K. Ecco che bandane leopardate e Ugg bistrattati allora condividono lo spazio con cinture borchiate e gonne al ginocchio. La declinazione punk dei look (più punk del solito) fa pensare ai CD di Avril Lavigne e agli outfit paparazzati di Amy Winehouse. È sicuramente dedicato a lei l’hairstyle del look 08.

Gucci Ancora, e ancora e ancora

È successo. Dopo trepidanti attese e aspettative inevitabilmente altissime, Gucci ha presentato la prima collezione firmata Sabato De Sarno. Il designer di origini napoletane stato incaricato di guidare la direzione stilistica dell’intero brand, comprese le categorie di prodotto donna, uomo, articoli in pelle, accessori e stile di vita. Come chiarito nelle settimane passate da François-Henri Pinault, il presidente e CEO di Kering, l’obiettivo di De Sarno è preservare l’appeal delle collezioni presentate finora in passerella e ridefinire l’identità della maison. Il fine, come sempre, è quello di generare nuovi profitti nell’ambito di un concetto di “lusso moderno”.

«Voglio che la gente si innamori ancora di Gucci» aveva dichiarato De Sarno in un’intervista pre-sfilata. Per farlo, la manovra (strategicamente commerciale, ça va sans dire) è stata quella di fare tabula rasa. Una “pulizia” di tutto ciò che poteva rimandare all’era definitivamente terminata dell’ex direttore creativo Alessandro Michele. E se fare il paragone tra i due creativi è tanto ingiusto quanto inevitabile, resta obiettivo che la prima collezione della nuova era sia risultata piuttosto asettica. Complice forse anche la location cambiata all’ultimo causa pioggia, a fine show ci si sente un po’ come quando a casa si osserva un nuovo ripiano Ikea montato. Perfettamente lucidato ed esteticamente gradevole, non ci trasmette alcuna emozione, ma ci regala un senso di soddisfazione per aver portato a termine un (apparentemente) buon acquisto. Con Spotify che suona Ancora ancora ancora di Mina in sottofondo, facendoci sentire un po’ più emotivi del necessario.

Resta importante ricordare, però, che le collezioni di debutto segnano comunque un punto di partenza, un semino da cui far crescere qualcosa. E tutto sommato la SS24 di Gucci è stata piantata in un terreno sicuramente fertile.

MSGM in dialogo con Gio Ponti alla Milano Fashion Week

Il maltempo ha costretto anche MSGM a trasferire lo show dalla location originaria alla propria sede di via Piranesi. L’intenzione era di sfilare tra due palazzi di Gio Ponti al Campus Leonardo in Città studi, dal momento che la collezione è incentrata sulle geometrie del celebre architetto milanese, trasformate in motivi all-over sui capi. Sulla stessa linea stanno i tasselli colorati sulle gonne e le pennellate sulle casacche, rimandi ai disegni policromi delle lettere di Ponti. Ancora, il direttore creativo Massimo Giorgetti ha reinterpretato il tartan, motivo a lui caro e riscoperto a una mostra al V&A di Londra. Lezione di stile finale: i sandali indossati con le calze al ginocchio.

Ten across the board per la collezione SS24 di Sunnei

Il marchio diretto da Simone Rizzo e Loris Messina si è conquistato un posto d’onore nel panorama milanese grazie agli show che uniscono moda e intrattenimento. Stagione dopo stagione Sunnei invita a osservare i capi delle nuove collezioni adottando un punto di vista diverso, coinvolgendo gli invitati nello show.

Al terzo giorno di sfilate Milano Fashion Week, al pubblico di Sunnei sono state date delle palette da “giudici” con cui si poteva assegnare il proprio voto (da 1 a 10) a ciascun look della collezione SS24. Nel frattempo, una voce fuori campo dava indicazioni sul da farsi. Una trovata divertente per abbracciare (o sfogare?) in modo sano la tendenza al giudizio che ci caratterizza come umani. Sul piedistallo che si illuminava ad ogni look si sono alternati capi tipicamente Sunnei: colori vibranti, stampe a righe, tessuti tecnici e accostamenti coraggiosi. Protagonisti gli accessori, che riescono ad avere sempre un sapore avanguardistico e iper cool: dall’eyewear, alle borse, dai portachiavi agli orecchini rubberized, divenuti ormai un classico del brand.

Le ribelli dalle buone maniere di Vivetta

Romantica, sensuale, un po’ civettuola, ma anche intellettuale e ribelle. La donna Vivetta sfila a Chiostro dei Glicini in un mare di fiori e soprattutto di pois, il focus della collezione. “Ho pensato a una celebrazione a pois. Un felice fascio di puntini, una manciata di sfere ipnotiche”, ha spiegato la designer Vivetta Ponti. Partendo da Beau Brummell, l’icona dandy che ha reso scandalosi e popolari i pois nella Londra del XIX secolo, è rimasta fedele a se stessa sublimando nei propri capi una serie di spiriti diversi. Brillano i ricami (passione di Ponti), i colori, che vanno dal blu navy al “rosa Vivetta” al verde acido, e i gioielli. Questi ultimi sono stati realizzati a mano in Italia e costituivano la quota eccentrica della collezione, arricchendo l’estetica scherzosamente bon ton tipica del brand.

Versace

Verso sera, ecco l’ennesima sorpresa della Milano Fashion Week al suo terzo giorno di sfilate. Presentata tra le mura dell’Hangar Bicocca rivestito di bianco per l’occasione, la collezione SS24 di Versace ha stupito con un cambio di direzione estetica sconcertante. In un gesto sovversivo e proprio per questo motivo molto Versace, la Casa di moda ha presentato un’immagine di sé molto bon ton e piuttosto cute. Chiaramente non i tradizionali sinonimi del marchio. Infusi di un’evidente estetica anni ’60, i capi hanno sfilato in passerella in tonalità pastello fresche ed energizzanti, con stampe geometriche che rimandano al quadretto optical utilizzato da Gianni negli anni 90. Un cambio di rotta che però è solo formale, perché lo spirito audace e rivoltoso continua a trasparire da tutti quei dettagli Versaciani che hanno fatto la fortuna e la storia della Maison. La ciliegina sulla torta è l’iconica Claudia Schiffer, che chiude la sfilata raggiante come le estati di Versace tra la California e la Florida.

MILANO FASHION WEEK: IL MEGLIO DEL SECONDO GIORNO DI SFILATE, DA PRADA A TOM FORD

Alla Milano Fashion Week, la giornata di giovedì 21 settembre si è consumata in un appassionante susseguirsi di nuovi lanci e antiche certezze. Dalle collezioni si respira il desiderio di leggerezza, intesa come fuga dai drammi e dalle sofferenze della vita. Si ricerca conforto nella pura tecnica, che garantisce sempre buoni risultati e quindi non può deludere. Ci si immerge nei ricordi per trarre nuove fondamenta su cui costruire il futuro e non per crogiolarsi nella malinconia. Dalla consapevolezza di Prada alle sperimentazioni di Fiorucci, ecco il meglio del secondo giorno di sfilate della Milano Fashion Week secondo MANINTOWN.

A Milano sfila The Max Mara Army

Colori della terra e blu navy, silhouette anni ’40 e utilitywear. La condizione femminile negli anni della Seconda Guerra Mondiale è alla base della collezione Primavera/Estate 2024 di Max Mara. Per la prima volta le donne si ritrovano a ricoprire ruoli tradizionalmente occupati dagli uomini, come il lavoro nei campi. Parlando delle donne inglesi e americane poi, esse si riuniscono nel movimento civile The Women’s Land Army, una realtà che è stata vitale durante il conflitto.

Il direttore creativo di Max Mara, Ian Griffith, è partito da qui per creare questa collezione, a cui è legato anche dalla personale passione per il giardinaggio. I capi che ne sono derivati rimandano a una donna contemporanea, professionalmente impegnata, pragmatica, ma sofisticata. Poche stampe e ancora meno orpelli e decorazioni lasciano brillare le texture dei tessuti e la costruzione dei capi. Sartorialità e cura artigianale italiana che esprimono lusso. Classico (= di classe) Max Mara.

ACT N°1 sul ring

La prima collezione di ACT N°1 seguita interamente da Luca Lin, dopo l’addio del collega e co-fondatore Galib Gassanoff è un clash semantico. Il mondo dello sport, della box più precisamente, e dell’informazione si uniscono in una performance teatrale per generare una riflessione sulla realtà odierna. Il dramma è il genere d’elezione di ACT N°1 tramite cui veicolare le narrazioni intrinseche ai propri capi.

Presentata su un ring ricoperto da drappi di tessuto e corde (la vita, con le sue battaglie e limitazioni) la collezione SS24 cattura la resa dei conti più che la battaglia. Gli interpreti dello spettacolo sono calmi, compiono gesti semplici e quotidiani. Ritorna l’estetica utilitaria, in particolar modo nei capi della prima parte dello “spettacolo”, che lascia poi il posto alle rouche e agli chiffon voluminosi, tipici e identitari del brand. Una visione poetica della liberazione della classe operaia, che a suo modo si riappropria dei piaceri e delle “frivolezze” della vita. Privilegi di cui non può godere quotidianamente. E quale marchio per esprimere maggiormente l’evoluzione da operaio a modaiolo delle Crocs? Ecco allora svelata la collaborazione di ACT N°1 con il brand di calzature. Una manovra commerciale tanto poetica quanto arguta.

PRADA dolce PRADA: una certezza alla Settimana della Moda

Difficile sbagliare in Casa Prada, e questa ultima SS24 non fa che confermarlo. Miuccia Prada e Raf Simons sono riusciti a conquistare ancora una volta il cuore dei propri fedeli seguaci, strappando anche qualche lacrima di commozione. A fine sfilata infatti, è uscito in passerella Fabio Zambernardi, che si è congedato tra lo scrosciare di applausi e gli abbracci dei direttori creativi. Pare infatti che lo storico design director lascerà il gruppo a fine anno, dopo 40 anni di servizio al fianco alla Signora Prada. Figura fondamentale dietro le quinte, si devono anche a lui la nascita e lo sviluppo dell’estetica Prada e Miu Miu, che li rendono oggi riconoscibili in tutto il mondo.

La collezione era una delle più attese in questo secondo giorno di Milano Fashion Week. Rispetto al solito, questa volta da Prada si sono focalizzati sull’artigianalità e la tecnica, con un rinvigorente approccio per nulla intellettuale (caratteristico della Casa di moda) e molto concreto. I vestiti sono la base di partenza e il punto di arrivo. In un’industria in cui le idee hanno preso il sopravvento sull’esecuzione, il ritorno alla tecnica-protagonista è davvero ben accolto. Ancora più interessante è il taglio che è stato dato a questo approccio. Non si tratta di quantificare e dimostrare le ore di lavoro dietro la costruzione e decorazione di un capo. Il fulcro è indagare la possibilità o meno di realizzare qualcosa.

E così sfilano in passerella abiti leggerissimi che sembrano cristallizzati nel loro svolazzare. Silhouette sartoriali sovversive negli accostamenti e nei volumi, introdotte con la collezione uomo di giugno. Giacche pesanti e usurate stile fienile, che vengono indossate sopra camicette e gonne sfrangiate dall’attitude fru fru. Influenze anni ’60 e ’90, sobrietà apparente che lascia intravedere un’eccentricità di fondo. Serietà e rigore, ma con il cuore leggero. Questo, alla fine, è il centro di Prada.

Il compleanno di Moschino

Lo storico marchio Moschino questa stagione compie 40 anni. Il Caso vuole che attualmente, però, la Maison si trovi orfana di direttore creativo. Per sopperire alla mancanza e festeggiare il gran traguardo sono state invitate 4 super stylist che si sono divertite nell’interpretare i primi anni dell’archivio del brand, secondo la loro personale sensibilità.

Il primo segmento della collezione è stato ideato dall’iconica Carlyne Cerf de Dudzeele, che ha reinterpretato in maniera contemporanea alcuni dei capi più iconici e eleganti di Moschino. Gabriella Karofa-Johnson, collaboratrice e stylist di Vogue, ha abilmente rinnovato i tradizionali cappelli da cowboy, gli orecchini oversize e gli abiti all’uncinetto, in un gesto d’amore e ammirazione. Il terzo atto, curato da Lucia Liu, richiama il romanticismo di Moschino, con l’abbondante utilizzo di organza e abiti che sembrano appartenere a un’epoca passata. L’epilogo, firmato da Katie Grand, la stylist e fondatrice della rivista Perfect, rappresenta una toccante conclusione di questo omaggio: una performance che mescola la danza contemporanea con la sobrietà del bianco e nero, due colori amati da Franco Moschino.

Gli angeli di Blumarine

L’aspetto più interessante della collezione SS24 di Blumarine è sicuramente il cambio di direzione intrapreso rispetto all’estetica piuttosto dark a cui ci aveva abituato con gli ultimi show. In maniera piuttosto letterale, infatti, Nicola Brognano ha portato su una passerella completamente bianca e disadorna, una serie di capi angelici. L’intenzione comunicativa è il richiamo alla purezza, alla luce, alla leggerezza interiore.

Al di là dell’opinabile concezione di purezza di spirito, sicuramente più legata a una morale personale che a un’estetica ben definita, la collezione funziona per coerenza di scelte. Blumarine è un marchio trendy, sfacciatamente sexy, legato a quell’estetica Y2K ancora in voga che lo ha così ben definito stagione dopo stagione. In uno stato d’animo sicuramente leggero, farfalle (icona del brand) e ali da angelo si alternano per adornare o coprire (al minimo) il corpo, in maniera provocante e sensuale, ma anche liberatoria. Trasparenza dei materiali e dei tessuti, una palette ridotta a bianco e nero, con alcuni toni di marrone e dei guizzi di lilla e oro, drappeggi e pizzo. Una selezione che rimanda a una visione stereotipata del costume da ‘angelo sexy’ per eccellenza, ma resa ready to wear. E nel migliore dei modi.

Da Napoli a Milano: le memorie di GCDS

Memorie del passato che ritornano per essere messe nero su bianco, apprezzate e ”traslocare” verso il futuro. La collezione SS24 di GCDS è un insieme di argute trovate per trasformare in capi vendibili i ricordi più cari che Giuliano Calza ha della sua città natale, Napoli. La passerella è stata ricoperta con un telo trasparente di pvc, sollevato a inizio show per esemplificare il rito di inscatolamento e spacchettamento tipico dei traslochi. I colori della bandiera del Napoli e la pelle stampata effetto legno, in ricordo dei mobili della nonna. Il jersey grigio da pantaloni della tuta e il matelassé effetto morbida trapunta, che rimandano allo stare in casa. Il tutto riletto in chiave luxury streetwear, di cui GCDS è il grande rappresentante alla Milano Fashion Week.

Il nuovo vecchio Tom Ford

Peter Hawkings, il nuovo direttore creativo di Tom Ford, è stato scelto dal designer stesso dopo aver lavorato al suo fianco per quasi 25 anni. In precedenza, Hawkings ha ricoperto il ruolo di Senior Vice President di Tom Ford Menswear. Ora, ha assunto la direzione creativa per le categorie donna, uomo e accessori, oltre a essere il designer principale per le collezioni e le sfilate.

Il suo debutto ha toccato diligentemente tutti i pilastri estetici che negli anni hanno formato il celebre marchio americano. Proprio come un allievo che prosegue la ricerca del maestro, Hawkings ha lanciato una collezione consistente che consolida il marchio per quello che è sempre stato. Magnetico, affascinante, sofisticato, glamour, sexy. Tom Ford oggi è prodotto su licenza dal Gruppo Zegna, per cui anche l’alta qualità dei capi era prevista, pretesa ed è stata ottenuta. Non hanno stupito nemmeno le varie reference all’era Gucci di Ford degli anni ’90, che hanno sicuramente fatto la gioia dei fashionisti. Resta da capire se e come si evolverà ora il linguaggio del brand sotto la nuova direzione di Hawkings.

Menzione speciale a due presentazioni della Milano Fashion Week che il secondo giorno hanno destato l’attenzione di tutto il fashion system.

Il debutto di Fiorucci alla Milano Fashion Week

Il marchio italiano Fiorucci, fondato da Elio Fiorucci, è stato rilanciato alla Milano Fashion Week il secondo giorno di sfilate. Noto principalmente per il suo design pop, l’animo ribelle e il famoso logo con gli angioletti, lo storico brand è ora di proprietà di Dona Bertarelli. L’imprenditrice svizzera sarà affiancata dal CEO Alessandro Pisani e dalla nuova direttrice creativa Francesca Murri. L’obiettivo dichiarato è riportare in vita l’atteggiamento giocoso che ispirò il fondatore, reinterpretando la sua eredità per una nuova generazione.

Il marchio fu un’icona della moda dagli anni ’60 agli anni ’90, portando a Milano l’energia trasgressiva di Carnaby Street e King’s Road di Londra, influenzata da figure come Vivienne Westwood e i Sex Pistols. Il suo stile comprendeva jeans attillati, scarpe colorate, minigonne, e una vivace esibizione di prodotti nelle vetrine, insieme a elementi musicali e culturali. Genio creativo a lungo incompreso, Elio Fiorucci era soprannominato il “Re del pop” negli anni ’80 e collaborò con figure come Andy Warhol, Truman Capote, Madonna e Keith Haring.

A Francesca Murri la responsabilità e l’arduo compito di ridefinire la posizione del marchio nel settore del lusso accessibile, mantenendo intatti i valori e la storia di Fiorucci. L’esperienza di Murri l’ha vista passare per aziende dal calibro di Ferragamo, Versace, Giorgio Armani, Gucci con Alessandro Michele e il Givenchy di Riccardo Tisci.

15 sono stati i look presentati per questo lancio. La “Collezione Zero” è genderless e molto commerciale, divertente e, soprattutto, abbordabile. Alcuni simboli notoriamente Fiorucci si sono sovrapposti alla stampa di una banana: un’illustrazione che Andy Warhol aveva realizzato per l’amico Elio.

BE ON, Benetton

Andrea Incontri sta facendo un bel lavoro di rinnovamento dello storico marchio fondato nel 1965. Partendo dai codici identificativi del brand come la maglieria, i colori, il cosmopolitismo e l’umanità, ne sta costruendo un’immagine rinnovata, fresca e desiderabile.

La sfilata fuori calendario è stata presentata il secondo giorno della Milano Fashion Week presso il Museo della Permanente di Milano. In passerella sono scesi capi e accessori dai colori vitaminici, immersi nel giardino surreale in cui divertenti fiori e frutti giganti contagiavano gli umori e i capi stessi. Fiori e frutti sono stati infatti stampati su polo, jersey, denim o intarsiati nei capi di maglieria. In passerella, una line up che mirava a rappresentare persone vere e famiglie di oggi, adulti e piccini, ognuno con la propria linea dedicata.

LAKE COMO DESIGN FESTIVAL: LA NATURA VISTA CON GLI OCCHI DEL DESIGN

Torna il “Lake Como Design Festival” dal 16 al 24 settembre 2023, presso Villa Olmo a Como.

La bellezza in natura ci circonda tutti i giorni, ovunque andiamo, ma notarne le rarità non è cosa semplice. Ci sono svariati modi di osservare il mondo tramite punti di vista sempre nuovi. Uno di essi è il design. È da qui che nascono le opere di design della galleria Movimento che, in occasione della quinta edizione del Lake Como Design Festival, partecipa per il secondo anno consecutivo. Il suo scopo è quello di riscoprire il bello della natura attraverso gli occhi del design.

Il set up della mostra presso Sala Musica di Villa Olmi, Lake Como Design Festival
Il set up della mostra presso Sala Musica di Villa Olmi

Chi è Movimento?

Movimento è una galleria nomade di collectible design seguita da Artefatto Design Studio, che rappresenta designer e artisti emergenti. Si tratta di un luogo in cui gli appassionati di design, i collezionisti, gli architetti, gli interior designer e i galleristi possono scoprire e acquistare le migliori novità del panorama internazionale.

La mostra “The Blue Flower” al Lake Como Design Festival

Il festival ha il pregio di offrire una piattaforma per eventi, discussioni ed esposizioni in diversi e ammirevoli luoghi storici. Tra di essi c’è Villa Olmo, che per quest’edizione ha aperto le sue porte a designer, artisti, editori e gallerie di design moderno e contemporaneo. Movimento ha preso parte all’evento curando la mostraThe Blue Flower“, presentata nella suggestiva Sala Musica di Villa Olmo. Concentrandosi sul tema “Naturalis Historia”, ispirato all’opera di Plinio il Vecchio, questo progetto fonda le proprie radici nella filosofia di Edmund Burke. Il riferimento è alla sua esplorazione dei concetti del Bello e del Sublime nella natura. Nella sua carriera, il politico, filosofo e scrittore anglo-irlandese ha riconosciuto che anche elementi vasti, rumorosi o ruvidi possono essere considerati belli.

Il fiore blu, spesso utilizzato nella letteratura romantica, simboleggia il raro, l’inaspettato e l’unico in un mondo dominato da sfumature di verde nella natura. Con “The Blue Flower”, 13 designer internazionali hanno avuto l’occasione di esplorare nuove prospettive non convenzionali sul tema della bellezza. Alcune delle loro creazioni sono la seduta sculturale di Pablo Octavio, il tavolino vitreo dell’architetta e designer Heike Buchfelder e il divano monumentale di Secolo.

La mostra è aperta al pubblico dal 16 al 24 settembre. I visitatori avranno l’opportunità di esplorare l’indagine artistica del legame tra bellezza, natura, luoghi e design.

