Heritage 176, la preziosa novità in casa Belvedere Vodka

BELVEDERE VODKA PRESENTA HERITAGE 176: IL NUOVISSIMO DISTILLATO DI MALTO DI SEGALE

Dimentichiamoci i cocktail trangugiati in gioventù, tra un salto di hip hop e l’ultima canzone di revival prima della chiusura della discoteca: quella era certamente la più imbevibile vodka in vendita sul mercato, e lo era perchè certamente sarete stati gli ultimi sulla pista da ballo!

Oggi siamo cresciuti e la qualità, oltre alla longevità del nostro buon fegato, è ciò a cui prestiamo attenzione; vogliamo bere bene, ci informiamo sulla provenienza, capiamo qual è la vita di un prodotto, l’etica aziendale, ci prendiamo cura di noi stessi facendo delle scelte intelligenti, e quando pensiamo alla vodka, oggi, pensiamo a un distillato di lusso, non ad un liquido da miscelazione. Lo facciamo perchè abbiamo scelto Belvedere Vodka, leader mondiale della vodka di lusso, la vodka da degustazione che oggi propone un pezzo speciale, il gioiello della casa: Heritage 176.



Cos’è Heritage 176

Heritage 176 è il nuovissimo distillato di malto di segale che segue una particolare politica aziendale, coerente con le scelte iniziate nel 2018 di lanciare le Single Estate Rye applicando un inedito concetto di terroir, e che sarà destinato solo ai più esclusivi cocktail bar d’Italia, alle migliori enoteche e a selezionate piattaforme di e- commerce.

E’ una novità assoluta nel panorama della vodka, che tendenzialmente viene riconosciuta quale distillato senza colore, senza sapore e senza carattere; Belvedere Vodka Heritage 176 si differenzia da qualunque altra vodka nel mondo esattamente per le caratteristiche opposte: ha un sapore deciso, e un tratto distintivo che si ottiene dalla maltazione e dalla tostatura della segale, che ne rivela gli aromi intensi e profondi; è una tecnica antica che arriva dalla tradizione polacca e che Belvedere Vodka fa propria, per regalarci una vodka unica, ottima da gustare sia liscia, on the rocks, che in miscelazione per una sferzata in più ai vostri cocktail.

Per questa occasione ve ne consigliamo uno che potrete riproporre a casa ai vostri amici:

30 ml Heritage 176
22,5 ml succo di limone fresco
15 ml Honey Mix
Garnish: lemon zest
Procedura: shake & double strain – servire in coppetta Martini e guarnire con lemon zest



Healthy color: un arcobaleno firmato Sfera Ebbasta, Andrea Petagna e Marcelo Burlon

Cosa hanno in comune Sfera Ebbasta, il calciatore di serie A Andrea Petagna e Marcelo Burlon, lo stilista più innovatore del panorama contemporaneo? Un arcobaleno di colori nel segno del benessere e della nutrizione sana e a colori: Healthy color.



Salute e ecologia sono alcuni dei valori chiave che guidano il processo di ogni singola preparazione del nuovo Healthy fast food del celebre trio. Poke, burger, smoothie bowl, pancake, salad e avocado sono le proposte del giovane brand che ha rivoluzionato il mondo dell’healthy fast food in Italia. Un mix esplosivo con in programma nuove aperture in tutta Italia attivando un piano di espansione mirato a far divenire la realtà una vera e propria catena, con posizionamenti anche in alcune capitali europee.  



Intanto, la prossima apertura, prevista a Febbraio, sarà a Roma. Parallelamente Healthy Color ha attivato il programma franchising, che permetterà ulteriori sviluppi e aperture in ogni dove.

Sito: www.healthycolor.it 

Instagram: @healthycolormilano  

1 Dicembre 2020: giornata mondiale contro l’AIDS

In occasione del primo Dicembre, Giornata Mondiale contro l’AIDS, Asa Milano e Milano Check Point, con al collaborazione di CIG – Arcigay Milano, realizzano una speciale campagna foto e video per sensibilizzare sul tema HIV, in questo momento così particolare in cui l’emergenza sanitaria per il covid-19 ha puntato tutta l’attenzione mediatica sulla pandemia in corso. Nonostante ciò, l’HIV continua ancora a diffondersi, silenziosamente. E purtroppo di questo tema si parla sempre meno. Per questo l’obiettivo della campagna (foto e video) – ideata da Federico Poletti e Daniele Calzavara è di spiegare a più persone possibili cos’è l’HIV, qual è lo stato attuale dei fatti per comunicare il messaggio che se l’HIV non è rilevabile, non si può trasmettere: un messaggio che si sintetizza nella campagna U=U Undetectable = Untrasmittable. Un vero manifesto che vuole abbattere i pregiudizi nei confronti delle persone che vivono con l’HIV. Per questo ASA e Milano Check Point hanno scelto lo slogan #STOPHIVSTIGMA COMBATTI IL PREGIUDIZIO CON L’INFORMAZIONE, che ricorre nella campagna fotografica diffusa tramite i social di tutte le persone coinvolte. Alla campagna sui social hanno aderito tanti volti noti, da Sandra Milo a Ferzan Ozpetek fino a M¥SS KETA, oltre a tanti giovani attori e attrici e persone che hanno deciso di diffondere il senso di questa equazione, scientificamente provata da anni: U=U Undetactable = Untrasmittable (una persona che vive con HIV in terapia e con carica virale non rilevabile non può trasmettere il virus HIV). 


ENRICO OETIKER
Ferzan OZPETEK
UU_9C_ALESSANDRO EGGER
UU_209_ROCCO FASANO
UU_27B_DIEGO THOMAS
MISS KETA
UU_205_ANNA VALLE
JONATHAN BAZZI
Federico Cesari
ALAN CAPPELLI GOETZ
UU_58B_BENEDETTA MAZZA

Il video – diretto da Manuel Scrima e Giovanni Conte – ha visto la partecipazione di oltre 30 personaggi del mondo del cinema, della musica e dello spettacolo. Un bellissimo e importante segnale è arrivato da Roma, città simbolo del cinema, che, grazie al coinvolgimento di Sonia Rondini e Fabrizio Imas, si è mobilitata con numerosi personaggi del mondo dello spettacolo italiano. Il video, che sarà visibile il primo dicembre, è stato girato tra Milano e Roma, grazie al supporto dell’Hotel Valadier e di Mediterraneo Ristorante e Giardino del MAXXI, che insieme ad Angelo Cruciani hanno generosamente coinvolto le loro strutture per questa iniziativa.

Numerosi i personaggi e talent che hanno partecipato al video con entusiasmo, specie dal mondo del cinema e della musica tra Milano e Roma.

Così commenta Massimo Cernuschi, Presidente di ASA e Milano Check Point: “Quest’anno, visto che la pandemia ci impedisce di organizzare eventi, abbiamo realizzato una campagna video e foto, che coinvolge volti noti e persone comuni, da far circolare sui social per ricordare che l’HIV continua a diffondersi ed è sempre accompagnato dai pregiudizi ”.

E ribadisce Sandra Milo dal suo account Instagram, aderendo alla campagna promossa da ASA: In un momento storico in cui tutte le risorse e le energie sono investite nella lotta al Covid-19, l’HIV continua inesorabile a fare il suo corso. In Italia attualmente sono circa 130mila le persone positive all’HIV e nel mondo ben 39 milioni. Ricordiamolo sempre, per noi stessi e per gli altri, e non solo il 1°dicembre nella giornata mondiale contro l’AIDS!” 

“Un video su questo argomento è necessario – commenta il regista Manuel Scrima – perché in tanti sono ancora vittime di pregiudizi o semplicemente poco informati. Abbiamo voluto che i personaggi guardassero negli occhi il loro pubblico e in maniera sincera gli spiegassero che l’HIV, benché continui a diffondersi, non deve farci paura, perché tramite le terapie corrette un HIV positivo non è contagioso per nessuno”.

Infine BURRO STUDIO – agenzia di comunicazione focalizzato principalmente su branding e graphic design fondato da Federica Caserio e Giovanni Manzini – ha sviluppato una grafica dedicata al tema U=U Undetectable = Untrasmittable, che sarà utilizzata sia per una campagna web, sia declinata su una t-shirt limited edition disponibile da metà dicembre. Per la campagna “I Can Give You” sviluppata da Burro Studio, ASA Milano ha deciso di rilanciare in Italia il progetto social di Randy Davis (IG @theaccidentalhivactivist) che si focalizza sulle tre lettere H I V associate a parole che le persone possono scegliere con una connotazione positiva come Hope, Inclusion, Vision. Un modo per ribadire che le persone sieropositive in terapia possono solo trasmettere questi valori e non l’HIV.

Diversità inclusiva: Alan Crocetti

Indossati da Dua Lipa, Miley Cyrus, Lady Gaga, Christina Aguilera e in ultimo da Hell Raton, i gioielli del designer Alan Crocetti, di origini e studi brasiliani, fanno capire il valore intrinseco della bellezza e della complessità nel processo di creazione di un gioiello, elevandolo non solo come mero accessorio ma portandolo al centro della scena artistica e sensuale.

Alan trova energia e passione nell’avvicinarsi al mondo del gioiello durante la sua formazione alla Central Saint Matins di Londra, che abbandona all’ultimo anno, e crea una nuova visione ad un progetto che porta il suo nome, catturando un pubblico attento e ricettivo al suo messaggio.



Alan Crocetti affronta il tema della diversità come valore assoluto di espressione individuale, contro ogni tipo di normativa prestabilita. Nelle sue collezioni, mondi diversi si mescolano fra loro, o addirittura si scontrano, dando ispirazione ad un disequilibrio delle cose, mostrando così la varietà degli esseri umani, che insieme possono decostruire ciò che era considerato normale, e creare un mondo più inclusivo e diverso.


Cattura fin dagli esordi l’attenzione dei buyer internazionali di Dover Street Market, Londra, New York e Tokyo e collabora con designer come GmbH, Helmut Lang sotto la direzione creativa di Mark Thomas and Thomas Cawson. Ha la possibilità di lavorare con fotografi internazionali come Luke Gilford, Pierre Debusschere e Ferry van Der Nat, intrecciandosi con il talento artistico di Isamaya French, dando vita alle campagne pubblicitarie delle sue collezioni ANARCHY, EROTICA, CORPORATION e DISOBEDIENCE, dall’impatto sempre artistico ed introspettivo.



Grazie al suo design elegante, minimalista e massimalista, che ha cercato di ridefinire il ruolo dei gioielli nella moda contemporanea, Alan è presente nello spazio Big House di La Cienega per la prima mostra di Dries Van Noten a Los Angeles, un progetto che mette in sinergia artisti locali e internazionali e dove la potente combinazione di gioielli creata dal designer londinese è montata sull’incredibile lavoro ligneo dell’artista ceco Richard Stipl.

In questi giorni Alan presenterà un nuovo progetto “The Merch Line”, dove il suo logo, uno scorpione con una rosa, rappresenterà una sensibilità che farà da tessitrice di quell’incarnazione del messaggio dell’amore e di accettazione per sè stessi, vulnerabilità e forza che Alan sempre rappresenta nelle sue collezioni di gioielli.

#mitparade tutti pazzi per lo shearling

Il ritorno dello shearling è come una colonna sonora di grande successo, ripescata dalle hit degli anni 70.
Ispirazione Brokeback Mountain, la pellicola ambientata tra le montagne Rocciose il cui stile, definito dalla costume designer Marit Allen, è rimasto un punto di riferimento per quei look dedicati all’immaginario del fascino maschile, wild e dallo stile libero.
Dettato dalle passerelle, all’unanimità, per combattere le temperature invernali di una stagione alle porte, viene reinterpretato dai grandi nomi del classico per look bon ton di città.

Alcune in versioni eco, vestono accessori e capispalla, come i sandali Birkenstock, famosi per la loro produzione sostenibile costituita da materie prime naturali rinnovabili e le iconiche Superga, brand torinese che non perde occasione per adattarsi ai trend da più di un secolo.
Le giacche si aprono a universi più disparati: dai modelli che meglio riflettono il loro ambiente ideale d’origine, tra boschi e paesaggi di montagna, proposta da MCS (anche in cover), a quella rivisitata in chiave metropolitana, dalle forme più sciancrate e pregiate al tatto, con un’attenzione particolare a dettagli su collo e polsini. Da portare, queste ultime, non solo coi jeans, il sacro graal dello stile country, ma anche con pantaloni di velluto spesso e lane dai pesi più leggeri.

Tra bomber, giubbini e ampi revers a lancia, questo grande cult si declina in tutte le versioni maschili per avvolgere ogni uomo nel massimo rispetto del suo stile. Con camice check, maglie sovrapposte, jeans lazy, camperos d’alta manifattura e un’abbottonatura da montgomery è la fedelissima interpretazione di Dsquared2 dei look impeccabili di Jake Gyllenhaal e Heath Ledger.
Chiave minimal urban con pantaloni di pelle, anfibi e una versione super luxury e asciutta di una giacca con cappuccio sulla passerella di Salvatore Ferragamo.
Pelle pregiatissima riconoscibile al tatto con candido collo a contrasto e logo aziendale, l’elegante versione di Louis Vuitton, che si prende cura dell’uomo metropolitano disegnando per lui una comfort zone, curata nel dettaglio con l’impeccabile half boot e la borsa in cocco.
Eleganza e cura dei materiali anche nel montone di Corneliani, questa volta proposto in versione testa di moro, revers sciallato, pantalone a sigaretta dal taglio super classico e mocassino in camoscio come la tradizione del Made in Italy impone.

BODYFRIEND, leader mondiale nell’healthcare deluxe, apre in Italia e propone due device d’eccezione

BODYFRIEND, brand coreano leader nel mondo nell’healthcare deluxe, apre il suo store italiano a Milano e propone due oggetti che uniscono design alle più alte tecnologie in fatto di cosmesi e benessere di lusso

Diamo a Cesare quel che è di Cesare, perchè i coreani in fatto di skincare e cosmesi sono leader assoluti, un popolo così ossessionato dalla bellezza da pensare di portare trattamenti luxury adatti ad una spa, direttamente a casa propria! 
E’ il caso di due prodotti rivoluzionari creati da BODYFRIEND, brand coreano leader mondiale nell’healthcare deluxe che con BTN GLED MASK sposa il design futuristico alla più alta performance di maschera per il viso

Acronimo di Back to Nature, Gled Mask combina un serie di massaggi e trattamenti viso grazie alle 1400 luci led, raggi infrarossi e micro correnti che insieme lavorano permettendo ai prodotti di penetrare in profondità; poggiando sul viso una maschera in tessuto a modello conduttivo Golden Ratio con fili d’argento e imbevuta di siero contenente 50 ingredienti attivi tra cui oro colloidale, polvere di perle, estratto di liquirizia, estratto di the verde, acido ialuronico idrolizzato, acido citrico, acido lattico bionico, vitamina B3, l’efficacia del trattamento è amplificata. Il massaggio galvanico della BTN con tecnologia IR favorisce l’assorbimento degli ingredienti migliorando il tono della pelle, l’elasticità e perdurandone il risultato nel tempo. 

Sono 3 diversi i tipi di trattamento possibili: 

– con luce rossa: elasticizzante, ridona compattezza alla pelle
– luce blu e rosa: lenitivo e calmante per pelli delicate, in soli 9 minuti 
– luce verde e gialla: energizzante, migliora il tono della pelle e riduce le discromie.


Andrea GuerreschiCountry Manager Italia e Vice President di Bodyfriend Europe dichiara:

GLED Mask è un prodotto dal design all’avanguardia, a seconda del tipo di trattamento scelto in combinazione con la maschera galvanica, il device appiana le rughe, tonifica e rimpolpa la pelle per un effetto luminoso e naturale immediato; è anche un ottimo alleato contro macchie solari e imperfezioni. Inoltre, l’innovativo appoggio della zona perioculare offre una chiara visuale dell’ambiente esterno, può essere applicata e quasi ‘dimenticata’ in posa mentre si rivolgono le proprie attenzioni ad altro, per ottimizzare i pochi momenti liberi di una vita frenetica, oppure può essere considerata come un meritato momento di relax e benessere e quindi utilizzata in un contesto di totale alienazione e comfort.

Nulla lasciato al caso, per garantire una perfetta igienizzazione dell’oggetto, Gled Mask, una volta finito il trattamento, può essere poggiato su un dispositivo che svolge una funzione sterilizzatrice a UV LED oltre che di ricarica. E’ dotata di telecomando per l’accensione e lo spegnimento e la selezione dei programmi, guidati da una voce sottile che avvisa sulle tempistiche. 

Il design è futuristico, una maschera total gold che racchiude in sé tutte le speciali funzioni del luxury beauty care, ma comodi sulla poltrona di casa. 

E se desiderate la poltrona dei sogni che combina relax mente e corpo, l’azienda BODYFRIEND ha ideato un oggetto unico nel suo genere: la Massage Chair, ma nulla a che vedere con la poltrona massaggiante immaginata nella casa dei nonni. 

Questa si firma Lamborghini, la LBF-750, Pharaoh S II, Palace II, Phantom II, Elisabeth I, ed è la sintesi di 10 massaggiatori racchiusi in un oggetto che ricorda le auto sportive, ma che nasce per simulare l’abbraccio materno. Una poltrona che avvolge totalmente il corpo per rivivere un’esperienza sensoriale in cui il massaggio è anche curativo. Mani, gambe, piedi, sono totalmente avvolti da cuscinetti che si gonfiano per effettuare pressoterapia dopo aver analizzato perfettamente la morfologia dell’utente; a mano, a percussione, a pressione, ritmato, combinato, per tamponamento, sono alcuni dei tipi di massaggio possibili, una rivoluzione per la cura del corpo o per chi semplicemente desidera rilassarsi in intimità, tra le mura di casa, perfetta in questo periodo di quarantena forzata.

Le poltrone sono presenti e testabili nel centro di Milano, presso lo store italiano BODYFRIEND in via Manzoni 43, sarete accolti per scoprire il prezioso mondo del benessere di lusso. 
E per gli amanti dei fumetti una vera chicca: la Hugchair ispirata ai leggendari supereroi Iron Man e Captain America, frutto di una speciale collaborazione con Marvel, ce n’è per tutti i gusti!

Carhartt WIP: stile, qualità e resistenza. Così il brand streetwear ha conquistato il mondo

Resistenza e durevolezza. Queste sono le parole più utilizzate per descrivere i capi di abbigliamento e gli accessori prodotti da Carhartt WIP (work in progress) che puoi trovare su Urban Jungle. Caratteristiche che il brand riprende dall’abbigliamento da lavoro prodotto dall’azienda madre fondata nel lontano 1889 da Hamilton Carhartt. Questa è l’etichetta streetwear ideale per gli uomini che amano indossare maglie e pantaloni comodi e funzionali ma senza rinunciare allo stile. Passiamo in rassegna i capi Carhartt WIP che non possono assolutamente mancare nel tuo guardaroba invernale


Felpe Carhartt WIP: un must-have per qualsiasi stile

La felpa è tra i capi più comodi e versatili in assoluto. Carhartt WIP offre tantissimi modelli con i quali puoi creare outfit sportivi e casual. Si va dalla classica felpa con cappuccio e ampia tasca a marsupio a quelle più basic a girocollo con il logo ricamato sul petto. A tinta unita o con grafiche e fantasie più estrose come il camouflage. La particolarità delle felpe Carhartt WIP è quella di essere realizzate con tessuti traspiranti che offrono un’ottima copertura dal freddo. Un grande classico è la felpa Car-Lux che presenta un design pulito ed è caratterizzata da un isolamento termico senza pari. Guardando le ultime sfilate della stagione autunno-inverno 2020 la felpa è diventata protagonista anche di outfit più eleganti e raffinati. Non sono pochi gli stilisti che l’hanno abbinata a pantaloni dal taglio classico, cappotti oversize e sneakers. Vuoi replicare l’outfit? Acquista una felpa Carhartt WIP nella tonalità che preferisci e crea il tuo look. Un consiglio: preferisci felpe a girocollo rispetto a quelle con cappuccio per poterla indossare senza problemi con qualsiasi cappotto. 

Pantaloni Carhartt WIP: dai classici pantaloni della tuta ai modelli cargo

In quanto a pantaloni c’è l’imbarazzo della scelta. Carhartt WIP copre praticamente tutti gli stili: casual, sportivo ed urban. Il brand è noto per i pantaloni con tasche cargo realizzati in cotone pesante e con cuciture rinforzate. E poi ancora pantaloni della tuta per i più sportivi, pantaloni casual, jeans e salopette. Il design come sempre è pulito e ciò ti consente di abbinarli con qualsiasi tipologia di maglia (felpa, cardigan, pullover) ed anche con le camicie

Giacche corte o parka? 

Carhartt WIP vanta una vasta gamma di giacche e cappotti invernali che si contraddistinguono oltre che per la resistenza e la durevolezza anche per l’ottimo mantenimento del calore. Sei per le giacche di media lunghezza con design semplice? Il Michigan Coat di Carhartt WIP fa per te. Colletto a camicia, chiusura con bottoni a pressione e quattro tasche frontali. Zero fronzoli e massimo comfort. Preferisci i cappotti lunghi? Carhartt WIP propone diverse tipologie di cappotti e parka: dai modelli più standard come il Trent Parka a quelli con cappuccio con pelliccia fino alla linea di cappotti termici ed idrorepellenti GORE-TEX INFINIUM.

Berretti ed altri accessori

E veniamo agli accessori, dettagli preziosi per completare i look. Parliamo di calzini, berretti, piccole borse, zaini e cinture. Anche per tutti questi prodotti l’obiettivo di Carhartt WIP è offrire ai propri clienti accessori pratici e funzionali che durano per tantissimi anni. Un must-have per l’inverno è sicuramente il cappellino. Punta su un modello evergreen: il beanie. Quelli prodotti dal brand americano presentano il classico design con risvolto e logo frontale. Realizzati in lana pregiata ed in tessuto acrilico sono disponibili in tantissimi colori. Con Carhartt WIP ti assicuri accessori di qualità che ti accompagneranno per diverse stagioni e che non passeranno mai di moda. Ottimi anche per fare regali utili ma trendy. 

La promessa di Osprey al pianeta: vivere in un mondo senza plastica

Quest’anno Osprey celebrerà il Green Friday donando il 20% delle sue vendite – tra venerdì 27 e lunedì 30 novembre – a EOCA, ente di beneficienza che tutela l’ambiente, nonchè partner di Osprey.



L’organizzazione nasce nel 2006 e finanzia progetti di conservazione per gli ambienti e le specie a rischio. Le donazioni del Green Friday saranno utilizzate per supportare diversi progetti, il cui focus principale sarà la lotta contro l’inquinamento della plastica. Collaborando con EOCA, Osprey sarà di supporto a progetti incentrati sulla raccolta e la pulizia dalla plastica, compresa la Oceans Initiative, progetto dedicato alla protezione di oceani, mari e spiaggie di tutta Europa. I fondi saranno utilizzati anche per supportare il Plastic Free Woodlands UK, istituito per prendersi cura delle persone, del paesaggio e della fauna nel Dales, nel nord dell’Inghilterra. Un altro progetto è quello della Magdalena, Colombia River Clean-Up, che protegge gli ecosistemi ripulendo i fiumi dalla plastica e sensibilizzando le comunità.



L’impegno di Osprey per l’ambiente vedrà nel 2021 la produzione del 50% degli zaini con tessuti approvati Bluesigh, inclusa la 5° generazione del Talon e del Tempest, realizzati con il primo tessuto in nylon riciclato Regen Robic. Inoltre, già dal prossimo anno, tutte le buste di plastica saranno realizzate al 100% con contenuti riciclati ed entro il 2023 tutte le collezioni Osprey saranno prive di PFC.

Sociale & Sostenibile: il progetto SHARE

Un progetto in cui la sostenibilità fa da protagonista, insieme alla solidarietà. Una moda sostenibile che trasforma gli abiti usati in progetti solidali. 



Si chiama Second Hand REuse il progetto che dal 2014 permette di fruire di capi moda usati, a un prezzo davvero accessibile a favore di progetti solidali. Con ben tre mega store a Milano e altri dislocati in altre parti di Italia, SHARE è oggi una realtà che permette al settore della moda Second hand di essere presente e di risultare come un aiuto a coloro che non possono permettersi il lusso dei capi firmati ma non solo. 



Un’iniziativa solidale in cui capi arrivano dalle capitali europee più importanti come Parigi, Berlino, Amsterdam per poi venderli con uno scopo totalmente solidale. Oggi SHARE conta una realtà tutta italiana, con ben sei punti vendita sparsi sul territorio (l’ultimo aperto in via Paravia agli inizi di Novembre), che ha come obiettivo quello di sviluppare un’attività commerciale sostenibile e no profit legata alla moda che possa sostenere progetti sociali nel territorio. Visti i risvolti sembra essere di più anche una vera e propria tendenza che oggi trova sfogo nei vintage store, ma qui naturalmente si parla  di “moda solidale”, totalmente no profit. I vestiti, presentati in modo pulito, ordinato, non superano mai la soglia dei 10/15 euro. Una tendenza che da diversi anni già all’estero è diventata un vero e proprio stile di vita, con tantissimi clienti e un riscontro molto positivo sulle vendite e gli acquisti di capi usati.



Ma non solo: SHARE, con l’assunzione di personale per i propri store, ha così contribuito alla creazione di occupazione di giovani e donne in difficoltà . Infine vi è anche un fine più ambientale grazie al recupero e alla riutilizzazione dei capi che altrimenti sarebbero finiti nelle discariche. I negozi di Milano e Varese sono gestiti da Vesti Solidale, quelli di Lecco e Napoli invece da altre due cooperative sociali senza fine di lucro.

Lo stesso concept retail di SHARE, sviluppato da FASEMODUS ARCHITETTURA, punta sulla creazione di spazi dall’aspetto smart e moderno, ma impiegando materiali naturali e riciclati. Racconta Stefano Cellerino, founder di FASEMODUS, studio di architettura la cui attività di progettazione si basa sulla interpretazione dei molteplici modi d’uso dello spazio contemporaneo per immaginarne nuove evoluzioni: “I negozi SHARE sono ambienti curati, luminosi e con un design unico dove far sentire a proprio agio la clientela che sceglie una moda sostenibile. Negozi intesi come divulgatori di valori, dove vivere un’esperienza speciale dove si percepisce il valore di SHARE basato su temi sempre più importanti per tutti: ambiente e sostenibilità, riciclo e riuso, progetti sociali a sostegno delle fasce di popolazione più deboli”.

Secondo il Presidente  Ing. Matteo Lovatti “SHARE è una proposta di economia circolare e rappresenta un modello di moda sostenibile di alta qualità attento all’ambiente e in grado di creare nuove opportunità di lavoro e di sostegno a progetti sociali del territorio. Attraverso il lavoro diamo la possibilità, anche a persone ritenute ai margini della società, di riscattarsi e di mostrare che hanno ancora un valore per la realizzazione del bene comune.”

Scopri il mondo di SHARE e i punti vendita più vicini

HAVANA CLUB x RETROSUPERFUTURE – la limited edition dello street style

HAVANA CLUB x RETROSUPERFUTURE Uniti in una collaborazione esclusiva, tutta da scoprire!
Inedita collaborazione tra HAVANA CLUB e RSF ed un evento di lancio digitale della collezione in edizione limitata: rum scuro cubano, occhiali da sole, t-shirt.
Retrosuperfuture e Havana Club si uniscono in una collaborazione esclusiva ispirata a L’Avana: la citta, la sua cultura e l’inimitabile materiale acetato Havana. L’acetato, conosciuto universalmente con il termine “Havana” è da sempre un’icona di stile nel mondo dell’eyewear; il suo nome deriva dai particolari pigmenti che le foglie di tabacco cubano acquisiscono con l’essicazione per poi essere trasformate in sigari.

Occhiali da sole in edizione limitata 

Realizzando un modello di occhiali da sole unico, una bottiglia in limited edition, una maglietta a maniche lunghe e un esclusivo set domino in acetato Havana, i due brand si uniscono per celebrare la suggestiva eredità culturale della città cubana a livello globale. 


L’obiettivo di Retrosuperfuture e Havana Club è valorizzare le arti e l’artigianato dello scenario moderno de L’Avana: la città, il rum, l’acetato si uniscono in una partnership internazionale che verrà lanciata in 5 città – Milano, Berlino, Mosca, Shanghai e L’Avana, Cuba.


Il materiale Havana, il cui nome deriva dai ricchi toni ambrati e dorati che ricordano le foglie di tabacco essiccate, è sempre stata una caratteristica evidente nelle collezioni di RSF. Di conseguenza, per RSF la collaborazione con Havana Club è avvenuta in maniera molto naturale, avvicinando il proprio patrimonio culturale urban e all’avanguardia al tradizionale marchio cubano, condividendo la sua storia con il proprio pubblico.

Il modello iconico rivisitato Gli occhiali da sole RSF / Havana Club rappresentano una nuova interpretazione dell’iconico modello Lira, caratterizzato da un acetato extra spesso, linee definite e montatura robusta. Questo modello, in cui l’acetato resta il protagonista indiscusso, presenta tre diversi effetti in un’unica montatura: due acetati Havana mixati insieme nella parte frontale e un terzo tipo di acetato Havana utilizzato per le aste. Giocando con le geometrie spesse del modello, gli occhiali da sole si contraddistinguono per l’incisione del marchio Havana sulle aste, nella parte superiore e inferiore della montatura e per l’iconico simbolo di Havana Club – La Giraldilla – incisa sulle lenti colorate arancioni di alta qualità.
I due marchi continuano a celebrare il patrimonio artistico e artigianale della scena street cubana, rendendo omaggio a uno dei giochi di strada più popolari de L’Avana: il domino.Havana Club e Retrosuperfuture hanno così progettato e creato un esclusivo set domino artigianale da collezione, realizzato interamente in prezioso acetato Havana con dettagli colorati e i due marchi incisi a mano.
La bottiglia in edizione limitata 
Per rimarcare l’elegante carattere artigianale della collezione, RSF ha anche personalizzato un’esclusiva bottiglia di rum scuro Havana Club 7, con il suo marchio impresso in arancione sull’etichetta Havana. La maglietta a maniche lunghe si aggiunge alla collezione, valorizzando ulteriormente il lancio globale di questa special edition.

Il tour Havana Club e RSF: la collaborazione in anteprima mondiale
Come anteprima di lancio della collaborazione, RSF e Havana Club hanno previsto un tour in 5 città che parte da Milano e, passando per Berlino, Mosca e Shanghai, si conclude a Cuba nella città di L’Avana in concomitanza con il lancio globale ufficiale. A conferma della loro costante ricerca di autenticità nella cultura artistica odierna, i due brand hanno selezionato, per ogni città del tour, un Ambassador che rappresenta al meglio la crescita e l’evoluzione della scena culturale locale.
Havana Club x Retrosuperfuture: un evento aperto a tutti
Gli Ambassador collaboreranno con RSF e HC e parteciperanno, insieme alle proprie fanbase, a una serie di incontri online in cui discuteranno la loro carriera professionale e il processo di creazione artistica: dall’ispirazione alla realizzazione. Dopotutto, come le foglie di tabacco hanno ispirato il nome dell’acetato “Havana”, a sua volta, l’acetato Havana è stato la fonte di ispirazione della collezione RSF / Havana Club.
Per prendere parte ai talk online, seguite le storie di Retrosuperfuture e Havana Club sui loro profili ufficiali IG nei giorni a ridosso delle date dell’evento. Con l’obiettivo di valorizzare ulteriormente l’importanza del patrimonio culturale del territorio, RSF e Havana Club hanno individuato un negozio per città per presentare in esclusiva la collaborazione che verrà lanciata a livello globale il 25 novembre, quindi rimanete sintonizzati per ulteriori update.



Gli occhiali da sole e le magliette in edizione limitata sono disponibili in un negozio esclusivo per ogni città durante il tour a partire dal 14 novembre. Per Milano lo store esclusivo sarà “One Block Down” e la Capsule Collection sarà disponibile sul sito https://it.oneblockdown.it/ La release globale online che include anche la bottiglia Havana Club 7 in edizione limitata, è fissata per il 25 novembre. In Italia Havana Club 7 x RSF sarà disponibile esclusivamente su https://ginshop.it/. Le città selezionate protagoniste del tour sono: Milano, Berlino, Mosca, Shanghai. Per iscrivervi e partecipare ai talk online con i 4 Ambassador, seguite le storie IG di Retrosuperfuture e Havana Club.

New faces: Guglielmo Poggi

Nonostante la giovane età il curriculum di Guglielmo Poggi è già ricchissimo. All’attivo diversi film di successo come Gli uomini d’oro nel 2019 , Bentornato Presidente, Il tuttofare, Beata ignoranza. Prima ancora lo abbiamo visto ne L’estate addosso e poi Il nostro ultimo. Il suo cortometraggio Siamo la fine del mondo viene poi selezionato per partecipare allo Short Film Corner del Festival di Cannes del 2017. 

Vive a pieno ogni personaggio e per il futuro non si preclude nessuna strada (e non parliamo solo di cinema) per questo motivo, da quello che ci ha raccontato sentiremo spesso parlare di lui.


Photo Credits: Davide Musto

Come è nata la tua passione per il cinema e la recitazione?

Questione di DNA, credo. Guardi e ascolti in casa, e riproponi. Verso i dieci anni ho cominciato col doppiaggio e da lì non mi sono fermato più. Però intendiamoci: non sono uno di quelli che vedevo presentarsi ai corsi di recitazione affermando “io non potrei mai fare altro nella vita”. E poi fanno altro nella vita. Io avrei potuto fare altro nella vita (il politico, l’aiuto cuoco, l’affilatore di coltelli). Per questo faccio l’attore. Per fare altro nella vita. Per fare tutto il resto.

Puoi svelarci qualcosa sul tuo personaggio in Cops – Una banda di poliziotti?

È biondo platino, ma ha una prepotente ricrescita scura. Dorme con il suo elegantissimo pigiama, dentro al commissariato di cui è il centralinista. Sull’ostentazione del suo orientamento sessuale e sulle sue abitudini quantomeno bislacche mi taccio. Ma solo per non fare spoiler.


Photo Credits: Davide Musto

C’è un ruolo tra quelli interpretati fino ad oggi che hai sentito più tuo?

Tutti, perché sono miei. È meno banale di quello che sembra: il privilegio è stato proprio avvicinarli, perché con me non avevano niente a che fare. Ho interpretato drogati, poliziotti, omosessuali, un vicepresidente del consiglio, un praticante avvocato (io l’università non l’ho vista nemmeno in foto), ho visitato gli anni sessanta, il seicento, persino l’antica Roma. Sono molto fortunato, tra i miei coetanei. Non mi hanno mai assunto per “fare me stesso”. E menomale.

Hai diretto alcuni cortometraggi che hanno avuto un grande successo. Quali sono i temi di cui vorresti parlare da regista?

Fin ora ho trattato anoressia, bulimia, molestie sulle donne, bioetica, suicidio giovanile, aberrazioni della tecnologia. Insomma, un allegrone. Mi ha sempre appassionato approcciare con uno sguardo non ordinario (e perché no, anche ironico) i temi più spinosi e drammatici che ci somministra la realtà, che diciamolo, non si fa mai pregare per mostrarci il peggio del peggio di sé. Però la mia opera prima (che prima o poi esisterà), sarà una commedia. Nera, ma commedia.

Come stai vivendo questo periodo di semi lockdown?

Sto girando una serie e la sera resto a casa a cucinare, vedo film, scrivo. Praticamente lo stile di vita che sogno. A rendermelo nemico è la difficoltà dei colleghi che rivedranno i teatri aperti chissà quando. E poi i ristoratori, chi lavora nel turismo e nell’intrattenimento. Ma anche la sofferenza di chi ha perso qualcuno, le difficoltà delle piccole imprese, gli artigiani costretti a chiudere. Ecco, non mi riesce non sentire nel profondo le ingiustizie, per parafrasare un rivoluzionario vero. Cerco di riflettere su come fare a contribuire nel mio piccolo, in questo esausto capitalismo, anche delle idee. Cerco, e non trovo, e questo rende il “semi-lockdown” ancora più cupo di quello precedente.

Un luogo in cui andresti appena si potrà tornare a viaggiare?

Vorrei andare a trovare i miei amici a New York e Los Angeles, sentire l’entusiasmo per il nuovo ciclo politico. E poi andare a scoprire un po’ della Cina, per capire in che direzione andrà il mondo. Ma ancora, tornare sereno e tranquillo a Milano a vedere un bello spettacolo al Piccolo, all’Elfo, al Partenti, ma anche a San Siro a vedere la mia Inter.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Al manicomio. O al Mibact. Come Ministro ovviamente. O a vivere in un appartamentino ad Upper West Side, a dirigere film nella mia amata San Pietroburgo, a imparare a fare le torte, magari a le Marais a Parigi (che per un aspirante aiuto cuoco essere incapace coi dolci è imperdonabile). Resta da capire se sarò io, Guglielmo, o i personaggi che interpreterò, a fare tutte queste belle cose. Facciamo che non c’è differenza?


Immagine di cover: Sky/Gianni Fiorito

Matteo Ward lancia il suo nuovo progetto per il sociale: School of WRAD

“Sostenibilità: se ne parla tantissimo ma c’è sempre più confusione. Oggi più che mai la verità attorno al tema “moda e sostenibilità” è artificiosamente controllata da realtà il cui unico interesse continua ad essere il profitto, ai danni di milioni di persone e dell’ambiente. Anche l’educazione attorno ad un tema così importante per la vita sul pianeta è diventata puramente un business invece che un servizio inclusivo ed accessibile per tutti” afferma Matteo Ward, CEO e co-founder di WRÅD.



Da questa consapevolezza nasce l’esigenza del brand di lanciare SOW – SCHOOL OF WRÅD, la prima piattaforma indipendente e digitale dedicata interamente alla cultura della sostenibilità. Una community con un obiettivo ambizioso e urgente, vista la criticità della situazione contemporanea: catalizzare l’ascesa di una nuova forma di attivismo sostenibile nelle nuove generazioni attraverso la diffusione della verità attorno al tema moda e sostenibilità in modo chiaro e semplice.

Prima di iniziare con l’annuncio, Matteo ci ha raccontato del suo percorso, iniziato nel 2015, quando, dopo anni di carriera nel mondo tessile, ha compreso l’impatto ambientale dello stesso e, partendo da questa verità, spesso celata agli occhi di tutti, ha deciso di uscire dalla sua zona di comfort e di diventare parte attiva di un cambiamento. Come? Innanzitutto comunicando la sostenibilità, partendo da workshop nelle scuole. Dal suo piccolo liceo di Vicenza di 65 studenti, è arrivato oggi a comunicare con 11 mila studenti delle scuole superiori e università italiane.



L’ispirazione per il secondo step gli è proprio arrivata da loro, gli studenti; infatti, una volta compreso il reale impatto ambientale della moda, la prima domanda che gli veniva posta era “E quindi? Cosa possiamo fare per cambiare tutto questo?”. Per rispondere al quesito Matteo Ward, con l’aiuto di Susanna Marcucci fonda WRAD Innovation, da cui cominciano gli investimenti in ricerca e sviluppo. WRAD e i suoi 27 partner lavorano a diversi progetti; il loro primo brevetto è la tintura con grafite riciclata, grazie alla quale hanno vinto diversi premi in tema sostenibilità. Anche in ambito medico non si sono lasciati sfuggire l’opportunità di lasciare il segno: a Vicenza è da poco diventata obbligatoria una loro creazione: un tessuto in grado di prevenire la proliferazione batterica. Ma non si sono fermati qui, anche in campo informatico si sono fatti conoscere, tramite una blockchain capace di calcolare e comunicare l’impatto ambientale.


Nel 2017 decidono di iniziare a dare in licenza ad altri brand queste tecnologie innovative. Ward inizia a viaggiare il mondo alla ricerca di partner, ma ben presto si rende conto che è troppo prematuro, i potenziali clienti non sono ancora interessati alla sostenibilità. Decidono dunque di fondare un brand, WRAD Design, con lo scopo di coniugare in un capo sia il prodotto che il servizio, nel modo più responsabile e funzionale. Il primo a credere in loro è YOOX, per cui cominciano ad avere anche un ruolo di consulenza e a creare insieme campagne sul tema sostenibilità. Questo pattern si ripete poi coi futuri collaboratori. Successivamente collaborano anche con brand al di fuori del mondo tessile, come Starbucks e Acqua Di Parma. Questa scelta, spiega Matteo Ward, è stata fatta in quanto, quando si parla di sostenibilità, ciò che conta è la missione finale: rispondere alle esigenze dell’umanità.


Nel frattempo Ward si accorge che col passare degli anni, sì, ‘sostenibilità’ è diventata una parola sempre più in uso, ma al contempo è spesso abusata e manipolata dai player del mercato: la moda sostenibile non esiste, al massimo può essere realizzata con più responsabilità. L’educazione in tema poi spesso rimane un discorso elitario, esclusivo, accessibile a pochi, anche per problemi di barriere linguistiche; ma non si può più aspettare, dice Ward, e per questo fonda oggi School Of WRAD: una piattaforma dedicata alla cultura della sostenibilità, organizzata in pacchetti ultra funzionali, economici e disponibili in moltissime lingue. Lo scopo è quello di rendere i lavoratori attivi sul fronte della sostenibilità, mettendo a disposizione dei tools. Il servizio educativo sarà pro bono per coloro che vivono in paesi in difficoltà, ma rilevanti per il mondo tessile (ad esempio il Bangladesh). Ogni partecipante pagante aiuterà la partecipazione gratuita di altri studenti.

Il 24 Novembre verrà aperta una crowdfunding campaign nella piattaforma Indiegogo, dando la possibilità al pubblico di partecipare alla costruzione del progetto e diventare fondatori della scuola. La campagna di raccolta fondi alla quale tutti sono chiamati a partecipare e che scadrà a fine anno è necessaria per supportare WRÅD nella produzione finale della piattaforma digitale e nella traduzione dei contenuti in più lingue locali come Hindi e Farsi, step necessario per rendere ancora più inclusivo il progetto abbattendo le barriere linguistiche.

