Filippo De Carli: la fortuna lascia spazio alla determinazione

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Molto spesso pensiamo che il caso ci porti a percorrere strade che non abbiamo preventivato ma riguardando attentamente il percorso ci si rende conto che la fortuna lascia spazio al duro lavoro e se il futuro non è già scritto, il talento lo riconosci già da bambino.
Da cowboy sassofonista alle recite scolastiche a “Giorgio” protagonista della fiction “Un passo dal cielo 6” su Rai 1 e a breve sul grande schermo con il film hollywoodiano diretto da Ridley Scott “House of Gucci”, Filippo De Carli, classe 97, Trentino di nascita e romano di adozione, ci racconta di come una serie di fortunati eventi lo abbiano portato nella città eterna per inseguire il suo destino.

Quale è stato il percorso che ti ha portato alla carriera da attore?

Ho frequentato una scuola elementare abbastanza particolare in cui si dava molta importanza alle arti e mi ritrovavo ogni anno a partecipare ad uno spettacolo corale all’auditorium Santa Chiara di Trento, ricordo che una volta ho interpretato un cowboy sassofonista, ne sono sempre stato entusiasta ma non era sicuramente una mia passione.
C’è da dire che mia nonna, da artistoide quale è, mi inserì in una compagnia teatrale professionale facendomi assaporare il palcoscenico e da lì a poco il grande caso mi ha portato a fare un provino per un film, mi ritrovai, non so neanche io come e perché, in una stanza con una camera davanti al viso a raccontare di me, un po’ come sto facendo in questo momento, avevo 16 anni ed il regista Gianni Zanasi mi chiamò poco prima dell’estate e mi disse che sarei stato co-protagonista di un film con Valerio Mastandrea.
Il cinema non era sicuramente tra i miei piani, eppure eccomi qui.




Chi sono i tuoi punti di riferimento nella vita?

Il mio punto di riferimento è sicuramente mia nonna come tutta la mia famiglia, mia sorella è una bravissima ballerina e mio fratello si occupa di sport.

Dal sassofonista alle recite scolastiche ai video sui social mentre strimpelli con la chitarra, immagini un futuro da musicista o cantante?

Per caso non si esclude mai nulla, per me la musica si concilia con la recitazione in qualche modo.
Se ci fosse un ruolo che comprende le arti musicali io sono disponibile!
Per lo più scrivo anche testi ma essendo un po’ timido non ho la fiducia necessaria per far ascoltare i miei brani, ma succederà, presto.



L’apparenza molto spesso inganna, hai delle fragilità dovute ad esperienze in cui non ti sei sentito al posto giusto?

 Credo che per essere convincente e raccontare la verità recitando è necessario il contatto con il proprio “io interiore” e per fare questo lavoro l’empatia e la sensibilità si sviluppano solo se si è consapevoli delle proprie fragilità.
Ti assicuro che sono una persona molto insicura e lo riconosco ma spesso la mia educazione è confusa per mancanza di personalità o debolezza quando invece essendo cresciuto in un’ambiente pieno d’amore ho solo imparato a rapportarmi con il mondo in una maniera differente.

Cosa rispondevi quando da piccolo ti chiedevano cosa avresti voluto fare da grande?

Questa è una storia molto interessante, da bambino volevo assolutamente fare il cowboy con tanto di far west. Passavo l’estate a cavallo fingendo di essere un pistolero ed i miei genitori mi hanno sempre supportato anche in questo! 



Sembra un mondo privo di opportunità ma poi ci si ritrova su un palco scenico, come può un ragazzo della nuova generazione farsi conoscere per sfruttare ogni possibilità?

Ora risulterò un po’ noioso ma non mi importa, io mi soffermo tanto a vedere come la gente abbia la necessità di andare veloce, divorando storie prive di contesto culturale e tutto ciò si riversa nella società e nei rapporti umani, noto quotidianamente dei contenitori totalmente vuoti.
Soffro molto la mancanza di contatto con la mia generazione, il modo di farci conoscere è cambiato, quando incontri qualcuno ti sembra di conoscerlo già, lo hai già inquadrato in base a ciò che pubblica di se stesso online e non ti poni alcuna domanda e non vuoi andare oltre.
Succede spesso che io venga frainteso, vedono una foto con l’addominale scolpito e credono di conoscere tutto di me, poi con quei pochi che si spingono oltre c’è l’effetto sorpresa e magari quel contenitore non è vuoto come si pensava.
Devi sempre fare un doppio lavoro, mostrarti e poi confutare ciò che realmente sei.

Nel 2021 quale è il percorso che consiglieresti di seguire alle nuove generazioni che sognano di diventare attori/attrici?

Suppongo non ci sia un percorso prestabilito, io ho sicuramente una storia anormale in questo contesto e ne sono molto contento, credo in ogni caso che la miglior scuola sia l’esperienza sul set, non c’è gavetta giusta o sbagliata ma la fortuna di trovarsi al momento e posto giusto può aiutare esattamente come un percorso di studi in accademia, le vie sono talmente tante che bisogna solo capire la propria.
Io per lo più sono una persona molto curiosa, guardo tanti film e leggo molto, ho iniziato un percorso universitario e ho alle spalle una famiglia che mi ha sempre dato gli input giusti, sono stato molto fortunato.





Come reagisci alle porte in faccia e alle attese del tuo lavoro?

Bisogna rimanere concentrati e non farsi prendere dall’ansia di non farcela, io ho relativamente iniziato da poco il mio percorso da attore ma ho già capito che buona parte del lavoro è fatto di attese, snervanti attese.
Ci si ritrova a girare una fiction, un progetto internazionale e poi tantissimi provini e l’attesa è la costante che ti tiene in ballo ma bisogna rimanere focalizzati su ciò che ci fa star bene, non darsi per vinti e provarci ancora se ci si vuole davvero stare, questa è l’unica certezza che ho. 

Credi si stia perdendo l’interesse ad esplorare e a mettersi in gioco?

Da piccolo ricordo mio padre leggere Sandokan prima di mettermi a letto, incontravo i miei amici al parchetto vicino caso e ci perdevamo nelle storie senza alcuna paura del giudizio altrui, ad oggi l’attenzione è cambiata, la pandemia ha accelerato il sedentarismo tecnologico ed io sono convinto che l’incontro sia essenziale per abbattere le barriere sociali che non ci danno la possibilità di esplorare noi stessi.
Io sono molto curioso di vedere cosa accadrà alla mia generazione, bombardata di notizie quotidianamente, rapida ad assimilare ma poco propensa a mettersi in gioco e confrontarsi.
Credere che la questione ecologica, di cui sono molto attento ed attivo, o le guerre al di fuori dall’Italia, non ci tocchino perché la nostra vita continua regolarmente è il principio di distruzione della nostra specie, l’indignazione ed il menefreghismo sono la comune del nostro tempo. 



Come hai vissuto il passaggio da Trento ad una città come Roma?

Roma è una città senza fine ma poi ogni quartiere è un polo, una piccola realtà indipendente.
Trento è invece una realtà più piccola e ho il presentimento che ci sia quasi la paura di imbattersi in nuove realtà, di poter mettere il piede fuori dallo spazio che oramai si conosce molto bene.
Non nego che anche io il primo anno a Roma ne ero terrorizzato, anche prendere la metro per la prima volta mi ha sorpreso ma poi ti lasci affascinare dagli schemi che Roma riesce a rompere.
Passare da un nido d’amore familiare alla città eterna è destabilizzante ma mi ha dato la possibilità di esplorare prima di ogni cosa me stesso e poi a capire ed adeguarmi a questa magia e chaos, se mi chiedi dove mi vedo tra dieci anni attualmente ti rispondo Roma.





L’esperienza Hollywoodiana con il film “House of Gucci” ti ha spinto ad esplorare nuove frontiere?

Assolutamente sì ma mi ha anche spaventato nuovamente. Il giorno prima dell’inizio delle riprese ero in camera d’hotel accovacciato sotto le coperte a chiedermi se fosse davvero arrivato il mio momento, il mattino successivo sul set ho scacciato tutte le insicurezze ed ho pensato “siamo in ballo ed allora balliamo”, in quel momento ho davvero aperto gli occhi su una realtà che fino ad allora non mi apparteneva. Io confido molto nella mia generazione e voglio dedicare me stesso e la mia arte in primis all’Italia.

La tua prima reazione alla scoperta della partecipazione al film di Ridley Scott “House of Gucci”?

Ovviamente non ci ho creduto, ero in treno rientrando da Torino al termine delle riprese di “Cuori Coraggiosi” una nuova serie in onda sulla rai che tratta dei primi trapianti di cuore negli anni’60, ho ricevuto la chiamata del mio agente, la quale mi chiese di preparami perché avrei conosciuto Lady Gaga, Jared Leto ed Adam Driver, non ti nego che non ci ho creduto realmente fino alla prima prova costume. Sentirsi all’interno di quel progetto è difficile da realizzare, ancora oggi faccio fatica.


Total outfit: GUCCI



Quali sono stati i momenti di set “House of Gucci” che sono rimasti impressi nella tua mente e nel tuo cuore?

Dopo la prova costume ho davvero realizzato che mi trovavo nel posto giusto per me e sul set ho avuto modo di improvvisare con Adam Driver e Lady Gaga, questo mio momento ha catturato Ridley Scott che ha deciso di tenere la scena. Al rientro in hotel ho incontrato un uomo al bar con la gamba appoggiata su un tavolino a bere una birra, da curioso quale sono ho subito intavolato una conversazione per capire cosa gli fosse successo e chiacchierando ho scoperto di parlare con uno degli art director del film, gli aneddoti raccontanti ed i consigli dati da una persona che ha visto tanti set sono un prezioso dono, ed è per questo che credo sia essenziale che la gente si incontri e confronti perché da una piccola curiosità può nascere un rapporto umano.

Quale è il posto in cui ti senti libero, estraniato dal mondo?

Abbiamo tutti bisogno di un posto dove ci sentiamo liberi, per me l’isola tiberina nasconde dei luoghi in cui mi sento immerso nel mio mondo e nei miei pensieri, fumo una sigaretta e leggo un libro, un po’ bucolico ma almeno sono libero.
Non dimentico però il mio “posto del cuore” vicino Treno, si tratta di una terrazza che si affaccia sulla valle e mi dà la possibilità di ricordare da dove vengo e cosa voglio fare nella vita, senza che vibri il telefono.


Total outfit: GUCCI



Manintown portraits: Peter White

A cura di Filippo Solinas e Benedetta Balestri

Ph: Luca Pipitone (@dopoesco)

Ex Magazzini, Marmo, Atlantico. Questi sono alcuni dei locali e club di musica dal vivo dove fino a qualche tempo fa eravamo abituati ad andare, a cantare a squarciagola i pezzi dei nostri cantanti preferiti. Il sogno di Peter White è di suonare all’Atlantico, e nell’attesa che la musica torni a suonare, ha dato vita ad un’iniziativa sui social a sostegno dei locali del suo cuore, lasciando di fronte alle loro porte una chitarra personalizzata da lui. Classe 1996, orgogliosamente romano, Peter White è tra i cantautori più conosciuti sulla scena indie-pop italiana, ama disegnare volti di donne, e ha personalizzato proprio con questi volti le chitarre lasciate in giro per l’Italia. La sua musica è fatta di fotografie nitide, emozioni che diventano immagini di esperienze, di emozioni, della sua città. Tra “notti sui tetti”, “appunti tatuati sulle mani”, e “stelle che sembrano fanali” attraverso le parole si vede il mondo dagli occhi di Peter, ed è un mondo sospeso a metà tra la malinconia del passato e le giornate storte che tutti viviamo ogni giorno.
La sua Narghilé su Spotify conta oggi quasi 18 milioni di streaming, e l’ultimo singolo “Gibson Rotte”, promette di accompagnarci nelle caldi notte estive, “tra il vino, il buio e il tempo dato da una cassa”.



Gibson Rotte sembra un primo passo verso la ripartenza, vuoi dirci qualcosa in più sul singolo?

“Gibson Rotte” è un brano che nasce in maniera spontanea. Ero in studio con i miei produttori Niagara (Gabriele Fossataro) e Polare (Paolo Mari). Quel giorno stavamo lavorando ad altro ma avevamo tutti voglia di fare qualcosa di nuovo.
Polare, ha iniziato a suonare il giro di chitarra che è poi diventato il fil rouge di “Gibson Rotte”.
Dopo venti minuti Niagara aveva già fatto registrare Polare e stava curando la parte ritmica, mentre io iniziavo il lavoro di scrittura. La fase di definizione è stata molto lunga…ogni brano ha la sua storia e il suo tempo. Se una canzone arriva alla fine della lavorazione merita di essere condivisa, il giudizio poi è compito del pubblico.



La fotografia del video, per la regia di Daniele Barbiero, trasporta lo spettatore in uno scenario cinematografico e anche la tua musica attinge molto dal cinema, quali sono i tuoi riferimenti?

Amo il cinema, e ti darò una risposta leggermente banale: mi piace spaziare tra vari generi e non mi pongo troppi limiti. Se dovessi scegliere una mia passione cinematografica tra tutte direi forse i film noir, soprattutto al livello fotografico.

Insieme al singolo hai lanciato anche una splendida iniziativa, vuoi parlarcene?

Si. Purtroppo il periodo storico che stiamo affrontando è complesso per tutti.
Il settore musicale è fermo da più di un anno e mezzo a causa della pandemia.
Bisogna evidenziare il fatto che annullando i concerti non si fermano solo gli artisti che vanno sul palco, ma c’è un mondo di addetti ai lavori che smette di esistere dietro le quinte: dagli impiantisti ai fonici, dai promoter ai gestori e dipendenti dei locali.
Per questo motivo ho voluto lanciare un appello di speranza: ho preso delle chitarre, le ho personalizzate e poi lasciate simbolicamente davanti ad alcuni luoghi di Roma, realtà importanti per il mio percorso artistico e per la musica in generale. Il mio intento, dopo aver scritto “Gibson Rotte”, era di rimettere insieme i pezzi, di riavvicinare tramite la musica.



Dal tuo primo singolo Birre Chiare nel 2017 ad oggi come si è evoluto Peter White?

Sono andato avanti senza farmi troppe domande. Credo di avere in tasca ancora gli stessi ideali.
Con l’uscita di “Birre Chiare” nel 2017 vedevo la musica ancora come un passatempo.
Nel corso di questi quattro anni ho imparato ad amare il mio mestiere anche se così complesso.
Il prezzo della vita è questo: andando avanti scambiamo un po’ di spensieratezza con un filo di esperienza.

Che rapporto hai con la scrittura?

Molto personale e altalenante. E’ forse la parte più difficile del mio lavoro: scegliere le parole giuste e riuscire a focalizzarle in una frazione di tempo.



Quali sono i tuoi artisti preferiti? Una nuova promessa che tutti dovrebbero ascoltare?

Chiunque mi conosca bene sa che adoro il cantautorato, in particolare Francesco De Gregori.
Nuova promessa senza pensarci due volte: Clied.

Hai in progetto un nuovo disco?

Assolutamente si. Non aggiungo ulteriori informazioni perché spero di far parlare la musica a tempo debito.

Salutiamo Peter, e qualcosa mi dice che la prossima volta che lo rivedrò sarà su un palco. Magari all’Atlantico.

Gian Franco Rodriguez, quando i sogni diventano realtà

Gian Franco Rodriguez, non lo conoscevamo ancora, ma adesso con il successo mondiale della attesissima serie TV targata Netflix “Halston” abbiamo potuto apprezzarlo in una performance da Oscar. Lui interpreta Victor Hugo, prima vetrinista e poi artista della gang di Andy Warhol. È fidanzato decisamente fuori controllo per l’appunto dello stilista più controverso made in USA che in pochi anni ha visto l’ascesa al successo ed il crollo nel baratro in maniera burrascosa.

Ma ora scopriamo chi è Gian Franco e le sue radici Italiane.



Conoscevi già la storia di Halston?

Purtroppo, no, Halston è morto nello stesso anno in cui nascevo io in Venezuela nel 1990, non ho avuto modo di scoprire la sua storia fino a quando ho letto il copione. Inoltre, la sua storia è molto conosciuta negli Stati Uniti e io sono cresciuto in Venezuela, solo nel momento in cui ho saputo di avere un’audizione per il progetto, mi sono informato in tutti i modi possibili, vedendo interviste e documentari.



Hai fatto molti provini per arrivare ad avere il ruolo?

Sì, davvero tanti, ma la cosa più bella è stata che nel momento in cui son stato confermato, il regista ci ha fornito un sacco di materiale inedito per poter studiare al meglio i personaggi che alla fine nessuno di noi conosceva. Ho avuto anche l’opportunità di conoscere un amico di Victor al quale ho potuto fare tantissime domande che solo lui che lo aveva frequentato poteva saper rispondere.

Siete al TOP10 in Italia e in molti paesi del mondo, ve lo aspettavate.

Sinceramente non ci ho pensato in quel momento, volevo solo fare il meglio che potessi perché ero super felice di farne parte. Mi sono catapultato nel personaggio al punto di non utilizzare i social per un anno e mezzo, volevo solo pensare al mondo di Halston.

Siamo anche stati interrotti dalla pandemia, avevamo iniziato le riprese a febbraio 2020 per poi fermarci a marzo e riprendere a settembre. Non è stato facile come per nessuno quel periodo.

Parlami delle tue origini italiane.

I miei nonni sono Siciliani di Milazzo, sono partiti negli anni 50’ quando nella bellissima Trinacria era difficile trovare lavoro alla volta del Venezuela nella speranza di una vita migliore. Ho anche voluto imparare bene la lingua e nel 2004 son venuto in Italia per studiare l’italiano per sei mesi.



Sei nato in Venezuela e quando hai deciso di venire a vivere in USA.

Sono venuto con mia sorella negli Stati Uniti nel 2010, ho sempre amato recitare, ma venendo da un piccolo paesino del Venezuela non è un qualcosa che puoi pensare possa diventare un mestiere, è talmente distante da qualsiasi realtà che ti circonda che sembra impossibile. Poi mi è successo di trovare una scuola di recitazione ed ho capito che c’era un mondo che mi stava aspettando.

Ora ti dividi tra New York e Los Angeles?

Quando mi son trasferito in USA son stato per molti anni a L.A. poi nel 2019 ho pensato di cambiare un pochino le cose e di trasferirmi a NY e vedere come sarebbero andati i casting per me nella grande mela. Le opportunità sono arrivate dopo pochi mesi, avevo il mio ruolo in Halston. 

So che hai una storia curiosa sul tuo primo provino.

Direi proprio di si, in quanto ero stato chiamato per il ruolo di un italiano, ma era talmente piccolo che alla fine del montaggio non esisteva nemmeno più, avevo visto la lista dei personaggi che erano richiesti, e con un venezuelano totalmente pazzo di mezzo mi son detto, voglio essere lui. Così il giorno dell’audizione quando mi hanno chiesto quale personaggio volessi leggere la mia risposta è stata rapida: Victor.



Ti sei trasformato per il ruolo di Victor.

Diciamo che i baffi sono i miei, con qualche piccola aggiunta per avere la forma esatta, invece i capelli hanno dovuto rasarli in quanto le scene non erano girate con la stessa sequenza della serie, quindi era molto più comodo mettere le parrucche.

La scelta di perdere peso è stata una mia scelta per essere il più possibile simile a Victor. Devo anche dire che il regista Daniel Minham ha voluto che fossimo come una famiglia, anche nel weekend quando non giravamo ci invitava sempre a casa sua per farci vivere più momenti insieme.



Qual è il tuo motto.

Penso che si debba sempre sognare in grande nella vita, anche se le persone intorno a te non lo hanno mai fatto, devi farlo a qualsiasi costo.

Stories, tra retail e sostenibilità, corre verso il futuro

Stories. Come storie di vite. Come uno storytelling continuo, che racconta di cambiamento. Di next step. Di sfide quotidiane da affrontare. Proprio in questo modo Stefano Giordano, designer e co-fondatore del marchio Made In Italy, ha raccontato il suo punto di vista e quello del suo team nell’intervista che segue. Dritti all’obiettivo, senza se e senza ma.


La moda può essere veramente “sostenibile” oggi? 

Leggendo il nostro Manifesto: «Oggi tutti parlano di sostenibilità! Ma chi nel mondo della moda se ne occupa veramente? Primi della fila, i brand low cost che ci hanno riempito gli armadi di capi zeppi di chimica e difficili poi da smaltire visto che durano poco più di una stagione. Per non parlare di come sono stati realizzati in molti casi sfruttando la manodopera a bassissimo costo in Paesi come India, Bangladesh e Cina. A questi lavoratori non vengono garantiti i bisogni del così detto “Living Wage”. Il cambiamento in atto  è più che altro culturale come tale va vissuto e assimilato. La moda ha ancora molta strada da percorrere per ottenere risultati significativi in termini di sostenibilità. Noi lo stiamo facendo.




Quali sono gli altri valori del brand Stories?

Serve che i capi durino nel tempo. Serve che siano una storia d’amore senza fine. Serve barattare la quantità di capi da avere nell’armadio con la qualità di pezzi che non devono scadere con la stessa velocità di uno yogurt nel frigo di casa. Parliamo di capi senza tempo talmente identitari, da riuscire a definire la storia di un brand ma anche il carattere di chi li indosserà. I nostri tessuti tecnologici, oserei dire intelligenti, a base naturale si distinguono per il rapido recupero della forma originale, anche dopo il lavaggio a macchina, e per l’ottima resistenza alle pieghe. Sono realizzati in lana ZQ merino, performante, con straordinarie proprietà di traspirabilità, termoregolazione della temperatura corporea, idrorepellenti e isolanti.Tutto questo trova il suo punto più alto, per fare un singolo esempio, nei nostri capi biodegradabili, compostabili che durano nel tempo. Quindi gli altri valori importanti che offriamo ai nostri clienti sono: identità, comfort, performance e alta qualità per far si che un capo duri nel tempo.




Social media e online, quanto sono importanti per Stories?

Riteniamo che la comunicazione sia molto importante e a questo proposito mi viene in mante una frase di un importante imprenditore piemontese il quale sostiene che «Le galline gridano coccodè perché vogliono attirare l’attenzione del contadino sulla meraviglia che hanno appena fatto». Anche noi di Stories ci ispiriamo al comportamento delle galline e vogliamo fare coccodè. E qui vi cito la frase conclusiva del nostro Manifesto che vuol essere una provocazione: «Non faremo campagne marketing sui nostri prodotti, perché il marketing è il prodotto stesso. Personalizzato, performante, senza tempo e sintesi concreta di quello che sono i concetti chiave di Stories. Il nostro manifesto, stampatelo leggetelo, diffondetelo. È la chiave di volta per rendere migliore il nostro futuro e più vivibile il mondo intero».




Un sogno da realizzare?

La Stories House, una casa tecnologica immersa in un bosco in Piemonte e capace di autogenerare l’energia di cui ha necessità. La nostra casa (quartier generale) molto identitaria, una fucina delle idee nella quale persone virtuose e creative danno vita a nuovi capi e prodotti. All’interno troveranno posto gli uffici, le sale riunioni, una sartoria adibita alla customizzazione dei singoli capi, un magazzino per stoccare quanto verrà prodotto anche in virtù del negozio online e una sala shooting attrezzata per scattare le nuove collezioni. All’interno troverà ampio lustro una lingua di verde, lateralmente percorsa da un corso d’acqua figlio di un circuito chiuso che andrà a recuperare l’acqua piovana.



Greta Scarano: “ritrovate la bellezza nell’arte e nell’amore”

Uno sguardo magnetico, incorniciato da uno smokey eyes che lo rende ancora più intenso e una chioma bionda lasciata libera (anche se lei si sente mora). Così è come possiamo incontrare Greta Scarano oggi, una delle attrici più apprezzate del panorama italiano e capace di passare con naturalezza dal cinema alla fiction in tv. I suoi esordi partono dalla celebre e storica Un posto al sole passando per Suburra e ancora Romanzo criminale – La serie.

Negli anni però, sono diversi i successi tra televisione e cinema, mentre negli ultimi mesi l’abbiamo riscoperta nel personaggio di Antonia nel capitolo conclusivo di Montalbano per poi passare a “Speravo de morì prima” in cui interpreta Ilary Blasi e infine in Chiamami ancora amore, ora in onda su Rai1 di cui aspettiamo il finale proprio questa sera…


Credits: Daniele Barraco

Come nasce la tua passione la recitazione?

Parte tutto da quando ero bambina e frequentavo quasi per gioco qualche corso di recitazione. Contemporaneamente, in quegli anni mi sono avvicinata anche alla musica suonando la batteria e le percussioni, grazie anche ai miei genitori, che mi hanno trasmesso la vena artistica. Solo durante l’adolescenza ho capito che il cinema doveva essere il mio futuro, prima ho trascorso l’ultimo anno di liceo negli Stati Uniti dove ho recitato in due spettacoli teatrali che mi hanno fatto amare tantissimo questo mestiere, ma anche iniziare a sognare la regia. Poi, una volta tornata in Italia mentre studiavo per entrare al Centro Sperimentale di Roma sono stata presa per Un posto al sole e da lì è partito tutto, una strada non sempre in discesa fatta anche di molte pause, ma del resto fa parte del nostro lavoro che non è mai stabile.

In queste settimane possiamo seguirti nelle vicende di “Chiamami Ancora Amore” su Rai 1, ci racconti come sta evolvendo il tuo personaggio?

Difficilmente nelle serie o nei film si interpreta un personaggio in un arco temporale così lungo (quasi 11 anni in questo caso) e in Chiamami ancora amore la back story è raccontata, quindi da un lato è stato più semplice. La protagonista è Anna, una giovane madre che in tutto il racconto attraversa grandi difficoltà. Oggi è in crisi con il marito (interpretato da Simone Liberati) irrisolta e insoddisfatta, e paga lo scotto di tutte le scelte sbagliate fatte nel passato. Una storia non facile a tratti “pesante”, ma alla fine vorrei passasse anche un messaggio positivo: l’amore è la chiave di tutto.

Negli ultimi mesi hai interpretato donne dalle diverse sfaccettature, c’è un personaggio a cui ti sei sentita molto vicina?

Mi sento molto vicina a quasi tutti i personaggi interpretati, c’è sempre tanto del mio in quello che faccio. Dare loro una voce e un corpo è già tantissimo. Se penso ad oggi, mi sento vicina proprio ad Anna di Chiamami ancora amore. E’ vero, non ho ancora figli, ma interpretando quel ruolo ho compreso quel disagio che a volte le ragazze che diventano madri presto (e si ritrovano da sole) possono provare. Anche il senso di inadeguatezza rispetto a certe situazioni, e poi molti altri momenti tra quelli raccontati che ho vissuto anche nella mia vita privata o dalle persone che mi circondano. Sono scenari riconoscibili nelle vite di tutti noi.

Credits: Daniele Barraco

Quale consiglio daresti ad un ragazza agli esordi nel tuo mondo?

Di essere sempre se stessa e non avere fretta di arrivare a tutti i costi, agendo con professionalità e determinazione. Anche io oggi sono cambiata rispetto al passato, rifletto di più e sono meno impulsiva, del resto è normale perché certe fasi si superano solo con la crescita. Ora do parecchia importanza all’esperienza che faccio sul lavoro ad esempio. Per me è più importante la vita sul set, più che il risultato finale della serie o del film. Quindi essere ambiziosi va bene, ma anche vivere in maniera sportiva e accettare quando le cose non vanno come vuoi.

Cosa ti ha lasciato la pandemia?

Il confronto con questa realtà mi ha lasciato da una parte sgomenta perché non riesco a prevedere le conseguenze di questa situazione per l’umanità nel lungo termine e dall’altra mi ha dato tempo per riflettere sulle vere priorità. Ho realizzato quanto possa essere fragile e impotente la vita umana.

Devi partire velocemente, cosa porti assolutamente con te?

Documenti/passaporto ( si spera di andare lontano),  caricabatterie, scarpe comode, trucchi, prodotti skincare. Un libro da leggere poi, fondamentale.

Il profumo della tua estate

Chanel in tutte le sue declinazioni, mi piace in ogni stagione.

Progetti imminenti tra lavoro e non…

Tenterò di viaggiare appena sarà possibile. Il viaggio è un’esperienza che ci arricchisce. Intanto sto preparando un nuovo lavoro per il cinema ( di cui non possiamo svelare nulla) e nel frattempo  mi muovo anche per produrre o girare un film come regista. Poi voglio andare al cinema, a teatro o nei musei.

Mi auguro che dopo questi mesi davvero difficili il cinema possa rimettersi in carreggiata e spero che le persone tornino in tutte le sale. L’inerzia di questo periodo a volte ci ha mortificati e annichiliti ma non dobbiamo fermarci. Invito a tutti a ritrovare la bellezza nell’arte!

Tahar Rahim: il vero fuoriclasse del cinema francese

Tahar Rahim, è un attore francese di origine algerina e possiamo dire tranquillamente che sta vivendo un momento d’oro della sua carriera artistica. È da poco stato nominato dalla stampa straniera ad un Golden Globe per sua magistrale interpretazione in “The Mauritian”, la vera storia tratta dal libro “Guantanámo Diary”. Al suo fianco nel film nientemeno che Jodie Foster. Ci racconta l’emozione di trovarsi sul set con una Oscar & Golden Globe winner. Il film uscirà a breve anche in Italia. Su Netflix, lo troviamo classificato ai primi posti con “The Serpent”, miniserie televisiva che racconta le rocambolesche avventure di Charles Sobhraj serial killer che ha operato negli anni 70’ nel triangolo d’oro della droga nonché crocevia degli hippie. La sua trasformazione per entrare nei panni del personaggio è davvero strabiliante, un vero fuoriclasse.

Come ci si sente ad essere nominati ad un Golden Globe come miglior attore per “The Mauritian”, in un film con Jodie Foster?

Che ti posso dire ci sente al settimo cielo al punto di dirmi che è incredibile. Quando sei un attore della mia generazione e sei cresciuto con i suoi film è quasi un sogno, ho dei ricordi vividi, di me, che vado al cinema a vedere “Contact” o “Il silenzio degli innocenti”, è una vera leggenda. Non ti nascondo che la prima volta che mi sono ritrovato davanti a lei ero quasi intimorito, ma dopo pochi secondi Jodie riesce a metterti a tuo agio e rilassato al punto da dimenticare quasi chi rappresenta.



Non è ancora uscito in Italia “The Mauritian”, perché raccomanderesti al pubblico di vedere il tuo film?

È una storia davvero molto importante che ha bisogno di essere raccontata, perché è una storia che parla di libertà, delle dure regole della legge e di umanità, la storia di un uomo che è stato imprigionato a Guantanámo Bay per quattordici lunghi anni senza neanche un capo d’accusa contro di lui. Mohamedou Ould Slah è passato attraverso un vero inferno in carcere quando è uscito come uomo libero ha voluto perdonare tutti, questo significa raggiungere un livello di perdono che va al di la di ogni immaginazione, una vera dimostrazione di anima pura e bellissima.



Devo citare una tua battuta del film “Come hai imparato il tuo inglese” visto che è impeccabile e senza nessun accento francese.

La verità? È che ho dovuto lavorare duramente, ho sempre amato la lingua inglese sin da bambino, ma quando mi hanno offerto la parte di Ali Soufan in “The Looming Tower”, sapevo di dover interpretare un cittadino americano, quindi sapevo che non avrei potuto sbagliare con piccole sbavature che non avrebbero convinto produttori o pubblico. Così mi sono preso un coach per quattro ore al giorno per tre mesi e quando ho iniziato a girare a New York, ho richiesto anche un coach sul set per essere sempre sicuro al cento per cento. Ancora adesso ho due lezioni alla settimana.

Oliver Stone ti ha dedicato un post su instagram, ed ha anche puntato il dito all’Accademy Awards per non aver menzionato neanche una categoria del tuo film per gli Oscar, intendendo che forse non sarebbe stata buona pubblicità per gli Stati Uniti.