Milano Fashion Week: da Fendi a Diesel, il meglio del primo giorno di sfilate

Primo giorno di sfilate alla Milano Fashion Week Primavera/Estate 2024. Mercoledì 20 settembre ha visto la partenza degli show, delle presentazioni e degli eventi che animeranno la Settimana della Moda per la stagione Primavera/Estate 2024. Dal 19 al 24 settembre verranno svelate, secondo il calendario canonico, le linee donna dei vari marchi del lusso. La direzione presa dai nomi più nuovi nel panorama però è di mostrare collezioni miste o dichiaratamente contrarie al binarismo di genere.

Il calendario ufficiale conta ben 64 sfilate, di cui 5 digitali, 74 presentazioni e 34 eventi, totalizzando 172 eventi complessivi, il numero più alto da prima dell’era Covid. L’aspettativa di partecipazione quest’anno è eccezionalmente alta e, come nelle stagioni passate, la Camera Nazionale della Moda offre la possibilità di seguire gli eventi online tramite il proprio sito. Le sfilate rimangono il fulcro della manifestazione, con l’accesso fisico limitato per lo più agli addetti ai lavori, oltre che alle celebrity, ai testimonial dei brand e a influencer vari ed eventuali. Per scoprire quali sono stati gli show più interessanti e avvincenti della stagione allora, seguite i recap giornalieri con le selezioni di Manintown.

L’opera teatrale di Antonio Marras alla Milano Fashion Week

Antonio Marras è un narratore e la collezione Primavera/Estate 2024 è stata la sua pièce. Con la recente acquisizione del marchio all’80% da parte del Gruppo Calzedonia, Marras ha aperto la Milano Fashion Week dando vita a uno show che imitava le riprese di un film. Lo sviluppo caotico della trama (al centro di cui brillava la stella di Marisa Berenson) era ispirato a Boom! di Joseph Losey, girato in Sardegna nel 1967. Una pellicola che ha rimandato Marras ai tempi in cui aveva sei anni, ed era rimasto colpito dall’arrivo dell’eccentrica carovana hollywoodiana giunta ad Alghero per le riprese. Un’allure glamour tipicamente teatrale circonda la collezione, in cui sono presenti tutti i tratti distintivi del designer: il tulle e la mussola a strati e ricamati, il pizzo, i ricami di paillettes, le stampe acquerellate e floreali, le divise militari fuse agli abiti sartoriali. Interessante la presenza più massiccia di borse in questa collezione, oltre all’utilizzo consistente della pelle. L’enfasi sulla calzetteria, invece, è piuttosto comprensibile.

Le borse-monumento di Fendi

Una passeggiata per Roma in un giorno qualunque, dove tutti i passanti però sono brandizzati Fendi. Questo lo scenario allestito da Kim Jones per la collezione donna SS24 di Fendi. Le donne romane con cui lavora a stretto contatto (e quelle che hanno fondato la Maison) hanno ispirato il designer per questa stagione, insieme allo show della SS99 firmato Karl Lagerfeld per Fendi.

Il focus è sugli accessori, a partire dagli iconici modelli di borse del brand ingigantiti nell’allestimento. La Baguette, la Peekaboo, l’Origami e la First riflettono così i monumenti romani tra cui le modelle passeggiano. In direzione opposta, questi modelli hanno sfilato in versione mini e ad essi si è aggiunta la Flip: una sorta di shopper che si piega e diventa clutch. La celebre impuntura “Selleria”, infine, che è caratteristica di tutte queste borse, è stata trasformata in dettaglio nei gioielli di Delfina Delettrez Fendi. In passerella ha fatto la sua comparsa anche la stampa-puzzle con la doppia F del 1990, proveniente dall’archivio e rivisitata su pannelli di nappa, abiti e cappotti.

Milano Fashion Week, la sfilata di Del Core

A metà fra Couture e RTW fin dagli esordi, le collezioni un po’ atipiche di Daniel Del Core sono sempre mosse da un evidente spirito creativo. Il punto di partenza, o forse solo più evidente, è la natura e così è stato anche per la SS24 Slices of Reverie. È come se le sue architetture nascoste, le forme più bizzarre, i colori vividi e le texture inedite fossero catturate da uno scatto fotografico in macro, e trasportate da Del Core su abiti da sera e look meno formali, ma sempre molto teatrali. Linee e tagli precisi, netti, ma senza essere austeri, ammorbiditi dai tessuti fluenti e dai drappeggi. Il tutto realizzato con grande abilità esecutiva.

Le ‘malafimmine’ di Marco Rambaldi

Supportata da Zalando, la collezione SS24 Malafemmina segna un ulteriore step dell’ascesa di Marco Rambaldi all’olimpo dei brand affermati nel calendario della Milano Fashion Week. Inclusione e innovazione costituiscono le fondamenta del marchio e tali valori riflettevano squisitamente nei capi e negli accessori.

La libertà è il concetto affrontato in questa collezione, e in particolare la libertà raggiunta tramite la disfatta dei costrutti sociali imposti. Ecco allora sfilare in passerella le “malafimmine”: soggetti volubili, affilati, spesso mal giudicati ma irraggiungibili. Alcuni codici ormai identificativi di Rambaldi sono tornati, rivisitati. Parliamo dei punti a forma di cuore, dei centrini, degli elementi upcycled e della biancheria intima indossata come look casual. Rinnovata anche la collaborazione con Swarovski, mentre ne è nata una con Cuoio di Toscana per il lancio di tre nuove paia di scarpe. Menzione speciale, come sempre, alla line up di esseri umani che in tutte le loro sfumature fisiche ed estetiche hanno indossato i capi Rambaldi. La caratteristica che forse meglio rappresenta il core del marchio.

L’erotismo partenopeo di N° 21

Nato e cresciuto a Napoli, Alessandro Dell’Acqua è partito dalla città per la sua collezione Donna SS24 e in particolare dai contrasti che la caratterizzano e rendono speciale. Ecco allora che il bianco e il nero si sono alternati nei look, girando attorno al DNA erotico e sensuale che sono propri tanto del marchio quanto della città di Napoli. Un guizzo giocoso, ammiccante e un po’ sfacciato permea la collezione, con i piccoli top reggiseno, gli abiti mini ingénue in organza, i negligé in chiffon trasparente e le paillettes oversize colorate.

Il perfetto non-luogo di Etro

La collezione SS24 Nowhere di Etro è un non-luogo che combina la visione personale dell’artista con l’abilità del marchio storico di scovare i tessuti più rari in giro per il mondo. Marco De Vincenzo, dietro le quinte, ha descritto questa collezione come audace ed eccentrica, mantenuta insieme dalla sua creatività nonostante la confusione visiva di grafica e texture affascinanti e tipiche del suo estro creativo. A differenza della maggioranza dei casi, in questa collezione non sono presenti citazioni o attribuzioni riconoscibili di alcun genere. Tutto ha preso vita in un luogo magico, sospeso, introvabile; nowhere, appunto. In questa SS24 troviamo le manovre più tipiche del lavoro di De Vincenzo: forme complesse, giustapposizioni di volumi inaspettati e costruzioni sperimentali dei capi. Il risultato è un mix di raffinatezza, cura sofisticata e stile fantasioso. Caratteristiche che stanno conducendo Etro verso una nicchia piuttosto cool, una stagione dopo l’altra.

Il rave di Diesel a Milano

Gli show di Diesel sono tra i più attesi della Milano Fashion Week da quando Glenn Martens è stato nominato direttore creativo. Paladino della coolness contemporanea, autore di uno dei più grandi rilanci di brand impolverati degli ultimi anni, ha fatto centro anche quest’anno. La sfilata si è consumata nel mezzo di un enorme party a cielo aperto con ben 7000 partecipanti, DJ set di to Senjan Jansen e gin offerto dalla Bulldog. La formula dei biglietti gratuiti venduti online è stata apprezzata anche quest’anno, anche se la vendita in sé è durata una manciata di minuti. Giusto per capire l’hype intorno al marchio. Da sottolineare che i primi 1500 biglietti sono stati indirizzati agli studenti di alcune Università di Milano: un gesto per esprimere quanto il brand abbia a cuore le nuove generazioni (o almeno questo è ciò che tenta di dimostrare).

La forza di Diesel è l’energia di una community

Un rave gratuito per tutti, dunque, che pure sotto la pioggia non ha cessato di veicolare un’energia incredibile. E il fulcro era proprio questo. «Si tratta di stare insieme – ha detto Martens – Si tratta di riunire le persone per un momento analogo». E su quest’intenzione viaggia anche il programma di film che verranno trasmessi presso lo Scalo Farini. Il vecchio spazio ferroviario rimarrà infatti aperto al pubblico per diversi giorni. Come ci ha insegnato Alessandro Michele nel suo periodo da Gucci, si tratta di costruire una community. Questo è ciò a cui qualunque brand dovrebbe puntare, per assicurarsi il successo nel futuro.

Il cinema, quindi, è il tema principale su cui sono stati costruiti i look, come esplicitano le stampe di manifesti di vecchi film (come Space World e Batman), gli smoking distrutti, i rimandi dorati alla statuetta degli Oscar e il tappeto rosso su cui i modelli hanno sfilato. Il tutto mixato con un’estetica da apocalisse in corso che ci riporta con i piedi per terra. Ecco allora le stravaganti lavorazioni sui materiali, le manipolazioni dei tessuti e le sperimentazioni sulla costruzione dei capi. Ritornano anche i modelli ricoperti di vernice brillante, ormai sinonimi della coolness Diesel, mentre altri per l’occasione sembravano incrostati nel fango. E tra la pioggia e la location del rave, il fango è stato il modo migliore di concludere il primo giorno di Milano Fashion Week.

Dialogo tra la fotografia e l’osservatore: la mostra Collater.al Photography a Milano

Torna a Milano l’evento fotografico firmato Collater.al. In mostra dal 22 al 24 settembre gli scatti di fotografia contemporanea di oltre 150 artisti internazionali per creare un dialogo intimo e continuo con i visitatori. Dopo il grande successo della sua edizione inaugurale dello scorso anno, si avvicina l’appuntamento di settembre con l’universo proposto da Collater.al Photography a Milano.


Collater.al è un magazine online dedicato alle nuove espressioni artistiche e alla cultura pop, che, inoltre, opera come uno studio creativo offrendo una vasta gamma di servizi digitali, direzione creativa, produzione fotografica e video, web e graphic design. Dal 22 al 24 settembre, la Fondazione Luciana Matalon – Foro Buonaparte 67 ospiterà il Collater.al Photography, un evento dedicato alla fotografia contemporanea. Più di 150 fotografi provenienti da tutto il mondo parteciperanno, ognuno con il proprio scatto unico. L’obiettivo principale di questo evento è favorire un dialogo profondo tra gli artisti e il pubblico, permettendo di immergersi completamente nell’arte fotografica contemporanea, esplorando stili e suggestioni diverse in un’esperienza emozionale e coinvolgente.

Leonardo sedia collateral photography
Ph. Leonardo sedia

Talenti emergenti e grandi nomi della fotografia, insieme

Collater.al Photography 2023 rappresenterà una straordinaria occasione per entrare in contatto con talenti emergenti e già affermati nel campo della fotografia contemporanea. Ciascun artista esporrà le proprie opere, che spaziano dalle immagini più tradizionali alle sperimentazioni più innovative, offrendo così una vasta gamma di stili e approcci artistici. Il percorso espositivo sarà suddiviso in tre sezioni principali, ognuna delle quali curata da una realtà omonima: ImageNation Milan, Just Women e Iconic Photo Show.

Raccontare la contemporaneità: la sezione ImageNation

ImageNation, lanciato nel 2013 da Martin Vegas e organizzato dall’associazione culturale senza scopo di lucro DeFactory, ha sede a Parigi e si propone di riconoscere il lavoro di alta qualità proveniente da nuovi talenti nella fotografia contemporanea. Con l’evento di quest’anno, ImageNation ritorna a Milano con la partecipazione di 72 autori internazionali, ognuno dei quali utilizza la fotografia come mezzo espressivo per esplorare la contemporaneità e tradurla secondo la propria ricerca estetica, sempre in evoluzione ed ibridazione. Questa è un’invito a un mondo sospeso tra realtà e immaginazione, un mondo che prende vita solo nel dialogo tra l’obiettivo del narratore e gli occhi dell’osservatore.

Collater.al Photography Milano
Collater.al Photography

Le sezioni della mostra Just Women e Icon Photo Show

La collettiva Just Women, curata dalla rinomata fotografa Slavica Veselinović, si focalizza su temi quali la ribellione, i canoni di bellezza, la maternità, il corpo femminile, la religione, la politica, la storia e la libertà. In mostra ci saranno 26 fotografe internazionali che hanno deciso di superare i confini della loro comfort zone, creando un nuovo linguaggio e una prospettiva libera dagli stereotipi, al di là delle convenzioni e dei limiti di genere.


Infine, la sezione Iconic Photo Show è curata da Iconic Artist Magazine, una piattaforma dedicata alla scoperta e selezione dei nuovi talenti nel panorama artistico. Questa sezione presenta una nuova collezione di immagini e idee che spaziano dalla fotografia di moda al ritratto creativo, con l’obiettivo di ispirare e alimentare la creatività, offrendo uno stimolo sia per gli occhi che per l’anima dei visitatori.
In mostra, solo per citarne alcuni, i lavori dei seguenti fotografi: Brooke DiDonato, Damon Baker, Derrick Boateng, Henriette Sabroe Ebbesen, Mira Nedyalkova, Nanda Hagenaars, Simone Bramante, Marta Blue, Carla Sutera Sardo, Mirko Sperlonga.

Ph. Sara Camporesi
Ph. Sara Camporesi

Le parole dei founder di Collater.al Photography

Dichiarano i founder di Collater.al Alessandro Timpanaro, Gabriele Infranca e Luca Di Marco: «Da oltre 10 anni la fotografia ha un posto speciale all’interno del nostro Magazine. Siamo sempre curiosi di scoprire nuovi progetti di fotografi già affermati, ma anche artisti emergenti, e poter dare a loro uno spazio all’interno di un evento fotografico targato Collater.al ci riempie d’orgoglio. Con Collater.al Photography 2023 vogliamo continuare a portare ciò che vive in una dimensione digitale nel reale, celebrando il presente della fotografia, ma anche indagando e chiedendoci come sarà il futuro di quest’arte».

Il programma di Collater.al Photography

Durante i giorni della mostra sarà inoltre possibile acquistare le opere a un prezzo più accessibile, per
incentivare il collezionismo fotografico. È previsto un talk sabato 23 alle ore 17.30 e aperto a tutti. Sarà condotto dalla curatrice Laura Tota, il fotografo Andrea Baioni e l’autrice Chiara Bardelli-Nonino che parleranno di fotografia e Intelligenza Artificiale e si interrogheranno sul tema dell’intelligenza artificiale.
La press preview sarà venerdì 22 dalle 16.30 alle 18.00 e l’apertura al pubblico dalle 18.00 alle 21.00.
Ingresso libero per sabato 23 e domenica 24 settembre, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.00 presso la Fondazione Matalon, Foro Buonaparte 67, Milano (tra MM1 Cairoli e MM1 Cadorna).

Locandina di Collater.al Photography milano
Locandina di Collater.al Photography

Nuove sembianze, antiche certezze: a Milano riapre il ristorante Caruso Nuovo

A Milano riapre Caruso Nuovo, lo storico ristorante stellato che sorge all’interno del Quadrilatero della Moda. Situato nella piazzetta di via Croce Rossa, di fronte a via Montenapoleone, possiede ora un nome, un’identità visiva e una cucina completamente rinnovati. Per la serata inaugurale è stata organizzata un’elegante cena di gala riservata a ospiti selezionati, tra cui membri della stampa e personaggi vip.

Interni del Caruso Nuovo ristirante firmati Dimorestudio
Interni del Caruso Nuovo firmati Dimorestudio © Andrea Ferrari

La grande storia del ristorante Caruso Nuovo

Per chi non fosse a conoscenza della sua storia, Caruso Nuovo è il ristorante del celebre Grand Hotel et de Milan. Fondata nel 1863, la struttura ha ospitato personaggi illustri come Giuseppe Verdi, Tamara de Lempicka, Maria Callas e Rudolf Nureyev. In 160 anni di attività a Milano, però, l’ospite più degno di nota è stato certamente il tenore Enrico Caruso. Pare infatti che proprio nella stanza 306 dell’hotel abbia composto una delle proprie opere, spiegando così la provenienza del nome del ristorante.

Oggi questo cinque stelle di lusso è a conduzione familiare da ben tre generazioni, custodito e guidato verso il futuro dalla famiglia Bertazzoni. Con la riapertura invece è giunto Gennaro Esposito, il rinomato chef con due stelle Michelin che sarà alla guida della cucina. Esposito è noto soprattutto per il suo ristorante Torre del Saracino, uno dei punti di riferimento nella cucina italiana. Essenziale per lui ritornare alle radici, un credo da cui ha tratto ispirazione per la sua straordinaria carriera.

Il ristorante è un luogo di incontro tra tradizione ed evoluzione

La famiglia Bertazzoni, proprietaria della gestione del Grand Hotel et de Milan da più di 50 anni, ha deciso di conferire al ristorante una nuova eleganza e convivialità, fondendo elementi classici e contemporanei. Questa nuova immagine si abbina perfettamente alla proposta gastronomica curata dall’executive chef Francesco Potenza, anch’esso di origini campane, con un ricco background in alcune delle migliori cucine del panorama italiano.

Alla base di questa collaborazione tra Caruso Nuovo e Gennaro Esposito c’è un forte legame di stima e una condivisione di radici e tradizioni. Lo chef di Torre del Saracino sottolinea: «Nel mio mestiere, dimenticare le proprie origini è un errore fatale, un atto di arroganza che ostacola la possibilità di future scoperte». Questa stessa filosofia è condivisa dalla famiglia Bertazzoni e caratterizza il ristorante Caruso Nuovo, che da sempre rappresenta un punto d’incontro, un salotto milanese che celebra persone, cibo, cultura e teatro. «Le radici sono il punto di partenza e di appartenenza per creare nuove e prosperose realtà», afferma la famiglia Bertazzoni.


Il nuovo look del ristorante firmato Dimorestudio

Il nuovo progetto di interior design è stato curato da Dimorestudio, fondato nel 2003 da Britt Moran ed Emiliano Salci. Una firma nota per il suo eclettismo nell’architettura, nel design e nell’interior design, che spazia dalla residenza al retail all’ospitalità. A ciò si aggiunge una produzione di mobili, tessuti e illuminazione firmate Dimorestudio.

Per Caruso Nuovo hanno creato uno spazio avvolgente, sensuale e segreto, un vero rifugio cosmopolita dove Oriente e Occidente si incontrano. Il marchio ha preservato i dettagli storici dell’ambiente, rivelando colonne, intarsi e pavimenti in graniglia, tutti elementi distintivi di una Milano di alta classe. A questo ha aggiunto un tocco di glamour, tutto nel rispetto della struttura e con un’accurata attenzione alla ricostruzione storica. Un intervento che si distingue per l’atmosfera, la luce, i colori e l’eleganza bohémienne.

Interni del Caruso Nuovo ristorante firmati Dimorestudio
Interni del Caruso Nuovo firmati Dimorestudio © Andrea Ferrari

Il rinnovato menù illustrato

La carta del menù si compone di piatti della tradizione partenopea e milanese, in un gioco di portate da condividere in modo divertente e piacevole. Fra le proposte del percorso gastronomico del Caruso Nuovo troviamo: Gateaux di patate, Spaghetto al pomodoro del Vesuvio selezione Gennaro Esposito, Zuppetta di olive Nocellara del Belice con pesce spatola “anni 80”, e l’interpretazione di tante verdure a rendere omaggio all’importanza della grande cucina mediterranea.

Questo nuovo menù è stato illustrato nella sua forma cartacea dall’artista Jacopo Ascari. Per celebrare l’opening del nuovo ristorante di Grand Hotel et de Milan, l’artista ha decorato anche alcuni preziosi foulard. Realizzati in seta comasca e stampati, sono stati distribuiti come raffinati cadeaux per gli ospiti della cena inaugurale.

Rosso, Bianco e Sangue Blu: cosa ci ha insegnato il film di Prime Video

Rosso, Bianco e sangue Blu è il film di Prime Video uscito quest’estate (a luglio 2023 per la precisione), una rom-com attesissima dalla fan-base dell’omonimo romanzo: l’onda d’urto che ha generato pare non essersi ancora arrestata.

Taylor Zakhar Perez e Nicholas Galitzine nel film 'Rosso Bianco e Sangue Blu'
Taylor Zakhar Perez e Nicholas Galitzine in una scena del film ‘Rosso, bianco e sangue blu’

Il film è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Casey McQuiston, con cui la scrittrice è entrata nella lista dei “New York Times bestselling authors”. Giusto per comprenderne il successo, ricordiamo che tale lista richiede a un autore di raggiungere un minimo di 5000 vendite di libri (o più alto, a seconda della lista) in una sola settimana, tra diversi rivenditori e da più posizioni geografiche. I presupposti per il successo mediatico c’erano tutti.

L’hype attorno all’uscita della pellicola diretta da Matthew López riguardava sicuramente anche la scelta dei protagonisti. Parliamo di Taylor Zakhar Perez (visto in The Kissing Booths) e Nicholas Galitzine (il principe di Cenerentola con Camila Cabello). Calati nei panni dell’unico figlio della Presidente (sì, al femminile) degli Stati Uniti e del non-erede al trono della Corona inglese, i due passeranno dall’essere acerrimi nemici a inseparabili compari, per riscoprirsi infine innamorati l’uno dell’altro.