Oralcare: I consigli per un sorriso perfetto

Avere un sorriso perfetto e luminoso che completi il nostro volto è un po’ il sogno di tutti. Genetica e una buona dose di fortuna fanno sempre da padrone, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte. Spazzolare in modo corretto, evitare l’alcool e le caramelle gommose e usare il collutorio sono certamente tra le prime regole.

Questo lungo tempo tra le mura domestiche può essere l’occasione anche per migliorare la tecnica di cura della propria bocca, magari provando qualcuno dei prodotti che abbiamo selezionato.


Oral-B iO

Uno spazzolino elettrico dotato di una tecnologia unica e rivoluzionaria, capace di combinare innovazione, design e personalizzazione d’uso, garantendo una pulizia efficace e profonda. L’interfaccia interattiva permette di ricevere un messaggio di benvenuto, impostare la lingua, avere indicazioni circa la modalità di spazzolamento ed essere avvisati quando è il momento di cambiare la testina, oltre che di un visual timer, che consente di rispettare il tempo di pulizia di 2 minuti raccomandato dagli specialisti.


Piuma Care

Piuma Brush è uno spazzolino all’avanguardia, nato dalla fusione fra scienza, tecnologia e design. La forma è innovativa: il manico flessibile, le micro setole delicate e arrotondate e una testina con pulisci-lingua. Inoltre, è stato recentemente premiato al Compasso d’Oro per il suo design e per l’utilizzo di materiali green. Il riconoscimento è arrivato anche grazie alla sua base che lo trasforma in un gradevole elemento d’arredo nell’ambiente del bagno.


Antica Erboristeria

Questo dentifricio, dalla formula contenente il 90% di ingredienti di origine naturale, quali aloe vera e bamboo, dona loro un effetto sbiancante molto delicato. Inoltre, esercita un’azione lenitiva sulle gengive, rinforza lo smalto e garantisce una sensazione di freschezza per tutta la giornata.



Marvis

Caratterizzata da aromi speziati e i sapori raffinati, questa pasta dentifricia ricrea una sorta viaggio immaginario attraverso i profumi e gli odori dell’estremo Oriente. Dal gusto ricercato e sofisticato, combina la menta piperita e la dolcezza del succo delle arance con un aromatico e raro cardamomo, garantendo una sensazione di freschezza.


Per completare la nostra routine oral care, questo colluttorio concentrato all’anice è certamente l’ideale. Avvolge la bocca con una sensazione di freschezza che si crea dall’unione fra la menta e l’anice. La sua formula rinfrescante, priva di alcool, è arricchita con estratti naturali, xilitolo e propoli. Favorisce una buona igiene quotidiana della bocca e garantisce un alito fresco a lungo.

Le sculture luminose di Paolo Gonzato

“La baracca è luogo fisico e al contempo metafora di un processo relazionale e creativo in bilico tra anarchia e controllo, poesia e razionalità”. Così il curatore Damiano Gulli introduce l’omonimo titolo – BARACCHE – della mostra personale dell’artista milanese Paolo Gonzato presso la galleria CAMP, il cui programma è interamente dedicato dalla direttrice Beatrice Bianco alla ricerca nel mondo in divenire del collectible contemporary design. Abbiamo incontrato l’artista in occasione del finissage della mostra per parlare di unicità, di pieni vs vuoti e di come il vetro abbia memoria.


Photo Credits: Ivan Muselli

È la tua seconda mostra da CAMP Gallery? Cosa ti attrae di quello che oggi molti oggi descrivono come functional art ?

Mi piace il fatto che sia un terreno ambiguo, indefinito che tiene il piede in due scarpe senza protendere per nessuna direzione. Mi piace che sia un ambito aperto che si sta scrivendo ora differenziandosi dal classico design di produzione, un’ “arte espansa” citando Mario Perniola.



Chi sono stati i tuoi riferimenti nel design industriale passato ?

Alcuni hanno dato forma ai miei riferimenti generali di artista, che ha il design come stimolo concettuale. Principalmente le forme di Ponti, Mendini, Sottsass, Munari.  Tuttavia non smetto di aggiornare le ispirazioni scoprendo percorsi minori o soltanto ancora da scoprire; per la ceramica Antonia Campi e Carlo Zauli, per i vetri Tony Zuccheri, del quale ho avuto la straordinaria occasione privata di vederne lo studio “congelato” al momento della sua morte.



Sempre di più l’individualismo è un valore determinante nella nostra società fondata sui social media. Individualismo e unicità sono valori sovrapponibili ?

L’unicità è una qualità che non può essere prodotta, è un concetto complesso legato al talento e non necessariamente all’idea di novità. L’unicità non è un luogo comune, non ha corrispondenze col pensiero mainstream né col falso mito della libertà. Ha più a che fare con le identità eccezionali e con le idee.

Oggi più che mai siamo consapevoli della mutevolezza e della precarietà dei nostri sistemi di riferimenti. Tre oggetti della tua vita quotidiana da cui non ti potresti mai separare ?

Mi guardo attorno e la stanza è talmente piena che farei a meno di tutto. Agirei per sottrazione fino ad arrivare al minimo indispensabile. Anzi se qualcuno volesse comprarsi tutto, casa compresa , ricomincerei da zero.



Tre libri che vorresti sempre avere nella tua borsa favorita ?

Nella mia borsa Simone Rainer mi porto a spasso Glamorama di Bret Easton Ellis, la copia originale della fine degli anni ’90.  Poi uno dei libri che Isabella Santacroce ha firmato e dedicato per una mia installazione/display fatta al museo di Rimini, una memorabilia da teen-fan che mischiava oggetti personali, disegni fatti da Isabella stessa col rossetto per me e opere preesistenti. La borsa deve essere capiente perché ci metto anche un grande e pesante libro di stampe del ’800, che separate dallo stesso sono diventate la base su cui intervenire per la mia serie di lavori OUT OF STOCK (Ex Libris), con le quali lo scorso anno ho presentato una personale all’interno della casa di un collezionista milanese di arte moderna.

Che rapporto hai con il vetro, perché lo senti affino al tuo carattere ?

Le vetrofusioni registrano e congelano per sempre ogni segno, ogni difetto, ogni errore, anche la grana della polvere.

La cosa migliore di essere un artista che vive e lavora a Milano ?

Milano è una città eccezionale, che ha plasmato il mio immaginario fatto di architetture di cemento armato grigie e austere. Non so se molti la considerano una qualità ma io esteticamente trovo questo aspetto molto apprezzabile. Cosi come il vestire di nero da testa a piedi, distaccati ma intensi, forse anche un po’ stronzi. Dagli anni ’90 vivo a Milano, l’ho presa come base da cui sono andato e venuto nelle altre capitali europee. I club, l’Accademia, le gallerie d’arte, il Design, un gran concentrato in un piccolo spazio vivibile e vivace.

Cosa invece trovi che manchi ?

Mancano le strade vuote, le automobili mi fanno schifo, sono un oggetto obsoleto. C’è una foto attuale di Chernobyl abbandonata, invasa dalla natura che corrisponde alla mia proiezione utopica degli spazi. Vorrei spazi entropici. Non ho la patente e mi muovo solo coi mezzi pubblici.

Il tuo prossimo progetto ?

Uno solo? Ne ho sempre tanti… Prendere un altro french bulldog, una compagna per il mio frenchie Artù; una serie di arazzi di lana di grande dimensione che presento alla galleria APALAZZO di Brescia; completare il mio nuovo studio nella zona di NOLO a Milano…


25 Novembre – La voce dell’arte e della moda nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne

L’urlo sordo di chi muore dentro perché non sa come liberarsi da quella prigione di una vita mai immaginata.
Il coraggio ritrovato, timido, reso vano da un’indifferenza, colpevole di una tragedia, almeno quanto quella del suo aguzzino.

La giornata di oggi è un pensiero lungo e profondo come un respiro, nei confronti di tutte quelle donne che subiscono quotidianamente violenza “fisica e verbale”, tra le mura di casa, sul posto di lavoro, per le strade della città. Questa giornata, istituita dall’ONU il 17 dicembre 1999, fa riferimento al tragico evento del 25 novembre 1960, in cui le sorelle attiviste Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal vennero uccise in maniera cruenta per essersi opposte al regime dittatoriale di Trujillo nella Repubblica Dominicana.

Non è un tema da prendere sotto gamba, né da prendere in considerazione solo una volta l’anno, visto che, nel 2020, le richieste d’aiuto al numero antiviolenza sono state 1522, ovvero l’119,6% in più rispetto all’anno precedente. Che sia stato il lockdown ad acuire il problema, poco importa; quello che succede al di là delle mura domestiche è prima di tutto un problema culturale che va estirpato alla radice, alla base dell’educazione di bambini e bambine: gli uomini e le donne di domani.

Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato dedica il programma di questa settimana ad alcuni artisti che hanno alzato la bandiera in favore delle donne che vivono in prima persona questa condizione.
Per la serie #Extraflags l’artista turca Güneş Terkol presenta When push comes to shove (Quando il gioco si fa duro), opera tratta da un’immagine avuta in sogno dall’artista durante un periodo di residenza a Londra nel 2010, in cui frequentava The Women’s Library, e da cui è iniziata una ricerca rivelatasi fondamentale per la sua formazione e per la sua pratica futura.

La bandiera porta il volto indefinito di una donna con la bocca aperta nell’atto di urlare, che al posto della lingua fa uscire un grande coltello da cucina: non si tratta di un urlo violento, ma di una manifestazione di dissenso, un gesto di resistenza e un atto di solidarietà tra donne che chiedono un aiuto e donne che questo aiuto lo ascoltano.

Inoltre, un incontro per riflettere, proprio nella giornata di oggi, alle 18.30 con il titolo di Post Human. Corpi mutanti e nuove identità con Camilla Froio, ricercatrice all’università degli Studi di Firenze.

Con la sua mostra intitolata Post Human, il curatore Jeffrey Deitch, aveva riunito i maggiori artisti della scena internazionale del tempo coinvolgendoli in un dialogo serrato sul rapporto tra arte contemporanea e i media L’esposizione intendeva esplorare le implicazioni dell’ingegneria genetica e di altre forme di alterazioni fisiche del corpo umano. Al contempo, il dibattito abbracciava le altre urgenti questioni: la pornografia, la distorsione del corpo femminile e, non ultimo, il nuovo potere dell’industria del lusso.

Anche la moda fa la sua parte. È dall’azienda marchigiana di calzature Cult che risuona il progetto speciale “The Only One Cult” limited edition, che vede il lancio di una capsule collection, proprio in questa giornata speciale, tramite una finestra speciale sul canale Instagram del brand. Attraverso una diretta, possiamo scoprire l’opera di personalizzazione di un collettivo di giovani artisti, che lavorano sotto la direzione del poliedrico artista Mariano, per un’esperienza artigianale unica e coinvolgente.

Un modello selezionato sarà venduto all’asta sulla piattaforma CharityStars e “l’intero ricavato” sarà devoluto all’associazione no profit Dress for Success che, da oltre vent’anni, supporta le donne e la loro emancipazione.

Dopo il lancio social, The Only One Cult sarà in vendita, a partire dall’autunno 2021, in selezionati shop e in esclusiva sull’e-commerce del brand, ma una parte del ricavato delle vendite verrà comunque devoluto alla medesima associazione, per continuare a dare un supporto concreto in favore dell’empowerment femminile.

L’importanza di chiamarsi Lou Smith

Traduzione e adattamento – Valentina Ajello

Circa una decina di anni fa, la scena musicale rock era abbastanza in stallo. Non riuscivo a trovare nulla di particolarmente interessante tra i dischi che uscivano in quel periodo. Ricordo nitidamente che un giorno mi imbattei, in modo del tutto casuale, in un video su YouTube di un’esibizione live di un gruppo chiamato “Fat White Family”. Ne rimasi completamente colpito. Feci altre ricerche, sempre su YouTube, che confermarono ancor più quella mia prima sensazione: finalmente, dopo tantissimi anni, mi trovavo di fronte ad un gruppo musicalmente inclassificabile e dotato di una micidiale miscela di dissacrante anticonformismo. 



Andai avidamente a vedermi tutto quello che riuscii a trovare in video su di loro. Notai che quasi tutti i video erano di un certo Lou Smith. Investigai e scoprii che la firma di Lou Smith era presente anche in moltissime registrazioni live di altri interessantissimi gruppi e che, quasi sempre, la location dove avvenivano queste registrazione era un locale di Londra, più precisamente a Brixton, chiamato  “Windmill”. Rimasi sbalordito dalla freschezza e qualità di tutti quei gruppi. A parte i Fat White Family mi impressionarono molto gruppi come “Meatraffle”, “Warmduscher”, “Pregoblin”, “Goat Girl”, “Madonnatron” e molti altri. Facendo delle ulteriori ricerche venni a scoprire che abbastanza incredibilmente tutte quelle band venivano sì da Londra, ma in particolare dalla zona a sud della città. Una scena ricchissima di stili e generi nata intorno a pochissimi quartieri della città. 



Dopo alcuni anni, mentre continuavo avidamente a seguire tutte le nuove registrazioni di Lou Smith, andai a Londra e, per la prima volta, arrivai al Windmill a Brixton. Ricordo che ero molto emozionato. La stessa emozione che si prova quando si ha la certezza che un desiderio verrà realizzato. Entrai e rimasi subito positivamente colpito dalla gentilezza dello staff e dal fatto che la location era tutto tranne che scintillante e alla moda: un pub scarno e accogliente con un piccolo palco posto sul fondo del bancone addobbato da una tendina carnevalesca e con il logo del locale bene in evidenza. Mi sembrò incredibile e bellissimo che tutte quelle band, tutta quella scena fosse passata da quel palco così ridotto ed intimo. 

Ma quella sera successe un’altra cosa che mi segnò tantissimo: scorsi da dietro una sagoma che mi era familiare. Mi avvicinai a capii che mi stavo trovando di fronte proprio alla persona grazie alla quale mi stavo trovando lì in quel momento: Lou Smith! Mi presentai e lo salutai. Da lì cominciò un’amicizia che mi portò a frequentarlo tutte le volte che andavo a Londra per qualche concerto. Sempre al Windmill, ovviamente. 



A causa del COVID il “Windmill” rischia la chiusura. Sarebbe una tragedia immane. Ecco il link per chi volesse partecipare al crowdfunding e salvaguardare questa storica venue.

Ecco l’intervista che ho fatto a Lou in cui ci racconterà qualcosa della sua vita, del suo rapporto con il Windmill e i Fat White Family e di come e perché è nata quell’incredibile scena musicale proprio nel  sud di Londra. 


Puoi raccontarci qualcosa di te e dei tuoi svariati progetti?

Sono nato a Leeds. Mio padre era un geologo e mia madre un’artista e una creativa. Ci siamo trasferiti a Uxbridge, un sobborgo a ovest di Londra quando avevo 14 anni. Era la lunga estate calda del 1976 quando il punk raggiunse le strade e le onde radio di Londra. Fu in questo periodo che mi regalarono la mia prima macchina fotografica che, però, non portavo mai a quei primi concerti perché era pericoloso: c’erano le guerre tra bande di Ted, Rocker, Punx, Skinz ecc. Non mi sarei sentito sicuro con una macchina fotografica in metropolitana ai tempi. Allora fotografavo paesaggi, persone e animali e documentavo i miei primi viaggi. Iniziai a interessarmi alla musica alternativa ascoltando, tutte le sere dalle 22 alle 24, il programma radio di John Peel: i Clash, i Fall, i Cure, i Ruts, gli Undertones e numerosi altri inclusi musicisti Ska e Reggae. Questa mia passione mi distingueva dai miei compagni di scuola che ascoltavano heavy rock e più tardi heavy metal. In quel periodo, in concerto, ho visto, tra molti altri, i Joy Division, gli Strangers i Jam, i Clash, i Cure, gli Smiths e Kate Bush.

Dopo aver finito la scuola e non aver terminato la laurea in biochimica all’Imperia College, nel 1983, a 21 anni, mi sono trasferito in uno squat di Brixton. Da allora vivo e lavoro nel sud di Londra. Successivamente mi sono trasferito a Camberwell e poi a East Dulwich dove risiedo tuttora. Ho lavorato come ingegnere video, sui set come manovale, scenografo, assistente art director e  art director per numerosi video promo tra cui  “Firestarter” e “Breathe” dei Prodigy e “Where The Wild Roses Grow” di  Nick Cave/ Kylie Minogue e come fotografo freelance, videomaker, regista e montatore di video musicali. Ho imparato da solo a fare il fotografo, saldatore, argentiere, falegname. Recentemente sono diventato  serigrafo, un mestiere che mi permette di guadagnarmi da vivere organizzando feste per bambini e realizzando il merchandise per le band del sud di Londra.



Quando e perché hai iniziato a filmare e documentare tutto ciò che passava al Windmill e gli altri locali del sud di Londra?

Ho iniziato filmando  i musicisti che suonavano regolarmente alla serata Dog’s Easycome Acoustic all’Old Nun’s Head pub a Nunhead. Per me era una valvola di sfogo e un impegno lontano dalle mura domestiche durante i primi anni di vita di di mia figlia Iris. Caricavo sul mio canale YouTube materiale relativo ad artisti quali Lewis Floyd Henry, Boycott Coca-Cola Experience (Flameproof Moth), Andy (Hank Dogs) Allen, Ben Folke Thomas and i fratelli Misty and Rufus (Popskull) Miller. 

Il 9 febbraio 2011 sono sbarcati lì i Fat White Family, che allora si facevano chiamare Champagne Holocaust e hanno suonato la cover dei Monk “I hate You” oltre a una manciata  di canzoni loro tra cui “Borderline” e “Wild American Prairie”.  La formazione era composta dai fratelli Saoudi, Saul Adamczewski  e Anna Mcdowell e Georgia Keeling come coriste. Il batterista doveva essere Chris OC.  Lias (Saoudi) era alla chitarra e Saul alla voce e tamburino. Ho perso il filmato dell’intero concerto, ma mi è rimasto quello del brano “I Hate” che trovate sul mio canale:

I FWF hanno suonato molti altri set acustici all’Easycome nei mesi di febbraio e marzo. Da allora ho seguito la band fino al loro primo vero e proprio concerto intorno all’11 aprile. Insieme a Saul, Lias e Nathan (Saoudi), c’erano  Dan Lyons alla batteria e Jak Payne (Metros) al basso.

Avevo Canon 5D Mkll  e usando una versione “craccata” sel sotware Magic Lantern sono riusito a ottenere un suono decente e a documentare per la prima volta un evento live in HD.

Ti ricordi la prima volta che hai messo piede al Windmill? Qual è la tua serata che non scorderai mai?  

Come ho già’ detto è stato l’11 aprile  2011. Tuttavia ho un lontano ricordo di esserci stato trascinato anni prima visto che mi sono trasferito a Brixton negli anni ’80. Ci sono state molte serate grandiose, ma le migliori erano quelle il cui line-up comprendeva i FWF o i Warmduscher. La raccolta di fondi dopo la morte di Jack Medley è stata un evento intriso d’amore. L’amore era così denso che lo si poteva spalmare. All’evento hanno partecipato sia i Warmduscher che i Fat White Family. 

Adoravo l’atmosfera di anarchia dei primi concerti dei FWF e quella sensazione forte di appartenere a una famiglia, o a qualcosa di più grande della somma delle parti. Mi sono divertito molto anche alle serate dei  Meatraffle e della loro band consorella Scud Fm così come a quelle degli Shame, Sleaze, Amyl e gli Sniffers e Goat Girl. 

Quanto è stato importante il Windmill per la “creazione” di tutta quella che poi è diventata la scena di South London e se ci puoi raccontare quello che è stato il tuo rapporto con quella venue meravigliosa? 

Non credo sia eccessivo dire che la scena di South London (SLS) che conosciamo oggi non sarebbe stata possibile senza il Windmill. Non è facile capire il perché, ma la ragione principale è Tim Perry, l’organizzatore del locale, che coniuga buon gusto musicale con lo scouting di artisti su cui nessuno scommetterebbe (ma anche grandi talenti) e un fiuto allenato a capire le fregature. Il locale ha sempre attratto i migliori ingegneri del suono e la qualità’ del suono è sempre stata una delle sue caratteristiche distintive. Le band si aiutano a vicenda senza la rivalità distaccata e modaiola che ho visto nel nord di Londra. Una volta che il Windmill ha raggiunto la fama attuale, la gente ha iniziato ad assieparsi alle sue porte per partecipare alla magia che si creava al suo interno. Sono felice di aver contribuito  nel mio piccolo con il mio canale YouTube a far sì che quelle fantastiche band avessero un po’ di visibilità’ globale.



Sei stato il primo a documentare il lavoro dei Fat White Family. Hai capito subito quale poteva essere il loro potenziale? Puoi descriverci cosa ne pensi di questa band? 

Direi di si’. Ho capito subito che catturavano lo zeitgeist della crescente sensazione di nichilismo, disgusto e disprezzo totale per il trattamento riservato alla gente comune dall’ondata di gentrificazione, dalla politica neo liberista e dalla finanza globale. Mi ricordavano lo spirito del ’76 e hanno riacceso in me la passione che provavo per le prime band punk. La loro fama si allargava e la famiglia cresceva, non in modo gonfiato, ma per l’entusiasmo che i loro concerti  riuscivano a trasmettere La relazione ambigua e violenta tra i membri della band, in particolare Saul e Lias, e la prontezza se non maestria con cui affrontavano tabù e temi scabrosi con una sorta di humour che confinava con la morbosità’ li rendeva irresistibili. I testi tribali e totemici che nessuno osava mettere in questione accompagnati da ritmi sexy, sporchi, lo-fi country psichedelici rendeva la miscela inebriante. Lias perfezionando il suo falsetto gollomesco gracchiante e imprevedibile mandava il pubblico in estasi, mentre Saul alimentava l’euforia emanata dal sound con il suo sorriso sdentato e il ritmo della sua chitarra. Il resto della band doveva per necessità essere degenerata o geniale.

Secondo te come è possibile che così tante band interessantissime vengano tutte da quella zona di Londra? 

Credo che dipenda dall’ondata di gentrificazione che e’ iniziata da Covent Garden nei tardi anni ’70. Poi gran parte del nord e in seguito l’est ed il sud est sono stati conquistati da orde spietate di yuppy. Brixton, con la sua forte identità culturale, gli squat e la sua popolazione afro-caraibica ha resistito almeno temporaneamente. Gli affitti erano ancora abbordabili e gli studenti del Goldsmith e Comberwell College trovavano qui una comunità e la possibilità di esprimersi sui muri delle strade. I musicisti si riunivano in quei pochi locali dove potevano ancora sopravvivere, esplorare e crescere, ovvero una manciate di pub di cui il Windmill è senza dubbio il più importante, ma di cui fanno parte anche il Grosvenor, l’Amersham, il New Cross  Inn, il Queen’s Head, il Montague Arms, il Five Bells.

Quali sono le tue band preferite di questi ultimi anni? 

Mi appassiono raramente a band diverse da quelle che vedo da vivo, per me la musica deve essere per forza live. Se non fosse così, ascolterei ancora le band che seguivo da giovane, ricordando le glorie passate, come fanno molti uomini della mia età. Ho avuto la fortuna di vivere a due passi dal Windmill e di aver costruito un’amicizia con i proprietari e i musicisti.

Ci puoi anticipare quelle che, secondo te, sono le più interessanti e promettenti tra le band più recenti? 

E’ bello vedere che arrivano ancora band nuove nonostante il COVID. Mi piacciono soprattutto le seguenti: Addywak, STV, Deadletter, PVA, Muckspreader, Misty Miller.


Vi segnalo il suo sito, il suo canale YouTube e quello LBRY.

Photo Credits: Lou Smith

Gli artisti under 35 da tenere d’occhio

La curiosità spinge l’essere umano a percorrere nuovi sentieri: ciò, ovviamente, è valido anche per gli artisti. Quando decidono di esprimersi esplorando diversi media, vivono davvero in modo creativo. Perché anche nella vita quotidiana quando decidiamo di sperimentare, ad esempio, nuovi comportamenti per migliorare la qualità della nostra esistenza o comunichiamo in modo efficiente, pensiamo davvero. Ecco, il pensiero è anche la matrice dell’arte. Dal logos interiore incessante di alcune brillanti menti, noi di Man in Town vi presentiamo la new generation di artisti italiani che dovete assolutamente conoscere.


Luca Bosani, performer e investigatore del reale


La tua formazione? 

Nel 2009 mi sono diplomato presso il Liceo Scientifico Tecnologico, Ettore Majorana di Rho. Successivamente, nel 2012, ho conseguito una Laurea Triennale in Design degli Interni, presso il Politecnico di Milano. Nel 2013 ho frequentato la Foundation in Slade School of Fine Art di Londra e nel 2014 ho conseguito il Higher National Certificate in Fine Art presso il Kensington & Chelsea College di Londra. Nel 2015 ho frequentato il corso di Storia dell’Arte Contemporanea / Performance presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e infine nel 2017 ho conseguito un Master in Performance (Contemporary Art Practice), presso il Royal College of Art di Londra.

Progetti in cantiere?

Una live performance personale presso la San Mei Gallery a Londra a inizio Novembre 2020 e una performace collettiva presso l’Interior and the Collectors a Lione a Ottobre.
Inoltre, sto organizzando ‘NON-OBJECTS’ collettiva presso la galleria del Morley College a Londra, alla quale prenderanno parte artisti quali Rosie Gibbens, Tamu Nkiwane, Victor Seaward. Poi qualcosa di forte in Italia di cui non posso ancora rivelare i dettagli.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Da piccolo ascoltavo le parole del mio professore di filosofia, da grande ascolto il mio istinto.

Regista, attore e attrice preferiti?

Kim Ki Duk, Rodolfo Valentino, Hari Nef

Pittore, scultore, architetto preferito?

Artemisia Gentileschi, Louise Bourgeois, Bruno Munari

Descrivi i diversi media che esplori, La sua Evoluzione stilistica e verso dove stai andando?

Partendo dalla performance, esploro, confondo e combino pittura, scultura e design della moda. La mia evoluzione stilistica è evoluzione di senso. Nelle forme e nei colori che sperimento, racchiudo idee e concetti che non si possono esprimere altrimenti. Dove sto andando? Dove altri non osano andare.

Perché sei un artista?

Ritengo che la parola artista non sia la più accurata per descrivere ciò che sono. Troppo carica e abusata. Preferisco ‘investigatore del reale’ o ‘esploratore di senso’. Non sono ciò che faccio ma credo fortemente in quello che sono. Rispondere al perché sono quello che sono è ardua impresa, certamente non posso essere altro.


Tommaso Ottomano, director e musicista


La tua formazione?

Sono autodidatta, ho imparato attraverso la sperimentazione, prima con la musica e poi con il video. Ho sempre preferito fare ricerca e “studiare” da solo senza per forza ricevere l’insegnamento di qualcuno. Credo che la scuola sia sicuramente un valore aggiunto ma non indispensabile. 

Progetti in cantiere?

Sono costantemente a lavoro su più progetti. A parte quelli che mi danno da vivere, questi ultimi 2 mesi mi sto muovendo per iniziare la produzione di due progetti personali che diventeranno poi delle video installazioni e che vorrei proporre l’anno prossimo.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Ho sempre ascoltato solo buona musica, di ogni genere, grazie soprattutto a mio padre. Sono cresciuto con dischi Dylan, Pink Floyd, Battisti, Battiato, Lolli, Velvet Underground, Beatles, Nick Drake… e continuo a scoprire nuove cose al loro interno. Negli ultimi anni invece sto facendo molta ricerca fra i nuovi artisti, soprattutto esteri, ma sono fan davvero di pochissimi artisti moderni.

Regista, attore, attrici preferiti?

Domanda a cui non posso dare una risposta definitiva perchè cambio costantemente idea a seconda dei giorni. Oggi direi David Lynch, John Malkovitch, Mariangela Melato, ma domani sicuramente ne direi altri. 

Pittore, scultore, architetto preferito?

Dali, Canova, Nanda Vigo


ANKKH, duo artistico composto da Kristofer ed Ektor, visual artists, Dj e performance art.


La vostra formazione?

La nostra formazione è iniziata dal momento in cui ci siamo incarnati su questo piano terrestre, abbiamo sempre avuto la passione per l’arte e lo spettacolo, con una sensibilità elevata abbiamo compreso prematuramente il nostro estro creativo. L’adolescenza l’abbiamo passata frequentando il liceo artistico per poi laurearci all’Accademia di Belle Arti di Bologna in pittura e arti performative. Ciò che più ci ha permesso di comprendere chi siamo è stato l’apprendimento delle discipline spirituali e olistiche (meditazione e rituali), il viaggio iniziatico a Londra e i clubs, lavorando per la scena underground di musica elettronica.

Progetti in cantiere?

Sono diversi i prossimi progetti essendo poliedrici: scatteremo con degli artisti dalle frequenze simili alle nostre, che esplorano varie tecnologie odierne, dalla 3D Art alla scultura futuristica con materiali inusuali. Uno di loro sarà _VVXXII. Nel frattempo ci stiamo focalizzando sulla musica che ci porterà ad esibirci live tra qualche mese. 

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Da piccoli ascoltavamo il cantautorato italiano, così come le icone del rock e del punk, affascinati da quelle figure eccentriche e folli, come David Bowie e Peaches. Ora invece viaggiamo nella wave contemporanea hyper pop, avant music, gender fluid come Arca, Dorian Electra, FKA twigs, Ashnikko, Sophie, ShyGirl, Tommy Cash. Siamo amanti della techno e dell’acid house, genere che suoniamo, come Kettama, Zora Jhones, Bryan Kessler.

Descrivete i diversi media che esplorate, la loro evoluzione stilistica e verso dove state andando?

Abbiamo iniziato dipingendo a quattro mani, opere ad olio su pannelli di legno, e nel frattempo abbiamo imparato a cucire comprendendo il valore della moda, fino a scoprire la performance art che racchiudeva al meglio tutte le nostre qualità ed interessi. Così abbiamo portato il pennello dalla tela ai nostri visi, sviluppando il make up e diventando noi stessi i personaggi dei nostri quadri. Ora stiamo affinando l’aspetto musicale che completerà la rappresentazione totalitaria di quello che è il nostro concetto di esibizione live.

Pittore preferito?

Alex Grey, Alesandro Sicioldr, Agostino Arrivabene, HR Giger, Erial Ali.

Perché siamo artisti?

Siamo artisti perché abbiamo imparato ad incanalare l’arte e diventarne portatori, vogliamo utilizzarla come mezzo espressivo per poter sensibilizzare le persone, in particolar modo le nuove generazioni. L’arte permette di mostrare altri modi di essere, di comunicare dei messaggi, nostro caso sono improntati sul risveglio della coscienza. Siamo artisti perché non potremmo essere altrimenti ed il mondo ha bisogno di arte libera. Gli umani devono comprendere al meglio l’utilizzo della creazione, intesa sia come opera materica che di trasmutazione interiore.

Giovanni Caccamo: “La musica è il paradigma delle emozioni”

Giovanni Caccamo è ormai un celebre cantautore. Inizialmente scoperto da Franco Battiato, vince la categoria “Nuove proposte” alla 65° edizione del Festival di Sanremo. L’anno successivo si guadagna il terzo posto nella sezione “Big” in duetto con Deborah Iurato e nel 2016, insieme a Bocelli, è uno dei protagonisti di “Music For Mercy”. Nel 2017 intraprende un’avventura televisiva come tutor nella scuola di Amici su Canale 5 e nel 2020 è ospite ai Seat Music Awards tenuti nell’Arena di Verona. La sua carriera oggi si muove tra musica e moda come testimonial per diversi brand lusso e ci racconta attraverso vissuti ed esperienze, il suo giudizio in merito alla correlazione tra la musica e la pandemia in corso.



Come è nata la tua passione per la musica ? Come è iniziata la tua carriera?

La mia passione per la musica è sempre stata un po’ una necessità, prima come ascoltatore e poi nel tempo anche come “cantautore”. Dopo la morte di mio padre, la musica è stata per me un rifugio, un porto sicuro; ascoltare tanta musica mi aiutato ad affrontare questi anni complessi.
A diciotto anni, mi sono trasferito a Milano dove ho cominciato a studiare architettura: già sognavo di fare il cantautore ma non scrivevo ancora le mie canzoni. Mi sono tuffato nello studio dei classici del cantautorato italiano per capire come funzionasse l’incastro tra parole e musica e iniziare a scrivere le mie prime canzoni. Ho capito che avrei potuto trasferire il mio vissuto e la mia emotività in canzoni inedite e la mia passione si è trasformata in vocazione, in necessità.
Per quattro anni ho bussato alle porte di numerose etichette discografiche e manager, ma nessuno si è mai fermato ad ascoltarmi. Nel 2012, a Donnalucata, ho incontrato Franco Battiato, mi sono appostato dietro un cespuglio per quattro ore, per consegnargli il mio disco. Il giorno dopo mi richiamò, manifestandomi l’interesse nel produrre il mio album.



È vero che è difficile come si pensa? Ci vuole solo fortuna?

Una delle cose più importanti che mi ha insegnato Battiato è stato il fatto di non avere mai l’arroganza di pretendere che arrivino canzoni nuove più forti ed ispirate rispetto alle precedenti. Noi siamo solo un tramite fra terra e cielo e le canzoni non appartengono a chi le scrive, ma a chi decide di ascoltarle.
L’arroganza è l’antitesi dell’arte, bisogna rimanere sempre umili, curiosi e perseveranti. Fare il cantautore è sicuramente complesso; la fortuna aiuta solo chi con dedizione e metodo investe la vita nelle proprie passioni, senza arrendersi davanti alle difficoltà.

La tua famiglia che ruolo ha avuto nel tuo percorso?

Mia madre mi ha sempre incoraggiato a proseguire gli studi. Arrivato a Milano ho infatti iniziato a studiare Architettura al Politecnico. Lei è sempre stata molto diffidente sul fatto che la musica potesse diventare un lavoro a tutti gli effetti. Tuttavia, mi ha sempre affiancato e supportato in modo razionale e lungimirante. Qualche anno fa ho pubblicato un romanzo epistolare “Dialogo con mia madre”, editore Rizzoli, che raccoglie una serie di scambi preziosi tra me e lei. La mia famiglia, le mie radici, sono le fondamenta della mia vita e della mia creatività.

Come si è ridimensionato il vostro settore ai tempi del covid?

Sicuramente l’impatto è stato molto doloroso. Migliaia di maestranze e lavoratori dello spettacolo sono tutt’ora fermi e in difficoltà. Io ho cercato, nel mio piccolo, di far viaggiare la mia musica in giro per l’Italia in una dimensione acustica, piano e voce. Ho percepito un gran desidero da parte del pubblico di ritornare ad emozionarsi, divertirsi e liberarsi attraverso la musica. È stato sicuramente uno dei tour più suggestivi e significativi della mia carriera. Qualche settimana fa è nata “Scena Unita”, un fondo solidale creato da un gruppo di artisti e personalità dello spettacolo, “Music Innovation Hub”, “La musica che gira” e “Cesvi Onlus”, per sostenere e supportare le persone più fragili del nostro settore.

La musica può essere una soluzione per il periodo storico che stiamo passando?

Penso che la musica sia sempre stato un mezzo fondamentale di comunicazione, forse più diretto rispetto ad altri; è il paradigma delle emozioni. L’arte e la creatività mi hanno salvato durante questa quarantena. Spero tutto questo ci porti a una riflessione profonda su ciò che siamo, sul nostro modo di vivere e approcciarci al mondo e agli altri. La musica continuerà ad essere il sottofondo portante di questo nuovo cambiamento.

DIVERGENTI, il Festival Internazionale di Cinema Trans

Dal 26 al 28 novembre torna Divergenti, il più longevo festival cinematografico in Italia interamente dedicato all’immaginario trans. Per la sua decima edizione, andrà in scena da Bologna in formato digitale su docasa.it, la piattaforma creata dall’associazione DER – Documentaristi dell’Emilia Romagna.



Ideato e organizzato da M.I.T. – Movimento Identità Trans, con la direzione artistica di Nicole De Leo e Porpora Marcasciano, il festival propone una selezione della migliore cinematografia e produzione audiovisiva a tematica trans, insieme ad una serie di incontri, allo scopo di promuovere la conoscenza della questione transessuale / transgender nelle sue diverse declinazioni, contrastando barriere e pregiudizi.



Il tema della decima edizione è ‘migrazioni trans’, intese come spostamento verso luoghi meno ostili, per sfuggire a fame, guerre e soprattutto pregiudizi transfobici. Verranno presentati undici titoli, di cui otto documentari e tre film di finzione, con due prime assolute e un’anteprima italiana. Realizzate da giovani registi emergenti ma anche da artisti già affermati, le undici opere abbracciano tematiche diverse – dall’immigrazione alla religione, dalla lotta per i diritti LGBTQI all’affermazione della propria identità di genere – esplorando la realtà transgender nel nostro Paese e nel mondo.



Nel convegno “Migrazioni Trans: attivismo, accoglienza, ricerca”, in streaming su Zoom, si parlerà esplicitamente del tema dello sfruttamento delle persone trans, in presenza di esperti e operatori del settore. Chiudono la sezione, l’incontro in streaming su Zoom di giovedì 26 novembre alle 18.30, con le due direttrici artistiche che dialogano con Mazen Masoud, protagonista del corto fuori concorso I Am Who I Say I am – Lotta o Fuga, e il regista Roberto Cannavo’ e i produttori di Divieto di Transito. Infine, a chiudere il festival, la premiazione dei film vincitori, in streaming sabato 28 novembre alle 20.

I film in concorso saranno valutati da una giuria composta dalla fotografa Lina Pallotta, dalla regista e attivista Giorgina Pi e dallo scrittore e giornalista Jonathan Bazzi, che assegnerà il premio al “Migliore Film” della decima edizione di Divergenti. Madrina virtuale di questa edizione sarà l’attrice e performer Silvia Calderoni, la quale aprirà la manifestazione insieme ai video saluti di altri due testimonials, il giornalista e scrittore Antonello Dose e l’avvocato Gianmarco Negri, primo sindaco trans d’Italia nel paese di Tromello.

Novità dell’edizione 2020, il festival ospiterà una nuova sezione, quella dei Vlog, ossia racconti in forma di blog o diario costituiti da filmati video. Il comitato di selezione del festival, presieduto da Richard Thunder, ha selezionato cinque racconti quotidiani che saranno disponibili sul canale Youtube dello stesso Richard Thunder durante i giorni del festival.

Tutti i film saranno visibili in streaming sulla piattaforma docacasa.it nel giorno di programmazione a partire dalle ore 10 per le 24 ore successive.

Gli artisti under 35 da tenere d’occhio

La curiosità spinge l’essere umano a percorrere nuovi sentieri: ciò, ovviamente, è valido anche per gli artisti. Quando decidono di esprimersi esplorando diversi media, vivono davvero in modo creativo. Perché anche nella vita quotidiana quando decidiamo di sperimentare, ad esempio, nuovi comportamenti per migliorare la qualità della nostra esistenza o comunichiamo in modo efficiente, pensiamo davvero. Ecco, il pensiero è anche la matrice dell’arte. Dal logos interiore incessante di alcune brillanti menti, noi di Man in Town vi presentiamo la new generation di artisti italiani che dovete assolutamente conoscere.


The Cool Couple, artisti multimediali


La tua formazione? 

Ci siamo incontrati a Milano, al master in fotografia e visual design di NABA. Niccolò arrivava da una laurea in filosofia, mentre Simone aveva studiato arte contemporanea. Per qualche anno abbiamo lavorato come studio manager tra Parigi e Milano e dal 2012 lavoriamo insieme come The Cool Couple. 

Progetti in cantiere?

Stiamo scrivendo un video, intitolato The Cute and The Useful sui metodi di conservazione degli animali selvatici in Sudafrica. Negli ultimi anni ci preme riuscire a parlare della crisi ambientale aggirando la tipica retorica del disastro per metterne in luce le contraddizioni, gli stereotipi e le questioni che emergeranno nel prossimo futuro. Nel caso di TCATU ad esempio i cute e gli useful sono gli animali che sopravvivranno all’estinzione di massa in atto: quelli carini e quelli che possiamo sfruttare economicamente, in termini di materie prime o forza lavoro. 

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Uno di noi Hip Hop, l’altro Minimal Techno e Metal. 

Regista, attore e attrice preferiti?

Christopher Nolan, Jim Jarmusch, Bill Murray, Cameron Diaz, Jack Nicholson, Kate Blanchett

Pittore, scultore, architetto preferito?

Damien Hirst, Arcangelo Sassolino, Gio Ponti, Tadao Ando.

Descrivi i diversi media che esplori, la loro evoluzione stilistica e verso dove stai andando?

Siamo partiti dalla fotografia, ma negli anni ci siamo mossi in diverse direzioni, toccando scultura, performance, video, pittura, videogiochi… Ci interessa come le immagini si muovono, come interagiscono con noi, come ridisegnano la nostra percezione del mondo.  

Perché sei un artista?

Puoi fare arte perché ti fa stare bene. Fare l’artista è uno step ulteriore, dove decidi di entrare in un sistema, con determinate regole e potenzialità, ma soprattutto è il momento in cui fai entrare la condivisione del tuo pensiero nella tua vita. Per noi fare gli artisti è una condizione senza pari, hai una libertà espressiva quasi illimitata, ma anche una responsabilità nei confronti dei tuoi interlocutori. Cerchiamo sempre di costruire dei progetti in grado di comunicare con un pubblico ampio, ci piace creare interazione con i fruitori delle opere.


Ekate Pace, tatuatrice e performer

Paride Cevolani all'opera
Paride Cevolani, illustratore e tatuatore


La tua formazione?

Ho frequentato il liceo artistico Felice Casorati di Novara e poi ho iniziato l’accademia Albertina di Torino, abbandonandola infervorata dagli orari ristretti e l’apatia generale che regnava.

Progetti in cantiere?