Sinceramente quando me lo hanno detto non ci potevo credere che Mr. Stone avesse fatto un post su me e sul film, non possiamo certo dire che il cinema americano non è in grado di criticare la propria società, questa è la visione di Oliver Stone, io sto appena scoprendo come si muovono le carte in U.S.A.

Conoscevi già la storia di “The Serpent” prima di interpretare il protagonista nella miniserie per Netflix, in Italia non era così nota alle cronache forse perché francese.

La conoscevo ma non perché sono francese in quanto nessuno dei miei amici se la ricordava, ma avendo due fratelli maggiori un giorno ho trovato il libro sulla storia di Charles Sobhraj in camera da letto e sono rimasto affascinato dalla sinopsi. Avevo sedici anni e volevo già fare l’attore, solo che in quel momento non capivo il reale orrore che si nascondesse dietro quell’uomo, però mi ero immaginato di interpretarlo. Quando nel 2001 ho scoperto che Benicio Del Toro stava per iniziare le riprese del film su questa storia ero rimasto deluso, poi invece non lo hanno più fatto. Poi esattamente vent’anni dopo ho ricevuto una mail dal mio agente che mi diceva che avrei interpretato un serial killer, e poi ho capito che era proprio lui. La vita è incredibile. È un po’ come se il destino mi avesse mandato questo ruolo.


Pensi che quando riapriranno anche in Francia i cinema la gente tornerà a comprare i biglietti come prima o rimarrà fedele allo streaming?

Ci sarà la bella stagione in quanto stiamo per andare incontro all’estate e forse la gente vorrà stare all’aperto, però se posso permettermi di dire una cosa, noi umani siamo portati a dimenticare, quando sarà tutto finito vorremo solo tornare alla normalità, e quindi anche ad andare al cinema.

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Andante nostalgia: il Vaderetro nello zeitgeist della moda

Un passo indietro per fare spazio al duo che si autoproclama come l’araba fenice della moda italiana. Finalista del Who’s on Next 2020,  Vaderetro è una mappatura dell’antropologia umana focalizzata sull’analisi delle contaminazioni che giungono dagli usi e costumi territoriali.  Hanna Marine Boyere e Antonio D’Andrea da cittadini del mondo, dopo aver calcato il Regno Unito, la Francia, il Marocco e il Chile, approdano al 50% delle proprie radici per dar vita ad una «bonne aventure» con l’intento di valorizzare il know how e la sartorialità Made in Italy.

La proattività culturale che vi contraddistingue , per il prossimo Autunno/Inverno, lascia fluire le proprie idee partendo dalla collaborazione con un pittore italiano,  Golia, che realizza un esclusivo dipinto olio su tela “one of”. L’opera d’arte, d’ispirazione macchiaiola, “Ho visto degli zingari felici”, diventa l’essenza della collezione il cui racconto è nelle vostre mani lette dalla cartomante che ne predice il futuro.

Siamo profondamente convinti delle contaminazioni generate dalle sinergie più variegate. Non amiamo le speculazioni e le visioni finalizzate unicamente al lato commerciale di un prodotto moda.  



Non solo arte figurativa per un lavoro che possiamo definire etno-antropologico. Il prodotto creativo che ne deriva è ispirato a uno dei gruppi minoritari più noti in Europa: il popolo Roma. Come siete entrati nella sua identità, nata dalle contaminazioni morali, religiose e artistiche attinte dai paesi che gli hanno fatto da “genitori adottivi”?

Un brand è sostenibile e etico quando si approccia anche alle tematiche inerenti le minoranze mettendone in luce aspetti mai emersi sinora. Abbiamo trovato la bellezza nel gruppo “Roma” che in molti paesi non è ben visto. Ghettizzato e stigmatizzato seppur con forti componenti culturali. Ne abbiamo ricreato l’immaginario puntando i riflettori sui fenomeni migratori che da sempre accompagnano l’umanità.

Avete recentemente introdotto una capsule permanente  “Vade-recycle” dedicata interamente a capi realizzati con tessuti e accessori vintage dead stock. In un mondo che si muove sempre più verso l’up cycle in cosa si differenzia la vostra proposta?

L’immergerci negli stock è una delle nostre più grandi passioni, non solo tessuti ma anche merceria e rifiniture. Questo imprinting deriva dal nostro viaggio in Marocco, dal Suq a Forcella, da Napoli a Londra. La scoperta degli archivi e del passato è il concept stesso di VadeRetro. Far riemergere e ridar vita a ciò che è stato.



La filosofia che vi appartiene decanta la fluidità di genere e l’ aesthetic nostalgia e l’eclettismo per il quale si contraddistingue è stato già apprezzato da alcune celebrity. Vaderetro a Sanremo i vostri look sono stati scelti per Fulminacci detenendo il primato di un’ascesa in tempi record. Come proiettate le vostre collaborazioni con il mondo dello spettacolo?

Diamo sempre un forte valore ai placement allineati con la nostra vision, motivo per il quale i testimonial VadeRetro devono sempre trasmetterne il messaggio senza snaturarlo. Di sicuro le nostre scelte saranno sempre oculate e trainate verso l’emozionalità generata dalle stesse.



Avete recentemente affermato che il vostro sogno sarebbe quello di riuscire ad affermarvi non solo come brand di abbigliamento, ma come un vero e proprio movimento culturale, avendo la possibilità di lavorare con enti e associazioni che lottano per cause che vi appartengono. Avete già attivato sinergie in tal senso?

I valori etici di Vade Retro partono innanzitutto da un processo produttivo trasparente, dando in primis risalto all’elemento umano e alla manodopera. Ne deriveranno sicuramente altre tematiche e non vediamo l’ora di diventarne portavoci.

Photographer: Carmine Romano

La recitazione secondo Gianni Rosato: impegno, passione ed emozione

Hair Stylist:  Gian Battista Virdis di A.M. Parrucchieri Porto Torres

Gianni Rosato è un attore prolifico che nel corso della sua carriera ha accumulato un gran numero di esperienze tra teatro, tv e cinema. Originario di Catanzaro, si è trasferito a Roma per rendere la recitazione una professione, frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia e l’Actor’s Planet.
Nel 2005 è stato notato dal regista Giulio Base, che gli ha regalato il suo primo ruolo cinematografico in L’inchiesta. Da allora ha recitato in diverse serie e pellicole, passando dai titoli noti al grande pubblico (tra gli altri Un medico in famiglia e Che Dio ci aiuti) a film come Figli di Maam e Edhel, per finire con La fuggitiva, in onda su Rai 1. 


Ph: Serafino Giacone

Come è nata la tua passione per la recitazione?

«Questa domanda me l’hanno fatta spesso, non riesco a dare una risposta precisa. Ricordo benissimo che in terza elementare scrissi su un compito in classe di voler fare l’attore.
La passione per la recitazione è venuta col tempo, comunque mi è sempre piaciuta l’idea di vivere una vita diversa, magari di evadere da quelle situazioni in cui subivo il bullismo e desideravo  solo chiudere gli occhi e fuggire; poi mi sono reso conto che si trattava solamente di voglia di esplorare, di mettersi alla prova e raccontare delle storie interpretando qualcun altro.
Mi affascinava il cinema dei grandi registi italiani e non solo, negli anni della scuola restavo incantato davanti a film come E.T. L’extra-terrestre o Il tempo delle mele. Ecco, penso che la passione sia esplosa proprio lì.
La recitazione è l’arte del poter vivere tante realtà, è pensare, interagire, immedesimarsi nei personaggi più disparati. Non basta imparare a memoria la parte, bisogna compiere un lavoro interiore tremendo e meraviglioso al tempo stesso, con cui si impara a conoscere davvero se stessi e incanalare le emozioni. Amo recitare, non importa il contesto, la cosa importante è farlo al meglio, emozionandosi».

Quali sono i tuoi maestri, ideali e non?

«Idealmente avrei tanto voluto confrontarmi con chi ha fatto la storia del cinema, ad esempio Fellini, Bertolucci, Leone, Antonioni e Pasolini.
Per quanto riguarda la mia formazione, potrei stilare un elenco infinito partendo da Giancarlo Giannini, Alberto Negri, Enzo Garinei… Mi reputo fortunato ad aver avuto la possibilità di studiare con grandi autori, e di continuare a farlo. Non nascondo che mi piacerebbe moltissimo lavorare con Özpetek, Genovese, Bruno e un regista con cui ho già collaborato e che stimo senza riserve, Carlo Carlei».

Qual è la prima esperienza professionale ad averti segnato?

«Per mantenermi facevo il cameriere in un locale e una sera incontrai Giulio Base. Per farla breve, mi chiese cosa facessi nella vita, gli parlai di me, di quanto credessi nella passione per il cinema. Due giorni dopo mi chiamò la IIF, Giulio aveva visto in me qualcosa e mi diede un ruolo inL’inchiesta, così mi ritrovai a confrontarmi con nomi del calibro di Ornella Muti, Mónica Cruz e Max von Sydow; un’esperienza straordinaria, che auguro a tutti!».


Ph: Serafino Giacone

Hai lavorato anche in una celebre fiction, Un medico in famiglia: parliamo di come cambia il tuo lavoro a seconda delle diverse esperienze.

«Ho conosciuto Lino Banfi anni fa, ricordo che ci raccontò della sua infanzia difficile e, vedendolo emozionarsi, espressi fra me e me il desiderio di lavorare insieme, da una personalità del genere c’è solo da imparare.
Nella serie ho interpretato un personaggio dal carattere forte che si scontra subito con Nonno Libero, l’ho vissuto intensamente anche perché, come ho detto varie volte, amo dar vita ai personaggi sfruttando i miei trascorsi, tuttavia quando non hanno niente a che vedere con il mio passato e non mi somigliano affatto, il gioco si fa ancora più divertente».

Sono in uscita nuove produzioni a cui hai preso parte, a partire da La fuggitiva, puoi parlarcene?
«Devo dire innanzitutto che lavorare con un regista come Carlei è stata una grandissima soddisfazione, professionalmente parlando mi sono innamorato di lui da ragazzino, guardando i film su Padre Pio ed Enzo Ferrari.
Ne La fuggitiva sono Goran, faccio parte di un clan di slavi che decide di rapinare una famiglia facoltosa, alla fine però, come spesso accade, le cose non vanno come previsto… Ma non voglio anticipare nulla, si tratta di una storia davvero avvincente, che terrà gli spettatori col fiato sospeso per tutto il tempo. Andrà in onda su Rai 1 nel prime time».


Ph: Serafino Giacone

Al di là del lavoro, quali sono le tue passioni?

«Ho sempre sognato di lanciarmi da un aereo, sicuramente lo farò. Amo andare a cavallo, leggere un bel libro e confrontarlo con il film senza aspettarmi nulla in particolare. Solitamente cerco di realizzare tutto ciò che sogno ad occhi aperti e se non ci riesco va bene così, almeno non avrò rimpianti.
Mi chiedo spesso cosa farei se non fossi un attore e penso che mi piacerebbe essere un oncologo, salvare vite, dare il mio contributo alla scienza».

Quando viaggi cosa non può mancare nella valigia?

«Immagino verrebbe spontaneo rispondere con cose tipo documenti, carte di credito, cambio e così via, nel mio caso però non deve mai mancare il costume da bagno, perché ogni volta che parto la direzione è il mare, è vitale per ricaricarmi».


Ph: Gian Piero Rinaldi

Quali sogni vorresti realizzare nei prossimi anni?

«In realtà non ho sogni ben chiari, o magari sono troppi… Ho imparato comunque che sono il carburante della vita, si possono avere infiniti sogni e progetti, non ci sono limiti in questo senso, dunque ho deciso di fare una lista di ciò che amo, dei luoghi da visitare e, perché no, di tutte le cose folli che finora non mi sono permesso di provare per paura del giudizio altrui. Voglio adoperarmi affinché non passi un solo giorno senza fare qualcosa per me stesso. Bisogna sempre concedersi la possibilità di stupirsi, di meravigliarsi di fronte alle novità, si potrebbero scoprire cose che non hanno prezzo». 

Faces: Lorenzo Licitra

Photographer: Giorgia Villa (@giorgia_villa)

Stylist: Stefano Guerrini (@stefano_guerrini)

Make-up & Hair: Asja Redolfi Tezzat (@asjaredolfi_makeup); Francesca Lana (@fraa_elle)

Assistenti Stylist: Erna Džaferović (@ernadzaferovic); Aurelio Comparelli (@aureliocomparelli); Laura Grandi (@laugrandi)

Model: Lorenzo Licitra @Urbn Models  (@lorenzolicitraofficial)

Ha vinto XFactor, in un anno in cui a farsi notare sono stati i vincitori del Festival di SanRemo di quest’anno, ovvero i Maneskin. Lui, che nel nostro incontro, con una gentilezza e un savoir faire quasi british, ha belle parole per tutti, vinse per la bellissima voce e per una presenza scenica che meriterebbe palchi importanti. Quando arriva in studio Lorenzo Licitra sembra timido, ma subito nasce un’ intesa quando entrambi chiediamo di mettere in sottofondo qualche canzone di Madonna, e l’essere entrambi fan della Ciccone ci da modo di scambiarci subito ricordi e opinioni. Quando Lorenzo è a suo agio, e si vede in queste foto, riesce a dare moltissimo di se stesso, umanamente e da un punto di vista interpretativo, al punto che è davvero un piacere trascorrere del tempo con lui. Ecco il servizio scattato da Giorgia Villa, con il mio styling, e la nostra chiacchierata, certi che il Licitra cantante, modello per Man In Town, ma anche il Licitra persona, che traspare dalle sue parole, vi conquisterà, come ha conquistato noi.

Come ti sei avvicinato alla musica e come hai capito che questo mondo sarebbe stato il tuo?

Sono sempre cresciuto a pane e musica grazie ai tanti viaggi in macchina con papà e mamma. Fin da piccolissimo mi sono affezionato a questo grande mondo comunicativo, dai dischi di un tempo, alla magia che suscita un palco, dagli strumenti musicali, alle mille collezioni di microfoni che ho tenuto in casa come trofei. Negli anni lo studio di altre discipline artistiche e la passione per il canto hanno affinato la volontà di fare questo nella vita perché forse non sarei capace di fare altro, molto sinceramente!


Cappotto Andrea Pompilio, cappello model’s own, scarpe Converse All Star

Cosa ti ha insegnato la musica in questi anni e c’è qualcosa che invece hai perso a causa sua?

Prendo tanti spunti ogni giorno dal mondo che mi circonda; l’originalità è il segreto che deve sorprendere. Madonna credo sia una delle massime espressioni d’arte a volte anche troppo estreme. Riesce ad abbracciare generi, mondi, culture ed ideologie sempre diverse convogliandole sempre in un mood nuovo ed originale, magari tutto è servito sempre con provocazioni, anche con libertà, ma in un modo molto gratuito utilizza la musica per denunciare tutto ciò che oggi non le piace. Si, mi ispiro molto a modelli come lei, che amano comunicare grandi messaggi sociali, sto parlando di artisti come i Queen, Rolling Stones, Beatles, ecc ma che alla fine cambiano la storia, hanno influenzato anni, mode, semplicemente le nostre vite con l’emotività che la musica può creare. Questo è il grande potere che in fondo nasconde. 



Cosa ti ha insegnato la musica in questi anni e c’è qualcosa che invece hai perso a causa sua?

Ho imparato cosa significa la parola ‘costanza.’ Senza di essa non si può vivere di musica. È lei la responsabile di gioie e sofferenze nel bene e nel male, ma di sicuro mi insegna ogni giorno come trasformare un momento di vita difficile in corde emotive di scrittura che fanno sicuramente bene a chi le scrive e a chi le ascolta. 

La cosa (parlando di lavoro) di cui sei più fiero?

Sicuramente aver vinto un programma musicale e televisivo è una delle gioie più belle vissute finora, ma in realtà sono molto più fiero di ciò che X-Factor mi ha regalato concretamente, ovvero la possibilità di confrontarmi ancora oggi con musicisti e professionisti del settore. Lavorare con loro e imparare da loro soprattutto è un grande regalo, difficilmente sarei riuscito a raggiungere da solo questi obiettivi. 



Che cos’è l’eleganza per te?

Eleganza uguale bellezza, innata ahimè, se di eleganza vera si vuol parlare. Ti rapisce, ti lega, ti strega e forse non ne puoi fare più a meno. Sono una persona che rimane molto affascinata dall’eleganza e ne ho molto rispetto. È un tema molto vasto, ma credo che il nostro mondo di oggi abbia bisogno di tanta eleganza vera.



Cosa non può mancare nel tuo guardaroba?In generale, qual è il tuo stile?

Adoro i capi eleganti d’abbigliamento come smoking, tight, frac, ecc… Chiaramente non li uso quotidianamente, ma sono la mia personale firma nelle occasioni più importanti. Di sicuro non può mai mancare la praticità degli abiti e la ricerco molto. Da bravo cantante preservo la voce, quindi le sciarpe sono l’elemento essenziale che in ogni mia valigia armadio non può mai mancare.



Altri amori oltre alla musica? Cosa ti piace vedere in tv o al cinema, hai un artista del cuore, cosa leggi?

Amo viaggiare, e mi manca tanto farlo. In questo periodo di lockdown ho scoperto la passione per la storia del passato, infatti ultimamente mi sto affezionato a racconti e studi di grandi professori universitari o studiosi di ere storiche passate che con fervore riescono a trasmetterti pensieri, modi di pensare, addirittura preoccupazioni e pensieri di culture lontanissime dai giorni nostri. 


Total look Automobili Lamborghini, scarpe Converse All Star

E invece cosa non può mancare sulla tua tavola?

Da bravo siciliano posso dire tranquillamente di essere un’ottima forchetta. Quindi fatico tanto a vivere lontano dalla tavola di casa. Non preferisco cibi ad altri, ma se manca la pasta sono un po’ triste!

Quando si potrà ritornare a viaggiare con sicurezza, quale città in Italia e nel mondo ti sono care e perché? Ci dai qualche suggerimento su cosa vedere in questi luoghi?

Tornerei immediatamente a Firenze. Ho bisogno di conoscere meglio la sua storia e chi ha avuto il grande privilegio di abitarla in epoche importanti.Poi tornerei subito nella mia amata New York. Vado spesso lì per lavoro o a trovare tanti amici. Ma credo che più che suggerire un luogo o una città, la cosa più bella che possiamo tornare a fare è proprio scoprire la bellezza del viaggio nuovamente e cosa riesce a darti ogni volta un’esperienza diversa, ci siamo un po’ arrugginiti in questo ultimo periodo. 


Giacca denim Alienation

Sogni e progetti per il futuro?

Il grande sogno di poter vivere sempre di musica oggi è l’urgenza più grande! Nei piani c’è l’uscita di un disco, continuo a scrivere molto affinché questo silenzio di questi anni venga ripagato al più presto.

L’attore Niccolò Ferrero si racconta tra passioni, esperienze e traguardi

PH: Davide Musto

Niccolò Ferrero è un attore torinese 24enne, trapiantato a Roma per lavoro. Ha studiato al Centro Sperimentale di Cinematografia per poi prendere parte a serie, cortometraggi e un film di prossima uscita, E buonanotte, che segnerà il suo debutto da protagonista sul grande schermo.



Puoi raccontarci il tuo percorso? Chi è e cosa fa Niccolò…
«L’amore per i film nasce da due genitori appassionati che mi hanno sempre portato al cinema, così che una volta a casa mi trovavo a rivivere quanto avevo visto, diventando un cowboy, uno 007 ecc. Essendo figlio unico giocavo perlopiù da solo, mettendo su dei veri e propri set con ciò che capitava, penne, bottiglie e così via, idem a scuola quando mi annoiavo, una cosa che in realtà faccio tuttora».



Qual è stato il tuo percorso verso la recitazione?

«Mi ci sono avvicinato a 17 anni, nei tre mesi trascorsi alla Ucla, e tornato in Italia ho realizzato di voler fare questo nella vita, ripromettendomi di entrare al Centro Sperimentale, che consideravo il tempio della recitazione, un obiettivo effettivamente centrato. Avevo però un grande handicap per un attore, la erre moscia, così per tutto il primo anno mi sono dedicato agli esercizi per correggerla, riuscendoci; quello ha rappresentato un cambio importante a livello di consapevolezza».



Hai recitato in tv, corti, film, c’è un genere che preferisci?
«Il mio regista preferito è Salvatores, che in questo senso spazia moltissimo, mi piacerebbe fare altrettanto e mettermi alla prova con tutto. A livello di singolo progetto, invece, sceglierei certamente E buonanotte, che uscirà a breve: è quello cui sono più affezionato, il mio primo film da protagonista».



Ho notato parecchio teatro nel tuo curriculum…

«Ho fatto molto teatro a Torino, fino ai 18 anni, un modo di esprimermi significativo, ho cominciato però soprattutto per seguire i miei compagni di scuola, ritrovandomi sul palco. Tutti gli spettacoli sono stati realizzati da un gruppo torinese guidato da Enzo Pesante, in cui i ragazzi scrivono i testi da mettere in scena. Non ho avuto quindi una formazione teatrale classica, come quella che in seguito mi avrebbe fornito il Centro (dove si passava dagli autori russi dell’800 alle pièce moderne), era un’attività sperimentale, un gioco se vogliamo, ma stimolante».

Sogni di lavorare con qualche regista in particolare? Ci sono generi o ruoli specifici cui vorresti dedicarti?

«Per quanto riguarda i registi Salvatores, sicuramente. In camera ho tre poster: Goodfellas (dunque se vogliamo sognare in grande, un bel gangster movie con Al Pacino), L’odio e, di nuovo, Salvatores con Mediterraneo. Scherzi a parte, sono esempi di generi con cui sarebbe bello confrontarsi, inoltre mi piacerebbe interpretare un road movie».



Vuoi parlarci del tuo primo film?

«E buonanotte è la storia del mio personaggio Luca, un 20enne che ha perso la mamma da piccolo, una perdita che gli ha causato una grande mancanza; lui la associa e traduce in una cronica mancanza di tempo, sostiene di non averne mai abbastanza, di non poter fare nulla, e sogna di eliminare il sonno per non sprecarlo… E ci riesce, arriva addirittura a non essere mai stanco, nonostante tutto continua però a fare esattamente le stesse cose di prima (uscire, giocare alla PlayStation…), finché l’incontro con una ragazza lo porterà a usare il tempo in modo diverso, a donarlo agli altri; vivrà quindi una trasformazione che mi è piaciuto molto rendere, anche in termini di abiti, modo di parlare e via dicendo».



Come valuti il binomio costume e personaggio? Che rapporto hai personalmente con la moda?
«Credo sia fondamentale il rapporto tra abito e personaggio, l’ho capito al Centro quando ho recitato testi di autori ottocenteschi ed erano diversi i capi come il modo di portarli; lo stesso vale per i progetti ambientati negli anni ‘60, vestendo una giacca di quel periodo ho sentito una pesantezza inedita, e questo cambiava anche il modo di camminare, di relazionarsi all’abito. Io poi cerco sempre di assumere la condizione fisica del personaggio, per riuscirci devo passare da ciò che indossa e perciò provo a sperimentare, a confrontarmi in merito con truccatori e costumisti. Sul set di E buonanotte, ad esempio, neppure provavo senza determinati accessori che mi facessero calare nel ruolo (orologio, scarpe bianche ecc). In sostanza, quando studio e poi divento un personaggio mi ci dedico a 360 gradi, abiti compresi.

Il mio stile personale è a metà tra casual e streetwear, di solito indosso jeans skinny e d’estate oso capi più particolari, camicie di lino con collo alla coreana oppure blazer leggeri. Mi piace inoltre scovare delle chicche nei negozi vintage, senza badare troppo al marchio».



Progetti e desideri per il futuro?

«Spero innanzitutto che esca quanto prima E buonanotte, in autunno invece sarò su Rai1 con il serial Blanca. Tra qualche settimana, poi, arriverà su Canale 5 Buongiorno, mamma! in cui interpreto Piggi, personaggio della linea comica; il regista è Giulio Manfredonia, è stato davvero interessante lavorare a un ruolo comico con lui che ha vinto il David con la commedia Si può fare. Per il futuro, spero di continuare così».

Il talento di Giuseppe Giofrè, dall’Italia a Los Angeles

Straordinario è il sogno che ha vissuto Giuseppe Giofrè, giovane ballerino calabrese famoso ormai in tutto il mondo dopo essersi esibito al fianco di Taylor Swift, Jennifer Lopez e di altre popstar come Ariana Grande e Camila Cabello. Il suo desiderio è diventato realtà: dopo aver vinto la categoria Ballo di «Amici» nel 2012, il talent  vola in America e la sua carriera prende letteralmente il volo. Tantissimi sono oggi i ragazzi che rincorrono una favola come la sua e che cercano di ritagliarsi uno spazio sul palco: abbiamo incontrato il ballerino che ci racconta la sua storia.

Come è nata la tua professione?

I genitori scoprono il talento dei loro figli: ballo da quando sono piccolo. Ricordo che a sette anni mia mamma mi vedeva saltare ovunque, non stavo mai fermo, fu proprio lei a motivarmi ad iniziare questo percorso. Presto presi lezioni amatoriali nel mio paese per poi a 17 anni seguire dei corsi più professionali. Cominciai a viaggiare, migliorai nella tecnica, e sbarcai a Los Angeles.


 Credits: @pawelherman

Chi è stato il tuo maestro più importante?

A 17 anni una mia amica, Noemi Verduci, mi invitò a fare lezione da lei, perché riconosceva in me un particolare talento: mi ha fatto aprire gli occhi su molteplici aspetti ed ha contribuito decisamente alla mia crescita, sia personale che professionale. 

Cosa consigli a chi ti chiede “come faccio oggi a diventare un ballerino di successo”?

Rispondo sempre che non è impossibile. Io sono un ragazzo umile, nato e cresciuto in una famiglia di un piccolo paese della calabria. Sicuramente devo  ringraziare la vittoria ad “Amici”, che mi ha permesso di pagare un sacco di cose, come agenzie, avvocati, manager, etc… Ma mi sono sempre dato da fare: con tanto impegno e testa sulle spalle, tutti i sogni si possono aggiungere. 



Rispetto al passato, credi sia più semplice oggi riuscire a ritagliarsi uno spazio in questo settore? I social media possono aiutare a trovare il  successo?

Sicuramente più andiamo avanti più è facile, con i social abbiamo una vetrina in più che ci permette di farci notare. Lo stesso discorso vale anche nel panorama musicale: hai diverse possibilità di essere contattato. Prima non c’era tutto questo. Quando la mia carriera cominciò, 10 anni fa, i social ancora non esistevano, o meglio, non avevo neanche Instagram a quei tempi… Oggi sicuramente c’è un il grande vantaggio di creare tutto  in maniera amatoriale e andare online come e quando vuoi: siamo soggetti ad un’esposizione maggiore. Le opportunità sono dietro l’angolo, bisogna saperle sfruttare ed essere sempre sé stessi: io sono rimasto con i piedi per terra, un ballerino onesto e simpatico.


Credits: :@smiggi

Tra qualche anno ti vedi in Italia o all’estero? Progetti per il futuro?

Assolutamente all’estero: sono ancora giovane, non mi piace stare comodo. Nella vita ho sempre sfruttato il tempo al massimo: non riesco a mettermi tranquillo e agiato; questi sono gli anni migliori, dobbiamo fare sempre di più, scoprire cose nuove e darci da fare. In Italia tornerò, un giorno, quando avrò completato il mio bagaglio. Riguardo al futuro, per ora l’unica certezza è a luglio: sta per uscire un film del quale sono molto orgoglioso di farne parte: il nuovo cenerentola in versione musical, una cenerentola inedita, che vedrà la partecipazione anche di Camila Cabello.

New faces: Giorgio Belli

Ph: Davide Musto

Styling: Rosamaria Coniglio

Ass. Ph: Emiliano Bossoletti

Location: Castello di Torre in Pietra, Roma

Location Manager: Luisa Berio


Giorgio Belli è solo agli inizi della sua carriera, ma grazie alla giovane età e al temperamento, riesce nel 2017 ad ottenere l’ammissione al Centro Nazionale di Cinematografia YD’Actors – Yvonne D’Abbraccio Studio che gli permette di accedere così al corso Accademico Triennale, superando una selezione serrata su scala nazionale. Forte di determinazione ed entusiasmo già dai suoi primi provini ottiene subito grandi consensi e approda nel 2019 alla piattaforma Netflix vincendo il ruolo di Pietro nella serie Luna Nera che segna il suo debutto come protagonista in 190 paesi. Avremo modo di rivederlo ancora in video o forse anche a teatro come lui stesso anticipa, ma intanto conosciamolo meglio nell’intervista…

Raccontaci il tuo percorso fino ad oggi…

Fin dagli ultimi anni del liceo non ero sicuro che quello che stessi vivendo fosse abbastanza, non amavo il fatto che il futuro che mi si prospettava davanti dovesse essere per forza vincolato ad una singola scelta che avrei dovuto portare avanti nel bene o nel male per tutta la vita. Poi andavo al cinema e tutte quelle storie così diverse e fantastiche mi travolgevano ogni volta a tal punto che uscendo dalla sala dicevo: ‘’Vorrei essere come loro’’. Così un giorno senza dire nulla ai miei feci, su suggerimento di un amico, il provino d’ingresso alla YD Actors – Yvonne D’Abbraccio Studio e dopo una lunga selezione mi ritrovai dentro quel mondo folle con tanta voglia di imparare e zero esperienza. Ho avuto la fortuna di incontrare una persona dedita e appassionata come Yvonne, sono cresciuto molto sotto la sua direzione, abbiamo passato insieme e con gli altri ragazzi giorni e notti intere a studiare in Accademia, senza mai fermarci, l’unico motore era la passione per quello che facevamo e questo mi ha sempre affascinato molto. Poi sono arrivati i primi provini e subito dopo le prime esperienze lavorative. Luna Nera è stato il mio esordio su un set, una prima esperienza sicuramente unica nel suo genere, bella ed impegnativa, devo ringraziare tutte le persone che l’hanno vissuta con me, specialmente la mia insegnante e coach per avermi costantemente affiancato durante questo viaggio incredibile. Adesso non so come continuerà la mia strada, ma guardando a qualche anno fa forse lanciarsi ad occhi chiusi dietro ad una passione non è stata poi un’idea così tanto folle.

Come gestisci il successo che ti ha portato Luna nera?

Per quanto mi riguarda ho sempre inteso il successo come una cosa soggettiva, per me significherebbe avere un giorno la possibilità di interpretare e dare vita ad un personaggio che rimanga nel tempo e nel cuore delle persone, che lasci qualcosa di importante agli spettatori una volta usciti dalla sala, così come è successo e succede tutt’ora a me quando vedo sullo schermo i grandi del mondo del cinema. Quindi in realtà rimango molto tranquillo e concentrato sulla mia crescita attoriale e personale, così da poter essere pronto il giorno in cui magari arriverà quest’occasione.

Con quali registi ti piacerebbe lavorare in futuro?

Ce ne sono diversi, amo il cinema italiano e penso che nel nostro paese ci siano registi di altissimo livello. A partire da Paolo Sorrentino per cui stravedo, mi piacerebbe poi molto lavorare con Matteo Rovere e i fratelli D’Innocenzo. In un’ottica un po’ più internazionale, ma sempre rimanendo in tema sarebbe un sogno prendere parte ad un progetto di Stefano Sollima.

Sempre parlando di serie invece, una che stai apprezzando?

Una serie che ho finito da poco, iniziata per curiosità, ma che mi ha conquistato subito dopo le prime puntate è ‘’Normal People’’ su Starz Play. Come dice il titolo è la storia di due ragazzi “normali” attraverso la loro vita insieme e separati, ma raccontata in una maniera così profonda e reale che ti porta a riconoscerti in quello che vivono i personaggi anche se forse non lo ammetteresti mai. I due personaggi principali sono interpretati da Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal, e a mio parere hanno fatto un lavoro straordinario.

I capi essenziali nel tuo armadio?