Il film è una fiaba in chiave moderna

Semplice e sempre efficace, questo è tutto ciò che richiede il genere della commedia romantica: un film comico, con una storia d’amore al centro, che si conclude con la coppia felice e contenta. Un po’ come nelle fiabe, c’è una base di spensieratezza ricoperta di romanticismo mieloso e decorata con un pizzico di risate a cuor leggero.

Certo, la fiaba in questione è moderna. Abbiamo due prìncipi che sono gli eroi e i futuri amanti della storia; ci sono i nemici da combattere, impersonati da un reporter politico invidioso e dal monarca inglese omofobo (sottile e geniale la decisione di affidare il ruolo a Stephen Fry). Egli rappresenta per espansione tutto l’insieme di valori tradizionali e conservativi ottusi che caratterizzano le istituzioni secolari. Alcuni aiutanti, tra cui svettano le ambiziose e premurose consigliere di Alex (Rachel Hilson e Sarah Shani). Ci sono persino i castelli con le rispettive famiglie a confronto: Buckingham Palace e la Casa Bianca, con annessi interessi politici ed equilibri geopolitici da mantenere.

A confronto anche i background e le mire dei protagonisti. Alex proviene da una minoranza marginalizzata, essendo un americano di seconda generazione. Sogna un coinvolgimento in politica per “cambiare il mondo”, e in famiglia ha il privilegio di poter scoprire e vivere la propria sessualità liberamente. Al contrario, Henry è nato e cresciuto in una famiglia privilegiata, ma l’impegno politico e l’immagine pubblica sono per lui una gabbia. Si sente privato dell’opportunità di esprimere i propri sentimenti onestamente.

Taylor Zakhar Perez e Nicholas Galitzine in una scena di Rosso Bianco e Sangue Blu
Taylor Zakhar Perez e Nicholas Galitzine in una scena del film ‘Rosso, Bianco e sangue Blu’

I temi centrali del film Rosso, Bianco e sangue Blu

Al centro del racconto, quindi, l’importanza di rimanere fedeli a se stessi e la bellezza di rivendicare i propri sentimenti nonostante le pressioni esterne. Ma un’ulteriore serie di sotto tematiche hanno arricchito la narrazione, magistralmente ricamate nella trama come preziose applicazioni. Questo dà modo a chiunque le noti di riflettere ulteriormente sullo stato attuale della società.

In ordine sparso: la questione di classe, espressa tramite il confronto tra l’aristocratica famiglia reale britannica e un esempio di ceto medio-borghese arricchito americano. Da qui derivano i modi altezzosi e gli interessi “poco cool” di Henry, che cita i classici e appare fuori luogo alla festa di Capodanno. In opposizione, brilla la socialità easy-going e un po’ da spaccone dell’espansivo Alex.

La questione razziale: Alex è di origini messicane da parte di padre. Nel film si accenna agli svantaggi che il proprio cognome porta con sé quando si ambisce a una carriera in politica e in un Paese intaccato dal razzismo. Ancora, la questione di genere, affrontata con la sovversiva presenza di una Presidente degli Stati Uniti d’America donna, interpretata dalla venerabile Uma Thurman.

L’amore (e la sessualità) ai tempi delle emoji

La scoperta del proprio orientamento sessuale, l’argomento più evidente, ma con la rarissima presenza di un protagonista che indaga e abbraccia la propria bisessualità. L’unica altra rappresentazione mediatica di questo tipo che abbiamo nel circuito mainstream è impersonata da uno dei protagonisti della fortunata serie Netflix Heartstopper, Nick Nelson. Che le cose si stiano muovendo nella direzione giusta? Ce lo auguriamo tanto.

Inevitabilmente legato a questo discorso (e alla contemporaneità) c’è anche il topic “vita privata vs immagine pubblica”, ossia privacy e social media. A tal proposito, divertente la scena in cui i protagonisti si scrivono continuamente. Montata in modo che sembri si trovino sempre nel medesimo luogo, le scene si accavallano in una pioggia di emoji, stickers, video e screenshot. Il caos tipico della comunicazione odierna. Meno divertente il rischio di diffusione senza consenso dei propri messaggi, mail, foto ecc.

Taylor Zakhar Perez e Uma Thurman in una scena di Rosso Bianco e Sangue Blu
Taylor Zakhar Perez e Uma Thurman in una scena del film

La lezione del lieto fine di Rosso, Bianco e sangue Blu

Kudos, infine, per il tentativo di normalizzare tematiche tabù per il pubblico mainstream come i rischi legati alle IST e il sesso omosessuale. Splendida poi la direzione della scena d’amore tra i protagonisti, girata con esplicita chiarezza ma anche con estrema delicatezza e sensualità. Le caratteristiche proprie di un momento così intimo.

Certo, la commedia romantica non è il più alto dei generi cinematografici e questa pellicola in particolare non rientra tra i migliori film mai realizzati. Ma c’è un però. Che il servizio di streaming della più grande Internet company al mondo abbia prodotto e distribuito un progetto del genere, segna un primato notevole. Lontano dalle pellicole più intellettuali o perennemente drammatiche che negli anni hanno affrontato l’amore non-eterosessuale, ecco che a fine visione accade la magia. Per una volta infatti possiamo evitare le discussioni da cineforum, accontentarci di sorridere e farci confortare dall’immagine di un possibile futuro a lieto fine.

Battle Of Playgrounds: il torneo che sublima l’amore di Re Giorgio Armani per Milano e il basket

Il 7 settembre 2023, EA7 Emporio Armani e Olimpia Milano hanno annunciato il Battle Of Playgrounds, un torneo di basket 3×3 che si terrà dal 9 al 24 settembre. EA7 è la linea del marchio Armani specializzata nella produzione di abbigliamento tecnico di alta qualità per diversi sport, il cui nome è legato al brand Emporio Armani e, come ha dichiarato dallo stesso stilista, al numero di maglia di Andriy Schevchenko, il campione di calcio ucraino che all’inizio degli anni 2000 vestiva i colori del Milan e che oggi è allenatore.

La Pallacanestro Olimpia Milano invece è la società dell’omonimo sport con sede nel capoluogo lombardo, oltre che la squadra più titolata d’Italia e una delle più vincenti in Europa. Le due celebri realtà hanno dato vita a un’iniziativa a sfondo socioculturale: l’evento avrà luogo sui cinque campi da basket recentemente ristrutturati da Giorgio Armani, situati nel cuore e nell’hinterland di Milano.

È importante sottolineare che questa iniziativa ha ottenuto il patrocinio del Comune meneghino, dimostrando ancora una volta l’attenzione concreta dello stilista nei confronti della città e dei suoi abitanti, oltre alla sua passione per la pallacanestro.

Campo da basket del torneo
Campo da basket del torneo

Lo svolgimento del torneo ‘Battle of Playground’

Il torneo vedrà protagonisti giovani appassionati di basket, con età comprese tra i 14 ei 28 anni, che formeranno squadre maschili e femminili divise per fasce d’età. In occasione del torneo, ogni giocatore riceverà un kit personalizzato fornito da EA7 Emporio Armani e Olimpia Milano. Gli incontri si svolgeranno sui campi da basket situati nella zona Sud-Ovest della città, precisamente nei Giardini Moravia e Muccioli, in via Pitteri a Lambrate, nel quartiere Barona e nel Parco Sempione.

Logo Battle of Playgrounds
Logo Battle of Playgrounds


Seguendo il regolamento tecnico della FIBA, le squadre che supereranno le quattro tappe eliminatorie, in programma durante i due fine settimana del 9/10 settembre (presso Muccioli e Barona) e 16/17 settembre (nei Giardini Moravia e via Pitteri), si sfideranno nelle finali che si terranno domenica 24 settembre presso il campo del Parco Sempione. In palio ci saranno speciali premi che permetteranno ai vincitori di vivere esperienze uniche legate all’Olimpia Milano.

Il torneo non si limiterà solo alle competizioni sportive, ma offrirà anche opportunità di coinvolgimento per persone di tutte le età in attività di intrattenimento, promuovendo i valori del divertimento, dello sport e dell’inclusività. Sarà un’occasione straordinaria per celebrare la passione per il basket e l’impegno delle due importanti realtà, EA7 Emporio Armani e Olimpia Milano, nei confronti della comunità milanese.

PICCOLE GRANDI GESTA: L’ABITO GREEN DI MARGOT SIKABONYI A VENEZIA 80

Il vestito stampato indossato da Margot Sikabonyi sul settimo red carpet della Mostra del Cinema di Venezia è l’ennesimo esempio di ‘good practice’ di cui il mondo della moda ha (costantemente) bisogno. L’abito che si fa medium per un messaggio. Nulla di nuovo, dirai. Considera però che il messaggio esplicita l’urgenza di un approccio più sostenibile da parte dell’industria della moda circa l’interezza del suo sistema. Aggiungici l’idea comune che “sostenibile” sia l’opposto di “glamour”. Concludi con il fatto che la piattaforma da cui il messaggio viene lanciato è uno dei red carpet più noti e seguiti del calendario mondano occidentale. Ne ricavi un vestito di cui vale la pena parlare.


L’abito in questione è un modello proveniente dall’ultima inedita collezione realizzata dal designer Tiziano Guardini in collaborazione con l’artista Jacopo Ascari, e a indossarlo l’attrice Margot Sikabonyi, già ambassador di diversi progetti riguardanti il tema della sostenibilità.

Margot Sikabonyi con indosso l’abito creato da Tiziano Guardini e Jacopo Ascari, ph. Igor Serdyukov

Cos’è il Bemberg™, il tessuto sostenibile

La caratteristica principale del capo è quella di essere stato realizzato in Bemberg™, un tessuto prodotto in Giappone da Asahi Kasei e ottenuto dalla trasformazione smart-tech di linters di cotone. Quest’ultimo è un materiale di scarto proveniente dalla lavorazione del cotone, consistente in fibre molto corte che avvolgono i semi della pianta dopo essere stati sottoposti al processo di sgranatura.

Il Bemberg™ è quindi un ottimo esempio di prodotto derivante da economia circolare, caratterizzato da una catena di produzione trasparente e tracciabile. A garanzia della sostenibilità del tessuto esiste un rapporto di Innovhub che ne conferma la biodegradabilità nel suolo, oltre che una certificazione “OK biodegradable MARINE” assegnata da TÜV AUSTRIA.

La collezione Guardini e Ascari, di cui il vestito fa parte, è una capsule che verrà presentata con la terza edizione del progetto A Dress for Venice 2023, e in occasione del decimo compleanno della Venice Fashion Week, la cornice in cui tale progetto è calato e che festeggerà il suo decimo compleanno con un evento programmato per venerdì 20 ottobre. La Venice Fashion Week infatti, dal 19 al 28 ottobre, costituisce un importante appuntamento per gli insider e gli appassionati grazie al susseguirsi di presentazioni sartoriali, workshop, incontri con designer e creativi, passeggiate tra gli “Atelier Aperti” e convegni sulla moda etica e sostenibile.

Margot Sikabonyi e Tiziano Guardini
Margot Sikabonyi e Tiziano Guardini, ph. Marta Formentello

A Dress for Venice: un omaggio all’arte degli artigiani

A Dress for Venice invece è un concept ideato da Venezia da Vivere nel 2019 per parlare di Venezia attraverso i temi della sostenibilità e dell’artigianato, coniugando moda e arte e valorizzando il ruolo di
Venezia come fonte di ispirazione e luogo ideale per vivere e creare. L’edizione 2023 mette in contatto designer, artigiani e scuole con l’innovazione della fibra Bemberg™ ed è proprio la fibra ad essere protagonista della capsule collection disegnata da Tiziano Guardini e Jacopo Ascari. Essa sarà prodotta da aziende artigianali di Venezia e del Veneto. Tra queste il marchio Martina Vidal Venezia, che incorpora pizzo di Burano nell’abbigliamento e nell’interior design e si fa portabandiera di un antico mestiere d’arte candidato a entrare nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO.


A Dress For Venice è anche un progetto di mentorship e formazione: le aziende e i designer incontreranno gli studenti delle scuole di moda e comunicazione del Veneto per trasmettere il loro impegno per l’ambiente nella creazione di collezioni di moda sostenibili, e l’intero processo sarà narrato attraverso i social media. Perché non esiste rivoluzione senza educazione, e alla fine si va a parare sempre lì. E meno male.

Margot Sikabonyi con indosso l'abito creato da Tiziano Guardini e Jacopo Ascari
Margot Sikabonyi con indosso l’abito creato da Tiziano Guardini e Jacopo Ascari,ph. Igor Serdyukov

Venezia 80: i look della nona e decima serata by MANINTOWN

Il red carpet della nona serata del Festival di Venezia

La nona serata del Festival del Cinema di Venezia ha visto la presentazione di Lubo di Giorgio Diritti, il sesto e ultimo titolo italiano in lista per il Leone d’Oro, riguardante una pagina nera e raramente affrontata della storia della Svizzera. Sul red carpet, abbiamo assistito a look della medesima “impronta”: spalline sottili, linea aderente, spacco vertiginoso. Riproposto con cut out e asimmetrie varie ed eventuali, monospalla o meno, con o senza strascico e per la maggior parte nero, il classico vestito da seduzione semplice ma efficace (o forse semplicemente “confortante”) è stata la scelta di moltissime celebrity femminili che hanno sfilato giovedì sera. Una per tutte Fiorenza D’Antonio.


La punta di colore che merita la citazione è forse l’abito stampato di Margot Sikabonyi, in Tiziano Guardini: uno dei pochi brand affermati italiani che portano avanti in modo genuino il tema della sostenibilità etica e ambientale nella moda.
Le corone da regina e re di questo red carpet, però, vanno ai protagonisti del lungometraggio di Diritti: Valentina Bellè e Franz Rogowski. Lei inarrivabile in Saint Laurent, rigorosamente nero e lungo, avvolgente, monospalla, a collo alto, caratterizzato da una scenica manica ampia con strascico. A impreziosire, gioielli Pomellato. Lui incredibile in uno smoking nero rivisitato con giacca lunga e pantaloni ampissimi ripiegati che, a gambe ravvicinate, sembrano una gonna. Dissidente e giustissimo.

Valentina Bellè, ph. benedetta Bressani
Valentina Bellè, ph. Benedetta Bressani

I look maschili di Venezia 80

In blu i best look maschili di Raoul Bova, Gianmarco Saurino e Giacomo Giorgio. Tutti e tre in completo con giacca doppiopetto: in tessuto morbido e dalle linee più rilassate Bova, con camicia in seta ton sur ton e collo alla coreana. Più rilassato con taglio oversize il Valentino dalla collezione “Black Tie” di Saurino; slim e strutturato quello firmato Versace di Giacomo Giorgio.

L’abito scultura di Elisabetta Gregoraci a Venezia

Menzione speciale a Elisabetta Gregoraci, il cui abito non passava di certo inosservato, se non fosse perché al primo sguardo rimanda inevitabilmente ai modelli proposti da una nota maison storica (e molto attuale) francese. Spoiler: non lo è. Resta però un capo notevole caratterizzato da una coppa scultorea di petali dorati, come se si trattasse di intimo scolpito che spunta dalla profonda scollatura dell’abito nero lucente a maniche lunghe con piccolo strascico. È firmato Luana Polimeni.

I look della decima serata di Venezia 80

La decima e penultima serata di Venezia 80 ha potuto godere di una delle rare presenze americane (e che presenza!) di questo Festival, grazie a un permesso di deroga allo sciopero in atto nel settore del cinema negli States. Si tratta di Jessica Chastain, che ha sfilato in onore della presentazione del film di Michael Franco, Memory. E, francamente, ha rubato la scena a tutti gli altri ospiti.

Fedele al marchio Gucci, Chastain ha sfilato in un lungo abito con piccolo strascico interamente ricamato con paillettes color bronzo, scollatura a V profonda e colletto oversize. Un bagliore di scintillio e glamour
tutto hollywoodiano. Paillettes anche per la cantante Levante, in un abito nero aderente con spalline sottili e pizzo ricamato che spuntava dal décolleté strutturato e scendeva lungo i fianchi fino ad altezza ginocchio ambo i lati, per un risultato più romantico, sensuale e sofisticato.


Romantico anche l’abito nero di Maria Pedraza, lungo, drappeggiato e aderente con le spalline morbide che cadevano le spalle. Yoox. Il decolleté illuminato da un collier di diamanti. Al contrario, in bianco Alba Rohrwacher vestita Dior: in perfetto stile Mariagrazia Chiuri (la direttrice creativa del brand) il lungo abito era composto da corpetto intrecciato da strisce di tessuto che, con la vita segnata, formavano le spalline a incrocio sulle spalle e si aprivano nella lunga gonna sottostante. Sul lato maschile, premio fascino a Guillaume Canet, impeccabile in smoking nero di Giorgio Armani.

Jessica a Venezia 80, ph. Benedetta Bressani
Jessica Chastain, ph. Benedetta Bressani
Levante a Venezia 80, ph. Benedetta Bressani
Levante, ph. Benedetta Bressani

Venezia 80: i look dell’ottava serata by MANINTOWN

In occasione dell’ottava serata del Festival del Cinema di Venezia, le star hanno sfilato per la premiere di Io capitano, l’ultima fatica del grande Matteo Garrone e della proiezione di Origin, il primo film a essere diretto da una regista donna afroamericana: Ava DuVernay.

Sul red carpet la regista ha indossato un abito Prada che ha rotto la monotonia di rosso e nero vista in queste serate di Venezia 80 con un abito dorato dalla scollatura profonda. La borsetta geometrica e metallica si abbinava perfettamente alle calzature, dei sandali dal plateau massiccio e robusto.

Per quanto riguarda il film di Garrone invece, il protagonista Moustapha Fall ha catturato l’attenzione dei fotografi grazie al suo stile audace. Ha indossato un completo dalle tonalità principalmente scure progettato per mettere in risalto i dettagli colorati che richiamano le sue radici culturali. La scollatura intrigante, che lasciava parte del petto scoperto, ha aggiunto un tocco di sensualità al look, impreziosito da una catena di brillanti e completato da una clutch rigida.

Madalina Ghenea e Bar Refaeli sul tappeto rosso di Venezia 80


La modella e attrice Madalina Ghenea, in un abito firmato Pinko, ha continuato la tendenza generale a combinare piume, seta e sandali gioiello per creare il tipico look da diva del cinema. Il suo abito era aderente, con spalline sottili, uno spacco alto sulla coscia e un piccolo strascico, un’opzione forse safe, ma che ha dimostrato di funzionare sempre. L’altro polo di bellezza invidiabile, la top model Bar Refaeli, ha sfoggiato un abito di Elisabetta Franchi, optando per un look più classico. Il suo abito era bicolor, con una parte nera aderente, scollata e sexy, e una parte bianca romantica e leggiadra, con uno strascico. Ha completato il look con gioielli floreali di Cartier.

Moustapha Fall Venezia 80
Moustapha Fall, ph. Benedetta Bressani

Venezia 80: dall’eleganza di Caterina Murino alla seduzione di Taylor Mega

Per l’ottava serata la madrina del Festival Caterina Murino ha sfoggiato un abito di Philosophy di Lorenzo Serafini, continuando la tendenza rétro degli anni ’50. Il vestito off-the-shoulder in radzmir di seta rossa presentava un corpetto aderente e strutturato con risvolto che esaltava il décolleté e la gonna ampia a corolla. Ha completato il look con décolleté Roger Vivier in tinta con l’abito e gioielli FRED Paris.
Cool la scelta di Alice Diop: ha optato per un completo corallo oversize con una giacca boxy e pantaloni ampi a coprire le scarpe. Un look semplice, ma che coglie l’attenzione e rompe con gli stereotipi di stile del Festival.


Forse poco apprezzato sul red carpet veneziano – in quanto generalmente tra i più tradizionali per le mise sfoggiate dalle star – l’abito gioiello di Taylor Mega era iper seducente, lungo e con un effetto ‘seconda pelle’ dato dal tulle trasparente ricamato da perline e pietre argento di varie dimensioni, che disegnavano motivi floreali. Probabilmente avrebbe incontrato molti voti a favore sul red carpet dei Grammy’s americani, per dirne uno.

Menzione speciale ai sandali con doppio fiocco di raso grigio perla indossati da Violante Placido, che hanno arricchito un abito fluente di seta impalpabile dello stesso colore, con ampie maniche, gonna svolazzante a ogni passo e punto vita segnato da un nastro gentile.

Venezia 80: I best look del giorno 7 by MANINTOWN

Prosegue il Festival del Cinema di Venezia con i film in competizione che continuano a suscitare l’interesse sia del pubblico che della critica. Nella settima giornata di Venezia 80, abbiamo avuto l’opportunità di scoprire Enea, diretto da Pietro Castellitto che ha anche recitato accanto a Benedetta Porcaroli e a suo padre Sergio, e Zielona granica (Il confine verde) di Agnieszka Holland. Tra i film Fuori Concorso, spiccano Hit Man di Richard Linklater e Ryuichi Sakamoto: Opus di Neo Sora. Un debutto emozionante è stato quello di Day of the Fight di Jack Huston nella sezione Orizzonti Extra.


Per l’occasione, la madrina di Venezia 80 Caterina Murino ha indossato un abito lungo in taffetà di seta verde smeraldo firmato Alberta Ferretti. L’abito, molto classico ma molto chic, aveva maniche lunghe, uno scollo a barca e una gonna ampia a ruota, abbinata a gioielli Pomellato. In verde anche Ariadna Gutiérrez, che ha sfoggiato un elegante abito lungo monospalla con un corpetto formato da un intreccio di fasce di tessuto drappeggiato sul corpo, evocando un’immagine di dea greca.