I progetti in cantiere sono: una performance con il tatuaggio e il corpo, la pubblicazione di una raccolta di poesie e pensieri su femminile, viaggio e sesso, e prendere una cascina da trasformare in un luogo di residenze artistiche, laboratori ma anche relazione con la natura, con il vuoto e con l’abbondanza.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Sono cresciuta con Renato Zero, Mina e i Queen, appassionata ai Led Zeppelin – Deep Purple e Doors fino agli Spiral Tribe, Sonic Youth e Joy Divison. Oggi ascolto Dadi Etro, Inca Misha, Khtek, A-wa, Acid Arab, Om, Devendra Banhart. Mi piace ascoltare tutto ciò che mi proietta in mondi magici e pazzi.

Regista, attore e attrice preferiti?

Amo i film di David Linch, David Cronenberg , John Carpenter, Alejandro Jodorowsky, Richard Linklater, Lana & Lilly Wachowski, Liliana Cavani, Paolo Virzì, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Pedro Almodovar, Quentin Tarantino, Studio Ghibli. Il mio attore preferito è Johnny Depp, mentre le attrici che preferisco sono Nicoletta Braschi e Penelope Cruz.

Pittore, scultore, architetto preferito?

Pittore preferito sicuramente Piero della Francesca e Salvador Dalì, ma anche Hans Hartung, Otto Dix, Frida Kahlo, Mauritania Cornelis Escher,  Paul Gauguin e molti altri. Scultori preferiti Antonio Canova e Henry Moore , ma anche Joan Miró nelle sue installazioni scultoree. Gli architeti che preferisco invece sono Friedensreich Hundertwasser e Antoni Gaudì.

Descrivi i diversi media che esplori, la sua evoluzione stilistica e verso dove stai andando?

Mi piace provare tutto ciò che mi permette di giocare e sperimentare rimanendo fedele al rito creativo. Con la pittura amo osservare come i diversi materiali  (ink, acrilico, smalto, polveri, acqua, vinavil) interagiscono tra loro e comunicano. Adoro il collage per la sua fruibilità di messaggio,  ma anche la videocamera mi appaga per il suo ruolo comunicativo. Il tatuaggio mi stimola nella sua varietà di uso e stile, e la penna bic è la mia migliore amica nei viaggi e prima di addormentarmi. Ho appena comprato una tavoletta grafica per ricominciare la fase di apprendimento con un nuovo mezzo e ora sono come una bimba con il gioco nuovo! Con questo mezzo potrò unire gioco e amore, passato e presente abolendo i limiti di tempo e spazio. A livello performativo, sto affrontando il rito della cultura  ‘Zulu’  di Costellazione Familiare con Giuliana Strauss, con l’obbiettivo di sciogliere i miei nodi, ma anche di integrare nella ‘A cena con i casi umani’ .

Perché sei un artista?

Non potevo fare diversamente, percepisco l’invisibile e ascolto il tutto. Per questo l’arte è la mia malattia e la mia cura. Mi ha portato in molti luoghi e mi ha permesso di illuminare le oscurità del mio passato. Mi sento molto fortunata a vedere la vita con gli occhi dell’artista, anche se questo include farsi molte domande, pretendere da sé stessi sempre di più e non annichilire l’empatia .


Paride Cevolani, illustratore e tatuatore


La tua formazione?

Piuttosto travagliata, ho frequentato l’Istituto d’arte (indirizzo scultura), diplomandomi in seguito al Liceo Artistico Arcangeli di Bologna. Ho conseguito poi un secondo diploma alla scuola internazionale di fumetto ed illustrazione Comics di Reggio Emilia.

Progetti in cantiere?

Perfezionarmi nel tatuaggio, elaborando uno stile riconoscibile e dedicarmi in veste di illustratore ai progetti editoriali in corso d’opera.

Cosa ascoltavi da piccolo e crescendo?

Sono crescito ascoltando Mtv e VideoMusic alla televisone dove ho scoperto la passione per l’hard rock e il punk prima e il goth e la minimal wave poi. Ora i miei gusti sono più eterogenei rimanendo tuttavia sempre fedele alle “origini”.

Regista, attore e attrice preferiti?

Lars Von Trier, Bela Lugosi, Bette Davis

Descrivi i diversi media che esplori, la sua evoluzione artistica e verso dove stai andando?

Prediligo tecniche miste e collage, utilizzando carte vintage. Sto riscoprendo il pennino a china e il rapidograph, utili per illustrazioni più grafiche e i flashtattoo. Non so in che direzione sto andando, seguo il flusso in modo naturale.

Perchè sei un artista?

Perchè è cio che so fare meglio.

MGC la nuova cuvée Mumm più leggera al mondo

Essenzialità.
Questa la cifra estetica della cuvée MGC, acronimo di Mumm Grand Cordon.
Questo il valore che segna il nostro vivere contemporaneo.

La Maison Mumm riconferma il suo ruolo di pioniere e innovatore con MGC la nuova cuvée creata in un’ottica sostenibile da 835 grammi per un 1 litro di bollicine, la bottiglia di champagne più leggera al mondo. Ross Lovegrove, acclamato e visionario designer gallese di fama internazionale realizza la MGC Mumm in vetro riciclato, quindi una mano all’ecosostenibilità. A renderla stilosa un design d’avanguardia, essenziale ed espressivo, che restituisce al gesto artistico la sua aspirazione funzionale. Nessuna etichetta: logo ed emblema oro sono stampati direttamente a caldo sul vetro. A identificarla l’inconfondibile Cordon Rouge inciso, una graffiata rossa, che instilla grinta e potenza raccontando la forza del pinot noir, vitigno caratteristico della Maison.

L’eleganza è resa attraverso un collo allungato e sottile: una scelta estetica che si adegua all’esigenza di accompagnare gli aromi. La passione certosina per la qualità, infine, ha determinato la scelta del tappo in sughero: Mitik Diam, che tra l’altro scongiura il fastidioso inconveniente di ‘sa di tappo’.
Una curiosità. La Maison Mumm crede talmente nell’urgenza di una prospettiva eco- sostenibile e della necessità di tendere all’essenziale, che ha inventato un nuovo programma di remuage, adeguato alla nuova cuvée MGC, nuova sia nella forma sia nel contenuto.

Ross Lovegrove

Ross Lovegrove è artista e designer industriale. Il suo stile e i suoi progetti sono immediatamente riconoscibili, un mix di tecnologia, scienza dei materiali e intelligenza organica. Il suo lavoro rappresenta la nuova estetica del 21esimo secolo.
Nato nel 1958 a Cardiff (Galles), Ross Lovegrove si laurea con lode in Industrial Design al Politecnico di Manchester nel 1980 e nel 1983 consegue il Master di Design al Royal College of Art di Londra.

Lovegrove ha partecipato ad alcuni progetti divenuti vere icone come il Walkman per la Sony e i Computer per la Apple. Si è occupato di numerosi progetti per British Airways, Kartell, Cappellini, Hernes; Moroso, Artemide, Driade, Renault, Issey Miyake, Vitra, Tag Heuer, Herman Miller, Japan Airlines e Toyo Ito Arichitects in Giappone.

I suoi lavori sono pubblicati su numerose riviste e vengono esposti in prestigiosi musei in tutto il mondo come il MOMA e il Guggengheim Museum di New York, l’Axis Centre in Giappone, il Pompidou Centre di Parigi e il Design Museum di Londra.

Alla scoperta di MGC Mumm Grand Cordon


Il Pinot Nero, l’uva simbolo della Maison, definisce la personalità di Mumm Grand Cordon. Rappresentando il 45% dell’assemblage, è il motore che offre una potenza e una struttura in contrasto con la freschezza e l’eleganza dello Chardonnay (30%). Al tutto si aggiungono la morbidezza e le note fruttate del Pinot Meunier (25%), e i vini di riserva di cinque annate diverse (fino al 30%), come garanzia di coerenza di stile. 30 i mesi di invecchiamento.

Di un giallo paglierino brillante, bollicine raffinate testimoniano l’eleganza e la dinamica dello champagne.
Mumm Grand Cordon rivela aromi di frutta frutti tropicali gialla, tra cui spiccano l’ananas, vaniglia e caramello. Il gusto è rotondo con una freschezza precisa che testimonia la complessità del vino. Finale persistente ma mai tagliente.

Editorial: “Il neo-punk non ha stagioni”

Fashion Editor : Francesco Vavallo @francesco_vavallo
Photographer : Niccolo Cacace @thenicspics
Model: Francesco @francescogianfrate
Location: Circolo Filologico Milanese @circolofilologicomilanese

Dal 430 di King’s Road alle boutique delle Champs-Élysées, borchie ed irriverenza anglosassone lasciano spazio a fresco di lana e bon-ton.


Motorcycle jacket and boots – Archive Saint Laurent by Hedi Slimane
Tailored trousers – Archive Tagliatore


Il punk non è morto, è cresciuto, masticato e rielaborato negli anni dalle più importanti maison, divenendone una versione neo-punk capitanata da giovani ragazzi “grunge-twink”, una visione che probabilmente distorce dall’immaginario comune della cultura punk ma non dagli ideali di ribellione che essa rappresenta.
Per definizione la nascita del punk è imputabile alla regina dell’anticonvenzionale, Vivienne Westdood che negli anni 70 con il suo ex-compagno e manager dei Sex Pistols, Malcolm Mclaren, decide di dar vita ad uno store di abiti stravaganti e fuori dal comune, creando una corrente di pensiero liberale e anarchico in grado di attraversare l’oceano, sbarcando negli USA e finendo sulle copertine dei più importanti magazine di moda.


T-shirt – Archive Vetements

Un’estetica riconoscibile ed affascinante in grado di diffondere sicurezza e pieno controllo della propria identità. Acconciature hardcore, spille da balia, jeans strappati e sguardo soporifero lasciano oggi spazio a completi sartoriali, capelli lunghi e curati, occhi di ghiaccio e fascino malinconico. Il nuovo punk è francese, più precisamente della capitale, giovane e dannato, dai capelli lunghi dei Ramones o dai tagli alla Mia Wallace, ascolta musica dai suoni elettronici ed indossa grandi firme rubate dagli archivi del padre o madre matching con look dalle ultime stagioni delle passerelle di haute couture parigina. Da Patti Smith, Luu Reed e Bowie massimi rappresentanti del punk e post-punk ad Andreas Kronthaler, Raf Simons, Billie Ellish ed Hedi Slimane, nuovi patrioti di questa sub-cultura nati dalla ricerca di un’entità mutabile, avanguardista ed ispiratrice.


Suit – Archive Saint Laurent by Yves Saint Laurent
Boots – Archive Saint Laurent by Hedi Slimane


L’iconico chiodo in pelle di Joey Ramone, frontman della band statunitense Ramones  fondatrice del movimento punk-rock newyorkese nel 1974, viene sostituito dal rifinito motorcycle jacket della maison francese Saint Laurent con direzione artistica di Hedi Slimane capitano della guerra contro lo streetstyle, l’acconciatura spettinata di Patti Smith e Luu Reed viene domata e curata, la maleducazione è velata da perbenismo sub-urbano ed infine l’espressione artistica passa attraverso i runway show di Undercover e Maison Margiela.
Il neo-punk parigino non è solo estetica ma una costante ricerca di nuove forme di espressione prendendo come riferimento tutti coloro che negli anni ’70 fecero della protesta interiore uno stile di vita.


Tailored wool suit – Archive Tagliatore
Popeline shirt – Archive Mauro Grifoni
Shoes – Archive Saint Laurent by Hedi Slimane


Ma se il neo-punk parigino è sartoriale ed annoiato dai trend della società, a Los Angeles i giovani latino-americani ritrovano un rifugio nella musica dei Germs e Led Zeppelin, costantemente alla ricerca di nuove forme di evasione, la comunità della città degli angeli è al centro di una bufera sociale che ha come protagonisti piccole band di quartiere con lo spirito di rockers e metallari di fine anni ’70.  Non interessa la politica e non interessano i movimenti culturali, vogliono solo essere liberi di esprimere ciò che sono e che vorrebbero essere con chitarra e batteria e se ciò non dovesse andare bene alla società la risposta è “Non ci importa!”.

Photo 1: Oversize Coat – Archive Del Mare 1911
Sunglasses – Archive Dior by John Galliano

Photo 2: Necktie – Archive Uniform Experiment
Jeans – Levi’s
Belt and boots – Saint Laurent by Hedi Slimane


Che sia a Los Angeles con i ricordi del passato o a Parigi con tailoring e disprezzo per i trend passeggeri della cultura urbana, ciò che accomuna questa onda di millenials irriverenti è la necessità di ritagliarsi un piccolo spazio nel mondo, allora perché non unirsi a questo mosh-pit.
 

La serie We Are Who Are We Are fa già parlare di sè

Un coinvolgente viaggio attraverso l’adolescenza visto con gli occhi di Luca Guadagnino, regista della miniserie “We are Who we are”, in onda su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv, composta da otto episodi. La serie è uscita lo scorso Ottobre e fa già parlare di sè, ma scopriamo insieme qualche curiosità.

L’amicizia, l’amore, i giovani in rapporto agli adulti in un contesto anglo-veneziano in cui le vicende della vita si svolgono in un turbinio di emozioni vissute da giovani e non. Al centro l’Italia, gli Stati Uniti che fanno da sfondo alle vicende dei protagonisti alle prese con la vita. Proprio così, al centro di tutto c’è la vita, complicata e affascinante. 



La serie è ambientata nel 2016, a pochi mesi prima dell’elezione di Donald Trump (oggi in uscita dalla White House), in una base dell’esercito americano in Veneto, precisamente a Chioggia. A sconvolgere gli equilibri l’arrivo di un nuovo comandante, Sarah, con la compagna e il figlio Fraser. Proprio quest’ultimo sarà al centro del legame che instaurerà con Caitlin, figlia di un graduato Trumpiano: a far da cornice paure, ansie ma anche emozioni forti che i due protagonisti vivranno. Al centro anche la diversità, gli amori, la sessualità e i rapporti tra adolescenti in un’intersecata e fitta rete di sentimenti ed emozioni. 



Ad interpretare Fraser l’attore Jack Dylan Grazer, nei panni di Caitlin, invece, Jordan Kristine Seamon, entrambi diciassettenni. All’interno del cast anche altri grandi nomi come Chloe Sevigny e Francesca Scorsese, figlia del regista Martin. Tra gli altri personaggi che interpretano altri adolescenti protagonisti della miniserie anche Ben Taylor nei panni di Sam Pratchett (fidanzato possessivo di Caitlin), Corey Knight che interpreta suo fratello Craig Pratchett e Spence Moore nella serie Danny Poythress, fratello di Caitlin.  Tra le presenze italiane: Vittoria Bottin nei panni di Sole, Sebastiano Pigazzi alias Enrico e Beatrice Barichella, che interpreta Valentina. 



Dopo “Chiamami col tuo nome”, il regista Luca Guadagnino si trova un’altra volta alle prese con le emozioni e gli stati d’animo degli adolescenti qui in simbiosi tra loro e che vivono sviluppando i loro sentimenti in scenari mozzafiato, con immagini che lasciano spazio all’immaginazione e al sogno.

Tutti i protagonisti del cast indossano i Tread Slick, rivisitazione sportiva del tradizionale modello Chelsea e l’Eyewear di Alexander McQueen.

New faces: Bl4ir

Classe 2000 e napoletano DOC, Simone Scognamiglio in arte Bl4ir (@call_me_bl4ir) è originario del quartiere San Giovanni a Teduccio. Esploso nell’estate 2018 con Te Botè Remix, si è da subito distinto per le sue attitudini musicali latine. A seguito di successi come “Me Vo” e “Tu Olor Remix”, è riuscito ad affermarsi nel contesto pop reggaeton italiano, anche grazie ai numerosi consensi ricevuti dai suoi colleghi e dai suoi fan sui social, da lui stesso definiti “famiglia”. Tra il 2019 e il 2020, esce con nuovi singoli, in particolare “Me Iama” e “Caramella”, frutto della collaborazione con l’artista Ivan Granatino. Come ci racconta lui stesso, la sua carriera è solo all’inizio, i nuovi progetti sono molti e le aspirazioni e le ambizioni sono altissime!



Come nasce la tua passione per la musica?

È una passione che mi è stata trasmessa dalla mia famiglia, in primis da mio padre, da piccolo non ero mai davanti ai cartoni ma davanti a mtv music. Poi la scena rap emergente ha iniziato ad incuriosirmi sempre di più finchè non è diventata la musica, il mio pane quotidiano.

Parlaci di Chica Dominicana, su Youtube è già un successo..

Sono super felice che Chica dominicana stia piacendo ai miei fan, è un pezzo molto felice; credo che in un periodo così difficile era proprio ciò che serviva per sollevare l’umore. Spero di poterla portare presto in live.



Alcuni dei tuoi pezzi, come “Me Iama” e “Caramella” sono stati prodotti in collaborazione con Ivan Granatino. Che rapporto hai con lui e che influenza ha avuto questa collaborazione sulla tua crescita musicale?

Con Ivan ho un rapporto speciale, sicuramente abbiamo fatto delle grandi hit insieme; chi ha avuto una forte influenza su di me è stato sicuramente Vinz (Vinz Turner) con le sue produzioni, creando un sound inedito a Napoli e in Italia, legando generi come l’hiphop, la trap e il reggaeton.

Come ti relazioni con la tua community social?

Sono molto legato alla mia famiglia, è cosi che li considero, parlo con loro tutti i giorni per quanto sia possibile, sono loro la mia motivazione ed è per questo che meriano la mia attenzione. Con qualcuno gioco anche alla playstation!



Che legame hai con la tua città natale, Napoli? Hai mai preso in considerazione la possibilità di trasferirti in un’altra città?

Napoli per me è speciale, infatti il dialetto è sempre presente nei miei testi. Difficile allontanarsene, sicuramente sarebbe stimolante fare qualche esperienza all’estero, magari dove è nato il reggaeton, al caldo!

Il tuo rapporto con la moda e i capi a cui non rinunceresti mai…

Non riuscirei mai a rinunciare alle tute. Sono molto legato a dei brand sportivi perchè si avvicinano di più ai miei gusti, anche se la camicia ha sempre il suo perchè.

Quali sono i tuoi progetti e aspirazioni per il futuro?

Per il futuro ci saranno importanti novità, siamo in fase di costruzione per cosi dire… mi avvalgo della possibilità di stupirvi! Sicuramente le aspirazioni e le ambizioni sono altissime, lavoro tanto su me stesso e non mi accontento mai, d’altronde chi si ferma è perduto !

Piuma Brush, lo spazzolino di design menzione d’onore al Compasso d’Oro

Piuma è il nuovo spazzolino che unisce la necessità dell’igiene orale alla praticità e al design; è l’evoluzione del mondo dell’estetica in fatto di spazzolini tanto da aggiudicarsi una serie di riconoscimenti internazionali. Il più importante è la menzione d’onore alla XXVI edizione del Compasso d’Oro, la competizione più ambita per chi opera nel mondo del design (esiste dal 1954). Piuma Brush ha anche ottenuto il premio al Product Design Red Dot Award 2019 per forza dell’innovazione, della funzionalità, qualità formale, longevità ed ergonomia.
Considerato alla stregua di un accessorio d’arredo, lo spazzolino Piuma è esposto al Museo della Scienza e della tecnologia di Milano, parte della selezione di Adi (Associazione Disegno Industriale).

Un prodotto d’uso quotidiano che risponde anche al bisogno di bellezza estetica; il coprisetole lo protegge durante il trasporto e ad ogni fine uso, permette inoltre lo scolo dell’acqua così da garantirne l’asciugatura ed evitare residui sporchi. E’ composto da materiale innovativo, il GRAVI-TECH by Polyone, un tecnopolimero che integra al suo interno particelle minerali in grado di rendere la base dello spazzolino più stabile, sicura e durevole. Sono materiali completamente riciclabili e le setole sono in Tynex, la migliore qualità disponibile sul mercato; vengono trattate più volte per ottenere punte stondate senza provocare danni collaterali.



Il lato posteriore delle setole possiede delle micro palline concepite per effettuare un massaggio delicato alla lingua, pulendola e regalando un alito più fresco. La base, oltre ad essere solida e stabile, presenta un mini calendario, un sistema unico al mondo brevettato per impostare la durata predefinita delle setole e ricordarci quando è il momento di sostituirle.

L’azienda, che ha come obiettivo quello di creare un ecosistema dove igiene orale e design si fondono, ha proposto un dentifricio anticarie da 75 ml in confezione dotata di tecnologia airless, dove una pompetta spinge il contenuto verso l’esterno bloccando l’entrata di aria che tendenzialmente andrebbe a seccare il prodotto e riduce gli sprechi.

Piuma Brush è disponibile sul sito Piuma Care

Blown Away – The Wind Season

It’s an evening after work. A guy is coming back from work after 10 hours in the office. Surprised by a bad weather, holding a broken umbrella, he is heading home through the night… 

This story is about stress and the struggle of an employee. Colorful accents opposed to grey surfaces of the styling pieces on a black background pointing out the model’s expressions and the movement of hair and clothes. We can see that he was dressed up this morning but now he’s tired with no neat appearance anymore. 

Special content direction, production & styling Alessia Caliendo

Photographer Kristijan Vojinovic

Make up Eleonora Juglair using Armani Beauty

Hair Piera Berdicchia  @thegreenappleitalia

Model Alexander @Thelabmodels

Stylist assistants Andrea Seghesio and Laura Ronga

Digital and light assistant Federico Zotti

Special thanks to Blue Majik Cafè and We make up






Striped suit: VIVIENNE WESTWOOD
Wool turtleneck: CORNELIANI
Leather booties: HTC LOS ANGELES
Felt hat: WOOLRICH



Total Look: TOD’S
Pointed brogues: CARLO PIGNATELLI


Total Look: MONCLER


#MITPARADE – Lenti special edition da collezione

Edizioni limitate, per intenditori e appassionati, dall’universo dell’alta occhialeria, si fanno testimoni di nuove ossessioni e di trend intramontabili. Dai gioielli su quattro ruote, fra i toys for boys più amati nell’immaginario collettivo maschile, a quello dei top audio con un piede nel campo del design, le realtà che stuzzicano i desideri dell’uomo, stringono la mano a brand di ottica di alto profilo per superare le aspettative di un pubblico sempre più informato.
Soprattutto se si parla di moda, dove il vintage, contrariamente alla sua essenza, è sempre un passo avanti, tanto da essere riprodotto e reinterpretato da chi ha una storia solida ancora da raccontare.

Come Persol, il più indossato dai volti del cinema e dal jet set da più di un secolo, che sceglie di ridar luce a un modello d’archivio degli anni 70, il Pilot Frame PO2470S, in un’unica variante come simbolo d’eccellenza e artigianalità. Valori condivisi con Stone Island che ha partecipato con entusiasmo alla creazione di questo straordinario esemplare, risultato di una visione comune, “fondata sulla capacità di mantenere solide radici nel passato e con uno spasmodica attenzione ai dettagli e alla funzionalità”, ha dichiarato Carlo Rivetti, Direttore Creativo e Presidente di Stone Island.

In termini di esclusività, Oliver Peoples è sempre stato uno dei brand che ha sempre tenuto acceso il trend dei legami con realtà top level, quasi come una vocazione, riconfermata dalla sua ultima capsule con Master & Dynamic.

L’azienda newyorkese di prodotti audio premium che ben conosce l’arte della seduzione, modula le proprie frequenze su quelle dell’iconico brand Oliver People, per la creazione di tre occhiali da sole in edizione limitata, con montature in acetato firmate ad hoc da Mazzucchelli, insieme a una linea di cuffie wireless di Master & Dynamic con sistema attivo di eliminazione del rumore e di auricolari true wireless MW07 PLUS.

Una sintonia preannunciata da un’ispirazione comune, da sempre alla base delle loro scelte stilistiche: l’attenzione a un’estetica vintage al recupero di quegli elementi che hanno contribuito a fare la storia del design. Basti pensare al fondatore di Master & Dynamic, Jonathan Levine, che ha avuto la sua prima intuizione, conquistato da un paio di cuffie d’aviazione della Seconda Guerra Mondiale esposte in un museo, mentre Oliver People si lasciava ispirare da un paio di occhiali d’epoca scovati in una collezione privata.

Con aste e ponte filigranati, a ricordare le lavorazioni artigianali del passato, il modello OP-505 viene rivisitato per questa esclusiva collaborazione in tre acetati ad hoc, tra cui una versione placcata oro 18k, tutti abbinati a lenti in vetro dai colori vividi ed eleganti dettagli in metallo.

Never change a winning team. Così per il terzo anno la partnership tra Carrera e Alfa Romeo Racing Orlen Team si conferma con una collezione di occhiali da sole e vista, dall’attitude audace e sportiva, elementi imprescindibili nel DNA delle due aziende, da sempre nel cuore di chi condivide una passione per la velocità e l’universo delle quattro ruote.

La collezione è stata indossata, per la prima volta, da Kimi Räikkönen e Antonio Giovinazzi (protagonisti della campagna adv) sulla pitlane del circuito di Barcelona in occasione della presentazione della nuova C39 dell’Alfa Romeo Racing Orlen team.

I due modelli, indossati da Iceman e Giovi hanno entrambi il doppio ponte sul frontale e aste in carbon fiber, inserti antiscivolo in rubber sulla parte interna e lenti specchiate. Con questo terzo fortunato progetto e il logo fiammante Alfa Romeo Racing, questi pezzi entrano di diritto nella lista dei desiderata dei top collectors del mondo e appassionati della storica casa del Biscione.

Gente Roma: “In bad times beautiful things are necessary”

“In bad times beautiful things are necessary” è il messaggio della nuova campagna 2020 di Gente Roma, storica catena romana di boutique multibrand del luxury fashion, punto di riferimento per l’estetica del bello in tutte le sue forme a livello internazionale. La profonda conoscenza della moda, l’attenzione verso l’universo femminile e l’eleganza sono le caratteristiche che distinguono Gente Roma dai propri competitors. Le sue boutique sono punto di ispirazione di numerose celebrità internazionali, quali Francis Ford Coppola, Dustin Hoffman, Jennifer Lopez, Tom Cruise, Zaha Hadid, Giuseppe Tornatore, Richard Gere, Kanye West, Kim Kardashian e molti altri ancora.



La campagna è apparsa lo scorso 7 Novembre con un’inaspettata affissione presso Piazza di Campo dei Fiori a Roma, comunicando un messaggio sociale forte e non un semplice prodotto. In un momento oscuro, in cui il mondo ha vissuto grandi stravolgimenti, Gente Roma lancia un messaggio importante volto alla sensibilizzazione del pubblico nei confronti della cultura in tutte le sue declinazioni. Un grido di speranza e un appello di solidarietà a supporto di tutto il mondo della moda, del cinema e dell’arte in generale, gravemente colpito dal Covid.



Gente ha nominato come art director Giulio Paternò che ha ideato il concept e la comunicazione della nuova campagna delle note boutique luxury fashion. Il risultato finale è un video emozionale che ripercorre le fasi della creazione e del lancio del manifesto finale, svelando il mistero dell’inquietante affissione anonima comparsa una settimana prima a Campo Dei Fiori.



L’attitudine a creare e a cogliere la bellezza costituisce la vera essenza che distingue l’uomo da qualsiasi altra forma vivente sulla Terra. La ricerca della bellezza deve essere un diritto alla portata di tutti; da qui l’idea dell’istituzione di un bando per borse di studio al quale potranno partecipare tutti i giovani creativi, presentando una creazione artistica sul tema “In bad times beautiful things are necessary”.

La beauty routine della sera

Anche prima di andare a dormire è importante preparare la pelle per il riposo, beneficiando così al massimo delle ore notturne. Infatti, proprio in questo momento si possono prevenire o riparare i danni sulla pelle con l’applicazione dei migliori alleati, aiutandola a rigenerarsi in vista del risveglio. Insomma, la beauty routine serale dovrebbe essere un rituale irrinunciabile a ogni età, in ogni stagione e per ogni tipo di pelle. Ecco qualche consiglio mirato tra viso corpo e capelli.


Duo Essentiel – Eisenberg

Questo gel detergente di Eisenberg ha una formula fresca e leggera, adatta per una detersione del viso quotidiana. I suoi ingredienti attivi e detergenti generano una schiuma, eliminando tutte le tossine causate dall’inquinamento, senza però disidratare la pelle. E’ un prodotto ideale per tutti i tipi di pelle ed ha un’efficace azione anti-età.

Concentrated Night Balm – Genaissance de la Mer

Ideato per rinnovare, rigenerare e riequilibrare la pelle durante il sonno, questo trattamento penetra in profondità e dona un’idratazione intensa. Inoltre, favorisce la ricostruzione di collagene ed elastina, minimizzando pori e macchie dell’età. La pelle apparirà così più compatta, distesa, luminosa ed elastica.

Beauty Sleep Cream – Pixi

Si caratterizza per una texture ad assorbimento rapido, ricca di sostanze nutritive, ideali per nutrire ed idratare la pelle durante il sonno. Realizzata con burro di mango naturale, burro di karitè, noto per le sue potenzialità nutritive, camomilla ed olii essenziali di lavanda, limone e bergamotto, i quali rivitalizzano e donano uniformità al tono della pelle.

Meadowfoam oil balm – Malin and Goetz

Questo trattamento all-in-one per viso e corpo è particolarmente indicato per le pelli secche, disidratate e screpolate. La sua formula ricca e priva di acqua è realizzata con una miscela di acidi grassi di 17 oli e burri nutrienti che contribuiscono a formare una barriera protettiva, atta a bloccare la perdita di idratazione. Questo balsamo offre numerosi benefici a viso, labbra, corpo e punte dei capelli.



Revitalizing Body Scrub – WOMO

Pensato per mantenere la pelle elastica e vitale, anche con le basse temperature dell’inverno, questo esfoliante per il corpo, grazie alla sua texture ricca di microgranuli di pomice, la renderà più liscia, levigata e vellutata. La sua composizione è arricchita di olii essenziali aromatici, quali l’estratto di salvia, conosciuto per le sue proprietà purificanti, l’estratto di menta, dall’azione rinfrescante e l’estratto di timo, che esercita invece un’attività antiossidante.  

Masque Purifiant Avant-Shampoing à l’Argile Blanche – Sisley

Visto che la sera abbiamo notoriamente più tempo , inseriamo anche una maschera per capelli ideale per liberare il cuoio capelluto da ciò che può ostruire e causare irritazioni e per proteggerli dall’inquinamento interno ed esterno. Grazie all’argilla bianca, all’estratto di thè di Java e di semi di sesamo, agisce come una carta assorbente, trattenendo il sebo in eccesso e detergendo il cuoio capelluto lasciandolo al contempo setoso.

Blanche Crema Mani – Byredo

Crema mani con una fragranza trasparente, pura e semplice nella struttura ma estrema nel carattere. E’ caratterizzata da note di testa, quali aldeide, pepe rosa e rosa bianca. Seguono essenze di neroli, peonia e violetta. La fragranza infine si chiude con aromi di legni chiari, muschio e legno di sandalo.

Relaxessence Olio da Massaggio – Melvita

Arricchito con olii essenziali di lavanda biologica e di sesamo, conosciuti per le loro proprietà rilassanti e nutrienti, quest’olio è
ideale per favorire il relax di mente e corpo e ricaricare le batterie dopo una giornata stressante e faticosa. Dona alla pelle morbidezza ed elasticità, facilitando il massaggio, senza però ungere. La totalità dei suoi ingredienti è di origine naturale, dei quali l’86% deriva da agricoltura biologica.

Smart 360 Flex Dockers® una nuova versione per i pantaloni dal massimo comfort

Dockers® ha lanciato il nuovo Smart 360 Flex nella versione corduroy. Parliamo dell’iconico pantalone caratterizzato dallo stretch quadrielastico che lo rende super versatile e confortevole.


Perfetto sia per il lavoro che per il tempo libero, è al passo con le tendenze moda uomo, pur mantenendo tutte le qualità che caratterizzano da sempre i modelli Smart 360 Flex Dockers. I pantaloni in velluto sono realizzati in due diversi fit: skinny o con gamba dritta, sono dotati di una cintura flessibile per garantire il massimo della comodità. Ultra funzionali sono anche le due tasche con chiusura a zip, una frontale e una sul dietro.



La gamma di colori, che include nero, grigio, cachi e blu carta da zucchero, si adatta ad ogni guardaroba che spazia dal casual al semi formale.

Perché nel pieno della pandemia ci stupiamo ancora di un fenomeno come Lidl

Tra meme e celeb non si fa altro che parlare delle sneakers rivendute su eBay fino a 2.700 euro

Nel caos tricolore divenuto oramai rosso, giallo e arancione, i fashion addicted italiani, o semplicemente i cani da tartufo (il cui impegno è quello di abbindolare i cool kids sui marketplace virtuali) lo scorso lunedì hanno invaso i Discountlanden.

Bando alla reticenza nei confronti dei prodotti sottomarca e negando ogni qualsivoglia commento pregresso in merito ai discount; nei quali non andrebbero nemmeno in tuta, a patto che non sia griffata, Lidl è diventata una delle keyword più cliccate dai Millenials e dalla Generazione Z. Il motivo? La Lidl Fan Collection.

Come ogni prodotto Lidl che si rispetti la collezione è stata lanciata nel mitico volantino giallo, rosso e blu, collezionato da tutti i pensionati di mezza Italia tra la mortadella in offerta e il plaid in pile con gli Orsetti del cuore.

Aste online che vedono un incremento di oltre il 20000% sul prezzo originario; sneaker da 12,99 euro, calzini e ciabatte rivenduti come set must have per i più incalliti collezionisti a caccia di limited editions.

Subito il Codacons ha izzato le proprie antenne, e in tempi record, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, alla Polizia Postale e all’Antitrust sperando in un oscuramento delle inserzioni, senza dimenticare i circuiti paralleli come Telegram e il Dark web.

Facendo un passo indietro il colosso tedesco non è l’ultimo della serie. Basti pensare al  trash filosovietico di Demna Gvsalia, attuale direttore creativo di Balenciaga, finito sotto i riflettori con la capsule collection ispirata al corriere Dhl e la shopper bag da 1700 euro, clonata alla più maistream delle borse da spesa: la classica Frakta di Ikea da 4,44 euro

L’arte fotografica di Giampaolo Sgura: old e new generation a confronto

Giampaolo Sgura è un noto fotografo internazionale e da anni collabora con diverse riviste e periodici di moda, scattando foto per le copertine di Vogue, Teen Vogue, Allure, GQ e Interview. Fotografo per alti marchi come Dolce & Gabbana, Roberto Cavalli, La Perla, Pomellato, Versace, Gucci e Armani, Giampaolo è al momento impegnato su diversi progetti che hanno come protagonisti famosi attori, cantanti, sportivi e celebrity di fama mondiale. 

Tra gli ultimi suoi lavori troviamo quello con il magazine Icon: un numero dedicato alla New Generation del cinema italiano che racconta la moda, il costume, le storie e le passioni maschili attraverso i volti nuovi della cultura pop contemporanea e i ritratti dei talenti simbolo della nuova generazione dell’industria dello spettacolo ne fanno da sfondo.

Nello speciale moda, il fotografo Giampaolo Sgura  ha dato vita a un vero e proprio inedito racconto per immagini, senza gerarchie di fama o di settore, in cui i giovani protagonisti del cinema hanno interpretato una selezione di capi delle collezioni autunno-inverno 2020 cercando questa volta di togliersi la maschera da palcoscenico ed essere se stessi.


Riccardo Mandolini, credits Giampaolo Sgura per Icon Magazine

Come nasce la tua passione per la fotografia?

Quando ero piccolo avevo sempre delle macchine fotografiche con me. Mi piaceva inquadrare e scattare foto ai compleanni di amici e alla mia famiglia. Poi feci un corso di fotografia a Fasano e allo stesso tempo iniziai con dei ritratti ad amici e amiche in spiaggia ma senza nessun vezzo fashion o a prova di moda: una fotografia super amatoriale. Con il tempo ho cominciato a nutrire un certo interesse per la moda e iniziai a maturare il desiderio di diventare stilista. Ma vivendo al sud in piccolo paesino ho deciso di intraprendere la strada per la architettura e mettere da parte (momentaneamente) la fotografia. Trasferito a Berlino grazie all’erasmus universitario, ho ritrovato la passione per la fotografia e rientrato a Milano ho conosciuto un redattore di Glamour per il quale ho iniziato a lavorare creando un piccolo portfolio. Ed e così che piano piano è nato tutto.

Ti capita spesso fotografare attori. Nel tuo lavoro hai notato grosse differenze tra old e new generation ?  

Sì, fotografo molti attori, da premi oscar ad attori emergenti. Ma devo dire che la categoria attore fa sempre parte della categoria, quella dell’essere umano: che tu fotografi un modello, un attore, un musicista o uno scrittore, davanti alla macchina fotografica cerchi di raccontare la loro vera personalità: come loro sono nella realtà, ovvero chi sono realmente. Chi molto scontroso, chi divertente, chi spaventato, chi arrabbiato, etc… 

Con alcuni personaggi sul set ho stretto una meravigliosa amicizia e con altri ho persino discusso: sul set si crea una bella sinergia, la mia personalità si fa travolgere dalle altre o può generare conflitti.  Non centra la categoria attore: è la categoria essere umano che deve essere immortalato e di conseguenza si crea sinergia e complicità.



Come pensi che oggi Instagram possa influire sulla fotografia tradizionale?

I social usano la fotografia ma alla fine è il soggetto che conta. Non credo che Instagram oggi influisca sulla fotografia. Purtroppo ormai la agente confonde queste cose ma la fotografia è l’“immortalizzazione” attraverso la macchina fotografica con la tecnica di ripresa: la fotografia resterà sempre fotografia, Instagram rimarrà sempre un veicolo, come il televisore o il magazine, per diffondere la fotografia. Instagram non prenderà mai il posto della fotografia.

Nel progetto Icon, dedicato alla new generation, hai avuto modo di lavorare e scattare i nuovi talenti del cinema italiano. È stato difficile per loro togliersi la maschera del cinema ed essere se stessi ? 

Per il progetto Icon tutti gli attori sono stati molto disponibili e hanno dato il meglio di se stessi senza darsi troppe arie. Alcuni erano più affermati ed altri emergenti, ma tutti super positivi. Una bellissima esperienza e nessuno indossava una maschera o aveva vergogna: hanno rappresentato al meglio la loro personalità e bellezza, il loro “package”, composto da diverse cose: non solo il lato estetico, ma anche espressività e fisicità.


Rocco Fasano, credits Giampaolo Sgura per Icon Magazine


Hai qualche consiglio in particolare per essere se stessi sotto la macchina fotografica ?

L’oggetto macchina fotografia purtroppo mette in soggezione tante persone, da chi si sente spiato a chi scoperto. Tanti non vogliono far vedere dei lati nascosti, ad esempio io non amo essere fotografo perché non mi riconosco nella fotografia che mi viene fatta. Come consiglio è difficile da dare, altrimenti saremmo tutti bravissimi modelli e attori. Tante persone molto belle davanti alla macchina fotografica non rendono e viceversa. Tanti mi chiedo come fare a diventare attori o modelli, ma io come prima cosa rispondo che la fotogenia è fondamentale: non basta essere belli, bisogna vedere anche come si viene in foto.

Marai de Marai Extra Dry, l’eccellenza della spumantistica italiana

Da Guia, località nel cuore del Valdobbiadene DOGC, il marchio della famiglia Biasiotto specializzato in bollicine italiane d’alta gamma propone Marai de Marai Extra Dry.

Marai de Marai è un vino storico dell’Azienda, sempre piacevolmente attuale. Nato circa 25 anni fa da un’antica ricetta di famiglia, esattamente da mano del nonno Giò, prodotto da un sapiente “dosaggio” di uve autoctone delle colline trevigiane, racchiude in sé tutto l’attaccamento al territorio ed alle sue tradizioni, valorizzate da quella ricerca costante e dalla continua cura per il dettaglio che rendono così pregiate le etichette Foss Marai.

Marai de Marai rientra appunto in una categoria di spumanti di particolare pregio chiamato “club dei saggi“: bottiglie che raccontano una storia fatta di amore, passione e radici antiche.

Nella versione Extra Dry, fruttato, leggero, di facile bevuta, elegante e versatile, Marai de Marai servito alla giusta temperatura è perfetto per l’aperitivo ma adatto ad ogni momento della giornata. Gusto delicato, fresco e vivace, Marai de Marai è ancora più accattivante grazie al design unico e raffinato della bottiglia millerighe Foss Marai, un’etichetta nera su cui spiccano dettagli gold, simbolo di esclusività e ricercatezza.

Il colore è giallo paglierino luminoso, dal perlage fine e persistente, al naso esprime profumi fruttati e la chiusura è fresca e pulita. Ricordiamo che l’azienda vinicola è uno dei nostri fiori all’occhiello, è l’eccellenza italiana nella produzione di spumantistica, particolarità la fase di fermentazione, che avviene a temperatura controllata e con lieviti autoctoni e indigeni (ne abbiamo parlato in un articolo precedente su questa azienda) e una fase di presa di spuma della durata di 25-30 giorni secondo il metodo Martinotti (o Charmat).


New Faces: Giancarlo Commare

Giancarlo Commare, protagonista di fiction di successo targate Netflix come “Skam” o “Il paradiso delle signore”, il daytime di RAI1, arrivato dalla Sicilia per lasciare il segno, si racconta con le sue esperienze ed i suoi sogni. Conosce molto bene l’arte, in quanto la pratica e la conosce in tutte le sue forme; infatti, oltre a recitare è stato anche un ballerino a livello agonistico, e poi cantante, su cui ci sta lavorando.




In questi ultimi anni sei ovunque, non puoi lamentarti, che esperienza è stata Skam per te?

È stata un’esperienza al di fuori dell’ordinario, in quanto ho fatto i provini una settimana prima che cominciassero le riprese. Ero totalmente all’oscuro di questo mondo e non sapevo assolutamente a cosa sarei andato incontro, poi il call back, e mi son buttato a capofitto studiando tutto l’universo che lo circondava.

Ti ci sei ritrovato nel tuo personaggio?