Dipende da come mi sento ogni giorno, il mio armadio straripa di capi i generi, passo dalla camicia al pantalone aderente e stivaletto al jeans strappato e felpone più cappello da pescatore con una facilità incredibile. Mi diverte vestirmi come se stessi interpretando un personaggio.

Un luogo che vorresti visitare?

Ho il sogno di girare l’Indonesia zaino in spalla, senza meta, unico punto di arrivo prefissato è Bali, vorrei fermarmi lì un po’ più tempo a vivere di surf e falò notturni. Appena sarà possibile voglio andare, è troppo tempo che lo pianifico, e non sono del tutto certo che tornerò.

Progetti imminenti?

Mi stavo dedicando ad un progetto a cui tenevo molto, ma purtroppo la pandemia l’ha bloccato sul nascere e non so se riusciremo a riprenderlo. Dopo l’esperienza delle serie tv avevo il sogno di confrontarmi con il teatro. Ho molto rispetto di ciò che il teatro incarna per la recitazione e non penso che si possa salire su un palco con tanta leggerezza, c’è bisogno di una grande preparazione sia singola che collettiva. Purtroppo questa situazione ha fatto saltare un po’ tutti i piani, ma spero comunque in futuro di riuscire a coronare anche questo sogno.

Attivismo in musica : David Blank

Ci sono artisti che restano nel cuore soprattutto per il loro impegno nell’ambito della collettività e per la sensibilità nell’abbracciare tematiche politiche e sociali. Il sorriso contagioso di David Blank pervade quasi quanto la profondità della sua voce che libera profonde riflessioni riguardanti la comunità afroitaliana e LGBTQI.

Artista di punta del roster FLUIDOSTUDIO, con un background londinese, e icona di stile grazie alle collab con importanti brand come Tommy Hilfiger, Gucci e Calvin Klein, decide di svelarsi a Manintown in un contenuto esclusivo a poche settimane dall’uscita del suo ultimo video.

David Blank giunge negli Airpods urlando “io sono qui”.  Il diritto di reclamare il proprio posto nel mondo è il fulcro del tuo impegno per la collettività. Un artista che sin dagli esordi è emerso per il suo forte attivismo in difesa delle comunità alle quali si presta come baluardo. Quanto tempo dedichi a questo impegno e quali sono i mezzi, oltre alla produzione musicale, che utilizzi per promulgare i messaggi e sensibilizzare il prossimo?

Sono molto impulsivo quindi se vedo una cosa che non mi piace o delle ingiustizie o temi che mi stanno a cuore, non riesco a star zitto. Uso maggiormente i social, Instagram e Twitter.


Il brano manifesto, nato per una campagna pubblicitaria di David Blank x Calvin Klein e prodotto per l’etichetta indipendente FLUIDOSTUDIO, esplode nel videoclip in cui mostri la potenza della tua fisicità e le abili doti, non solo canore, ma anche come dancer. Quanto tempo ha richiesto l’elaborazione di un testo così emblematico?

Sono una persona che scrive di getto, quando sono ispirato, ma con “I Am Here” è stato veramente un processo perché stavo parlando con me stesso in quel momento, quindi dovevo trovare le parole giuste per tirarmi fuori dal sentimento di stallo e insicurezza di cui parlavo nel mio primo singolo “Standing In Line”. Ci ho messo un paio di giorni ma alla fine il messaggio è chiaro e spero che come aiuti me, in momenti in cui penso di non farcela, lo faccia anche per chi l’ascolta.

L’incontro con la musica avviene nella più tenera età, grazie ad un padre predicatore e a una forte spiritualità congenita che ti conduce a cantare nel coro della chiesa, i Cherubim and Seraphim (Love Divine). Quanto è importante la dimensione spirituale per un artista che mette al primo posto le tematiche più delicate?

Per me la musica è sempre stata connessa alle emozioni ed alla spiritualità. Da quando in chiesa mi hanno insegnato ad usare la mia voce con intenzione, dovunque io mi trovi, che sia su un palco o in strada, quando canto, scrivo e parlo l’intenzione c’è sempre. La spiritualità mi ha insegnato ad esorcizzare i miei sentimenti attraverso la voce, per questa ragione canto e parlo spesso di temi delicati.

Il tuo empowering chorus per la prima volta si approccia a sonorità estremamente pop che creano un connubio perfetto con la tua voce soul e intimista. Come è nata la voglia di veicolare il messaggio in una maniera leggermente diversa dal solito? 

Ho pensato ad un sound che volesse fare alzare dal letto, svegliare e motivare l’ascoltatore. Tendo sempre a far musica più chill ma in questo caso avevo bisogno di fare un pezzo dove poter urlare “io sono qui, io conto e sono importante”.



Ci hai abituati a testi profondi e a titoli importanti; raccontaci del tuo nuovo EP, in uscita il 29 aprile 2021 per FLUIDOSTUDIO, dal nome evocativo “EXHALE”.

Il nuovo EP è un piccolo viaggio tra le mie varie personalità, il mio biglietto da visita, in cui ho cercato di far risaltare le diverse influenze musicali che mi hanno segnato. Per quanto riguarda i testi ho deciso di sperimentare, ci sono testi astratti, da interpretare, ed alcuni con concetti più espliciti. È il mio respiro profondo ed il passo verso il mio prossimo capitolo.

Lo scorso Natale ci hai stupito con la presenza nella colonna sonora dell’ultimo film Disney/Pixar “SOUL”, come hai deciso di celebrare la musica nel futuro prossimo e quali sono i momenti di confronto che vorresti auspicarti?

Fare parte della colonna di un film Disney è un sogno che si avvera ed ancora non mi sembra vero. Per il futuro vorrei fare tanta musica, più collaborazioni con artisti che stimo e riuscire a riunire le mie due passioni: la musica e la moda.


Special contents direction, production, interview & styling Alessia Caliendo

Photographer Clotide Petrosino

Grooming Eleonora Juglair 

Alessia Caliendo’s assistant Andrea Seghesio

Special thanks to

Casa Calicantus

Madre

Beauty by 

Dermalogica

FaceD

Shiseido

Dalla tv ai social: comunicare secondo Mariella Milani

Giornalista alla Rai per 33 anni, Mariella Milani è stata fra le prime donne a condurre il TG2, inviata speciale in cronaca, caporedattrice ed autrice di numerosi reportage. La critica di moda è approdata anche online, dimostrando una notevole consapevolezza e dimestichezza con mondo dei social: durante il primo lockdown, ha creato “Un caffè con Mariella”, la rubrica in diretta sul suo profilo Instagram, raccontando a 360 gradi in modo ironico, deciso e soprattutto pungente, il settore fashion. Da poco si trova in tutte le librerie il suo ultimo lavoro,“Fashion Confidential”, edito da Sperling & Kupfer, che traccia i dettagli della sua esperienza professionale, attraverso le interviste dei più noti e distinti personaggi.

Come è nata la tua professione di giornalista di moda? (So che eri una reporter prima). Come risponderesti a chi ti chiede oggi “come faccio a diventare giornalista”? 

Ho iniziato quasi per caso, per una proposta che ironicamente definisco “indecente”. Mi occupavo di cronaca, guerre di mafia e diritti civili ma, come spesso accade in Rai, la mia redazione era stata chiusa e l’allora direttore del Tg2 Clemente Mimun volle affidarmi la moda perché la raccontassi con un tono dissacrante e ironico, adatto a un pubblico generalista. Confesso che inizialmente mi sembrava riduttivo ma con la curiosità di una bambina – che mi appartiene ancora oggi – affrontai un mondo assolutamente nuovo. Spesso mi viene chiesto come poter fare il mio mestiere ma la verità è che nemmeno io so rispondere. È un lavoro che si è fortemente evoluto negli ultimi anni e il digitale ha avuto un impatto non indifferente da questo punto di vista.



Nel tuo libro, Fashion Confidential, emerge come tu sia sensibile ai temi delle donne. Per una donna, credi sia più difficile o più semplice svolgere la tua professione e riuscire a ritagliarsi uno spazio nel mondo della comunicazione oggi? 

La televisione dimostra che alla guida della maggior parte dei programmi ci sono donne, così come sono moltissime le colleghe della carta stampata. Credo che, nel giornalismo, quel che conta è essere letti o ascoltati ed è su questo che si misura il successo.

Nel tuo libro, Fashion Confidential, si leggono diverse definizioni di moda attraverso le parole di noti personaggi, come stilisti, responsabili della comunicazione o modelle, etc… Ci dai la tua definizione di moda? Quali differenze noti sulla moda di ieri rispetto a quella odierna?

La moda per me è emozione, sperimentazione, eccentricità. Rispetto al passato, francamente parlerei di minore creatività. Oggi assistiamo più che altro a reinterpretazioni, rivisitazioni, citazioni. Un caso, tanto per fare un esempio, è quello di Versace che continua a riproporre i classici lanciati da Gianni negli anni Novanta, dalle stampe pop art o jungle o ispirate ai tesori dei fondali marini alla maglia di metallo.



Così come per il tuo libro, hai creato un progetto digitale sul tuo canale Instagram. Come pensi di svilupparlo?

L’obiettivo del mio profilo Instagram è quello di trasmettere un pizzico di cultura e conoscenza di quel che è stato e di quel che succede, sempre attraverso il mio punto di vista. “Ti racconto chi è”, per citarne una, è una rubrica dedicata ai designer – vecchi e nuovi – che hanno fatto la storia e utilizzo strumenti come i quiz o i reel per rendere i contenuti fruibili da un pubblico giovane e al passo con i tempi. La cosa che più mi piace, a proposito di social, è il confronto: credo che l’interattività, rispetto all’informazione classica, faccia la differenza perché riesco ad avere immediatamente un riscontro dai miei followers. Fra gli appuntamenti fissi, “Once upon a time” invece ripropongo le immagini, raccontando anche aneddoti o curiosità, di icone del cinema o del teatro, dive o fotografi. Ho ancora una curiosità quasi infantile e continuo a lanciarmi in nuove avventure. Il futuro? Sono sempre aperta a progetti interessanti.

Tra i diversi intervistati che si trovano nel tuo libro, chi è quello che più ti ha impressionato, e perché?

Ho sempre avuto un debole per Miuccia Prada. Apprezzo la sua continua voglia di sperimentare e rompere gli schemi. La sua Fondazione lo dimostra ed è un’istituzione riconosciuta in tutto il mondo.

Cosa pensi dei social media? Credi che hanno distrutto il modo di comunicare tradizionale o che invece lo abbiano trasformato?

La democratizzazione dell’informazione è senza dubbio positiva ma, come sempre, ci sono luci e ombre. Sono un’individualista per definizione e vocazione e penso che vadano fatti dei distinguo. Fino a qualche tempo fa sarebbe stato impossibile immaginare di fare cultura attraverso i social ma, negli ultimi tempi, c’è stata un’inversione di tendenza. I contenuti di qualità stanno acquistando un peso sempre maggiore mentre “la fuffa” fortunatamente sta perdendo terreno. Così come i consumatori non comprano più solo un prodotto ma i valori che questo rappresenta, anche i followers cercano autenticità, competenza e trasparenza.



Lucca De Oliveira, da non perdere su RAI 2 nella nuova serie TV Clarice

Photographer: Trevor Godinho 
Styling: Kirsten Reader
Styling Assistant: Jennifer Choy
Grooming: Cassandra Kehren (Plutino Group)

È arrivata l’attesissima serie tv “Clarice”, sequel del celebre film “Il silenzio degli Innocenti”, il primo episodio andato in onda venerdì 9 aprile, in esclusiva su Rai2. A trent’anni dall’uscita della pellicola che ha segnato la storia del cinema, la serie tv prodotta dalla MGM Television è stata trasmessa per la prima volta su CBS giovedì 11 febbraio negli Stati Uniti. Ora vedremo come accoglierà questo attesissimo sequel il pubblico italiano, ne abbiamo parlato con Lucca De Oliveira uno dei protagonisti che stiamo per conoscere.


Blazer & Sweater, CHRISTOPHER BATES
Jeans, LEVI’S
jewelry, Lucca’s own

Allora dimmi sei un Newyorkese?

Nato e cresciuto nella grande mela, ma ora vivo a Los Angeles, solo ed esclusivamente per lavoro, molto probabilmente mi trasferirò nuovamente a New York mi manca troppo quel posto.

Quando sei della east-coast è molto difficile adattarsi alla vita sulla west-coast, c’è tantissima natura ed è bellissimo ma non è il m io ritmo tutto li.


Suit, CHRISTOPHER BATES
Shirt, 18 WAITS
Ring, Lucca’s own

Hai sempre sognato di fare l’attore?

Si, assolutamente sin da quando ero bambino, credo i primi ricordi risalgano a quando avevo otto anni, sul palco o sul set era l’unico posto dove volevo essere.

Ho sempre fatto tutto ciò che mi era possibile per poter far in modo che le cose succedessero in questo senso nella mia vita.

Quando hai capito che era la scelta giusta il mestiere che ti eri scelto, e se hai un ricordo specifico.

Sicuramente è stato quando stavo lavorando sul set di “The Punisher” 

con Jon Bernthal per la serie TV di Netflix, posso dire davvero che è stata un’esperienza quasi surreale, anche perché era uno dei miei primi lavori ed ero giovanissimo, lo sono ancora ma al tempo lo ero anche di più.

Mi ha insegnato molto dandomi consigli che tutt’oggi sfrutto al massimo, ed è sicuramente stato il momento in cui mi son detto, questo è definitivamente quello che voglio fare per il resto della mia vita.



Parlami di Clarice, che è già in onda da febbraio negli Stati Uniti che risposta avete avuto dal pubblico?

Esatto abbiamo iniziato a febbraio, ed ora abbiamo fatto una piccola pausa per tornare in onda a maggio.

Sono tredici episodi ed i produttori hanno scelto di non farli uscire tutti insieme, anche perché dobbiamo finire di girare l’ultima puntata.

Abbiamo davvero dei fans super affezionati alla storia anche se poi il pubblico parte dai tredici anni in su, quindi non erano nemmeno nati quando uscì il film al cinema.



Raccontami del tuo personaggio nella serie.

È molto interessante perché è un ex combattente “Sniper” che cambia lavoro e diventa un agente del FBI entrando a far parte della squadra di Clarice Sterling. La cosa interessante è proprio il loro stretto rapporto in quanto per lui si ritrova in un mondo totalmente nuovo rispetto a prima.


“The Silence Is Over”– CLARICE, from acclaimed executive producers Alex Kurtzman and Jenny Lumet, and starring Rebecca Breeds (“Pretty Little Liars”) in the title role, is a deep dive into the untold personal story of FBI Agent Clarice Starling as she returns to the field in 1993, one year after the events of “The Silence of the Lambs.” Brilliant and vulnerable, Clarice’s bravery gives her an inner light that draws monsters and madmen to her. However, her complex psychological makeup that comes from a challenging childhood empowers her to begin to find her voice while working in a man’s world, as well as escape the family secrets that have haunted her throughout her life. Series premieres Thurs. Feb. 11 (10:00-11:00 PM, ET/PT) on the CBS Television Network. Pictured (L-R) Lucca de Oliveira as Tomas Esquivel and Rebecca Breeds as Clarice Starling Photo: Brooke Palmer ©2020 CBS Broadcasting Inc. All Rights Reserved

Com’è la situazione casting a Los Angeles, ci sono sempre i self-tape o siete tornati alla normalità?

Ora sono a NYC in questi giorni, e l’ultimo provino l’ho fatto due settimane fa ed era sempre su zoom, e per quel che ne so io, fino all’ultimo provino o anche alla prima lettura del copione al tavolo con tutto il cast è ancora sempre e solo a distanza.


Coat, MY COAT IS BLUE

Come è cambiata la tua vita con il COVID in giro?

Beh, è cambiata parecchio, a me personalmente è sempre piaciuto da stare a casa, però così senza la possibilità di vedere nessuno è davvero durissima. Ti senti strano ad andare al supermercato e quindi ordini più delivery del solito e poi il non poter andare in palestra per me è davvero deleterio. E poi con la produzione che è durata sette mesi abbiamo dovuto vivere un lock-down ancora più severo per non correre il rischio di contagiarsi e bloccare il lavoro a tutti.

Da Roma a Hollywood: il percorso di Alan Cappelli Goetz

Ph: Davide Musto

Styling: Vincenzo Parisi, Alfredo Fabrizio

Hair and make up: Cosimo Bellomo

Special thanks: Lorenzo Esposito

Location: La casa di Ganesh, Roma

Da Anversa a Roma, passando da Hollywood: questo è il percorso di Alan Cappelli Goetz, attore diventato un volto noto delle fiction Rai ma anche in alcuni importanti produzioni americane. La sua carriera è tutt’ora in ascesa e lo dimostra il fatto che lo abbiamo potuto vedere interpretare personaggi sempre più importanti nelle fiction e nelle serie TV in onda negli ultimi anni. Oggi, ci racconta della sua ultima produzione internazionale: The Poison Rose, un thriller in cui interpreta John Travolta da giovane.


Pantalone Etro, maglia ricamata Maison Laponte

Partiamo dal tuo ultimo film in uscita The Poison Rose, un thriller in cui interpreti John Travolta da giovane. Come è stato confrontarsi con grandi attori in questa produzione? Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Purtroppo o per fortuna per me i grandi attori sono rimasti a Hollywood e la parte italiana del film è stata girata integralemnte nel Lazio da noi italiani. Ti assicuro che anche solo l’idea di sapere che lo stesso Travolta visionava il materiale e lo approvava (essendo lui anche uno dei produttori del film) mi metteva abbastanza ansia ed emozione. Ci siamo poi incontrati al festival del Cinema di Roma.

Quali le scene di The Poison Rose per te più difficili? Come è stato lavorare con Alice Pagani (di cui ti innamori nel film) ?

Lavorare con Alice è stata una bella esperienza. E’ una grande attrice ed una professionista, ci siamo aiutati tanto, specialmente nelle scene di intimità e penso che alla fine il risultato si veda. Nonostante il mio personaggio (John Travolta da giovane) sia duro e riflessivo, mentre giravamo le scene, dentro mi sentivo sciolto dall’intima connessione che si era creata. 



Cosa puoi dirci invece del tuo ruolo ne “La Fuggitiva” ora in onda su Rai 1?

In questa serie interpreto un banchiere svizzero, ma non voglio anticipare troppo perchè ho un ruolo chiave nella riuscita dell’impresa dei due protagonisti (Vittoria Puccini e Eugenio Mastandea). Carlo Carlei, che è il regista di questa serie ( e precedentemente di altre serie in cui ho lavorato come i Bastardi di Pizzofalcone e Il Confine) mi ha voluto fortemente e ha proprio pensato a me per questo personaggio. Pensa che la colonna sonora presente ne “il Confine” compare anche in una scena andata in onda la scorsa settimana ne la Fuggitiva.

Raccontaci il tuo percorso fino ad oggi. Come è nata la tua passione per il cinema e teatro?

Ho da sempre desiderato fare questo mestiere. E’ come se non si scegliesse davvero, la passione esiste dentro da sempre, va solo ascoltata, e questa cosa vale per tutti i mestieri del mondo, secondo me. Sono arrivato a Roma a 19 anni, un passaggio ad Amici, poi lo studio matto e disperatissimo al centro sperimentale di cinematografia, dove sono stato notato da Francesco Vedovati, (forse il casting italiano più conosciutio all’estero) che mi ha lanciato nello spot della Tim diretto da Muccino. Da li è cominciato tutto. Tante serie e film, anche internazionali. Alcuni dei progetti che porto più nel cuore sono sicuramente Il principe abusivo, Tutti Pazzi per Amore, I Medici, Il confine diretto da Carlo Carlei e anche Crossing Lines.



Della tua città natale Anversa che ricordi hai? E’ considerata la patria della moda concettuale e dell’arte…tu che rapporti hai mantenuto con le tue origini belga?

Purtroppo non ci vado spesso quanto vorrei, ma amo molto le mie origini. penso sia una fortuna crescere contaminati da idee e culture diverse specialmente in questi tempi dove anche la politica vede l’aumento di forze nazionaliste di vecchio stampo, mi sento fortunato a non aver alcun dubbio al riguardo. Più siamo mischiati, contaminati, incrociati, meglio è.

Un personaggio tra quelli che hai interpretato a cui sei particolarmente legato?

Franz- de “Il Confine” (visibile anche su raiplay). Un ragazzo che esattamente come me è attraversato da due culture, quella italiana e quella austriaca, in questo caso il tutto condito in salsa 1914, prima guerra mondiale. Una storia d’amore in due direzioni, una fraterna e una romantica. Un ruolo che non dimenticherò mai anche grazie alle incredibili location nel Carso (dove hanno ricostruito le trincee) e per la verità della storia che raccontavamo. Vivere anche se solo sul set i drammi dei soldati 18enni mandati al massacro sul confine è qualcosa che ti lascia un grande senso di gratitudine verso la vita che vivi e di responsabilità na farne del mio meglio.

Con quali registi ti piacerebbe lavorare in futuro?

Uno su tutti, lo ripeto da anni, chissà che non gli arrivi prima o poi la pulce nelle orecchie, Xavier Dolan. L’ho anche incontrato a Parigi, ma non ho avuto il coraggio di propormi per un suo film…



Parlando di serie invece, una che stai apprezzando in questo periodo?

Sarà banale ma sto riguardando per la seconda volta tutto The Crown. 

Sei vegetariano e ambientalista, quali i tuoi progetti?

Cerco di divulgare il più possibile temi importanti e che possono veramente fare la differenza attraverso i social. Penso che sia responsabilità di tutte le persone con un seguito più o meno folto di sensibilizzare il mondo verso valori a loro vicini, oltre che usarli come autocompiacimento. Purtroppo in molti casi questo non accade e allora ci provo io a compensare. Battaglie contro l’abuso di alimenti di origine animale, la plastica, il fast fashion e contro chi non rispetta i diritti umani. Ci metto dentro un pò tutto quello in cui credo. Ma diciamo che il focus principale sono gli allevamenti intensivi e il modo brutale in cui è prodotta la carne oggi nel 90% dei casi. Questo disastro oltre che eticamente inaccettabile è anche un problema per la nostra salute e guarda un pò, anche per l’ambiente. Bisogna fare un piccolo sforzo e rivedere le nostre diete verso alimenti di base vegetale e limitare il consumo di proteine animali. E’ un imperativo che la scienza ci chiede, e anche L’OMS. Non vedo come sia possibile pensare che sia dietrologia o “propaganda” vegana. Non c’è nemmeno bisogno di essere vegani, per l’ambiente già una riduzione di 2-3 unità al mese è un passo avanti importante. Ognuno deve fare quel che può, l’importante è che faccia qualcosa. Non basta chiudere l’acqua del rubinetto quando ci laviamo i denti, pensa che un solo hamburger richiede per essere prodotto l’equivalente di due mesi di docce. Capisci perchè ce l’ho con la carne??

Oggi per te anche la moda deve essere ripensata in chiave sostenibile?

La moda o fa questa scelta o è destinata a finire come le pellicce nuove, nel dimenticatoio delle nuove generazioni e negli armadi di clienti show off ancorati a concetti del passato. Per fortuna tante aziende (come il gruppo VF) stanno facendo seri passi in avanti con l’utilizzo di nylon rigenerati, scarpe con suole eco-sostenibili ecc…


Total look Etro

Sei su Clubhouse, cosa ne pensi di questo nuovo social e come lo utilizzi?

Mi piace molto, ma non so se diventerò un abituè… Vedremo! Intanto mi sono iscritto subito alle stanze sulla sostenibilità!

I capi essenziali nel tuo armadio?

Maglietta bianca, jeans chiari e scuri, camicie anni Ottanta. 

Se potessi partire domani dove andresti?

In Giappone a finire di esplorare il sud del paese e le sue coste tropicali.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Innamorato, immerso nella natura, circondato dagli amici migliori. Non troppo distante da come mi trovo ora a dire il vero…

Dalla danza alla recitazione (e ritorno): Gabriele Rossi è pronto per nuove sfide!

Photographer: Giorgia Villa (@giorgia_villa)

Stylist: Stefano Guerrini (@stefano_guerrini)

Assistenti Stylist: Erna Džaferović (@ernadzaferovic); Aurelio Comparelli (@aureliocomparelli); Laura Grandi (@laugrandi)

Make-up & Hair: Asja Redolfi Tezzat (@asjaredolfi_makeup); Francesca Lana (@fraa_elle)

Model: Gabriele Rossi (@gabrielerossioff) @Urbn Models

Molto conosciuto dagli amanti della televisione e dei reality Gabriele Rossi è, in realtà, partito dalla danza e quando lo abbiamo incontrato ci ha raccontato che a questo amore è tornato grazie ad una fiction che racconterà la storia di un grande nome del balletto, in Italia e nel mondo, ovvero Carla Fracci. Rossi sarà uno dei protagonisti di questo appuntamento televisivo che si preannuncia importante, affiancando la protagonista Alessandra Mastronardi, nel frattempo si è calato per noi nei panni di modello, divertendosi davanti alla macchina fotografica ad improvvisare un passo di danza e a trasformarsi in un bel tenebroso in completo elegante! Simpatico e aperto, Gabriele non solo nel ruolo di modello, ma anche nel raccontarsi nella nostra intervista. Ecco la chiacchierata con l’attore romano e gli scatti realizzati da Giorgia Villa.


Impermeabile Hevò, completo e camicia Imperial
 

Come ti sei avvicinato alla recitazione e come hai capito che questo mondo sarebbe stato il tuo?

Nel 2008 mi chiesero di fare un provino, avvantaggiato dal fatto che fossi un danzatore; cercavano un attore che sapesse anche ballare. Fui scelto per interpretare il figlio di Margherita Buy in una serie di Paolo Genovese e Luca Miniero.Dopo quella prima esperienza capii subito che si era appena aperta la strada per una nuova professione che prima d’allora non avevo mai preso in considerazione.



Quali i tuoi riferimenti in questo lavoro? A chi guardi, chi ti ispira, chi ammiri?

Ho imparato negli anni che i riferimenti realmente utili a crescere sono vicino a noi.Quando lavoro, mi piace osservare chi mi circonda e capire come posso migliorarmi. Il proverbio: “C’è sempre da imparare”, sul set scopri quanto sia realistico.Ammiro e stimo tanti colleghi come Elio Germano, Francesco Pannofino, Alessandro Borghi, Luca Argentero…stimo il talento, soprattutto quello naturale.


Total look Nº21

Cosa ti ha insegnato la recitazione in questi anni e c’è qualcosa che invece hai perso a causa sua?

La recitazione mi ha insegnato ad apprezzare i momenti di lavoro intenso, ma ancora di più i momenti tra un set e l’altro, perché quelle transizioni sono fondamentali per migliorarsi, studiando molto; magari approfondendo uno strumento musicale, o andando a cavallo. Un attore deve ampliare le proprie skills sempre, perché possono fare la differenza sempre.



La cosa (parlando di lavoro) di cui sei più fiero?

il set al fianco di Margherita Buy senza dubbio , ma anche le serie tv con Ben Gazzarra, Paul Sorvino, Giuliana De Sio, Terence Hill. Ogni lavoro mi ha reso fiero per un motivo o per un altro. Nessun pentimento comunque, è la cosa più importante.Fare errori può essere semplice e guardarmi alle spalle mi fa ancora molto piacere, spero che sarà sempre così.

Che cos’è l’eleganza per te?

 Imprescindibilmente educazione ed intelligenza, sono la somma obbligatoria perché l’eleganza abbia luogo.



Cosa non può mancare nel tuo guardaroba? In generale, qual è il tuo stile?

Vivo di vita pratica, e sono un po’ una frana nel curarmi del mio guardaroba, per fortuna esistono gli stylist.



Altri amori oltre alla recitazione?

La danza contemporanea è stata la mia passione primaria, alla quale si è affiancata la recitazione.
Cerco di non smettere di studiare; mi sto specializzando come giornalista, mi sono appena iscritto nuovamente all’Universitá.


Total look Corneliani, occhiali Snob Milano

Cosa ascolti, cosa ti piace vedere in tv o al cinema, hai un artista del cuore, cosa leggi?


Per la TV e il cinema sono onnivoro, guardo tutto, soprattutto ora che le piattaforme permettono di spaziare facilmente da un genere all’altro. Ora sto leggendo “il Colibrì” di Veronesi.

E invece cosa non può mancare sulla tua tavola?

Amo la cucina italiana, quindi ritengo prioritario non trascurare quasi mai il fattore ‘pasta’.Il sushi però spesso mi chiama, e devo rispondere.

Quando si potrà ritornare a viaggiare con sicurezza, quale città in Italia e nel mondo ti sono care e perché? Ci dai qualche suggerimento su cosa vedere in questi luoghi?

Per quanto riguarda l’Italia, appena  possibile voglio visitare Castello di Sammezzano a Leccio, è un edificio fuori dal tempo, ve lo consiglio.Come città invece non vedo l’ora di potermi trasferire a Londra per qualche mese.Credo sia una città di svolte.



Sogni e progetti per il futuro?

Ho appena girato una serie con Alessandra Mastronardi su Carla Fracci; come nel mio esordio ho potuto mettere a frutto il background da danzatore e da attore.Poi sto lavorando ad un tour teatrale che partirà (covid permettendo) da luglio 2021. Spero di rivedervi a teatro!

Romano Reggiani: artista poliedrico tra recitazione, musica, regia e scrittura

Ph: Davide Musto

Stylist: Stefania Sciortino

Ass. Ph. Emiliano Bossoletti

Grooming: Vincenzo Parisi

Location: Mediterraneo al Maxxi

Location manager: Sonia Rondini

Total look: Dolce&Gabbana

Romano Reggiani è un artista dalle tante sfaccettature: bolognese 27enne, si è formato al Centro Sperimentale di Cinematografia romano per recitare poi in titoli di grande successo –1993, Mental, Una grande famiglia e tanti altri.
Appassionato di musica, nel 2019 ha pubblicato il primo album Time is a Time; nel suo futuro, oltre a nuovi titoli per cinema e tv, potrebbe esserci anche un romanzo.



Raccontaci il tuo percorso finora.

Mi definirei un artista il cui lavoro principale è quello dell’attore: ho iniziato a 18 anni per entrare poi, nel 2013, al Centro Sperimentale, da lì ho partecipato a produzioni che mi hanno fatto crescere molto, in tutti i sensi.
Sono appassionato di musica e suono da anni con la mia band, portando avanti diversi altri progetti personali.

Nel tuo curriculum figurano autori come Pupi Avati o Bobby Moresco, com’è stato lavorare con registi di tale spessore? Ci sono esperienze, ricordi dai set che vorresti condividere?

Quelli con Pupi Avati sono stati ruoli piccoli ma preziosi per crescere, tra quelli più rilevanti cito il personaggio di Una grande famiglia perché mi ha fatto conoscere, a seguire la serie 1993 dove ho interpretato il giovane Stefano Accorsi/Leonardo Notte; un’esperienza bellissima, da cui è nata anche un’amicizia con il regista Giuseppe Gagliardi.
Poi sono arrivati Vite in fuga, altri serial Rai, tutte esperienze significative in quanto occasioni di crescita.



Hai diretto tre cortometraggi, un’esperienza che vorresti ripetere?

Dei miei corti il più maturo credo sia L’addormentato nella valle, sul tema della memoria, uscito nel centenario della Grande Guerra e girato nei territori veneti delle battaglie. Riguardo la possibilità di realizzarne altri certamente, sto lavorando alla mia opera prima di cui sarò regista e attore, è una storia d’amore, del resto le adoro e titoli come la Before Trilogy di Richard Linklater rappresentano, per me, il cinema con la C maiuscola.

In Mental interpreti un ragazzo borderline tossicodipendente. Penso sia molto attuale una serie che affronta il tema del disturbo psichiatrico giovanile, vuoi parlarcene?

È stato un lavoro intenso quanto a dispendio di energie per tutto il cast, dovevamo interpretare ruoli problematici, è facile scadere nei cliché con certi argomenti, quindi abbiamo lavorato sulle singole sensibilità, riversando il nostro vissuto in dinamiche che non ci erano familiari.
Mental pone l’accento sulla verità dei sentimenti, la conoscenza della malattia è avvenuta a priori, poi ce ne siamo dimenticati per concentrarci sulle vicende dei personaggi, un percorso introspettivo davvero interessante. Ha rappresentato una sfida inedita, è un serial forte, moderno nel vero senso del termine, nonostante tutto sta andando bene sul web e arriverà una seconda stagione.