Pietro Castellitto, credits Giorgio Zucchiatti
Pietro Castellitto, credits Giorgio Zucchiatti

Venezia 2023: Benedetta Porcaroli e Georgina Rodríguez in rosso

La bellissima Benedetta Porcaroli ha indossato un abito rosso creato per l’occasione da Prada, abbinato a gioielli Pomellato, per l’anteprima mondiale del film Fuori Concorso Enea, in cui recita accanto al regista e interprete Pietro Castellitto. L’abito smanicato presentava uno scollo squadrato, stretto in vita, con una silhouette minimale e priva di fronzoli. Sul retro, due ampie fasce creavano una profonda scollatura fino alla vita, con un grande fiocco alla base della schiena e uno strascico appena accennato. Per l’occasione, ha scelto un paio di décolleté in pelle dorata a effetto specchio, con plateau e un vertiginoso tacco squadrato.

Lode anche al Vetements di Georgina Rodríguez che dà un twist più contemporaneo all’abito-omaggio a quello indossato da Julia Vivian Roberts in Pretty Woman, indossato dalla protagonista nella scena della sua prima serata all’opera, al fianco di Richard Gere.

Carlotta Rubaltelli ha sfoggiato un sensuale e sofisticato abito Pronovias monospalla nero con una costruzione asimmetrica. L’abito era coprente e aderente da un lato, con una manica lunga; e senza manica con un cut out sul fianco e uno spacco profondo dall’altro lato, dove la gonna scendeva ampia in uno strascico. Il vestito era impreziosito da rose di tessuto tempestate di brillanti sulla spalla e sul fianco.

Benedetta Porcaroli, ph. Benedetta Bressani
Benedetta Porcaroli, ph. Benedetta Bressani

I look maschili del settimo red carpet i talent dei Next Generation Awards a Venezia 80

Daniele Oscar Spada, tiktoker audace, ha indossato un abito firmato DSquared2 e Gentile Milano, un giovane brand emergente del capoluogo lombardo. Indossava una camicia in pizzo trasparente, una fascia in raso, un pantalone ampio a palazzo orlato di piume e stivali a punta in vernice Sonora Boots, abbinati a gioielli Bald Boys. Il regista e interprete Pietro Castellitto brillava in un completo doppiopetto di Dior, blu scuro e con un solo bottone. Tradizionale con un twist contemporaneo.

Il Team Next Generation Awards 2023 powered by MANINTOWN ha visto un elegantissimo Sebastiano Pigazzi, uno dei talent vincitori della terza edizione del progetto, indossare un elegante smoking blu di Giorgio Armani, completato da mocassini scamosciati. Anche Daniele Giannazzo ha indossato uno smoking blu, ma con un twist scintillante dato dalle applicazioni sul rever della giacca. Il completo portava la firma di Enrico Coveri. Andrea Dodero elegantissimo in smoking nero Zegna. Infine, Amanda Campana ha sfilato in un seducente body in pizzo ricamato con guanti incorporati, pantaloni sartoriali alla caviglia e sandalo in vernice con plateau. Un look total black, di Christian Boaro, a eccezione dell’applicazione floreale candida, come una spilla appuntata al petto.

Torna il Garofano Rosso Film Festival: il cinema contro esclusione e discriminazione

Dal 4 al 10 settembre, a Forme di Massa d’Albe, un affascinante borgo del XVIII secolo nella provincia de L’Aquila, si terrà la terza edizione del Garofano Rosso Film Festival, con la direzione artistica a cura del regista e produttore Paolo Santamaria. L’evento cinematografico è patrocinato per il secondo anno consecutivo dal Parlamento Europeo sotto la presidenza di Roberta Metsola. Tra le altre rassegne, spicca per il suo carattere educativo, culturale e promozionale, con un’enfasi particolare sui temi legati alla marginalità.

Garofano Rosso Film festival
Garofano Rosso Film festival

Un borgo che apre le porte al cinema

La rassegna abruzzese affronterà tematiche cruciali come la parità di genere, i diritti umani, la lotta alle discriminazioni e le comunità marginalizzate, con particolare attenzione rivolta al tema della disabilità. Tutti questi argomenti saranno esplorati attraverso l’arte cinematografica e documentaristica.

Inoltre, questa edizione del festival ha ricevuto per la prima volta il patrocinio dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, facente parte del Dipartimento per le Pari Opportunità. Questa sinergia tra tematiche centrali nell’agenda europea e la bellezza della campagna e della vita agreste crea un meccanismo unico nel suo genere. Lo scopo è promuovere la cultura nel territorio e il territorio attraverso la cultura.


Per l’evento la comunità di Forme di Massa d’Albe, con circa 250 abitanti, ha aperto le porte del suo borgo storico per accogliere i partecipanti, collaborando con gli organizzatori del festival al fine di offrire un’ospitalità autentica e basata sulla condivisione.


Ogni giorno, prima delle conferenze e delle proiezioni con autori e registi, il pubblico avrà inoltre l’opportunità di esplorare il Parco Naturale e l‘Acquedotto Romano di Alba Fucens in escursioni guidate o di assaporare i prodotti locali in degustazioni con i produttori del territorio.

Garofano Rosso Film festival
Garofano Rosso Film festival

Il Garofano Rosso Film Festival: un varco in una cortina di paura

Il direttore artistico Paolo Santamaria si esprime così in merito al progetto: «Il Garofano Rosso Film Festival nasce da una riflessione sul mondo degli ultimi anni, la cortina di paura calata sulla libertà di ciascuno, cortina che diventa reale. Un’immagine concreta, un muro che ostruisce la vista al di là di esso. Così come l’incomunicabilità e l’acuirsi di diversità già aspre in passato e il buio che tutto questo comporta. Ecco, dunque, l’esigenza non più di evadere, di evitare il confronto con la realtà, ma di aprire un varco in questa recinzione senza ragione. Il festival cinematografico più caldo al mondo, in uno dei borghi più freddi d’Italia. La progettazione partecipata diviene strumento di riscoperta identitaria, in un delicato equilibrio, umile baluardo nella tradizione d’alta quota».

Garofano Rosso Film festival
Garofano Rosso Film festival

Le donne, i bambini, la fragilità : i temi del Garofano Rosso Film Festival

Il Garofano Rosso Film Festival è un’opportunità unica di unire cultura cinematografica e tradizione locale per promuovere il dialogo e la comprensione delle diversità, abbattendo i pregiudizi. La rassegna si compone di otto sezioni, ognuna dedicata a celebrare la marginalità attraverso diverse prospettive cinematografiche.


BIZARRE offre un’esperienza distorta e provocatoria che esplora le contraddizioni della società in modo grottesco, AFTERWORD affronta il tema della morte, incoraggiando riflessioni profonde sull’enigma della vita e della fine. FEMME mette in evidenza il punto di vista attivo e pungente delle donne contemporanee attraverso il cinema, mentre ANTEROS esplora l’amore maltrattato e lottato, rivendicando il diritto di amare. WONDERLAND offre uno sguardo puro e schietto sull’immaginario fantastico dei bambini, LACCI esplora i legami umani e la ricerca continua di comunicare la fragilità. Si giunge a DYSTOPIA che esplora un mondo distante in cui ogni presagio negativo può concretizzarsi, riflettendo sul futuro e le paure ossessive, e infine FRONTIERS si propone come un viaggio ai margini della terra e del cuore, alla scoperta di nuovi universi e linguaggi.


A decretare i vincitori, tra le 83 opere filmiche in concorso nelle otto sezioni, una giuria di qualità tutta al femminile presieduta dall’attrice Marta Bulgherini e formata dalle produttrici Francesca Andriani e Guendalina Folador, la montatrice e regista Elisabetta Abrami, l’autrice Veronica Chirra.

On Foot: la nuova mostra di Jonathan Anderson è un’ode a Londra

Con l’arrivo della London Fashion Week apre i battenti On Foot, la nuova mostra della galleria d’arte Offer Waterman curata dal designer Jonathan Anderson, brillante e sovversivo direttore creativo dei marchi JW Anderson e LOEWE. Il percorso espositivo è un dialogo tra artisti contemporanei e capi d’abbigliamento selezionati dallo stesso stilista pescando tra le sue ultime collezioni.

La locandina della mostra On Foot

La mostra ‘On Foot’ è una passeggiata per le vie di Londra


Le creazioni moda di Anderson per JW Anderson e LOEWE prenderanno vita all’interno degli spazi espositivi, interagendo come spettatori e passanti tra le opere stesse. Gli abiti delle ultime stagioni sono stati scelte per la capacità di trasformare il corpo umano in una scultura. La mostra si svilupperà come una passeggiata ideale attraverso le strade di Londra, mostrando tutti i contrasti e le sorprese che la città ospita tra le sue strade.

Dalle lussuose strade di Mayfair, dove si trova la galleria Offer Waterman, ai vicoli pittoreschi di Soho, che ospitano il negozio di JW Anderson, le diverse gallerie della mostra celebrano ogni aspetto della città, dal pub più autentico alle strade trafficate, dai parchi alle piste da skateboard.

Una creazione di Jonathan Anderson nella mostra On Foot

Arriva una nuova versione della borsa piccione di JW Anderson

Ceramiche e sculture daranno vita a scene vivaci, mentre i famosi piccioni di JW Anderson (a cui si ispira una linea di borse ormai cult) prenderanno casa in un magazzino e su una panchina da giardino quadrata, permettendo ai visitatori di apprezzare l’abbondanza di flora e fauna cittadina. Il viaggio sarà accompagnato dalle voci di un cast che racconta le storie della città attraverso gli occhi di chi la vive. A proposito di piccioni: Anthea Hamilton ha collaborato con JW Anderson per creare una versione in edizione limitata della clutch a forma di piccione, che sarà presentata nel contesto della mostra sia presso Offer Waterman che nel negozio JW Anderson di Soho.

Un’opera di Lucien Freud per la mostra On Foot

Le opere di David Hockney e Lucien Freud nella mostra ‘On Foot’

La mostra ospita un dialogo tra artisti seminali e nuovi nomi dell’arte contemporanea. Nel lungo elenco figurano nomi come Igshaan Adams, Frank Auerbach, Lynette Yiadom-Boakye, Hans Coper, Shawanda Corbett, Sara Flynn, Lucian Freud, Anthea Hamilton, Barbara Hepworth, Akiko Hirai, il decano David Hockney, Leon Kossoff, Stanislava Kovalcikova, Florian Krewer, Doron Langberg, Jennifer Lee, L. S. Lowry, Henry Moore, Cedric Morris, Dame Magdalene Odundo, Jem Perucchini, Walter Sickert, Christopher Wood e molti altri.

Gli orari della mostra On Foot a Londra

“On Foot” sarà aperta al pubblico dal 18 settembre al 28 ottobre 2023, due giorni dopo la sfilata di JW Anderson alla London Fashion Week. Gli orari di apertura regolari saranno dal martedì al sabato, dalle 10:00 alle 18:00 (il sabato fino alle 17:00), con un’apertura speciale il 18 settembre dalle 10:00 alle 18:00. La mostra si terrà presso la Galleria Offer Waterman, sita in 17 St George St, Londra W1S.

David Hockney, Mo in Carennac, 1971

VENEZIA 80: I BEST LOOK BY MANINTOWN

Continua il Festival del cinema di Venezia 2023, ormai entrato nel vivo della sua ottantesima edizione, e continuano le serate di presentazione dei film in gara con i relativi red carpet. Così tra soddisfazioni, sorprese e qualche sorrisetto ‘maligno’, a casa MANINTOWN abbiamo selezionato quelli che per noi sono stati i migliori look che hanno calcato il tappeto rosso nella quarta, quinta e sesta serata di Venezia 80.

I look sul red carpet della quarta serata di Venezia 2023

A dirigere il red carpet della quarta serata del Festival del sono state due tra le più amate icone dei mondi del cinema e della moda: Isabelle Huppert e Carla Bruni. La prima indossava un abito Balenciaga, di cui l’attrice è il volto, regalandoci un look da red carpet come si deve: tanto glamour quanto teatrale. L’abito lungo a collo alto, con spalline rinforzate e maniche lunghe era interamente ricamato con frange di paillettes argentate e abbinato a orecchini pendenti e a un’acconciatura wet look con riga laterale, per un effetto ancora più drammatico.

Carla Bruni al contrario indossava un più sobrio vestito nero di Valentino con maxi spacco centrale sulla gonna e scollatura all’americana impreziosita da rose gioiello argento all’altezza del collo. Il profondo cut out a goccia che dalle rose arrivava all’ombelico rendevano la mise ancora più sensuale. I gioielli che indossava erano della Maison Chopard, mentre i sandali neri asimmetrici erano firmati Santoni. Anche la pochette era di Valentino Garavani, in raso nero con V Logo tempestato di cristalli a riprendere la lavorazione del bouquet al collo. Très chic.


Degno di nota anche l’abito lungo indossato da Paola Turani e firmato Paolo Sebastian: uno slip dress semi trasparente e interamente ricamato con pietre brillanti che formavano un reticolato contenente piccoli fiori. Turani lo ha indossato sotto un ampio soprabito con strascico e guanti neri, completando il look con un collier e un paio di orecchini firmati Messika.

Per quanto esista certamente il rischio di risultare “banale” ai più, è altrettanto certo che la scelta di molte celebrities di optare per look dalle linee semplici e di colore nero le ha salvate da grandi passi falsi che si sono palesati sul tappeto rosso nelle diverse serate del Festival. È il caso, per esempio, di Virginia Stablum, che in un Alexandre Vauthier lungo fino ai piedi, aderente, con gonna morbida e tulle sulla scollatura a bustier, è apparsa semplice ma sofisticata, grazie anche alla parure di gioielli Salvini.

C’è invece chi ha preferito giocare con i colori e le texture, riuscendo nell’intento di catturare lo sguardo (e fermare lo scrolling delle foto) per tutte le migliori ragioni. Parliamo di Carina Lau in Giorgio Armani Privé: un look proveniente dalla collezione Spring 2019 Couture a girocollo, aderente, lungo fin sopra la caviglia e ricoperto di paillettes, indossato sotto una giacca lunga dall’effetto pelle di coccodrillo, con spalline rinforzate e zip per regolare l’ampiezza delle maniche. Una vittoria su tutti i fronti.

Paola Turani in Paolo Sebastian
Paola Turani in Paolo Sebastian

Parlando di red carpet al maschile, infine, l’attore di In the Mood for Love Tony Leung Chiu-wai ha ritirato il Leone d’Oro alla carriera in uno smoking Giorgio Armani dalla giacca squadrata, con il pantalone ampio e sneaker platform. Era a mani basse il più cool tra i suoi colleghi. Più tradizionale Pierfrancesco
Favino
che, con il suo look di Atelier Versace, ha dato un twist interessante allo smoking tradizionale grazie alla giacca color vinaccia.


Menzione speciale all’attrice Morena Gentile, che per la prima volta in veste di produttrice ha visto il proprio film Pier Paolo PasoliniUna visione nuova (con la regia di Giancarlo Scarchilli) aggiudicarsi il premio “Miglior Docufilm” nello storico evento collaterale Premio Kinéo. L’evento, ideato e diretto da Rosetta Sannelli, quest’anno è entrato nel terzo decennio a Venezia 80. Per l’occasione Gentile ha indossato un abito lungo nero di Gianluca Saitto, con scollatura e spacco centrale bordati con pietre brillanti.

I look della quinta serata al Festival del Cinema di Venezia

Durante la quinta serata, David Fincher ha portato a Venezia 80 The Killer, film tratto dalla graphic novel francese e interpretato da Michael Fassbender, Tilda Swinton e Charles Parnell. La serata è proseguita con La meravigliosa storia di Henry Sugar di Wes Anderson, con Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes, Dev Patel e Ben Kingsley, e infine con The Caine Mutiny Court-Martial, film-testamento del regista appena scomparso William Friedkin.

Il premio diva della serata va alla fotografa Nima Benati, che ha sfilato in Zuhair Murad e Nicole + Felicia. La mise è completamente bianca: l’abito lungo, aderente, sensuale si caratterizzava per la parte superiore composta da due fasce incrociate in una scollatura all’americana. In questo defilé, il soprabito più scenografico è il suo: di piume, vaporoso e con strascico. I gioielli che ha indossato sono del brand Crivelli.

Piume anche per Rose Betram, ma in quantità minore e in total black, con un look firmato Pinko: ha indossato un abito lungo e aderente che terminava in un piccolo strascico, con le spalline sottili e una profonda scollatura. Il nero ha contraddistinto i look di molte celebrities della quinta serata: a partire dalla madrina Caterina Murino che ha sfilato in un tailleur giacca pantaloni di Kiton, con corsetto adornato da fili di perline pendenti che ricoprivano anche le tasche della giacca.


Altro tailleur nero, ma oversize, e indossato sopra una camicia bianca a righe sottili grigie con colletto over per Isabelle Huppert, che sempre in Balenciaga si è riconfermata la prima rappresentante dello chic francese. In nero anche Nina Rima, con un abito in paillettes dalla scollatura bustier e lungo spacco laterale che mostrava orgogliosamente la protesi alla gamba, in uno statement importante di accettazione della bellezza di tutti i corpi, anche quelli non conformi. L’influencer indossava gioielli Salvini.

La più chiacchierata del red carpet, però, è forse stata Ilary Blasi: abbandonata quell’immagine fatta di abiti supersexy, trucco pesante e parrucco fatale esibiti in tv nelle ultime stagioni, si è presentata sul red carpet in un semplice abito bustier Dior nero, aperto in due ampie pieghe e lungo alle caviglie. Gli stivali neri costituivano la nota più eccentrica del look. Anche il trucco e il parrucco sono stati una novità in linea con il resto: make up acqua e sapone, una tonalità di capelli più scura e calda, smalto nero e niente gioielli.

Infine, nota di merito per Matteo Paolillo che ha calcato il red carpet in Dolce&Gabbana: super affascinante con l’abito doppiopetto “doppio”, dal fitting perfetto e i tessuti diversi a risaltare questo gioco di costruzione della giacca, indossata poi senza camicia. Chef kiss.

Il sesto red carpet di Venezia 2023

Priscilla, la pellicola firmata da Sofia Coppola, vincitrice del Leone d’oro nel 2010 con Somewhere, è stato il film presentato e più atteso della sesta serata. La pellicola narra la storia d’amore tra Elvis e la giovanissima moglie raccontata, per la prima volta, dal punto di vista di lei. Gli interpreti hollywoodiani sono stati anche i protagonisti della serata: Cailee Spaeny e Jacob Elordi. Spaeny, una visione angelica, ha sfilato in un lungo abito aderente bianco con profonda scollatura a oblò e cascata di perle a mo’ di cappa, abbinato a gioielli di Bulgari. Elordi svettava con il suo metro e novanta di coolness (e hotness, siamo sinceri) con uno smoking nero doppiopetto firmato Valentino, portato con la cravatta e una spilla a farfalla. I gioielli che indossava erano di Cartier.

E, a proposito di Valentino, la maison italiana ha senza dubbio rubato la scena in questo red carpet, vestendo un dream team formato dal sopracitato Elordi, Fancy Alexandersson in rosso fuoco, con un completo formato da camicia e gonna con spacco laterale e strascico e Kasia Smutniak in nero, che indossava invece un tailleur giacca e gonna lunga con camicia bianca e capello sciolto e spettinato. Il dettaglio che accomunava tutti i loro look era lo stesso che ha contraddistinto l’ultima collezione di prêt-à-porter della maison romana: la cravatta. Smutniak poi è stata accompagnata proprio dal direttore creativo del brand romano, Pierpaolo Piccioli, di bianco vestito con occhiale da sole sempre presente e capello scompigliato. Squadra che vince non si cambia.

Kasia Smutniak e Pierpaolo Piccioli a Venezia 80
Kasia Smutniak e Pierpaolo Piccioli

Rimanendo in tema, l’altro super team della serata è stato quello formato dai vincitori dell’annuale premio Next Generation Awards, powered by MANINTOWN e Mi-HUB Agency. Giunto alla sua terza edizione, il progetto testimonia l’impegno di MANINTOWN nello scoprire e sostenere i nuovi nomi più interessanti del panorama italiano. Giunti a Venezia per i loro primi red carpet, i giovani talenti sono stati Mattia CarranoDomenico CuomoAndrea Dodero e Sebastiano Pigazzi, premiati come Migliori attori rivelazione (Domenico Cuomo ha vinto anche il Premio Speciale Ciak Generation), Lea Gavino e Fotinì Peluso premiate come Migliori attrici rivelazioneEma Stokholma, Miglior artista rivelazione, e infine Daniele Giannazzo che si è conquistato il Premio Speciale miglior Creator di cinema e serie tv.

Andando con ordine: Mattia Carrano ha indossato un tradizionale abito blu con camicia bianca da vero gentiluomo, mentre Domenico Cuomo ha sfoggiato una camicia romantica in raso, morbida con scollatura e lacci del fiocco sciolti e pantalone ampio in velluto. Tutto Saint Laurent by Anthony Vaccarello. Lea Gavino è apparsa incantevole in un abito longuette nero scintillante, con spacco e cut out sul fianco, firmato Karl Lagerfeld e gioielli Giovanni Raspini. Fotinì Peluso ha sfilato in Chanel con un abito due pezzi composto da corpetto e gonna asimmetrica, entrambi ricamati ma in fantasie diverse. Infine Ema Stokholma ha indossato un lungo abito verde drappeggiato dal tessuto traforato e con lungo spacco laterale, di Limited Edition 999, e sandali Gianvito Rossi.