Personalmente come Giancarlo nei panni di Edoardo assolutamente no, anche se poi nella terza stagione si è avvicinato al mio mondo, potrei dire che si è formato in corso d’opera come un vero work in progress. E poi è inutile dire quanto ci siamo trovati bene ed affiatatati con tutto il cast.



Ti ha fatto diventare un “istant Icon” dopo l’uscita della serie possiamo dire.

Diciamo che lo dite voi giornalisti, perché non l’ho ancora capito esattamente che cosa vuol dire. Certo ho visto una crescita esponenziale su Instagram, ed è stata una totale sorpresa per me.

Invece con un lavoro completamente diverso che è quello del “Paradiso delle signore” come ti trovi?

Mi diverto tantissimo perché il personaggio è super divertente, e come ho detto altre volte ho preso spunto da mio nonno, anche se lui non è così ignorante, però è goffo e viene dalla campagna, insomma ho trovato delle affinità e mi ci sono davvero affezionato tantissimo. E poi lavorare tutti i giorni con le stesse persone è come essere in famiglia ed in più professionalmente parlando è un’immensa palestra, perché ci si ritrova davanti alla macchina da presa quotidianamente. L’elemento che mi ha spaventato di più all’inizio era la quantità di scene che bisognava girare al giorno e senza margine di errore perché i tempi sono serrati, insomma una macchina da guerra.



Sei un attore direi quasi di formazione Americana, in quanto balli, canti, reciti, quale passione è arrivata per prima?

Il primo amore in assoluto è la recitazione, in quanto l’ho scoperta veramente da piccolissimo mentre facevo una recita natalizia, che all’inizio non volevo nemmeno fare, ed invece la sera stessa ho detto a mia madre che avrei voluto fare proprio quello da grande. Poi negli anni è arrivata la danza, che mi ha anche fatto accantonare la recitazione ad un certo punto poiché avevo intrapreso un percorso agonistico con buoni risultati nell’ambito del hip-hop, del funky e dei balli di coppia latino-americani. Ammetto di non essere un cantante perché in famiglia c’è mia sorella che è bravissima, però canto da attore se mi preparo.

Che rapporto hai con i social? Vedo che hai un ottimo seguito!

Pessimo, capisco quali siano i vantaggi dell’utilizzo di un social network in quanto la comunicazione è più immediata, si può arrivare prima alle persone per un concetto. Per quanto mi riguarda, non mi verrebbe mai in mente di postare cosa mangio a colazione o come mi lavo i denti. La cosa che mi fa innervosire maggiormente è che se tu pubblichi poi incontri un amico e dici: “si si, ma ho visto” e non hai più nulla da raccontare. Io non posto nulla così sono tutto da scoprire. Mi piace utilizzarli per lavoro o per aiutare magari a diffondere un messaggio importante.

In questo momento in cui l’arte è stata calpestata dalla pandemia, tu personalmente come la vivi?

Malissimo. Capisco perfettamente il momento storico e che dobbiamo combattere il virus, ma secondo me non è chiudendo i teatri o i cinema che si debellerà il COVID, anche perché sono proprio gli ambienti dove si assembra meno gente. Credo che sia una scelta di tipo economico non eccessivamente motivata. L’arte non dovrebbe mai essere fermata, è un dono, un regalo che ognuno di noi può ricevere; ad esempio, se vai ad una mostra e vedi un dipinto che ti regala un’emozione, magari ti risolve anche uno stato d’animo che in quel momento non era positivo e ti cambia la giornata. Senza l’arte, dilaga l’ignoranza più facilmente, perché l’arte è coinvolgimento.

Location: Hotel Valadier

Photo: Valentina Cerulli @valentinacerulliph

Mua: Arianna Nota @fotonota

Stylist: Alessia Rossetti @alexis_rode

Support progetto: Rondini Sonia @sonia_rondini

Riconnettiamoci col pianeta – torna lo yoga di Ecoalf

Essere sostenibili è uno stile di vita. Una buona abitudine che parte dal rapporto con noi stessi e si traduce in equilibrio con l’ambiente circostante. Siamo ospiti, un po’ invadenti, di un luogo il cui valore cresce proporzionalmente alla nostra capacità di creare una connessione esso.

Questo il prezioso sostegno di Ecoalf nei confronti di chi vive con profondo rispetto questo rapporto, perché la natura ci restituisce le attenzioni che le dedichiamo. Tre mesi, tre insegnanti di yoga, che creeranno, tutti i mercoledì, una profonda relazione con i followers e l’Healthy Life di Ecoalf attraverso il suo canale youtube.

Un’occasione da non perdere per apprendere, attraverso istruttori qualificati, piccoli suggerimenti per migliorare il proprio stile di vita e scoprire la nuova collezione sostenibile “Good for you, Good for te Planet”, studiata da Ecoalf, fibra dopo fibra, nel massimo rispetto del pianeta.

Basta registrarsi con un click e connettersi tutti i mercoledì alle ore 19.00

Dockers ha avviato una partnership con Jon Rose, fondatore di “Waves For Water”

La partnership nasce dall’idea che tutto può essere realizzato, non importa quanto possa essere difficile, finché ci sono l’impegno e il duro lavoro. “Work Forward”, ‘Do what you love, and change your world’.

“Waves For Water” vuole porre fine alla crisi idrica globale fornendo sistemi di filtraggio portatili alle comunità che non hanno accesso all’acqua pulita, scavando e rinnovando pozzi e costruendo sistemi di raccolta e stoccaggio dell’acqua piovana. Ad oggi, “Waves For Water” ha fornito la possibilità di avere acqua pulita a oltre 3 milioni di persone in più di 44 paesi.



I due brand hanno molto in comune: entrambi nati in California, “Waves For Water” da dieci anni contribuisce a fornire acqua potabile pulita in tutto il mondo e Dockers® ha trascorso gli stessi dieci anni utilizzando WaterLess, il processo che consente di risparmiare fino al 73% della quantità d’acqua normalmente utilizzata durante le fasi di tintura e finissaggio, per contribuire a ridurre il proprio impatto ambientale. Solo per la Primavera 2020 sono stati risparmiati oltre 20 milioni di litri d’acqua durante i processi di finissaggio della produzione Dockers®. E anche se questo è solo l’inizio, Dockers® mira a diventare uno dei brand di abbigliamento più sostenibili del pianeta. Questo è ciò che rende la nuova partnership triennale con Jon Rose e “Waves For Water” una prospettiva molto interessante: sfruttare le potenzialità di entrambi per garantire un futuro migliore a tutta l’umanità.




Grazie ai valori che Rose e Dockers® condividono, ovvero la volontà di non arrendersi mai, il riconoscimento del potere della comunità, l’amore per la natura e il desiderio di vedere la giustizia sociale e la sostenibilità ambientale raggiungere ogni parte del globo, è stata creata anche una piattaforma per ispirare gli altri ad agire senza remore.

Hotellerie vs Covid 19: il caso Planetaria Hotels

Contemporanei e al contempo legati saldamente alle tradizioni: d’altronde si sa, è dalla storia che dobbiamo imparare per formulare nuove soluzioni. Cosa significa questo per gli hotel del gruppo Planetaria? Essere ambasciatori di sostenibilità e valorizzatori delle eccellenze enogastronomiche. Planetaria Hotels è la compagnia alberghiera italiana che promuove la storia e le origini delle città che presidia. Hospitality è la parola-chiave del gruppo.


Planetaria Hotels è presente sul territorio nazionale con 11 strutture alberghiere di pregio a quattro e cinque stelle ubicate nel cuore di alcune città d’arte e di suggestivi borghi antichi. Fanno capo a Planetaria Hotels: Château Monfort, Enterprise Hotel, Milan Suite Hotel, Hotel Indigo Milan, Residenza delle Città a Milano, BEST WESTERN Villa Appiani a Trezzo sull’Adda, Grand Hotel Savoia e l’Hotel Continental a Genova, Hotel Ville sull’Arno a Firenze, Hotel Pulitzer e Leon’s Place a Roma.


Noi di Man in Town abbiamo intervistato Damiano De Crescenzo, il direttore generale di Planetaria Hotels. Egli è docente universitario, cavaliere del lavoro, vicepresidente del gruppo turismo in Assolombarda e premiato come Hotel Manager of the Year 2012.


Avete hotel in diverse città che in questo momento sono divisi da zone colorate, quali sono aperti ? Qual è la situazione attuale dell’ hôtellerie in questo periodo?

In questi giorni stiamo completando la chiusura di 6 alberghi e ne lasceremo aperti 5 di cui:  Enterprise Milano (ospita giornalisti e personale medico e sanitario del nuovo ospedale di terapia intensiva in Fiera Milano City) ed Indigo Milan (il più centrale di fianco alla Prefettura); Grand Hotel Savoia Genova (la città che continua a generare un po’ più di movimento) e Continental Genova (ospita in esclusiva una troupe cinematografica che gira da mesi un film) e Leon’s Place in centro a Roma.  Il settore alberghiero è quello economicamente più colpito insieme a quello del trasporto aereo.

L’impatto devastante per il turismo è noto a tutti. Voi avete comunque aperto l’Indigo a Milano e rinnovato il Leon’s Place a Roma, è una strategia di mercato? 

Si, ci teniamo comunque ad essere presenti per ogni esigenza e a mantenere la nostra visibilità costruita assiduamente negli anni.

Avete creato diverse iniziative durante il lockdown come il Food delivery di Chateau Monfort, ci sono altre iniziative ?  

Si, il delivery è stata un importante iniziativa ma non è tutto. Nei mesi in cui è stato possibile riavviare le attività, seppure con forti limitazioni, abbiamo lanciato i meeting ibridi dotando le nostre sale congressi di tecnologia avanzata per permettere di far svolgere meeting importanti con la maggior parte dei partecipanti a distanza, facilitando sia loro che i partecipanti in sede con interventi, videoriprese, presentazioni di slides, documenti etc.

Inoltre lo smart working in albergo ha avuto, e continua ad avere anche in lockdown, notevole successo in quanto consente di rendere tale attività maggiormente sicura, ottimale e di successo.

Chateau Monfort

Una quota di quanto è stato ed è devastante il Covid nel campo del turismo a Milano, Roma e Firenze? 

Il turismo in queste città è crollato oltre l’80% e quasi il 100% quello intercontinentale, tradizionalmente più redditizio.

Come è nato il suo amore per l’ hôtellerie?  

Per caso, già all’età di 15 anni con il desiderio di andare tanto in giro, lavorare subito (già durante il periodo scolastico) anche per avere l’autonomia economica, imparare le lingue straniere e conoscere tanta gente di diversa provenienza. Il resto lo hanno fatto gli alberghi e le persone che ho incontrato.

Quanto è importante essere affiliati ad una catena come per esempio Relais Le Chateau (Relais & Chateaux)? 

 E’ molto importante perché ci rende parte di un Gruppo di dimore che hanno principi in comune ed una clientela ispirata a quei valori. Inoltre, la condivisione delle esperienze tra le persone dei diversi alberghi e le linee guide della Casa madre fa sì che avvenga una crescita professionalmente importante per tutte le persone che ne fanno parte.

Quanto è importante il mercato della moda nei vostri Hotels? 

Molto importante e grazie al nostro motto “be as you are” che ben ci rappresenta, riusciamo ad essere in forte empatia con il settore, a volte anticipandone anche i trends.

Quanto è importante l’eco sostenibilità?

Da anni siamo in campo su questi principi ai quali crediamo tantissimo e ci siamo molto impegnati. Abbiamo fatto importanti scelte anche sulla ristorazione e questo ci ha premiato ed arricchito di soddisfazioni. In particolare abbiamo puntato tantissimo su un modo “slow” di fare ristorazione prediligendo le eccellenze e tradizioni locali, la stagionalità, la sostenibilità e le sane abitudini alimentari. Un lavoro impegnativo ma ricco di soddisfazioni. Poco prima del lockdown abbiamo lanciato lo slow-breakfast che nulla ha a che vedere con i ricchi e standard buffet internazionali. La presentazione dei cibi locali di cui si conosce bene sia la provenienza che la sana produzione, dalle uova ai formaggi ed i salumi, la frutta di stagione, le torte con le vecchie tradizionali ricette ecc., diventano un vero e proprio storytelling esperienziale.

La privacy è importante… ma qualche nome internazionale che è stato vostro ospite si può dire?

 La lista è lunga ma ne citiamo alcuni: Bill Gates, Michail Gorbaciov, Bud Spencer, Ennio Morricone, Mario Monicelli, Franco Battiato, Gigi Proietti, Paolo Sorrentino, Nanni Moretti, Maria Grazia Cucinotta, Sophia Loren, Pierfrancesco Favino, Alessandro Preziosi, Emma Marrone, Elisa, Antonello Venditti, Lamia Kashoggi, Ahmad Joudeh, Anastacia, Monica Bellucci, Virginia Raffaele, Nicole Kidman, Tim Roth, Andrei Shevchenko, Ben Harper, Zucchero Fornaciari, Carla Fracci, Daniel Pennac, Ron Perlman, Red Canzian, Gianna Nannini, Claudio Baglioni,  Umberto di Savoia, Amedeo di Savoia, Irene di Savoia.

Movember: 5 cose che gli uomini dovrebbero sapere questo mese

Forse non tutti lo sanno, ma Novembre è il mese dedicato a livello mondiale alla prevenzione delle patologie al maschile, tra cui la salute mentale, il tumore al testicolo e alla prostata. Si chiama Movember ed è un evento annuale durante il quale gli uomini che vi aderiscono (i Mo bro) si fanno crescere dei baffi per raccogliere fondi e diffondere consapevolezza sulle varie patologie.


Credits Nicola Macchione

Torniamo a parlarne insieme al Dott. Nicola Macchione, urologo e andrologo presso l’Ospedale San Paolo di Milano. Come avevamo detto negli appuntamenti precedenti, il modo migliore di fare prevenzione insieme allo stile di vita e all’ alimentazione corretta, è quello di non temere la figura dell’urologo. “Pur non esistendo una data di scadenza per cui sia utile recarsi da uno specialista, esiste il buon senso, che dovrebbe spingere ognuno di noi a informarsi e a prenotare una visita senza che vi sia necessariamente qualcosa da monitorare”.

Questo mese abbiamo voluto ripartire dalle basi, alcuni semplici consigli validi per tutti, dai più giovani a chi ha già superato la soglia degli anta.


Prenotare una prima visita urologica

Una prima visita dall’urologo dovrebbe essere fatta già intorno ai 18 anni, quando il ragazzo è nel pieno della sua adolescenza e ha ormai incominciato a scoprire la propria sfera sessuale. Del resto, molti disturbi dell’apparato urogenitale si sviluppano in realtà già quando si è giovani. Ogni età risulta opportuna per un check-up, l’urologo infatti è lo specialista dedicato anche se si hanno dubbi o problemi di natura sessuale, e possiamo contattarlo senza timori o vergogne.

Ripassare le basi sull’igiene intima

L’igiene personale è fondamentale e chiaramente anche quella intima. Per pulire bene il nostro glande è sufficiente ritrarre la pelle del prepuzio e detergere con regolarità tutta la parte, usando detergenti specifici e delicati. La fimosi, ovvero l’impossibilità di rimuovere la pelle dal glande, potrebbe causare un ristagno di smegma, e dunque portare a irritazioni e cattivi odori persistenti. Ricordiamo che se non rimosso correttamente lo smegma produce irritazioni nel lungo periodo.

Imparare a svolgere l’autopalpazione dei testicoli

È bene eseguire questa operazione con regolarità, tendenzialmente dopo un bagno caldo, quando lo scroto è più rilassato. I testicoli devono essere passati tra le dita, su e giù, a destra e a sinistra, ovviamente calibrando la forza della presa. L’obiettivo è quello di verificare che non ci siano gonfiori o noduli sospetti: in questo modo, praticando regolarmente l’autopalpazione, noi stessi diventiamo i nostri primi dottori, perché possiamo accorgerci con più facilità se qualcosa è cambiato prevenendo così patologie gravi.

Masturbarsi con regolarità

Oltre ad essere una pratica covid free, diversi studi hanno dimostrato che per un adulto masturbarsi almeno 3 o 4 volte a settimana aiuterebbe a prevenire il tumore della prostata. In questo momento di incertezza dovuta al coronavirus, poi, la masturbazione può essere un’alternativa molto sicura – seppur parziale – al rapporto tradizionale: certamente facendo l’amore con se stessi non si creano occasioni di contagio.

Effettuare uno spermiogramma

Questo esame non è tassativo, ma necessario qualora avessimo necessità di capire se il nostro sperma è sano. La procedura consente di valutare tutti i parametri dello sperma, di individuare eventuali infezioni dell’apparato urogenitale e di capire quanto sia effettivamente fertile. In generale, però, dobbiamo sapere che il nostro sperma è composto da due parti: una parte solida, che è appunto quella che contiene gli spermatozoi; e una parte liquida, costituita dal liquido prostatico. A determinare la viscosità dello sperma sono diversi fattori, tra cui non ultima l’idratazione dell’organismo. In linea generale la consistenza ideale sarebbe quella a goccia, ma resta comunque una caratteristica variabile.

Eleganza e praticità: l’abbigliamento dell’uomo moderno

Al giorno d'oggi l'uomo moderno è alla ricerca di capi di abbigliamento che siano in linea con il suo stile di vita smart e veloce. Pertanto gli indumenti più adatti sono quelli che semplici e di facile utilizzo che al tempo stesso non rinunciano all'eleganza e alla raffinatezza. L'uomo di oggi vuole uno stile all'avanguardia e all'altezza delle sue aspettative, che lo faccia sentire dinamico e comodo ma anche impeccabile e perfetto per ogni occasione. Tra i capi principali non si può sicuramente fare a meno della camicia, indumento passe-partout per tutti gli uomini.

 

Quali sono i capi di abbigliamento a cui l'uomo non può rinunciare

Oggigiorno nel guardaroba di un uomo ci sono dei capi di abbigliamento che non possono assolutamente mancare per creare un look classico e al tempo stesso contemporaneo. Uno di questi è senza dubbio la camicia, un vero e proprio must have da utilizzare per diverse occasioni. La camicia infatti si può sfruttare per gli eventi più formali e può essere indossata con un abito elegante oppure per un aperitivo con gli amici con un look più casual. Camicissima ha realizzato un modello di camicia che viene incontro alle esigenze di tutti gli uomini: si tratta della camicia Non Iron che non ha bisogno di essere stirata e che si può usare comodamente anche in viaggio. Sono tanti i vantaggi di questo tipo di camicia, primo fra tutti il grande risparmio di tempo. La camicia Non Iron è realizzata con un tessuto particolare che evita la formazione di pieghe e grinze antiestetiche e dunque non ha bisogno di essere stirata. In questo modo sarà possibile risparmiare una grande quantità di tempo soprattutto se si trascorrono molte ore fuori casa. Un altro grande vantaggio di questo tipo di camicia è la possibilità di essere sempre impeccabili in ogni occasione. Può capitare infatti di dover portare in viaggio delle camicie e di non avere la possibilità di stirarle: con l'innovazione Non Iron anche i capi in valigia saranno sempre perfetti.

 

Abbigliamento per tutte le occasioni: creare un look casual e ricercato

Un altro capo di abbigliamento irrinunciabile per un uomo sono i pantaloni. Questi ultimi possono essere di modelli, colori e tessuti differenti e variano in base al tipo di occasione in cui possono essere usati. Camicissima ha realizzato anche dei pantaloni Non Iron che, come la camicie, non hanno bisogno di essere stirati. Tali pantaloni permettono di risparmiare denaro e tempo per dedicarsi ad altre attività. I tessuti in fibre di cotone al 100% naturali garantiscono una resa ottimale e una qualità dei capi eccellente. Per quanto riguarda le colorazioni, i pantaloni Non Iron spaziano tra nuance differenti: ci sono quelle più sobrie e neutre come il bianco, il beige oppure il nero o quelle più vivaci e originali come il rosso, il verde e il blu. I modelli invece si adattano alle diverse fisicità ed esaltano il corpo: quelli regular hanno una vestibilità regolare mentre quelli slim aderiscono al corpo e hanno una vestibilità più stretta. Per rendere il look decisamente più ricercato ma comunque molto comodo e pratico è possibile abbinare una sciarpa in viscosa caratterizzata da diverse tonalità di tendenza. La sciarpa può avere anche differenti fantasie che possono essere scelte a seconda dei gusti personali e che si adatta bene a qualsiasi stile senza essere eccessiva.

Scegliere i capi Camicissima permette di avere un look semplice, pratico e dinamico ma al tempo stesso all'avanguardia. L'abbigliamento proposto dal brand viene incontro alle esigenze dell'uomo moderno che ha bisogno di essere elegante e di classe in ogni occasione, da quelle di lavoro a quelle più informali. L'azienda crea capi che mettono in risalto lo stile tutto italiano fatto di tessuti di alta qualità, di materiali pregiati e di modelli di tendenza che rispecchiano i gusti di tutti.

Underground 2.0 by Vision of Super

Il marchio di streetwear Made In Italy svela la nuova collezione autunno-inverno 2020/21 con uno shooting fotografico in anteprima per Man In Town.

Uno shooting hype & cool, realizzato in luoghi segreti della città. La luce del tramonto illumina i tre modelli che sfoggiano look provenienti dalla collezione autunno-inverno 2020/21 di Vision of Super. Il marchio Made In Italy fondato da Dario Pozzi propone capi e accessori streetwear con un twist underground e contemporaneo, che raccontano di community, di stile, di attitude ricercata. Le stampa a fiamme, firma iconica del brand, fa capolino su bomber, felpe, T-shirt, maglie, pantaloni, occhiali da sole e cuffie. A tutto ciò, si aggiunge anche la palla da basket firmata Vision of Super, che diventa pezzo di design da collezionare. 


Credits:

Photographer: Walter Coppola 

Stylist: Anna Festi 

Models: Gaia Novellati, Eros Micheli e Luca Bombana

Hairstylist e make-up artist: Mirco Berto

Famiglie olfattive profumi: mini guida

Dire profumo equivale a dire originalità, seduzione, fascino e personalità. Un profumo cattura i sensi, richiama alla mente ricordi ed emozioni passate. È un accessorio indispensabile, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Risale a Eugène Rimmel, un profumiere francese del XIX secolo, la catalogazione dei profumi in base agli elementi che lo compongono. L’obiettivo era quello di fornire un linguaggio descrittivo universale condiviso da professionisti e appassionati di profumi.

Questa catalogazione ancora oggi viene definita con il nome di “famiglie olfattive”. Quali sono? In origine furono identificate 7 famiglie olfattive sulla scia delle tendenze dell’epoca. Con il passare degli anni furono aggiunte altre famiglie, non riconosciute ufficialmente però dalla Société française des Parfumeurs. Scopriamo insieme le 7 famiglie olfattive riconosciute.

7 famiglie olfattive

  • Agrumata o Esperidata: le Esperidi nella mitologia greca erano le custodi del giardino del Pomo d’oro, ossia l’arancia. Questa famiglia include sia fragranze sia mediterranee (bergamotto, arancia, pompelmo, limone, mandarino) che esotiche (lime, yuku). Viene usato l’olio essenziale ricavato per estrazione dalle bucce dei frutti. Leggerezza e freschezza caratterizzano questa famiglia;
  • Floreale o fiorita: si definiscono floreali gli oli essenziali ricavati dai fiori (rosa, violetta, gelsomino, narciso, ylang-ylang). Si può considerare un singolo fiore o un bouquet di fiori. Dolcezza e sensualità caratterizzano questa famiglia;
  • Fougère (felce in lingua francese): questa categoria ha un nome di fantasia non legata ai materiali usati. Viene associata a tutte le fragranze ottenute unendo elementi come lavanda, vari tipi di legno, bergamotto, muschio di quercia e vetiver. Si tratta per lo più di profumi maschili.
  • Chypre: il nome deriva da “Chypre” di Coty. Le fragranze di questa categoria nascono dall’unione di muschio di quercia, patchouli, bergamotto con note fiorite o fruttate come lavanda o noce moscata. Setosità e preziosità caratterizzano questa famiglia;
  • Legnosa o boisè: questa famiglia comprende per lo più profumi maschili. Le fragranze sono caratterizzate da note di legni morbidi com sandalo, legni ambrati o legni secchi come cedro o vetiver. Tutti ricordano erbe di foresta. Sono profumi sinonimo di sicurezza, calore ed equilibrio;
  • orientale o ambrata: profumi con note dolci, cipriate o fiorite molto pronunciate e persistenti (patchouli, vaniglia, ambra, spezie, legni esotici). Sono sinonimo di sensualità e superbia;
  • muschiata o cuoiata: molto in voga negli anni ‘20 del secolo scorso. L’odore tipico del cuoio (legno bruciato, betulla, tabacco) con note fresche floreali. Sinonimo di unicità.

Il trench: come indossarlo e soprattutto quando

Il trench è un must have dell’abbigliamento femminile nella stagione autunnale. Super leggero e super pratico, femminile e casual allo stesso tempo: impossibile non amare quest’icona di stile.

È una giacca senza tempo che non dovrebbe mai mancare nel guardaroba di ogni appassionata di moda. A distinguerlo è la doppia chiusura di bottoni, il tessuto antipioggia, le spalline e la cintura annodata in vita che rende la silhouette longilinea.

Il primo trench risale al 1914, ma a renderlo un’icona fashion eterna è stata la mitica Audrey Hepburne nel famoso e indimenticabile “Colazione da Tiffany”.

Cosa rende così indispensabile il trench nel guardaroba femminile? Semplice: si adatta a tutte le figure, ma vediamo come indossarlo e quando!

Come indossare il trench

Pur avendo i bottoni, il trench dovrebbe essere sempre indossato aperto per un look casual super cool o in versione oversize.

Quasi sempre viene scelto nei toni del beige o del cammello che sono tipici della stagione autunnale, ma anche un evergreen da abbinare praticamente a tutto.

Le influencer solitamente amano indossare il trench con i jeans boyfriend, una camicia bianca oversize, delle sneakers bianche e un bel rossetto rosso sulle labbra come tocco in più.

C’è anche chi non riesce a rinunciare a gonne e vestiti. In questo caso bisogna prestare molta attenzione. Il trench dovrebbe essere sempre più lungo della gonna o del vestito. Questo look gonna o vestito, trench stretto e décolleté è perfetto per una cena o un’occasione formale.

Per rendere il look più casual basta indossare degli stivali biker e il risultato sarà uno stile urban chic. Per un perfetto look da ufficio basta abbinare un trench classico in beige, una camicia e un pantalone nero (o in alternativa una pencil skirt).

C’è anche chi ama indossare il trench ton sur ton. Si può scegliere di abbinare un trench color petrolio con una camicia bianca, un pantalone comodo della stessa tinta di verde petrolio e sneaker bianche. Per chi opta per l’abbinamento tono su tono deve abbinare almeno due pezzi (trench e pantaloni o trench e gonna) della stessa tipologia di colore anche se la tonalità non è al 100% la stessa. Si possono anche combinare materiali diversi: un trench in pelle abbinato con una gonna in raso dello stesso colore.

Champagne da regalare: 5 brand per fare bella figura

Cosa c’è di meglio delle bollicine per celebrare le festività? La bottiglia di champagne è da sempre associata alle feste, ecco perché non c’è nulla di meglio da regalare a Natale. Apprezzato in tutto il mondo, lo champagne è un irresistibile vino spumante che prende il nome dalla regione francese dove viene prodotto sin dal Medioevo.

Di champagne ne esistono di diversi tipi adatti a tutti i palati, anche quelli più raffinati. Ecco i 5 brand migliori da regalare questo Natale.

5 brand di champagne da regalare per fare bella figura

Ruinart Brut Rosé

Lo definiscono lo champagne perfetto.  Questa bottiglia pregiata colpisce l’occhio e seduce il palato. Sarà forse il musicale nome francese o c’è molto di più? Il colore rosa granato delicato delicato dai riflessi leggermente aranciati e il suo gusto vivace e leggero.

Duval-Leroy Femme De Champagne Brut Grand Cru

80% di Chardonnay e 20% di Pinot Noir: ecco il segreto di questa favolosa bottiglia di bollicine così amata. Questo champagne è caratterizzato da aromi nitidi di frutta e agrumi e al palato si presenta complesso, ma eccezionalmente equilibrato.

Mumm Cordon Rouge

La silhouette moderna ed accattivante e il sapore fresco e vivace rendono questa bottiglia perfetta per un brindisi di fine anno o un aperitivo durante le feste natalizie. Questo champagne è caratterizzato da un aroma fruttato e al palato si presenta vigoroso e morbido allo stesso tempo.

Perrier-Jouet Blanc de Blancs Belle Epoque 2004

Sarà il suo irresistibile aroma floreale e quelle piacevolissime note fruttate tropicale il segreto del suo successo? Non solo: a contribuire alla sua celebrità mondiale c’è la straordinaria bellezza. La proverbiale eleganza Belle Epoque di questa bottiglia lascerà di stucco gli ospiti. Note di mandorle, fiori di acacia ed eleganti scie minerali sedurranno al primo sorso.

Nicolas Feuillate Palmes d’Or Brut 2006 

Straordinaria eleganza ed estrema finezza, il connubio perfetto tra Chardonnay e Pinot Noir: ecco il segreto di questa favolosa bottiglia. Il colore oro luminoso brillante con perlage cristallino e i delicati richiami fruttati tropicali con note di agrumi canditi, spezie e crosta di pane caratterizzano questo champagne che si presenta al palato equilibrato e di bella struttura.

Brasserie Parigi: 3 locali famosi e storici della capitale francese

Parigi è una città incantevole, che merita di essere visitata almeno una volta nella vita. Tutti restano estasiati dall’atmosfera romantica e retrò di questa città e di quartieri incantevoli come quello di Monmartre. Pensando ad un viaggio nella capitale francese non si può non pensare di sedersi in una tradizionale brasserie parigina.

In questo articolo vi consigliamo tre locali storici e famosi Brasserie Parigi, dove poter gustare i veri piatti e la vera atmosfera parigina.

3 brasserie Parigi famose e storiche

Au Pied de Cochon

In prossimità dell’antico mercato parigino di Les Halles, troviamo Au Pied de Cochon, che vanta il primato di non aver mai chiuso dal giorno della liberazione dopo la guerra della città. Proprio perché è nata con l’intento di rifocillare i lavoratori del mercato, questa brasserie è aperta h24, ed è dunque il posto ideale per un ottimo pasto da consumare a tarda notte. Anche nelle ore più tarde, quindi, troverete turisti e personaggi dello spettacolo che frequentano il locale, mantenendo la sua atmosfera calda ed accogliente a qualsiasi ora.

Brasserie Flo

All’interno di un nascosto cortile che ospitava le scuderie di un palazzo adiacente, questo locale è il luogo perfetto per una cena romantica. Conosciuto come il ristorante più amato dall’attrice Sarah Bernhardt, la Brasserie Flo, inizialmente si chiamava Chez Hans. Mantenne questo nome fino a che, poco prima della prima guerra mondiale fu travolto e saccheggiato dalla folla parigina che manifestava contro i tedeschi. Monsier Floderer, però, riprese col tempo in mano la situazione, arredando il locale in stile Liberty, e riconsegnando alla brasserie lo splendore e l’opulenza di una vera taverna parigina.

Il menù non è mai lo stesso, ogni giorno cambia e propone uno dei 500 piatti che ogni anno a rotazione vengono proposti da Flo. Restano sempre a disposizione, però, i suoi piatti più amati, come la bistecca alla tartara, ostriche calde in salsa di champagne o carne di maiale salata servita con le lenticchie.

Bofinger

Sembra che questa sia la brasserie più antica di tutta Parigi che sia ancora in attività. Vero o no, il sapore che lascia questo locale è proprio quello della Belle Eèpoque, con una magnifica cupola di vetrate. Non sarà insolito, se vorrete assaporare i loro ottimi frutti di mare, di assistere a dei simpatici siparietti in cui i camerieri si scontrano facendo cadere le portate, o l’entrata in scena di femme fatale che sembrano appena uscite dalla vicina Opera della Bastille. Creati ad oc, o genuine, queste divertenti scene vi faranno sentire per un attimo in un cartone disney ambientato nella Ville Lumiere.

Sigari migliori: dove comprarli e di che marca sceglierli

Da sempre ricchi di fascino e carisma, i sigari donano un tocco di personalità e originalità, alla persona. Il sigaro è un vero e proprio rituale che parte dalla sua scelta, passa per la conservazione, e culmina nella prima boccata che ti circonda ed avvolge con il fumo bianco, denso e fortemente aromatico.

Scegliere dove comprare i sigari non è semplice, diffidate dai sigari esposti sopra le sigarette nei tabaccai più comuni, cercate piuttosto rivenditori specializzati. Va sempre tenuto a mente, infatti, che la conservazione del sigaro ne preserva intatte le qualità e di conseguenza la bontà del sigaro.

Per prima cosa, quindi, nel momento in cui state decidendo se acquistare dei sigari, accertatevi che all’interno del negozio è presente un Humidor, perché sigari di una certa qualità esigono condizioni di umidità e temperatura costante. Già da questo particolare, potrete comprendere se siete nel posto giusto, soprattutto se cercate dei sigari di qualità.

 I migliori sigari

Cohiba behike 52-54-56

Un sigaro ottenuto solamente con le ultime due foglie poste in cima alla pianta, coltivata direttamente al sole. Considerando che sono pochissime le piante a produrre queste foglie, questo sigaro è già simbolo di esclusività, abbinato poi al nome cohiba che è una garanzia di eccellenza, si può stare più che tranquilli.

Camacho Liberty 2020 L.E.

Sigaro presentato in una limited edition del classico Liberty, si distingue per la sua composizione che presenta habano ecuaderogno, Corojo Honduregno, e all’interno una miscela di 4 tabacchi diversi domenicani e honduregni. E’ dedicato a chi si aspetta un’esperienza di fumo piuttosto audace, ricca di note di legni dolci, che lasciano il posto a sapori di spezie. Unica pecca, questo sigaro è molto difficile da trovare essendo un’edizione limitata.

Toscano Robusto

Italiano, fatto a mano, innovativo, sono queste le caratteristiche dell’edizione limitata del classico toscano italiano. La sua particolarità sta nella forma: più rastremato alle estremità e più largo sulla pancia, questa peculiare forma dona forza e intensità alla fumata. Il Robusto arriva subito diretto, senza chiedere permesso evidenziando le sue note di legno aromatico per poi lasciare il passo a note più dolci e a tratti piccanti.

Romeo Y Julieta Churchill Anejados

Al contrario del Toscano Robusto, questo sigaro richiama le origini dei classici. Si tratta infatti di sigari invecchiati parecchi anni in condizioni ottimali, prima di essere messi sul mercato. Questo tipo di conservazione del sigaro, garantisce il mantenimento di tutte le sue proprietà come al momento della sua fabbricazione. Un gusto molto intenso e complesse di note aromatiche, contraddistingue questo sigaro iconico della casa Romeo Y Juliet, grazie proprio all’invecchiamento di 10 anni.

Ristoranti giapponesi famosi a Londra

Mangiare sushi è uno dei quattro scopi della vita, quali siano gli altri tre nessuno lo ha mai saputo”.

Se siete amanti della cucina giapponese e vi state chiedendo dove mangiare sushi nella City, Londra offre infinite gustose possibilità. C’è da dire però che tranne ristoranti importanti, molti non sono veri e propri “autentici” ristoranti giapponesi (come del resto anche in Italia), ma offrono una cucina fusion. Se le parole sashimi, nighiri e uramaki risvegliano in voi una inspiegabile voglia di prendere un paio di chopstick e dirigervi alla ricerca dei migliori ristoranti giapponesi di Londra, ecco gli indirizzi da noi consigliati.

5 ristoranti giapponesi famosi di Londra

Dinings

All’interno di un favoloso palazzo in stile georgiano si trova il famoso Dinings, nato da due menti brillanti, Masaki Sugisaki e Keiji Fuki, allievi di Nobu. Molto difficile sedersi ad un tavolo senza avere una prenotazione. Il sushi è davvero eccellente, parola di Makiko Sano, la regina giapponese del sushi a Londra.

Chotto Matte

Questo è il posto giusto per un’uscita con amici. Più economico di Nobu, Chotto Matte è un locale moderno nel cuore di Soho e propone una “cucina fusion che parla peruviano”. Al piano terra potete sorseggiare cocktail ammirando murales in manga giapponese, mentre il ristorante è collocato al primo piano. Perfetto per chi ama la musica ad alto voce. I piatti imperdibili sono tonno e yellowtail tartar.

Yashin

Per gli amanti dei locali caratteristici, Yashin è nascosta in una stradina vicino Kensington High Street. All’esterno sembra una brasserie francese, ma in realtà è un ottimo ristorante giapponese. Da non perdere il sake freddo, lo Zuke Ikura e la squisita miso soup.

Roka

Per chi ama il glamour, lo sfarzo e il buon cibo giapponese, non esiste sede migliore che Roka. Assolutamente imperdibile lo Yaki hotate. La cucina di Roka è famosa per i suoi piatti grigliati  a base di carne, pesce, pollame e verdure, preparati a vista per gli ospiti. Gli interni del locale in legni esotici sono stati realizzati e ideati da Muramatsu Noriyoshi, un famoso architetto di Tokyo.

Rock Star Sushi Bar

Caratterizzato dall’ottimo rapporto qualità/prezzo, questo locale può vantare la presenza di un Sushi Chef con 18 anni di esperienza nell’arte del sushi che saprà consigliarvi al meglio i piatti da ordinare.

Toronto sotterranea: cos’è e come visitarla

Toronto è sicuramente la prima città che ci viene in mente se pensiamo al Canada, e moltissime sono le attrazioni che si potrebbero elencare nel caso si volesse organizzare un tour turistico, ma c’è una particolarità di questa città che forse non tutti conoscono, ossia il Path.

Il Path, cioè la Toronto sotterranea, è il più grande complesso sotterraneo del mondo con ben  371.600 mq.

Il Path: Toronto sotterranea

Nonostante conti 3 milioni di abitanti, la capitale dell’Ontario non è molto estesa, la sua impostazione sembra infatti più di stampo europeo piuttosto che americano. Questo perché ricalca la struttura dell’antico abitato indigeno sul quale i coloni francesi hanno eretto il forte settecentesco e gli inglesi, dopo di loro, espansero l’abitato.

Gli edifici centrali furono eretti tutti molto vicini gli uni agli altri, questo è stato il motivo per cui già cento anni fa, si iniziò a pensare di connetterli attraverso una rete di tunnel. Nasce così il Path, una sorta di città sotterranea nella quale si circola esclusivamente a piedi che consta di tre piani e si sviluppa totalmente al di sotto del manto stradale.

Il primo percorso pedonale risale al 1900 quando sotto James Street, il grande magazzino Eaton costruì un tunnel sotterraneo. Ma fu il 1927 che inaugurò la nascita di questa parte nascosta della città, con la costruzione del collegamento tra Fairimont Royal York e la Union Station. Da quel momento, soprattutto nel corso degli anni ’70, ma con interventi che giungono fino ai nostri giorni, il complesso si è ampliato sempre di più.

I dislivelli, che collegano gli edifici anche con dei passaggi sopraelevati, e che constano di tre piani, sono collegati con ascensori e scale, ma hanno anche diversi contatti con la viabilità esterna. Vi si accede infatti attraverso parcheggi e stazioni di mezzi pubblici sia esterni, come i bus, che sotterranei come la metropolitana, che ha anche delle uscite direttamente ai piani sotterranei degli edifici aperti al pubblico.

Per muoversi agilmente attraverso il Path bisogna imparare ad orientarsi velocemente e saper identificare gli incroci, tenendo sempre bene a mente che il percorso eterno non sempre corrisponde a quello sotterraneo.

Per gli abitanti di Toronto, è quindi normale andare a fare shopping nei centri commerciali, oppure andare al cinema, in palestra o in banca scendendo sotto il livello stradale e trovandosi letteralmente sottoterra. Anche alcuni uffici pubblici sono dislocati in questa porzione di città, quindi non è affatto strano per loro, passeggiare per la centralissima Union Station senza mettersi il cappotto, nonostante le rigide temperature invernali.

Il Path si collega anche con le principali attrazioni della città, come la CN Tower, che è il secondo edificio più alto del mondo e che è tappa fissa per i turisti, grazie alla sua spettacolare vista, il Ripley’s Aquariumof Canada ed il Rogers Center.

5 fotografi neo diplomati che dovresti assolutamente seguire

Parliamo dei talenti del Photography Master della Raffles Milano, una scuola che racchiude un metodo ed uno spirito nuovi trasmessi da i più grandi maestri del settore. Interpreti attivi, efficaci e consapevoli della contemporaneità in grado di rompere gli schemi grazie al percorso formativo di alto profilo guidato da Alessandra Mauro, direttore artistico della Fondazione Forma per la Fotografia di Milano e direttore editoriale della Casa editrice Contrasto di Roma, seguito con grande impegno e sacrificio durante i periodi di lockdown. Tutti concorrono per diventare lo studente dell’anno, prestigioso titolo conferito allo studente che, per carriera accademica e portfolio, si sia distinto nella valutazione sia di una commissione di docenti interni sia di quella di una commissione di professionisti esterni.

E voi quale preferite?

Luigi Zannato @luigi.zannato

Luigi Zannato, classe ‘99, nasce e cresce in un paese in Provincia di Avellino, Calitri. Il contatto costante con la natura e la sua curiosità lo spingono ad esplorare la fotografia che studia da autodidatta. Conclusi gli studi liceali decide di trasferirsi a Milano e frequentare il Master in Fotografia dove cresce costantemente e sviluppa un senso della composizione e della luce facendolo tendere verso il settore commerciale e still-life della fotografia, ma continua a portare avanti progetti spesso legati alla proprie radici come “Aratura”, “Diario di un fuorisede” ed un progetto in corso riguardo il terremoto del 1980 cha ha devastato l’Alta Irpinia.



Paulina Flores Toscano @toscanopau

Paulina F. Toscano (Guadalajara, Messico, 1988) è una scrittrice, concept development, fotografa ed esperta in arti visive. La sua produzione creativa è cominciata da scrittrice ed è presto diventata una forma di esplorazione della vita attraverso il linguaggio visivo. Paulina prende spunto da momenti di vita quotidiana che hanno in comune semplici elementi come geometrie e luci ed è ispirata da una ricerca antropologica e sociologica guidata dalla curiosità di comprendere la condizione umana e l’interazione con il mondo che ci circonda.