Nel 2019 è uscito il tuo primo album Time is a Time, che rapporto hai con la musica in generale?

La musica è una priorità assoluta, un fuoco che mi dà energia. Time is a Time è un progetto folk rock prodotto da Undergound Music Studio, risultato di un lungo tour con la band.

Tutto ciò che ho fatto finora è stato come un percorso di preparazione al primo disco in italiano Zattere, dove ho trasferito tutta l’energia, il mio modo di scrivere e dire le cose, al momento comunque non sono sicuro di se e quando uscirà. Volevo realizzare un disco cantautorale dallo stile libero, ispirato al sound americano anni 60-70 e a De Gregori, che almeno in Italia per me è il migliore, scrive come nessun altro e credo che la musica sia appunto testo, un’arte in funzione delle parole, delle immagini, della poesia.

Che rapporto hai con la moda, come ti approcci agli outfit dei personaggi?

In Mental ad esempio indossavo canottiere e pantaloncini orribili, abiti che penso fossero azzeccati per Michele; è stimolante riflettere su come l’abito faccia il personaggio, Giannini nelle lezioni al Centro spiegava, scherzando, come l’attore in fondo debba fare poco, “solo” sentire le cose, al resto pensano fotografia, regia e costumi. Certamente mi piacerebbe partecipare a un progetto in costume, il mio personaggio in 1993 viveva negli anni 70 e personalmente attingo molto da quello stile lì, Levi’s, jeans, pelle, scarpe All Star, Kickers, Dr. Martens…



Quali progetti hai per il futuro?

Le cose cui tengo di più, ad ora, sono la mia opera prima e un romanzo che spero di pubblicare presto.

Faces: Cosimo Longo

Ph: Davide Musto

Ass. ph: Emiliano Bossoletti

Total look: Manuel Ritz

Cosimo Longo è un giovane attore pugliese. Ha debuttato sullo schermo nel 2020 con Mental, serie che affronta il tema dei disturbi psichici tra gli adolescenti, accolto con favore da critica e pubblico.
Cosimo intende ora continuare a studiare e migliorarsi in vista dei prossimi set, e spera di potersi mettere alla prova con ruoli musicali oppure “estremi”, come quelli legati al mondo delle droghe.



Raccontaci del tuo percorso, chi è e cosa fa Cosimo Longo?
«Vengo da San Vito dei Normanni, vicino Brindisi. Dopo il liceo ho iniziato un percorso di recitazione frequentando la Roma Film Academy, poi sono stato preso dalla mia agenzia, la LinkArt, e ho sostenuto il provino per Mental; sono stato fortunato, è andato bene».

Come ti sei avvicinato al cinema?
«Ho sempre desiderato fare l’attore, già da bambino mi affascinavano le persone che interpretavano personaggi disparati vivendo tante vite diverse. Una passione che, crescendo, si era affievolita, l’avevo messa da parte finché, in quinto superiore, mi sono trovato a decidere sul mio futuro e ho avuto una specie di illuminazione».



Sei nel cast del serial Mental, incentrato sulle malattie mentali dei giovanissimi. Un argomento che, sotto certi aspetti, può ricordare Euphoria, credo che faccia presa sul pubblico anche per il momento storico che viviamo. Ti va di parlarci di quest’esperienza?
«Hai nominato Euphoria e in effetti noto anch’io delle somiglianze, la differenza secondo me è nella chiave di lettura, quella scelta da Mental è un po’ più leggera, simpatica se vogliamo, per cercare di stemperare la pesantezza del tema.
È stato il mio primo progetto professionale, un debutto decisamente positivo sia per il lavoro sul set, sia per i riscontri che stiamo avendo; è tutto strapositivo, ancora non ci credo, mi arivano messaggi di ragazzi che si complimentano, che ci ringraziano per il modo in cui abbiamo reso determinati aspetti».

Parliamo del tuo personaggio, Daniel, ragazzo logorroico e bipolare, spesso preda della paranoia.

«Daniel è un personaggio davvero particolare, forte, energico, simpatico, l’unico suo problema è l’estrema suscettibilità: lo vediamo passare da fasi di grande eccitazione e felicità a momenti in cui non riesce a muoversi né parlare. Credo che la parte che più apprezzo di lui – e il motivo per cui gli sono affezionato – risieda nel fatto che ciò che vediamo di Daniel (parlare velocemente, rompere le scatole ecc) è come una maschera per ciò che prova effettivamente; è assai intelligente, quindi sa che certe cose, come l’essere spiato, il tentativo di incastrarlo e così via, non sono vere, ma pensarla così gli fa comunque meno male dell’affrontare la realtà».



Ci sono registi con cui ti piacerebbe lavorare? Hai preferenze a livello di ruoli o generi?
«Un regista che apprezzo molto è Genovese, mi piacciono i personaggi dei suoi film, sarebbe interessante lavorare su uno di loro.
Per quanto riguarda ruoli e generi sinceramente non faccio distinzioni, mi piacerebbe in particolare fare qualcosa nell’ambito della musica, oppure interpretare personaggi legati al mondo delle droghe, le vedo come parti intense, sfidanti; ogni ruolo lo è a modo suo, e presenta mille sfaccettature, ma penso che in questi ci sia qualcosa in più».

Che rapporto hai con i social?
«Li uso, anche troppo per la mia opinione. Ho solo Instagram, vorrei utilizzarlo di più per il lavoro, rendendolo una pagina che mi racconti a livello professionale».



Che rapporto hai con la moda? Come ti approcci agli outfit sul set e cosa pensi della relazione tra ruolo e costumi di scena?
«Penso quest’ultimo elemento sia davvero rilevante, i vestiti giusti mi aiutano a creare l’atmosfera giusta (mi riferisco ad ambientazione, compagnia, abbigliamento ecc), a credere in ciò che dovrò fare. Trovo che gli abiti di scena fossero adatti all’unico personaggio interpretato finora, mi sono trovato bene da quel punto di vista, anche perché Daniel indossava capi oversize, simili a quelli che uso anch’io.

Per quel che riguarda il rapporto con la moda, la seguo nel senso che mi informo, osservo, però sto ancora cercando di definire un mio stile, prendendo spunto da tanti input in ambiti diversi, dal cinema alla musica. Secondo me l’abbigliamento è il miglior biglietto da visita di una persona, attraverso il modo in cui vesti rappresenti ciò che sei, perciò devi sempre esserne fiero. Non sono granché d’accordo sul cambiare spesso look per adeguarsi al contesto, lo stile è personale e deve rispecchiarti ovunque».



Quali capi non potrebbero mancare nel tuo guardaroba?
«Senz’altro le scarpe giuste: ne ho tante, soprattutto sneakers di Jordan, il mio brand preferito».

Desideri e progetti per il futuro?
«Ho in ballo un progetto che inizierà a breve, poi ho intenzione di continuare a studiare, sono consapevole di dover lavorare ancora molto in questo senso. Per il resto, aspetto che mi offrano una parte musicale o che abbia a che vedere con le droghe, alla Breaking Bad insomma (ride, ndr)».

Faces: Eduardo Scarpetta

Ph: Davide Musto

Styling: OTHER, Sara Castelli Gattinara e Vanessa Bozzacchi

Location: Palazzo Dama

Location Manager: Luisa Berio

Particolarmente noto al grande pubblico per la sua interpretazione nelle serie tv L’amica geniale, Eduardo Scarpetta discende da una delle più note e famose famiglie teatrali napoletane. È infatti nipote di Vincenzo, figlio del senior Eduardo Scarpetta, grande autore e commediografo dei primi del ‘900. La scorsa settimana lo abbiamo seguito in uno dei suoi ultimi lavori per la televisione, Carosello Carosone in onda su Rai 1, ecco la nostra intervista.


Come e quando inizia la tua carriera da attore? 

Ho iniziato a 9 anni con mio padre con “Feliciello e Feliciella” per i 150 dalla nascita di Eduardo Scarpetta, uscire di scena mi rendeva il bambino più felice del mondo, è stato facile scegliere la strada da percorrere.


Total Look Gucci


Come ci si sente a essere l’erede del grande attore del teatro napoletano Eduardo Scarpetta?

È un onore, scomodo quando me lo fanno pesare, non ho scelto io di esserlo, quello che posso fare io è affrontare il mio mestiere col massimo dell’impegno e del rispetto.


Total Look Louis Vuitton


Hai recitato ne “L’amica geniale” nel ruolo di Pasquale, cosa ti ha lasciato questo personaggio?

Pasquale, ma l’amica geniale in se, mi ha fatto conoscere più a fondo un mondo che conoscevo solo per sentito dire, credo sia scritta molto bene quindi ho scoperto delle dinamiche di quegli anni che non conoscevo. Pasquale mi ha restituito l’ideologia della sua classe sociale.

Se non avessi intrapreso la carriera da attore cosa saresti diventato?

È una domanda a cui non ho mai saputo dare un risposta, non c’è mai stato un piano B, sapevo che avrei fatto questo, a qualsiasi costo.


Total Look Fendi


Hai poco tempo per preparare la valigia. Cosa porti sicuramente con te?

Testi teatrali, un pallone, spazzolino e dentifricio. 

Un luogo che visiterai non appena si potrà viaggiare?

Non c’è un luogo in particolare, vorrei semplicemente viaggiare, per il mestiere che faccio è difficile pianificare un viaggio perché magari salta a causa di un lavoro che esce, è successo già diverse volte in passato, amo viaggiare, vorrei semplicemente riuscirci.


Total Look Manuel Ritz – scarpe SANTONI


Progetti futuri su cui stai lavorando?

Sto per iniziare le riprese del film “La donna per me” di Marco Martani, con un signor cast ma preferisco non dare altre anticipazioni per scaramanzia. 

Jayred: da Youtube al mondo della musica

Ph: Davide Musto

Video: Vincenzo Traettino

Video Art Direction: Federico Poletti

Styling: Filippo Solinas

Special thanks to One Shot Agency


Un passato da Youtuber, performer e infine l’entrata a gamba tesa nel mondo della musica, vera e principale passione di Lorenzo Paggi, in arte Jayred.

⁠Classe 1997, con Roma nel cuore ma residente a Milano, lo abbiamo intervistato all’interno di @chillhouseita, in cui Lorenzo risiede momentaneamente come guest. La scelta della location non è casuale: se la Chill House è un crocevia di percorsi e carriere differenti, il punto di unione è la creatività, la capacità di pensare fuori dagli schemi e soprattutto la voglia di mettersi in gioco. E Lorenzo ne ha da vendere.

Lo stile skate punk che lo ha accompagnato mentre muoveva i suoi primi passi nel mondo del web ha lasciato spazio ad una ricerca più profonda di sé stesso, tra influenze punk e pop punk e sperimentazioni originali e inedite il percorso di Jared nel mondo della musica è partito con il botto: ‘14‘, singolo d’esordio, conta oltre 8 milioni di ascolti su Spotify. 


Da poco è uscito un nuovo singolo, Dipendenza, che ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo successo: il suo percorso nel mondo della musica è appena iniziato.


Faces: Tancredi Galli

Video: Vincenzo Traettino

Art Direction: Federico Poletti

Styling: Filippo Solinas

Total look: Gucci

In cover: Ph Jacopo Gentilini

Special thanks One Shot Agency


Web star, artista, attore e creativo a 365 gradi. Tancredi Galli in arte Sightanc è uno dei talent più versatili del panorama Italiano.
Vi ricordate di lui? Lo abbiamo visto lo scorso autunno sfilare sul tappeto rosso del festival del cinema di Roma in occasione della prima di “Cosa Sarà”, pellicola diretta da Francesco Bruni dove Tancredi ha recitato al fianco di Kim Rossi Stuart.
Questa volta lo abbiamo incontrato all’interno di @chillhouseita, progetto tutto italiano che vede coinvolti alcuni tra i creators più influenti della GenZ, e tra un TikTok e una diretta su Twitch, Tancredi coltiva la sua passione per l’arte dipingendo quadri che hanno mandato in tilt internet.



Fluttuanti emozioni green, Manintown incontra Gilberto Calzolari

Forte di uno storico che vanta collaborazioni con i più importanti fashion brand del lusso, Gilberto Calzolari dal 2017 cura la sua linea di abiti demi-couture dall’appeal glam romantico.

Vincitore del Green carpet fashion award nel 2018, prestigioso riconoscimento per giovani talenti della moda ecologica, le sue silhouette e i suoi tagli contemporanei stupiscono per abbinamenti inaspettati che, con il corso delle stagioni, hanno sempre strizzato un occhio alla sostenibilità, mantenendo lavorazioni di altissimo livello sartoriale. 

A pochi giorni dalla MFW e dal suo dialogo con Volvo per il lancio della sua nuova C40, Recharge Gilberto Calzolari apre le porte del suo showroom a Manintown per parlare delle ultime visioni e raccontarci del futuro che verrà nel segno del green. 



La tua donna racchiude in sè un’immagine estremamente sofisticata ma contestualmente versatile nei confronti delle esigenze della vita moderna. Come si è evoluta durante l’ultimo anno pandemico e cosa ha deciso di riporre nei meandri del proprio guardaroba?

Tutto è ripartito idealisticamente dal mio alfabeto colorato con l’obiettivo di raccontare una nuova femminilità. Per la prima volta la donna Gilberto Calzolari tinge le labbra di rosso per regalarsi il vezzo che, a causa delle mascherine, non può più concedersi.

La sensualità è enfatizzata dagli spacchi profondi che svelano il corpo con eleganza e lo avvolge di tessuti morbidi.

Si ripongono nell’armadio tutte le negatività per dar spazio alla joie de vivre nel rispetto di una moda sostenibile plasmata sulla atemporalità.

Recupero e ricerca, il tuo mindset è focalizzato sul ridar vita a materiali considerati non “consoni” dalla moda e spesso destinati allo smaltimento. Nel corso degli anni quali sono stati quelli che ti hanno dato più soddisfazione nella loro manipolazione?

Di sicuro la collezione del mio cuore è quella dei Green carpet fashion award, un omaggio alla Pianura Padana e alla mia Lombardia. Sacchi del caffè e dello zucchero recuperati presso il mercatino dei Navigli che ho ricamato e mixato con tessuti d’Alta Moda. Nelle stagioni a seguire mi sono divertito con il packaging retato degli agrumi e con gli ombrelli smontati per un perfetto plissè soleil. La provocazione è mirata a dare un esempio virtuoso di moda circolare epurando gli oggetti dalla loro funzione, decontestualizzandoli e riplasmandoli evitando lo spreco.



Etica ed Estetica, ed è così che Gilberto Calzolari da sempre fiero sostenitore della sostenibilità, decide di affiancare la propria vision a quella di un auto, la nuova C40 Recharge di Volvo, presentando un abito inedito. Già in passato la casa automobilistica ti aveva fornito tela di airbag e cinture di sicurezza usate. Come hai unito il tuo estro al design e alle caratteristiche di un’ auto elettrica?

Di sicuro l’intento comune dar vita a una creazione 100% sostenibile. Entro il 2050 Volvo conta di produrre solo auto elettriche.

La nostra collaborazione è nata un po’ per caso e l’abito realizzato in questa occasione si ispira all’eleganza e alle linee d’avanguardia di un auto che guarda al futuro. Il nuovo modo di concepire il lusso è green. Un segnale positivo e contaminante che unisce l’etica all’estetica.

E a non molti giorni fa risale il lancio dello show virtuale durante la Phygital Fashion Week milanese le cui riprese sono state effettuate in uno dei luoghi della cultura altamente penalizzati dalla pandemia: il teatro. Mai come questa volta la tua donna vive in un Pianeta “in tilt” e le sue emozioni vengono percepite anche nel ritmo del montaggio scelto. Con quali stili si approccerà al prossimo Autunno/Inverno?

Il tilt è generato da un intero sistema in questo stato. Positività e follia sono enfatizzati da contrasti netti ,come il foyer cupo e gli slanci di luce, per un corto circuito generalizzato che vuole liberarci simbolicamente dalle limitazioni.

La donna dell’Autunno/Inverno vuole stridere tra i contrasti, viaggiando attraverso superfici lucide e materie opache, alternando la mascolinità alla la femminilità.

Ho, inoltre presentato, il primo upcycling eyewear. Occhiali vintage smontati e rimontati con lenti d’avanguardia.

Per gli accessori mi sento di citare Kallistè che ha fornito calzature con la tomaia realizzata interamente in plastica reciclata. 



Un costante impegno per il Pianeta nel segno di uno dei più importanti insegnamenti che ci ha tramandato il mondo classico:“kalos kai agathos”, l’unione tra il buono e il bello”.Cosa è previsto nell’immediato futuro green di Gilberto Calzolari e quali sono i materiali di scarto che vorrebbe plasmare tra le sue mani? 

Per me stesso è una sorpresa. Nel futuro non si parlerà solo di una moda sostenibile ma anche di una moda rigenerativa mirata a produrre meno waist possibile. 

Quindi utilizzare più materiale di scarto come i tessuti di stock o le rimananze. Sprecare è antietico e bisogna lottare per il vero Made in Italy supportati anche dal punto di vista governativo alienando ogni forma di danno all’intero sistema.

Photographer Clotilde Petrosino @clotildepetrosino

Faces: Pierpaolo Spollon, un ironico sex symbol

Photo: Davide Musto

Styling assistant: Vincenzo Parisi

Location: Hotel Valadier Roma


Classe 1989, Pierpaolo Spollon è un giovane attore dalle origini venete. Oggi si avvia ad essere uno dei volti più amati nelle serie della rete ammiraglia, il grande pubblico infatti ha avuto modo di apprezzarlo principalmente per le sue interpretazioni nelle fiction come “La porta rossa”, “L’allieva”, “Che Dio Ci Aiuti” e “Doc – Nelle tue mani” accanto a Luca Argentero. Dal prossimo 23 marzo 2021 potremo seguirlo ancora su Rai Uno in “Leonardo” , una nuova produzione evento firmata Rai Fiction e Lux Vide.

Il suo percorso verso le recitazione però comincia tra i banchi di scuola…



Come ti sei avvicinato alla recitazione?

Parte tutto dai tempi del liceo, quando per caso ho preso parte ai casting del film di Mazzacurati che cercava il protagonista tra tutti i licei del triveneto. Ho fatto un primo provino che non andò bene, ma poi mi richiamarono in seguito per una parte in un altro film. Al liceo  non studiavo recitazione, ero un cinefilo e mai avrei pensato ad una carriera da attore. Solo dal secondo film ho iniziato a studiare per approfondire questa professione ma avevo già 20 anni.

A brevissimo sarà in onda la nuova serie su Leonardo Da Vinci , puoi anticipare qualcosa del tuo personaggio?

È stata la mia prima volta in cui recitavo in lingua straniera quindi l’ho vissuta un po’ come un nuovo inizio. Interpreterò Michelangelo Buonarroti, una figura di spicco della storia dell’arte e mi vedrete coinvolto quasi sempre nelle scene con Leonardo. Ho cercato di renderlo pop (per quanto possibile) come un giovane alla ribalta un po’ diverso dall’immaginario tradizionale. Lo scoprirete sotto una veste po’ arrongante, giovane e anche sfrontato.

Nei mesi passati invece ti abbiamo seguito in diverse fiction, c’è un personaggio a cui ti senti molto vicino tra gli ultimi interpretati?

Il comune denominatore dei miei personaggi è la tenerezza. Ogni ruolo che interpreto è tenero e sensibile, e questo è dovuto ad un aspetto particolare del carattere di quella figura. La tenerezza fa parte della nella vita e mi porta molto vicino a loro. Se devo sceglierne uno ti direi Riccardo Bonvegna nella fiction Doc, un personaggio molto profondo.



Molti ti definiscono un sex symbol, in che Dio ci aiuti 6 nelle vicende con il personaggio di Monica sei il classico imbranato, ma nella realtà? 

Questa cosa mi fa molto ridere, mi rendo conto di non essere il classico belloccio, portando alla ribalta i ragazzi “normali” che sfruttano altre qualità.  Mi sento il sex symbol della risata , ho sempre fatto affidamento su questa caratteristica, puntando molto sull’ironia.  Negli anni mi sono arrangiato e alla fine è andata bene così.

Se fossi un personaggio di un’epoca passata, chi saresti? 

Mi piace moltissimo Oscar Wilde, per un fattore estetico ma anche culturale. Sarebbe bello interpretare un dandy inglese con uno stile curato e irriverente. Mi sento un’esteta e in questo senso sono fissato con il look.  Prendendo spunto dall’immaginario cinematografico sono molto vicino anche a  Sherlock Holmes.

Quindi cosa troveremmo se aprissimo il tuo armadio?

Sicuramente una giacca, camicia in jeans e un doppio petto. Il foulard è un accessorio che non può mai mancare ( e qui torna la sua anima dandy ndr)


Parliamo di social, il tuo preferito sembra essere Twitter…

Non sono molto presente sui social media, ma su Twitter ho iniziato a commentare le puntate delle mie fiction. È una cosa nata per gioco e continua a divertirmi molto. Mi definiscono un boomer perché in effetti uso questi strumenti  in maniera molto basica e i miei follower mi fanno morire dal ridere perché colgono la mia ironia e rispondono a tono.

Cosa ne pensi invece del recente fenomeno “Clubhouse”?

Mi hanno invitato diverse persone, ma non l’ho ancora testato dal vivo. Penso si possano incontrare molti personaggi interessanti da ascoltare tra giornalisti ed esperti di settore. Ha un valore informativo che mi attira e inoltre mi piace perché è un social che richiede tempo, permettendoci  proprio di ritagliare il nostro spazio. Odio i social mordi e fuggi, qui devi stare attento e seguire il dibattito mettendoci anche la voce ( a discapito dei leoni da tastiera). Se questo è l’indirizzo che prenderanno i nuovi social media mi piace molto.




Progetti e desideri per il futuro?

Sognando in grande un bel film al cinema magari francese, con il regista Jacques  Audiart. Preferisco però fare i conti con il presente e quindi dirti che sto girando Blanca, nuova serie della Lux con lo stesso produttore di Doc dove ho un personaggio completamente diverso dagli altri interpretati fin ora. Tra poco Ricomincerò anche Doc 2 e anche per questo sono molto emozionato, ma non posso dire di più.  Non mi prendo più il lusso di pensare al futuro ma cerco di tornare al qui ed ora, riprendendomi il mio tempo. È uno degli insegnamenti diretti che mi ha lasciato il periodo della pandemia.

Faces: Gian Piero Rotoli

Gian Piero Rotoli è cresciuto a Napoli, ma si trasferisce presto a New York con i suoi genitori, e si diploma al liceo The Dwight nel 1996. A Roma ha iniziato la sua formazione di attore al Duse Studio di Francesca De Sapio. Si laurea in seguito alla John Cabot University in Letteratura inglese. Nel 2005 viene scritturato da Giorgio Capitani per il film tv Callas e Onassis (2005), con Luisa Ranieri e Gérard Darmon e pochi mesi dopo viene scelto anche da John Kent Harrison per un altro film tv: Giovanni Paolo II (2005), con Jon Voight.

In tv lo abbiamo visto anche in molte altre fiction di successo firmate Rai come La vita promessa, Non dirlo al mio capo 2 e I Bastardi di Pizzofalcone e proprio in queste settimane ne “Le indagini di Lolita Lobosco” , serie record di ascolti…


Come ti sei avvicinato alla recitazione?

Credo di poter affermare che tutto sia nato dalla scrittura e dalla letteratura. I mondi immaginati, o semplicemente distanti dal mio, conosciuti attraverso racconti, romanzi e film mi hanno sempre catapultato in situazioni e sensazioni che lasciavano dentro di me la voglia di “agirli” e quindi di rappresentarli in qualche modo. Avevo ancora 16 anni, timido ma con un mondo emotivo che sbraitava per uscire allo scoperto e frequentavo l’ultimo anno di liceo presso la The Dwight High School a New York (mi sono diplomato un po’ in anticipo). Seppi, con molto ritardo, che stavano da qualche tempo provinando i vari studenti per un’attività extrascolastica; per la precisione, si trattava di un musical scolastico. Pensai – “Perché no?”, potevo finalmente fare qualche esperienza amatoriale e capirne qualcosa di più, senza tante pressioni. Quando sostenni il provino, scoprii che erano rimasti solo gli ultimi ruoli più piccoli. Personaggi che dovevano ballare, cantare e presenziare quasi in tutte le scene. Mi diedero quindi il ruolo di un marinaio. Però, altro che recita scolastica! Sembrava una produzione a tutti gli effetti. Scenografie impressionanti, costumi da far invidia a una produzione vera, per non parlare della bravura dei cantanti e dei ballerini…insomma non era per nulla la recita scolastica che mi ero immaginato, dove fare un po’ di esperienza. Non mi sentivo né pronto, né preparato e così feci un passo indietro e mi ritirai. Ecco il mio primo approccio fu caratterizzato da tanta paura e senso di inadeguatezza. Decisi, così, di leggere qualcosa sull’argomento e iniziai “Il lavoro dell’attore su se stesso” e ricordo di aver fatto uno degli esercizi suggeriti; dovevo preparare la tavola mimando tutto. Così, non proprio convinto, provai dapprima a stendere la tovaglia immaginaria. La reggevo piegata tra le mani, ma a dire il vero non la sentivo per nulla. Poi la lanciai per aria lungo il tavolo, quello c’era, immaginando di prenderla dai lembi e come per magia la vidi lì davanti a me che si materializzò. Mi spaventai ritirando le mani quasi come a proteggermi e sparì quasi subito. Non riuscivo a capire come avessi potuto vederla realmente. Passato lo spavento, però, pensai – “Che figata!”. Era come se ne avessi avuto un assaggio e capii che la cosa, non solo mi piaceva ma mi fece venire voglia di indagare di più e d’iniziare un viaggio che ancora oggi continua.     



Ph Paolo Palmieri

Raccontaci del tuo personaggio nella serie Lolita Lobosco…

L’Agente Speciale Silente, napoletano e parte della squadra dei fidati di Lolita, è un personaggio che, insieme con gli altri colleghi, serve a distendere un po’ i toni drammatici della serie. Una distensione che spesso nasce da battute o commenti inopportuni.  Nella seconda puntata, per esempio, Silente è con Lolita e Forte sulla scena del delitto; una giovane donna che viveva da sola è stata uccisa. Silente se ne esce con una battuta infelice e sessista – “Certo, una donna sola!”; viene prontamente rimproverato da Lolita – “Silente! Hai qualcosa contro le donne sole?”. Lolita si sente chiamata in causa, perché anche lei è single, proprio come la vittima in questione. L’agente è imbarazzato, ancora una volta ha detto una cosa fuori luogo e cerca di rimediare maldestramente. Ecco tutto questo però avviene difronte a un cadavere, smorzandone inevitabilmente i toni drammatici e raccontando, allo stesso tempo, qualcosa in più sul personaggio di Lolita; come quando, per portare un altro esempio, nel terzo episodio il Vice Questore pensa di essere stata tradita da Danilo e sfoga tutta la sua frustrazione sul povero Silente. E’ un personaggio semplice, magari non con tantissima voglia di lavorare ma quando lo fa, cerca di captare ciò che può dai suoi superiori per migliorare.

Hai un modello di riferimento nel tuo campo a cui ti ispiri ?

Se avessi risposto a questa domanda tra i miei 16 e 24 anni avrei sicuramente detto Leonardo Di Caprio. Ho visto ogni suo singolo film, già in epoca non sospetta – cioè ben prima di Titanic – lo trovavo e lo trovo un attore straordinario. Ricordo ancora le sue interpretazioni in “Buon Compleanno Mr. Grape”, in “Ritorno dal Nulla” o “Poeti dall’Inferno”. Era un attore giovane, eppure era una spanna sopra tutti…e infatti è diventato una star. Tra i nostri attori tutti italiani, invece, ammiro tanto Elio Germano e Luca Marinelli.  Ma non ho un unico modello d’ispirazione ma più una curiosità che mi spinge a cercare di far mio ogni volta che vedo qualcosa che mi sorprende.  Guardo sempre con enorme fascinazione il lavoro che attori del calibro di Al Pacino, Anthony Hopkins e Bryan Cranston fanno sui personaggi che interpretano.



Ph Paolo Palmieri

C’è un ruolo a cui ti sei sentito molto vicino nel corso della tua carriera?

Per forza di cose è il personaggio di Salvatore nel cortometraggio “Beatrice” con Anna Galiena (può essere visto sul sito di rai cinema nella sezione corti). Dico per forza di cose perché quel corto l’ho scritto io e anche se non vivo la condizione di salute sfortunata del protagonista, quel personaggio ha una sensibilità a me vicina.

Un regista con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?

Ne posso dire due? Saverio Costanzo e Xavier Dolan. Costanzo riesce a toccare le corde del subconscio dello spettatore, evocando, mostrando senza mai spiattellare. Xavier Dolan mi piace perché osa ed è per giunta anche un ottimo attore. E’ sfrontato, arrogante ma in modo intelligente, stimolante e così anche il suo cinema.  

Hai poco tempo per fare la valigia per un weekend, cosa porti assolutamente con te?

Porterei il Kindle con tanti libri scaricati, probabilmente anche l’Ipad per vedere delle serie TV durante il viaggio. Due costumi da bagno, perché mi piace pensare che me ne andrei al mare, delle noci già sgusciate e del cioccolato 85% – sono i miei snack durante la giornata, se non ho quelli poi finisco per mangiare schifezze – infradito, scarpe da ginnastica e qualche camicia di lino. E’ la valigia di quando mi sento libero, spensierato e in vacanza.



Ph Paolo Palmieri

Progetti lavorativi per i prossimi mesi?

Ci dovrebbe essere la seconda stagione di “Lolita Lobosco” ad Ottobre, prima, però, è in uscita un film di Ivan Cotroneo, “14 giorni”, dove presto la voce a un allenatore virtuale. L’indicazione di Cotroneo nel chiedermi di fare questa piccola cosa è stata: “Hai presente l’ufficiale in Full Metal Jacket, ecco…quello!”. Ho capito subito cosa voleva e così mi sono molto divertito nella sala di doppiaggio a dare ordini perentori in inglese al personaggio interpretato da Carlotta Natoli che nel film cerca di allenarsi durante il periodo di quarantena (a causa del covid).

Sto lavorando al mio secondo corto e ci sono altri progetti in ballo ma tutto ancora da confermare, quindi ancora presto per parlarne.   

My Wunderkammer: Matei Octav

Il suo nome lascia trapelare il sangue rumeno, ma per Matei Octav, giovane fotografo emergente, l’Italia è sinonimo di casa.

A soli 23 anni può vantare un background artistico e formativo al quale ha avuto modo di approcciarsi grazie alla forte sensibilità visiva coltivata nei luoghi umbri della sua infanzia. Il turbine creativo l’ha travolto fino a condurlo a Milano dove, nel 2018, ha iniziato un percorso di studi incentrato sulla multimedialità presso la Scuola Civica di Cinema a Milano. E proprio durante l’excursus didattico, ha prodotto filmati presentati in alcuni dei più importanti contesti dedicati alla cinematografia indipendente come il Milano Fashion Film Festival, Amsterdam Fashion Film Festival, Istanbul Fashion Film Festival, ASVOFF, Arts Thread e su FNL Network. Manintown gli affida un editoriale moda uomo e approfondisce con lui tutti gli aspetti dell’essere un giovane talento appassionato di estetica e visual.



Nel corso degli anni ti sei dedicato alla creazione di filmati sperimentali mirati all’indagine audiovisiva e e andando a fondere tutte le discipline affini. Dall’immagine dinamica alla fotografia. Raccontaci come hai fatto luce su questa attitudine.


Il video nel mio caso è una necessità espressiva. 