VENEZIA 80: I BEST LOOK by MANINTOWN

Sopraffatti dal numero di look di questi giorni in laguna? Il Festival del cinema di Venezia 2023, con le sue molteplici serate e altrettanti red carpet, in effetti può dare un pò di mal di mare. Ecco allora una selezione firmata MANINTOWN dei migliori look visti sul tappeto rosso nelle prime tre serate di Venezia 80.

I best look del Festival del cinema di Venezia 2023: Mariacarla Boscono, Caterina Murino e Bianca Balti

La prima serata, con la cerimonia di inaugurazione, ha visto la proiezione di Comandante di Edoardo De Angelis e interpretato da Pierfrancesco Favino, che si è conquistato il ruolo di protagonista anche sul red carpet con un look total black firmato Saint Laurent by Anthony Vaccarello.
La combo made in heaven formata dalla topmodel Mariacarla Boscono e la stylist Ramona Tabita ci ha regalato il look forse più memorabile del Festival: completamente di rosso vestita, indossava un abito con cappuccio firmato Dolce & Gabbana. La gonna fluida a pannelli con strascico in contrasto con un bustier lace-up che stringeva vita e fianchi, svelava le gambe nei collant e le décolleté rosse. Rossi e di velo anche i guanti sopra il gomito e il velo lungo e leggero poggiato sul capo a mo’ di cappuccio.
Sulla stessa scia del “rosso red carpet” anche Caterina Murino, madrina del Festival, in Giorgio Armani Privé. La gonna a ruota e le mini balze di tulle tempestato di pietre sono state controbilanciate dai gioielli poco appariscenti e centratissimi di Cartier. Azzeccata anche la scelta del semi-wet look per i capelli, che hanno elevato l’intera mise a un altro livello.
L’altra top model italiana a catturare la scena è stata Bianca Balti, che indossava un Ermanno Scervino azzurro chiaro, in tessuto leggero drappeggiato composto da un bustier, gonna lunga con spacco laterale e strascico. A completare il look i gioielli Pomellato e in particolare la collana di Alta Gioielleria Princess The Rapper Acqua in oro rosa, diamanti bianchi e una grande pietra di Acquamarina in tinta con l’abito.


I best look del Festival del cinema di Venezia 2023: Toni Garrn, Madisin Rian, Valentina Cervi e Charlotte Rampling

Avvistate due Sirene in laguna (gli ultimi echi del mermaid core?): Toni Garrn in Alberta Ferretti Resort 2024 e Madisin Rian in Giorgio Armani Privé Couture 2011. Abiti lunghi e aderenti a slanciare le figure longilinee, scollature bustier e squame di micro e macro paillettes ricamate all over. Effetto metallico per l’abito di Ferretti, albicocca iridescente quello di Giorgio Armani Privé, decorato sulla schiena da un fiocco rigido e applicazioni floreali rigide sul busto. Il fiocco, i fianchi e la parte inferiore del vestito sono in morbido tessuto stampato e ricamato.
Restando in tema “paillettes all over”, Valentina Cervi ha sfilato con un Valentino color borgogna a girocollo e con manica lunga, caratterizzato dalla disposizione di paillettes più lunghe a effetto piuma sulla parte bassa delle maniche e della gonna, con qualche punto random nel resto del capo. Un modo meraviglioso di dare tridimensionalità e carattere a un abito dalla silhouette semplice e monocromo.
Menzione speciale della serata a Charlotte Rampling super chic in Courrèges, lo storico brand francese tornato alla ribalta sulle passerelle grazie al lavoro di Nicolas Di Felice, lo stilista belga che ne ha assunto la guida nel 2020. E proviene direttamente dalla collezione Autunno-Inverno 2023/2024 l’abito che Rampling ha indossato: liscio, nero, lungo alla caviglia, con un cut out sul busto da cui appare la collana geometrica sottostante. È stato abbinato a delle pumps con tacco scultura che riprendono il motivo del girocollo metallico.

I best look del Festival del cinema di Venezia 2023: Michael Mann, Adam Driver, Patrick Dempsey, Caterina Murino

Il secondo giorno di red carpet della Mostra del Cinema di Venezia 2023, con la presentazione di Ferrari, il biopic dedicato al genio italiano dei motori e firmato Michael Mann, è stato calcato dalle star interpreti Adam Driver e Patrick Dempsey. I due, eternamente tradizionalmente affascinanti nei loro smoking (il secondo firmato Brunello Cucinelli) fanno parte dei pochi attori americani che hanno partecipato nonostante gli scioperi di Hollywood.
Caterina Murino si distingue ancora una volta indossando un Atelier Versace, bianco audace e sfarzoso come vogliono i codici chiave della casa di moda. La costruzione dell’abito permette di intravedere il bustier rigido argento e brillante attorno a cui è stato drappeggiato il tessuto bianco, facendolo fuoriuscire dalla scollatura e da un fianco. È da qui che la gonna morbida si apre con lo spacco alto e prosegue in uno strascico. Il collier a doppio giro di Pasquale Bruni completa il look con gli altri gioielli.


I best look del Festival del cinema di Venezia 2023: Giulia Salemi, Stephanie Glitter e Michelle Lamy

Numerose le star del web e gli influencer che hanno sfilato sul tappeto rosso di questa seconda serata. A distinguersi maggiormente però, tra opinioni polarizzanti, sono state Giulia Salemi in Atelier Emé, con gioielli Damiani e Stephanie Glitter in Daizy Shely, con gioielli Salvini. Entrambe in bianco, Salemi ha dato vita con il team di Atelier Emé a uno slip dress argentato con decorazioni a specchio ricamate e a un vaporoso sobrabito con strascico bianco candido, indossato con i guanti. Stephanie Glitter ha optato invece per un abito aderente a girocollo e manica lunga, semitrasparente e tempestato di pietre preziose e piume svolazzanti.
Impossibile infine non citare l’icona del fashion system Michelle Lamy che, fedele a se stessa e all’amico Rick Owens, in occasione della Premiere di Ferrari ha sfoggiato un look dai colori autunnali, firmato dal designer americano.

I best look del Festival del cinema di Venezia 2023: Cristiana Capotondi, Micaela Ramazzotti, Kasia Smutniak, Eugenia Silva e Simon Bennebjerg

La terza serata del Festival è stata dedicata alla proiezione di Poor things, film diretto dal regista greco Yorgos Lanthimos e di Finalmente L’Alba di Saverio Costanzo.
Le scelte più azzeccate sono state quelle di Cristiana Capotondi e Micaela Ramazzotti, che hanno rubato la scena con abiti apparentemente semplici, ma molto sofisticati. Entrambi lisci e neri, Capotondi ha indossato un tubino longuette di Givenchy con profonda scollatura a cuore, puntellato di cristalli e borchie metalliche che aumentano di dimensione man mano che scendono sull’abito. Sul décolleté un serpente di Bulgari linea Alta Gioielleria. Ramazzotti invece ha sfoggiato la schiena nuda in un abito lungo Giorgio Armani, dalle linee semplici e lo scollo a cuore.
Sempre in nero, ma decisamente più rigorosa Kasia Smutniak in un Valentino chiuso a mo’ di camicia e gonna longuette, con tanto di cravatta. Iper cool.
Un guizzo di colore e l’attitude da diva hollywoodiana ha contraddistinto Eugenia Silva, in Giorgio Armani Privé. Lungo e aderente con profonda scollatura sul bustier rigido, l’abito è stato arricchito da un frizzante soprabito di piume rosa, divertente ma anche molto chic.
Infine per quanto riguarda i gentlemen, menzione speciale all’attore Simon Bennebjerg che impeccabile nel suo smocking Zegna ci ha regalato un twist adorabile con gli occhiali da sole a lente aranciata.

Eugenia Silva,
Eugenia Silva

Festival del Cinema di Venezia 2023: il necessario da sapere su ‘Venezia 80’

Dal 30 agosto al 9 settembre i riflettori sono tutti puntati sulla laguna per il Festival di Venezia 2023. Ecco tutte le informazioni principali riguardanti questa ricchissima 80esima edizione, che si divide tra l’amore per l’arte cinematografica, l’eterno glamour dei red carpet e gli scioperi nell’industria hollywoodiana.
Quest’anno la Mostra internazionale d’arte cinematografica organizzata dalla Biennale di Venezia celebra la sua 80esima edizione sotto la direzione artistica di Alberto Barbera, il noto critico cinematografico, e con il manifesto ad opera di Lorenzo Mattotti, che disegna l’immagine ufficiale per il sesto anno consecutivo.

La cerimonia di inaugurazione del Festival di Venezia 2023

Nella serata di ieri, mercoledì 30 agosto, la cerimonia di inaugurazione ha visto sfilare gli ospiti sul
prestigioso red carpet, con l’attrice italiana Caterina Murino che ha dato il via ufficiale al festival sul palco della Sala Grande (Palazzo del Cinema al Lido). Sarà nuovamente lei a chiudere la kermesse sabato 9 settembre con la consegna dei Leoni e degli altri premi ufficiali della Mostra.
Un altro momento alto della serata è stata la consegna del Leone d’oro alla carriera alla regista italiana
Liliana Cavani. A 90 anni, Cavani è anche la prima donna del settore a ricevere l’autorevole riconoscimento, alimentando così la speranza che possa essere la prima di molte altre in futuro.

Caterina Murino, Ph. Benedetta Bressani
Caterina Murino, Ph. Benedetta Bressani

Le star e gli scioperi

Il tanto atteso e sempre seguito arrivo delle star al Lido quest’anno ha risentito dell’assenza di alcuni grandi nomi come quelli di Zendaya, Emma Stone e Bradley Cooper, che hanno scelto di aderire allo sciopero indetto dal sindacato degli attori e sceneggiatori in corso a Hollywood. È proprio per l’assenza di alcuni interpreti che il primo film in concorso ad essere presentato è stato Comandante di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino, anziché Challengers di Luca Guadagnino.

Pierfrancesco Favino al festival di Venezia, Ph. Benedetta Bressani
Pierfrancesco Favino, Ph. Benedetta Bressani

La giuria

Per quanto riguarda la giuria del Concorso Ufficiale del Festival, a presiederla in questa edizione è il grande regista statunitense Damien Chazelle, mentre gli altri giurati sono: Saleh Bakri, attore (Palestina), Jane Campion, regista e sceneggiatrice (Nuova Zelanda), Mia Hansen-Løve, regista e sceneggiatrice (Francia), Gabriele Mainetti, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico (Italia), Martin McDonagh, regista, sceneggiatore e drammaturgo (Irlanda, Regno Unito), Santiago Mitre, regista e sceneggiatore (Argentina), Laura Poitras, documentarista (Stati Uniti d’America) e Shu Qi, attrice e modella (Taiwan, Hong Kong).

I film in gara

23 i film in Concorso a contendersi il Leone d’Oro, di cui sei lungometraggi italiani: Adagio di Stefano
Sollima, Comandante di Edoardo De Angelis, Enea di Pietro Castellitto, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, Io capitano di Matteo Garrone e Lubo di Giorgio Diritti.
Fanno parte dell’80esima edizione del Festival anche 22 film Fuori Concorso, le sezioni Orizzonti e Orizzonti Extra, Biennale College Cinema e Venezia Classici (restaurati).
Da non dimenticare anche i due storici concorsi collaterali: la 20esima edizione di ‘Giornate degli Autori‘ che avrà in gara, tra gli altri, Sidonie du Japon con protagonista Isabelle Huppert (sarà presentato venerdì 1 settembre), proporrà la sezione al femminile Miu Miu Women’s Tales e per le Notti Venezia proietterà Le mie poesie non cambieranno il mondo, il documentario su Patrizia Cavalli. L’altra rassegna, ‘La Settimana Internazionale della Critica‘, è arrivata all’edizione numero 28 e tra i titoli spicca in Concorso About last year.

Go get some SEX EDUCATION: la quarta stagione della serie è in arrivo!

Sex Education è uno dei contenuti NETFLIX più apprezzati degli ultimi anni. Prodotta da Eleven Film, scritta e sceneggiata da Laurie Nunn, la serie è stata candidata e vincitrice di numerosi premi, come l’International Emmy Awards nel 2022 per “miglior serie comedy”. Giusto per capirci, nei soli primi 91 giorni dalla sua uscita il 17 settembre 2021, la terza stagione aveva totalizzato 66.6 milioni di visualizzazioni. Ora una nuova stagione è stata ufficialmente annunciata, in arrivo il 21 settembre 2023: piena di plot twist avvincenti sia a livello di trama che di cast, non ci resta che attendere la fine dell’estate per godere dell’ultima lezione di Sex Education.

Pochi ma buoni motivi per recuperare la serie

Senza dubbio Sex Education ha segnato una svolta nel panorama delle serie TV prodotte e distribuite dai servizi on demand contemporanei, grazie alla trattazione candidamente esplicita, ironica e sincera del perennemente pruriginoso tema del sesso. L’obiettivo (raggiunto) della serie è quello di liberare il sesso e le scomode, imbarazzanti e sconfortanti conversazioni, pratiche e sfaccettature ad esso legate da quegli stigmi più o meno pesanti in cui l’umanità nel corso dei secoli ha avvolto questo temine-universo. Ciò ha dato vita a un nuovo interessante, necessario ed eccitante dibattito pubblico che, vuoi o non vuoi, ha obbligato il pubblico a fare i conti con il tema dell’educazione sessuale tra gli adolescenti, nelle scuole quanto a casa.
Oltre a una sana dose di informazioni e delucidazioni su “pratiche, usi e costumi” la serie ha portato a galla anche la questione della salute mentale, con annessi stress per la scoperta e accettazione del proprio corpo, della propria sessualità, della propria identità di genere, preferenze e gusti sia in ambito estetico che relazionale. Ancora, la disabilità, l’ansia da prestazione nei rapporti sessuali, il sacrosanto topic del consenso, le ancora troppo diffuse e taciute molestie sessuali e i conseguenti possibili traumi.

 Gillian Anderson as Jean Milburn and Asa Butterfield as Otis Milburn in Sex Education Season 4. Cr. Thomas Wood/Netflix
Gillian Anderson as Jean Milburn and Asa Butterfield as Otis Milburn in Sex Education Season 4. Cr. Thomas Wood/Netflix

Cosa aspettarsi dalla quarta stagione

Costantemente attenta e riguardosa nell’approcciare suddette tematiche, la terza stagione ha lasciato i nostri amati protagonisti a dover affrontare la chiusura del liceo di Moordale. Otis e Eric (interpretati da Asa Butterfield e Ncuti Gatwa) devono affrontare un nuovo inizio – il loro primo giorno al Cavendish Sixth Form College. Otis è nervoso all’idea di creare una nuova clinica, mentre Eric spera con tutto se stesso che non saranno di nuovo degli “sfigati”. L’istituto Cavendish rappresenta uno shock culturale per tutti gli studenti di Moordale, che fino ad allora pensavano di essere progressisti.
Questa nuova scuola è molto diversa, ogni giorno si fa yoga nel giardino comune, si respira un’atmosfera all’insegna della sostenibilità e c’è un gruppo di ragazzi popolari per la loro… gentilezza?! Viv (Mimi Keene) è totalmente sconvolta dall’atteggiamento non competitivo degli studenti, mentre Jackson (Kedar Williams-Stirling) sta ancora cercando di superare la sua storia con Cal (Dua Saleh). Aimee (Aimee-Lou Wood) decide di fare qualcosa di nuovo frequentando lezioni d’arte e Adam (Connor Swindells) prova a capire se un’istruzione di tipo tradizionale sia adatta a lui. 

Negli Stati Uniti, Maeve (Emma Mackey) sta vivendo il suo sogno alla prestigiosa Wallace University, in cui segue le lezioni dell’autore di culto Thomas Molloy. Otis si strugge per lei, mentre deve abituarsi al fatto di non essere più figlio unico, con l’irriverente Jean Milburn in dolce attesa (iconica Gillian Anderson) e nemmeno l’unico terapista della scuola…

Emma Mackey as Maeve Wiley in Sex Education Season 4. Cr. Samuel Taylor/Netflix
Emma Mackey as Maeve Wiley in Sex Education Season 4. Cr. Samuel Taylor/Netflix

I nuovi protagonisti della quarta ed ultima stagione di Sex Education

In questa stagione pare faremo la conoscenza anche di nuovi personaggi interpretati da Dan Levy, vincitore dell’Emmy come miglior attore non protagonista per Schitt’s Creek, Thaddea Graham (Doctor Who), Lisa McGrillis (Somewhere Boy), Marie Reuther (Kamikaze), l’attrice e modella Jodie Turner Smith, il comico Eshaan Akbar e gli esordienti Felix Mufti, Anthony Lexa, Alexandra James, Reda Elazouar, Bella Maclean e Imani Yahshua.

A inizio luglio, Netflix ha annunciato che la quarta stagione sarà anche quella finale per la serie. Nella lettera pubblicata ai fan la creatrice, sceneggiatrice e produttrice esecutiva Laurie Nunn ha affermato: «Siamo incredibilmente orgogliosi di Sex Education e siamo in debito con il nostro fantastico team di sceneggiatori, attori e tutta la troupe che ha messo così tanto amore nel realizzare ogni episodio. Hanno lavorato in maniera instancabile per questa stagione finale, e non vediamo l’ora di condividerla con voi».

La stagione finale di Sex Education debutterà il 21 settembre in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo.

 Dua Saleh as Cal Bowman in Sex Education Season 4. Cr. Samuel Taylor/Netflix
Dua Saleh as Cal Bowman in Sex Education Season 4. Cr. Samuel Taylor/Netflix

Respirare Roma: la mission del The Rome EDITION

La catena di hotellerie EDITION della Marriot International e Ian Schrager, il re dell’intrattenimento e padre dello Studio 54 insieme a Steve Rubell, festeggia l’aggiunta di una nuova struttura italianissima: The Rome EDITION.

EDITION Hotels nasce da una partnership che combina l’esperienza di soggiorno individuale, intima, personalizzata e unica tipica dei Boutique Hotel per cui è noto Ian Schrager, con la portata globale,
l’expertise operativa e la dimensione di Marriott, storica multinazionale statunitense nel campo hotel e resort.
Il brand si assume un ruolo pionieristico nel prossimo capitolo della storia degli hotel lifestyle, per un mercato, non pienamente servito, di ospiti benestanti, culturalmente esperti e attenti ai servizi. L’obiettivo è raggiungere un perfetto equilibrio tra design e innovazioni che influenzano il gusto e un servizio coerente ed eccellente su scala globale, ma con una cura e un’attenzione al dettaglio specifici per ogni struttura e città.
Ne deriva una sofisticata costellazione di hotel che toccano New York e Times Square New York, Londra, Miami Beach, West Hollywood, Barcellona, Bodrum, Shanghai, Sanya Cina, Abu Dhabi, Dubai, Tokyo Toranomon, Reykjavik, Madrid e Tampa. Ognuno di essi vede riflesso nell’hotel EDITION di riferimento il proprio spirito sociale e culturale distintivo, permettendo alla clientela di sentirsi completamente calata nel microcosmo unico e speciale della città in cui soggiorna. Ecco perché ciascuna struttura EDITION è pensata e realizzata per essere completamente diversa dalle altre, dove i più alti standard dell’hotellerie di lusso sono l’unico punto in comune che conta.

Interni The Rome EDITION
Interni di The Rome EDITION

The Rome EDITION, la rappresentazione di italianità

Il nuovo The Rome EDITION, dunque, diventa manifestazione concreta della dolce vita, quell’idea di italianità apparentemente inestinguibile perché eternamente romantica e aspirazionale. Strategicamente eretto a due passi da Via Veneto, l’hotel si propone di sostenere completamente i nuovi lifestyle contemporanei veloci ed esigenti, cercando però di restituire una pratica sociale buona e necessaria come l’incontro tra persone. È questo ciò a cui tengono i fondatori: creare spazi d’intrattenimento che permettano interscambi intellettuali e culturali di valore, affinché visitare una struttura EDITION permetta quell’arricchimento personale che si cerca quando si viaggia.
Ecco perché le stanze da letto del Rome EDITION risultano molto piccole rispetto alla lobby, cuore dell’hotel (per tutti gli hotel del marchio) dalle proporzioni magnifiche e maestose. Qui The Lobby vanta
soffitti alti 7 metri con pareti e pavimenti in travertino poroso, a cui si accede da un ampio e lussureggiante cortile privato che si fa sia piazza che spazio per la ristorazione. Si tratta del Garden, che dà il benvenuto agli ospiti del The Rome EDITION con uno spazio interno-esterno concepito come una giungla urbana, ricca di oltre 400 piante e una cascata profumata di gelsomino rampicante sulla facciata.
Già questi spazi esplicitano il dinamismo EDITION e, nello specifico, quello della Città Eterna: una realtà
che sembra essere localizzata fuori dalla dimensione spazio-tempo, dove è possibile rilassarsi tanto quanto fare festa, concentrarsi sul lavoro o cercare l’intrattenimento, ammirare la bellezza circonstante o farsi ammirare, godere dei privilegi individuali tanto quanto dei momenti collettivi più semplici e quotidiani.

Camera da letto The Rome EDITION
Camera da letto di The Rome EDITION
The lobby
The Lobby di The Rome EDITION
Bar di The Rome EDITION
Bar di The Rome EDITION

Prospettiva Van Orton: la doppia anima dei gemelli Schiavon

Il duo artistico Van Orton, formato dai gemelli Marco e Stefano Schiavon, vede per la prima volta la propria produzione riunita in una mostra personale che permette di esplorare il loro percorso artistico, dalle origini nel 2013 ad oggi. Curata da Stefano Papetti, Elisa Mori e Giorgia Berardinelli, Prospettiva Van Orton si articolerà tra le sale del Forte Malatesta di Ascoli Piceno e la Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto dal 14 luglio 2023 al 7 gennaio 2024. La scelta di queste sedi e l’organizzazione della mostra si devono all’Associazione culturale Verticale d’Arte, sostenuta e patrocinata dai Comuni di San Benedetto del Tronto e di Ascoli Piceno.