Mariam Merkviladze @maroarvar

Mariam Merkviladze (Maro), nata a Tblisi nel 1994, è una giovane artista-creatrice georgiana. Il suo particolare interesse per l’immagine e la semiotica incrocia la sua passione per le arti visive e le pratiche artistiche indipendenti, spingendola ad entrare nel mondo della fotografia. Le fotografie di Maro nascono sul confine tra il regno del sogno e della realtà. La sua ricerca giocosa esiste come un processo auto-esplorativo ed una riflessione sull’incontro del suo lato intimo con l’ambiente che la circonda.  



Paula Plodzien @paulaplodzien

Nata a Città del Messico nel 1993 in una famiglia di artisti; con un padre violinista e una madre pianista e pittrice. Durante la sua adolescenza, ha vissuto tra il Messico e la Polonia, paese di origine della madre, dove ha scoperto la sua passione per le arti visive, concentrandosi poi sulla fotografia. Ha fatto i suoi primi studi professionali a Barrie, in Canada, dove ha studiato fotografia al Georgian College. Dopo la laurea, ha lavorato nella post produzione di fotografie di moda e editoriali a Toronto. È tornata nel suo paese dopo tre anni dove ha continuato ad esplorare la fotografia come professione e come esplorazione artistica. Attualmente vive in Italia dove studia e lavora nella post produzione fotografica.


Kavya Aggarwal @_kavyaaa

Kavya Aggarwal, nata nel 1996 in India del Nord, è una fotografa e visual artist. Si laurea in Interior Design presso Lasalle College of the Arts di Singapore (Goldsmiths, University of London) studiando Interior e Spatial design come strumento per concettualizzare ed esprimere le sue idee creativamente. Si avvale del mezzo fotografico per capire ed esplorare sé stessa in relazione a ciò che la circonda. Il suo lavoro è ispirato dalle sue esperienze personali e dalle conoscenze acquisite durante il proprio percorso artistico.


I 4 vincitori dell’Italian Sustainability Photo Award

Durante dell’evento “L’Economia del Futuro”, curato dal Corriere della Sera e dedicato alla sostenibilità, sono stati annunciati i vincitori della prima edizione dell’Italian Sustainability Photo Award – ISPA. Il premio è stato ideato da Parallelozero, agenzia fotogiornalistica internazionale, con il fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della sostenibilità.

Nella categoria Miglior Foto la giuria ha deciso di premiare l’immagine scattata da Vittoria Lorenzetti, che ritrae la funivia Skyway, sul Monte Bianco, assegnandole un premio di 1500 euro. Quest’opera è un esempio di sostenibilità nello spettacolare scenario delle Alpi, in quanto realizzata utilizzando le migliori tecnologie che permettono di risparmiare energia e acqua, preservando l’ambiente circostante.


Nella categoria Storia Fotografica, i vincitori sono stati Enrico Genovesi, con il lavoro sulla comunità alternativa di Nomadelfia in Toscana, dove il rispetto dell’ambiente regola la convivenza di circa 300 persone, le quali condividono ogni cosa, rifiutando individualismi e sprechi, e Gianmarco Maraviglia, con il lavoro su Fico, tempio dell’enogastromia alle porte di Bologna, nonché il più grande parco a tema alimentare del mondo, i quali si divideranno il premio di 3500 euro.


I diecimila euro del Grant, invece, sono stati vinti da Nicolò Panzeri, che il suo progetto “Feed us” dedicato al rapporto fra industria agro-alimentare, innovazione e sostenibilità, nel quale si racconta il cammino delle aziende italiane più avanzate nel settore agroalimentare.

Secondo la giornalista Tiziana Ferrario, presidente di giuria della prima edizione di ISPA, “l’Italia appare come un paese all’avanguardia, dove la creatività si realizza attraverso l’uso della tecnologia con attenzione alla salvaguardia del territorio e delle sue ricchezze naturali. Non è stato semplice per la giuria scegliere i vincitori e non a caso per la sezione Storia Fotografica sono stati decisi due premi pari merito”.

Il concorso è stato realizzato in collaborazione con PIMCO, una delle principali società di gestione di investimenti al mondo, che ha rivestito il ruolo di main sponsor e con il patrocinio di Compact NetworkItalia, Fondazione Cariplo, Fondazione Cariverona.

“Esoscheletro distopico”, il libro di Giuseppe Foderaro

Assistiamo in questo libro a due evoluzioni: quella della storia dell’uomo e quella del protagonista, Giulio Ferraro, ricercatore universitario con il sogno di diventare archeologo. 

Esoscheletro distopico” è un libro diagramma di flusso, inizia in una piccola aula universitaria e si espande in infinite informazioni che si immettono con collegamenti, a cui si aggiugono blocchi e ragionamenti. Qui il lettore curioso ha da divertirsi, perchè la storia del libro non è solo la storia di un giovane sognatore, ma la storia dell’umanità intera. 

Giuseppe Foderaro, autore di “Esoscheletro distopico”, ha dato vita alla sua grande passione, quella per la scienza; attraverso i dialoghi dei protagonisti (che sappiamo come essere vestiti; conosciamo i loro feticismi, come la visione dello sciogliersi di trecce di una fanciulla; le loro abitudini, la lista della spesa sempre dimenticata alla calamita del frigo) assistiamo al quesito più antico del mondo: da dove veniamo? 
In un romanzo che porta in sé saggistica, avventura e giornalismo d’inchiesta, Giuseppe Foderaro ci regala una serie di informazioni che parlano di noi, dei nostri antenati, di paleontropologia. 

“Siamo figli di una ibridazione tra Sapiens e ominidi usciti dalla loro terra africana; l’Asia è probabilmente la culla dell’umanità; siamo un popolo evoluto dal punto di vista biologico ed involuto culturalmente; la nostra laringe nei primi due anni di vita è posizionata in alto per permettere ai neonati di poppare senza strozzarsi, come succede per i mammiferi che possono mangiare e respirare allo stesso tempo” sono solo alcune delle ricerche scientifiche che l’autore riporta e che ci invogliano a cercare e cercare, Google alla mano, come dei veri e propri archeologi in tutta comodità sul divano di casa. 

“Esoscheletro distopico” ci presenta la risposta all’antica domanda, si arricchisce di colorate similitudini, di descrizioni tecniche e cristalline, di personaggi su cui fare il tifo, come il protagonista, il giovane Giulio che ci accompagna, mano nella mano, in questo lungo viaggio all’indietro, lungo duecentomila anni. 

Giuseppe dove hai fatto ricerca per la stesura del romanzo?

Ho consumato tutti i testi della Facoltà di Archeologia e culture del Mondo Antico dell’Alma Mater di Bologna, e altri testi della Sapienza di Roma, oltre che le riviste scientifiche come Nature e Science.

Quanto c’è di vero e quanto di inventato nel romanzo? 

È tutto vero. Sull’esito delle ricerche finali ho mixato un’insieme di teorie, visto che la storia dell’evoluzione è ancora tutta in divenire. Ho finito di scrivere il romanzo alla fine del 2017 e consegnato il manoscritto a Mursia, la casa editrice, a maggio 2018, fino ad allora si pensava che i Sapiens si fossero sviluppati soltanto nel Corno d’Africa 150mila anni fa e avessero lasciato l’Africa per l’Eurasia 60mila anni fa. Soltanto dopo le nuove ricerche hanno stabilito che i Sapiens si siano sviluppati in Africa molto prima (315/320mila anni fa), e non solo nel Corno d’Africa (Africa orientale), bensì un po’ in tutto il continente e che abbiano lasciato l’Africa 200mila anni fa.

In particolare, i Sapiens da cui deriviamo noi, quelli più evoluti, hanno lasciato l’Africa 135mila anni fa, a seguito della Glaciazione Wurm (nel Pleistocene). Ma le teorie raccontate nel mio romanzo sono quelle in voga nel 2017.

“Esoscheletro distopico”, il romanzo di genere di Giuseppe Foderaro edito da Mursia

Da dove arriva questa passione per la paleontropologia? 

Deriva dalla domanda che un po’ tutti ci poniamo: come siamo arrivati fin qui? Ed è vero che ci siamo evoluti, visto lo scenario mondiale in cui ci troviamo calati, nostro malgrado?
La mia risposta è che ci siamo evoluti più a livello biologico che culturale.

L’antropocentrismo, il narcisismo dell’uomo, è tale che gli esseri viventi vengono ancora classificati secondo una scala che vede l’uomo occupare le posizioni più elevate, ma è una forzatura. Noi ci sopravvalutiamo. L’uomo non è più evoluto di una carota o di un batterio; tutti gli organismi viventi sono la manifestazione di un processo evolutivo cominciato circa 4miliardi di anni fa, con la nascita della Terra.

Perché non ci siamo evoluti culturalmente?

Perché la nostra ambizione ci porta a modificare gli ecosistemi a discapito di tutto il resto. Non sappiamo vivere in simbiosi con la natura (cosa che invece facevano i Neanderthal).

Anziché La Sapienza, che ci fa chiamare Homo Sapiens, noi abbiamo un’altra peculiarità che è la narratività, ovvero la capacità di strutturare le storie. E questa cosa ci ha sempre salvati.
Nel ‘67 un etnologo tedesco (Kurt Ranke) ha coniato il termine Homo Narrans, proprio perché è attraverso le storie che noi impariamo il mondo; se non trasmetti ad altri le tue conoscenze sei morto. E l’essere umano ovunque vada lascia un segno.
Per tutto il resto, il nostro desiderio di incrementare la demografia e l’economia in maniera selvaggia e incontrollata sta distruggendo il mondo, i suoi ecosistemi, il clima, ecc.

Cosa c’è di te nei personaggi che hai descritto?

L’amore per la scienza.
La scienza a volte può rivelarsi quasi poetica, quando ti fa ben sperare in un futuro migliore. 
Perché le risposte le troviamo lì, ed è nel sogno di volerle cercare quelle risposte che immagino un mondo diverso domani

Poetica come le storie delle Sacre Scritture?

Io sono credente, ma per un mio retaggio culturale/familiare. Per un imprinting più che per una convinzione. Credo che le sacre scritture siano più che altro i testi scientifici, quelli seri e comprovati.
Dobbiamo continuare a meravigliarci e a viaggiare ed esplorare senza aspettare un deus ex machina che ci risolva i problemi.

Quindi il paragone che fai nel romanzo tra sacre scritture e scienza non è un tuo pensiero, lo affibbi al personaggio

Sì, io cerco sempre di astrarmi quanto possibile da ciò che scrivo, anche se poi ciò avviene solo in parte, per forza di cose. Ma i miei personaggi pensano e agiscono in maniera autonoma.
Io nonostante tutto credo ancora nell’essenza del genere umano (e molto meno nei suoi comportamenti).

L’uomo tutt’oggi pensa poco e male. E questa è una rovina. Molti credono che i nostri cervelli si siano evoluti per aumentare il cosiddetto ragionamento astratto (pianificare le cose, organizzare concetti, produrre nuove informazioni). In realtà la natura ha fatto crescere i nostri cervelli non per pensare (e questo spiega l’arcano!), bensì per far fronte a maggiori capacità sociali, per farci vivere in gruppi sempre più grandi.
E vivere in gruppi sempre più grandi è una vera impresa (competizioni e lotte necessitano di forti abilità sociali); quindi siamo più strateghi, al massimo, che pensatori.
È tutta una questione di sopravvivenza, e di prevalenza in un gruppo sociale.

  • “Esoscheletro distopico” : 250 pagine
  • EditoreUgo Mursia Editore (27 agosto 2020)
  • In libreria, qui su Amazon

Alimentazione e workout: come restare in forma durante il lockdown

Il covid-19 continua a stravolgere la nostra quotidianità, comprese le routine legate a sport e salute. Oggi all’avvicinarsi di un possibile nuovo blocco possiamo non farci cogliere alla sprovvista e mettere tra le priorità il benessere. Ecco alcuni brevi ed efficaci consigli per una sana e gustosa alimentazione abbinata ad un allenamento smart e dinamico. 

Un’alimentazione senza privazioni aiuta a mantenere alto il buon umore : pancakes e lasagne proteiche

In questo periodo la nostra mente è già proiettata in una realtà proibizionista a causa del virus: perché togliere anche i cibi che si amano? Se mangiati a giuste dosi infatti, anche alimenti ricchi di zuccheri e grassi diventano funzionali al nostro metabolismo: basta non esagerare. Il segreto è riuscire a distribuirli in maniera omogenea durante l’arco della giornata. Brioches al cioccolato al mattino o alla sera; pasta a pranzo o a cena. Anche l’utilizzo dei condimenti come olio e aceto non deve essere negato se usato con parsimonia. Esistono delle micro bilance adatte a pesare ogni singolo grammo permettendoci di evitare eccessi. Un’altra chiave in cucina è legata alla rivisitazione dei piatti: i dolci più tradizionalmente “pesanti” possono essere interpretati con ricette light e proteiche, come ad esempio i pancake. Oltre ai classici con marmellata e nutella, questi dolci si possono preparare mettendo alla base ingredienti sani e genuini quali albume, latte di mandorle, proteine, yogurt greco e frutti rossi. Le proteine (che si possono tranquillamente acquistare online) sostituiscono la farina e il risultato finale ha lo stesso sapore del dolce tradizionale ma senza appesantire. Un altro esempio calzante è quello delle “protein lasagne”. Il tipico piatto bolognese può essere integrato sostituendo i classici ingredienti con sfoglia proteica integrale (si può ordinare facilmente anche online), ragù di pollo, pomodoro bio, olio di cocco e besciamelle di soia. 



Un work-out smart ed efficace: Il programma Revolution di Virgin Active

Una sana alimentazione non basta: il costante allenamento diventa un must, soprattutto ora. Il lock- down ha solo accelerato una trasformazione che era già in atto e che rispondeva all’esigenza di un workout fruibile in qualsiasi momento. Se si è lontani dal club per lavoro, oppure a casa in smartworking, a causa degli spazi ridotti e dell’assenza di attrezzi, allenarsi tra le mura domestiche può risultare meno agevole. Se però ci procuriamo due manubri (scomponibili), elastici (di diverse intensità), una sbarra per trazioni e cavigliere, avremo a disposizione una piccola palestra (per i più esperti si può anche acquistare un “giubbotto” del peso di 15 chili). 



Se però l’attrezzatura non è sufficiente, perché soprattutto da casa quella che spesso manca è la motivazione ecco che entra in gioco il ruolo fondamentale del trainer che deve spronare gli allievi a tenersi in forma. E’ il caso di Virgin Active. Da sempre leader nel settore del fitness, durante il lock down ha reso disponibili sia per i clienti che per tutti gli utenti sui canali social dell’azienda l’esperienza di allenamento digitale “Revolution” per permettere a tutti di continuare – o di cominciare – ad allenarsi. L’offerta digitale dà la possibilità di fare attività fisica esattamente come al club ma da remoto, mantenendo quel legame con la nostra community fitness. Sette categorie di allenamento a scelta fra Cycle, Running, Grid, Recovery, Strength, Yoga e Pilates e la professionalità dei trainer. 

Ed è cosi che un costante allenamento (anche semplicemente 30 minuti al giorno) abbinato a qualche trucco ai fornelli ci permetterà di mantenere la linea in un periodo di sedentarietà forzata.

Le maschere per capelli planet friendly da avere ora

Anche quando si parla di maschere per capelli ormai, abbiamo un’ampia scelta di prodotti pensati e realizzati con ingredienti di origine naturale e adatti a soddisfare ogni esigenza.

Le fragranze provengono da fonti etiche e sostenibili, le formule sono certificate vegan e ovviamente banditi parabeni e siliconi. Massima cura anche nel packaging, per contribuire a fare la differenza e rendere il pianeta più felice e con meno sprechi. Scopriamo le nostre preferite del momento!


Riparazione profonda senza appesantire : Botanical repair intensive strengthening masque light di Aveda

Caratterizzata da un’innovativa tecnologia molecolare vegetale, questa maschera moltiplica i legami per una riparazione profonda fino a 3 strati, lasciando i capelli più sani, morbidi e luminosi. E’ adatta a tutti i tipi di capelli, soprattutto se deboli e danneggiati. La linea è al 94% di derivazione naturale, vegan, priva di siliconi e cruelty free. Anche il packaging è realizzato con un minimo del 59% di materiali riciclati post-consumo e fino al 41% di bioplastica.



Per i capelli fragili e sfibrati: Energizing Reinforcing Mask di Eslabondexx

In soli 10 minuti e ripetendo il trattamento 1 o 2 volte a settimana, le proteine del grano doneranno nuova energia e vitalità alla chioma, rendendo i capelli più forti e resistenti. Eslabondexx Reinforcing Mask è formulata con più del 90% di ingredienti naturali e ha un packaging in plastica derivata dalla canna da zucchero, 100% sostenibile.



Un bagno di nutrimento in soli due minuti: 2 Minute Magic Masque di Love Beauty and Planet

Grazie alla sua formulazione, ricca di olio di cocco e fiore di ylang ylang, previene le doppie punte, donando alla chioma un aspetto più sano ed una carica di luce e vitalità, in soli 2 minuti. Nel rispetto dell’ambiente, il prodotto è formulato con ingredienti di origine naturale, certificati vegan e senza parabeni ed il packaging è in plastica 100% riciclata e riciclabile.


Trattamento sos Deep treatment fiber strong di Biolage

A base di estratto di bambù dona forza ed elasticità ai capelli fragili e assottigliati, inoltre la nuova profumazione è vegana e le confezioni del brand sono sempre riciclabili o riutilizzabili al 100%.

Stefano Cavada: la tradizione in cucina vince su tutto

Dopo gli studi in Italia e all’estero Stefano Cavada è oggi uno youtuber, food influencer e anche cuoco televisivo. Abbiamo incontrato il giovane chef altoatesino che ci racconta la sua idea di cucina, caratterizzata dall’uso di prodotti tipici regionali inseriti nei piatti più moderni e ovviamente anche in quelli della tradizione.


Ti chiederanno in molti come hai cominciato e cosa ti ha spinto a diventare / creare la figura di FoodBlogger che ti caratterizza, ma nella vita normale chi è Stefano?

Nella vita, lontano dai social, sono esattamente la stessa persona che faccio vedere tutti i giorni. Ho una grande passione per la cucina che porto avanti anche lontano dai social. Sono circondato da tre gattini a casa che per me sono come dei figli e che mi fanno tantissima compagnia. Inoltre mi piace dilettarmi con vari sport. Nuoto, canottaggio, crossfit e yoga sono fra i miei preferiti.

Abbiamo potuto visitare ESSEN , la tua cucina / studio fotografico, ci vuoi raccontare il suo carattere?

ESSEN nasce proprio come spazio per la creazione creativa, come punto di riferimento per chi mi segue. È uno studio con il bancone da lavoro e il piano ad induzione, ma ha la stessa familiarità e calore di una cucina di casa (e per me è una seconda casa). Grazie a questo spazio sono riuscito a dare un’identità maggiore al mio lavoro e soprattutto ad ottimizzare la creazione dei contenuti.

La passione per la fotografia è nata insieme a quella per la cucina o si è sviluppata nel tempo?

La passione per la fotografia si è sviluppata in un secondo momento. Avevo avuto da sempre interesse per l’editing video. Quando infatti andavo a scuola montavo i filmati con le fotografie scattate durante le gite scolastiche. Poi quando avevo avviato il mio canale YouTube e avendo fra le mani una macchina fotografica professionale, ho iniziato a dedicarmi alla food photography ed è diventata una mia altra grande passione.



Hai scelto di portare la tua passione, non solo sui social e nel mondo mediatico, ma anche nel mondo dell’editoria con il tuo primo libro “La mia cucina Altoatesina”, ci vuoi parlare di come è nato il progetto?..ora stai lavorando ad un secondo libro… spoileriamo un po’?

Ho sempre avuto il grande desiderio di pubblicare un libro di cucina, un valido strumento offline che possa sempre essere a portata di mano. Io stesso faccio grande uso dei libri di cucina, perché mi piace sfogliarli, lasciarmi ispirare e seguire le ricette così come sono scritte. Così con un’idea ben chiara di come volevo che fosse il mio primo libro, sono andato da Athesia, la mia casa editrice, e da subito si sono innamorati del progetto e abbiamo iniziato a lavorarci dal primo giorno che ci siamo visti. È stata un’avventura nuova per me, sicuramente ho imparato tanto e ci sarà ancora tanto da imparare. Ma sono felicissimo e fiero del mio primo libro.

In porto c’è già il secondo e posso solamente dire che profuma di spezie e ti fa immaginare che fuori casa stia scendendo la neve. Uscirà l’anno prossimo, dopo la primavera.

Ispirazione, Concentrazione, Passione, Racconto, ti ritrovi?

Certamente sì, sono proprio i miei capisaldi nella mia vita privata così come sul lavoro.

Ora più che mai il nostro stile di vita sta cambiando, come scegli cosa mantenere e cosa cambiare per il futuro?

Mi lascio sempre guidare dal mio istinto, cercando di innovare quello che penso non vada più bene per la mia visione o per i miei gusti, lavorativamente parlando. Viviamo in tempi che cambiano molto velocemente, mode che vanno e mode che vengono in ogni campo. Per quanto riguarda la cucina però, la tradizione vince sempre su tutto e quella raramente può essere cambiata.


Ci lasci una ricetta per i lifestyler di Manintown?

Vi lascio la ricetta dello Spiegeleier, un piatto altoatesino di Speck e patate molto amato.

Per 4 persone:

800g patate sode

40g e un cucchiaio di burro chiarificato

8 uova

12 fette di Speck Alto Adige IGP

Prezzemolo tritato (o erba cipollina)

Sale

Pepe nero macinato

Inserire le patate ben lavate e con la buccia in una pentola di acqua fredda. Aggiungere del sale grosso, portare a bollore e lasciare cuocere per 35-40 minuti, finché le patate saranno morbide se punzecchiate con una forchetta. Scolare le patate, lasciarle intiepidire e successivamente tagliare a fette spesse circa 1cm. Scaldare una padella antiaderente con i 40g di burro chiarificato ed aggiungere le patate a fette. Lasciare rosolare per alcuni minuti, girando le patate delicatamente di tanto in tanto, fino a quando inizieranno a formare una crosticina. In un’altra padella antiaderente scaldare un cucchiaio di burro chiarificato e rosolare le fette di speck. Aggiungere anche le uova intere e cuocerle all’occhio di bue, insieme alle fette di speck. Servire le uova e lo speck su un letto di patate saltate con una spolverata di prezzemolo tritato.

Stefano Cavada@stefanocavada

#MITPARADE special project ad alto impatto mediatico

Valori convergenti, progressiva attenzione al design e livelli qualitativi top di gamma. Queste le conditio sine qua non per i sempre più diffusi special project, che hanno l’obiettivo di creare prodotti ancora più accattivanti ed esclusivi.
Complici, una comunicazione fuori dagli schemi, che ci rende parte di una rivoluzione, o l’ambizione a un capo o un accessorio più fresco e meno previsto, frutto di un mix di stili e collaborazioni, nate a posta per sperimentare variazioni sonore nella complessa partitura della moda.

Ci vuole carattere e una lunga storia sulle spalle per lasciarsi contaminare da un’immagine forte come la tua. E ne hanno da vendere Puma ed Helly Hansen che hanno lavorato a quattro mani per creare la terza collezione ispirata all’arctic patrol.  Una capsua dalle caratteristiche tecniche elevate per affrontare ogni condizione climatica, ma versatile e accattivante in un assortito total look, da conquistare le strade della città, coniugando un look and feel futuristico alla tecnologia stormCELL fleece polarizzato con dettagli riflettenti, elementi noti a chi ha il culto degli sport estremi e della navigazione.

Buona la prima per C.P. Company e Gore-Tex che questa stagione hanno realizzato un’edizione speciale dedicata agli urban resident. Si tratta di uno sviluppo della linea Urban Protection in GORE-TEX tra cui spicca l’iconica giacca Metropolis e nuove sweatshirts funzionali, progettate e sviluppate per l’uso quotidiano nelle città in continua evoluzione.

L’obiettivo principale di C.P. è, da sempre, quello di creare capi pratici e innovativi dedicati agli urban resident. La collezione FW20 ha portato allo sviluppo di uno special range di capi della linea Urban Protection in GORE-TEX, tra cui spicca l’iconica giacca Metropolis e nuove sweatshirts funzionali, progettate e sviluppate per l’uso quotidiano, nelle città in continua evoluzione. Tutti i prodotti sono caratterizzati dal patch Urban Protection staccabile e dalle iconiche tasche, proprio come la fortunata giacca Metropis del 1998 con mascherina incorporata. Rivisitata nella versione Primaloft Gold che garantisce un isolamento ineguagliabile. Completano questa capsule, le felpe con cappuccio, tascone incorporato e tecnologia persistent beading.

Innovazione significa anche nuovi linguaggi e nuove strade da inventare per campagne adv di ultima generazione.
Come #expressyourself (in cover), il nuovo progetto firmato ADD, leader nell’urban outwear, che ha chiesto a 6 giovani talenti dello styling internazionale (Fabio Princigallo, Francesca Bocca, Giulia Sanna, Luca Smorgon, Maggie Min-Yu Chao, Martina Paschetta) di dare la propria personalissima interpretazione dei capi della nuova stagione.
Senza alcuna imposizione da parte del brand, ma guidati soltanto dalla propria creatività, per liberare 50 diversi modi di essere se stessi.

I ritratti “a distanza di sicurezza” nascono dalla mente creativa di Francesco Morace, Presidente di Future Concept Lab, con l’intento di documentare la realtà e le cose a cui teniamo, osservandole dalla giusta distanza e con un pizzico di serenità in più, che oggi non guasta. La giusta distanza assume un valore inestimabile “dalle informazioni, che per trasformarsi in conoscenza, richiedono riflessione e confronto. La giusta distanza dal digitale che rischia di diventare un gorgo in cui precipitiamo, invece di essere un pozzo da cui estrarre secchiate di meraviglia.
La giusta distanza da noi stessi, da ego ipertrofici che hanno rischiato di portarci alla rovina. La giusta distanza che ci permetterà di vivere e apprezzare la concretezza della nuova normalità.” 

Alberto Malanchino, ecco il DOC nelle vostre mani

Photographer: Davide Musto @davide_musto 

Ass. Photographer: Emiliano Bossoletti @_emilianobossoletti

Stylist: Delia Terranova @deliaterranov

Grooming: Elisa Zamparelli @elisazamparelli @makingbeauty.management

Location: Osteria il Matto – Roma @osteriailmatto 


Alberto Malanchino, attore italiano con madre del Burkina Faso, si definisce un ragazzo dell’Hinterland Milanese, la sua passione per il cinema nasce sin da piccolo, anche se all’inizio intraprende studi più tecnici per poi capire che non erano la sua strada. Ora lo apprezziamo nel ruolo di Gabriel Kidane per la serie “Doc nelle tue mani”, uno dei maggiori successi della fiction targata RAI1.

Dimmi come nasce la tua passione per la recitazione..

La prima volta è stata sicuramente da piccolo in quanto vedevo molti film in compagnia di mia madre che è stata la prima persona a trasmettermi la passione per il cinema. E senza distinzione di bollino rosso o blue me li faceva vedere tutti, ed ho iniziato a subire il fascino degli attori come Al Pacino o Michele Placido, e ti sto parlando ancora di VHS, che sembra una vita fa. Ti confesso che ero molto incuriosito dal fatto che tutti parlassero italiano, allora poi mia madre mi ha spiegato che esisteva il doppiaggio, così è stata una doppia fascinazione.

Invece il secondo momento quando è stato?

Esattamente al quinto anno di ragioneria, dove la professoressa ci portò a vedere “Le allegre comari di Windsor”, mentre avevo amici che volevano proseguire gli studi con la Bocconi o insomma altre scuole, io ho capito di voler fare una scuola di recitazione. E così sono entrato in accademia a Milano alla Paolo Grassi.

In DOC nelle tue mani interpreti un giovane medico, come ti sei avvicinato al personaggio?

Innanzi tutto, ho cercato di vedere che cosa potessimo avere in comune io e lui, e mi è saltato subito all’occhio il fatto che tutti e due avessimo una grande dedizione per il lavoro. Poi c’è stato l’approccio professionale, ed in questo caso devo ringraziare il nostro regista Jan Michelini che ci ha permesso di fare un piccolo training all’interno del Policlinico Gemelli di Roma, per poter studiare tutte le varie dinamiche tra i pazienti ed i medici. Ed è stato di vitale importanza per poter utilizzare termini tecnici con una certa naturalezza e confort.

Il tuo ruolo ha origini Etiopi invece tu che origini hai?

Diciamo che sono dell’hinterland Milanese, dell’Altesana, dell’Adda, e poi per esigenze lavorative ovviamente mi son traferito a Milano. Il mio papà è italiano, mentre mia mamma è africana originaria del Burkina Faso.

Sin dalla prima puntata è stata un vero successo questa fiction, te lo saresti immaginato?

Ovviamente sono molto contento, perché la verità è che è stata una scommessa grandissima, in quanto da quello che mi dicevano il genere “medical” in Italia ha sempre fatto un po’ fatica ad attecchire. In più andando in onda con la prima parte della serie in piena pandemia, ci ha fatto riflettere sul fatto se fosse utile o meno far uscire una serie TV di quel genere in quel momento. E poi più che altro, avevamo iniziato a girare in tempi non sospetti, ma non avevamo finito, quindi aggiungiamo anche il dubbio se aspettare di finire o partire con la prima parte. Ed infine il pubblico ci ha premiato.

Come stai vivendo questa seconda devastante fase di pandemia?

Diciamo un po’ come tutti quelli chiusi in zona rossa sto aspettando giorni migliori, organizzo la mia vita creativa che prima non aveva il tempo di svilupparsi, come stesure di soggetti e scritture. E poi siamo stati svezzati dalla prima ondata quindi abbiamo trovato una quadra.

Che cosa non deve mai mancare nella tua valigia prima di un viaggio, quando torneremo a viaggiare?

Sicuramente una bella crema protezione 50, visto che non possiamo mai cambiare cromia della pelle per lavoro, e poi sicuramente un cellulare con tanta rete da poter comunicare con chi è distante.

A lezione di yoga con Vincenzo Lamberti

Abbiamo incontrato Vincenzo Lamberti (@vvvinsss) yoga teacher presso [hohm] street yoga Milano. Da sempre interessato al movimento in ogni sua forma e alla cura ed il benessere del corpo, Vincenzo decide di abbandonare il mondo della moda in cui lavora per dieci anni come designer, prima diventando prima personal trainer, per poi trovare nell’insegnamento dello yoga il percorso che meglio si adattava alle sue naturali predisposizioni: “ho così potuto fondere la passione per il corpo in movimento a quella per le filosofie orientali, a cui già da tempo mi dedicavo attraverso lo studio”.

La scuola in cu insegna è stata fondata da Marco Migliavacca e Giovanna De Paulis, e le sedi milanesi sono due, una in viale Tunisia 38 e l’altra in via Solari 19.
Da oltre 10 anni il centro si dedica allo studio e all’insegnamento dello yoga in modo a-dogmatico, con un’offerta che spazia dal vinyasa allo yin e al restorative, e rivolge la sua attenzione tanto agli aspetti sottili e tradizionali della disciplina, fra cui il pranayama, quanto a una più moderna ricerca, come l’introduzione in Italia del metodo Katonah yoga.
La scuola affianca in calendario classi multilivello a percorsi pensati appositamente per i principianti, e di recente si è aperta anche a persone con disabilità o semplici difficoltà motorie, proponendo lezioni di yoga adattivo.
Per completare la ricerca di chi vuole approfondire lo studio dello yoga e portare la propria pratica a un nuovo livello di consapevolezza, [hohm] street yoga organizza inoltre formazioni, ritiri e laboratori con insegnanti italiani e internazionali.


Vincenzo Lamberti posizione yoga ponte
Vincenzo Lamberti posizione yoga
Vincenzo Lamberti posa

Come è nata la tua passione per lo yoga? Raccontaci il tuo percorso.

L’interesse per le filosofie orientali e la meditazione, unitamente ad un’istintiva esigenza di esprimermi attraverso il corpo ed il movimento, mi hanno portato per la prima volta a sperimentare la pratica dello yoga, che inizialmente era però circoscritta a ritagli di tempo che difficilmente riuscivo a riservarmi, in quanto assorbito dai ritmi lavorativi particolarmente intensi. Solo quando ho trovato il coraggio di lasciare la mia precedente attività lavorativa e mettere così in discussione quelle che fino ad allora erano state le mie certezze, fonte in realtà anche di insofferenza e blocchi, ho avuto modo di approfondire il mio rapporto con la pratica, scoprendo in essa uno strumento di conoscenza della nostra più profonda essenza e un potente stimolo al cambiamento.

Quale tipo di yoga pratichi e quali sono i benefici di questa disciplina?

L’approccio metodologico che prediligo è quello del Vinyasa Krama, che consiste nel creare una struttura ordinata e graduale di posture o asana che si inseriscono in una sequenza dinamica, in cui ogni movimento è connesso e supportato in primis dal respiro, ma anche da altri elementi quali visualizzazioni, meditazioni, bandha, mudra ecc. Il tutto infatti concorre a focalizzare l’attenzione su ciò che si sta facendo nel momento presente, rendendo così il corpo più consapevole dei propri movimenti nello spazio e la mente sempre meno in balia di pensieri che possano proiettarla nel futuro o tenerla ancorata al passato. Oltre ai benefici fisici in termini di flessibilità, resistenza e qualità del respiro, la pratica diviene così una sorta di meditazione dinamica che ci aiuta ad allenare la nostra concentrazione e a liberare la mente da ansie e stress.

Quanto è importante la respirazione e come si pratica correttamente?

Fondamentale è l’utilizzo corretto del respiro durante la pratica; alle sue fasi infatti coordiniamo le diverse tipologie di movimento ed è inoltre considerato un punto di connessione tra corpo e mente: come il nostro sistema corpo-mente e le emozioni che si generano in esso in base agli stimoli esterni possono influenzare il nostro respiro rendendolo più agitato o calmo, allo stesso modo attraverso il controllo consapevole del respiro (pranayama) possiamo modificare tutto il nostro sistema. Oltre ad essere la nostra principale guida durante la pratica per mantenere il giusto raccoglimento, il pranayama stimola profonde trasformazioni fisiologiche, rende più limpida la mente, portandoci gradualmente a modificare i nostri schemi abituali, ed amplia la nostra capacità respiratoria rinforzando così la nostra salute.

Un tuo consiglio per avvicinare una persona a questo mondo?

Se dovessi dare un consiglio per far si che una persona si avvicini a questo mondo direi semplicemente di lanciarsi e provare, in quanto solo l’esperienza diretta può dare una chiara idea di quanto si possa essere in sintonia o meno con questo tipo di pratica. Consiglierei inoltre di provare anche diversi tipi di insegnanti e metodi, in quando ciascuno può avere qualcosa di diverso da offrire ed ogni allievo si sentirà più a suo agio in determinate modalità piuttosto che in altre.

Simone Guidarelli crea una beauty capsule con Campomarzio70

Simone Guidarelli è espressione unica di energia e vitalità, un creativo visionario e dalle incredibili sfaccettature. Oggi, Simone torna a stupire con una nuova collaborazione, approdando per la prima volta in ambito beauty: Simone Guidarelli x CAMPOMARZIO70, storica profumeria artistica di Roma, presenta un kit esclusivo composto da strumenti irrinunciabili in tempi attuali, quali un gel detergente igienizzante per le mani, uno spray detergente igienizzante multiuso per le superfici e una mascherina lavabile in tessuto, racchiusi all’interno di una speciale pochette firmata dal celebre stylist.

La vivace unione coinvolge i sensi: da un lato la passione per il design e l’originalità dei suoi pattern ipnotici che catturano lo sguardo, dall’altro il profumo agrumato con una nota legnosa del kit di CAMPOMARZIO70 invita all’utilizzo. Ogni prodotto è customizzato con una delle tre stampe scelte dalle collezioni di Simone Guidarelli Home, passando da “King of the Roses”, a “Ostriches”, a “Big Friendly Giant”, per finire con l’esclusiva scelta per il progetto “Wings of Water”. Si ispirano all’energia della natura: dal contrasto tra la forza dei gorilla e la delicatezza delle rose, l’audacia degli struzzi sfrontati e aggraziati, lo charme e la saggezza degli elefanti, l’ispirazione vintage di art déco con gli aironi sospesi, il mondo selvaggio e variegato di Simone Guidarelli prende vita e conquista tutti.

Dedito da quattro generazioni allo scouting di realtà italiane e internazionali complementari al proprio universo di ricerca legato al mondo del beauty, tra fragranze e skincare di ultima generazione, Campomarzio70 ha voluto salvaguardare la piacevolezza delle formule nello sviluppo dei prodotti per questo progetto speciale. Delicatamente profumati, gli igienizzanti nella doppia versione gel mani e spray multiuso, hanno note esperidate dall’effetto energizzante, mentre la formula idratante arricchita con aloe vera ne favorisce un utilizzo frequente. 

I kit saranno disponibili n esclusiva presso i punti vendita CAMPOMARZIO70 e sullo shop online.

CentroCentro e PhotoEspaña presentano per la prima volta a Madrid la collezione di Carla Sozzani

Si intitola Tra l’arte e la moda. Fotografie della collezione di Carla Sozzani l’esposizione organizzata da PhotoEspaña 2020, il Festival Internazionale di Fotografia di Madrid, e allestita fino al 10 gennaio 2021 nelle gallerie di CentroCentro, il centro culturale madrileno.

CentroCentro, Madrid

La mostra è composta da una selezione di 174 opere di oltre 90 fotografi internazionali esposte insieme ad altri documenti d’archivio, lettere e foto di inaugurazioni che raccontano la storia di Carla Sozzani, icona nel mondo della moda, dell’arte e del design in Italia e a livello internazionale. Carla Sozzani divenne famosa negli anni ’70, nominata direttrice degli speciali per Vogue Italia. Nel 1987, divenne direttrice dell’edizione italiana di Elle e successivamente aprì una galleria, una casa editrice ed un nuovo concept store, 10 Corso Como, da lei stessa concepito come una vera e propria “rivista vivente”.



La sua vasta collezione riunisce opere di numerosi artisti quali Berenice Abbott, Richard Avedon, Masahisa Fukase, David La Chapelle, Daido Moriyama, Helmut Newton, Paolo Roversi, Alfred Stieglitz, Francesca Woodman e moltissimi altri ancora, che spaziano dal XIX secolo fino ad oggi. Il criterio dell’allestimento non è né tematico né cronologico: si tratta di immagini in bianco e nero accostate secondo l’ordine alfabetico dei loro autori, che si susseguono senza un apparente nesso logico. Spetta al pubblico osservarne i dettagli e farsi guidare delle emozioni che possono nascere dall’accostamento fra immagini contemporanee e foto storiche.



Secondo l’autrice, la mostra è una sorta di diario personale, un invito alla conoscenza della sua esperienza di vita, dei suoi rapporti con i grandi fotografi internazionali, della sua carriera e della sua visione del mondo, della femminilità e della bellezza.

www.phe.es

www.centrocentro.org

L’arte sacra di Filippo Sorcinelli – creatore di bellezza e libertà intellettuale

Un pensatore dei nostri tempi, con il fascino della non omologazione, di chi non cerca l’approvazione, ma la ottiene per l’autenticità della sua opera.

Filippo Sorcinelli, di Mondolfo, dopo i suoi studi in Arti Applicate, si diploma al Conservatorio Rossini di Pesaro, perfezionandosi al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma.

Da organista, dà il meglio di sé nell’improvvisazione, ma il suo spirito affamato lo porta a specializzarsi nella confezione dei paramenti sacri con il suo Atelier LAVS. Un’eccellenza, quella, che conquista il Vaticano.

La pittura, la fotografia e una linea di profumi d’arte _UNUM_. Ultima essenza della collezione è _scusami_
Ognuno di questi custodisce una storia.

Lo conosciamo meglio insieme attraverso le sue parole, franche e libere come un fiume in piena. Per farci sentire la sua insaziabile ricerca di libertà, di bellezza con la B maiuscola e del suo senso. Un’emozione.

L’importanza del silenzio della solitudine e di uno studio senza fine per questo suo percorso che è la vita, una vita dedicata all’arte implica un’immersione totale dentro se stessi.

Una filosofia di vita che vede nella disciplina e nella costanza, la conquista per la libertà.

Una personalità poliedrica che trova la sua sintesi nella ricerca della bellezza a 360 gradi. Partiamo dalla musica, e soprattutto la capacità d’improvvisare.

Essere organista, per me, significa inquadrarmi come in una passeggiata in un bosco silenzioso e poco umano, dove gli alberi rappresentano il limite della partitura, e il mio desiderio incondizionato di libertà cerca di cancellarli dal mio percorso. La ricerca musicale durante l’improvvisazione è proprio questa: abbandonarsi a pulsioni e stimoli di cui ignoriamo l’esistenza, fino a farli diventare materia viva che si autoalimenta e apre la strada a suoni e ad armonie successive che hanno come fine universale l’Emozione.

Dove trovi la tua comfort zone? in quale campo dell’arte?

Nel silenzio delle cose. Ce n’è poco oggi, viviamo in un mondo piuttosto alterato e rumoroso. Tacere aiuta ad ascoltarsi dentro, in quello spazio dove una cicatrice rimarrà per sempre. È molto difficile trovare questo luogo ricco di memorie dove il silenzio si fa ascoltare e ci fa comprendere la nostra apparente attività.
Non ho una forma artistica che “canta” più degli altri: quando dal proprio interno si apre uno squarcio magmatico fatto di emozioni, si avverte l’esigenza di liberarle facendo compiere all’opera d’arte il suo iter. Un’esplosione prima del viaggio, che la collega definitivamente al mondo, verso quella che sarà una Bellezza oggettiva, lontana dai vincoli del giudizio o delle critiche.