L’approccio attivo alle immagini in movimento inizia quasi per gioco quando, a pochi anni di vita, mi viene regalata una piccola videocamera a cassette. La sua versatilità mi faceva impazzire, potevo immortalare ricordi, ma anche inscenare teatrini o riprendere lo schermo del televisore, creando montaggi buffi e registrando pezzi scollegati tra loro. Era uno strumento divertente, ma non ero ancora consapevole delle sue vere potenzialità. Sono felice di aver avuto modo di riprendere a sperimentarlo seriamente negli ultimi anni. Ad oggi rimane il mezzo più completo e stimolante per esprimermi al meglio insieme alla fotografia.

Total look Andrea Pompilio

Insetti Ginori 1735


I tuoi stati d’animo e l’analisi della sfera intima e privata ti guidano nella mise en scene nell’ambito della fotografia di moda. Solitudine, fragilità e follia. Indoor o outdoor. Quali sono gli elementi preponderanti di ogni tuo racconto?

Sono una persona troppo riflessiva e probabilmente questo mi ha portato a mettere in scena esattamente ciò che sentivo dentro e ciò che vedevo intorno a me. La semplicità da una parte, ma anche i contrasti insensati, nel loro pieno fascino, dall’altra.


Total look DalPaos

Stringate Fratelli Rossetti

Sfera BBtrade


Cinematografia, virtualità e interattività promossi presso i più importanti festival di cinematografia indipendente. Come ti senti, a soli 23 anni, nell’essere individuato come un Talent to Watch?

Non c’è cosa più gratificante nell’essere segnalati come creativi. Quando il proprio immaginario visivo arriva ad una nicchia è già un traguardo. Le piattaforme e gli eventi digitali che promuovono noi giovani talent in questo momento sono vitali per tutti coloro che vogliono emergere.


Total look Lacoste

Bicchiere in ceramica Antonio Marras


All’inizio del tuo percorso formativo hai lanciato su diverse piattaforme il progetto Octhem, che consiste nel frammentare tutte le sue fotografie per poi ricomporle sotto forma di collage surreali e minimal, per nuove chiavi di lettura e dettagli inizialmente trascurati. Parlaci delle prossime evoluzioni legate ad esso.

Octhem l’ho essenzialmente immaginato come una sorta di alter-ego.Le mie fotografie assumono una nuova forma e vengono riscattate mettendo in luce dettagli inosservati o stravolgendone completamente l’immaginario. Una sorta di puzzle che si compone invertendo l’ordine dei tasselli. Vorrei continuare su questa strada approfondendo la tecnica singolarmente, integrando magari una parte grafica, con l’obiettivo di farla divenire il fulcro dei prossimi progetti.


Total look Missoni


La visionarietà e il tuo talento spingono Manintown a darti spazio per un progetto editoriale in cui riesci ad esprimere tutte le peculiarità della tua fotografia. Illustraci gli spunti che hanno dato vita agli scatti.

L’ispirazione è arrivata dal legame che inevitabilmente si va a creare con gli oggetti che ci circondano nel quotidiano. Ogni oggetto racconta un pezzo della propria storia. Storie che prese singolarmente ti spalancano le porte di una Wunderkammer dinanzi alla quale non puoi che lasciarti trasportare con lo stupore di un bambino.



Total look Versace


Total look Vivienne Westwood

Sfere BBTrade


Total look Emporio Armani

Wolf skull Seletti


Special contents direction, production, styling & interview Alessia Caliendo

Photographer Matei Octav 

Grooming Alessandro Pompili

Model Quintin @ Crew Model Management

Alessia Caliendo’s assistant Andrea Seghesio

Grooming assistant Chiara Viola

Special thanks to

Allegro Hotel San Pietro all’Orto

Maido Okonomiyaki street food

New faces: Ivano Chinali

Classe 2001, ma con le idee molto chiare. Ivano Chinali è una delle nostre nostre new faces e siamo sicuri che in futuro lo rivedremo spesso. Oggi ha un primo film in uscita (ancora top secret) ed è già molto seguito sui social. Dai tempi della scuola infatti, ha portato avanti un canale YouTube di successo e ora coltiva con profitto i suoi profili Instagram e Tik Tok , dove scopriamo la sua arte nel doppiaggio e nelle imitazioni. Insomma, le basi per un futuro da attore ci sono tutte!

Sei all’inizio del tuo percorso, come è avvenuto l’approccio con la recitazione?

Anche se il mio percorso è appena iniziato, sono molto determinato a continuare su questa strada. Durante il liceo ho capito che la recitazione faceva per me, non mancava mai occasione per parlare in pubblico e proprio durante quel periodo sono stato anche un attivo youtuber. Quindi l’anno scorso dopo il diploma ho iniziato accademia di recitazione. Al momento sto lavorando ad un film a livello cinematografico, con distribuzione 2022 ma non posso dire di più. Da studente/attore mi piacerebbe arrivare al centro sperimentale di Roma, per poi recitare in produzioni nazionali ma anche straniere.

Quali serie ti piace seguire invece?

Mi piacciono molto le serie spagnole come Elite o la Casa de Papel.  Da ex combattente (Ivano è campione italiano full contact nel 2019 e praticava rugby a livello agonistico) ti direi anche Vikings .



Adesso quale sport pratichi invece?

Ora mi alleno in casa e pratico calisthenics e vado a correre, almeno finchè non riapriranno le palestre.

Il segreto del tuo successo sui social?

Cerco di non limitare il mio contenuto a video ironici ( lui è molto forte sulle imitazioni nella sua pagina Tik Tok) e provo a portare spunti di riflessione. Credo sia anche questo il motivo del mio grande seguito.

E di Clubhouse, cosa ne pensi? 

Vorrei usare meglio il mio tempo per inventarmi qualche podcast interessante. Sarebbe bello iniziare un mio contenuto originale.

Un attore a cui ti ispiri?

Jim Carrey, che è stato golden globe per tre volte ed è una figura artistica incredibile. L’ho scoperto da piccolo in “Ace ventura acchiappa animali”, avevo imparato a memoria tutto il film e lo imitavo in tutto. In effetti la passione per la recitazione è partita proprio da lì!

Un luogo che vorresti visitare presto?

Sicuramente l’Islanda, un paese isolato da tutto in cui potrò trovare me stesso. Sarebbe la meta ideale per preparare il mio personaggio più grande. Sono molto determinato e lo vedo come un luogo che ti tempra e ti mette in comunicazione con la parte più profonda di te.

Dove ti vedi tra 5 anni?

Mi impegnerò per essere su un palco importante, dove prendo in mano un microfono mentre parlo ad un grande pubblico. Non vedo ancora il luogo preciso, ma di sicuro ci saranno molte persone a guardarmi.

La preistoricità del moto perpetuo : i Marras firmano un nuovo emozionante capitolo sull’amore territoriale

La drammaturgia vive nella Milan Fashion Week ed è forte più che mai nei cortometraggi che vedono nell’autenticità del racconto un modo di valorizzare non solo il risaputo know how artigianale ma anche la prepotenza dei landscape di cui siamo portatori sani.

Nei 365 giorni che ci separano dall’inizio della pandemia, e dalla lieve incoscienza alla quale eravamo abituati nel movimento a tutto globo, eccoci proiettati con un drone nella reggia nuragica del Barumini, patrimonio sardo dell’Unesco, che strizza l’occhio alle atmosfere rurali dei più importanti siti archeologici e naturalistici mondiali.

Film Commission al rapporto e cast interamente sardo per una rappresentazione che unisce il misticismo alla riappropriazione viscerale delle proprie radici. Di dove sei, di dove siamo e fin dove ci spingerà il nostro patrimonio genetico.

Nonostante Antonio Marras, ce ne parla Efisio, volto e operatività millenial, nella top under 30 di Forbes, colonna portante della troupe familiare impegnata nella produzione del mini colossal.



Ci vediamo a casa, la vostra, per un progetto la cui chiave di lettura è la multidisciplinarietà. Un sogno che si realizza per la visione di una Sardegna Caput Mundi attraverso la penitenza del cammino. Un’opera prima cinematografica che mi ha ricordato una delle più importanti installazioni visive di Bill Viola: The Path. Dove la gentrificazione e l’antropologia umana si legano ad un silente moto perpetuo. In questo caso, però, la processione è volta al raggiungimento di un picco, la reggia di Barumini, per assolversi dai peccati. 

Nel nostalgico ricordo dei moodboard, presenti nei backstage delle vostre sfilate, quali sono state le fonti ispirazionali e le contaminazioni che vi hanno guidati nello story telling? 

C’è un elemento di novità nel processo di costruzione della show. Per la prima volta abbiamo lavorato in assenza di reference. La scintilla è partita da mia madre, Patrizia Sardo Marras, colei che da inizio ad ogni processo creativo e la stessa che ne mette la parola fine. Si tratta de la mise en scene del Decamerone di Boccaccio e ciò che avete visto, in realtà, è solo il primo take di un prodotto visivo più articolato, di cui a breve sarà diffuso il Director’s Cut. 



Il misticismo dei nuraghi riporta alla preistoria di un territorio preso d’assalto da innumerevoli popolazioni che ne hanno consentito una stratificazione degna dei più arditi principi di tettonica. Cultura, artigianato, agricoltura e estro creativo che da decenni fondano le radici della vostra mission, quella di amplificarli a livello mondiale. Quanto è stato complicato trasmettere in 16:9 e 4:5 la multisensorialità alla quale eravamo abituati durante gli show? 

Siamo tutti molto esigenti ed è stato davvero complicato. Parliamo di una produzione totalizzante che per tre giorni, grazie alla Sardegna Film Commission, ha preso vita davanti ai nostri occhi. Provate ad immaginare quanto sia stato difficile ottenere le autorizzazioni per girare nell’emblematica atmosfera del Barumini, patrimonio dell’Unesco, scegliendo le giornate più fredde della stagione e canalizzando al meglio tutte le nostre idee. Una meravigliosa follia!

Ballando il twist, il prodotto visivo dimostra quanto la Sardegna sia in grado di realizzare, grazie alle risorse locali, produzioni degne dei grandi show dell’asse Milano- Parigi- New York. Un lavoro nel quale si evince una salda struttura organizzativa capitanata matriarcalmente da Patrizia Sardo Marras nelle vesti di art director e stylist, diretta, insieme agli altri indigeni e autoctoni, dal regista Roberto Orru. 

Come si è evoluta la preproduzione e quanto tempo è stato impiegato per le riprese presso il sito archeologico?

La stesura dello script risale a 365 giorni fa e arrivare a vedere i protagonisti spalmati su 4 km di strada ha suscitato in noi emozioni inspiegabili. Tutto si è magnificamente connesso.

Un esempio sono i copricapi, nati come pietre ricamate, alle quali da tempo volevamo dare una collocazione stilistica. Come per magia, hanno trovato la loro dimensione posizionandosi sui volti dei protagonisti in un frame che possiamo definire emblematico.



Matriarcale anche l’altra figura femminile di spicco: l’attrice Lia Careddu, che interpreta con richiami alle icone felliniane, Nuraja Manna.

Mastodontica si erge su tutti i pellegrini, anch’essi attori del teatro e del cinema sardo. La cruenza espressiva e la presenza scenica eterogenea diventa fonte di inclusività, da sempre fiore all’occhiello dell’atelier d’artista marrasiano. Quanto le fusioni artistiche sono importanti per lo stesso e quali sono state quelle che lo hanno segnato nel corso della sua storia?

Antonio Marras considera la moda una diramazione artistica e il suo estro innegabile l’ha portato ad esprimersi sotto varie sfaccettature. Tra tutte cito la sua mentore Maria Lai, con cui ha condiviso momenti di altissimo spessore, definendola più volte “una compagna di viaggio, una musa, un’amica geniale affettuosa e custode dell’anima“.Ma anche Carol Rama, altra interprete femminile che ha segnato l’arte contemporanea del Novecento, alla quale ha dedicato la collezione primavera/estate 2015. Indubbiamente le sinergie di Antonio Marras coinvolgono professionisti che agiscono con decisione e compiono un percorso ricco di significato.



Nell’emozionalità visiva la moda accarezza l’impattante teatralità e ancora una volta ritroviamo in maniera circoscritta i vostri codici ricchi di contrasti e dicotomie: sprazzi di romantici ricami, elementi di recupero impreziositi e il classico punk di rottura rappresentato da stampe e lettering. L’impegno profuso nel realizzare una collezione nel pieno della pandemia si è differito rispetto al passato oppure ha mantenuto le stesse dinamiche?

Non so ancora quanto la pandemia abbia stravolto questa collezione, sicuramente le dinamiche interne sono cambiate.

I’M Marras, la linea che seguivo, è diventata un drop mentre sono entrato a pieno regime in Antonio Marras offrendo un contributo che dona spunti stilistici in grado di soddisfare i gusti delle nuove generazioni.

La Antonio Marras, prodotta al 100% ancora in terra sarda, attualmente può vantare anche proposte in chiave streetwear che strizzano l’occhio agli anni Novanta.

Special content direction, production & interview Alessia Caliendo

Photography Riccardo Ambrosio

Faces: il maestro tatuatore Alex De Pase

Alex De Pase è uno dei maestri più quotati, specializzato nel tatuaggio realistico e nella ritrattistica. Inizia a tatuare per caso, da ragazzino infatti aveva la passione del disegno e in mano pochi rudimentali attrezzi del mestiere, ma anche un destino segnato: diventare non solo uno dei maggiori esponenti del tatuaggio realistico nel mondo, ma far entrare un percorso di studi dedicato al tatuaggio in una istituzione accademica. Tra gli ultimi progetti anche la creazione di una linea di sneaker di lusso di cui ci svela di più nella nostra conversazione.

Com’è nata la tua passione per il tatuaggio e la ritrattistica?

La mia passione per il tatuaggio è nata molti anni fa nel 1990, quando conobbi una persona piuttosto eccentrica e molto tatuata, che a sua volta tatuava, e che poi sarebbe diventata per me un mentore. Parliamo di anni in cui essere tatuati dava ancora molto scalpore e ti etichettava immediatamente come una persona poco raccomandabile, figuriamoci poi l’alone di mistero che aleggiava su chi i tatuaggi li faceva. Io ero un quattordicenne decisamente ribelle che andava controcorrente e al tempo stesso ero fortemente appassionato di disegno. Da questa amicizia è iniziata la mia avventura nel mondo del tatuaggio e non mi sono mai più fermato.



Mi sono accorto che nell’eseguire i primi ritratti provavo un’emozione enorme, dare vita a qualcosa di simile sulla pelle mi coinvolgeva in maniera assoluta. Da lì ho iniziato a dedicarmi esclusivamente a quello mettendomi come obiettivo di diventare tra i più conosciuti tatuatori al mondo per la ritrattistica a colori. La gratificazione che senti e il trasporto che hai quando fai qualcosa che realmente ti nasce da dentro è impagabile e al tempo stesso ti consente di raggiungere risultati davvero importanti.

Quali sono stati gli step fondamentali nella tua carriera?

Gli step fondamentali sono stati diversi in diversi momenti. Il primo è stato quando appunto ho deciso di dedicarmi alla ritrattistica a colori, decisione che ha segnato e dato il via alla mia. Poi un altro momento importante è stato quando sono stato inserito dal giornale storico del settore, la rivista americana “TATTOO”, tra i 10 migliori tatuatori al mondo. Questo mi ha dato una grande notorietà e l’anno successivo un’altra nota rivista del settore, “REBEL INK”, mi ha inserito nella lista dei 25 tatuatori più ricercati al mondo. Poi sarebbero davvero tanti i momenti significativi della mia carriera ma forse quello più importante è arrivato qualche anno fa quando il museo Macro di Roma mi ha conferito il titolo di artista contemporaneo, cosa del tutto inaspettata per il mondo del tatuaggio e da lì poi l’esposizione dei miei tatuaggi al museo M9 di Venezia. Infine, non ultimo, quello di realizzare una linea di sneakers luxury.



Com’è nato il progetto di calzature?

Tra le mie passioni c’è sempre stata anche quella per la moda e in particolare per le sneakers. Per diletto creavo dei progetti che raffiguravano proprio delle calzature tra l’elegante e lo sportivo. Cercavo di immaginare come avrei potuto dar seguito alla mia creatività e a come i miei tatuaggi potessero essere visti anche in altri ambiti e in particolare quello della moda. Quindi nei disegni che preparavo inserivo i tatuaggi che avevo fatto. Un giorno li mostrai al mio amico Kardif e insieme abbiamo deciso di concretizzare questo progetto, creando una linea di luxury footwear.



Quali sono i tuoi punti di riferimento nel mondo creativo?

Non posso dire di aver mai avuto dei punti di riferimento ai quali ispirarmi per stimolare la mia creatività, la creatività secondo me è frutto della tanta curiosità, della voglia di rimanere affascinati davanti alla bellezza, davanti a qualcosa che è percepito come diverso. La curiosità secondo me è una fonte inesauribile di creatività, io sono sempre stato incuriosito da tutto e alimentando la mia curiosità sono poi arrivato a un mio modo personale di essere creativo.



Che personaggi vorresti portassero le tue sneaker e i tuoi tattoo?

Immagino che le nostre sneakers siano perfette per chi ama l’arte e il luxury, ma non sente il bisogno di esibirlo o di ostentarlo. Una persona dall’essenza estrosa e che ama la peculiarità dei dettagli, così come l’appeal strong del nostro stile.

100% made in Italy: Rasna, gioielli all’italiana

Si dice che dai periodi difficili nascano nuove opportunità, e quello di Elisa Taviti, nota fashion influencer dalle origini toscane, è un vero e proprio progetto speciale nato durante la quarantena dello scorso anno che fonde in un nuovo brand e in un concept store virtuale gli elementi a cui tiene di più come le origini, l’amore e la passione per la moda. Così dopo il successo della collezione ESTATE ITALIANA, lanciata appunto la scorsa estate, scopriamo adesso la nuova linea del suo brand RASNA. Il tema della nuova collezione è L’AMORE, in ogni sua forma, i legami e le relazioni.

Come lei stessa afferma “In un momento come questo così incerto e complicato, l’unica cosa che conta davvero è l’Amore; della famiglia, di un fratello, di un amico, di una compagna, di un compagno, di un collega. Le relazioni stanno alla base di tutto e oggi più che mai abbiamo bisogno di rapporti stabili che ci facciano sentire protetti e sicuri dato il particolare momento storico che stiamo
vivendo”.



Come nasce il progetto Rasna? 

Rasna nasce dall’esigenza di voler creare qualcosa di ancora più mio, di vedere le mie idee concretizzarsi materialmente. Da sempre sono una grande amante degli accessori, per questo non ho avuto alcun dubbio su quello che avrei voluto realizzare. Il progetto è stato lanciato nel giugno 2020, subito dopo la pandemia. E’ stata una sfida davvero complessa, il lancio di un brand non è una cosa affatto semplice; in un momento così difficile è davvero complicato dare vita a nuovi progetti, ma io ci ho voluto credere e l’ho desiderato più di qualsiasi altra cosa.




Quanto conta il made in Italy per te?

Il Made in Italy è l’anima del brand, i prodotti Rasna infatti sono totalmente realizzati in Italia. Per me era veramente molto importante creare qualcosa che potesse rappresentare il mio paese, date le infinite eccellenze che abbiamo. Per la precisione i gioielli sono Made in Tuscany, proprio come lo sono le mie origini, ragione per la quale ho scelto il nome Rasna, che tradotto letteralmente significa “popolo Etrusco”.




Quali sono i tratti caratteristici di Rasna? 

E’ semplice, essenziale, ma con un tocco cool. E’ un brand per tutti, non ci sono età e nemmeno generi. E’ per qualsiasi persona che si senta forte e determinata, che sa quello che vuole e che si batte per averlo. C’è un animo glamour ovviamente perché la parte più frivola che abbiamo dentro di noi è quella che ci fa tornare bambini e ci fa sognare, credere e sperare nel futuro. E soprattutto in questo periodo la speranza verso un futuro positivo è davvero importante.


Da dove trai ispirazione per le tue creazioni?

Le ispirazioni provengono da tutto ciò che mi circonda, dalla mia vita. Prima della pandemia avevo la fortuna di visitare il mondo, di scoprire nuove culture, di conoscere persone creative, intelligenti, curiose, che per me erano una fonte di ispirazione costante. Adesso che da un anno tutto ciò mi è impossibile, così traggo ispirazione dall’arte, dai libri, dai social, dai film, ma anche da tutte le persone amiche che ho la fortuna di avere nella mia vita che mi stimolano quotidianamente. Spero però che al più presto potremo di nuovo assaporare la bellezza del mondo, una cosa che mi manca moltissimo.

Dal ring alla macchina fotografica: Michael Samperi

Photographer: Gabriele Gregis @g.gregis 

Stylist: Stefano Guerrini @stefano_guerrini

Stylist assistants: Erna Dzaferović @ernadzaferovic, Lorraine Betta @lorrainebetta, Gabriela Fin Machado @gabifinm, Aurelio Comparelli @aureliocomparelli

Model: Michael Samperi @michael_samperi @UrbnModels

Make-up artist: Vivian Alarcon @vivian_alarcon_mua


Si avvicina a questo sport grazie al padre Mauro Samperi. Come lui stesso racconta “essendo lui il mio maestro mi ha tramandato questa passione, non sapevo ancora camminare e già stavo in palestra a gattonare in mezzo ai sacchi”.

Maglia Lardini, pantaloni Gabriele Pasini, foulard vintage Archivio Guerrini, stivali Roberto Cavalli

Qual è la più grande soddisfazione e quale il più grande insegnamento? 

Fino ad oggi la mia più grande soddisfazione è stata quella di partecipare ai campionati mondiali juniores di Bangkok, vincendo ben due tornei in due discipline: muay thai e K1. Mentre il mio più grande insegnamento che questa disciplina mi ha dato è che se si è determinati, costanti e disciplinati i risultati arrivano e, nonostante i tanti sacrifici, il mio motto è: “non mollare mai”. 



Consiglieresti questo sport e perché?

Assolutamente si, lo consiglio vivamente, e non perché lo pratico da tutta la vita, ma perché ti prepara fisicamente, mentalmente e soprattutto perché accresce particolarmente l’autostima e aiuta a capire l’importanza del rispetto delle regole.



Hai una dieta particolare? 

Si, ho una dieta specifica che seguo tutto l’anno che mi permette di mantenermi in forma e di rientrare nella mia categoria di peso per le gare.


Total look Bally, stivali Roberto Cavalli 

Quanto ti alleni? hai un allenamento particolare?

Mi alleno 6 volte a settimana e ho delle periodizzazioni da seguire ( forza, esplosività, velocità e tecnica).


Quali erano i tuoi miti da ragazzo e a chi guardi ora? A chi ti ispiri?

Il mio mito da piccolo è sempre stato mio padre, lo è tuttora e sicuramente lo sarà sempre. A lui devo tutto. Molto conosciuto nel nostro settore per aver sfornato dalla sua “Accademia Sicilia di Muay Thai “diversi campioni. Sportivamente parlando mi ispiro al combattente Giorgio Petrosyan che grazie al duro allenamento e alla grande umiltà è riuscito ad arrivare ai massimi livelli diventando il più forte al mondo. 



Come sei arrivato alla moda?

Per caso, ho conosciuto i fratelli Dsquared2 e poco dopo mi hanno chiesto se ero disponibile a fare un servizio fotografico con ICON magazine con Giampaolo Sgura e da qui è nato tutto perché successivamente mi hanno presentato all’agenzia Urbn models e piano piano ho iniziato a lavorare in questo settore.

E cosa pensi di questa nuova esperienza?

Devo dire che mi piace tanto, ho scoperto un nuovo mondo, non so se avrò un futuro in questo settore ma ho imparato che nella vita bisogna prendere ciò che arriva, sono esperienze positive che ti fanno crescere. 



Parlando di moda, cosa non può mancare nel tuo guardaroba?

Jeans, mi piacciono in tutti i modi: stetti, strappati, scoloriti, praticamente li indosso sempre e poi naturalmente un belPantaloncino di muay thai!!!

Sei siciliano, ci racconti la tua terra? Immaginando un futuro vicino in cui si possa viaggiare liberamente, cosa consigli di vedere/assaggiare/fare in Sicilia?


Io mi reputo molto fortunato a vivere in un posto meraviglioso come la Sicilia, c’è tanto da visitare ad esempio a Taormina e Giardini Naxos per il mare, le belle nuotate, l’escursioni in barca, si può andare al teatro greco, alle gole dell’Alcantara, per il paesaggio mozzafiato, Noto, Modica e Ragusa per le meraviglie barocche, Siracusa e l’Isola di Ortigia. L’Etna per il paesaggio lunare e se si è fortunati si può ammirare qualche eruzione, la riserva dello zingaro per la vegetazione tipicamente mediterranea, Favignana per le spiagge caraibiche. La valle dei templi di Agrigento , Catania per la sua movida e l’ ottimo cibo. Mi scuso se non ho nominato altri posti altrettanto belli e suggestivi, ma la lista è davvero infinita, vi consiglio di trascorrere le vacanze in Sicilia e toccare con mano, ma sicuramente sarai costretto a tornare perché è veramente difficile visitare tutte le meraviglie che abbiamo. Mentre per il cibo vi consiglio di assaggiare assolutamente l’arancino, i cannoli alla ricotta, la granita con la brioche e del fantastico pesce!!



Sogni e progetti per il futuro?

Il mio più grande sogno è di affermarmi nel mio sport ai massimi livelli e perché no continuare nel campo della moda penso che sia un connubio molto interessante.Anche se ho iniziato da poco ho avuto delle belle soddisfazioni e sinceramente mi è servito molto durante questo periodo visto che le competizioni sono ferme almeno mi sono dato da fare raggiungendo dei bei risultati.

Il ritmo caldo del reggaeton: Vergo

Cantautore dall’animo nero, sexy beat e voglia di raccontare tipica del Meridione. Vergo, romantica anima sicula incontra in esclusiva Manintown, presso NH Milano Touring, parlando di ricordi, legati alla sua terra e all’experience di X Factor, e alla costante sperimentazione musicale sotto l’ala di FLUIDOSTUDIO, etichetta con la quale ha prodotto e lanciato “L’Animo Nero” e “Bomba”. 

Famiglia siciliana e la carismatica gestualità che solo il Sud riesce a donare, Vergo si apre ad una ricerca artistica senza precedenti in cui la multiculturalità e la libertà espressiva si lasciano andare al ritmo caldo di un reggaeton mediterraneo fuso alla tradizione popolare siciliana. Da dove parte e come si evolve la tua sete di contaminazioni, suggestioni e visioni? 

La scintilla d’amore verso il reggaeton è scattata quando ho sentito il bisogno di avere nella mia vita più spensieratezza e vibrazioni briose e “peligrose”. Dai primi approcci ho avvertito un sound caloroso, accogliente e inclusivo. Sento di aver trovato la chiave giusta per affrontare ed esprimermi sulle tematiche anche più profonde a me vicine, mantenendo una vena ottimistica e romantica. 



Una vera e propria “Bomba” che, grazie al brano omonimo, presentato alle audizioni di XFACTOR ha fatto ballare tutti, dai giudici allo staff dietro le quinte, fino a convincere Mika a volerti con sé. Una hit che ha da poco superato i 2 milioni di stream su Spotify e un ottimo biglietto da visita per entrare nel cuore degli italiani. Svelaci tutti i retroscena della sua nascita. 

La nascita di Bomba è avvenuta in un anno difficile e di profonda riflessione personale. L’incontro con il misterioso producer ilromantico e la sua bozza di beat hanno aperto una prospettiva del tutto nuova sulla musica che stavo cercando, con richiami all’estate e alla voglia di ballare all’aria aperta che tanto ci mancava. Da lì insieme a ilromantico e FLUIDOSTUDIO ho iniziato a giocare, a sperimentare con i suoni, dando vita a BOMBA che è diventata una vera e propria terapia messa in musica. Un beat contagioso che ha coinvolto tutt* coloro che volessero liberarsi dalle proprie catene. 



Lo stage e il backstage di XFACTOR hanno visto anche il lancio dell’ inedito “Nella Balera”, scritto con Paolo Antonacci e prodotto da sixpm (producer di Elisa, Fedez, Guè Pequeno, Marracash e Arisa) con la supervisione di Taketo e del team leader Mika. Quanto ti hanno segnato le luci dei riflettori di uno show mainstream e cosa porterai con te da questa esperienza? 

Partecipare ad XFactor mi ha reso più consapevole del mio essere artista. Mi ha fatto scoprire quanta forza e bellezza risiedono nel mio modo di scrivere e fare musica, mi permettono di condividere me stesso con chi mi ascolta. 

FLUIDOSTUDIO è l’etichetta discografica indipendente che possiamo definire la famiglia milanese e che ti ha seguito e ti segue nella crescita artistica e professionale. Quali sono i focus su cui vi state concentrando in questo particolare momento dove la musica live è penalizzata? 

Appena conclusa la partecipazione al programma, mi sono rimesso subito a lavorare con FLUIDOSTUDIO. Il mio percorso musicale prende le mosse dalla ricerca personale e dalle mie origini, infatti amo raccontare storie dando risalto ai linguaggi siculi. Qualche giorno fa ho deciso di acquistare un dizionario italiano-siciliano in modo da studiarne ogni singola inflessione anche vernacolare. 



In cantiere ci sono nuove tracce in collaborazione con il duo Bautista e con Populous, coordinato da il producer ilromantico e dal direttore artistico Protopapa, con l’intenzione di raggiungere un pubblico ancora più vasto e raccontare la tua visione romantica della realtà. Suggeriscici una playlist poetica che può farci entrare nel tuo mindset musicale mentre siamo alle prese con le grigie giornate in smart working. 

Lavorare con i Bautista potrei definirlo positivamente strano perché nella loro calma assoluta riescono a produrre musica a gran velocità. 

Scrivere oggi della mia collaborazione con Populous rappresenta un enorme traguardo. Sognavo di arrivare a questo punto e sono orgoglioso di esserci arrivato con le mie forze e l’aiuto del team FLUIDOSTUDIO che mi segue. 

Ci sono in cantiere altre collaborazioni molto interessanti delle quali non possiamo svelare ancora nulla ma che saranno una sicura sorpresa per tutt*. 

Vi lascio con la mia playlist: 

Blaya – Faz Gostoso
Arca feat. Rosalia – KLK
Boyrebecca – Dulce de leche
Populous – Petalo
Major Lazer – QueloQue
Rosalia – Juro que
Urias – Diaba
FKA Twigs – Sad Day
Grimes feat. Majical Clouds – Nightmusic Sophie – It’s okay to cry 

Special content direction, production, interview & styling Alessia Caliendo

Photographer Clotilde Petrosino

Make up Serena Polh

Hair Alessandro Pompili

Beauty by

Bionike

Gli Elementi

Maria Nila

Miamo

WeMakeUp 

Special thanks to 

Fluido Studio

NH Touring Hotel Milano 

Soulgreen

Faces: Enrico Costantini, un fotografo nomade

Veneziano ma sempre in movimento, Enrico Costantini sviluppa la sua vena artistica sin da giovanissimo, prima con gli studi poi la danza. Nel tempo porta con se il suo background, trasferendolo nelle esperienze nel campo dalla moda, nelle pubbliche relazioni e come digital creator. Nella nostra conversazione ci racconta il suo percorso, i desideri per il futuro e ci ispira per i prossimi viaggi da intraprendere, non appena si potrà…



Raccontaci il tuo percorso e i tuoi studi…

La passione per l’arte in senso ampio comincia dai tempi della scuola, quando frequentavo il liceo artistico e contemporaneamente la scuola di danza. Da Venezia mi sono trasferito poi a Roma per l’università. Lì ho studiato interior design e ho continuato a ballare, frequentando l’accademia di danza parallelamente. Dopo la laurea, mi sono avvicinato al mondo del digital in un momento in cui i social prendevano piede insieme ai primi blog di successo. Sempre in quel momento iniziavano a nascere quelli che oggi vengono definiti influencer. Roma è un città molto diversa da Milano, mi ha dato modo di spaziare tra vari settori tenendo però ferma la passione per l’interior.