Prospettiva Van Orton nella Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, Ph. Alice Curatola
Prospettiva Van Orton nella Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, Ph. Alice Curatola


I Van Orton e il loro stile inconfondibile

Un’esperienza emozionale in cui le opere e le produzioni nate dalle collaborazioni più note dei gemelli Schiavon si alternano ad altre inedite e pensate ad hoc per la mostra. Un susseguirsi caleidoscopico di immagini vivide e vari memorabilia dal forte impatto sensoriale, in cui un dichiarato rimando all’immaginario pop convive con l’estetica tradizionale delle vetrate gotiche. Da qui nasce lo stile personalissimo e inconfondibile dei Van Orton.
Nati nel 1983 a Rivoli in Piemonte, i gemelli attingono infatti a quel patrimonio visivo che chiunque sia nato e vissuto negli anni Ottanta ricorda e riconosce molto bene. Anche il loro nome d’arte proviene dalla pop culture e più precisamente dal cinema: Van Orton è il cognome del protagonista di The Game, il celebre film di David Fincher datato 1997 e interpretato da Micheal Douglas. Questo spirito nostalgico però non è fine a se stesso, ma viene sfruttato per rappresentare icone e figure che caratterizzano sia la memoria collettiva del mondo occidentale che la sua contemporaneità.

Ritratto dei Van Orton
Ritratto dei Van Orton


I mondi con cui hanno lavorato nella loro carriera

Il cinema è solo uno dei mondi da cui i gemelli piemontesi sono partiti per lasciare traccia della loro arte: la musica, il design, lo sport, la moda e l’industria dell’automobilismo hanno dato modo ai Van Orton di sfruttare diversi media e supporti, per applicare la loro poetica ad ambiti fortemente commerciali (approccio proprio della Pop Art).
Daqui le creazioni artistiche per Jovanotti, Alessandro Cattelan e per il tour dei Bon Jovi nel 2019 e per il concerto di Eddie Vedder a Firenze nello stesso anno. Ancora, le collaborazioni per Disney e Swatch, quelle per Mercedes e Colmar e per il tour europeo della nuova generazione Ducati Scrambler, che vede in mostra l’unico esemplare di Scrambler® Icon customizzato dagli artisti, gentilmente concesso dalla celebre Casa motociclistica bolognese. E ancora le collaborazioni con Fedez e la sua capsule collection per Sisley, con Sky, Rolling Stone, Radio Dj, Yamaha, la copertina del disco di Jack la Furia dei Club Dogo e la loro interpretazione dei campioni del basket per la Tv Usa Ensp.
Uno stile che è un vero e proprio marchio di fabbrica e che viene racchiuso tra le pagine del catalogo bilingue italiano/inglese a corredo della mostra. Edito da Rrose Sélavy, oltre ai contributi dei curatori nel catalogo si trovano i saggi di Massimiliano Vado, celebre attore e regista, e dello storico dell’arte Matteo Piccioni, insieme a un ricco apparato iconografico.

Porco Rosso - Prospettiva Van Orton
Porco Rosso – Prospettiva Van Orton

Nell’immagine di apertura, Prospettiva Van Orton nella Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto, Ph. Alice Curatola

Uno spettacolo firmato Hilton Italia

Il suono leggero dei passi sulla morbida moquette o il tacchettio brillante di quelli sul marmo lucido. I profumi variegati del buffet nella sala colazione e l’aria frizzante e sensuale del lounge bar all’ora dell’aperitivo. Gli scintillanti carrelli portavaligie che sfilano sulle rotelle veloci e gli ascensori educati che annunciano l’arrivo al piano. Alla reception, un sorriso gentile: “Salve e benvenuti! Vi auguriamo una splendida permanenza”.

E non potrebbe essere altrimenti dato che, in occasione del sessantesimo Anniversario dalla Fondazione del Rome Cavalieri, il primo Hotel di lusso Hilton in Italia, il rinomato marchio leader di settore ci ha invitati nella Città Eterna come ospiti di alcuni dei loro hotel più recenti, per festeggiare insieme con una serata di gala conclusiva.

L’arte dell’ospitalità, il punto di forza dell’azienda Hilton

L’expertise nell’arte dell’ospitalità caratterizza quella grande famiglia che è l’azienda Hilton. Un’arte che è storia, intrisa in ogni angolo delle strutture che compongono il suo grande portfolio di hotel e resort di lusso: Waldorf Astoria, Conrad, Canopy, Hilton, Curio Collection, Double Tree, Tapestry, Motto, Hilton Garden Inn e Hampton. Questa passione e professionalità si percepiscono a partire dall’accoglienza che si riceve non appena varcata la soglia di ogni struttura, fino al clima che caratterizza i rapporti dei diversi team.

A tal proposito, non stupisce che Hilton si sia aggiudicato il primo posto nei Best Workplaces™ 2023 nella categoria delle aziende con oltre 500 collaboratori, come la migliore azienda in cui lavorare. Da sottolineare che il premio Great Place to Work® occupa uno dei più alti livelli di riconoscimento per la qualità della vita lavorativa di un’azienda e Hilton, fin dal 2016, è presente nella graduatoria come unico player nel settore dell’ospitalità.

Atto I: Hilton Rome Eur La Lama

Dal 2023 nel bel mezzo del lattiginoso quartiere dell’EUR si staglia una lama nera di vetro lucido, che pare voler squarciare i cieli romani: si tratta del nuovo Hilton Rome Eur La Lama. Aperta al pubblico recentemente, la visionaria struttura nasce in partnership con la ICARUS S.p.A. e arricchisce il portfolio Hilton, che ad oggi conta 7 hotel in Italia e ben 67 in Europa Continentale.

L’edificio sorge accanto al Rome Convention Center La Nuvola, entrambi ideati dall’Architetto Massimiliano Fuksas, dando origine a una contrapposizione formale affascinante e dall’estetica avveniristica. L’hotel, nei suoi 16 piani per 60 metri di altezza, si propone come meta multifunzionale e internazionale per viaggiatori di piacere o di lavoro, per ospitare eventi, riunioni o appuntamenti giornalieri grazie alla posizione strategica. Con la fermata della metropolitana a pochi passi e i vicini aeroporti di Fiumicino e Ciampino, l’Hilton Rome Eur La Lama è il nuovo place to be di quest’area della città.

Hilton Rome Eur La Lama
L’esterno del Hilton Rome Eur La Lama

L’estetica ispirata agli anni ’30 e ’40 per gli interni del La Lama

Gli interni del La Lama, curati dallo Studio Lorenzo Bellini Atelier, seguono un’estetica dominante che rimanda agli anni Trenta e Quaranta del Novecento, periodo storico in cui è stato sviluppato l’EUR. Questo però viene riattualizzato mediante ampi spazi definiti da linee semplici, dove la fusione tra arredamento Art Decò, architettura d’ispirazione razionalista e marmo statuario della Roma classica creano ambienti intriganti e avvolgenti. I materiali preziosi come il marmo e i metalli si alternano al lambris e al velluto, in giochi di contrasti dati dal nero e il bianco, ammorbiditi dal verde bosco e salvia, dal rosa e l’ocra. 

The Hall
La hall del Hilton Rome Eur La Lama

È proprio su tali contrasti che si sviluppa il fascino dell’Hilton Rome Eur La Lama: in particolar modo, dai contrasti di luci e ombre. Tutto è stato pensato e progettato per garantire un equilibrio luminoso in qualunque area, da quelle comuni alle camere. A partire dai futuristici esterni in vetro nero trasparente che filtrano la luce naturale, si passa alla stele in bronzo di Arnaldo Pomodoro che presidia il centro della hall, slanciandosi verso lo spazio vuoto che raggiunge il sedicesimo piano e su cui si affacciano i ballatoi dei piani e gli ascensori panoramici.

Si procede con il cielo stellato di sfere cristalline in ocra e bronzo, che ricoprono il soffitto a cassettoni del Lounge Bar ‘The Blade’ e la sala ristorante, garantendo un’atmosfera calda, intima e sofisticata. A separare questi due ambienti, il loungeThe Library’ è uno spazio per il relax dove una grande libreria lignea nera ne delimita il perimetro, con al centro un meraviglioso tavolo in bronzo di Osanna Visconti di Modrone, pezzo unico realizzato a mano che richiama la parete bronzea del The Blade.

Lounge Bar "The Blade" del Hilton Rome Eur La Lama
Lounge Bar The Blade del Hilton Rome Eur La Lama

Lounge "The Library" del Hilton Rome Eur La Lama
La lounge The Library del Hilton Rome Eur La Lama

Convivialità ed esclusività, la doppia natura dell’Hilton Rome Eur La Lama

L’incontro tra convivialità ed esclusività è ciò che si vive in questi ambienti: una combinazione perfetta per far sentire al meglio chiunque scelga di frequentare le aree comuni dell’Hilton Rome Eur La Lama, siano essi ospiti interni o esterni. È infatti possibile gustare le proposte gastronomiche dello chef Manuel Carbone sia al The Blade che al Ristorante. Il Lounge Bar poi prevede serate con musica dal vivo e speciali signature cocktail che prendono il nome dei sette colli romani o che si ispirano al quartiere EUR. Ancora una volta, un’experience che permette di immergersi completamente con lo spirito della location e dell’area in cui sorge.

Il Green Restaurant del Hilton Rome Eur La Lama
Il Green Restaurant del Hilton Rome Eur La Lama

Se dalla hall si prende uno dei 6 ascensori panoramici in vetro, salendo ai piani si nota che i ballatoi affacciati sulla lobby sembrano magicamente sospesi nel vuoto. Le diverse superfici in vetro trasparente e nero delle strutture allo stesso modo creano magiche suggestioni di riflessi in costante evoluzione, dall’alba al tramonto e pure di notte. 

Così anche per le 439 camere, dove la vista sui vari angoli dell’EUR si contende il ruolo di protagonista assieme al gioco di colori e contrasti che le caratterizza. Le luci calde, la continuità degli spazi tra camera da letto e bagno, e i sistemi di domotica all’avanguardia danno la sensazione di trovarsi in un ambiente quasi futuristico, ma al contempo accogliente e intimo. Un po’ la sintesi dell’intero hotel.

Vivere l’EUR

Il quartiere è una potenziale attrazione turistica e non, ancora in fase di lancio, ma con tutte le premesse per diventarlo. Ad oggi, presso Palazzo della Civiltà Italiana e soprannominato Palazzo Fendi dopo l’acquisto e la ristrutturazione dell’edificio da parte del brand di moda nel 2017, è allestita la mostra ‘Il Grande Teatro delle Civiltà’. Si tratta di una mostra che esplora gli oltre 70 anni di operato di Arnaldo Pomodoro, uno dei principali scultori contemporanei ancora all’attivo.

Documenti, fotografie, sculture, incisioni e strumenti sono disposti dentro e fuori il piano terra del Colosseo quadrato, segnando il primo allestimento realizzato al di fuori della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. Roma costituisce la città perfetta per questa prima volta storica, dato il profondo legame che condivide con l’artista e testimoniato dalla presenza di numerose sue sculture in molteplici punti urbani. Per citarne qualcuna: la nota Sfera grande al piazzale della Farnesina e la Sfera con sfera in Città del Vaticano. La mostra è stata curata da Lorenzo Respi e Andrea Viliani e sarà aperta ai visitatori fino al 1° ottobre 2023.

Le mete più suggestive della Città Eterna

Mete irrinunciabili per chi passa da queste parti sono anche il laghetto artificiale dell’EUR e il grande parco da cui è circondato. Punto di riferimento per i residenti e non, grazie alla presenza di bar e ristoranti all’aperto, piscine e possibilità di remare in canoa o divertirsi in pedalò, il parco è anche noto per le passeggiate. In particolare, la passeggiata del Giappone tra i ciliegi donati a Roma da Tokyo e la passeggiata verso il Giardino delle Cascate. Ben visibile sopra al laghetto poi si trova la Palalottomotica, ovvero il luogo dei grandi eventi sportivi o concerti.

Ancora, in fondo alla via dello shopping viale Europa, svetta in cima a una lunga scalinata la Basilica dei Santi Pietro e Paolo, con la caratteristica cupola bene in vista (la quarta più grande a Roma dopo Pantheon, San Pietro e San Giovanni). Presidiata dalle imponenti statue dei due patroni della città, la moderna basilica e il suo ampio esterno si sono spesso prestate a importanti set cinematografici, come nel caso di Gomorra.

Infine, foto di rito da scattare di fronte all’obelisco dell’Eur, anche detto di Marconi in quanto realizzato per ricordare l’inventore, imprenditore e senatore Guglielmo Marconi. Con i suoi 45 metri è uno dei più alti di Roma, oltre che un punto centrale del quartiere.

Atto II: Aleph Rome Hotel, Curio Collection by Hilton 

Gioiello dal fascino neoclassico, intriso di un certo je ne sais quoi medio orientale, l’Aleph Rome Hotel è un’elegante proprietà della Curio Collection by Hilton (uno dei 22 in Europa Continentale e dei 5 in Italia), incastonata nel cuore di Roma, a pochi passi da Piazza di Spagna, Fontana di Trevi e Villa Borghese.

L'esterno dell'Aleph Rome Hotel
L’esterno dell’Aleph Rome Hotel

L’edificio è stato acquistato da Al Rayyan Tourism Investment Company “ARTIC” nel 2015 e, in seguito a un importante intervento di restauro, ha riaperto il magnifico portone dal 2017.

Varcandone la soglia si viene colpiti immediatamente dall’imponenza maestosa e ricca di storia della proprietà: la palette di marmo bianco lucente, marmo verde cipollino, giallo indus gold e onice verde pallido colora grandi colonne doriche, soffitti altissimi, pavimenti intarsiati e sculture marmoree spesso originali. Una fragranza inebriante e appositamente studiata per la struttura accompagna ogni passo degli ospiti, rivelandosi differente in ogni ambiente dell’Aleph Rome Hotel.

La hall dell'Aleph Rome Hotel
La hall dell’Aleph Rome Hotel

La particolarità degli spazi, ampissimi negli ambienti comuni e piuttosto stretti nelle zone di collegamento, risiede nell’originale scopo d’utilizzo del palazzo. L’edificio nasce infatti negli anni Trenta come importante istituto bancario, così come suggerito dalla facciata con iscritto il motto delle Casse di Risparmio, il gruppo scultoreo raffigurante la Dea dell’Abbondanza che adorna li portale, e i due leoni in ingresso adagiati sotto un arco, a sua volta abbellito da un’alternanza di api e salvadanai (espressioni di laboriosità e risparmio).

Un edificio storico e moderno al tempo stesso

Questa volontà di mantenere un rapporto di continuità con la fondazione dell’edificio e la sua funzione passata, con la città di Roma e con la nuova proprietà qatariota si respira in tutti i dettagli dell’Aleph Rome Hotel. Il design degli arredamenti e i materiali pregiati scelti, i pezzi d’arte e la luminosità onnipresente, i colori tenui e rilassanti donano un’atmosfera sontuosa e raffinata, mai sfarzosa, ma semplice e contemporanea. 

Ciò ben si riflette nelle camere, anch’esse con alti soffitti e pavimenti in marmo, dove i colori chiari e discreti, dominanti negli arredi e nelle tappezzerie, conferiscono agli ambienti una brillante luminosità, ariosità, comfort e sofisticata eleganza. Ogni suite è stata poi battezzata con uno storico nome romano della tradizione e vanta un ambiente open space con living room, king size bed e vetrate doppie per garantire il silenzio nonostante la posizione centrale dell’hotel.

Trascorrere il tempo all’Aleph è un piacere non solo per gli occhi, ma soprattutto per le diverse esperienze da vivere ogni qualvolta si scopre uno dei locali interni.

L’ambiente trendy e sofisticato del bistrot 1930’s Coffee Break

Al piano terra, il bistrot 1930’s Coffee Break unisce l’amore per l’accoglienza e per il caffè tipicamente italiani con e le necessità di un lifestyle cosmopolita, dando vita ad un ambiente trendy ma sofisticato. Qui è possibile rilassarsi a colazione o godersi il pranzo, anche di lavoro grazie alla possibilità di fare smart working, fermarsi per una merenda e scegliere sempre se gustare le prelibatezza in loco o take away. Menzione speciale va alla miscela di caffè Bondolfi, proposta storica ed esclusiva del 1930’s macinata nella macchina a leva tradizionale Athena Leva, ammirabile nel locale e originaria della celebre casa Victoria Arduino.

Il bistrot 1930’s Coffee Break dell'Aleph Rome Hotel
Il bistrot 1930’s Coffee Break dell’Aleph Rome Hotel

Le Petit Chef, lo spettacolo multisensoriale offerto dal Ristorante 1930 dell’Aleph

Un twist inaspettato e apprezzatissimo sia dagli ospiti dell’hotel che da chiunque ci si rechi appositamente, è l’esperienza d’intrattenimento Le Petite Chef. In esclusiva per l’Italia, si tratta di un innovativo spettacolo multisensoriale calato all’interno della cornice del Ristorante 1930 dell’Aleph, che vede protagonista il più piccolo chef del mondo alle prese con la preparazione di alcuni piatti prelibati, tra peripezie e ostacoli buffi. Seduti ai tavoli del ristorante, gli ospiti vedranno svolgersi davanti ai loro occhi una proiezione avvincente e entusiasmante, nata dall’utilizzo della tecnica del videomapping e della realtà aumentata, creata nel 2015 dal collettivo artistico olandese Skullmapping. A fine proiezione, i camerieri serviranno ai commensali il medesimo piatto che Le Petit Chef ha preparato nel cartoon, passando così dall’esperienza virtuale a quella sensoriale. Il tutto si ripete per il numero delle portate previste dal menu. Gustare prelibatezze non è mai stato così divertente!

Relax, divertimento e spensieratezza dell’Onyx Bar e Cognac Lounge

Se invece vi appassiona la mixology più innovativa o siete cultori di cognac e sigari, l’Onyx Bar e la Cognac Lounge vi attendono con i loro spazi perfettamente studiati e concepiti per godere della miglior esperienza possibile, all’insegna del relax, divertimento e spensieratezza. Location raffinate dove l’arredamento e i materiali sono protagonisti e garantiscono qualità, sia per l’offerta di drink, distillati e sigari, che per il servizio di altissimo livello, grazie alla competenza dello staff.

Onyx Bar dell'Aleph Rome Hotel
L’Onyx Bar dell’Aleph Rome Hotel

All’Onyx Bar noi di Manintown abbiamo avuto il piacere di seguire una cocktail class con il bartender e mixology expert dell’hotel, Lorenzo, un giovane pozzo di conoscenza che si è rivelato tanto simpatico quanto un abile maestro.

La cucina mediterranea con influenze romane e campane dello chef Carmine Buonanno

Ai piani superiori si trovano lo Sky Blue Restaurant e l’Organics Skygarden, ossia la terrazza bar con piscina riscaldata sul rooftop, in collaborazione con The ORGANICS By Red Bull.

Il ristorante in particolarea è il palcoscenico delle proposte culinarie dell’Executive chef dell’Aleph Rome Hotel, Carmine Buonanno. Con un passato in diversi ristoranti stellati e una posizione da Executive Chef del Gran Melia Villa Agrippina di Roma, Carmine si focalizza sulla cucina mediterranea, con forti influenze tradizionali romane e suggestioni dell’entroterra campano. Quest’ultimo dettaglio, in particolare, riflette il tocco personalissimo dello chef originario di Benevento.

La terrazza Organics Skygarden dell'Aleph Rome Hotel
La terrazza Organics Skygarden dell’Aleph Rome Hotel

La cura della persona grazie a Le Caveau by Gili Spa

Tornando per un momento alla nuova acquisizione qatariota dell’Aleph, troviamo un’ulteriore meravigliosa influenza mediorientale nell’area spa e fitness con piscina coperta, nel sotterraneo. Qui la cura della persona diviene forma di culto del corpo e dello spirito, grazie alla collaborazione con Fabrizio Narducci, esperto di bellezza e beauty con cui Aleph ha dato vita a Le Caveau by Gili Spa.

Il nome rimanda all’elemento che rende davvero unica questa area wellness: la massiccia porta blindata originale del caveau che occupava questo piano, concepito come deposito valori negli anni Trenta. Protetta dai Beni Culturali, oggi la porta affaccia sulla sala fitness, posta di fronte a un’area dedicata al servizio di hairstyle e all’area relax. Qui il fiore all’occhiello è il rituale dell’hammam eseguito alla perfezione secondo i dettami della tradizione araba.

Le Caveau Spa
Le Caveau by Gili Spa dell’Aleph Rome Hotel

Gran Finale: Rome Cavalieri, a Waldorf Astoria Hotel

Il taxi affronta l’asfalto in salita, una curva, poi un’altra ancora: immerso nel lussureggiante verde della collina Monte Mario regna indisturbato l’altrettanto lussureggiante resort Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel. 

L’aura regale che lo circonda risiede innanzitutto nel nome, di derivazione secolare: rimanda infatti all’itinerario storico che i viaggiatori a cavallo percorrevano per spostarsi tra Canterbury a Roma, che prende il nome di Via Francigena. Monte Mario era la collina su cui i pellegrini, comunemente definiti “i cavalieri” si fermavano a riposare e a rifocillare i cavalli prima dell’arrivo a San Pietro. In onore di questi impavidi personaggi l’albergo ha preso il nome “Cavalieri”.