Ci racconti una tua giornata tipo? 

Tutto ruota attorno alla ricerca della semplicità, verso un progressivo bisogno del poco. È una battaglia molto complessa, a causa delle mie responsabilità imprenditoriali.

Ogni giorno non ha meccanismi automatici, ma ci sono delle tappe irrinunciabili.

Svegliarsi alle sei, prendermi cura dei miei gatti, i veri guardiani della mia integrità. Nelle pause, allenamento, jogging nella mia campagna fatata di Mondolfo. Poi le variabili: sopralluoghi, la direzione artistica dell’Atelier LAVS a Santarcangelo e quella più dinamica che porta il mio nome con sede a Mondolfo. L’Associazione Pro Arte Mondolfo e del Festival Synesthesia con la sua sempre crescente Galleria Senza Soffitto: un progetto molto interessante, ma impegnativo.
È doveroso come cittadino, dare il proprio contributo al territorio in cui si vive, partecipando attivamente alla sua Bellezza, attraverso le proprie competenze.

Confido sempre in un momento di svago dopo il lavoro, che ha un valore inestimabile  nel momento i cui si riassumono le fatiche, ma anche le gioie di aver condiviso tante cose con chi lavora con me.

Come si incontrano disciplina e libertà creativa nel tuo stile di vita?

Senza il rigore, il rispetto, la costanza nello studio e soprattutto la curiosità, ognuno di noi non può dirsi libero. Ma al tempo stesso bisogna ammettere che la libertà creativa è un dono. Una segreta pulsione che offre nel cuore le chiavi per la Bellezza. Il creativo libero non condivide giochi di potere, mode passeggere o interessi di multinazionali, delle ambizioni di accademici o dei favori mondani della critica, ma compie prima di tutto un atto di amore che diviene universale solo se rimane autentico.

Come crei una fragranza? ti affidi a un naso importante? quali sono le spezie e gli elementi della natura che preferisci utilizzare?

Ogni fragranza nasce da un’esigenza che mi riempie di energia: da uno stato d’animo, un momento, un ricordo, una musica, diventa un’emozione improvvisa: forse il vero bisogno d’arte è proprio questo. Un’ossessione misteriosa diventa visione, ed è quella visione che io trasferisco – “dono” – al naso che da sempre lavora con me e che vive empaticamente queste emozioni. Attraverso la commozione le traduce in odori, unici.

La scelta delle materie prime è fortemente condizionata dalla volontà di materializzare il ricordo emotivo con una fragranza. Il vero filo conduttore è proprio questo.

Anche le bottiglie delle fragranze sono dei pezzi di design, te ne occupi personalmente?

Da sempre mi occupo di ogni aspetto delle mie creazioni, compreso tutto il suo involucro che parla all’unisono o in polifonia di questa esperienza emozionale.

I nostri laboratori sono attrezzati affinché possa diventare sempre più un vero e proprio oggetto d’arte, unico e irripetibile, lontano da assurde logiche industriali fatti di numeri, che spesso spersonalizzano il vero DNA di un settore che ha scelto, non per caso, di chiamarsi “profumeria artistica”.

I tuoi quadri sono molto materici. Hai un artista o una corrente a cui t’ispiri? o semplicemente che ami particolarmente?

Il mio desiderio di materia si manifesta nel dramma e nella conoscenza, nel desiderio emotivo e fiducioso che si può legare alle concretezze simboliche dell’arte medievale, dove ricavo quella profondità di densità e spiritualità che solo l’arte sacra riesce a trasmettere.

Le mie opere sono un po’ come coltivazioni di quello spazio interiore che spesso spingono, si stratificano alle emozioni e allo spirito. È l’esigenza più antica e moderna allo stesso tipo: aver bisogno di qualcosa di elevato per conformarci e confrontarci; per vivere nel reale occorre senza dubbio il sovrannaturale. Al contrario di chi pensa di conformarci e massificare ogni intento umano.

Anche la materia più inconsueta rivive solo se è rigenerata dalla poesia e dal dramma spirituale. Ecco allora le sovrapposizioni, i tagli, le forme, le carte le plastiche che come in una polifonia sognano di cantare e profumare queste cicatrici che desiderano comunicare che il passato è reale e che senza di esso l’uomo non vive ma sopravvive.

Sono esperienze queste comuni ad artisti come Giotto, Crivelli, Salimbeni, Lotto, Guerrieri, Mannucci, Burri, Licini, Giacomelli, Vedova, solo per citarne alcuni; persone che ho studiato, amato, interiorizzato, a cui mi sento particolarmente unito nel pensiero e che hanno in un certo modo arricchito la mia sensibilità umana e artistica.

Ti piacerebbe portare la tua sensibilità in giro per il mondo? per il futuro, prevedi di affrontare ancora la tematica sacra? altri progetti?

In realtà è proprio quello che sto cercando di fare, non senza difficoltà. Come dicevo pocanzi, la tendenza è quella di uniformare e di far pensare poco… Mettersi a nudo di fronte al mondo con le proprie emozioni significa provocare e stimolare. Sono convinto che il prezzo da pagare è altissimo, ma in questo modo si apprezzano anche i piccoli risultati.

Il mio “fare impresa” è estremamente connesso con la mia produzione artistica; direi forse che è oramai diventata la cifra stilistica di tutto il mio pensiero produttivo. E il sacro, l’Arte sacra, la coltivazione dello Spirito sono compagni di viaggio che, in un modo o nell’altro, diventano necessari.

Qual è il significato dei tatuaggi composti da tante linee rette. Molto grafici.

Come tutte le storie, la mia non è solo fatta di gioie, ma anche di dolori che ho avuto la fortuna di potere trasformare in momenti di “rottura”.

Anche i corto circuito fanno parte del nostro bagaglio, anche le cicatrici.

Ecco, il tatuaggio: è una cicatrice, e oggi mi ricorda ogni giorno, come uno specchio rotto, che la realtà è fatta di trasfigurazioni continue, di messaggi chiari, netti e precisi.

È quel bidimensionale che traccia un solco indelebile di una strada dritta da percorrere, quella strada ricca di stimoli, anche se guardi indietro per un istante.

Luca Rubinacci, figlio dell’eleganza italiana


Se si vuol fare il pieno di buon umore, a inizio giornata è consigliato passare dal suo profilo Instagram e seguire le simpatiche tips che lancia insieme ai suoi migliori amici, i manichini del suo atelier Genny, Mariano e Ciro! Parlo di Luca Rubinacci, che oltre ad essere l’erede della più grande sartoria italiana, è anche un seguitissimo influencer che regala consigli di stile. 

Come i più grandi sarti che si rispettino, Luca Rubinacci è di famiglia napoletana, appartiene alla terza generazione e porta avanti i gioielli di famiglia, gli atelier Rubinacci di Milano, Napoli e Londra; lui lo si trova nella città della moda, in via del Gesu’, negozio allargatosi dal 2015 implementando la collezione con il “ready to wear” ed un esclusivo Club per soli uomini dedicato ai clienti del “su misura”.

Entrando troviamo tutti i prodotti “finger food”, come ama definirli, quelli da “ti prendo e ti porto via”, quindi pochette, bretelle, foulard, cravatte, cappelli, ombrelli, tutti rigorosamente fatti a mano e con simboli che rimandano alla storia di famiglia, all’orgogliosa appartenenza napoletana, come le stampe su pochette firmate Mariano Rubinacci che riportano Villa Lucia, la dimora dei nonni, o il samurai, il best seller realizzato in onore del Giappone, personaggio tanto amato dal padre per forza ed eleganza.

Vengo accolta con un caffè che mi aspettavo napoletano, e invece arriva dalla Calabria, dalla terra di un loro fidato cliente che, quando torna, può sorseggiarlo sentendosi a casa; questo è il fil rouge del club Rubinacci, un luogo che raccoglie gli oggetti di chi sceglie la bellezza come stile di vita. 
Prima di arrivarci bisogna attraversare la zona della collezione “pronta” e costeggiare la sartoria, che oggi è vuota causa Covid (gli ultra sessantenni lavorano da casa); una porta apre ad un piccolo corridoio dove troneggia la giacca storica Rubinacci, il capo iconico destrutturato dalle mani del nonno, e una seconda porta si affaccia sull’elegante stanza dalle pareti gialle, con le poltrone Chesterfield, una libreria in legno scuro con le foto di famiglia, i libri di moda maschile, l’angolino bar dove offrire del Gh Mumm o un whisky cocktail, una scatola porta sigari in legno pregiato, sigari lasciati dagli stessi clienti che li ritroveranno tra un meeting e una prova in camerino.

Sul tavolo rotondo, accanto alle ortensie lasciate seccare, le cover di Luca Rubinacci, sempre a suo agio nel mettersi in primo piano. 



Luca vuoi raccontarci i tuoi inizi?

Ho la grande fortuna di avere alle spalle il nome della più grande sartoria d’Italia, parto da quello che per altri è un traguardo, ma è anche vero che con un passato così importante subisco anche il rischio di mandarla a picco. Il tempo, l’esperienza e la mia voglia di mettermi in gioco hanno aiutato, soprattutto a stare al passo con i tempi, con l’arrivo dei social network e di un nuovo genere di comunicazione. Arrivo in azienda nel ’99, alle spalle anni di vela da professionista e tutto il successo di mio padre, con cui volevo competere, imparando sì, ma aggiungendo un tocco personale. L’ho ottenuto con la napoletanità e con le stravaganze che tanto attiravano l’attenzione degli street photographer, i pantaloni viola, gli accostamenti strambi di colore, ma senza mai dimenticare l’eleganza, lo stile, e il know-how della mia famiglia. Sono entrato in atelier a 20 anni, oggi ne ho 38 e tengo seminari in Marangoni e alla Bocconi, io che non ho fatto l’Università, dove parlo anzitutto di teamwork, il lavoro di squadra che mi ha insegnato lo sport, ma ricordo soprattutto il senso di gratitudine, come quello che ho nei riguardi dell’ingegnere Sergio Loropiana, storico cliente di mio padre, mio mentore per sette anni; è a lui che devo l’amore per i tessuti, l’attenzione all’ascolto del cliente, e il concetto del lusso che tutto può concedersi.


Tuo padre ha deciso di farti studiare da Kilgour, la storica sartoria del 1882 tra le più importanti di Savile Row a Londra; che differenza hai notato tra l’eleganza italiana e quella inglese? 

Ringrazio mio padre che mi ha sempre spinto a rubare il mestiere alla vecchia maniera, cioè “impara e porta a casa”, come si faceva nelle vecchie botteghe d’artista, quando l’allievo osservava la mano del maestro pittore, per poi arrivare a completare un suo quadro o addirittura superarlo in bravura. Gli inglesi sono molto precisi, il rigore british costruisce una giacca in maniera eccelsa, perfetta, impeccabile; mentre invece la sartoria napoletana fa del difetto il suo punto di forza!
Mio nonno aveva anzitutto clienti marchesi, principi, conti, che vestivano per piacere e non per dovere, è da quest’attitudine che nasce l’esigenza di una giacca leggera e di conseguenza destrutturata. Toto’, Vittorio De Sica, Marcello Mastroianni poi, portavano i suoi capi con quella nonchalance, con una disinvoltura e un’allure che ricordiamo ancora oggi come iconiche, e questo lo si deve anche alla vestibilità del capo. 
Di Toto’ esiste ancora un cappotto Rubinacci, che ha fatto il giro dei musei e che oggi porta una serie di toppe e rattoppi, anche colorati. E’ l’esempio di passaggio di testimone, chi non aveva figli regalava i propri indumenti alla servitu’, che a sua volta lo passava alla portineria; a quel capo avrei voluto togliere quelle pezze e ridargli nuova vita, ma mio padre mi ha giustamente fermato ricordandomi che, così com’è, rappresenta tutta la storia non solo di Toto’ ma soprattutto di Rubinacci, che ha resistito fino ai giorni nostri. 

Qual è il fiore all’occhiello di Rubinacci? 

Siamo i più grandi collezionisti d’Europa di tessuti vintage; contiamo più di 60 mila metri di tessuti in casa che metterebbero al tappeto qualsiasi sartoria, è un’immobilizzazione incredibile; in atelier sono esposti quelli più venduti, ma è nel caveau tutta la merce più preziosa, tessuti che scovo durante le ricerche in giro per il mondo, a Camden Town a Londra, nei mercatini di Parigi e Los Angeles e talvolta nelle sartorie che lasciano il mestiere. Si scende al piano interrato e si apre il parco giochi dei più appassionati, tra questi Lapo Elkann, che porta amici intenditori; qui tra le pila di stoffe e l’odore del vissuto, si trovano i bouclè anni ’30/40 che usava tanto Chanel, un vellutino color aragosta, un lino color jeans che sembra denim; qui si trova l’introvabile.

Qual è il capo più venduto e cosa chiedono oggi i più giovani? 

La giacca è senza dubbio il pezzo più importante e rappresentativo, seguito dai cappotti, sia su misura che pronti; seguono poi i pantaloni vecchia scuola con le pences. 
Abbiamo la fortuna di avere una clientela molto ampia, che va dai 20 ai 60 anni, forse anche grazie all’uso smart che facciamo dei social network. 
Ho simpatia per i più giovani che entrano in atelier e mi dicono “Luca, voglio vestirmi come te!”
Ma il mio compito è tirar fuori il loro di stile, la loro di personalità, il mio è anche un lavoro psicologico, e mi diverte molto. Copiare è un atteggiamento da brand di tendenza, che non mi rappresenta, io non mi ispiro a nessuno, non copio nessuno, non ho icone. Se mi parli di James Dean posso sì dirti che mi piace lo stile con cui indossa la t-shirt bianca, ma non mi rifaccio a lui. Dobbiamo conoscerci per capire qual è lo stile che più esalta la nostra persona e che ci fa sentire a nostro agio in ogni situazione. Io porto il mio punto di vista, il mio know-how, la mia expertise, non vestirò mai un cliente uguale ad un altro, per quello ci sono le confezioni di Gucci e Dolce & Gabbana e se siamo arrivati a 1100 abiti su misura oggi, dai 300 l’anno del 2015, crediamo che sia la conferma della soddisfazione dei nostri amati clienti. 

Tu ti occupi non solo del marketing dell’azienda ma anche del design. Da dove trai ispirazione? 

Mi rifaccio al passato ma soprattutto ascolto i miei clienti, sono loro la massima ispirazione. Noi non abbiamo inventato niente, ma proponiamo una vestibilità regular, che è prerogativa del brand. 
Se altrove si seguono le mode, e quindi jeans slavati, stracciati, skinny, qui invece si trova il jeans pulito, classico, semplice; così come i pantaloni e i bomber di pelle regular fit, ma anche prodotti atipici come le sahariane e le giacche/camicie in cashmire.

Un pezzo icona è la nostra scarpa, che ci riporta al comfort come filo conduttore perchè è una pantofola rielaborata. La produzione è toscana e arriva da un mastro pantofolaio; l’idea mi è venuta guardando una foto di Andy Warhol che ne indossava una negli anni ’90, noi abbiamo deciso di sostituire la parte in tessuto della suola con il cuoio, per permettere di uscirci per strada.


Sai di essere molto divertente e simpatico sulla tua pagina Instagram luca_rubinacci?

Ci provo! Già trovo una gran rottura di scatole i social network dove tutti fanno le stesse cose e parlano degli stessi inutili argomenti, io tento almeno di far ridere insegnando però quello che conosco. E’ una sorta di ringraziamento, di passaggio, come se i social mi avessero dato la possibilità di restituire agli altri quello che è stato insegnato a me; e allora do’ consigli di stile, o faccio un video su come annodare una cravatta, o su come accostare i colori o su che tipo di tessuto indossare a seconda delle stagioni, e intanto presento al pubblico Ciro, Genny e Mariano, i tre manichini che hanno i nomi di famiglia. 

Difficile non provare simpatia per te che rispondi con garbo anche agli hater più maleducati…

Mio padre mi ha sempre detto da bambino “In ogni cosa che fai, mettici il buon senso”. E’ a questa frase che penso prima di rispondere, conto fino a dieci e cerco sempre di far prevalere la mia napoletanità, l’abbracciare tutti, anche se sono uno scorpione e in quanto tale prima o poi rilascio veleno. 

Cosa chiedono gli uomini una volta entrati in atelier? Vengono accompagnati dalle loro mogli/compagne? 

Qui il cliente sa che troverà i prodotti che vanno a costruire il guardaroba; i prodotti stagionali oggi vanno di moda ma domani non potrai più indossarli, da noi si acquista il “senza tempo”. Io oggi ad esempio indosso una giacca datata 2005, un blazer blu doppiopetto, un evergreen. 
E se l’uomo viene accompagnato è perchè si fida dei consigli di chi lo conosce bene, non è sempre questione di gusto, ma di approvazione, non di esperienza ma di sentirsi a proprio agio.
Mia moglie prima del matrimonio non riusciva a trovare l’abito giusto, girava alla ricerca con mamma e sorella quando un giorno viene da me quasi in lacrime e mi chiede “Possiamo farlo insieme?!” Ma come le dico di sì io che sono un napoletano, uno scaramantico, che non si può vedere l’abito prima del matrimonio!? Alla fine le ho consigliato gli shape che le donano e lei a sua volta mi dice cosa le piace, certo io sono un poco stravagante in tartan verde, giallo e arancio, li indosso in inverno per giocare con Ines, mia figlia, ma a Maria sembrano sempre dei pigiami! (ride)

Che valore ha il sartoriale su misura? 

E’ una questione di dettagli, di qualità e di durata nel tempo. 
Noi produciamo ancora la camicia come una volta, facciamo le prove con un telino di cotone povero, mettiamo in prova i tessuti meno pregiati su cui possiamo scrivere sopra e fare tutte le modifiche che il cliente richiede e che permette di provarlo più e più volte, fino al risultato finale, che sarà sicuramente perfetto e che verrà realizzato con il tessuto pregiato scelto in precedenza tra i 45 scaffali a disposizione. Il cliente può scegliere il modello del collo, del polsino, è anche un momento di creatività che fa della camicia un pezzo davvero unico, su misura. 

Cosa vendi sull’ecommerce

Tutto quello che si trova in atelier tranne il “su misura”. Dai posaceneri di Pulcinella portafortuna ai portafogli in cervo, dal documentario della nostra storica sartoria ai pigiami in seta, dalle vestaglie in cashmire ai costumi da bagno. 

Il club Rubinacci è una tua recente idea…

Il club vuole essere un servizio aggiunto per chi sceglie il “su misura”. Spesso i miei clienti sono obbligati a meeting in sale degli hotel dove alloggiano, ho così pensato di creare uno spazio per loro, più intimo, dove poter incontrare clienti ed amici, un luogo che li faccia sentire a casa, dove possono lasciare i loro sigari, i loro distillati preferiti, dove possono provare un abito in totale tranquillità in un maxi camerino, magari facendosi consigliare dall’amico. Qui troviamo i libri di moda di Del Vecchio, imprenditore di Luxottica e nostro fidato cliente, un modellino di Ferrari, che ci riporta al Presidente Montezemolo, degli scatti di Franco Pace, una fotografia di Pavarotti, che ricordo con grande simpatia quando gli misuravo la circonferenza vita e mi diceva che mio padre comprava il metro sbagliato perchè non era sufficientemente lungo!

Come avete reagito al lockdown? 

I nostri clienti sono amanti del bello, soprattutto chi sceglie il sartoriale su misura; per loro abbiamo creato un gioiellino, una box ispirata ad un portasigari, in legno pregiato, che contiene una raccolta di tessuti scelti appositamente per quel cliente in base ai gusti e ai precedenti acquisti, accompagnata da una lettera scritta a mano che inizia con “Special Fabrics Selection for Mr….”.
E’ un gift coccola in cui ci rendiamo disponibili anche in video chiamata per la scelta di un su misura a distanza, avendo già in casa i cartamodelli. E’ un regalo per sempre, può essere poi utilizzato come svuotatasche o come soprammobile da salotto. E’ un modo per sentirci vicini, anche se siamo lontani!

Fotografo: Abraham Engelmark

Location: Mandarin Oriental Como

Total Look Rubinacci
Shoes Morjas

I piedi dell’architetto: home office, i consigli per uno smart working di design

Durante il primo lockdown abbiamo riportato all’interno dell’ambiente domestico molte attività che, nella maggior parte dei casi, prima si svolgevano fuori casa: lavoro, sport, consumo dei pasti. Proprio in quel periodo molti italiani si sono resi conto di vivere in case che non rispecchiavano le loro nuove necessità. Intere famiglie o anche single si sono ritrovati a dover lavorare da casa in case che non erano pensate per avere una zona adatta allo scopo!

È vero che ormai molti lavori che si possono fare in smart working, necessitano solo di un laptop, uno smartphone e poco altro ancora, ma è anche vero che se per un giorno ogni tanto si possono sfruttare il tavolo della sala o l’isola della cucina, invece se l’attività diventa costante, e per diversi motivi si è costretti quotidianamente allo smart working si creano diversi problemi, dalla postura all’umore al disordine e alla confusione data magari da altre persone in casa.

Sempre di più mi viene richiesto di progettare o consigliare come arredare uno angolo “home office”. Se siamo nella fase di ristrutturazione di casa, di sicuro siamo avvantaggiati in quanto possiamo studiare come intervenire a livello planimetrico o studiando un arredo su misura. Diventa più difficile creare questo ambiente, all’interno di una casa già finita non predisposta ad accogliere questa zona! La libreria può accogliere un piano di lavoro che può restare a vista o può essere richiudibile in un vano per nascondere gli strumenti di lavoro. Ci sono poi arredi come il sistema “String” che permette di annettere anche una piccola scrivania alla composizione a parete della libreria.

Credits: Pinterest

Un’alternativa è quella di pensare ad un mensolone a parete che diventi base di lavoro che possa essere inserito in un contesto di altre mensole come libreria a parete o come struttura in muratura o cartongesso, innestato magari in un arredo sempre fisso in muratura, magari sfruttando spazi che prima non ritenevamo utili, solo di passaggio, come potrebbe essere un corridoio.

Alternative meno invasive a livello strutturale, ma di bellissimo risultato come arredo, sono dei pezzi di arredo dedicati a postazioni di home office. Dai più minimal, ai più ricercati, passando per arredi vintage, che contribuiscono non solo a creare un angolo funzionale ma anche esteticamente gradevoli e inglobati al resto dell’ambiente domestico.

Credits Photo 1: ETHNICRAFT / Credits Photo 2: Styling Johanna Bagge (KVART) for Alvhem and Photo Alice Johansson, Pinterest / Credits Photo 3 – 4: Pinterest

In generale la postazione dove lavoriamo, influisce molto sulla nostra produttività e sul nostro umore. Sistemare ed arredare il nostro angolo di home office ci permette di migliorare la qualità del tempo in cui stiamo lavorando. Abbellire lo spazio di smart working non è futile ma diventa essenziale per tutte le ore in cui dobbiamo lavorare!

Il nuovo decreto li richiude e i musei rafforzano gli appuntamenti digitali

È sulla bocca di tutti, e senza dubbio sugli schermi di PC, tablet e smartphone: parliamo del nuovo decreto firmato il 3 novembre 2020 dal Presidente Conte, che stabilisce nuove misure restrittive contro la pandemia. Tra queste si conferma la chiusura di musei e mostre in tutta Italia fino al prossimo 3 dicembre, nonostante le misure cautelative di distanziamento sociale e sanificazione degli ambienti che gli stessi avevano da tempo adottato. E loro, i musei italiani e del mondo, cosa fanno? Di fronte all’avvilente contesto che li rende impotenti nel loro pane quotidiano, ovvero accogliere persone in luoghi fisici, potenziano ardentemente la presenza online. Forse per non sentirsi soli. Sicuramente per non abbandonare chi nell’arte trova una lieta compagnia. Ecco dunque che torna l’attenzione sui musei online e virtuali che, tra dirette social e applicazioni dedicate, offrono a tutti la possibilità di una visita online nei migliori musei del mondo. Da Firenze a Milano, da Londra ad Amsterdam, i musei online e virtuali sono presenti più che mai. Qui vi raccontiamo tre appuntamenti da segnare in agenda.

Firenze continua con gli incontri d’arte digitale, anche dopo il nuovo dpcm

L’associazione Mus.e cura la valorizzazione sia del patrimonio dei Musei Civici Fiorentini sia della città di Firenze. Già durante il lockdown aveva ideato un ciclo di incontri e visite digitali per coinvolgere curiosi e amanti della cultura. E con l’entrata in vigore del dpcm nuovo, l’attività non poteva di certo interrompersi. Ecco due appuntamenti da segnare in calendario alla voce Visita Musei Online – Novembre 2020:

  • Mercoledì 11, ore 18.00: Talking about museums, una chiacchierata per condividere riflessioni e strategie adottate dai musei e da chi vi opera ogni giorno. La diretta sarà live sulla pagina Facebook dell’associazione.
  • Martedì 17, ore 18: Mezz’ora d’arte alla Galleria degli Specchi (o Galleria di Luca Giordano nel Palazzo Medici Riccardi), un’occasione per apprezzare uno dei capolavori del patrimonio fiorentino. L’appuntamento è gratuito e fruibile sulla piattaforma Zoom, previa prenotazione.
Galleria di Luca Giordano nel Palazzo Medici Riccardi

A Milano, la Triennale va in scena su Instagram con talk show d’arte

«Enzo Mari is Enzo Mari» è il format di incontri virtuali che la Triennale Milano trasmette in diretta sul proprio canale Instagram. Un crocevia di curatori, artisti e designer che donano il loro contributo e la loro esperienza con il mondo dell’arte. Appuntamenti imperdibili per neofiti e appassionati di lunga data sul social più popolare del momento, ogni martedì, alle ore 17:30. Nel calendario Visita Musei Online – Novembre 2020 non possono proprio mancare!

Con Google Arts & Culture, i musei online virtuali del mondo sono a portata di click

La forza di Google, il browser più utilizzato per le ricerche online, sta nell’offrire agli utenti risposte quanto più vicine alle loro domande e servizi utili. Google Arts & Culture è senza dubbio uno di questi. Una raccolta di immagini in alta risoluzione di opere d’arte per una visita online nei migliori musei del mondo. Avete capito bene. Non ci credete? Provate a dare un’occhiata. Dal MoMA di New York al Musée d’Orsay di Parigi al Van Gogh Museum di Amsterdam, senza dimenticare il nostro Belpaese con le Gallerie degli Uffizi per esempio. Ma soprattutto testate la potenza della piattaforma che consente di zoomare l’immagine mantenendo una straordinaria risoluzione visiva. Una full immersion d’arte mai vista prima. Qui vi segnaliamo la mostra di Artemisia Gentileschi, pittrice italiana di scuola caravaggesca, nota per essere stata la prima donna ad aver lottato per il riconoscimento dei propri diritti dopo aver subito uno stupro. Se prima del nuovo decreto la sua avvincente storia era disponibile solo presso la National Gallery di Londra, oggi è a portata di tutti grazie all’offerta dei musei online e virtuali di Google.

Self-portrait as a lute player, Artemisia Gentileschi

Sailor Moon il primo cartoon ad affrontare tematiche LGBTQ+ negli anni Novanta

Nostalgia, nostalgia canaglia. Una generazione, quella nata tra gli anni 80 e i primi anni 90 che il 1 maggio 1997 è rimasta orfana di uno dei baluardi della cultura pop connessa al mondo delle “anime”. A distanza di tempo, pronta a versare qualche lacrima e poco prima delle nuove restrizioni che hanno visto la chiusura dei musei, sono approdata alla mostra che celebra il quarto di secolo di Sailor Moon in Italia, presso il Museo del Fantastico di Torino (Mufant). 

Dopo aver scavato nei cassetti della memoria, letto articoli e saggi mi sono persa nell’edificio situato alla periferia del capoluogo sabaudo, tra memorabilia e gadget di Jack The Skeleton e Il Signore degli anelli, con la consapevolezza che Sailor Moon è stato davvero il primo manifesto di emancipazione sessuale nel panorama delle reti televisive italiane. Un “anime” incredibilmente gender che, nei due anni di trasmissione nel nostro Paese, subì pesanti censure che interessarono, appunto, i personaggi Lgbtq+ all’interno della storia: dai cattivi Lord Kaspar e Zachar, quest’ultimo riproposto sotto “sembianze femminili” per giustificare la relazione omosessuale tra i due, alle due guerriere Sailor Uranus e Sailor Neptune, unite da una profonda relazione amorosa. Non solo: il personaggio di Heles è gender fluid. Spesso veste abiti maschili e lascia che gli sconosciuti la percepiscano come uomo. Ma la sessualità, in Sailor Moon, è un argomento che non ha confini: lo dimostra il fascino che Bunny stessa subisce sia dalla sua amica Sailor Jupiter la prima volta che la conosce, sia nei confronti di Sailor Uranus, con la quale si scambierà anche un bacio nella terza stagione.


Nella quinta e ultima serie, infine, vediamo le Sailor Stars, le paladine trans: nella vita normale sono uomini, mentre possono trasformarsi diventando donne. Il trio, inizialmente non censurato in Italia, venne lapidato dalla psicologa Vera Slepoj che sentenziò: «Sailor Moon è un’eroina dotata di una grande forza, una donna che comanda. È un personaggio molto ambiguo, con tratti maschili. Tutto ciò crea disturbi nei bambini, li confonde proprio in un’età in cui hanno un grande bisogno di modelli da imitare». Dalle guerriere Sailor i preadolescenti dell’epoca hanno imparato il senso della sorellanza, dell’amicizia e della complicità. La storia delle guerriere è stato un manga in grado di precorrere i tempi e di normalizzare ciò che dovrebbe essere normale già di natura. Per questo Sailor Moon viene percepito come un vero e proprio manifesto LGBTQ+ attraverso il quale si imparava a non temere la propria identità e il giudizio altrui.

La Luna Splende, Il Cristallo del Cuore, Il Mistero dei Sogni e Petali di Stelle per Sailor Moon sono le sigle che accompagnano il percorso espositivo segnato da cartelli di stampo analitico e femminista, dai giocattoli e dal materiale scolastico che hanno lasciato un segno indelebile nei Millenials. 

La mostra riaprirà al pubblico il 7 dicembre 2020, salvo nuove disposizioni.

L’ONU riconosce il valore terapeutico della cannabis: non è più stupefacente!

A distanza di 50 anni, la cannabis non è considerata più una sostanza stupefacente dall’ONU. È stato infatti riconosciuto il valore terapeutico della pianta! Il 2020 è stato senza ombra di dubbio un anno importante anche per ciò che concerne l’aspetto legale relativo alla cannabis. Dopo 50 anni, infatti, si registra la sua uscita dalla tabella ONU relativa agli stupefacenti. Ne consegue quindi che, finalmente, si è destinati ad andare incontro al tanto atteso riconoscimento del valore terapeutico della pianta. Anche la normativa in Italia è un po’ confusa ed è necessario fare un po’ di chiarezza in merito alla canapa legale. Non è azzardato sostenere, quindi, che con il passare del tempo, step by step, la cannabis possa essere considerata esattamente come l’olio di CBD. Come puoi leggere in questo interessantissimo articolo, dove viene fatta chiarezza sulla canapa legale, è bene sottolineare che quest’ultimo prodotto alimentare ha una miriade di vantaggi non solo per la salute dell’uomo (contro lo stress, contro le malattie della pelle, contro i lievi attacchi di depressione e di panico, come antidepressivo e antidolorifico, nel sostegno alla lotta contro la dipendenza dal fumo), ma anche per coccolare cani, gatti e altri animali domestici.

Si aprono nuove prospettive in rapporto alla ricerca medico-scientifica

Esulta il mondo della ricerca medico-scientifica, perché con la decisione di non classificare più la cannabis come sostanza stupefacente a maggiore pericolosità, con ogni probabilità ci saranno nuovi scenari. La novità riguarderà diciotto Paesi su diciannove tra quelli appartenenti all’Unione Europea. L’Ungheria è l’unica nazione ad aver espresso parere contrario.

E nel breve periodo cosa ci si deve aspettare?

I cambiamenti effettivi, però, saranno solo in ottica di medio-lungo termine. Nel breve periodo, infatti, le cose non cambieranno più di tanto, per il semplice motivo che i vari governi dei Paesi dell’Unione Europea avranno ancora giurisdizione circa le modalità di catalogare la suddetta sostanza.

E nel medio lungo-termine cos’è che con ogni probabilità cambierà?

Con questa importante decisione si dovrebbe facilitare la tanto desiderata legalizzazione della cannabis a scopo terapeutico. D’altronde, di ricerche e di studi circa i suoi benefici contro il dolore cronico, i forti attacchi d’ansia, la sclerosi, il morbo di Parkinson ce ne sono davvero a iosa. Da notare che numerosi Paesi reputano le convenzioni globali come una mera guida. Di fatto, il riconoscimento dell’ONU relativo al valore terapeutico della pianta costituisce una vittoria simbolica in rapporto al cambiamento della politica, finora francamente disastrosa, sulle droghe.

Rimossi gli ostacoli del controllo internazionale

Nel 1961, la Convenzione Unica sulle sostanze narcotiche aveva imposto diversi ostacoli inerenti al controllo internazionale per ciò che concerneva la produzione di cannabis a scopi di natura medica, orientati alla ricerca scientifica. Con quest’ultima decisione, gli ostacoli del controllo internazionale vengono di fatto rimossi.

Trattasi quindi di un passaggio politico internazionale davvero degno di nota, visto che la sfida dei prossimi anni sarà tutta incentrata sullo sdoganamento della cannabis. Sarà importante segnalare a livello internazionale tutte le sue proprietà. Inoltre, bisognerà prestare massima attenzione all’uso ricreativo di questa sostanza. Se numerosi Paesi facenti parte dell’Unione Europea sono sempre stati progressisti a riguardo, l’Italia avrà finalmente tutte le carte in regola per uscire dagli schemi del proibizionismo e delle restrizioni vessatorie che, ancora adesso, purtroppo, impediscono a tanti malati di coltivare la cannabis a scopo terapeutico.

Dovrebbe venire fuori finalmente una prospettiva diversa: non “se legalizzare”, ma “quando legalizzare”

Se nel Nord America, la cannabis legale è la regola e non l’eccezione, come si evince dai controlli non vessatori sulle sostanze, nei Paesi appartenenti all’Unione Europea solo l’Olanda ed il Lussemburgo hanno da diversi anni a questa parte bypassato i numerosi e tanto criticati tabù proibizionisti.

Più che discutere di sé legalizzare la cannabis, sarebbe forse maggiormente opportuno cominciare a parlare sin da subito di quando iniziare a farlo, perché ad emergere sarebbe un business miliardario che rientrerebbe di fatto nell’economia legale e quindi sarebbe soggetto a tassazione. Questo aspetto, spesso sottovalutato, non dovrebbe mai essere dimenticato.

Insomma, l’uscita della cannabis dalla tabella Onu degli stupefacenti rappresenterà dagli anni venturi un importante spartiacque. Anche l’economia legale dovrebbe trarne tanti vantaggi.

E tu cosa ne pensi in riferimento all’approvazione della raccomandazione dell’OMS per la cannabis ad uso medico? Il fatto che l’ONU abbia deciso di rimuovere la marijuana dall’elenco dei narcotici più pericolosi è per te cosa positiva?

Sono attese novità nell’ambito dei consumi

Nell’ambito dei consumi, quindi, ci si aspetta importanti novità. I cambiamenti, in realtà, si sono registrati sin da quando diversi portali su internet hanno iniziato a ricoprire un ruolo sempre maggiormente strategico nell’acquisto di cannabis legale. Già adesso sono numerosi i consumatori che optano per l’acquisto online. Cercare shop professionali e seri, però, non è affatto semplice. Non è solo un fatto di concorrenza, ma di assistenza e di know-how di un settore altamente specializzato.

In tal senso, Justbob.it si conferma da anni come il punto di riferimento di numerosi utenti per ciò che concerne l’acquisto di cannabis legale e di tutta una serie di kit e di prodotti, quali ad esempio l’olio ad alto contenuto di CBD. In molti, oramai, lo ritengono il sito di e-commerce migliore in Italia ed in Europa, anche per la gamma assortita e variegata di prodotti a catalogo e per la tracciabilità delle migliori coltivazioni nel nostro Paese. Il fatto che tutte risultino assolutamente biologiche è un valore aggiunto che non deve assolutamente passare inosservato. Zero sostanze chimiche e diserbanti per quanto riguarda il trattamento della canapa sativa light. Questi, infatti, si rivelerebbero assolutamente dannosi per la salute del consumatore.

Moda sostenibile? Per noi è un sì a gran voce (e per fortuna non siamo i soli)

Che la sostenibilità ambientale sia un tema di grande interesse economico, sociale e imprenditoriale è ormai noto. Di fronte a questo trend sempre più forte, anche il settore moda non poteva non cogliere l’occasione per gettare le basi di un approccio più green, più ecologico, più rispettoso dell’ambiente. Spazio dunque alla moda sostenibile. Dal lusso di Prada al mondo sportivo di Adidas, sono sempre più numerosi i brand che si mettono in gioco con capi di moda sostenibile in Italia e non, attraverso tessuti e proposte innovative che attirano l’attenzione e conquistano la benevolenza di chi, come noi, ha a cuore la salute del Pianeta.

Prada è l’icona della moda sostenibile in Italia con la sua Re-Nylon

Con la collezione Re-Nylon realizzata in nylon rigenerato, ecologico e sostenibile al 100%, il noto marchio compie un passo che lo avvicina ancora di più all’universo di una moda sostenibile. Una challenge che rinnova lo status quo dell’industria tessile grazie a un tessuto ottenuto dal riciclo di materiali plastici di recupero. Quali? Basti pensare alle reti da pesca che inquinano gli oceani, ai rifiuti plastici delle discariche, o ancora agli scarti di fibre tessili provenienti da tutto il mondo. ECONYL®, questo il nome del nylon rigenerato di Prada, è un tessuto agevole ed eco-friendly. Dagli accessori all’abbigliamento, dai cappelli agli zaini, dalle camicie ai pantaloni, i capi e gli oggetti creati in questa fibra sono il non plus ultra per chi abbraccia la moda e la sostenibilità senza dover rinunciare a qualità e capi di tendenza. E il cambiamento di rotta guidato dalla Maison è visibile già dal logo: una riformulazione dello storico triangolo che si trasforma in freccia, divenendo il simbolo del rinnovamento continuo e dell’infinita vita ciclica del loro tessuto.

Per Adidas, l’unione tra moda e sostenibilità porta il nome di Primeblu

«La plastica è un problema. La soluzione è l’innovazione», dichiara Adidas che nella creazione dei propri prodotti dà sempre più spazio a Primeblu. Si tratta di un materiale riciclato ad alte prestazioni, ottenuto grazie al recupero della plastica dagli oceani. Adidas lo crea in collaborazione con Parley Ocean Plastic, l’associazione mondiale che si batte per la salute degli oceani. Impiegato tanto nei capi di abbigliamento quanto nelle scarpe, Primeblu è l’impegno concreto del marchio nel voler raggiungere un obiettivo ambizioso: utilizzare solo poliestere riciclato entro il 2024. E UltraBoost è il simbolo della moda sostenibile e sportiva promossa da Adidas: la sneaker realizzata con un solo materiale e assemblata senza colla, che può essere smontata, fusa e riassemblata in una nuova calzatura alla fine del suo ciclo vitale.

Casablanca, il brand che unisce effortless chic parigino e influenze marocchine

Nell’immaginario comune il nome Casablanca, oltre alla città nel nord del Marocco, evoca le scene di uno dei film più celebri di tutti i tempi, espressione dello star system hollywoodiano incarnato dai protagonisti Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Da due anni a questa parte, tuttavia, identifica anche una tra le più interessanti griffe di ready-to-wear maschile, nota innanzitutto a connoisseur e frequentatori dell’ambiente creativo di Parigi (città dove ha esordito in passerella nel 2019) ma in grado di farsi conoscere, ed apprezzare, ben oltre i confini nazionali.

Dietro l’ascesa fulminea di Casablanca c’è lo stilista franco-marocchino Charaf Tajer, distintosi in precedenza come co-fondatore di Pigalle (marchio street molto quotato oltralpe), collaboratore di Virgil Abloh e animatore della nightlife parigina con il locale Le Pompon, deciso a riportare in auge una visione assai sofisticata e nostalgica dell’abbigliamento vacanziero – quello che un volta caratterizzava il relax nelle località turistiche più elitarie – unendo idealmente le due città della sua vita, la Ville Lumière e Casablanca, appunto. Il nome omaggia il luogo in cui i genitori si sono conosciuti e hanno lavorato (nello stesso atelier) prima di trasferirsi nella capitale francese, dove Tajer è cresciuto in un milieu improntato su moda, arte ed architettura, specializzandosi all’università proprio in quest’ultima disciplina.

L’identità della label, come detto, risulta da un amalgama dello stile parigino e nordafricano, in cui l’eleganza studiata ed effortless al tempo stesso del primo si fonde alle linee morbide e alle cromie, ora intense ora soffuse, del secondo. Lo stesso designer racchiude il concetto nella definizione di «brand francese con un souvenir del Marocco».
Gli abiti Casablanca sprigionano un flair tipicamente seventies: bandite le vestibilità fascianti divenute ormai prassi nel menswear, le forme sono quasi sempre abbondanti, i pants sciolti bilanciano il taglio sagomato delle giacche, generalmente doppiopetto e dai revers a lancia, mentre i jeans, più accostati, seguono la silhouette senza però costringerla. Parliamo di mise che, in passato, avrebbero potuto sfoggiare gli avventori di un resort tropicale a cinque stelle, o di un hotel di montagna altrettanto esclusivo, per godersi un cocktail dopo una sessione in palestra, un trattamento nella spa e via dicendo.