Come è nata la tua passione per il viaggio e la fotografia invece?

La passione per la fotografia nasce quando ho iniziato a seguire Thecobrasnake, un fotografo americano che mostrava nei suoi scatti il lifestyle in chiave diversa e innovativa. Dai suoi lavori infatti sono nate le prime personalità digitali.



Ispirato da lui, e dai primi influencer ho comprato la mia prima reflex iniziando a scattare foto alle persone che vivevano con me la quotidianità. Prima ho curato un blog per un mio amico e poi con il tempo sono iniziate le prime collaborazioni, tra cui Swide (magazine online di Dolce&Gabbana), la mia prima esperienza in una rivista come fotografo e contributor. 

Come definiresti la tua fotografia?

Semplice e spontanea. Il mio obiettivo è quello di cogliere un istante e raccontare un momento non costruito. Sono fluido , le diverse esperienze lavorative mi hanno reso molto versatile. Ora scatto molto interni e documentary/travel ma anche se il mio stile è riconoscibile non mi pongo troppi vincoli.



Cosa ti colpisce quando viaggi e quando scatti un luogo?

Mi piace raccontare storie e renderle mie. Ogni viaggio mi lascia qualcosa di diverso e la cosa che preferisco è entrare in contatto con le culture del luogo. Creare dei legami, senza per forza raccontarsi a parole o essere amici. In alcune destinazioni trovi la barriera del linguaggio, ma anche quando si parla una lingua diversa ci si può comunque lasciare qualcosa attraverso gesti ,momenti ed esperienze.



Quali le destinazioni che consiglieresti a Manintown e perchè?

Vi consiglio di provare ad ampliare il concetto di viaggio e slegarvi dalle mete cool, come capitali europee super affollate o città notoriamente trendy.



Mi piacerebbe spostare l’interesse su destinazioni più interessanti come Città del Messico o Atene, Beirut, Istanbul. Sono realtà che hanno molto da raccontare.

Un profumo che associ ad una delle tue destinazioni?

HWYL di Aesop, mi ricorda molto la Tunisia.



Quando viaggi cosa non può mancare nella tua valigia?

Ovviamente la macchina fotografica, per il resto mi piace viaggiare leggero. Quando sono in viaggio tendo sempre a comprare qualcosa, quindi parto con il minimo indispensabile.



Quali sono le tue prossime mete e i progetti imminenti?

Sto sistemando il mio sito, una cosa che non ho mai fatto prima d’ora. In questo lockdown ho avuto molto tempo per lavorare su cose che avevo rimandato da tempo. Mi piacerebbe poi fare una mostra, magari a Venezia, una città che ho vissuto poco ma ricca di spunti. Infine vorrei visitare presto il Nord Africa, altra terra ricca di spunti, non appena si potrà.

New faces: Samuel Heron

Samuel Heron è un artista nato a La Spezia nel 1991, giovane dotato di un grande talento che dal 2012, anno della sua prima uscita discografica “Council Estate Vol.1”, spazia tra valide collaborazioni e brani di spessore. Se da un lato Samuel viene inserito all’interno di un filone accostabile per sonorità al nuovo Rap o alla Trap, parlando con lui scopriamo una persona desiderosa di ampliare i propri orizzonti. Sembra sia arrivato il momento, ad iniziare da un passo fondamentale per la propria crescita personale ovvero la scelta di utilizzare per la prima volta il proprio cognome: Costa. Per Samuel è giunto il momento della verità e della maturità che qui parlano la lingua dell’evoluzione.
Il 12 febbraio verrà pubblicato il suo nuovo Ep dal titolo “Canzoni popolari” che conterrà sei brani e dal quale è stato estratto il primo singolo “Una bugia”. Samuel si espone, vuole svestirsi degli abiti indossati fino a ieri e ci racconta del suo rapporto con l’ansia che lo accompagna costantemente in ogni fase della creazione musicale oltre che nella vita quotidiana. È forse un ostacolo per lui?



“No”, risponde. “Faccio i conti con la mia ansia quotidianamente, è parte di me e in qualche modo mi aiuta a raccontare e raccontarmi. Non solo, i miei amici e collaboratori ormai convivono con questa mia peculiarità, quindi direi che ormai è parte di me, non potrei più fare senza”.
E incalza.
“Sento sia arrivato per me un punto di maturazione che mi consente di trasformarmi, di evolvere e slegarmi parzialmente dall’artista che ero fino a ieri. Nessuno stravolgimento particolare, ma un modo per guardare al passato e tornarvi dentro, poi fuoriuscirne e proseguire nel mio cammino attraverso un processo che porti all’utilizzo di un gergo diverso, più semplice e comprensibile, oltre che a sonorità più povere. Estremizzando il concetto si potrebbe parlare di un approccio cantautorale, con i dovuti se e i dovuti ma”.


In fondo questo modello cantautorale di cui parla ricorda da vicino un certo tipo di evoluzione cara agli artisti che si apprestano a compiere i trent’anni. Vuole farci intendere che la maturità arrivi ad una età prestabilita?
“La mia è una ricerca che definirei terapeutica e che mi conduce a quella evoluzione a cui accennavo poco fa. Dove mi porti non saprei dire, seguo il mio istinto e vado controcorrente perché ha sempre fatto parte di me, e sono consapevole del rischio di incorrere in molte critiche. Ma non mi importa e me ne assumo la responsabilità. La mia visione del mondo esterno è ciò che riesco ad assorbire e riflettere raccontando quel mondo a modo mio. Senza peccare di falsa modestia credo che questa forma di vedere le cose possa portare a delle microrivoluzioni, che io tento di fare nel mio piccolo, e sempre con semplicità”.
Del resto la musica è sempre stato il fulcro delle rivoluzioni culturali e giovanili e se oggi utilizza la voce dei nuovi artisti della scena Rap e Trap è anche per il fatto che i giovani si sono plasmati con le nuove tecnologie. L’era del Punk riottoso appartiene al passato.


Nascere in una piccola città come La Spezia nella quale la vita odora di provincialismo e troppo spesso di chiusura mentale rispetto alle metropoli come Milano o Roma – molto più attente al panorama musicale alternativo – ti è servito per mantenere una certa semplicità e di conseguenza un distacco nei confronti della scena più Pop-oriented?
“In realtà demonizzare la scena della mia città mi è servito per plasmarmi meglio con quella milanese – la mia città adottiva che all’epoca del mio arrivo sembrava New York – e così riuscire a vivere, assorbire, rielaborare il mio pezzo di mondo con uno sguardo distaccato. Di fatto non sarei chi sono oggi se non avessi vissuto la realtà spezzina fatta di contraddizioni ma al contempo di vicinanza e di provincialismo. E l’apertura del mare è qualcosa alla quale non rinuncerei mai”.


C’è un episodio che ti ha fatto cambiare come persona o come artista?
“Non uno in particolare. Sono cambiato, cambio costantemente attraverso una naturale evoluzione densa di trasformazioni costanti. La difficoltà che talvolta incontro è nel trasmettere quei cambiamenti all’esterno con le mie canzoni”.


Ultimamente ti sei allontanato dal mondo social. È stata una scelta volontaria e naturale figlia di quell’evoluzione a cui tanto fai riferimento oppure ti sei sentito pressato, schiacciato da un mondo virtuale che troppo spesso toglie molto di più di ciò che dà?
“Ho riscoperto il mondo. Ho fatto un passo indietro e mi sono detto fosse giunto il momento della riscoperta di qualcosa che apparentemente sembrava surclassato da un nuovo mondo basato sulla tecnologia virtuale. L’analogico, le fotografie fatte con i rullini e la pellicola, riscoprire la gente ascoltandola, guardandola negli occhi e non attraverso sterili schermi. I Social aiutano, danno molto all’uomo artista, ma deve essere un mezzo per scoprire quell’artista, non il mezzo attraverso il quale la propria arte viene seppellita in ragione di un mondo virtuale in definitiva limitante e forse non così utile”.
Nel brano “Ubriaco” affermi che Sono tempi duri per i sognatori.
“Per i sognatori sono sempre tempi duri, chi sogna è visto troppo spesso come un individuo privo di contenuti e questo mondo, soprattutto lo scorso anno per varie ragioni, è stato veramente brutto e triste. Essere sognatori può essere un modo per salvarsi”.


La scelta di inserire per la prima volta il tuo cognome – Costa – è voluta. Vuoi raccontarci il motivo di questa scelta?
“Sì, certo. Il mio processo evolutivo passa anche attraverso la decisione di guardare indietro ed essere me stesso. Costa è il mio cognome e mi rappresenta, è necessario per me utilizzarlo. Questo processo mi porterà in futuro ad abbandonare completamente lo pseudonimo Heron, preso rispettosamente in prestito dal grande Gil-Scott Heron, musicista jazz che amo da tempi non sospetti”.
Non rimane che prepararci ad ascoltare il nuovo Ep di Samuel “Canzoni popolari”.

Faces: in viaggio con i The Globbers

Innamorati, spensierati e divertenti, Luca e Alessandro sono due noti influencer del panorama italiano specializzati nell’ambito del turismo. Le due distinte identità hanno dato vita ad un unico profilo Instagram, @the_globbers. Paesaggi mozzafiato, viaggi alla scoperta di isole misteriose, ma anche una grande storia d’amore: questi sono i contenuti che stanno alla base del loro profilo. Li abbiamo incontrati per comprendere meglio l’evoluzione del loro lavoro, in un momento in cui viaggi e turismo hanno accusato una forte crisi.



Da quanto tempo siete influencer?

Non ci piace definirci influencer per un semplice motivo: la parola stessa determina qualcuno che influenza la decisione delle persone che decidono di seguire quell’account, ma non siamo noi a determinare questo dato. È il pubblico che eventualmente viene influenzato, ma questa parola non ci mette a nostro agio perché ci sembrerebbe di applicare un’etichetta alla nostra figura.



Ad ogni modo non c’è una data precisa d’inizio. È stato un processo in crescita negli ultimi 5/6 anni, che un po’ alla volta ci ha portato a lavorare sempre di più in questo settore, pur non essendo il nostro scopo finale o principale.

Quali ingredienti servono oggi per essere un blogger di successo?

Al giorno d’oggi ne serve praticamente solo uno: l’unicità. E pur essendo solo uno è molto complesso da creare e portare a galla perché negli ultimi anni si sono sviluppati moltissimi blog e profili Instagram ma che, presi dalla foga di emergere, si sono ritrovati a copiare chi ha percorso quella strada prima di loro.

Lo spazio secondo noi c’è ancora per chi vuole mettersi in gioco, al contrario di quello che si dice, ma bisogna farlo nel modo giusto.

Il fatto di essere una coppia vi ha portato fortuna?

Per quanto il tema coppia e amore sia vincente su Instagram, una coppia gay non ha la stessa risonanza e viralità di una coppia etero, e questo è un dato di fatto sui social.



Non avete mai fatto mistero della vostra omosessualità. Questo come ha influenzato il vostro percorso ? E quello con i brand?

Avviene una scrematura naturale. Veniamo scelti da brand, aziende più o meno grosse, enti del turismo proprio perché siamo una coppia gay.

Anzi, apprezziamo molto i brand che si espongono e che marcano sul concetto di inclusività legato alla loro immagine, e in maniera del tutto naturale. Con alcuni brand collaboriamo ormai da anni in maniera costante.



Cosa pensate di Tik Tok?

Ha del buon potenziale come social, e nella prima metà del 2020 ci ha coinvolto parecchio proprio perché si differenziava da Instagram per tipologia di contenuto e meccanismo dell’algoritmo favorendo la visibilità. 

Ora, dopo l’arrivo dei Reel, ha perso un po’ di attrattiva a nostro avviso.

C’è anche da dire che il nostro pubblico è inserito in una fascia d’età diversa dagli utenti medi di Tik Tok, che sicuramente richiedono un tipo di comunicazione diversa.

Progetti per il futuro?

Potenziare la parte del nostro lavoro che preferiamo e su cui puntiamo di più: i nostri viaggi di gruppo. Abbiamo un milione di idee in testa e diversi viaggi rimasti in sospeso a causa della pandemia. Non appena si potrà ripartiremo gradualmente per tornare a pieno regime e premere poi il piede sull’acceleratore.

DALPAOS brand project: visioni stregate per l’emergente più cool del triveneto

Abbiamo sete di ottimismo e lo sguardo di DALPAOS è volto verso un mondo fatto di bellezza non convenzionale. 

Finalista di Who’s on Next 2020, Nicola D’Alpaos, bellunese con un background londinese, ha una particolare dedizione a tutta l’estetica green e a tutto ciò che si sviluppa nel segno della fluidità di genere. Nonostante il suo essere emerging ha all’attivo numerose collaborazioni con aziende del Made in Italy e Start Up, per lo più estere, seguendone idee, campionature e produzioni. 

The plant lover. Nella Fall/ Winter 21- 22 DALPAOS racconta una serie di piante velenose e droganti per svelarne le proprietà benefiche ed il loro aspetto artistico ed unico invece che quello distruttivo. 

In che modalità l’ispirazione è giunta dall’affascinante mondo dell’Enciclopedia Botanica? 

Ho sempre avuto una grande passione per la progettazione ed il design di giardini e parchi così come per tutte le tipologie di piante, soprattutto ornamentali.
Disegnando la collezione ed immaginandone una sua presentazione digitale, ho pensato fosse interessante rendere omaggio all’Alpago, mio luogo d’origine, in cui è stato ambientato il video di presentazione della collezione, inserendo un’inusuale selezione di piante e funghi stampati e ricamati. 

Lo studio attento dei pattern, tutti rigorosamente disegnati e dipinti a mano, prima di essere digitalizzati; nonché le stampe ad acqua, i ricami e l’uncinetto. Come è strutturato il processo artigianale dietro DALPAOS? 

La cosa affascinante di questo lavoro è la possibilità di spaziare con le tecniche di lavorazione: si può partire da una moderna stampa digitale e finire con un ricamo fatto all’uncinetto creato da persone che hanno appreso la tecnica che le è stata tramandata per generazioni.
Dopo aver sviluppato l’idea nascono collaborazioni con artisti, artigiani ed aziende che ci portano al risultato finale.
Credo sia interessante creare il giusto equilibrio all’interno di una collezione presentando capi industrializzabili affiancati a pezzi unici che possano essere prodotti in edizione limitata. 




I nostalgici degli anni Novanta hanno acclamato il movie presentato durante la MFW, DALPAOS WITCH PROJECT chiaramente ispirato a una delle pietre miliari dell’horror, “The Blair Witch Project”. Raccontaci come è avvenuto il colpo di genio. 

Immaginando la presentazione digitale della collezione “Optimist” con cui il brand avrebbe debuttato nel calendario della MFW, si sono aperte molte ipotesi. 
Ho voluto scartare a priori lo sviluppo di un video mood o di qualcosa di prettamente emozionale iniziando invece a ragionare ad un cortometraggio dalla trama più strutturata. 

Non è stato difficile trovare la storia su cui basarci: da appassionato del genere ho pensato che “The Blair Witch Project” fosse il perfetto esempio di narrazione che potesse funzionare con la collezione.
Una volta individuato il fil rougue nel cuore sagomato, diventato simbolo del brand, la trama si è presto sviluppata.
La foresta del Cansiglio, vicina al mio luogo d’origine, si adattava al contesto immaginato: con l’aiuto dei miei collaboratori è stato divertente immaginare il percorso da sviluppare basandoci in parte sul film originale ma stravolgendone canoni estetici e significato.
DALPAOS WITCH PROJECT ruota attorno al dna del brand che unisce la passione per l’arte nelle sue varie sfaccettature, per l’ambiente, il design la reinterpretazione. 

Interamente prodotto a livello local, e nei luoghi dell’infanzia , il corto narra i look della collezione intrisa di dettagli urban, materiali provenienti da deathstock o di reciclo, in contrasto con le locations naturali, imperve e desolate. Il casting, inoltre, raggruppa attori che lavorano in diverse zone d’ Italia e all’estero. Quanto è stato complicato produrlo durante le restrizioni pandemiche? 

La decisone di presentare un progetto di questo tipo è stata senz’altro dettata anche dalla fattibilità di produzione viste le numerose restrizioni.
Girando interamente all’aperto, gli attori hanno potuto mantenere ampie distanze sentendosi sicuri e a proprio agio; anche tutto lo staff dietro le quinte ha potuto lavorare in maniera più serena godendosi luogo e atmosfera. 

Molte scene sono state girate autonomamente dagli attori per ricreare quell’effetto amatoriale necessario perchè il corto funzionasse.
Gli attori non sapevano cosa sarebbe successo di preciso durante le riprese rimanendo all’oscuro di cosa avrebbero trovato e dove sarebbero arrivati. Nel briefing iniziale, così come nel copione da seguire, abbiamo spiegato loro il ruolo da interpretare e alcuni punti focali senza che avessero però alcuna idea di cosa sarebbe capitato in realtà. 

Così come The Blair Witch Project ha visto un sequel, sicuramente meno fortunato nel primo, la prossima collezione si muoverà sullo stesso filone oppure sonderà sentieri finora inesplorati?

Ogni nuova stagione è una grande opportunità per esplorare e sperimentare, questo settore si nutre di creatività che ci permette di ideare e sviluppare sempre cose nuove. Con la fine di una collezione sento la necessità di cambiare ed immergermi in qualcosa di differente mantenendo però saldo il dna del brand. 

Special content direction & interview Alessia Caliendo

Photographer Lorenzo Acqua 

Semplicità, relaxing, inspiration. Marco Baldassari presenta i keycode della prossima collezione uomo Eleventy

“Ci riteniamo ambasciatori nel mondo di un lusso responsabile, dell’artigianalità italiana e di uno stile sobrio, elegante, ma soprattutto moderno”, queste le parole di Marco Baldassari, CEO e direttore creativo uomo di Eleventy, brand nato nel segno dell’ Unconventional Chic sinonimo di impeccabilità ed eccellenza.

Manintown lo incontra in esclusiva nello showroom milanese pochi giorni dopo la presentazione della collezione Uomo Fall Winter 21/22.


Lei ha affermato che la nuova collezione si approccia “a un’eleganza pensata per sé stessi; è un nuovo modo di pensare e di essere nel mondo che cambia e si rinnova.” In che modalità le evoluzioni dell’anno pandemico, come la vita vissuta indoor e lo smartworking, hanno influenzato la sua ideazione?

L’attuale situazione mondiale sicuramente ha impattato sulle mie scelte stilistiche che non potevano sottovalutare i nuovi modelli di business. Questo mi ha fatto concentrare sulle shape e sui pesi adatti al lavoro at home per dar vita ad outfit confortevoli e perfetti per le Zoom call.

Perchè è importante aver cura di sé stessi e della propria estetica anche nella virtualità delle interazioni. 

Il tutto ovviamente è stato realizzato nel rispetto dei valori di Eleventy, eccellenza dei tessuti e dei filati totalmente Made in Italy.


Nonostante una proiezione alquanto incerta in merito agli spostamenti correlati ai viaggi Eleventy progetta la MOUNTAIN RESORT CAPSULE. Quali sono le caratteristiche che la descrivono al meglio?

All’interno della collezione abbiamo creato una piccola capsule di outfit colorati pensati per il tempo libero.Una nota vibrante consigliata anche per i week end cittadini.

Quanto delle connotazioni date alla collezione Uomo Fall Winter 21-22 ritroveremo nella donna Eleventy?

Uomo e donna camminano sugli stessi binari.Anche la donna vivrà momenti meno formali nel segno della trasversalità e delle recenti evoluzioni .Eleventy è un brand sostenibile, progettiamo capi senza tempo per dargli valore con il passare delle stagioni, mai come in questo momento.

Gli addetti del settore ricordano con nostalgia le presentazioni fisiche del brand all’interno dello showroom in cui ci troviamo. In che modalità avete scelto di presentare la collezione e come viene effettuata la campagna vendite?

La campagna vendite sta avvenendo in gran parte digitalmente. Per fortuna la pandemia ha accellerato i processi di digitalizzazione ai quali auspicavamo da anni. Dialoghiamo quotidianamente con i buyer internazionali e, anche durante la MFW, abbiamo scelto una modalità di presentazione virtuale in grado di risultare ingaggiante per tutti i nostri target di riferimento.

L’orgoglio del saper fare italiano, che vi contraddistingue sin dal 2006, su cosa punterà nel futuro prossimo e cosa conserverà delle evoluzioni vissute durante la Pandemia?

Noi italiani siamo giramondo, e mai come in questo momento ricordo con nostalgia i grandi apprezzamenti ricevuti per il nostro Paese. Il Made in Italy è il nostro brand, sinonimo di eccellenza e minuziosa artiginalità che ne firmano l’unicità. Produrre interamente nella Penisola ci crea non poca fatica soprattuto perché siamo nati con l’ambizione di essere competitivi. In questi anni ci siamo definiti un brand del frangente smart luxury e continueremo a muoverci in questa direzione avendo ottenuto ottimi consensi.


Special content direction and interview Alessia Caliendo

Photographer Matteo Galvanone

A Emilia il memorandum d’amore di Federico Cina

Special content direction and interview Alessia Caliendo

Photographer Matteo Galvanone

MFW goes on digital ma la mancanza dell’emozionalità è l’ultimo dei problemi. Ce lo spiega Federico Cina che con il suo fashion movie, lanciato per presentare la Fall Winter 21-22, racconta una vita di provincia intrisa di fluide emozioni, tra pranzi domenicali e passeggiate in bicicletta.

Federico Cina è il brand omonimo fondato nel 2019 con l’ambizione di raccontare al mondo l’essenza più autentica della Romagna. Tra paesaggi ghirriani e tecniche di stampa del passato si fonda sulla cultura sartoriale con un tocco di romanticismo rurale.



Melanconia e verismo, Federico Cina ci proietta nel cuore della Romagna, tra campi e balere, e nel cuore di Sarsina, il paesino che ti ha dato i natali in provincia di Forlì-Cesena. Un approccio che mira alla sostenibilità valorizzando la terra d’origine e creando opportunità a livello local.

Raccontaci della tua ambiziosa scelta e di come sei supportato da chi ti circonda.

Ho all’attivo molte esperienze lavorative all’estero ma ad un certo punto ho sentito la necessità di riavvicinarmi alla terra e ai valori romagnoli, mosso soprattutto dalla nostalgia. Ho deciso di iniziare a parlarne per dar voce all’artigianalità locale. Tutta la campionatura, infatti, è prodotta tra Cesena e Rimini, praticamente a km zero.

Romagna, terra e primo amore di fotografi che hanno condiviso i suoi landscape in giro per il mondo, Luigi Ghirri, Claude Nori e non ultimo Guido Guidi, da cui prende il nome il protagonista del corto di presentazione della tua ultima collezione. Quanto è importante la tua terra a livello visivo e quanto ha influito la figura di quest’ultimo nella fase di ideazione. 

Guido è stata la mia principale ispirazione. Tutto è partito grazie ad un attento approfondimento della sua fotografia per poi approdare tra le sue mura domestiche. First reaction: shock. Vale a dire la copertina di Per strada di cui abbiamo chiesto i diritti per la stampa sui tessuti della collezione. Tramite un gallerista siamo arrivati alla sua assistente ed il resto è un racconto emozionante: condividere la sua quotidianità e i suoi spazi analizzandone ogni angolo e scansionando la cover per la nostra collezione.

La divisa quotidiana e il suo studio. Chiamiamola con il suo nome e illustraci il memorandum di come la fludità e il normcore si sposano con le forme e la palette cromatica della collezione.

Nella collezione si racconta la vita reale esulandosi da strutture irreali e poco fruibili. La normalità e il gender fluid fanno percepire il prodotto moda come un oggetto mirato al comfort e al benessere. Il nostro e-commerce offre una totale apertura sulle taglie che vanno dalla 36 alla 54, approccio quasi inedito al giorno d’oggi.

Umanità, artigianalità e sostenibilità. Federico Cina si può definire un collettivo aperto alle collaborazioni con altri designer ai quali trasmettere il DNA romagnolo. Parlaci delle sinergie individuate per fondere insieme gli elementi di “A Emilia”.

Vantiamo una collaborazione con la designer Camilla Marchi che, grazie alla sua manualità, è riuscita a ricreare una borsa in pelle con la shape del grappolo d’uva, icona ciniana Al team si è aggiunto Alex Anderson, shoes designer, che ha fornito il suo know-how per la realizzazione della nostra prima scarpa.

Romagnola print. Una stampa che originariamente veniva utilizzata per le tovaglie ad uso esclusivo dei pranzi domenicali. Una tradizione ripresa da Federico Cina che, grazie alla collaborazione con lo storico stampificio Marchi, la rende fruibile anche per la creazione di capi d’abbigliamento.  Se dovessi proiettarla in un futuro prossimo dove vorresti collocarla?

Il mio sogno è vederla sui red carpet e indossata dalle celeb internazionali per renderla mainstream raccontandone la storia e laversatilità.

Simone Rugiati e la sua factory: come brandizzare la cucina italiana

Cuoco, conduttore televisivo ed influencer, Simone Rugiati è riuscito a conquistarci da subito con le sue ricette. Vivace, carismatico ed intraprendente, lo chef ha dato vita ad una creativa Factory House, Food Loft Milano. Lo abbiamo incontrato per scoprire il progetto da vicino…



Come è nata la tua passione per il cibo ?

Sono sempre stato un grande fan della cucina, sin da quando ero bambino. 

I miei genitori, insegnanti di ginnastica, quando ero giovane la mattina e il pomeriggio lavoravano, con la conseguenza che non avevano il tempo di cucinare per me. La mia vicina di casa Gigliola, insieme alle mie nonne, si occupava dei pranzi, ed io ero sempre in casa con loro. Mi ricordo che cucinavamo e giocavamo, e le attività ludiche terminavano mangiando il piatto che avevamo preparato. Mi piaceva questa magia del fare, trasformare e mangiare.

Io ero molto casinista, curioso e vivace, non stavo mai fermo, assaggiavo, cucinavo, preparo e mangiavo. Ero felice nel vedere la protagonista, mia nonna, a tavola. Senza di lei la domenica non funzionava: la sua cucina teneva insieme tutta la famiglia (ancora oggi mi ricordo il suo detto “compra la roba buona, che viene buona”).

Terminate le medie, mi iscrissi alla scuola di cucina ad indirizzo alberghiero. 

Come sei riuscito a trasformare la cucina in lavoro?

Dopo la scuola ho iniziato a lavorare in giro, cercavo di stare poco in diversi posti, al fine di fare più esperienza nel minor tempo possibile. Tuttavia, mi accorsi che stare all’interno di un ristorante non mi bastava: volevo inventare, ma soprattutto mi mancava stare a contatto con la materia prima. Quando lavori in un ristorante ti devi adeguare: avevo bisogno di poter dare spazio alla mia creatività. Iniziai a leggere libri di cucina, ma anche quelli mi sembravano banali. In seguito, andai a lavorare a Parma in una casa editrice che produceva riviste culinarie. Questo gruppo editoriale mi ha permesso di pranzare in ristornati stellati e testare la cucina di grandi chef: diciamo che ho fatto una bella scuola!

Nel frattempo, iniziai a fare foto e mi abituai alle telecamere. All’inizio avevo paura di stare in televisione, pensavo di non esserne all’altezza. Capii in realtà poi quanto fosse importante il mondo della comunicazione e dei media nel mio settore.

La carriera televisiva iniziò con “Il piatto forte” su Canale 5, condotto da Iva Zanicchi. Seguì “La prova del cuoco”, con Antonella Clerici, per non dimenticare i dodici anni da “Gambero Rosso”.  Infine, mi spostai su “La 7” e su “Food Network”. 



Parlaci del tuo progetto Food Loft Milano.

Food Loft Milano (https://www.foodloft.it/foodloft-milano/) è una mia iniziativa, un laboratorio creativo d’eccellenza che realizza consulenze, catering, eventi e produzioni.

Io, non volevo aprire un classico ristorante, bensì un laboratorio. Attraverso questa attività, posso infatti fornire servizi a 360 gradi legati alla cucina, ma che vanno al di là della singola preparazione del piatto. Infatti, con lo studio siamo in grado di distribuire veri e propri contenuti, scattare foto e produrre video. Sono contento del contesto che ho creato: tramite un mio videomaker di fiducia, mi sono attrezzato di luci, obiettivi e tutto il necessario per creare format non solo per il web, ma anche per aziende e produzioni televisive. 

La nostra mission consiste nel realizzare un pacchetto audio-video, di massima qualità, su richiesta dei brand. Food loft è nato 7 anni fa quando decisi di smettere di andare costantemente in giro a creare contenuti: era arrivato il momento di avere un unico spazio tutto mio, con una sola cucina professionale, versatile ad ogni tipo di situazione. Una specie di base operativa facilmente brandizzabile, adatta a creare e il servizio di catering e tutte le varie produzioni prima menzionate.  



Progetti per il futuro?

Stiamo cercando di lavorare con aziende sempre più sostenibili, che sposano i principi della green attitude. Questi anni, più che mai, hanno dimostrato quanto, anche in cucina, sia fondamentale avere un’occhio di riguardo rispetto all’ambiente. Io continuo a specializzarmi sulla produzione di contenuti: l’obiettivo finale è quello di potermi interfacciare direttamente con i clienti, fornendogli un pacchetto completo. Infine, non posso negare che vorrei cercare di trascorrere sempre più tempo in Kenya, ormai la mia seconda casa. 

Il cibo come alleato per stare bene: in dialogo con Michela Coppa

Garbo ed eleganza contraddistinguono da sempre Michela Coppa (@michelacoppaofficial) , che dalle conduzioni televisive, alla radio e oggi sempre di più sul web, ha fatto del cibo buono e salutare uno stile di vita. Ed è certamente grazie ai social in questi ultimi tempi, che riusciamo a scoprire la sua vera e propria seconda vita, seguendo la condivisione di ricette salutari e funzionali, consigli di bellezza, allenamenti e circuiti yoga, disciplina di cui è diventata anche insegnante da poco tempo.



Cucinare sano e condividere benessere, come nasce questa tua passione?

Più che passione ormai, la definirei missione! (ride ndr). Sin da quando ero ancora molto giovane avevo capito che il cibo poteva essere un alleato, come uno strumento di cura per vivere meglio. Ho origini parmigiane, e nella mia terra i buonissimi piatti della tradizione erano carichi di ingredienti molto grassi, quindi combinati tutti insieme alla lunga non mi facevano stare bene. Sentivo che il mio corpo rallentava le sue funzioni, come un motore alimentato da un carburante sbagliato. Così ho capito che dovevo personalizzare la mia dieta, studiare l’alimentazione e capirne di più. 

Quando ho cambiato regime alimentare tutto il corpo stava meglio, a cominciare dai capelli, dalla pelle e ovviamente è arrivato anche qualche kg in meno, ma sempre intenso come conseguenza dello stare bene e mai come ostinazione ad una magrezza ideale.  

Oggi, a 37 anni, ho raggiunto un alto amore verso me stessa dovuto anche a questo, e sono riuscita nel tempo a portare le mie esperienze nelle vite degli altri per migliorarle, a partire da famiglia e amici che hanno cambiato il proprio regime alimentare traendone beneficio.  Grazie ad Instagram ho chiuso il cerchio, tramite queste canale cerco di influenzare positivamente anche i miei follower.

Questa tua missione si è concretizzata anche nel libro “Ricette funzionali “scritto insieme alla Dottoressa Sara Farnetti…

Proprio così, questo testo non è un ricettario, ma un percorso di conoscenza e approfondimento sulla consapevolezza da avere verso il cibo e per riflettere sul fatto che mangiare bene può trasformare al meglio fisico e mente.

È bene specificare che la nutrizione funzionale è una prescrizione medica, quindi per ottenere risultati specifici per le proprie patologie o malesseri, è necessario rivolgersi sempre ad uno specialista, tuttavia è vero anche che alimentandosi con combinazioni funzionali possiamo già prevenire quegli stadi infiammatori che poi degenerano in tante patologie. Fare prevenzione è lo step fondamentale.