Unico in Italia nel suo genere, il resort rappresenta l’eccellenza e i valori del brand Waldorf Astoria: fondato da Conrad Hilton in persona nel 1963, l’edificio volge lo sguardo a sei ettari di parco, oltre che al panorama mozzafiato sulla Città Eterna, di cui è possibile riconoscere la gran parte dei principali monumenti e architetture iconiche.

Come se non bastasse, è possibile godere al meglio di questa vista dai balconi privati di tutte le 370 ampie camere, di cui 25 Suite (tra gli 80 e 450 mq), che garantiscono un’impronta indelebile nella memoria di chiunque abbia la fortuna di soggiornare al Rome Cavalieri.

Le lussuose scale del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel
Le lussuose scale del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel

Sontuosità, fasto e sfarzo: un hotel unico nel suo genere

Sontuosità, fasto e sfarzo travolgono gli ospiti come un’ondata di meraviglia non appena vengono accompagnati nell’enorme hall dell’hotel. Marmo imponente in mille sfumature e lavorazioni, cristalli, metalli e legni preziosi arredano gli spazi in cui sono incorniciati gli oltre 1.000 pezzi d’arte di proprietà del Rome Cavalieri.

La Reception del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel
La Reception del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel

Un’autentica collezione d’arte che decora gli interni come se fossimo all’interno di un museo e infatti una sezione dell’edificio è adibita a questo fine, con la possibilità di richiedere una visita guidata al personale del front desk. Il famoso trittico di Giambattista Tiepolo, fiore all’occhiello della collezione, gli arazzi più pregiati delle botteghe Gobelin Beauvais i mobili di Boulè, le sculture di Thorvaldsen, le opere di Andy Warhol, Indiana e molto altro circondano con nonchalance gli ospiti che vivono gli spazi del Rome Cavalieri.

la collezione d'arte La Reception del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel
La collezione d’arte La Reception del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel

Tra questo ed altri privilegi di cui godono gli ospiti dell’hotel, c’è anche l’accesso esclusivo all’Imperial Club per coloro che soggiornano nelle Imperial Rooms e nelle Suite, grazie a un ascensore privato che li conduce al piano dedicato. Si tratta di un luogo d’incontro riservato, dove durante l’intera giornata vengono offerti colazione, light lunch e tè pomeridiano.

Cavalieri Grand Spa Club 

Aperta a tutti gli ospiti invece è il Cavalieri Grand Spa Club, forse la più lussuosa e affascinante delle Spa e Fitness in Italia: una superficie di 2.200 mq in cui benessere e bellezza sono le parole d’ordine e in cui si viene accolti dal cortese personale altamente qualificato.

Il Rome Cavalieri è stato uno dei primi alberghi Cinque Stelle Lusso di Roma a dotarsi di un centro benessere funzionale e tecnologicamente super accessoriato, in cui sia la clientela internazionale, sia agli ospiti esterni possono raggiungere, a soli 10 minuti dal centro storico.

Area Beauty, palestra e piscine, il meglio del Rome Cavalieri

La presenza dell’Area Beauty denota un tocco di classe di questo centro, dove dieci sale offrono trattamenti estetici che si avvalgono delle prestigiose e sofisticate linee La Prairie e Natura Bissè, per una perfetta fusione tra bellezza, benessere e piacere.

Si aggiunge a questo piano una palestra suddivisa in vari ambienti, attrezzata completamente Technogym, in quanto garanzia della più alta tecnologia d’avanguardia, e con la possibilità di richiedere l’assistenza di Personal Trainer. E per chi ama il fitness e l’aria aperta, il percorso jogging di 800 mt nel parco privato è la soluzione perfetta, attrezzato con “stazioni ginniche” specifiche, e inclusivo di due campi da tennis “Coppa Davis size”, in terra battuta e illuminazione a giorno. 

Infine, non possono mancare le piscine (molteplici), all’esterno e all’interno della struttura. La piscina interna, in particolare, si distingue per una spettacolare cupola di vetro che la ricopre e la veranda a giorno con vista sul parco, che la fanno somigliare a un luogo incantato. La cascata, la vasca idromassaggio, il percorso calidarium e frigidarium, il “cammino giapponese” e un grande camino a legna completano il percorso del benessere firmato Cavalieri Grand Spa Club.

La piscina interna del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel
La piscina interna del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel

Ristorante panoramico La Pergola 

Una struttura di extra lusso come il Rome Cavalieri non può che avvalersi dei migliori esperti in tutti i campi dei numerosi servizi che offre e la ristorazione è senza dubbio uno dei pilastri di questo concetto di ospitalità. Lo chef di fama internazionale Heinz Beck dirige dal 1994 le cucine del ristorante La Pergola, situato sul Roof Garden dell’hotel e considerato il più panoramico dei ristoranti di Roma. Con le sue 3 stelle Michelin, il ristorante onora la tradizione culinaria mediterranea, in un ambiente accogliente e raffinato, in linea con lo stile del Rome Cavalieri. Il servizio e l’accoglienza impeccabili sottostanno all’attenta guida di Simone Pinoli, mentre la straordinaria cantina da oltre 60.000 bottiglie e 3.500 etichette vede la selezione sapiente di Marco Reitano.

Menzione speciale va fatta al “L’Uliveto”,l’altro ristorante di casa Rome Cavalieri che si affaccia sul parco, in prossimità della piscina, dove i menu di cucina italiana ed internazionale sono firmati dall’Executive Chef chef Fabio Boschero e dall’Executive Pastry Chef Dario Nuti. Squisite le sue perle di cioccolato dai gusti inediti, che vengono fatte trovare come dolci cadeaux all’interno delle camere per gli ospiti.

La cena di gala

Tutta questa ambientazione da sogno ha fatto da scenografia alla cena di gala con cui si sono festeggiati i 60 anni del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel. La guess list vantava il jazz set romano e internazionale, oltre che la stampa e alcuni dirigenti dei team aziendali Hilton. Una serata all’insegna della memoria e della gratitudine per i risultati raggiunti da una realtà-impero che è davvero unico ed esclusivo.

Seduti attorno ai tavoli riccamente decorati e disposti sulla terrazza della piscina centrale del parco, gli ospiti hanno goduto della cena gourmet a base di pesce ideata dall’Executive Chef Fabio Boschero. Astice blu del Mediterraneo in bellavista, velo di asparagi bianchi, maionese e caviale di storione, tortelloni al nero di seppia con scorfano nella sua bisque, per passare poi al branzino scottato allo yuzu e soia, soffice di carote allo zenzero, emulsione al basilico.

A concludere, il dessert carpaccio di mango, perle di tapioca al cocco, corallo vaniglia dell’Executive Pastry chef Dario Nuti. Nell’aria un’atmosfera swinging sixities ricreata dalla nota tribute band dei Beatles, i The Beatbox, che hanno suonato per tutta la serata. Toccanti poi gli interventi di Alessandro Cabella, Managing Director del Rome Cavalieri e Hilton Area General Manager Italy, e di Simon Vincent, Executive Vice President and President of Europe Middle East and Africa, Hilton. Oltre ad aver accolto e salutato ciascuno dei presenti, hanno dimostrato un’ammirabile attenzione nei confronti di tutti i dipendenti del grandissimo team-famiglia Hilton, che sono stati elencati nei loro speech. Una conferma di ciò che rende questa azienda un leader nel settore dell’ospitalità: l’attenzione sincera e la cura per il prossimo. Che si tratti di un ospite o meno. 

Pride Month 2023: esprimersi con orgoglio, orgogliosə di esprimersi

Con la sua presenza all’interno del calendario, anche se per lo più ufficiosa e limitata ad alcuni paesi nel mondo, il Pride Month rappresenta una vittoria. La sua sola esistenza permette di ricordare, a chi si sente ai margini della società, che esiste una comunità per loro, un insieme di persone che vivono nella propria quotidianità – chi più chi meno – le medesime battaglie, frustrazioni, soddisfazioni, emozioni. Perché per quanto il volersi bene sia il primo passo per camminare con fierezza tra la folla, percepire l’amore e il sostegno di altri è ugualmente importante per sentirsi parte di qualcosa di più grande, parte di un gruppo riconosciuto e di conseguenza esistente. Se non esisti non vieni considerato, non puoi permetterti di alzare la voce, dire la tua, fare delle scelte che possano giovare a te e a chi ti sta intorno. Se non esisti, non puoi rivendicare i tuoi diritti.
Ecco, quindi, l’importanza del sentirsi persone riconosciute, accettate e considerate al pari degli altri cittadini. Ecco l’importanza dell’esprimere orgoglio per chi siamo e come siamo.

Le fondamenta che ci permettono di percorrere nuovi sentieri

Il mese del Pride, però, porta con sé anche una scia di ricordi, la memoria della lotta in cui tanti, troppi componenti della comunità Lgbtqia+ hanno perso la vita per contrastare discriminazioni, violenze, ignoranza e odio. Due personalità iconiche nella storia della rivendicazione dei diritti civili sono Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera, che hanno contribuito alla formazione di una coscienza collettiva della comunità queer americana. Sono infatti riconosciute come le figure più note dei moti di Stonewall, ossia le sei giornate di protesta contro i soprusi quotidiani delle forze dell’ordine al Greenwich Village di New York, nel 1969.

Pride Month 2023

Per restare ad esempi a noi più vicini, pensiamo ai membri del Fuori!, il “Fronte Unitario di Liberazione Omosessuale” nato a Torino negli anni di piombo, ovvero il primo movimento gay, militante, rivoluzionario e italiano ad aver reagito all’idea, ancora ben salda a quei tempi, che l’omosessualità fosse una malattia. E, ancora, si possono citare tutte quelle organizzazioni per la battaglia contro l’AIDS  che, negli anni Ottanta e Novanta, hanno educato e agito contro lo stigma (tuttora presente) che la definisce “malattia dei degenerati”.

Oggi esistono numerose realtà, dentro e fuori la politica “ufficiale”, che a livello internazionale si prodigano nell’attivismo e nel perseguimento di un mondo in cui chiunque faccia parte della comunità Lgbtqia+ veda riconosciuti i propri diritti, come ogni altro cittadino, indipendentemente dalla propria identità di genere, orientamento sessuale, etnia e classe sociale. La strada è ancora lunga, ma riconoscere i traguardi raggiunti è ugualmente importante.

Milano e l’Orgoglio di Porta Venezia

L’amministrazione della città di Milano è da molti anni in prima linea su questo fronte, e quest’anno, per la prima volta, l’Associazione Commercianti Porta Venezia Milano Rainbow District presenta Orgoglio Porta Venezia, un evento per la difesa dei diritti Lgbtqia+.
L’Associazione nasce nel 2018 da un gruppo di esercenti che operano e animano lo storico quartiere milanese, con l’obiettivo di tutelare, promuovere e sostenere la libera iniziativa degli imprenditori, innescando dei circoli virtuosi per rafforzare la visione di rinascita e riqualificazione del distretto e unire le comunità locali per generare appartenenza. Si tratterà di uno spazio volutamente aperto alla visibilità, all’ascolto e al supporto delle persone queer che vivono in situazioni di marginalità, isolamento o discriminazione.

Nel mese di giugno, Orgoglio Porta Venezia presenta un calendario ricco di appuntamenti, organizzato in collaborazione con l’agenzia FLOAT in Ideas!, con il patrocinio del Comune di Milano, Confcommercio Milano e con il sostegno di Absolut e MTV Italia, aziende che da sempre sostengono apertamente la community Lgbtqia+. All’iniziativa collabora, inoltre, un comitato di associazioni e attivisti milanesi: Pride Sport Milano, Gate Volley Milano, Front Runners Milano, Milano Checkpoint, DonneXStrada, Ala Milano Onlus.

Il rapporto della moda (e non solo) con la comunità Lgbtqia+

Il mondo della moda è legato a doppio filo alla comunità, sotto diversi aspetti e per numerose motivazioni storico-culturali, per cui non c’è da stupirsi che numerosi brand si aggiungano alla festa per celebrare insieme il Pride Month, in segno di solidarietà, rispetto, affetto e sostegno.

Alcune maison di lusso si mettono in prima fila nella parata, non limitando la partecipazione al mese di giugno, ma portandola avanti tutto l’anno. Un esempio è Mugler, marchio fondato dal visionario Thierry Mugler a metà degli anni ’70, il cui attuale direttore creativo, Casey Cadwallader, ha fatto dell’inclusione e del rispetto delle complessità umane in tutte le loro sfaccettature la propria firma. Partendo da una presentazione cinematografica e molto edgy delle sfilate digitali, lo stilista americano è arrivato a mettere in scena veri e propri spettacoli IRL, come per la collezione Fall/Winter 2023, dove i riferimenti alla ballroom culture e al mondo queer contemporaneo sono evidenti, loud and proud.

Pride Month moda
Mugler Fall/Winter 2023 (ph. by Julien De Rosa/AFP via Getty Images)

Da Gucci, sia durante l’era di Tom Ford che in quella appena terminata di Alessandro Michele, la comunicazione è sempre stata palesemente intrisa di messaggi, provocazioni e dichiarazioni a favore del rispetto e ammirazione per la comunità Lgbtqia+. Proprio il titolo del sopracitato Fuori! è apparso stampato su alcuni capi dell’ultima collezione di Michele per la casa fiorentina, il défilé Twinsburg, a dimostrazione dell’intenzione commemorativa, educativa e politica dell’ex direttore creativo della griffe e del sostegno di questa a simili temi.

Pride Month Gucci
Twinsburg Collection, Gucci

Le iniziative ad hoc dei brand, da Stella McCartney a Diesel

Altri brand di lusso espongono in misura maggiore, nel mese in corso, la loro posizione sui diritti civili. Da Stella McCartney, ad esempio, il Pride Month 2023 si festeggia con la “Stellabrazione” della comunità Lgbtqia+: ad alcuni membri selezionati, è stato dunque concesso di proporre contenuti per la piattaforma del marchio, dando loro il pieno controllo creativo del processo, così da restituire il potere di raccontare la propria storia a chi, molto spesso, il potere lo subisce e vede negata l’opportunità di raccontarsi. La campagna invita anche a sostenere l’organizzazione di beneficenza Not A Phase, che si adopera per migliorare la vita delle persone adulte trans in tutto il Regno Unito.

Pride Month Stella McCartney
Adv della collezione per il Pride di Stella McCartney

Arriva puntualissima, poi, la (rinnovata) collaborazione di Diesel con la Fondazione Tom of Finland e l’istituto d’arte multidisciplinare The Community, che in occasione del Pride 2023 presentano The AllTogether Clubhouse: si tratta di una mostra collettiva, accompagnata da una programmazione di eventi giornaliera presso lo spazio Clubhouse, nel West Village newyorchese, storico epicentro della cultura e dell’attivismo queer. Per l’occasione, l’etichetta diretta da Glenn Martens ha prodotto una speciale capsule che amplifica il messaggio di libertà d’espressione, sessualità e individualismo da sempre fondamentale per il marchio.

La collezione punta i riflettori su una nuova serie di artisti della Fondazione Tom of Finland: fotografi, registi, illustratori che si dedicano all’arte erotica e queer, tra cui Stanley Stellar, Michael Mitchell, Viktoria Raykova, oltre naturalmente allo stesso illustratore finlandese. Le loro potenti immagini, attentamente curate con The Community per illustrare uomini gay in momenti di disinvolta libertà e gioia (sociale, sessuale e romantica), vengono applicate come stampe e patchwork su tutti pezzi, dalle T-shirt ai jeans ai sospensori.

Pride Month Diesel
AllTogether Clubhouse Pride Capsule, Diesel

L’underwear “esplicito” di Calvin Klein, le collezioni inclusive del marchio di activewear So What

Anche altri big del fashion system hanno fuso l’estetica queer con i rispettivi prodotti di punta, come Calvin Klein con il suo underwear da sempre giovane e sexy, ma oggi più esplicito che mai nel voler supportare la comunità Lgbtqia+. La griffe americana, infatti, sostiene con orgoglio la federazione globale ILGA World e Transgender Law Center, la più grande organizzazione nazionale guidata da persone trans che sostiene l’autodeterminazione per chiunque.

E su questa scia seguono anche realtà minori, come da So What, nuovo brand internazionale di activewear che ha realizzato una collezione per celebrare tutte le forme, nel rispetto di ogni diversità. Dalla 2XS alla 3XL, la nuova collezione si pone l’obiettivo di abbattere ogni forma di giudizio, scardinare luoghi comuni e modelli irraggiungibili; la strategia è quella di esaltare le differenze e offrire una vasta scelta di articoli per chiunque, in tutte le taglie. L’individualità, la libertà di esistere ed esprimersi sono al centro di So What, il cui processo di design sfida lo status quo, con la creazione di pezzi che diventano un’estensione di chi li indossa.

Pride Month Fashion
So What

La celebrazione dell’individualità di Personal Parade, la nuova collezione Disney Pride

E ancora, si può citare nuova campagna estiva del marchio ucraino Personal Parade, che con il suo intimo vivace è progettato per celebrare l’individualità e dare potere di esprimersi a chiunque lo scelga. Il motto della label, «non hai bisogno di una festa per fare una parata», sprona a trovare la gioia nella vita di tutti i giorni, celebrando la propria unicità e abbracciando la propria vera essenza per amarsi, rimanendo giocosi.
In un mondo in cui il giudizio è spesso basato sull’aspetto esteriore e il comportamento, la campagna del brand invita con audacia a «non valutare le persone dal loro aspetto o comportamento, perché non le conosci veramente». I tessuti traforati tipo sangallo (con le p di Personal Parade) e il pizzo, sia per le camicie a manica corta che per i bermuda, le linee nette, da divisa da scolaretto, alternate agli orli ondulati come petali, esprimono leggerezza e delicatezza, i colori pastello, in varie tonalità di azzurro, giallo e verde, richiamano l’estate e la spensieratezza.

Pride Month capsule
Campagna Personal Parade

Infine, con alle spalle la recente uscita del live action La Sirenetta, anche Disney ha svelato la nuova collezione Disney Pride, composta di abbigliamento, accessori, peluche, spille, articoli per la casa e tanti altri prodotti ispirati ai personaggi della casa e a quelli di Star Wars e Marvel, che incoraggiano i fan a essere sempre più forti e orgogliosi. Il colosso statunitense, infatti, dimostra da tempo il proprio impegno in questa direzione, collaborando con organizzazioni no-profit e lanciando contenuti che puntano ad amplificare le storie queer, consapevole dell’importanza di una loro rappresentazione più accurata nei media e nell’intrattenimento. La collezione Disney Pride è firmata shopDisney ed è stata creata esclusivamente da membri e sostenitori della comunità Lgbtqia+, a ribadire l’onestà e correttezza d’intenti del progetto.

Pride Month Disney
Disney Pride

Foot Locker X Peacox Basketball Milano

È partita la campagna Summer Jam di Foot Locker, legata all’iniziativa Raise The Game: da giugno ad agosto le città di Londra, Parigi, Barcellona, Rotterdam, Berlino e Milano saranno protagoniste di una serie di attività incentrate sul basket e sulla cultura della pallacanestro, pensate come motori di un cambiamento positivo possibile nella vita di coloro che lo necessitano.

Nel tempo Foot Locker ha collaborato, celebrato e sostenuto realtà e comunità locali in varie città tramite diversi progetti significativi e quest’anno, in occasione della Pride Week di Milano, l’azienda si lega ai Peacox Basket Milano, la prima squadra di basket completamente inclusiva in Italia. I Peacox saranno infatti i principali ospiti della campagna Summer Jam e delle attività presso il campo da basket di Foot Locker in Viale Lazio, ristrutturato nel luglio 2021. Qui si terrà il Pride Event: un torneo di basket e talk finalizzati alla sensibilizzazione, sostegno e promozione dell’inclusione nel mondo dello sport. Per l’occasione poi è stata creata una linea di calzini sportivi dedicati alla Pride Week di Milano, disponibili negli store di Corso Buenos Aires, Corso Vittorio Emanuele e Via Torino. Il ricavato verrà devoluto alla Pride Sport Milano, l’associazione che promuove gentilezza, rispetto e inclusione nello sport.

Foot Locker x Peacox Basketball Milano
Foot Locker x Peacox Basketball Milano

Foot Locker Pride Socks
Foot Locker Pride Socks

London Calling: un weekend nella capitale della Union Jack

Londra è forse una delle capitali europee in cui meglio si esprime la combinazione tra spirito storico, tipico delle città del Vecchio Continente, e progresso contemporaneo. Lo si deve soprattutto all’influenza secolare che esercita la monarchia inglese, ancora regnante, e al frizzante contesto socioculturale metropolitano che, nella seconda metà del Novecento, ha visto nascere le principali controculture europee, alcune delle quali mantengono uno status cult ancora oggi.
Con la smodata quantità di stimoli che offre la city, organizzarvi un weekend può rivelarsi un’impresa demoralizzante: ecco quindi una proposta di tour londinese firmata MANINTOWN.

La recente incoronazione del nuovo monarca Carlo III, succeduto alla regina Elisabetta II dopo la morte della sovrana più longeva di sempre, avvenuta l’8 settembre 2022, ha rinnovato l’animo patriottico britannico, l’ammirazione per alcuni componenti della royal family e fornito l’occasione per un ripasso di storia inglese al resto del mondo. Per questo motivo, la prima parte della permanenza sarà caratterizzata dalla riscoperta di alcuni capisaldi del ricco passato aristocratico del Regno Unito.