Nonostante la prima collezione risalga alla primavera/estate 2019 e sia stata mostrata in uno showroom improvvisato in casa, raccogliendo comunque il favore dei buyer arrivati a Parigi per i défilé stagionali (incuriositi, pare, da alcuni scatti pubblicati su Instagram), il debutto vero e proprio coincide con lo show per la successiva stagione autunno/inverno 2019-20. Sono qui già presenti quelli che diventeranno i must della griffe, vale a dire camicie in seta dalle stampe lussureggianti (nel caso specifico paesaggi marini, frutti, colonne in marmo), tracksuit dalla mano soffice, completi pajamas, grafiche acquerellate distribuite sull’intero outfit, il tutto declinato in una palette che alterna tonalità sorbetto e nuance piene quali arancione, blu cobalto e bordeaux.

Nella successiva sfilata p/e 2020 aumenta la varietà della proposte, includendo polo lavorate a maglia, giubbini in camoscio, shorts con coulisse, abiti décontracté, pantaloni fluidi alternati a modelli più lineari. Per l’a/i di quest’anno cambiano le reference – una vacanza invernale sul Lago di Garda – ma non la sostanza, perché le uscite in passerella rivelano un gusto decisamente vintage, tra maglioni intarsiati in cachemire, shearling jacket, suit simili ai tailleur femminili, giacconi trapuntati, vezzosi foulard stretti al collo, check e pattern geometrici dalle dimensioni extra. In occasione della Paris Fashion Week Men’s dello scorso luglio, invece, Tajer opta per una presentazione digitale, consolidando la propria vocazione al leisurewear tra completi da tennis ricamati, flared pants con piega al centro, sahariane, pullover marinière e tute percorse da bande laterali.


Credits Foto 1: Charles Michalet


Proprio l’annus horribilis che stiamo vivendo ha finora rappresentato uno snodo cruciale nel percorso di crescita del brand: a gennaio viene infatti svelata la collaborazione con New Balance, che vede le sneakers 327 dell’azienda Usa colorarsi di quelle sfumature di arancio e verde così ricorrenti nell’abbigliamento Casablanca (la partnership proseguirà poi con due nuove versioni della medesima silhouette, accese da tocchi di colore scuro sulla tomaia). Arriva, quindi, la selezione nella rosa degli otto candidati alla finale del LVMH Prize 2020, successivamente cancellata a causa della pandemia di Covid-19, seguita qualche mese dopo dalla prima prova nel womenswear, inaugurato con una selezione di quindici tra capi e accessori venduti in esclusiva su Net-a-porter. A settembre è infine la volta di un’altra capsule per 24S, la piattaforma dedicata all’e-commerce della holding del lusso LVMH.

Va sottolineato come Casablanca mantenga fin dall’inizio un rapporto privilegiato con i retailer di alto profilo: se le prime collezioni sono state selezionate da boutique del livello di Maxfield  e United Arrows, scorrendo l’elenco degli attuali rivenditori troviamo nomi quali Harvey Nichols, Selfridges, Lane Crawford, Tsum e Galeries Lafayette, per un totale di oltre cento store.
Risultati di tutto rispetto per chi, come Tajer, elude ogni categorizzazione – a cominciare da quella di ennesima rivisitazione dello streetwear – sostenendo semplicemente che il proprio marchio, al di là di «cosa sia o non sia il cool, è incentrato invece sulla bellezza».

5 profumerie famose a Parigi

Impossibile non associare i profumi a Parigi. All’epoca del Re Sole Versailles era conosciuta come la “Corte Profumata”. Nel corso dei secoli i maestri profumieri francesi si sono distinti a livello mondiale per le loro tecniche di estrazione dei profumi dai fiori, dalle foglie, dalle erbe e dalle spezie. Una delle profumerie più famose, la Fragonard, ha aperto dal 1983 il Museo del Profumo di Parigi dove è possibile percorrere ben 3000 anni di storia del profumo dagli Egizi ai tempi nostri.

Per gli amanti dell’esclusività, è impossibile resistere alla tentazione di un profumo “su misura” creato nella Ville Lumière. Perché acquistare un profumo da Sephora che potrebbero averlo chiunque? Solo a Parigi esistono profumerie dove il maestro profumiere trasforma la personalità del cliente in una fragranza da indossare. Ore di conversazione e un’attenta scelta delle materie prime sono indispensabili a tal fine.

5 profumerie di Parigi famose

Odeur de Sainteté

Più che una profumeria, è il regno di madame Chantal Sanier, una vera alchimista che riceve solo su appuntamento e usa solo prodotti naturali (resine, balsami, radici) per trasformare in note olfattive una persona.

Cartier

L’alta gioielleria si sposa con l’alta profumeria.  Nel Salons des Parfums, all’interno della storica boutique della maison, Cartier propone ai clienti la possibilità di una “parure invisibile” creata da esperti profumiere sulla base dei ricordi e delle emozioni vissute.

Maison Francis Kurkdjiian

Ritenuto tra i migliori creatori di profumi al mondo, Franci Kurkdjiian offre nella sua lussuosa maison la possibilità di creare una fragranza su misura, custodita poi segretamente e non disponibile per altri clienti futuri.

Creed

Tra i suoi attuali clienti Michelle Obama e Madonna e in passato Grace Kelly, questa profumeria ha una lunga lista d’attesa e riceve solo su appuntamento. Il flacone del profumo creato sarà anche personalizzato con nomi o iniziali in oro.

Guerlain

Nato come singola boutique nel 1828 in Rue de Rivoli, oggi è un brand noto in tutto il mondo per i suoi profumi che rappresentano l’incarnazione perfetta dell’eleganza francese e della sensualità. Ci sono varie boutique in giro per Parigi, la più celebre è quella negli Champs- Elysees. Qui è possibile acquistare le fragranze più amate dalle donne, ma non creare profumi su misura.

Iniziali sulla camicia: sì o no e perché è una buona idea

In un articolo precedente abbiamo parlato di camicie, in particolare di quali tipi di colletto si adattano alle varie occasioni d’uso, ora parleremo di un dettaglio particolare che può essere apposto alle camicie, ossia le iniziali sulla camicia ricamate.

Ecco le origini di questa moda, la posizione migliore dove farle ricamare, il carattere delle lettere e il colore consigliato!

L’origine di ricamare le iniziali sulle camicie

L’origine di questa usanza deriva dal bisogno, in tempi passati, di distinguere gli indumenti e capire a chi appartenessero, soprattutto nelle famiglie molto numerose. Nel tempo si è mantenuta questa tradizione soprattutto in contesti più eleganti fino a denotare la confezione su misura delle camicie, ma nulla vieta di apporre le iniziali su una camicia preconfezionata, renderanno il capo echi lo indossa simbolo di stile e raffinatezza.

Posizione delle iniziali sulla camicia

La prima domanda che spesso ci si pone è dove far apporre le iniziali sulla camicia. Di solito si deve applicare il monogramma sul lato sinistro della camicia, quello dove ci sono i botton, e nello specifico tra il quinto e il sesto bottone contando dall’alto. Questo perché in origine le iniziali non dovevano essere visibili se si indossava la giacca. Invece, se la camicia è quella da smoking, le iniziali vanno a lato della pettorina. Al giorno d’oggi però, si possono posizionare anche in altri posti, per esempio sul colletto, oppure sui polsini o ancora sul taschino, è una scelta di certo più moderna e informale. 

Il carattere delle lettere

Le lettere delle iniziali sulla camicia possono essere sia in stampatello maiuscolo che in corsivo minuscolo, che è una scelta anche in questo caso, meno formale della prima. La scelta è appannaggio del mero gusto estetico, anche perché alcune lettere risultano più fini ed eleganti in uno dei due caratteri. Per chi preferisce attenersi alla classicità, esiste anche la scelta dei caratteri ombreggiati, dove la lettera viene ricamata con un filo bianco e poi ripassata in alcuni punti con il blu per simulare appunto l’ombreggiatura.

Il colore delle lettere

Per le camicie da utilizzare tutti i giorni, azzurre o a ricche, il colore più usato è il blu, anche se in diverse sfumature; per un contrasto meno evidente si può optare per un azzurro o comunque un tono su tono. Per le camicie più eleganti, invece, sarebbe meglio virare sul grigio.

Infine, se la camicia è sportiva e informale, ci si può sbizzarrire e dare libero sfogo al proprio estro e personalità.

Pelle grassa uomo: come curarla in maniera efficace

Avere una pelle sana ed equilibrata non è solo un cruccio di vanità, ma un’attenzione che possono e dovrebbero permettersi anche gli uomini.

La pelle ci dice molto sullo stato di salute del nostro corpo, e prendersi cura di lei è un atto di amore nei confronti di noi stessi.

Oggi vediamo come curare in maniera efficace la pelle grassa uomo.

Come riconoscere la pelle grassa

Solitamente la pelle grassa si riconosce in quanto caratterizzata da una produzione eccessiva di sebo, che la rende lucida e che provoca la dilatazione dei pori epiteliali e l’insorgere di imperfezioni cutanee, come brufoli e punti neri. Spesso la pelle grassa ha un colorito spento e non uniforme, e al tatto risulta ruvida a causa proprio delle imperfezioni.

Cause della pelle grassa

Solitamente quando la pelle è troppo grassa (o troppo secca) si è in presenza di un disequilibrio. Ci sono dei fattori comuni che contribuiscono a questa alterazione e solitamente sono: stress, inquinamento, fumo, alimentazione e flussi ormonali.

Come curare e prevenire la pelle grassa

Sappiamo che molti uomini sono restii alla skin care, ma i consigli che stiamo per darvi sono davvero semplici da seguire. Innanzitutto c’è bisogno di riequilibrare la produzione di sebo, dopodichè si devono scegliere i prodotti adatti e gli step giusti da seguire.

Detersione

La detersione è importantissima per aiutare la pelle a risplendere. Spesso se non si utilizzano i prodotti giusti o non si eseguono le giuste accortezze per questo motivo, la situazione può addirittura peggiorare. Per prima cosa quindi accertatevi di detergere molto bene la pelle per due volte al giorno, utilizzando un prodotto spumoso o specifico per pelli grasse. Una volta presa la giusta dose di prodotto, massaggiate con movimenti circolari la pelle per qualche minuto e poi risciacquate. Usate poi un asciugamano pulito, che userete solo per il viso.

Purificazione

Per pulire a fondo la pelle e combattere le impurità, c’è bisogno di eseguire scrub ed esfoliazioni circa una volta alla settimana, scegliendo sempre tra i prodotti specifici. Lo scrub, è una crema o un gel con dei microgranuli che agiscono in profondità per liberare i pori da sebo e agenti inquinanti. Mentre il peeling va applicato e lasciato agire per qualche minuto, infine risciacquare, la sua funzione è quella di eliminare le cellule morte.

Per i più audaci, o più vanitosi, una volta o due a settimana i può scegliere di fare una maschera a base di argilla, un vero toccasana per la pelle grassa e i risultati non tarderanno ad arrivare.

Infine, concedetevi ad ogni cambio di stagione una pulizia del viso professionale.

Brand alert: Gucci Ouverture of Something that Never Ended

Si chiama OUVERTURE of Something that Never Ended’ la nuova collezione Gucci che verrà presentata dal direttore creativo Alessandro Michele attraverso l’omonima mini-serie in sette episodi al Guccifest, il nuovo ed innovativo festival di moda e cinema digitale in previsione dal 16 al 22 novembre


La web-series è stata girata a Roma, in sette puntate, e ha come protagonista Silvia Calderoni, artista e performer che in diversi scenari della città si trova alle prese con una routine quotidiana surreale, mentre incontra diversi talenti e amici della Maison fra cui: Paul B. Preciado, Achille Bonito Oliva, Billie Eilish, Darius Khonsary, Lu Han, Jeremy O. Harris, Ariana Papademetropoulos, Arlo Parks, Harry Styles, Sasha Waltz e Florence Welch. 

La presentazione della collezione sarà una nuova narrazione gioiosa e a cadenza irregolare, non più legata ai vincoli di stagionalità, ma più vicina alla sua vocazione espressiva e raccontata fondendo regole e generi, nutrendosi di nuovi spazi, codici linguistici e piattaforme di comunicazione, come ha anticipato lo stesso direttore creativo Alessandro Michele

I sette episodi verranno trasmessi quotidianamente nel corso del festival in esclusiva su YouTube Fashion, Weibo, Gucci YouTube e inseriti nel sito dedicato GucciFest.com, rivelando gradualmente la nuova collezione giorno per giorno. Guccifest però é anche una piattaforma dove sarà possibile ammirare le collezioni di quindici designer emergenti indipendenti selezionati dal direttore creativo della Maison, attraverso dei fashion film. I protagonisti sono: Ahluwalia, Shanel Campbell, Stefan Cooke, Cormio, Charles De Vilmorin, JordanLuca, Mowalola, Yueqi Qi, Rave Review, Gui Rosa, Rui, Bianca Saunders, Collina Strada, Boramy Viguier e Gareth Wrighton. 

Detox dai social? Possibile, se sai dove andare

Da poche settimane il docufilm “The Social Dilemma” firmato da Jeff Orlowski su Netflix è diventato virale. Il documentario cerca di disegnare con un punto di vista etico-sociale la iper-digitalizzazione in cui viviamo e che ci spinge e costringe a stare in simbiosi con i nostri smartphone che lampeggiano in continuazione segnalando continue notifiche in arrivo dai social. Il film sottolinea come oggi più che mai abbiamo un forte bisogno di metterci in modalità aereo e staccare del tutto, almeno per qualche giorno, da questa digital-life. Basta like, tag, regram: è ora di staccare la spina e dedicarsi davvero a noi stessi. Come?

Una delle risposte potrebbe essere qualche giorno da spendere in Alto Adige. Con una temperatura ancora mite, colori autunnali e profumo di montagna, questa destinazione offre ai suoi ospiti meravigliose strutture nel cuore delle Dolomiti: un equilibro perfetto che vi farà dimenticare di aver portato il telefono con voi. Ecco di seguito 3 idee interessanti per un digital detox completo.

Weekend romantico con alpaca nel giardino del Mi Chalet nel cuore dell’Alta Badia

Il Mi Chalet è la soluzione ideale per scacciare via le notifiche dalla testa e goderci il nostro/la nostra partner in completo relax. Tra i meravigliosi alpaca, una sauna interna, una esterna e un’idromassaggio che affaccia sulle dolomiti, lo chalet si presenta unico nel suo genere presso la località La Villa. Non solo animali particolari e paesaggi mozzafiato: all’interno dello chalet la coppia può gustare le prelibatezze del Sud-Tirol preparate da una chef a domicilio pronta a cucinare le peculiarità con prodotti locali a qualsiasi ora del giorno. Ricevere il buongiorno da animali dolci e teneri è finalmente possibile, anche a 1600 metri di altitudine: nello chalet vive una famiglia di alpaca addestrata nel migliore dei modi che pascolano nel giardino a tutte le ore del giorno, diventando i veri protagonisti della struttura.


Detox nella Forest Sauna delle Josef Mountain di Avelengo

Si tratta di un detox vero e proprio. Costruito in legno su tre piani, “Josef Mountain Resort” permette di risvegliarsi letteralmente nel bosco che si unisce alla struttura grazie ad una passerella pedonale. Nell’hotel si trovano due sale ispirate ai 4 elementi naturali (Acqua & Cristalli, Fuoco & Legno), un percorso Kneipp ed una magica sky terrazza. Per non farsi mancare nulla, quest’ultima è caratterizzata da una piscina riscaldata che permette agli ospiti di “nuotare nel bosco”. Il resort offre anche percorsi sensoriali outdoor da percorrere a piedi scalzi che assieme a rituali rigeneranti regalano un’esperienza unica a “tu per tu” con la natura.


Spa con vista sulle montagne nella Suite Deluxe dell’hotel Lamm di Casterlotto

Un alp-detox da svolgere su lettini di cirmolo nella spa lounge sulla terrazza e un mozzafiato rooftop sky pool, saune finlandesi e bagno turco, la struttura è ideale per ritrovare un punto di incontro tra anima e corpo. Per un relax più esclusivo con l’offerta “Travel safe – Schlern Suite Deluxe con mini spa” si può prenotare notte (ma si può anche prolungare il soggiorno) con aperitivo di benvenuto in camera, ricca colazione con un’ampia selezione di prodotti di qualità altoatesini, cena a più portate cucinata dallo chef Marc Oberhofer, mobilcard “Ferienregion Seiser ALM LIVE” per l’uso gratuito del trasporto pubblico, borsa wellness ma soprattutto un’area benessere privata e sicura in camera e sulla terrazza per rilassarsi indisturbati godendo del meraviglioso panorama.

Nuove frontiere del benessere: SHA Wellness Clinic celebra 12 anni

Un’esperienza che cambia la vita: questo il motto di SHA Wellness Clinic, realtà riconosciuta a livello internazionale, che quest’anno compie l’importante traguardo dei 12 anni. Qui la salute è intesa come stato ottimale di benessere fisico, mentale e spirituale, in armonia con l’ambiente e con una ritrovata vitalità. Non a caso la stessa clinica si trova in una vera oasi naturale tra montagne e mare, vicino alla baia di Altea (nella regione di Valencia e vicino ad Alicante) che si affaccia sul Mar Mediterraneo e sul Parco Naturale della Sierra Helada, riserva marina di straordinaria bellezza.


Quello di SHA è un metodo davvero all’avanguardia in cui si utilizzano strumenti evoluti per diagnosi e rilevazioni bioenergetiche al fine di capire e prevenire i meccanismi di invecchiamento. Una sintesi tra medicina occidentale e orientale, tra discipline antichissime (come l’agopuntura) e ultimi ritrovati della medicina anti-aging, rigenerativa, bioenergetica, fino ai trattamenti estetici più innovativi. Vera forza di SHA è il team di specialisti nelle diverse discipline che guardano però alla persona in modo olistico e non specialistico. L’assunto di partenza è che lo stile di vita e l’alimentazione, insieme alla genetica, danno forma alla nostra salute e al nostro benessere. Il Metodo SHA integra le terapie naturali più efficaci con un’alimentazione altamente terapeutica, senza trascurare gli ultimi progressi della medicina occidentale, in particolare della medicina genetica. La fusione coordinata e controllata di queste discipline aumenta in modo significativo l’impatto positivo che ciascuna di esse avrebbe individualmente.

E per garantire il massimo risultato per ogni ospite è sviluppato un piano terapeutico personalizzato, che include terapie naturali e mediche, insieme a un menu pensato ad hoc dal ristorante SHAMADI. Sono ben 14 i programmi sanitari proposti, ognuno dei quali può soddisfare le esigenze e gli obiettivi personali di ogni singolo cliente. A SHA si può sperimentare lo shiatsu, l’agopuntura, la riflessologia fino alla crioterapia, che riattiva metabolismo e sistema immunitario. Alle pratiche di mindfulness e pranayama può seguire una seduta di neuro-feedback e stimolazione cognitiva con macchinari futuristici frutto delle ricerche di Harward per mantenere giovane anche la mente. Si valutano i livelli di stress, le capacità cognitive, la memoria, ma anche la capacità di gestione dell’ansia, con relativi esercizi per migliorarli. In questa clinica si riesce a ritrovare la connessione fra corpo e mente per migliorare la qualità di vita. E soprattutto si riesce a capire come portare tutto questo nella propria vita quotidiana al rientro a casa!



Questa è la filosofia di SHA: trasformare le vite delle persone. E questo è stato il punto di partenza per Alfredo Bataller Parietti, Founder di SHA,  che soffriva lui stesso di problemi di salute. Dopo aver ricevuto una diagnosi preoccupante, ha avuto la fortuna di conoscere un medico esperto in nutrizione e terapie naturali, che gli ha permesso di ritrovare la sua salute attraverso il potere curativo di un’alimentazione sana combinata a delle terapie naturali. Così ha deciso di condividere questa preziosa conoscenza, avviando un progetto unico nel suo genere, insieme alla sua famiglia. E’ nato un vero e proprio metodo SHA che fonde le antiche discipline con le più recenti scoperte della medicina occidentale, grazie alla supervisione di esperti di fama internazionale, come Michio Kushi, considerato il padre della macrobiotica, che nel 1995 è stato anche nominato Presidente dell’Organizzazione Mondiale di Medicina Naturale. Racconta lo stesso Bataller Parietti, Presidente e Fondatore di SHA: Ho deciso di combinare le più efficaci terapie occidentali e orientali insieme a uno speciale tipo di alimentazione sana e ricca di energia all’interno di un’ambiente sostenibile e confortevole. E sono riuscito anche a inglobare in tutto questo le più recenti scoperte della medicina. Questa utopia è SHA, che non solo ha ricevuto oltre 60 prestigiosi riconoscimenti grazie a un team incredibile di professionisti, ma ha soprattutto cambiato la vita di oltre 50.000 persone”.



Il metodo si basa su 8 aree principali: alimentazione sana, terapie naturali, medicina preventiva e rigenerativa, dermoestetica avanzata, stimolazione cognitiva e salute emotiva, benessere ed equilibrio interiore, fitness e apprendimento di nuove abitudini sane attraverso la Healthy Living Academy. Tutti questi fattori combinati consentono di migliorare e aumentare la salute fisica, mentale e spirituale con un approccio olistico e integrativo. Il detox parte dal cibo con il ristorante SHAMADI all’interno di SHA e The Chef’s Studio, dove si studiano piatti gourmet  che eliminano carboidrati raffinati, zuccheri, proteine e latticini a favore di ingredienti stagionali e biologici, dai cereali non raffinati (avena, miglio, riso integrale) legumi, soia, tofu, verdure e molte alghe, blu, brune e rosse, dal Giappone e dai Mari del Nord, nuova frontiera proteica vegetale, nonché oggetto di studio della nutrigenomica in tema di cibi che favoriscono la longevità. SHAMADI propone una cucina fusion in equilibrio fra tradizioni del mediterraneo e quelle orientali. Per ogni ospite viene inoltre studiato un piano personalizzato sulla base dello screening medico e degli obiettivi che si vogliono raggiungere. L’idea non è solo che gli ospiti acquisiscano nuove abitudini nutrizionali, ma anche che imparino a godere pienamente e consapevolmente del cibo per proseguire poi a casa questo stile di vita.

E in questi momenti dove si parla tanto di cura delle malattie, SHA vuole prendersi cura della salute attraverso la prevenzione. Da qui l’importanza che la clinica attribuisce alla medicina preventiva e il motivo per cui sin dall’inizio SHA ha concentrato gli sforzi sulla ricerca delle migliori tecnologie e terapie per rafforzare il sistema immunitario. Un sistema immunitario forte è fondamentale per combattere i virus. In questo senso SHA ha creato un programma specifico incentrato sul rafforzamento del sistema immunitario, per ripristinare e stimolare le difese naturali del nostro corpo al fine di combattere efficacemente qualsiasi aggressione esterna. E sempre in questo filone è l’area Healthy Aging & Preventive Medicine che vuole rallentare il processo di degenerazione cellulare e riattivare il potenziale di salute di ogni persona. Altro fiore all’occhiello della clinica è tutta la parte neurologica guidata dal Dott. Bruno Ribeiro in cui si possono combattere anche i più gravi stati di stress e ansia, massimizzare le nostre capacità cognitive e promuovere le nostre forze intellettuali. “Si parte con una valutazione cognitiva iniziale e alcuni test, come il neurofeedback, per capire il livello di stress, il quadro generale e l’andamento delle onde del cervello per sondare cosa non funziona e cosa andrebbe modificato. Grazie a tecnologie co-sviluppate dalla NASA e dalla Harvard Medical School, come la Photobiomodulation e Transcranal Current Stimulation (TCS) siamo in grado di ottenere risultati importanti sia nello stimolare specifiche aree e funzioni del cervello per migliorare performance fisiche e mentali, sia di alleviare malattie e patologie, come nei casi di Alzheimer e Parkinson” raccconta il neurologo Dott. Ribeiro.  SHA non è la solita SPA (dove pure non mancano i numerosi trattamenti viso e corpo), ma una destinazione dove ritrovare e imparare a coltivare la salute fisica ed emotiva.

Siamo tutti sulla stessa arca: il libro della Genesi secondo Diego Passoni

Diego Passoni è un’artista a 360°, tra radio, televisione, danza e scrittura. Prima della notorietà con il grande pubblico però, ha una storia di giovane frequentatore di oratorio, poi educatore e ancora in prova in una comunità religiosa. In quegli anni di Bibbia ne legge un bel po’ e con il tempo realizza che il libro più venduto al mondo (e meno letto) non dà risposte, ma suscita in noi un sacco di domande. Perché chi l’ha scritta voleva donarci l’opportunità di trovare la verità.

Probabilmente nessuno, prima d’ora, aveva suggerito la lettura del primo libro della Genesi per mettere ordine nelle nostre vite. Noi ci siamo messi alla prova e l’abbiamo letta insieme a lui. Chi vuole accettare la sfida?

Ph: Pietro Baroni



Chi è Diego Passoni? Cosa diresti a quei lettori che ancora non ti conoscono?

Sono un uomo che ha avuto molte vite, e non vede l’ora di scoprire quale sarà la prossima. Sono stato frate e poi ballerino in televisione, faccio radio da tanti anni, ho un marito e sono della vergine. Sto seguendo il fil rouge che tiene insieme tutti questi mondi, vediamo dove mi porta.

È appena uscito il tuo nuovo libro, da dove nasce l’ispirazione per questo progetto?

Nello scorso lockdown ho sentito la necessità di tornare un po’ alle radici, al senso delle cose, e così ho riletto per l’ennesima volta un libro a me molto caro, la Genesi. Il primo libro della Bibbia è conosciuto da tutti, ma più per sentito dire. Difficilmente viene letto, perché ci hanno fatto credere sia inaccessibile, comprensibile solo dopo anni di studi. Invece chi lo ha scritto voleva parlare a tutti. Anzi, questi racconti erano inizialmente orali, quindi diretti a persone analfabete. Non serve essere istruiti per capire. I racconti antichi hanno una sapienza alla portata di tutti coloro che sono in ascolto e in ricerca. Non ci sono risposte preconfezionate. Tutt’altro! Leggendo sono le domande che sorgono in noi ad essere importanti. 

Per me la Genesi è il ritratto più amorevole e vero mai scritto sul cuore dell’essere umano. Altro che Freud!

In questo momento storico siamo davvero tutti sulla stessa arca?

Siamo SEMPRE sulla stessa arca, che è questo pianeta bellissimo e fragile. Le convenzioni umane nella storia hanno sempre cercato di creare realtà diverse, in cui vigessero leggi diverse da quelle del mondo in cui viviamo. C’è qualcuno di più alieno alla vita naturale di noi cittadini urbanizzati, che non sapremmo distinguere un bacca buona da una velenosa, che mangiamo animali di cui non conosciamo  minimamente il ciclo vitale o l’ambiente ideale (chi di noi sa quanto vive una gallina in natura?). La nostra unica arca può essere un paradiso  se collaboriamo, se ce ne occupiamo e ci occupiamo gli uni degli altri.

Chi leggerà il libro potrà trovare molti spunti di riflessione anche su come affrontare l’imminente lockdown, tu con quale spirito ti approcci a questo periodo?

La Genesi scommette su una realtà che può sembrare dura. Noi siamo, tutti, esattamente dove dovremmo essere. Piangersi addosso non serve. Questo è il Nostro Tempo, e tutto quello che ci serve è già a nostra disposizione. Dipende tutto dalla nostra capacità di cercare il senso ultimo delle cose che ci accadono. Il Dio della Genesi, a differenza delle altre divinità di quei tempi, non vuole essere implorato per scongiurare il male. Ci dice che non ci sono preghiere da recitare o candele da accendere per avere successo, felicità, salute. Dice qualcosa di molto rivoluzionario tanto per la mentalità di allora, quanto per quella di oggi:Io sarò con te sempre. Ovunque tu dovrai andare. E dove ti sembrerà di non trovare una via, io ti aiuterò a trovarla.

Una delle parole chiave nel testo è gratitudine. Un sentimento dimenticato al giorno d’oggi?

Dopo aver creato l’intero universo, è scritto che DIo si riposò il settimo giorno, il sabato. Un giorno creato apposta per noi, per riposarci e contemplare la meraviglia in cui esistiamo, e ricordarci che per quanto il nostro lavoro può fruttare molto, noi non siamo che un soffio di vita, e quindi tutto, ma proprio tutto è un dono.

Come completeresti il detto : quando il gioco si fa duro…?

..respira e non farti intimorire dalle apparenze. 

Se dovessi fuggire di casa in poco tempo cosa porteresti assolutamente con te?

Solo mio marito. Non sono attaccato a nulla.

Un posto lontano (o vicino) in cui andrai quando saremo usciti dalla pandemia? 

Tel Aviv.

#mitparade Tre capispalla iconici dell’outdoor conquistano la città

Sono stati creati per resistere alle condizioni climatiche più avverse e hanno attraversato alcuni dei luoghi più suggestivi del nostro pianeta, sulle spalle di grandi reporter ed esploratori. Il fascino di chi ha assistito alla maestosità e al suono dei ghiacciai, di chi ha raggiunto vette inaccessibili ai più e giungle pluviali quasi vergini, ha creato un vero mito che ruota attorno a certi capi carichi di un’identità che resiste al tempo, pilastri dell’outdoor da decenni.

The North Face è una delle aziende che punta sul proprio heritage, con un capo intramontabile, lanciato per la prima volta insieme all’iconica Himalayan Suit, si tratta 1994 Retro Himalayan Parka, pensato per racchiudere le caratteristiche tecniche ideali per affrontare le condizioni più estreme in una versione più facile da indossare. Dopo aver attraversato i paesaggi mozzafiato dall’Antartide, all’Everest al Kakakorum, si adattano allo spirito di metropoli come Berlino, Londra e Milano, mantenendo le loro caratteristiche tecniche affidabili in ogni circostanza.

Questa nuova versione (in cover) è stata realizzata integrando la rivoluzionaria tecnologia Futurelight™ che si avvale dell’interazione traspirabilità ed impermeabilità, portando questo capo spalla ad un livello superiore, mentre l’imbottitura a 700 fill in piuma d’oca certificata garantisce il massimo del calore per affrontare il più rigido degli inverni.

Una delle giacche ipertecniche che hanno contribuito al successo di Cp Company è la Metropolis, punta di diamante della collezione Urban Protection, caposaldo nella storia del marchio.
Con la sua maschera facciale antismog removibile e un pratico sistema multitasche, ritorna un capo polivalente e contemporaneo e s’inserisce nella Next Landscape Collection, pensata dal designer Pau Harvey. La sua visione futuristica dell’assetto urbano viene contaminato armoniosamente dalla natura che si riprende il suo spazio e convive con le strutture create dall’uomo, all’interno di un nuovo concetto di architettura “viva” che muta il paesaggio urbano.
Materiali d’alta gamma e prestazioni vanno a comporre gli elementi di questa preziosa edizione, come Dyneema, GoreTex Xenia, Infinium e Taylon oltre ai classici tessuti di cui il brand è proprietario come il Pro-Tek e il C.P. Shell.

Anche il rivenditore inglese END. e il brand di abbigliamento per l’outdoor Columbia si sono lasciati ispirare dall’archivio storico del brand statunitense. Una collezione di 17 pezzi, nata dal recupero dei pezzi più iconici dei grandi archivi Columbia, reinterpretando patterns anni ’70 e ’80 e applicandoli ai consueti modelli del leggendario brand leader nel panorama dell’outdoor. 

Un’esplosione di colori ispirata alla terra e alla natura dell’Inghilterra settentrionale e del Pacifico nord-occidentale di Portland fanno da trait d’union per celebrare lo stile Columbia negli esemplari Monashee Anorak, Santa Ana Anorak e Powder Keg Fleece.

Il pezzo forte di questa straordinaria collaborazione è Powder Keg IC Parka, un autentico parka 4 in 1 caratterizzato da una giacca esterna in nylon impermeabile con una fodera in sherpa reversibile stampata. Modello dotato, inoltre, della tecnologia Omni-Tech: tasche per mani e pettorali con cerniera, polsini regolabili e un sistema di interscambio a 3 punti con cerniera. Completa il tour in questa partnership dall’intesa vincente la linea, da pochissimi giorni online, dal nome evocativo Lakeside, composta da un assortimento di capi in jersey con doppio logo e accessori funzionali.

Columbia


Record di Kraler a Bolzano: apre il nuovo store solo per 1 giorno

Il nuovo negozio di Franz Kraler di Bolzano ha già il suo record, forse mondiale: è stato aperto un solo giorno, ieri, per altro senza feste e inaugurazioni. Da oggi, per l’ordinanza contro la pandemia, sono chiuse le saracinesche di via Leonardo da Vinci, che erano state alzate solo ieri mattina e sarà così fino al 22 novembre.



Ma Daniela Kraler è comunque positiva e ottimista. «Ci abbiamo pensato tanto prima di chiudere l’outlet Alexander’s e aprire un vero e proprio negozio Franz Kraler. Abbiamo lavorato tutta l’estate, per rifare gli interni, anche se gli interventi degli architetti Marastoni sono stati sobri e delicati. Per fortuna ci sono venute incontro anche tutte le ditte che ci riforniscono, le quali ci hanno fatto avere la merce senza dei veri e propri ordini. Abbiamo saputo il giorno prima che il giorno dopo avremmo chiuso, ma l’abbiamo aperto lo stesso e l’abbiamo presa con filosofia. Sul momento mi è venuto un colpo al cuore, dopo tutto il lavoro fatto, i tanti progetti, le speranze, ma abbiamo pensato che valeva la pena aprire anche se per un solo giorno. Per noi era importante dare un messaggio alla gente e alla città: bisogna reagire, bisogna combattere, bisogna rimboccarsi le maniche e credere in quello che ci fa. E non dobbiamo lasciarci abbattere. Era da tanto che pensavamo di aprire anche qui il nostro negozio, in una città e non solo nei luoghi di villeggiatura. È stata una scommessa e dovremo aspettare un po’ per sapere se l’abbiamo vinta. Ma non dobbiamo lasciarci prendere dalla depressione, anche se è una situazione straziante. Io sono positiva, innamorata del mio lavoro e lo faccio con passione e cerco di reagire alle delusioni e ai momenti di sconforto. Non sono triste o delusa, cerco di trovare la forza dentro di me. Accetto e rispetto le re-gole perché sono fatte per difenderci, non per danneggiarci. Sono previste delle proteste anche a Bolzano, ma io non ci prenderò mai parte».



Anche Daniela Kraler, come buona parte della popolazione sarà costretta a lavorare da casa. Cos’è cambiato nel mondo della moda?

DK: «È cambiato tutto, ma non tutto in peggio. Non si fanno più sfilate e fashion week, non corriamo più come trottole in giro per il mondo. Si fanno acquisti più mirati, le stagioni sono molto più lunghe. Si lavora da casa, in tele-conferenza. Il clima è più rilassato e vengono le idee migliori. È cambiata anche la moda, che è diventata molto più portabile. Adesso va l’abbigliamento comodo e pratico, quasi da sport, da tenere in casa e quando si esce. Anche il lusso fa i conti con la crisi, che non è solo economica, ma anche sanitaria, psicologica, una crisi che mette in dubbio tutte le nostre certezze. Noi vogliamo dare un segnale positivo di speranza: prima o poi tutto questo finirà, riprenderemo in mano la nostra vita, si spera prima possibile se rispetteremo tutti le regole. Anche noi ne usciremo diversi. Forse migliori. Daremo il giusto valore alle cose. E ultimamente ci siamo lasciati prendere un po’ troppo la mano, sopravvalutando cose che in questo momento ci appaiono poco importanti o viceversa dando poco valore a cose che sono invece importanti». 

Editorial: Spirit Keeper

Fashion Editor & Stylist – Francesco Vavallo @francesco_vavallo

Photographer – Stefano Sciuto @stefanosciutophoto

Grooming – Martina Russo @martinarussow

Ass. Stylist – Renato Ninfole @renatoninfole

Ass. Ph – Nicolò Martinazzi @nicolomartinazziphoto

Location – [HOHM] STREET YOGA @hohmstreetyoga

Models – GAYE @gaye_sero @bravemodels
                  MAAL @maal.azyz @bravemodels
                  CHRIS @yuchehsu1219 @bravemodels
                  TYRONE @tyronesmithers @ww_mgmt

Special thanks: Vincenzo Lamberti, [hohm] street yoga

Corpo, mente e spirito, in unione attraverso lo Yoga. Quando si pensa a vivere bene con se stessi pensiamo a stare in pace con tutto ciò che ci circonda, eliminando lo stress, migliorando il nostro corpo ma soprattutto essere felici e in armonia con noi stessi. Ritrovandoci in una casa isolati abbiamo capito che non c’è cosa più importante che prendersi cura del proprio io in equilibrio tra corpo e mente.
Lo Yoga è una pratica che sollecita la consapevolezza del nostro corpo, deviando le distrazioni esterne ed interne, ricercando un punto di congiunzione per la serenità, anche mentale. Secondo lo yoga, ognuno di noi è composto da un corpo fisico e uno energetico, invisibile, che coordina le nostre attività intellettuali e spirituali. Per questo servizio abbiamo quindi scelto non una semplice location, ma [hohm] street yoga, una scuola che da oltre 10 anni si dedica allo studio e all’insegnamento dello yoga in modo a-dogmatico, con un’offerta che spazia dal vinyasa allo yin e al restorative, e rivolge la sua attenzione tanto agli aspetti sottili e tradizionali della disciplina, fra cui il pranayama, quanto a una più moderna ricerca, come l’introduzione in Italia del metodo Katonah yoga. Fondata da Marco Migliavacca e Giovanna De Paulis, [hohm] street yoga affianca classi multilivello a percorsi pensati appositamente per i principianti, e di recente si è aperta anche a persone con disabilità o semplici difficoltà motorie, proponendo lezioni di yoga adattivo. Un centro dove approfondire lo studio dello yoga e portare la propria pratica a un nuovo livello di consapevolezza, anche tramite ritiri e laboratori con insegnanti italiani e internazionali.

[hohm] street yoga è presente a Milano con due sedi, viale Tunisia 38 e via Solari 19.


“SPIRIT KEEPER” è la ricerca costante della serenità.




GAYE wearing total outfit Marco De Vincenzo
MAAL wearing total outfit MARNI

Pelle sensibile post rasatura: i prodotti giusti

Nella cura della barba o nel gesto della rasatura, il rasoio è essenziale, ma anche la schiuma da barba non è da meno. Per chi preferisce ancora la lametta e un grooming casalingo, scegliere la schiuma da barba giusta risulta fondamentale. Il prodotto corretto dovrebbe essere delicato, anti-rossore e idratante. Allo stesso tempo, anche il rasoio elettrico deve rispondere alle esigenze della pelle delicata. Qui di seguito, alcuni spunti tra cui scegliere.




Womo Easy Shave Foam – Womo

Formulata con ingredienti naturali, dalla consistenza morbida, soffice e compatta, questa schiuma da barba è perfetta per tutti coloro che hanno una cute molto sensibile e soggetta ad irritazioni. La sua formulazione vanta di numerosi benefici derivanti dall’aloe, i quali donano sollievo immediato alla pelle irritata, potenziati dalle proprietà emollienti del burro di karitè e da quelle rinfrescanti ed antisettiche del mentolo.

Gel da barba emolliente – Davines

Il rituale della rasatura prosegue con il delicato gel da barba emolliente della linea Pasta & Love di Davines, caratterizzato da una texture molto densa, ideale per una rasatura veloce ma anche per un approccio di rifinitura. La sua formulazione si contraddistingue per la presenza di tensioattivi delicati, arricchita con estratto biologico certificato di alchechengi, molto apprezzato per le sue qualità estetiche e nutritive.

Linea protettiva – Proraso

Una nuova gamma di super formule, studiate ad hoc per soddisfare tutte le esigenze di performance e di comfort durante la rasatura. Arricchita di estratti naturali, succo di Aloe e Vitamina E, idrata i peli della barba e protegge la pelle dall’azione del rasoio. 



Series 6 – Braun

Un rasoio elettrico 100% impermeabile e dal manico ergonomico, ideale per una rasatura profonda e delicata allo stesso tempo. Infatti, la sua testina di rasatura oscillante SensoFlex si adatta perfettamente ai contorni del viso e riduce al minimo la pressione sulla pelle. Lo shaver è stato dermatologicamente testato per assicurare delicatezza senza comprometterne la performance.

Regolabarba KCG – Gillette

Alimentato dalla tecnologia Braun e caratterizzato da 3 pettini intercambiabili e 11 diverse impostazioni di lunghezza. Facile da impugnare ed estremamente versatile, va incontro alle esigenze di tutti coloro che vogliono ottenere uno stile unico e definito e, al contempo, di chi preferisce la versatilità e la sperimentazione di nuovi stili di barba.



H2+O – Skinius

Una crema viso anti-aging con Fospidina è un alleato perfetto per idratazione quotidiana; dona infatti comfort immediato dopo la rasatura, anche a coloro che hanno una pelle particolarmente sensibile. Grazie alla texture delicata e leggera, idrata la cute in profondità, rendendola più levigata e luminosa; inoltre, contribuisce a prevenire i segni l’invecchiamento cutaneo.

Pro Age Comfort – Bioline Jatò

Questa crema viso, dalla formulazione 2 in 1 ricca di principi attivi quali mineral bioelements, man active complex e acido glicirretico, è ideale per lenire e distendere la pelle dopo la rasatura. Inoltre, grazie al suo potenziale anti-aging, previene ed interviene sui primi segni di invecchiamento cutaneo.

Il premio più importante dell’arte contemporanea, il Prix Marcel Duchamp 2020, va a KAPWANI KIWANGA

E’ stato annunciato il nome della vincitrice del Prix Marcel Duchamp 2020, il più prestigioso premio francese assegnato a un artista contemporaneo vivente: Kapwani Kiwanga.

Nata nel 1978, originaria di Hamilton, Canada, vive e lavora a Parigi. Formatasi in antropologia prima di entrare nelle arti visive, Kapwani Kiwanga adotta un approccio che assume la forma di installazioni, scultura, fotografia, video e performance.

L’artista utilizza metodi tratti dalle scienze sociali per destrutturare le narrazioni che alimentano la visione della sfera geo-politica contemporanea.