Quale ingrediente ci consigli allora in questa stagione? 

In questo momento sono innamorata della catalogna. Una verdura amara che va ad aiutare il nostro fegato a detossinare il corpo. La possiamo cucinare in tanti modi, semplicemente spadellata in olio e.v.o con maggiorana e peperoncino, abbinata ad un piatto di pasta, ma anche accostata alle uova o al pesce. Funziona bene anche all’interno della pasta stessa con qualche gambero rosso messo a crudo.

Anche lo yoga può essere una medicina per stare bene?

Per me la pratica è terapeutica. Si dovrebbe avvicinare questa disciplina con l’aiuto di un insegnante, perché se apprendiamo bene possiamo portare beneficio a tanti problemi del nostro corpo. Lo yoga è davvero per tutti, da poco sono diventata teacher e ci tengo a ribadire che questa è la regola fondamentale. La pratica aiuta ad entrare dentro se stessi, ci insegna ad ascoltare il nostro respiro e solo così può funzionare al 100% . Ovviamente i benefici fisici sono tangibili, perché vai  a riossigenare i tessuti, tonifichi tutto il corpo, e se fatto in maniera dinamica diventa anche un’attività che ti permette di bruciare.

Allo yoga dinamico associo anche il kundalini, che si basa sull’aspetto spirituale della disciplina. Meditare tutte le mattine serve a conoscersi meglio e aumentare la nostra consapevolezza.

Quali sono invece gli ingredienti chiave della tua beauty routine?

Al pari dell’alimentazione ho anche diversi rituali beauty. Per il viso almeno due maschere a settimana a base di argilla o acido ialuronico. Grande cura nella detersione della pelle e nel trattamento con crema, contorno occhi e siero. Per il corpo, un fango a settimana per la ritenzione e un massaggio drenante.  La pelle e il corpo sono certamente il risultato di quello che mangiamo ma anche delle attenzioni che riusciamo a dedicarle.

Cosa non può mancare nel tuo armadio?

In questo momento storico una tuta felpata (che sia però super chic) e poi un paio di leggings.

Cosa non deve mancare invece nell’armadio di un uomo?

Un dolcevita bianco , magari abbinato ad una giacca in tartan o grigia. Lo trovo molto sensuale.

Progetti e desideri per questo 2021?

I progetti sono tantissimi, dal restyle completo del mio blog che vedrete molto presto, e ancora in progress un libro legato al cambiamento della mia vita dovuto anche allo yoga. Un altro sogno è quello di comprare una cascina vicino alla città, in Brianza, immersa nel verde e con tanto spazio per creare un mio angolo di pace per riconnettermi alla natura. La immagino come una casa in grande stile, lontana dalla vita frenetica e da condividere con chi amo.

Nicolle Boroni: una storia di coraggio e forza di volontà

Determinazione, coraggio e forza di volontà sono i valori con i quali è cresciuta Nicolle Boroni. La giovane trentina che oggi vediamo immortalata nel suo Instagram a scalare altissime vette e correre sulle Dolomiti si racconta a Manintown rivelando tutte le sue fragilità, anche quelle che per anni ha tenuto nascoste ma, che col passare del tempo, sono diventate il suo punto di forza. 



Nicolle, raccontaci di te.

Abito a Madonna di Campiglio, ho 27 anni e ho studiato lingue per il turismo ad Arco. Adesso organizzo eventi in un’azienda per il turismo a Madonna di Campiglio e in Val Rendeva. Diciamo che sono conosciuta per una disabilità (sono senza la mano destra) che mi ha segnato la vita e che ho voluto nascondere per molto tempo; ma adesso non ho più paura.

A che età è successo questo incidente?

E’ accaduto tre giorni prima del mio quinto compleanno, nella macelleria dei miei genitori, giocando con mio fratello: ho messo per errore la mano nel tritacarne. Per i miei genitori è stato un bello spavento, ma oggi sono davvero felici ed orgogliosi della ragazza che sono diventata.

Come è cambiata la tua vita da allora?

Quando sei bambina non ti rendi conto, non hai una completa consapevolezza di te stessa e del tuo corpo, nel bene e nel male. Andavo all’asilo ma non ci davo peso, fortunatamente. Non ho riscontrato problemi di bullismo, solo ogni tanto una leggere presa in giro, ma velata.

Mi ricorderò per sempre quando una volta trovai un vecchio articolo di giornale in cui in un’intervista mio nonno diceva “la parte più difficile sarà quando Nicolle si renderà conto che ha perso un pezzo di sé.” Purtroppo, aveva tremendamente ragione.



Gli anni più difficili sono stati quelli dell’adolescenza, quando realizzi di avere “qualcosa in meno”. Il periodo in cui l’ estetica gioca un triste ruolo fondamentale nella vita nei ragazzi al liceo. Dai 16 anni ho iniziato a prendere consapevolezza del fatto che ero diversa, che avevo effettivamente qualcosa in meno rispetto alle altre ragazze, mi sentivo inferiore. Cercando di nascondere questa mia parte, fingendo di essere normale al cento per cento. Non ne parlavo, evitavo l’argomento, come quando non si vuole nominare una brutta malattia. Anche nelle foto non postavo mai l’arto mutilato, e stessa cosa nei video. Quando mi dovevo presentare ad un ragazzo cercavo sempre degli escamotage: gli davo due baci “qui da noi va di moda fare così” e non porgevo mai la mano destra. Ho imparato a riempire questa mancanza fisica con altre caratteriste emotive, ero senza mano ma cercavo di colmare il vuoto essendo più espansiva e simpatica, così le attenzioni non ricadevano sull’aspetto fisico, bensì sul mio carattere.

Guardando il tuo profilo Instagram abbiano notato bellissime foto mentre fai diversi sport, addirittura scali le Dolomiti. Questa passione ha prevalso sulla paura?

Lo sport mi ha salvato. In particolare lo sci e l’arrampicata. Prima di farmi male sciavo e appena ho avuto la protesi mi sono rimessa in pista! I miei allenatori sono stati di grande aiuto, cercando di spronarmi. Sono arrivata seconda ad un gara di sci e da quell’istante ho capito che nulla era perduto. Un altro aspetto che mi aiutava era che i miei avversari, quando ero vestita da sci, non si accorgevano della mia mano. 

Non solo sci, faccio anche alpinismo, corro in  bici, e mi godo bellissime escursioni.



Parlando di sport estivi, sono stata segnata da un particolare episodio. Un professore una volta mi disse che non sarei mai riuscita per via della mia disabilità ad ottenere determinati traguardi sportivi. Le sue parole mi colpirono molto e per un periodo della mia vita gettai la spugna. 

Tuttavia, un giorno, delle mie amiche molto sportive mi hanno coinvolto in una scalata: grazie all’amicizia mi tornò la passione dell’arrampicata. Ora riesco a scalare una parete di grado 5c anche da prima e arrampico benissimo anche senza protesi! Un altro aiuto è arrivato dal “Brenta open”: un evento all’insegna della montagna inclusiva, basato sul concetto che i limiti della montagna valgono per tutti: risiede in ognuno di noi la capacità di cogliere al meglio le nostre peculiarità per superare gli ostacoli. Inoltre, io e altri due ragazzi senza gambe, abbiamo chiuso una via scaldando sopra al Rifugio Pedrotti, prendendo parte ad un bellissimo evento che parla di montagna inclusiva: “Le dolomiti accessibili a tutti.”



Cosa ne pensi dei social? Arma o potenziale? Limite o opportunità?

Assolutamente un’opportunità! Tantissime persone mi mandano messaggi di solidarietà e mi ringraziano per fargli tornare la voglia mettersi in gioco. Oggi sui social non nascondo più il braccio senza mano. Amo il mio corpo e lo mostro sui social, sono anche molto auto-ironica e ho imparato a vivere questa mia particolarità con leggerezza e spensieratezza. 

Manintown Portraits: Lorenzo Seghezzi

La prima volta che ho incontrato Lorenzo Seghezzi eravamo in un caffè di Chinatown, era il 2018, Lorenzo studiava fashion design in Naba e aveva un appuntamento con una drag queen per consegnarle un abito fatto da lui.
Le sue idee erano già ben chiare due anni fa: lottare contro la mascolinità tossica, iniziare un dialogo sul mondo LGBTQ+, analizzare il binarismo di genere e utilizzare gli archetipi della moda per dare vita a un nuovo modo di concepire il guardaroba.
Nel frattempo Lorenzo si è diplomato, è stato selezionato per Milano moda graduate 2019 e Fashion Graduate Italia 2019, ha sfilato ad Alta Roma a gennaio 2020, è stato finalista degli Isko I- Skool Denim Design Awards 2020 e ospite speciale di Gender Project.
In questi due anni sono successe tante cose, il mondo queer ha cercato di far sentire la propria voce, il me too ha preso il sopravvento e abbiamo cominciato a porci diverse domande: Come si combatte il maschilismo? Possiamo mettere in discussione costruzioni sociali così longeve? Da dove partiamo per far sentire la propria voce? Come possiamo fare per creare una lotta sociale collettiva?
Ad alcune di queste domande è molto difficile rispondere, Lorenzo ha cercato di farlo all’interno delle sue prime tre collezioni, un’esplosione di riferimenti queer che ha un solo e unico obiettivo: combattere la mascolinità tossica attraverso l’abbigliamento.

Photographer Clotilde Petrosino/Vogue outtakes 

Producer & Stylist Alessia Caliendo 

MUA Romina Pashollari



Il tuo brand mette in discussione una serie di costruzioni sociali, vuoi parlarci un po’ del tuo percorso?
Sono Lorenzo Seghezzi, fashion designer milanese che va per i ventiquattro. Mi piace cucire capi d’abbigliamento che mettano in discussione tutti quei dogmi e quelle regole socialmente imposte per la società eteronormata cisgender ma troppo strette ed ostacolanti per tutte quelle persone che vengono collocate ai margini o addirittura escluse da essa. Cerco di esprimere questa sensazione di oppressione che la mia generazione (e non solo, ovviamente!) sente, tramite vestiti nei quali voglio integrare tecniche sartoriali e ispirazioni sempre diverse.
Creare vestiti è il mio sfogo personale, è quello a cui penso tutto il giorno e proprio per questo sto cercando di trasformare questa passione in un vero e proprio lavoro.

Photographer & stylist Rossocaravaggio

Model Giuseppe Forchia

Jewelry by Atelier Amaya

MUAH Mattia Andreoli




Recentemente hai subito un attacco di omofobia e cyberbullismo, cos’è successo?
Dieci giorni fa, un noto magazine ha pubblicato un bellissimo articolo riguardante il mio lavoro e la mia esperienza personale come parte della rubrica “The Queer Talks”, progetto fotografico di Clotilde Petrosino che vuole dare voce alla comunità LGBTQ+ raccontando le storie di coloro che ne fanno parte. L’articolo ha coinvolto un team eccellente che è riuscito a portare agli occhi di molti lettori tematiche di cui, a mio avviso, si parla ancora troppo poco. I problemi che il binarismo di genere arreca alla società in cui viviamo, i limiti imposti dalle etichette e dagli stereotipi e così via. L’articolo ha anche presentato una serie di miei ritratti scattati da Clotilde Petrosino stessa nei quali indosso capi delle collezioni di vari brand tra cui Versace, Vivienne Westwood e Antonio Marras selezionati dalla producer e stylist Alessia Caliendo e alcuni dei capi delle mie collezioni. Tra essi un corsetto che, a quanto pare, ha creato parecchio scalpore. Il pezzo ha avuto un riscontro molto positivo ma, come è normale che sia, ha avuto anche qualche commento negativo. Nulla di grave o che non mi aspettassi fino a quando più persone mi hanno fatto notare una serie di storie instagram pubblicate da uno stylist e fashion editor omosessuale abbastanza conosciuto nel settore della moda.
Questa persona ha criticato esplicitamente la mia figura dichiarando in modo becero quanto per lui un uomo con la barba e il corsetto faccia esteticamente schifo, quanto noi giovani siamo fissati ed invasati con i concetti di fluidità di genere, di non-binarismo e di lotta per i nostri diritti rimarcando quanto queste cose per lui siano superflue, urlate ed ostentate inutilmente. Non avendo inizialmente idea di chi fosse, ho pensato di lasciar perdere, ma poi ho saputo che questo comportamento era recidivo. Il mio tentativo di avere una conversazione e un confronto civile in privato è stato vano e ai limiti del surreale. Quando all’omofobia si aggiungono misoginia, transfobia e incoerenza totale, la situazione diventa ancora più grave. La quantità di sostegno e i messaggi positivi che ho ricevuto sono stati molto più di quelli che mi aspettavo. Spero vivamente che l’essersi confrontato con tutte le persone che gli hanno scritto dopo aver letto le mie storie lo abbia aiutato a capire che ha effettivamente esagerato e che un pensiero così chiuso non può più essere tollerato, nel 2021, da parte di una persona che vuole avere un ruolo nel mondo del fashion. Più di tutto mi auguro che questa spiacevole vicenda possa aiutare molte delle persone che si rivedono nel suo punto di vista a capire che non c’è bisogno di offendere, denigrare, sminuire il lavoro e la personalità altrui quando  si può parlare in modo civile ed educato.




Sono sempre di più le persone che gravitano intorno al mondo della moda che denunciano le malefatte di alcuni personaggi del settore, siamo finalmente pronti a un cambiamento?
Io sono convinto che il cambiamento stia già avvenendo in questo momento grazie a tutte le persone che trovano il coraggio e la forza di denunciare quello che è sbagliato e, vorrei aggiungere, controproducente per il settore stesso. Sono cresciuto sentendomi dire “preparati Lorenzo perché il mondo della moda è cattivo e meschino” ma sono pronto ad impegnarmi per renderlo un mondo stimolante ed onesto fondato sulla solidarietà e sull’unione delle menti creative.



Quali sono i tuoi riferimenti artistici?
Sono tantissimi e diversissimi tra loro. Si passa dalle tavole anatomiche illustrate alla pittura surrealista di Ernst e Dalì, sono ossessionato dalle opere di Meret Oppenheim, di Alberto Burri e di Francis Bacon. Amo la letteratura di Pasolini e di Tondelli, il cinema di John Waters, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” di Greenway, le mie amiche drag e performer, la fotografia di Robert Mapplethorpe, le popstar e le rockstar degli anni 80, i vestiti di fine ottocento e inizio novecento, gli insetti, i rettili, gli uccelli, le venature del legno.




Sei stato ospite speciale di gender project dove hai presentato la tua ultima collezione “Queer Asmarina”, dicci qualcosa in più.
Ho avuto la fortuna di essere coinvolto nella seconda edizione di Gender Project, progetto nato a Londra dalla mente dell’artista, nonché ormai cara amica,Veronique Charlotte. Gender Project è un progetto no profit itinerante che ogni anno raccoglie i ritratti di cento persone della comunità queer di una città diversa per poi presentarli in una mostra Nel mio caso abbiamo pensato di approfittare del grande spazio per organizzare una sfilata di presentazione della mia collezione ss2021 “Queer Asmarina”. La collezione, realizzata durante il primo lockdown utilizzando materiali di recupero che avevo in casa, vuole essere un omaggio al rapporto più unico che raro tra la comunità africana e quella LGBTQ+ a Milano, in particolare nel quartiere di Porta Venezia. L’influenza della cultura africana nel quartiere è tanto forte che per decenni è stato chiamato “Asmarina” (“piccola Asmara”, capitale Eritrea) e negli ultimi anni è diventato punto di ritrovo per la comunità LGBTQ+ milanese. Basti pensare che in Eritrea, Repubblica Presidenziale monopartitica che di fatto è una dittatura totalitaria, l’omosessualità e il transgenderismo vengono, ancora oggi, puniti con la pena di morte per capire che questo è un fenomeno più unico che raro. Con zero budget, zero esperienza nell’organizzazione di eventi e in piena impennata di casi covid, insieme al mio compagno siamo riusciti ad organizzare un evento che ha avuto un riscontro positivo inimmaginabile per me e che ha coinvolto un sacco di persone fantastiche. Abbiamo addirittura dovuto ripetere la sfilata per due volte perché il numero di spettatori era troppo alto!



Quali sono i tuoi obbiettivi futuri?
Mi piacerebbe riuscire a definire il mio brand in modo ancora più professionale ed espandere la mia rete di vendita, arrivare ad avere una totale indipendenza economica, collaborare con altri artisti, organizzare nuovi eventi, migliorare le mie skills di sartoria e design, trovare nuove ispirazioni… Uno dei miei più grandi obbiettivi è quello di trovare uno studio spazioso adatto a lavorare in comodità. Mi piacerebbe anche molto comprare una macchina da cucire industriale.

Stile a ritmo di musica. Parola di Susanna Ausoni

Stylist milanese con il pallino del vintage, Susanna Ausoni ha iniziato la carriera come look maker. Il suo percorso nella moda è iniziato quasi casualmente, grazie a un outfit collegiale indossato al lavoro nel negozio Fiorucci in centro, notato da Paola Maugeri. Da lì in poi si è dedicata allo styling e alla consulenza d’immagine, diventando negli anni Duemila responsabile dello stile di MTV Italia e collaborando con diversi brand, aziende ed etichette discografiche alla realizzazione di campagne pubblicitarie, spot e progetti legati alla comunicazione.
Ha curato lo stile di numerose personalità d’eccezione del mondo dello spettacolo (Michelle Hunziker, Daria Bignardi, Victoria Cabello, Virginia Raffaele solo per fare qualche nome) e musicale, unendo così due delle sue principali passioni, moda e musica, appunto. L’elenco dei cantanti da lei seguiti comprende Carmen Consoli, Mahmood, Nek e Dolcenera, e nell’ultima edizione del Festival di Sanremo ha firmato gli outfit di Francesco Gabbani e Le Vibrazioni.



Abbiamo parlato di tutto ciò, e anche di altro, nell’intervista che potete leggere di seguito.

Come è nata la tua passione per la moda e come ci sei arrivata?

La mia passione per la moda credo sia sempre stata nell’aria. Un gene che viene non so da dove o chi, forse dalle crinoline delle gonne anni ‘50 ereditate da mia nonna Gioconda, oppure dalla pittura, mia grande passione. La cosa più bella rimane l’emozione che continuo a provare ogni qualvolta mi trovi a maneggiare certi look, avendo la possibilità di toccarli con le mie mani. Mi emoziona molto entrare in contatto con la creatività altrui, mescolare le immagini fondendole con la personalità dell’indossatore o con ciò che viene indossato, magari perché sono sempre stata interessata alle contaminazioni, agli incontri; è così che svolgo il mio lavoro. 



Come sono arrivata nel mondo della moda, non saprei… Diciamo che è stato lui ad arrivare a me, attraverso altre forme creative. Direi quindi in un modo del tutto casuale.


Oltre alla moda, nella tua vita è da sempre protagonista la musica. Raccontaci del tuo lavoro e
delle tue esperienze a MTV Networks.

La mia è una lunga storia d’amore con la musica. Ho iniziato a svolgere questo lavoro facendo televisione musicale e videoclip. Se è vero che attraiamo ciò che desideriamo profondamente, io ho sempre amato la musica, di tutti i generi, dall’hardcore punk alla classica. Non mi sono mai limitata ad ascoltarla, l’ho osservata usando sin dall’inizio la vista, un senso non richiesto.
Mi sono sempre piaciute le differenze e le diverse immagini rappresentate dai generi musicali, ho ampliato questi contesti spontanei affiancandoli alle proposte fashion.

Quando lavoro con un musicista parto da lì, ascolto il suo progetto musicale, ma non mi limito al sentire, lo guardo.

MTV è stata la miglior scuola formativa che avessi potuto desiderare. Si respirava nei corridoi l’aria di una cultura visiva che non aveva confini geografici, molto cosmopolita.

Ho capito da subito che sarebbe stato il miglior contesto per inserire contenuti di moda, che spesso fanno fatica a passare attraverso la televisione, e così ho fatto. È stato un esercizio di stile durato oltre dieci anni, di cui serbo un ricordo indelebile.



Nella pratica lavorativa non avevamo nessun vincolo redazionale, nessun imposizione dagli sponsor, il contrario di quanto succede ora con gli influencer. Usavamo quello che ritenevamo fosse più innovativo. Mischiavamo, trasformavamo, costruivamo, passando da Chanel alle ragazze di Prato che customizzavano i Levi’s facendone gonnelloni hippie, alle t-shirt vintage con appeso il cartellino con nome e foto di chi le aveva indossate prima.

Di MTV Networks ho molti ricordi. Sono stati anni, per la televisione non generalista, irripetibili. Un team lavorativo che ha generato figure professionali di alto profilo, giovani di grande talento, molti dei quali sono diventati ora professionisti affermati, come Nicolò Cerioni o Lorenzo Posocco.

Ho capito solo dopo cosa volesse dire lavorare in tv, lasciando il microcosmo in cui mi muovevo.

Ho imparato che ci sono tante figure professionali che intervengono sulla decisione del look durante la fase di produzione televisiva, aspetto con il quale non mi ero quasi mai confrontata prima. Da MTV non esistevano gli autori, noi avevamo figure come i producer.

Ora che è finita posso dire che quell’esperienza ha rappresentato, per me, la scoperta di un universo professionale e televisivo nuovo, con regole che ignoravo e ho imparato ad ascoltare, trasformando il tutto in un mio personale dialogo visivo.

Raccontaci qualche aneddoto o esperienza che ti hanno influenzato a livello professionale e personale.

Quanto agli aneddoti più recenti: lo scorso anno ho vestito, per il palco dell’Ariston, la band ospite più anziana, a livello anagrafico e di percorso artistico, del Festival di Sanremo, I Ricchi e Poveri, e contemporaneamente la più giovane dei big ospiti, la meravigliosa Francesca Michielin. Nel mezzo, le potenti Vibrazioni ed il sorriso e il talento di Francesco Gabbani. Un mix interessante, direi.



Quali sono i designer che hanno influito sulla tua visione e ti hanno ispirato nel lavoro?

I designer che hanno influenzato il mio percorso creativo sono tanti: Riccardo Tisci per la sua genialità, il coraggio, la sensibilità; sicuramente Margiela, la sua sperimentazione; Coco Chanel per la sua storia personale, per il suo “caricare” l’outfit e poi togliere, vedendo da lontano chi vestiva.

Trovo ispirazione anche in quello che non mi piace personalmente, che non indosserei, e apprezzo moltissimo chi contamina il suo lavoro con altre forme d’arte.


Sempre in tema di musica, hai portato sul palco dell
Ariston di Sanremo tante novità. Come hai lavorato per rinnovare il festival più seguito dagli italiani?

Se devo riportare la cosa più rischiosa o per me innovativa che abbiamo fatto è stata quella con Alessandro (Mahmood, ndr): portare sul palco dell’Ariston, in prima serata su Rai 1, il volto di ‘Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino’, facendogli indossare una t-shirt di Raf Simons che la ritraeva. Un film generazionale e musicale iconico. Un pugno nello stomaco forte. Due generazioni a confronto: lui è parte di una nuova, bellissima, multietnica e moderna; lei di quella berlinese separata dal muro degli anni ‘80, con David Bowie-Ziggy Stardust come colonna sonora. Il vecchio ed il nuovo, lì insieme.

Il Festival di Sanremo è la festa della musica più stimolante che ci sia nel nostro Paese.



Ho iniziato molti anni fa, con la leggerezza di una creativa giovane e piena di entusiasmo. Non ho mai sentito il peso di quel palcoscenico, dato dall’importanza, la storia e il valore che rappresenta.

Ho permesso il bicolor nei capelli e vestito di oro e pizzi, quando sarebbe stata una passeggiata optare per un bell’abito nero lungo. Ho cercato di diventare la cassa di risonanza di chi avevo di fronte, in una chiave molto personale, perlomeno con un tentativo di originalità. Non mi sono mai trovata a mio agio nel percorrere la strada più facile.


Segui personaggi maschili come Mahmood. Che percorso di stile hai costruito con lui? Quale look ricordi tra i suoi più forti?

Ho un particolare curioso su Mahmood: non dovevo seguirlo a Sanremo l’anno della sua vittoria, nonostante l’abbia preparato per buona parte dei suoi lavori, incluso il Sanremo Giovani di qualche anno prima.


In quel momento stavo già lavorando a un progetto ambizioso, la conduzione di Virginia Raffaele, ed ero concentrata sullo styling del mio caro amico Nek.

Vedere poi Mahmood presentarsi come un “bambolotto”, con il look di Rick Owens e i pantaloni a ventaglio che gli avevo scelto per la serata, mi ha commosso un po’.
Vederlo vincere è stata un’emozione grande.

Cerco sempre di dare un messaggio che non sovrasti la musica, che, per un musicista e il suo pubblico, è il centro di tutto.

Tra i personaggi femminili, invece, quello che ha rappresentato per te una sfida, a cui ti senti particolarmente legata?

Tra i personaggi femminili che ho la fortuna di vestire ci sono donne molto diverse, di grande talento e sensibilità. Ho portato sul palco di Sanremo con Virginia Raffaele creatori di moda come Schiaparelli, in omaggio alla stilista che veniva definita da Coco «quell’artista italiana che fa vestiti».


La sua prima collezione, risalente al 1938, si chiamava Circus;è dal circo che proviene Virginia, mi sembrava un’immagine ed un racconto bellissimo da proporre. Giambattista Valli, il giovane Lorenzo Serafini, il maestoso Giorgio Armani l’hanno accompagnata ogni serata in questa rappresentazione nella cornice prestigiosa del Festival.

Non è stata la prima volta che ho vestito la conduttrice sul palco dell’Ariston: l’avevo fatto tanti anni prima con Victoria Cabello in Miu Miu, una capsule collection creata per lei appositamente da Miuccia Prada.

Hai anche aperto un vintage store a Milano, come è nato questo progetto?

Uno degli ultimi progetti, certo non per importanza, è Myroom Vintage Shop, appunto la mia stanza.

La mia passione per il vintage, gli accessori, gli oggetti… Il mio caos di colori e bellissimi vestiti che non mi appartengono, ma sono di chi se li accaparra.

Una boutique di ricerca, il mio luogo di partenza e d’arrivo.
Di qui passano tutti e buttano la testa dentro, anche per un semplice ciao.

Ci puoi trovare un pezzo degli anni ‘70, una Chanel o una nuova Prada, disposti sui cavalletti originali della pittrice Felicita Frai, famosa per le donne dipinte con corone di fiori nei capelli e per aver affrescato a mano una sala da ballo della storica nave italiana Andrea Doria.

Nel suo ex studio, che ora è la mia casa, c’è un oblò sulla parete del salotto.


Quali
sono le tue prossime avventure professionali e i sogni nel cassetto?

Le prossime avventure professionali le racconterò appena terminate.

Per me un progetto esiste solo quando lo porto a compimento e lo consegno nelle mani, e negli occhi, di qualcun altro. I miei cassetti contenenti sogni sono aperti… E hanno occhi su tutto il mondo fuori e dentro di me. Fintantoché sarà così, rimarrò nel giro. Quando saranno chiusi, mi rintanerò nella mia stanza per cercare altre forme creative dai mille colori.

Trap game: il nuovo libro di Andrea Bertolucci

Nato all’alba degli anni ’90, Andrea Bertolucci è un giornalista e scrittore esperto di cultura giovanile e si occupa di trap fin da quando questa ha mosso i suoi primi passi nel nostro Paese.
La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali, con le quali tuttora collabora. Per Hoepli è appena uscito il suo libro “TRAP GAME. I sei comandamenti del nuovo hip hop”, che vede la partecipazione di alcuni fra i principali artisti sulla scena italiana. 



Raccontami della tua passione per la musica trap

Arrivare a raccontare la mia passione per la trap è impossibile senza prima raccontare quella per l’hip hop, che nasce quasi per caso, da ragazzino. Avevo quindici anni e nessun interesse per il rap: suonavo la batteria in una band punk, erano gli anni dei Green Day e dei Blink-182, degli Offspring e dei Linkin Park. La svolta è avvenuta nel 2006, anno dell’unico concerto di Jay-Z in Italia. Non ci volevo proprio andare, ma un’amica dell’epoca mi ci ha trascinato, quasi a forza. Eravamo vicinissimi, sotto al palco percepivo le vibrazioni newyorkesi di Mr. Carter: erano gli anni del “Black Album”, delle collaborazioni con Kanye West, della New York “Empire State Of Mind”. Sono rimasto letteralmente folgorato da quel live, durato quasi tre ore, e da lì ho iniziato ad appassionarmi a questa musica e a questa cultura. Crescendo poi ho iniziato a frequentare la scena di Milano – la città in cui vivo – dove dal 2010 hanno iniziato a svilupparsi le vite e le carriere di quelli che oggi sono i principali artisti trap italiani, alcuni dei quali sono diventati anche miei amici. Artisti che oggi riempiono i palazzetti, li ho visti soltanto sei anni fa con 50 persone sotto al palco. 



Come è nata l’idea del libro?

Ho iniziato a pensarci dopo la tragedia di Corinaldo, che aveva scosso l’Italia e portato la trap agli onori delle cronache. In quel momento, è iniziato un processo mediatico che non ha precedenti e si protrae tutt’oggi, in cui la colpa di qualsiasi problema o incomprensione generazionale è da attribuire alla trap. Magari la trap avesse tutte queste responsabilità: sarebbe anche molto più semplice risolverle!
Ecco che allora ho iniziato a lavorare su un libro che potesse far incontrare l’amore che tanti giovanissimi hanno per questa cultura, con la necessità dei loro genitori di capirci di più. E devo dire dai molti messaggi che mi arrivano su Instagram, di esserci riuscito. Proprio pochi giorni fa mi ha scritto una mamma per dirmi che grazie a “TRAP GAME” aveva trascorso del tempo per leggerlo assieme a suo figlio e aveva abbattuto molte incomprensioni generazionali. Cercare di capire una cultura complessa come questa, che ovviamente porta al suo interno profonde contraddizioni e cicatrici, è il primo passo per poterla anche criticare. 



Le 5 cose da sapere sulla musica trap?

Per capire innanzi tutto gli eccessi e le provocazioni che porta con sé questa cultura, occorre sapere che è profondamente legata ad un senso di riscatto, di redenzione verso una vita che prima non ha concesso niente se non povertà e preoccupazioni. 

Un altro trait d’union che collega molti artisti trap, è la totale indifferenza – che spesso si trasforma in provocante irriconoscenza – nei confronti della vecchia scena hip hop: alcuni di loro durante le interviste fanno addirittura finta di non conoscere i nomi portanti della old school.

Tutti gli artisti trap hanno un profondo legame con il blocco, che non a caso è anche uno dei “sei comandamenti” del mio libro. In questo senso, c’è invece un filo rosso che lega questa alla scena precedente: il legame territoriale è sempre stato essenziale e unisce oggi tutti i quartieri e le periferie del mondo che trovano negli artisti trap i propri rappresentanti territoriali.



Rappresentare un territorio o una scena, significa anche scontrarsi con gli altri per mantenerne alto il nome. Ecco che nascono i dissing, litigi che possono assumere di volta in volta forme diverse (dalle barre di una canzone fino alle Instagram stories) e che vedono gli artisti (e non solo) uno contro l’altro.
Infine, la quinta e ultima cosa da sapere è che la sostanza prediletta dalla cultura trap è la coloratissima – ma non per questo meno dannosa – lean, chiamata anche purple drank per via del colore viola. Si tratta una miscela ottenuta combinando sciroppo per la tosse a base di codeina insieme a una bevanda gassata, generalmente Sprite e la cui diffusione maggiore coincide con il boom dei social network, che ne fanno uno dei tanti ingredienti dell’ostentazione, al pari di una giacca di Vuitton o dell’ultimo modello di Lamborghini. 

Come è nato e si è sviluppato questo fenomeno?