The Gore London Hotel

Il chek-in al The Gore Hotel permette di respirare subito l’aria quintessenzialmente britannica, un po’ nostalgica e decisamente lussuosa del quartiere di Kensington. Fondato nel 1892 da due sorelle discendenti del capitano James Cook, celebre esploratore settecentesco, questo boutique hotel nasce come residenza di servizio per i visitatori della grande esposizione di Londra, organizzata sotto il patrocinio del principe Alberto, consorte della regina Vittoria. All’epoca la struttura accolse gli ospiti che volevano soggiornare nel cuore della “zona più alla moda della città”, vale a dire negli edifici ai civici 189 e 190 di Queen’s Gate, che formano il Gore oggi.

Un weekend a Londra guida
The Gore Library

Esempio dell’antico lustro britannico, con personale in livrea, carrozze trainate da cavalli e un ascensore idraulico (allora vero simbolo di ricchezza e modernità), oggi sono rimasti i letti antichi intagliati e le opere d’arte originali, insieme a pezzi raccolti a mano e dettagli d’epoca, che arricchiscono i sei piani della struttura.

Il quartiere londinese in cui è immerso l’hotel vanta la presenza della Royal Albert Hall, oltre che dell’adiacente, iconico Bar 190: qui i pannelli di legno originali e gli arredi sontuosi dominano bancone e pareti, decorate con le immagini della famosa festa di lancio dell’album Beggars Banquet dei Rolling Stones, tenutasi il 6 dicembre 1968. Il Gore Hotel di Kensington venne scelto in quanto struttura particolarmente adatta a richiamare un’atmosfera artistica e démodé, in provocatoria contrapposizione allo stile musicale ed estetico della band. Fun fact: i Rolling Stones si presentarono al banchetto abbigliati come ironici menestrelli medievali, e conclusero la serata aizzando una vera e propria guerra di torte in faccia.

weekend a Londra
The Gore Judy Garland junior suite

Style & Society: Dressing the Georgians

Una passeggiata attraverso il maestoso Hyde Park, in cui si trova la statua commemorativa di Lady Diana, è d’obbligo per raggiungere la Queen’s Gallery di Buckingham Palace.
Costruito nel 1831 all’angolo sud-ovest del palazzo, di fronte al giardino, l’edificio era uno dei tre identici conservatori di Buckingham, ma venne distrutto in un raid aereo nel 1940, dopo essere stato ripensato come cappella per la regina Vittoria. Su suggerimento della Regina e del Duca di Edimburgo, la cappella in rovina fu riqualificata come galleria per la Royal Collection nel 1962 e infine modernizzata per celebrare il Giubileo d’Oro della regina Elisabetta. L’espansione della Gallery, inaugurata dalla sovrana nel maggio del 2002, è stata l’aggiunta più significativa a Buckingham Palace in 150 anni di storia.

Weekend a Londra mostre
Queen Charlotte, Thomas Gainsborough (ph. Royal Collection Trust)

Al suo interno, in questo periodo, è possibile visitare l’esposizione Style & Society: Dressing the Georgians, che permette di esplorare la vita rivoluzionaria e lo stile dei georgiani, dal vestito pratico del personale domestico agli abiti scintillanti sfoggiati a corte.
La mostra rivela cosa può dirci la moda sulla vita nella Gran Bretagna del XVIII secolo: un periodo rivoluzionario di commercio, viaggi e tecnologia, che ha rinnovato e diffuso le tendenze d’abbigliamento a tutti i livelli della società.

Si intuisce come i georgiani abbiano introdotto molte delle tendenze culturali odierne, tra cui i primi stilisti e “influencer”, la nascita di una stampa fashion specializzata e lo sviluppo dello shopping come attività ricreativa. Tutto ciò passa all’osservatore tramite i magnifici dipinti, stampe e disegni di artisti come Gainsborough, Zoffany e Hogarth, oltre ai lussuosi tessuti, ai gioielli scintillanti e alla gamma di accessori esposti, dalle scatole da tabacco alle spade.

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Un dipinto in mostra (ph. Royal Collection Trust)

Floris London

Per concludere la giornata con un’esperienza più leggera, ma pur sempre formativa, ci dirigiamo al numero 89 di Jermyn Street, in St. James’s Square, dove gli aromi di Floris London ci accolgono e risvegliano i nostri sensi. Si tratta di un edificio inserito nella National Heritage List nazionale; vanta più di 300 anni di esistenza – e resistenza – come caposaldo del settore della profumeria di lusso internazionale.
Una volta varcate le celebri porte blu della boutique, ci si addentra in un microcosmo davvero affascinante, intriso di passione, artigianato e interni d’antan. Gli armadi in mogano spagnolo e le opere in vetro risalgono infatti al 1851, l’anno della Great Exhibition di Londra, a testimonianza della storicità del negozio.

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Floris London, 89 Jermyn Street

Un luogo d’epoca colmo di ricordi

L’azienda è familiare e a conduzione privata: da ben sette generazioni vengono trasmesse ricette, segreti e aneddoti stuzzicanti sulla lavorazione e produzione dei prodotti di alta qualità Floris, oltre che sull’invidiabile clientela che frequentava lo store, nomi del calibro di Beau Brummel, Oscar Wilde, Winston Churchill, Ian Fleming, Marilyn Monroe e David Bowie, che hanno acquistato o ispirato la realizzazione di alcuni dei profumi più iconici del marchio.

Alcuni sono ancora sugli scaffali, altri risultano ormai fuori produzione, sono comunque tutti esposti nel retro del locale, insieme ad altri oggetti d’archivio, nello spazio museale ottenuto con il restauro del 2017. Vi si possono ammirare lettere, documenti, boccette e flaconi che hanno contribuito all’evoluzione del brand Floris London, mentre il personale, preparatissimo, ve ne racconterà caratteristiche e vicende storiche. L’esperta guida dei profumieri Floris è presente in negozio per il servizio fragranze su misura, di cui i clienti possono usufruire per creare un jus unico e speciale, rendendo la visita nella capitale britannica davvero indimenticabile.

Weekend a Londra store
Interni dello store

Una volta riemersi dall’atmosfera sofisticata e lievemente posh (perché no?) della prima parte del tour, siamo pronti per indagare il coté più internazionale e progressista della città.

Andaz London Liverpool Street

L’Andaz London Liverpool Street è l’hotel perfetto dove alloggiare, se si vuole respirare l’aria pregna di contaminazioni estetiche e culturali della metropoli londinese.
Incastonato tra le viuzze medievali dello storico distretto finanziario della city, si tratta di un 5 stelle che dal 2007, anno in cui ha aperto le porte al pubblico, ha segnato ulteriormente il quartiere con il suo stile artistico, in cui convivono passato e presente.

Andaz London hotel weekend
L’esterno dell’hotel, su Liveropool Street

Calato nella rinnovata e sempre più attraente area di Liverpool Street, l’Andaz London ha fatto dell’est cittadino la sua cifra, integrandosi nella zona con una prospettiva locale e servizi adatti a una clientela internazionale. E forse non c’è nulla di maggiormente “loc” di questo edificio di ascendenza vittoriana, con i suoi mattoni rossi e le torrette che svettano nel cielo cittadino.
Nato Great Eastern Hotel nel 1884 e insignito del titolo ‘grade II’ della National Heritage List for England, l’Andaz London occupa il suolo su cui nel 1200 sorgeva il Bethlehem Hospital. Viene ribattezzato col nome odierno quando entra a far parte dell’esclusivo portfolio di proprietà luxury Boundless Collection della multinazionale Hyatt.
Al suo interno, le scelte di design e arredamento amalgamano perfettamente l’heritage più conservativo, tradizionale e vittoriano del palazzo e della city con l’anima vibrante della East London contemporanea.

Dover Street Market

Lasciare una delle 267 camere (15 suite comprese) dell’Andaz London sarà la prima impresa della giornata, ma una visita all’iconico Dover Street Market vi regalerà la giusta motivazione. A due passi da Trafalgar Square, questo celebre store multibrand è una tappa obbligata per gli amanti della moda e del design di lusso più avant-garde e di ricerca.

Weekend Londra cosa vedere
Pianoterra del Dover Street Market

Rei Kawakubo, stilista della griffe giapponese Comme des Garçons, e il marito Adrian Joffe sono i fondatori dell’insegna. Insieme, nel settembre 2004, hanno dato vita a una realtà unica nel settore dei multimarca, fondendo gli elementi estetici e architettonici tipici di un mall con quelli di uno spazio espositivo. Il risultato è un negozio di 1200 metri quadri suddivisi su tre piani e un seminterrato, comprensivo di gioielleria e ristorante.

A ogni piano, i prodotti dei brand sono esposti come in una vera e propria galleria d’arte: ogni allestimento costituisce un microcosmo a sé, ammirabile al pari delle installazioni artistiche presenti nelle sale. Ne è un esempio la parete vicino al ristorante Rose Bakery, dove sono disposte alcune pagine del look book del River Café, iconico ristorante stellato di Ruth Rogers sulle sponde del Tamigi. La chef ha lanciato il primo libro di ricette che mette in discussione i codici estetici ed espressivi del genere editoriale, accostando alle immagini dei piatti (pensati per essere preparati anche da bambini) scatti di altri oggetti, animali, composizioni vegetali e non, da cui originano associazioni di significati inedite.

“Creare una sorta di mercato in cui artisti e stilisti di vari settori si riuniscano e incontrino in un’atmosfera di bellezza e caos”

Tale volontà di giocare con differenti matrici di senso, per dar vita a nuovi stimoli intellettuali, è anche alla base della nascita di Dover Street Market. Sembrerebbe che dietro la progettazione dello store ci sia lo storico Kensington Market, che Kawakubo visitava spesso e a cui si è ispirata. Il mercato, infatti, ha sempre goduto di grande popolarità, dagli anni ’70 fino alla chiusura nel 2001. Un concetto esplicitato dalla designer stessa, che ha parlato di «creare una sorta di mercato in cui artisti e stilisti di vari settori si riuniscano e incontrino in un’atmosfera di bellezza e caos, che veda trovarsi e mescolarsi spiriti affini, animati ciascuno da forti concezioni personali».

David Hockney: Bigger & Closer (not smaller & further away)

Il mescolamento e incontro di idee e animi più o meno affini è forse ciò che più caratterizza il cuore pulsante di Londra: una città i cui spazi urbani onorano nelle denominazioni la monarchia, ma sono attraversati da un effervescente melting pot. Ed è in quest’ottica che consigliamo di concludere il weekend con una visita alla mostra David Hockney: Bigger & Closer (not smaller & further away), presso lo spazio Lightroom, al 12 Lewis Cubitt Square. La sua inaugurazione, a febbraio, ha segnato anche l’apertura della nuova sede artistica, orientata principalmente alla presentazione di spettacoli a led e progettata in collaborazione col celebre artistar britannico.

Attraverso proiezioni su larga scala, il visitatore viene coinvolto in un’esperienza immersiva mentre scopre i quattro piani dell’edificio, grazie anche al sistema audio di ultima generazione Holoplot X1 Matrix Array, il primo fisso nel Regno Unito. Lo spazio espositivo è stato progettato da 59 Productions in stretta cooperazione con il rinomato studio d’architettura Haworth Tompkins, e vanta la presenza di un ampio foyer, un negozio di souvenir, un bar e un’area salotto in collaborazione con l’iconico ristorante St. John.

Un’esperienza variopinta e coinvolgente

All’interno dell’esposizione si viene condotti dallo stesso Hockney lungo un viaggio che attraversa i sessant’anni della sua pratica artistica, analizzata attraverso i suoi occhi. Il fascino che l’artista sostiene di provare per la vita, in tutte le sottigliezze e dettagli comunemente ignorati, si intreccia al genuino interesse per i nuovi media e le loro potenzialità. Ne risulta uno spettacolo vibrante, in cui sei capitoli a tema compongono un ciclo unico, che comprende una partitura appositamente composta da Nico Muhly e un commento di Hockney. Attraverso le rivelazioni sui processi creativi che utilizza, come il catturare lo scorrere del tempo nei suoi collage di polaroid o la natura sull’iPad, oppure le rivisitazioni animate dei suoi progetti teatrali, l’autore si avvicina allo spettatore come mai prima d’ora, invitandolo allo stesso tempo ad accostarsi alla vita seguendo approcci sempre nuovi.

Nell’immagine in apertura, la Tudor Suite dell’hotel The Gore London

Drôle de Monsieur lancia la collaborazione con Gergei Erdei

East Coast, Florida, Palm Beach: il sole tramonta infuocando il cielo sereno, le palme nere in controluce delineano il perimetro delle spiagge. Il fragore delle onde schiumose è interrotto solamente dal verso dei gabbiani che sorvolano l’oceano. Siamo sul green di un lussureggiante campo da golf, la partita è finita, carichiamo tutto sulle cart e via, verso il bar del resort. Questo l’immaginario che circonda la nuova capsule collection Drôle de Monsieur x Gergei Erdei. Una collaborazione affascinante, che fonde perfettamente le anime di due realtà accomunate da un’innegabile sofisticatezza, ma assai diverse nei rispettivi background.

Se l’artista e designer Gergei Erdei, infatti, vanta un passato nell’ufficio creativo di Gucci durante la supervisione di Alessandro Michele, Maxime Schwab e Dany Dos Santos hanno fondato Drôle de Monsieur con la volontà di allontanarsi il più possibile dal sistema moda mainstream.
È così che antichi riferimenti alla civiltà romana e mosaici dell’arte classica vengono uniti ai capi più iconici dell’athleisure, arricchiti dagli echi di vacanze che evocano le atmosfere tipiche della Palm Beach degli anni ’80. Un clash culturale da cui lasciarsi travolgere, come con le onde dell’oceano.

Drôle de Monsieur collab
Drôle de Monsieur x Gergei Erdei

L’universo eclettico dell’artista Gergei Erdei

Erdei ha trasformato le proprie passioni per l’arte, la moda e l’architettura in un progetto personale che, dal 2019, lo ha proiettato tra le stelle dell’homeware di lusso. L’ammirazione per l’antico, l’estetica degli arredi e decori anni ’70 e la volontà di celebrare il passato sono la fonte da cui l’artista, basato a Londra, attinge l’immaginario alla base dei suoi design, pattern e illustrazioni.

Con le sue creazioni, il creativo punta a sviluppare un brand accessibile, che esprima un nuovo linguaggio e sostenga le piccole manifatture storiche. È solo in questo modo, per lui, che sarà possibile mantenere viva e continuare a trasmettere alle nuove generazioni la bellezza della produzione artigianale e del suo know-how.

“Not from Paris Madame”

L’approccio alternativo al mondo fashion di Drôle de Monsieur è evidente dal fatto che i fondatori del marchio abbiano scelto Dijon per far fiorire il proprio business. Brillando lontano dalla Ville Lumière, la griffe ha adottato lo slogan “Not from Paris Madame”, motto con cui Schwab e Dos Santos vogliono comunicare ottimismo, energia e sottolineare come l’ambizione, il talento e l’amore per ciò a cui si lavora possano esprimersi anche al di fuori delle metropoli e capitali canoniche. 

Ispirandosi agli anni ‘70, ‘80 e ’90, il brand riprende alcune iconiche linee e silhouette dei decenni passati per catapultarle nella contemporaneità. Ne derivano collezioni streetwear moderne, dove comodità e funzionalità risultano intrise di un’estetica retrò, in cui si mescolano riferimenti ad Alain Delon, auto sportive d’epoca, calici di cristallo e sigari cubani a bordo piscina, mentre il colore degli agrumi risalta sotto il solleone del Mediterraneo.

Drôle de Monsieur collezioni

Nell’immagine in apertura, un look della collab Drôle de Monsieur x Gergei Erdei

Andaz London hotel: lifestyle contemporaneo con un’impronta local

Liverpool Street, a Londra, è l’attuale place to be: un’area in continuo fermento nella zona orientale della città, un punto ideale per scoprire la capitale del Regno Unito, un’area considerata un punto di riferimento per la vita notturna e non solo. La strada deve il nome alla vicina Liverpool Street Station, una delle più celebri stazioni ferroviarie del centro cittadino, inaugurata nel 1874 e oggi collegata all’omonima fermata metropolitana. La stazione, ricostruita con un occhio di riguardo per il mantenimento delle antiche strutture esterne, possiede un particolare aspetto retrò, riadattato adottando strutture interne contemporanee.

Andaz London hotel
L’esterno dell’hotel, su Liveropool Street

Questa doppia anima, “temporale” ed estetica, ha pervaso tutto il circondario, rendendo Liverpool Street un intrigante puzzle di reminiscenze architettoniche vittoriane, che contrastano con gli avveniristici grattacieli e palazzi finestrati a specchio. Qui i pub, i bistrot e i locali tradizionali si appoggiano l’uno sull’altro senza soccombere ai più moderni fast food internazionali, risaltando anzi in maniera più distinta e suggestiva. A due passi dai quartieri di Spitalfields, Shoreditch e Brick Lane, il paesaggio dell’East London offre un’esplosione di opere di street art, negozi di abbigliamento vintage, pittoreschi market tipici e shop di musica e antiquariato. La convivenza tra lo spirito antico della capitale inglese e il lifestyle globalizzato prettamente contemporaneo è ciò che rende tutta l’area una destinazione da scoprire.

Andaz London: un hotel ricco di storia

L’Andaz London Liverpool Street è un hotel incastonato tra le viuzze medievali dello storico quartiere finanziario della city. Un hotel 5 stelle che dal 2007, anno in cui ha aperto le porte al pubblico, ha segnato ulteriormente il quartiere con la sua estetica artistica, in cui convivono passato e presente. Calata nella rinnovata e sempre più attraente area di Liverpool Street, l’Andaz London ha fatto dello stile dell’est londinese la sua cifra, integrandosi nella zona con una prospettiva locale e servizi adatti a una clientela internazionale.

Andaz Masonic Temple
Il Masonic Temple, all’interno dell’albergo

E forse non c’è nulla di maggiormente locale di quest’edificio di ascendenza vittoriana, con i suoi mattoni rossi e le torrette che svettano nel cielo di Londra. Nato Great Eastern Hotel nel 1884 e insignito del titolo “Grade II” della National Heritage List for England, occupa il suolo su cui nel 1200 sorgeva il Bethlehem Hospital. Viene ribattezzato col nome odierno quando entra a far parte del progetto Boundless Collection della multinazionale Hyatt: un esclusivo portfolio di proprietà prestigiose e di lusso, sparse su circa 60 paesi nel mondo e ulteriormente suddivise in diversi marchi, tra cui Andaz.

Un hotel, un modo di vivere

Andaz Wine Lounge
La Wine Lounge

All’interno del portfolio Hyatt, Andaz si posiziona come sinonimo di resort per gli amanti di un lifestyle dinamico e di lusso, che vogliono vivere in simbiosi con lo spirito artistico e culturale della località in cui si trovano. Svegliarsi in un Andaz significa essere perfettamente consci di dove ci si trova nel mondo, grazie all’autentico “sense of place” trasmesso dai suoi interni. Qui le scelte di design e arredamento amalgamano perfettamente l’heritage più conservativo, tradizionale e vittoriano del palazzo e della metropoli inglese, con l’anima vibrante dell’East London contemporaneo.
Se nella lobby, infatti, il velluto felpato delle sedute e i rivetti dei ripiani rimandano alle carrozze ferroviarie e ai bauli da viaggio dei romanzi di Agatha Christie, le opere moderne del collettivo Le Gun e dell’artista di graffiti Otto Schade catapultano l’ospite nella scena creativa locale.

Allo stesso modo, gli ampi spazi delle 267 camere (15 suite comprese) sono pensati per porre omaggio alla storicità dell’edificio, avvalorandone la memoria, ma trasmettendo al contempo la contaminazione degli impulsi creativi che rendono vivo il quartiere. Così tessuti e tappeti si ispirano alla tradizione sartoriale dell’area, con richiami agli abiti gessati dei businessmen londinesi, mentre le testate dei letti in pelle conciata sono illustrate in stile tattoo dall’artista Sophie Mo, per un twist tutto Liverpool Street. Ogni camera poi è stata progettata in stile “residenziale”, proprio per incapsulare l’anima accogliente che vantano le proprietà Andaz.

Andaz London art
Street art nella lounge dell’albergo

Spazi d’impatto e sofisticati, che coniugano tradizione e sofisticatezza contemporanea

L’amore per l’arte, l’artigianato e uno spirito sempre sofisticato sono i capisaldi anche degli spazi comuni, come testimoniato dai diversi ristoranti, bar, pub, brasserie e lounge interni alla struttura, dove la cucina internazionale e giapponese si alterna alle specialità e ai prodotti locali dell’East End.
Persino l’Health Club per gli amanti del fitness è intriso delle forme e dei colori che compongono il panorama artistico di Liverpool Street: la combinazione perfetta per potersi ricaricare fisicamente e intellettualmente, prima di lanciarsi alla scoperta della capitale.

Andaz London bar
Il bar dell’hotel

Infine, l’ultima ma forse principale dichiarazione d’intenti del progetto Andaz London è esplicitata dalle maestose sale riunioni e da ricevimento che si trovano nell’hotel. Questi spazi sontuosi (tra cui la sala con una meravigliosa cupola in vetro policromo) possono accogliere fino a 500 ospiti e sono curati nei minimi dettagli, raggiungendo lo scopo di risaltare le diversissime ambientazioni e concetti di living che ognuno propone. Un hotel dove vivere esperienze differenti, in uno dei quartieri più dinamici della città.

Andaz London

Nell’immagine in apertura, la maestosa cupola della sala interna dell’Andaz London