Flowers for Africa, presentato da Kapwani Kiwanga nell’ambito del Prix Marcel Duchamp 2020, è stato avviato nel 2013 durante un periodo di residenza in Senegal e rimane un progetto in corso. Questo lavoro ha un approccio storiografico: sulla base di ricerche iconografiche in archivi nazionali o agenzie fotografiche, l’artista si concentra sulla presenza dei fiori durante gli eventi diplomatici legati all’indipendenza delle nazioni africane. Posizionati sui tavoli delle trattative, sui podi durante i discorsi o utilizzati per adornare le sfilate cittadine, queste composizioni floreali diventano i testimoni di momenti storici cruciali. Per ogni mostra, Kapwani Kiwanga ricrea, nel modo più accurato possibile, gli allestimenti floreali raffigurati in queste immagini d’archivio. Destinati ad appassire nel corso della loro esposizione, questi fiori ci invitano a riflettere sul tempo e sulla storia, al di là del concetto di monumento e commemorazione, nella tradizione della Vanitas. La serie presentata è composta da 13 opere alle quali se ne sono aggiunte di nuove, esposte per la prima volta.

Flowers for Africa
Flowers for Africa

Kapwani Kiwanga ha studiato antropologia e religione comparata alla McGill University di Montreal, prima di entrare in un corso post-laurea presso la scuola di Belle Arti di Parigi. Il suo lavoro è stato esposto al MIT List Visual Arts Center, Cambridge; all’ Hammer Museum, Los Angeles; all’ Esker Foundation, Calgary; al Power Plant, Toronto; alla South London Gallery e alla Serpentine Gallery, Londra; al Jeu de Paume e al Centre Pompidou di Parigi e al MACBA, Barcelona. I suoi lavori sono inclusi nelle Collezioni del CNAP (French National Centre for Visual Arts), del Guggenheim, del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, della National Gallery of Canada, del MUSAC di Castilla y León e in numerosi FRAC (collezioni regionali).

Suo Relatore, il noto filosofo Emanuele Coccia, autore di La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, edito da Il Mulino.

Fino al 4 gennaio 2021, presso il Centre Pompidou, sarà possibile visitare il progetto Flowers for Africa, vincitore del Prix Marcel Duchamp 2020, unitamente ai lavori degli altri finalisti 2020. La collettiva è curata da Sophie Duplaix.

l’artista Kapwani Kiwanga

Con il coinvolgimento di oltre 400 collezionisti d’arte contemporanea, un vero ponte tra collezionisti privati, società sponsor e istituzioni pubbliche, la missione principale di ADIAF, l’Associazione per la Diffusione Internazionale dell’Arte Francese, è di contribuire alla promozione internazionale della scena artistica francese.

Fiore all’occhiello sin dalla sua creazione nel 2000, il Prix Marcel Duchamp è il più prestigioso premio francese assegnato a un artista contemporaneo vivente. Come Marcel Duchamp, custode dell’arte contemporanea francese, il Prix Marcel Duchamp riunisce con le sue nomination gli artisti della scena francese più innovativi della loro generazione e incoraggia tutte le nuove forme artistiche.

In 20 anni, il Prix Marcel Duchamp ha premiato artisti che sono diventati figure essenziali della scena francese, come Thomas Hirschhorn, Dominique Gonzalez-Foerster, Mathieu Mercier, Tatiana Trouvé, Laurent Grasso, Daniel Dewar e Grégory Gicquel, Latifa Echakhch, Kader Attia, Clément Cogitore, rendendo l’ADIAF un’istituzione-chiave nella scena artistica contemporanea francese, sotto la guida del suo fondatore e Presidente Gilles Fuchs.

Creative Class: talking with Simon Foxton

Classe 1961, Simon Foxton è considerato uno dei creativi e stylist più influenti e visionari del panorama internazionale.  Dopo essersi laureato in fashion design al Central Saint Martins nel lontano 1983 e aver lanciato il suo marchio Bazooka, ha iniziato a lavorare per il magazine i-D e successivamente ha intrapreso una lunga collaborazione con Nick Knight, diventando poi direttore artistico del magazine.  Foxton è riuscito nel mescolare e far convergere in modo sperimentale l’abbigliamento sportivo, il tailoring, lo streetwear fino al fetish.  La sua estetica ha contribuito a delineare un nuovo immaginario e stile maschile.  In occasione dell’uscita del libro dedicato a Stone Island lo abbiamo intervistato parlando del suo percorso e delle prospettive future per la moda.

Qual’è stato il tuo percorso di studi e come hai scoperto la tua passione per la fotografia e la moda?

Simon Foxton:  Ho frequentato la Central Saint Martins School of Art tra il 1979 e il 1983 che ha rappresentato un periodo molto bello e intenso.  È stato il momento migliore nel quale essere giovane e frequentare una scuola d’arte, soprattutto a Londra!  Non credo di essere stato uno studente particolarmente diligente, ma mi sono fatto molti amici e con molti di essi sono ancora oggi particolarmente legato.  C’era molto da divertirsi, andavamo nelle discoteche e alle feste, è stato davvero fantastico.  Poi, mi è sempre piaciuto leggere attentamente le riviste e amavo le immagini, ma non avevo mai pensato di crearne di nuove.  Solo dopo aver lasciato l’università e aver iniziato a disegnare, mi sono reso conto di quanto fosse difficile e richiedesse tempo.  Successivamente, una mia cara amica, Caryn Franklin all’epoca Fashion Director di i-D, mi chiese se fossi interessato a fare un po’ di styling per il magazine.  Così ho provato e mi sono subito reso conto che sembrava la cosa adatta per me.  Mi è piaciuta la sua immediatezza.  C’era un’idea, c’erano i vestiti, li fotografavo ed era tutto immediato!  Basta con le ordinazioni di tessuti, i rapporti con I sarti, le consegne nei negozi, ecc.  Era una tale seccatura… Ho sempre preferito la via più semplice.

Vieni considerato come uno dei principali creatori di immagini della moda maschile.  Dove hai visto maggiori cambiamenti in questi ultimi anni?

Non sono certo di aver mai creato realmente “fashion looks”.  Sono un creatore di immagini da un po’ di tempo ormai, ma è solo perché sono in giro da molto tempo e non sono ancora deceduto.  Spesso mi viene posta questa domanda e non sono mai sicuro di come rispondere.  Credo che il più grande cambiamento sia la dimensione e la portata dell’industria della moda.  C’è un’enorme ricchezza investita in questo ambito che è diventato un ambiente di lavoro molto più rischioso.  All’inizio le cose erano molto più rilassate.  Quando facevo le riprese per le riviste, i crediti erano più un suggerimento che una necessità.  Siamo stati lasciati da soli a creare ciò che volevamo, non c’erano direttori artistici o dipartimenti commerciali a interferire.  È solo recentemente che mi sono reso conto di quanto sono stato fortunato a crescere fotografando in quel tipo di cultura.  Naturalmente non tutto era fantastico e alcuni dei lavori erano  auto-referenziati, ma il bello era che potevamo sperimentare e anche fallire.  Il fallimento è una parte cruciale del processo creativo.  Purtroppo questo non è più permesso in un mondo dove la moda si caratterizza con cospicui investimenti, forti competizioni e  e rigide organizzazioni.

Hai iniziato con la rivista i-D nel 1984.  Raccontaci alcune storie particolari sul tuo lavoro di allora e su come questa esperienza ha plasmato la tua vita professionale e privata.

Non credo di avere storie particolari da raccontare.  Non sono una persona particolarmente pazza o drammatica.  Penso che l’impatto più evidente sulla mia vita personale e professionale venga dalle persone che ho incontrato per lavoro.  Da quando ho incontrato e lavorato con Nick Knight subito dall’inizio, a quando ho chiesto a Edward Enninful di fare da modello per me e poi di diventare il mio assistente.  Allo stesso modo, ho fatto un casting per strada con Steve McQueen per un servizio fotografico su i-D e siamo diventati molto amici.  Inoltre, grazie ad un incontro con il fotografo Jason Evans, che stava facendo uno stage con Nick Knight, ho iniziato a lavorare insieme a lui a partire dal  1990.  Non posso dimenticare tutti gli altri meravigliosi assistenti che ho avuto nel corso degli anni, come Jonathan Kaye (ora a The Gentlewoman) o Elgar Johnson (a GQ Style), o Nick Griffiths con il quale ho ancora l’attività creativa &SON.  Ho lavorato con la meravigliosa Penny Martin di Showstudio che ora è l’editore di The Gentlewoman.  Sono ancora tutti amici molto cari e persone estremamente importanti nella mia vita.

Potresti selezionare 5 foto dalla tua home di Instagram che sono particolarmente importanti e significative per te e spiegarci il motivo?

Nick Knight -i-D magazine , 1986

Uno scatto davvero memorabile.  Lo abbiamo scattato di notte, girando fra le vie attorno a vecchi magazzini vicino al Tower Bridge.  Era completamente deserto, abbandonato.  Ora sono stati trasformati in veri e propri appartamenti e spazi di lavoro che costano milioni di sterline.  Il fuoco di fronte ai ragazzi, in realtá, è stato realizzato grazie a me che passavo davanti con un grande rastrello di metallo, avvolto in un pezzo di carta ed incendiato.  

Questo invece fa parte di uno shooting che io e Jason abbiamo scattato e che abbiamo chiamato “Strictly.”  L’abbiamo scattata fra stradine periferiche attorno a casa mia ad Ealing.  Al tempo, il modello era Edward e mi ha aiutato molto con il casting.  È stato molto divertente scattarlo e anche il feedback è stato positivo.

Jason Evans , i-D magazine 1991 .  Model – Edward Enninful .

Ben Dunbar-Brunton , i-D magazine 2009 

Ho sempre amato questo scatto del modello Dominique Hollington che ho fatto con Ben.  Molto semplice ma allo stesso tempo di grande effetto.  

Questa è la scena di un film che io e Nick abbiamo fatto per la mostra retrospettiva di Walter van Beirendonck’s ad Anversa.  Ho avuto accesso all’intero archivio di Walter e mi ha permesso di mixare le sue collezioni per creare dei look grintosi.  È stato davvero molto divertente.  

Questa é una sorta di foto del backstage che ho scattato in un set che Nick Knight ed io abbiamo chiamato Frillaz!  Ho vestito questi ragazzi dall’aspetto piuttosto duro con degli abiti a balze che ho trovato online, da un sito fetish per bambini adulti.  Li avevo preavvisati riguardo alle immagini che avrei voluto scattare, ma ero comunque piuttosto nervoso della reazione che avrebbero potuto avere.  Tuttavia, hanno reagito positivamente ed è stato fantastico.

Hai lavorato con una mente veramente creativa come Nick Knight.  Chi sono i fotografi/persone creative più stimolanti per te?

Nick Knight lo trovo ancora molto stimolante.  È molto creativo e una persona molto entusiasmante con cui lavorare.  Lavorare con Nick ti fa sentire sempre in mani sicure.  In un modo diverso, Jason Evans è un fotografo estremamente stimolante perché si interroga sulle cose, ti fa mettere in discussione te stesso.  Non in modo arrogante, piuttosto in un modo costruttivo per creare qualcosa di totalmente nuovo.  Infine, ho sempre ammirato il lavoro di Jean-Paul Goude e devo dire che amo le sue creazioni.

Com’è stato lavorare alla mostra “When you’re a boy”?

 Beh, è stata un’idea di Penny Martin.  L’ha curata e ha fatto tutto il duro lavoro per mettere insieme la mostra.  E’ stato molto emozionante avere una mostra dedicata esclusivamente al mio lavoro alla Photographer’s Gallery.  Non mi è piaciuto essere al centro dell’attenzione nelle serate di apertura, ecc.  Sono piuttosto inutile in tutte queste cose e preferisco stare più sullo sfondo.  Tuttavia, una volta che la mostra è stata allestita e ha preso vita, mi sono divertito molto anche io nel vederla, quasi come se guardassi il lavoro di qualcun altro.

Come sta cambiando il tuo lavoro durante questa pandemia globale?

Sto continuando a lavorare con Stone Island, ma siccome sono considerato nella categoria ad alto rischio mi sto auto-isolando.  Per questa ragione sto facendo la mia consulenza tramite la piattaforma Zoom, che è stata una manna dal cielo.  L’anno scorso ho rinunciato agli shooting per gli editoriali e al mio lavoro di insegnamento. 

Che tipo di relazione hai con i social network?

Sono spesso su Facebook solo per vedere cosa fanno gli amici o per guardare video insensati.  Sembra che Facebook sia ormai popolato solo da vecchi strambi  come me.  Non credo che i giovani lo usino più.  Instagram è divertente, ma anche in questo caso è piuttosto insensato.  Mi piace pubblicare le foto che scatto quando vedo qualcosa di notevole o bello, altrimenti non mi preoccupo.  Tutte quelle foto di cibo, o di bambini…  Datemi un po’ di tregua! 

 Ho usato Tumblr per anni e mi è piaciuto moltissimo, ma poi l’hanno rovinato con la loro posizione puritana antiporno che ha eliminato qualsiasi cosa anche solo vagamente spinta.  Ho chiuso il mio account e da allora non l’ho più usato.  Ho trasferito alcune immagini sul mio profilo Instagram “foxtonscrapbooks”, ma non è la stessa cosa ad essere sinceri.  Twitter lo uso per le notizie, questo è tutto.  Io non twitto.  Non ho mai avuto a che fare con tutto ciò in realtà.  Per quanto riguarda gli altri social reputo che siano per bambini e  quindi non mi interesso di loro.

Come hai lavorato al libro di Stone Island? E quale è stata la sfida nella realizzazione del libro?

Io e il mio partner di lavoro Nick Griffiths abbiamo lavorato con Stone Island per gli ultimi 12-13 anni.  Ci occupiamo della regia, del casting e delle riprese di tutte le campagne e di altre immagini fotografiche.  Nick realizza molte delle immagini in movimento per le loro piattaforme online.  Ci consultiamo anche con il team di design per dare un contributo alle collezioni, e siamo coinvolti in molti altri aspetti del marchio.  Sabina Rivetti di Stone Island mi ha contattato un paio di anni fa con l’idea di fare un libro.  Credo che all’epoca avesse già l’editore Eugene Rabkin e Rizzoli come publisher.  Il mio ruolo come direttore artistico era proprio quello di guidare il lavoro e fare in modo che rimanesse fedele al “linguaggio” di Stone Island.  Deve essere moderno, reale e con stile quasi industriale.  Niente di troppo appariscente o troppo progettato.  Ho scelto Rory McCartney come designer per il libro, perché abbiamo lavorato con lui all’ultimo, “Stone Island, Archivio” e in questo modo ha capito bene l’estetica di tutto il progetto.  Abbiamo passato molto tempo a cercare tra le masse di immagini per trovare foto che si sperava fossero interessanti e informative, ma che non erano già state utilizzate in altre pubblicazioni.  Abbiamo avuto l’assistenza di una meravigliosa ricercatrice fotografica, Sarah Cleaver, che ha fatto un lavoro straordinario.  Credo che la sfida principale sia stata quella di mantenere il linguaggio visivo pulito e spassionato del marchio, ma di produrre un libro che fosse interessante da vedere.  Speriamo di esserci riusciti.

Ci dica qualcosa sui suoi progetti futuri…  le piace ancora lavorare nella moda?

Al momento con il modo in cui va il mondo non ho fatto grandi progetti.  Prendo ogni giorno come viene.  Mi piace ancora molto lavorare con Stone Island, è un’azienda fantastica per cui lavorare, ma ad essere onesti, mi sono piuttosto disinnamorato della moda e delle riviste.  Ho smesso di girare editoriali di moda perché trovo i parametri che le riviste fissano e l’aderenza ai crediti che impongono sono troppo soffocanti.  Forse sto diventando troppo vecchio per tutto questo.  Vediamo cosa succede!

New faces: Dìgame

Digame (@basicdigame) è il nome d’arte di Giuseppe Mussolino, giovane cantautore classe 1998 forgiato nel rap che ama spaziare anche tra il pop, l’indie e il rap più “underground”. Il suo percorso comincia in tenera età con le prime poesie, da adolescente talentuoso scrive numerosi testi e nel 2018 si mostra al pubblico rilasciando i primi singoli. Tra la sua discografia ricordiamo: 10 Ottobre” in particolare e “Bende sugli Occhi”, il suo primo Album; questi fanno si che possa diventare uno degli artisti emergenti più chiacchierati della scena napoletana e Campana. Il 20 Marzo 2020 è il momento di “Margherita”, uscita in piena quarantena fa letteralmente impazzire il pubblico permettendogli di fare un passo in più tra i big della scena italiana e iniziando a far gola anche a diverse etichette e artisti. Il 23 Ottobre pubblica sotto la distribuzione di Artist First “Ho Fatto Un Sogno Strano”, brano che viene inserito subito nelle editoriali di Spotify in playlist come “Generazione z” e riscuotendo un ottimo risultato sin dai primi giorni di release. Come ci racconta lui stesso però, siamo solo all’inizio, i nuovi progetti sono molti quindi sarà il caso di prepararci a sentire parlare spesso di lui..


Come nasce la tua passione per la musica?

Mia madre ama la musica, e così da quando sono nato non mi ha lasciato mai un attimo senza. All’età di otto anni ho scritto la mia prima poesia in rime e col passare degli anni ho trasformato tutto in melodia: mi faceva stare bene. Nel 2018 ho pubblicato il mio primo singolo ed ho ottenuto moltissimi feedback positivi, così mi sono detto: “perché non continuare?”. Ormai siamo dentro.

Hai un nome d’arte molto particolare. Puoi raccontarci la sua storia?

Ricordo che quando scrissi il mio primo brano avevamo tutto pronto a parte il nome d’arte, erano giorni che cercavo di capire quale potesse fare al caso mio. Un martedì pomeriggio un mio amico mi scrisse un messaggio ed io invece di rispondergli ‘dimmi’ gli dissi ‘digame’, in spagnolo: a leggerlo mi resi conto che suonava bene. All’epoca non diedi molto peso al nome, perchè non vedevo l’ora di condividere il singolo coi miei amici, era l’unica cosa che avevo in testa. Mai mi sarei aspettato che le mie canzoni potessero avere successo e che il mio nome potesse assumere un’identità così forte, è stato fighissimo!

“Margherita”, è uscita in un periodo singolare per tutti, il lockdown. Per quale motivo hai scelto proprio quel momento?

Margherita è una canzone felice, un inno alla positivitá: la primavera torna per tutti, basta saper aspettare. Il singolo è uscito il 20 Marzo, giorno in cui arriva la primavera e nello specifico periodo in cui tutti noi eravamo in una fase critica a causa della pandemia. Mi auguro di aver portato il sorriso a tutti in un momento ‘no’, ed in parte sono sicuro sia giá successo.

Un cantante a cui ti ispiri o che ti influenza?

Ad essere sincero non sento di essere influenzato da qualcuno in particolare, ascolto musica da quando sono piccolo e non mi sono mai chiuso in una bolla soffermandomi su uno o due generi in particolare. Ultimamente sto ascoltando tanto rap italiano, da Lazza a Tha Supreme, da Marra a Dani Faiv: mi mantengo aggiornato circa tutte le ultime uscite.

Che rapporto hai con i social e con la tua community?

Con i social ho un ottimo rapporto: mi piace mostrare il 100% di me e non ho peli sulla lingua. Chi mi segue lo sa, ci tengo a costruire un rapporto col mio pubblico, gli devo tutto! 

Quali sono i capi che non possono mai mancare nel tuo guardaroba?

Sicuramente Nike non manca mai. Amo le scarpe, quest’anno ho fatto il pieno del modello Jordan 1.

Il 23 Ottobre è uscito il tuo ultimo brano “Ho fatto un sogno strano”, ora quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Abbiamo tantissimi progetti in cantiere, testa bassa e lavorare. Presto ci saranno novità inaspettate e solo chi continua a seguire il mio percorso avrá il lusso d’esserne a conoscenza molto presto. Io ci sono, più carico di sempre, e voi?

Bikers For Aid no profit: la passione per la moto unita all’impegno per la solidarietà

Domenica 25 ottobre 2020 si è svolta la prima edizione della caccia al tesoro benefica in moto organizzata dall’associazione Bikers For Aid no profit.

L’associazione nasce dall’idea di 3 persone, parte di un gruppo di motociclisti: il Presidente Daniele Nazarri, il Vicepresidente Iva Montorro e il Segretario Massimiliano Ciocca, uniti da un unico obiettivo: fare del bene. Il loro slogan é “alla passione per la moto uniamo l’impegno per la solidarietà”. La prima opera benefica è stata la donazione di un cane speciale (un ausilio in grado di fornire un’informazione in più sullo stato di salute o aiutare una persona diabetica di tipo 1) ad un bambino che soffre di diabete. Attraverso la Onlus Suxdogs, è stato addestrato in base alle esigenze del bambino, quali recuperare il kit di emergenza per diabetici e portarlo al malato, portare bevande zuccherate, avvisare parenti o familiari, attivare i soccorsi, etc.

Successivamente, Bikers For Aid no profit ha sposato la causa dell’associazione DEBRA SUD TIROL, la quale si occupa dei  “bambini farfalla“, soggetti affetti da una grave malattia genetica, l’epidermolisi bollosa nella forma distrofica. Si tratta di persone che hanno bisogno di medicazioni quotidiane; spesso questi presidi indispensabili, quali garze o creme, sono inquadrati come cosmetici e quindi le famiglie si trovano costrette ad affrontare questa spesa autonomamente. Non è una patologia esclusivamente dermatologica ma causa danni agli organi interni, crisi renali e l’insorgenza di tumori della pelle. Si tratta di una malattia cronica che spesso riduce gravemente l’aspettativa di vita. Ultimo evento la “Caccia al tesoro in moto” tenutasi lo scorso 25 ottobre. I concorrenti, divisi in squadre, attraverso degli indovinelli, hanno riscoperto la natura, i fiumi, i monumenti e la storia dei paesi nel cremasco; con una piccola quota di 10,00 euro hanno contribuito ad una grande causa. Grazie alla generosità di alcuni sponsor, quali Wheelup, Valentino Moto di Lodi –  DV like At Home –  Al centro 3viglio,  sono state premiate le prime 3 squadre. 

A Natale, come ogni anno, l’associazione organizzerà una lotteria benefica, il cui ricavato andrà ai “bambini farfalla”. Per i prossimi eventi sposeranno invece anche altre cause, sostenendo altre Onlus ed ospedali.

Photo Credits: Vincenzo Traettino

Gigi Proietti: frasi e curiosità sull’attore romano

Per quasi sessant’anni Gigi Proietti è stato la quintessenza della comicità italiana. Un’artista a teatro, al cinema e in televisione. Uno dei personaggi televisivi più amati di sempre ci ha lasciati proprio nel giorno del suo compleanno: il 2 novembre. Ecco le sue più famose citazioni e alcune curiosità.

10 frasi celebri del grande Gigi Proietti

Le frasi dette a volte per scherzo durante un programma televisivo o pronunciate durante un film da un attore, diventano frasi celebri eccone 10 di Gigi Proietti che sicuramente molti di noi hanno ripetuto:

  • “Mi diverto e mi pagano pure. È una pacchia”
  • “Benvenuti a teatro, dove tutto è finto ma niente è falso”
  • “Ricordare è un mestiere rischioso, perché ha bisogno di stimoli forti”
  • “Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ridere, mi insospettisce”
  • “Non sono stati i mass media a resuscitare il mito Battisti. Ma il suo mito a far resuscitare i mass media”
  • “Noi attori abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replica tutte le sere”
  • “Non amo quegli attori che dicono di fare teatro ma in verità lo fanno solo quando non hanno di meglio da fare”
  • “Nella totale perdita di valori della gente, il teatro è un buon pozzo dove attingere”
  •  “Signor Conte io non scherzo. Non scherzo mai, io gioco e il gioco è una cosa serissima” (Febbre da Cavallo)
  • “Happy Hour? Io sono più il tipo da aperitivo agricolo come pane all’olio”

5 curiosità su Gigi Proietti

Come ogni personaggio dello spettacolo anche su Gigi Proietti ci sono diverse curiosità eccone 5 che forse non sai:

  • Nasce come doppiatore, non come attore. Nella sua carriera ha prestato la voce ad attori famosi come Marlon Brando, Robert De Niro e Dustin Hoffaman, ma anche al Genio della Lampada in “Aladdin”.
  • Non fu lui la prima scelta per interpretare “Mandrake” nel film “Febbre da Cavallo”.
  • Proietti aveva un’ossessione per le camicie bianche, le considerava la sua divisa da lavoro.
  • Aveva l’abitudine di chiudere tutti e 3 i bottoni della giacca.
  • Unito a Sagitta Alter da 60 anni dalla quale ha avuto due figlie, Gigi però non l’ha mai sposata.

I personaggi maschili di ‘Emily in Paris’

Uscita poche settimane fa ed entrata rapidamente nella top ten dei programmi più visti su Netflix, la serie Emily in Paris ha fatto parlare di sé da subito, attirandosi molte critiche per la rappresentazione della Ville Lumière e dei suoi abitanti, giudicata eccessivamente stereotipata (i cliché, effettivamente, non mancano, sebbene dalla produzione abbiano precisato come siano inevitabili data la trama, che racconta le vicende di una ragazza americana giunta a Parigi per la prima volta) e altrettante menzioni per gli outfit variopinti. Questi ultimi sono opera della regina del glamour in formato tv, la costumista Patricia Field, già ideatrice dei guardaroba di Ugly Betty e, soprattutto, Sex and the City.

Un aspetto meno indagato è invece quello riguardante i personaggi maschili, poiché a rubare la scena sono, ovviamente, la Emily Cooper del titolo aka Lily Collins, la sua capa/nemesi Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) e le altre donne del cast.
Eppure alcuni uomini, rivestendo ruoli certo non secondari, meritano uno sguardo più approfondito, ad iniziare da Gabriel, chef tanto fascinoso quanto abile a preparare la tartare de veau, diviso, sentimentalmente parlando, tra la protagonista (e vicina di casa) Emily e la di lei amica, nonché sua fidanzata, Camille. Per interpretarlo è stato scelto il 32enne Lucas Bravo, aitante modello con all’attivo partecipazioni in soap come Sous le soleil e Plus belle la vie, molto seguite in Francia. Nel suo caso, la componente fashion è mantenuta al minimo sindacale (t-shirt aderenti, felpe pastello, cappotti scuri, giubbetti in denim, l’accoppiata evergreen perfecto di pelle e maglietta…), d’altra parte sa farsi notare senza difficoltà anche indossando il grembiule bianco d’ordinanza.



Impossibile non citare poi Julien, collega di Emily nell’agenzia di marketing parigina Savoir, perennemente blasé e incline a giudicare con sarcasmo quanto lo circonda. Si tratta del personaggio maschile più fashionable, vestito di tutto punto al lavoro come nelle altre occasioni. Il suo è uno stile a tinte forti, sofisticato: predilige i suit pennellati addosso, declinati in cromie classiche (ravvivati, però, da camicie optical, maglie stampate, sottogiacca in colori vitaminici) o al contrario piuttosto estrosi, percorsi da grafismi e pattern di grandi dimensioni, talvolta accessoriati con broche appuntate al bavero e collane gioiello; in alternativa, polo dalle nuance accese (come quella bluette firmata Paul Smith del secondo episodio), bomber, varsity jacket in raso.
Julien è impersonato da Samuel Arnold, ex ballerino professionista, parigino trasferitosi però da tempo a Londra, dove nel 2018 ha recitato al National Theatre nella pièce Antony and Cleopatra.

Altra figura maschile di spicco è quella di William Abadie, attore francese 47enne formatosi all’Actors Studio newyorchese, la cui filmografia conta serial come Gossip Girl, Gotham e Homeland. Oltre alla recitazione, si dedica regolarmente allo sport: è infatti un atleta provetto che spazia tra maratona, triathlon e snowboard. Il suo alter ego sullo schermo è Antoine Lambert, fondatore del marchio di haute parfumerie Maison Lavaux – uno dei maggiori clienti di Savoir – oltreché amante del boss di Emily, Sylvie Grateau. Il “naso” interpretato da Abadie è un uomo affabile e azzimato, stretto in completi tailored dal taglio impeccabile, completati da cravatta e pochette de rigueur.



Charles Martins è invece Mathieu Cadault, ovvero l’archetipo del businessman di successo, un latin lover paparazzato in compagnia di celebrity e star del cinema, manager del brand di alta moda Pierre Cadault, una maison di finzione presentata nella serie come quintessenza dello chic parigino (una delle scene migliori è, in effetti, quella in cui l’omonimo stilista trasecola notando degli charm a forma di cuore e Tour Eiffel, che l’improvvida protagonista tiene in bella vista sulla borsa). Data la professione, è ovviamente elegantissimo: nel corso degli episodi sfodera abiti tre pezzi in tweed, foulard dalle fantasie geometriche, soprabiti sartoriali, cache-col adagiati con studiata nonchalance lungo i revers e così via.

Nonostante l’esigua quantità di tempo dei rispettivi personaggi, si possono infine menzionare Roe Hartrampf alias Doug, fidanzato di Emily (che in realtà smette di essere tale all’inizio della serie), all’american boy tutto lavoro e tifo per i Chicago Cubs, e Eion Bailey, interprete di Randy Zimmer, il magnate dell’hôtellerie che appare nella quarta puntata.

Un percorso di benessere e cultura ai piedi della Madonnina – L’arabesque

Esiste, nel cuore di Milano, un tempio per rinascere e prendersi cura di sé, in cui l’arte della bellezza è un percorso che parte dal cuore, viaggia intorno al mondo alla ricerca di elementi unici e introvabili, per tornare in questo luogo di cultura, dedicato alla cura del corpo e dello spirito, nel rispetto della nostra unicità.

L’idea è di Chichi Meroni visionaria con il pallino della condivisione, che, con il suo cult store L’Arabesque, racconta il lusso con il rispetto e la cura necessarie per design e materiali, seguendo un flusso creativo che risponde alla sua idea di estetica sofisticata e affamata di creatività. 

Le sue collezioni, hanno un’eleganza senza tempo, ispirate da pezzi di design degli Anni ’50 e ’60, un importante archivio di abiti e accessori vintage, sfavillanti bijoux d’epoca, libri “introvabili” di design, moda e arte, fragranze Haute Parfumerie e servizi di couture esclusivi. Il tutto accompagnato dal meglio delle ricette tipiche della cucina di una Milano dimenticata.

Una fucina in cui bellezza e ricerca estetica si fondono con il culto della cura dei sensi. E oggi più che mai, prendersi cura di sé è una necessità, non un lusso. In un’epoca di pandemia precedente alla nostra, Joseph Pilates ebbe modo di notare che nessuno di coloro che si erano sottoposti al suo training fisico, era incorso nel contagio. È, per l’appunto, una delle pratiche a cui ci si può dedicare al Nautilus, sotto la guida di istruttori esperti che creano un programma mirato per ogni individuo e in totale sicurezza, in base a condizioni fisiche, età o eventuali traumi pregressi. Questo luogo deve il suo nome a una romantica idea di un sottomarino, un luogo di rifugio e benessere sotto le acque del naviglio milanese, composto da sale divise da eleganti porte, anch’esse frutto di accurata ricerca.

Il personale specializzato segue con dedizione piccoli gruppi o singoli individui in discipline basate sull’allenamento funzionale a corpo libero, o con attrezzature di altissimo livello, disposte nelle eleganti sale arredate con pezzi vintage da set cinematografico, per vivere quest’esperienza in un ambiente fuori dall’ordinario.
“Stabilire un rapporto di fiducia col cliente è di primaria importanza” ci racconta
Francesco Ludicelli, osteopata e chinesiologo, che come un vate ci mostra i segreti di quelle mura di benessere, fino all’area relax dove ogni cliente prima di cominciare il suo percorso personalizzato, viene sottoposto a una seduta di osteopatia per stabilire l’attività più adeguata al proprio stato fisico, tra un massaggio shatzu e una lezione personale di yoga. “Chi varca questa soglia, segue il suo percorso con costanza, non perde l’interesse, come avviene nella stragrande maggioranza dei centri sportivi, in cui la metà degli iscritti mollano dopo pochi giorni”, “il nostro obiettivo è far innamorare il cliente attraverso l’accompagnamento costante e lo stimolo a superare sempre i propri limiti”.

Al termine dell’attività, lo spogliatoio offre l‘accesso al bagno turco, dove rilassarsi, prima di una visita alla Librairie con salotto. Lì troviamo una vera libraia in vecchio stile, in grado di procurare edizioni speciali su richiesta, oltre alle già presenti pubblicazioni selezionate, riviste internazionali e rari contenuti di case editrici indipendenti che ruotano attorno al modo della moda, il design e l’arredamento, la fotografia, la grafica, i gioielli, i tessuti, l’arte. Un vero rifugio dove raggiungere uno stato di grazia, attraverso la cultura.

Libreria L’Arabesque

Le collezioni di Chichi Meroni rappresentano un punto d’incontro tra culture differenti e il buon gusto mai scontato di una personalità esigente come la sua. I suoi accessori hanno il sapore di una ricerca approfondita in ogni parte del mondo, mischiati sapientemente con i filati pregiati del nostro Made In Italy e una cura sartoriale d’altri tempi, perchè il 90 per cento della sua produzione è su misura. Anche nei suoi ricercati gemelli riscontriamo i motivi tipici della tradizione estetica orientale, come il bamboo, a cui lei è particolarmente legata per il suo significato simbolico: una pianta forte e resistente alle intemperie, che si piega ma non si spezza. Un concetto di flessibilità e resilienza che dovrebbe essere coltivato tutti i giorni da ognuno di noi.

Le collezioni maschili di questa stagione sono, infatti, caratterizzate da tweed, velluti consistenti e maglieria con motivi originali, interamente creati dalla designer. Capi di alta manifattura che durano una vita, proprio come quelli che hanno fatto la storia della moda. Completano i look una scelta di preziose cravatte vintage scelte con diligenza e passione, insieme alle iconiche Heschung che s’ispirano alla ghetta, delle irresistibili sneakers direttamente da Kioto che richiamano il dettaglio dell’infradito tradizionale, l’handmade l’inglese di Northampton Crockett & Jones e nomi che danno lustro alla calzoleria del Made In Italy come Rivolta.




Autunno in Sardegna: 5 località da visitare (e scalare)

Non solo da Giugno a fine Agosto, la Sardegna è una meta da scoprire anche durante l’autunno. Oltre a spiagge mozzafiato, un’acqua cristallina e tramonti infuocati, l’isola offre una vasta gamma di attività da poter praticare su terra ferma quali l’arrampicata, escursioni, gite ed esperienze enogastronomiche.


Aumentando lo zoom sul Golfo di Orosei, le destinazioni più gettonate in questo periodo sono Cala Gonone, Cala Luna, Cala Mariolu, Cala Goloritzè e Cala Fuili. Se da un lato le calette sono caratterizzate dall’ imparagonabile mare sardo, a monte vantano una selvaggia natura sia verde che rocciosa. Per arrivare alle spiagge è infatti possibile (se non in alcuni casi obbligatorio) percorrere un vero e proprio trekking selvaggio della durata di anche un’intera giornata.


È il caso di Cala Goloritzè. Famosa in tutto il mondo e protetta come riserva naturale, la caletta si può raggiungere solo a piedi e non più con i gommoni (come in passato) per preservarne la sua bellezza. Si parte da Baunei, un tipico paese sardo che ha mantenuto intatte le sue tradizioni , per camminare una mezza giornata nel cuore di una natura incontaminata: qui non mancano gli incontri con capre e cinghiali.

Una volta raggiunta la meta si può decidere se tuffarsi in acqua oppure fissare la corda alla parete. Le calette infatti, sono teatro di avventura non solo per gli amanti del mare ma anche per sportivi e scalatori. Citando sempre Cala Goloritzè, arrivati alla spiaggia è possibile intraprendere una scalata che conduce sulla vetta dell’Aguglia, cima famosa in tutto il mondo.

Rocce vulcaniche, porfidi, massicci e profonde gole montuose che si affacciano sul mare diventando i veri protagonisti delle mezze stagioni. Quella della Sardegna è una morfologia particolare e unica nel suo genere che permette alla roccia di essere scalata facilmente e di conservarsi stabile e solida nel tempo.

Ed è così che mare e montagna si incontrano sul Golfo di Orosei che si mostra unico nel suo genere, offrendo ai turisti trekking memorabili e strepitose arrampicate adatte a tutti, dalle scalate più facili a quelle più impegnative.

Photo credits: Anselmo Prestini

Brand alert: NIO Cocktails + Acqua di Parma

Dalla collaborazione fra NIO Cocktail e Acqua di Parma nasce “Aperitivo in Terrazza”, una Special Box contenente una selezione di 2 cocktail e una candela.

L’iconico aperitivo italiano Negroni e l’elegante Cosmopolitan, cocktails artigianali, realizzati con ingredienti premium firmati dal noto barman Patrick Pistolesi. Basta scuotere la scatola, strappare l’angolo e versare in un bicchiere pieno di ghiaccio. Ed è subito pronto per essere sorseggiato.

Un cocktail di qualità eccezionale da abbinare all’eleganza di una candela a base di spezie agrumate, perfetta per accogliere gli ospiti ed apprezzare al meglio l’atmosfera di un Aperitivo italiano.

La Box “Aperitivo in Terrazza” sarà in vendita in esclusiva su nio-cocktails.com e niococktails.co.uk, a partire da ottobre 2020.

Estrattore cucina: 3 vantaggi ad averlo subito

È uno degli elettrodomestici più in voga del momento, un regalo apprezzato dai salutisti ma anche dalle mamme: stiamo parlando dell’estrattore o slow juicer.

Di cosa si tratta? È uno strumento da cucina che consente la spremitura a freddo e a bassa velocità (solo 40 giri ogni minuto contro i 18.000 di una centrifuga) di frutta e verdura.

Non ne hai ancora uno e stai pensando perché dovresti prenderlo? Ecco 3 vantaggi che potrebbero convincerti ad acquistarlo e non poterne più fare a meno. 

Scopriamoli insieme.

Vantaggi di un estrattore da cucina

Il primo vantaggio di scegliere un estrattore da cucina è che la spremitura della frutta o verdura avviene a freddo e a bassa velocità. Cosa significa? Significa che vengono mantenuti inalterati tutti i valori nutritivi del prodotto, dalle vitamine ai minerali, dal colore del frutto al sapore. Non è favoloso? A differenza di una centrifuga, l’estrattore non ha lame ma una coclea, ossia una vite senza fine che non trita ciò che introduciamo nell’elettrodomestico, ma lo spreme e setaccia separando succo e polpa. Impiega senza dubbio più tempo di una centrifuga, ma il risultato è un estratto dalla consistenza corposa ed omogenea, dal colore intenso e con una maggiore percentuale di principi nutritivi attivi. Inoltre l’estratto risulta più digeribile e non presenta schiuma in superficie poiché l’estrattore lavora a bassa velocità.

Il secondo vantaggio dell’usare un estrattore è la sua silenziosità. Nessun rumore fastidioso a stressarvi mentre siete all’opera in cucina.

Il terzo vantaggio è che, a differenza della centrifuga, l’estrattore produce pochi scarti e secchi. Secondo l’opinione diffusa, non è possibile usare questi scarti perché insapori. In realtà possono essere usati per sfiziose ricette.

Svantaggi di un estratto

Qual è il contro di questo amatissimo elettrodomestico vi starete ora chiedendo. Lo svantaggio è il tempo. Per fare un estratto occorrono dai 5 minuti ai 10 minuti. Quindi meno energia ma anche meno potenza del motore, ma occorre tanto più tempo per avere un estratto. Il secondo svantaggio è il costo: un estrattore costa molto di più di una centrifuga (in genere dai 150 a 1000 euro per i modelli di alta qualità).

Migliori marche di te: 3 infusi da provare almeno una volta

Con l’inverno alle porte e le temperature che iniziano a scendere, possiamo ufficialmente affermare che è arrivato il momento di mettere a bollire l’acqua per gustarsi un caldo e rilassante . La scelta è vastissima, sia in fatto di marchi che di gusti. In questo articolo vogliamo svelarvi quali sono i migliori marchi che producono tè e tisane e darvi qualche consiglio sui gusti più sfiziosi.

3 marche di tè fra le migliori

Vahdam

Le miscele di questo marchio sono sfogliate in casa e provengono direttamente dalla riserva del fondatore del marchio. Un prodotto di nicchia che propone miscele raffinate contenute all’interno di eleganti barattolini in latta. Da non perdere i loro cofanetti regalo con un set di 6 oppure 12 gusti da provare che spaziano dai rigeneranti tè verdi al gusto deciso del tè nero himalayano fino ad arrivare al gusto speziato dei tè Chai. C’è da dire che può succedere che la polvere sia talmente fine da superare la rete del filtro, quindi utilizzate un’unfusiera con maglie molto strette!

Valley of tea

Una grande varietà di sapori, che spazia dai più chiari e dolci a quelli più decisi e speziati, per il marchio Valley of Thea. Questi tè vengono confezionati subito dopo il raccolto in modo da garantire la massima freschezza della materia prima. Anche in questo caso un’ottima soluzione per provare i loro tè è la confezione regalo che contiene 5 gusti di tè oolong, apprezzatissimi dagli intenditori di tutto il mondo.

Tea Fortè

Questa azienda ha creato delle miscele monodose molto interessanti sia per la praticità che per la selezione di gusti. Per chi è alle prime armi con le infusioni di tè artigianali, o più semplicemente preferisce la praticità, le bustine monodose sono perfette per una tazza e contengono foglie intere o tisane dai gusti davvero particolari. Berry basket ad esempio è un nero misto ai frutti rossi arricchito con petali di mirtillo, il tè bianco è arricchito con petali di pera e girasole, raspberry coconu, ancora, mixa il sapore dolce del cocco all’acidulo del lampone con un’aggiunta di petali di rosa. Un’esperienza per i 5 sensi tutta da gustare.

 Per i veri amanti del tè, inoltre, Tea Forte ha creato un cofanetto che contiene 40 infusori a piramide all’interno del quale c’è solo l’imbarazzo della scelta: dall’arancia rossa al torrone al caramello, dal ginger snap al peach brulè, avrete un gusto per ogni stato d’animo!