La musica trap è nata ad Atlanta in un momento imprecisato all’inizio degli anni 2000 all’interno delle “trap houses”, delle case – molto spesso abbandonate – presenti nei sobborghi delle metropoli americane, nelle quali veniva prodotta, venduta e consumata ogni tipo di droga. L’ascesa di popolarità di questo genere ha coinciso però con l’ascesa dell’organizzazione criminale della Black Mafia Family, nota per le spese considerevoli e uno stile di vita esagerato. La BMF ha tentato di ripulire una buona parte dei proventi guadagnati dal traffico di sostanze, lanciandosi nel business della musica hip-hop e avviando la BMF Entertainment. Oltre al beneficio di riciclare i soldi, la musica trap era anche lo strumento narrativo e propagandistico di questa organizzazione: i primi trapper sono veri e propri aedi dei trafficanti e degli spacciatori. Bisognerà aspettare però i primi lavori di T.I. e Gucci Mane – fra il 2003 e il 2005 – per una diffusione più ampia di questa musica, fino agli anni ’10 del nuovo millennio in cui molti produttori iniziano a mescolare le sonorità trap con note decisamente più EDM, contribuendo alla sua diffusione a livello mainstream. 



Parlaci dei temi più frequenti e dei tuoi brani preferiti

I temi più frequenti sono proprio quelli che nel libro ho definito “i sei comandamenti”, dedicando un capitolo ciascuno. I soldi, da cui passa buona parte della voglia di riscatto di questa cultura, il blocco, di cui abbiamo parlato poco fa, lo stile, che si può declinare in tante sfumature differenti. Ma anche – ovviamente – le sostanze, che accompagnano la trap lungo la sua storia, le donne, uno dei temi su cui viene maggiormente criticata e la lingua, che indubbiamente sta contribuendo a trasformare. L’evoluzione di questi ultimi anni ha portato la trap a non essere più un unico blocco, ma ad avere molte sfumature differenti. Personalmente, amo molto artisti come Travis Scott, che stanno reinventando lo stile giorno dopo giorno, ma anche buona parte della scena francese, dai decani PNL – unici artisti ad aver girato un videoclip nel punto più alto della Tour Eiffel – fino ai più giovani MHD e Moha La Squale.



Come hai selezionato i musicisti?

Erano tutti perfetti portavoce dei rispettivi comandamenti, per un motivo o per l’altro. Con alcuni è nato casualmente, con altri eravamo già amici prima di lavorare al libro, con altri lo siamo diventati grazie a “TRAP GAME”. Quello che li unisce è l’appartenenza alla scena italiana e ovviamente una profonda consapevolezza della propria arte, che ha permesso di scrivere assieme i vari capitoli. Diversa è la storia delle prefazioni, che sono ben due. La prima è affidata ad Emis Killa, che non ha bisogno di presentazioni. Volevo uno dei padri dell’hip hop in Italia, che dicesse la sua e guardasse anche un po’ dall’alto questi giovani trapper. L’altra è una vera chicca per gli appassionati, ed è firmata da TM88, uno dei maggiori produttori al mondo e tra gli inventori del sound trap. Posso dire che è davvero un grande onore per me, non smetterò mai di ringraziare il mio amico Will Dzombak (manager di Wiz Khalifa e di molti altri artisti americani) per questo regalo.



Musica trap e moda: come dialogano questi mondi? L’identikit fashion del trapper…

Una delle più evidenti cesure tra la vecchia scena e quella nuova si gioca proprio sul terreno della moda, che assume anche in questo caso un carattere maggiore di ostentazione e provocazione. I comuni baggy jeans che indossavano i rapper negli anni ’90,si trasformano in costosi e attillati Amiri che cadono sopra sneakers sempre diverse e customizzate, linee firmate spesso in partnership con gli stessi artisti. Le t-shirt si riempiono con loghi di brand sempre più attigui all’alta moda e questi ultimi iniziano a strizzare maggiormente l’occhio agli artisti, portandoli a sfilare, uno dopo l’altro, in passerella e contribuendo alla nascita dello “streetwear di lusso”. 



Se oggi ci stupiamo e talvolta indigniamo di fronte a foto che ritraggono centinaia di ragazzi che passano la notte in fila per “coppare” un paio di Yeezy o di NikeXOffWhite, oppure di fronte ai video YouTube nei quali troviamo dei giovanissimi hypebeast intenti a mostrare il valore del proprio outfit, troviamo la risposta proprio nella trap e nei suoi protagonisti. Stessi brand, stesse movenze, stessa ricerca dell’esclusività all’interno di un mercato che tende a uniformare.

La playlist che consigli per avvicinarsi a questo genere?

Cinque canzoni americane e cinque italiane, per degustare entrambe le scene. In America piantiamo le basi con Gucci Mane e T.I., i due “padri fondatori”, per poi spostarci su vere e proprie hit che hanno fatto la storia, come “XO Tour Llif3” di Lil Uzi Vert (prodotta fra l’altro da TM88, che ha scritto la prefazione di “TRAP GAME”) “Sicko Mode” di Travis Scott e “Bad and Boujee” dei Migos. Venendo all’Italia, ho inserito “Cioccolata” di Maruego, che considero il primo brano trap prodotto nel nostro Paese e “Cavallini” della Dark Polo Gang feat. Sfera Ebbasta, che segue a ruota. Per finire, la mia canzone preferita di Sfera – “BRNBQ” – e due hit italiane: “Tesla” di Capo Plaza con Drefgold e Sfera, e la versione remixata da Achille Lauro e Gemitaiz del brano di Quentin40, “Thoiry”. 



New faces: Riccardo De Rinaldis

Ph: Davide Musto

Styling: Stefania Sciortino

Ass. ph: Emiliano Bossoletti

Grooming: Simone Belli Agency

Location: MANGIO

La carriera da attore non era tra i suoi piani, fino a quando non è arrivato per la prima volta su un set dove è stato subito un colpo di fulmine. Oggi, il giovane Riccardo De Rinaldis ha già seminato alcune partecipazioni in fiction firmate Mediaset e Rai  (Don Matteo, Doc, Fratelli Caputo) e durante quest’anno lo vedremo nuovamente su Canale 5 con con Anna Valle e Giuseppe Zeno nella serie “Luce dei tuoi occhi”. Scopriamo però dove è iniziato tutto nell’intervista…


Raccontaci il tuo percorso fino ad oggi…

Non ho mai avuto l’aspirazione di diventare attore, anche se i miei genitori vedevano in me delle potenzialità perché ero un bambino molto spigliato. È partito tutto da mia mamma che mi portava a diversi provini per le pubblicità. Proprio ad un provino abbiamo scoperto la mia attuale agenzia e iniziato un periodo di prova. All’inizio è stata dura, le selezioni andavano e non andavano, finchè finalmente nel 2018 (l’anno degli esami di maturità) arriva il primo lavoro, una parte su canale 5 in una fiction con Alessandro Preziosi. Il primo giorno di set mi sono innamorato di questa professione e ho capito che era quello che desideravo fare per il futuro.

Tra gli ultimi lavori, una piccola parte nella fiction DOC. Come è stato lavorare con Luca Argentero?

È stato bellissimo lavorare con lui. Una persona gentile , sorridente e con la battuta pronta. Recitare con un big è sempre utile perché impari molto, mi ha dato diversi consigli su come vedeva la scena, e sono serviti tanto.

Con quali registi ti piacerebbe lavorare?

Sicuramente con Muccino perché ogni suo film ha la capacità di lasciarmi un’ emozione intensa, “un vuoto non vuoto” difficile da spiegare. Trovo che i  suoi film abbiano sempre un doppio significato nel finale e il suo sia uno stile molto naturale. Poi mi piacerebbe molto approdare nel cinema, anche in una produzione internazionale.


Parlando di serie invece, c’è qualcosa che ti appassiona?

Le ultime che ho visto sono Bridgerton, che ho letteralmente divorato e L’alienista. Due serie storiche molto diverse ma entrambe affascinanti.

Come stai vivendo l’epoca covid?

Il 2020 è stato un anno particolare per tutti, di grandi insicurezze legate al lavoro e alla salute. Ho sempre seguito le regole non focalizzandomi troppo sul futuro, ma vivendo giorno per giorno. Il covid ci ha tolto tanto, ma allo stesso tempo ci ha insegnato anche a godere della compagnia dei nostri cari e a non dare tutto per scontato.


Il tuo rapporto con i social: Instagram vs Tiktok

Il mio Tiktok si basa sull’humor internazionale. Seguo coreografie (le più belle sono quelle dei professionisti) riproduco doppiaggi in lingua e realizzo anche qualche video “stupido” , sempre con un tone of voice molto leggero.

Instagram è un social più “serio“ e fa ormai parte della nostra vita, non penso abbia una scadenza. Tik tok forse è destinato a spegnersi.


I capi essenziali nel tuo armadio?

Una bella felpa larga con cappuccio e un paio di stivaletti Blundstone, comodissimi. 

Un luogo che vorrresti visitare?

Mi incuriosisce la Corea del sud e partirei da Seoul. Incuriosito dal coreano, ho iniziato a studiarlo dal 2015 come autodidatta. Da anni apprezzo anche il genere musicale K-pop . Questi artisti hanno un concetto di musica completamente diverso dal nostro e mi piace proprio per questo.

Desideri per il futuro?

Tra qualche anno spero di trovarmi a fare quello che mi piace, quindi l’attore ed essere felice. Vorrei capire meglio cosa è la vita e come viverla al 100% per me stesso, sempre con il sorriso.

Ignazio Moser: tra vino, passioni sportive e tradizioni trentine raccontate sui social

Ciclista, sciatore e appassionato di motocross, Ignazio Moser è un giovane influencer trentino che vive a Milano ormai da diversi anni. Sportivo a 360 gradi, il ciclista non ha mai abbandonato  i suoi valori da vero trentino, ma è stato in grado di inserirli perfettamente nella mondana vita da città. Tra le sue tante attività, una delle più importanti è la produzione del vino, Moser. Lo abbiamo incontrato proprio per chiedergli di più riguardo a questa tradizione e le peculiarità del vino stesso.



Parlando di sport, come procede con la bici? 

Come attività agonistica ho interrotto nel 2015. Ho fatto altre gare ma solo per passione, essendo da sempre un forte appassionato di ciclismo. Da quando vivo a Milano, la bici è diventata uno svago per quando torno a casa: nessuna attività agonistica. Sono attivo su molti fronti dello sport, oltre al ciclismo sono sempre stato un grande sciatore. Data la situazione attuale, da poco ho riscoperto lo sci d’alpinismo, data la chiusura degli impianti. Sono sempre stato vicino al mondo dello sci, tuttavia da tre anni a questa parte faccio anche motocross: insomma, mi ritengo un vero sportivo a 360 gradi. Lo stile di vita sano e sportivo è una scelta che sposo quotidianamente. Quando si parla di sport c’è sempre un prezzo da pagare. Pensiamo  ad esempio se si vuole bere bicchiere di vino in più o sgarrare con un piatto di pasta: con lo sport, puoi bilanciare il tuo stile di vita: lo sport è la mia droga! Lo sport è un equilibratore, la medicina che consiglio a chiunque. 

Tuo padre è stato un grande del ciclismo, che rapporto hai oggi con lui?

La famiglia per me è fondamentale. Mio padre mi ha trasmesso la passione per la bici, per lo sport, e anche per il vino. Pensa che io ho studiato enologia. Sono nato e cresciuto in azienda e abbiamo sempre condiviso passioni in comune, appunto dallo sport al vino. 



Sportivo, influencer, ma anche produttore di vino. Di che vino si tratta? Quali caratteristiche  principali ha? Ci sono delle peculiarità tue personali?

Noi facciamo vini in Trentino, diamo quindi un’impronta di vini di montagna, minerali, freschi, con un forte richiamo al  territorio delle dolomiti e del Trentino. Dal 2010, l’azienda è stata gestita da noi figli (siamo in 3). La nostra filosofia (non mia ma nostra) è caratterizzata da una ventata di modernità e sprint giovanile. Il nostro obiettivo è infatti quello di svecchiare e modernizzare l’azienda, cercando di personificarla il più possibile. Abbiamo fatto tanti investimenti  sull’immagine e sul marketing, un vero e proprio piano strategico per cercare di ringiovanirla e ci stiamo riuscendo. Se dovessi definire il vino con alcune caratteristiche, sicuramente userei come aggettivi: fresco, moderno, sapido, minerale (la mineralità del vino è dovuta dalle caratteristiche del territorio, ovvero dalle rocce calcaree). (https://www.mosertrento.com/)

Con i social, soprattutto sul tuo profilo Instagram, sei riuscito a promuovere al meglio la tua attività legata al vino?

I social fanno ormai parte di tutto il mondo. Ogni messaggio può essere veicolato, compresa la nostra tradizione. Quello che cerco di fare è di mettere i miei valori, ovvero il mondo dello sport e del vino anche nel mio profilo, in modo da avere una identità sincera e coerente anche nella sfera digitale. Nel mio profilo si può notare un taglio rurale, proprio perché lo sport, la natura e il Trentino sono i valori che mi porto nel cuore e quindi che condivido con chi mi segue tutti i giorni sui miei canali social. Sono un giovane milanese adottato, ma non perdo mai di vista le mie origini. Penso che i social abbiano un grande potenziale e se siamo in grado di sfruttarlo questo diventa fondamentale per le aziende. I social, in grado sempre più di abbattere i muri delle distanze e del tempo, sono fondamentali per trasmettere in modo celere e simultaneo i valori di un’azienda, compresa la nostra.



Come ti vedi tra qualche anno? Porterai avanti questa tradizione?

Quella social è una parentesi legata ad una situazione mondiale che cavalco ora. Tuttavia sai, oggi su internet ci siamo, domani chi lo sa. Il mio futuro lo vedo più legato al mondo del vino e dello sport.

Alessio Viola: il mondo della comunicazione a 360° gradi

Giornalista e conduttore televisivo, Alessio Viola è un noto volto di Sky che abbiamo seguito con vivacità e curiosità per tutto l’autunno durante la messa in onda di Ogni Mattina su TV8.  A fronte della sua importante carriera che lo ha visto protagonista a Earth Day, Sky TG24, The X Factor e Venti20, lo abbiamo incontrato in una conversazione sul giornalismo cartaceo e televisivo.



Come è iniziata la tua carriera da giornalista ? E quella televisiva?

Ad essere sincero da ragazzino non volevo fare il giornalista. Mi piaceva la comunicazione, scrivere, la pubblicità, la televisione, la radio, etc… Non ho fatto la scuola di giornalismo, ma ho iniziato a lavorare come praticante in una redazione, ovvero la scuola migliore, che fin da subito ti mette faccia a faccia con la realtà e davvero ti insegna a muoverti in questo campo. Dopo che iniziai, mi resi conto che che la mia strada era proprio quella.

Parlando invece di giornalismo televisivo, è successo in maniera naturale: mi piaceva tanto la televisione, la seguivo con una vera e propria passione. Sono contento che la fase televisiva sia avvenuta dopo. Iniziare questa carriera sulla carta stampata mi ha permesso di crearmi un distinto bagaglio, sia pratico che culturale: capire, conoscere, toccare con mano le basi del mestiere, saperti muovere e organizzare; tutte nozioni che poi sono diventate utili e fondamentali nell’inquadramento televisivo.

Quando devi scrivere fai un lavoro più impegnativo per assurdo. Con la tv è più semplice: entra in gioco un’altro linguaggio che si basa sull’immagine. La palestra della carta stampata è stata fondamentale. 



Che differenze ci sono tra comunicazione cartacea e televisiva ?

Nella carta quando scrivi conta molto la capacità di raccontare e descrivere quello che vedi. Tuttavia hai il tempo a tuo favore e, almeno nel mio caso, riesco a scrivere in maniera rilassata. Con l’immagine è tutto più diretto e immediato. Per non parlare dei nuovi media, che hanno letteralmente abbattuto il muro temporale della comunicazione cartacea.

Abbiamo visto che proprio recentemente è iniziato un nuovo programma, Ogni mattina, su tv8, dove tu sei alla conduzione. Come sta andando?

Il programma è partito e procede alla grande. Tuttavia, con la pausa natalizia ho deciso di abbandonarlo. Da gennaio ci sarà infatti solo ed esclusivamente la parte legata all’intrattenimento, condotta da Adriana Volpe. 

Che taglio avete deciso di dare al programma? Abbiamo visto che eravate soliti invitare ospiti/opinionisti anche molto diversi tra loro. Che argomenti trattate di solito?

Il programma ha una doppia medaglia: se da un lato la leggerezza è predominante, ricordiamoci sempre che è la tv del mattino: affrontiamo le cose che succedono nel mondo in modo chiaro, semplice, approfondito, ma in modo chiaro e soprattutto semplice. Raccontiamo quello che succede intorno a noi, nel nostro caso l’emergenza del virus coinvolgendo esperti, opinionisti e testimonianze. Una sorta di telegiornale, ma intervallato da leggerezza ed intrattenimento, ad esempio con interventi e tutorial legati al mondo della cucina, della musica, della moda, etc.. Diversi sono i grandi nomi che sono stati ospiti nel programma, da  Joe Bastianich a Morgan, da Aurora Ramazzotti a diversi virologi, etc… Abbiamo coinvolto anche degli influencer, indiscussi protagonisti del web, con il fine di incrementare la visibilità del programma

Dove ti vedi nei prossimi anni ? Altri progetti in corso ?

Ho chiuso il 2020 con un programma che si chiama appunto Venti20, che racconta i primi anni 20 anni del 2000. Pensa che prima di Natale, con una serata speciale, ho chiesto a una giuria di giudici che cosa buttare e cosa salvare di questo anno assurdo. Per il prossimo anno sto lavorando ad un progetto ancora da definire che andrà in onda in primavera, sempre su TV8.

MARSĒM e il suo gentleman contemporaneo

Linee eleganti e moderne, tra proporzioni e volumi morbidi per il guardaroba dell’uomo contemporaneo. Ecco MARSĒM, brand nato in Puglia, che guarda avanti proponendo capi all’insegna della libertà e della fluidità dai tocchi sartoriali, disegnati da Antonio Semeraro.

I materiali usati nella produzione dei pezzi del brand rispecchiano i suoi valori. La morbida flanella, filato riecheggiante ricordi e tradizioni, è ripresa su abiti, pantaloni e camicie nei toni del marrone, cammello e burro. Presenti anche il velluto, la lana e la viscosa fino alla pelle, che dona un tocco rock e sofisticato ai capi, acquistabili direttamente sullo store online – www.marsemitalia.com – dove è possibile, inoltre, conoscere più da vicino la storia e l’evoluzione delle collezioni dell’azienda. Dalle giacche doppiopetto alle maglie, versatili e sfruttabili in più occasioni, fino ai cappotti; tanta scelta e qualità per ogni occasione per mixare e sperimentare.

A breve sarà possibile acquistare, anche, i capi della linea donna – La Gentle Rock Woman.

Ph: Piero Migailo

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Antonio Semeraro – Direttore Creativo del Marchio (a destra) e il C.E.O Mario Monaco (a sinistra). I due ci portano a scoprire il DNA di MARSĒM e l’importanza delle creazioni Made in Italy, artigianali e intrise di tradizione ma sempre volte alla sperimentazione e al cambiamento.

Quali sono, secondo voi, le caratteristiche che più distinguono il vostro brand sul mercato? 

Antonio Semeraro: Sicuramente la libertà. Siamo liberi da schemi e meccanismi – quelli della moda – che a volte impongono dei cliché che non sentiamo nostri. MARSĒM è Rock in tutto facendolo diventare Gentleman, curato nei dettagli, ricercato, “avanti” nelle proporzioni e tradizionalmente rivoluzionario. 

Mario Monaco: Credo che uno dei nostri plus sia anche il fatto che nonostante i ritmi insostenibili tutto è curato da noi non deleghiamo nulla, dalla cucitura fino alla boutique che venderà le nostre collezioni. 

Cosa cercano i consumatori di oggi? 

Antonio Semeraro: Vogliono sempre di più sentirsi bene nell’abito, nella giacca, nel cappotto e nei pantaloni che indossano. Viviamo in tempi talmente frenetici – tra meeting, viaggi, business lunch e giornate interminabili – che l’abito che indossi ormai deve essere un passe-partout, adatto ad ogni tipo di occasione che va dalla mattina alla sera. Le nostre camicie dalle stampe originali, per esempio, sono adatte sia per l’ufficio che per l’aperitivo nel locale più cool della città; l’abito da uomo, invece,  pur mantenendo una sua classicità, “rompe” tutti gli schemi giocando su volumi o proporzioni nuove che lo rendono più moderno. 

Qualche settimana fa è stato lanciato lo shop online di MARSĒM. Potete svelarci altri progetti che avete per il futuro? 

Mario Monaco: Il nostro e-commerce non è nient’altro che il risultato dei tempi che cambiano, che si evolvono. Il futuro del retail sarà molto basato sullo shopping on line che sta diventando sempre più comodo e veloce anche se noi – con le nostre collezioni – saremo presenti anche fisicamente nelle boutique, ci rendiamo conto che una parte dei nostri clienti ama ancora scegliere “toccando” i tessuti e trascorrendo un’esperienza di shopping non virtuale. Tra i nuovi progetti stiamo lavorando per portare MARSĒM verso nuovi mercati soprattutto all’estero, oltre all’arrivo della nostra collezione donna, la nostra Gentle Rock Woman. 

I vostri abiti sono versatili e dal tocco sartoriale. Qual è il vostro pubblico di riferimento? A quale segmento mirate? 

Antonio Semeraro: L’uomo e la donna MARSĒM hanno un animo Rock. Da qui tutto parte evolvendosi, collezione dopo collezione, in un lavoro su tessuti, dettagli, colori e soprattutto proporzioni e volumi. I nostri clienti hanno uno spirito che va oltre gli schemi, oltre alla loro attitude ribelle, amano la moda, hanno una personalità spiccata e gradiscono l’immagine che nasce da un giusto equilibrio tra questi 2 elementi. 

La produzione 100% made in Puglia è un importante sinonimo di qualità e artigianalità. Ci raccontate qualcosa in più del legame con la vostra terra? 

Mario Monaco: La Puglia è una terra particolare. Qua tutto è tradizione, attaccamento alle radici, protezione. Ma anche spirito di innovazione, forte innovazione, che sa ben combinarsi – in un perfetto equilibrio – con le belle realtà artigianali. 

Antonio Semeraro: Sono perfettamente d’accordo. Queste realtà vedono ancora quelle Signore che con amore e passione tagliano, ricamano e fanno speciale la moda, proprio come ai vecchi tempi.  Nonostante siano legate fortemente al passato, il loro intuito incredibile per la moda di domani le contraddistingue.

Jessica Winter, Pregoblin e altre magnifiche stranezze

Se doveste formare una band, che nome scegliereste? Sicuramente, a meno che non si tratti di una band Black metal, tutto ma non Pregoblin. Eppure la stramba scelta si è da subito rivelata vincente: quando, anni fa, leggevo questo nome tra quelli delle band inglesi emergenti era l’unico che mi rimaneva veramente impresso. Il mistero Pregoblin era infittito da uno scarnissimo profilo Facebook corredato solo da una foto sbiadita e rovinata di una bambina che sembrava esser stata presa da una lapide di campagna abbandonata alle intemperie e all’incuria. Nessuna ulteriore informazione se non altre enigmatiche foto-collage prive, apparentemente, di un senso logico. Poi, improvvisamente, nel 2019, il debutto con il singolo più accattivante e bello di quell’anno acclamato dalla critica specializzata, “Combustion”.

Scoprii che la band era formata da due componenti: l’affascinante Alex Sebley, un vero dandy Baudleriano di periferia completamente immerso nella creatività poetica e nei fumi dell’oppio e Jessica Winter, stupenda con i suoi occhiali da vista retrò e il suo look così (per fortuna) distante dai banali e scontati canoni estetici della scena musicale underground. Entrambi provengono da precedenti ed illustri collaborazioni con artisti come Fat White Family, Gorillaz e The Horrors.

Dopo l’esordio con “Combustion”, i Pregoblin sfornano una manciata di brani. Quattro, per l’esattezza. Quattro gemme, tra loro assai diversi ma ugualmente impeccabili nella loro scrittura di cristallino e strambo pop d’autore. L’ultima uscita è la meravigliosa e sognante “Snakes and oranges”, piccolo capolavoro pop con un ritornello che ti entra in testa e non ti esce più.

https://www.youtube.com/watch?v=30ZSwMg26KM&feature=youtu.be

Dal canto suo Jessica Winter inizia parallelamente una carriera da solista in cui la sua angelica voce viene subito magistralmente messa in risalto nel suo brano di debutto “Sleep Forever” del 2019. Seguono una serie di singoli che vanno poi a formare il mini-album di 5 canzoni “Sad Music”. Le sonorità rimangono pop ma, rispetto ai Pregoblin, gli arrangiamenti sono più sofisticati e le atmosfere teatrali.

L’ultimo singolo di Jessica è “Psycho” canzone dall’incedere epico e misterioso, accompagnato da un video particolarmente eccentrico ed inquietante.

Jessica e i Pregoblin sono un’adorabile anomalia composta da ingredienti spesso volutamente (e solo apparentemente) sgangherati ed improbabili ma sempre attraversati da una vera vena poetica intrisa di meravigliosa malinconia che con orgoglio si contrappone allo scontato, sfavillante e artefatto panorama musicale contemporaneo. Per queste ragioni vi consiglio di scoprire la loro musica e di innamorarvene: non ve ne pentirete.

Ecco l’intervista che abbiamo fatto a Jessica Winter in cui ci racconta come si sono formati i Pregoblin e il perché della scelta dello strambo nome, dei suoi problemi di salute che non l’hanno mai abbattuta e altre stranezze…


Ph: NAN MOORE

Ciao Jessica, intanto grazie di questa intervista per i lettori di MANINTOWN! Ci racconti come hai conosciuto Alex Sebley e come è nata l’idea di formare i Pregoblin e perché avete scelto questo nome per la band?

Io e Alex ci siamo conosciuti su Facebook – lui stava promuovendo a un concerto di Harry Merry e io sono una grande fan di Harry. Per com’è fatto lui, Alex aveva creato l’evento, ma non il link per comprare i biglietti. Io gli ho inviato un messaggio per comprare un biglietto e da li’ ci siamo messi a chattare. E’ strano perché successivamente abbiamo scoperto di essere entrambi di Hayling Island; un’isola al largo di Portsmouth. Abbiamo scelto PREGOBLIN perché dovevamo fare un concerto ma non avevamo ancora un nome. E’ iniziato come come scherzo, ma poi ce lo siamo tenuti. Il Pregabalin è una medicina che cura la dipendenza da eroina, ma agisce anche contro il dolore cronico. Quindi abbiamo quel farmaco in comune.

Definite vostra musica come “weird pop”. In effetti è difficilmente catalogabile. È molto fruibile ma, allo stesso tempo, sembrerebbe non voler essere mainstream. Cosa ci dici al riguardo?

Alla gente piacciono le sfide.



Ti ho sempre ammirata per il modo del tutto naturale in cui non hai mai fatto mistero di un tuo problema fisico dovuto ad una displasia dell’anca. Ci racconti il tuo rapporto con questa malattia e se ha influito sulla tua carriera artistica?

Ho vissuto molti lockdown nella mia vita in ospedale. Ho trascorso sei settimane alla volta stesa sulla schiena incapace di muovermi dalla vita in giù e questo ha probabilmente influenzato la mia etica del lavoro. Sono molto grata di aver potuto fare della musica la mia carriera e lavoro sodo quando sto bene abbastanza per farlo. Non mi lascio stressare e sono felice di poter condurre attività come camminare, stare all’aria aperta e più in generale essere viva. La vita e’ un grande privilegio e temo sempre l’improvviso che ci possa essere tolta da un momento all’altro..

Avendovi visti più volte dal vivo trovandovi sempre fantastici, mi ha sempre molto intrigato la presenza scenica che trovo originalissima e fuori da ogni cliché: la tua voce unica, il tuo look, il tuo muoverti in scena sembrano sovvertire quelli che sono gli stereotipi di una frontwoman. Cosa ne pensi di questa osservazione e ti piace esibirti?

Grazie! Ad essere sincera non ci ho mai pensato molto. Mi esibisco nel modo che mi e’ più comodo. Amo danzare, mi e’ sempre piaciuto… sul palco non sento più il dolore… dev’essere l’adrenalina. Ne pago il prezzo il giorno successivo, ma in quei momenti ne vale la pena. Mi piace intrattenere e dare un po’ di gioia a chiunque mi guardi. Penso che in qualsiasi cosa sia importante non prendersi troppo sul serio!

È uscito da pochissimo il tuo ultimo bellissimo singolo “Psycho” accompagnato da un video molto affascinante e abbastanza inquietante. Ce vuoi parlare di come è stato realizzato?

Questa canzone e’ nata in un contesto sterile. La Warp Publishing mi corteggiava e mi aveva offerto di partecipare a un ritiro di scrittura di una settimana. Ogni giorno avrei incontrato una persona nuova: alcuni erano produttori, altri artisti, altri scrittori e alla fine di ogni giorno dovevo scrivere una canzone nuova . L’intera cosa mi pareva cosi’ repellente che DOVEVO farla. Al terzo giorno avevo imparato a gestire l’ansia di dover conoscere gente nuova e mi avevano assegnato Bobby aka S Type e un artista chiamato LYAM. Entrambi si rivelarono fantastici: trascorremmo la giornata a scrivere una canzone che, ricordo, era piuttosto bella, ma poi YAM dovette andarsene. A me e Bobby rimanevano due ore, per cui iniziammo una jam session…. 2 ore dopo PSYCHO era nata. Era successo tutto cosi’ rapidamente che non avevo pensato potesse essere un buon brano. L’anno dopo l’abbiamo ripresa in mano entrambi e abbiamo pensato “e’ bella”, cosi’ ho fatto una vera e propria registrazione e ho chiamato Gam dei SWEAT per avere l’accompagnamento delle corde ed era fatta. C’e’ da dire che quando crei qualcosa cosi’ alla leggera, senza pensarci troppo, o darci troppo peso, hai meno probabilità di rovinarlo.

Quando è prevista l’uscita del tuo album solista?

Sto ancora decidendo. Per ora sto solo scrivendo scrivendo scrivendo. Tuttavia adoro gli EP: una piccola raccolta di canzoni, non poche, non troppe.

Quali sono i tuoi rapporti con la mitica scena di South London? Ci sono degli artisti o gruppi con i quali ti senti più in sintonia?

La ’South London Scene’ – ci sono cosi’ tante scene nel sud di Londra, ma credo che tu di riferisca a quella che fa capo al Windwill. Credo che sia merito di Tim Perry di aver creato una comunità li’. Invita sempre gruppi di generi differenti. Mi ha appoggiato sia come solista che con PREGOBLIN e trova sempre modi nuovi perché la gente si ritrovi insieme. L’ho incontrato circa un mese fa per strada e benché la musica live sia stata bandita quest’anno, mi parlava di voler fare una space opera e chiamare diversi musicisti di band differenti per quella serata. Lo adoro!

Qual è il tuo background musicale e cosa ascolti maggiormente in questo momento?

A due anni le mie gambe erano tenute separate da un tutore… le tastiere mi intrattenevano per ore. Mia nonna inizio’ a pagarmi le lezioni di piano quando avevo quattro anni e fu allora che iniziai a imparare la musica classica. Sto ascoltando Amara ctk100, 100 Gecs, Jazmin Bean, Salvia, ShyGirl, A G Cook, Sorry, Grace Lightman, Deep Tan, SWEAT, Comanavago, Lauren Auder, Eartheater, Daniel Johnston, Cottontail, Slayyter, Lynks, Diane Chorely, Lucy Loone, Zheani, Sundara Karma, Squid, Tïna, ZAND e altri.

Tornando ai Pregoblin, dopo l’esordio con il capolavoro pop di “Combustion”, avete fatto uscire una serie di singoli, molto diversi tra loro: “Anna”, “Love Letters”, “Gangsters” e, forse il mio preferito, la stupenda “Snakes & Oranges”. Quando è prevista l’uscita del vostro primo attesissimo album e che cosa ci dobbiamo aspettare?

Speriamo di iniziare l’album all’inizio del nuovo anno. Abbiamo già scritto molte demo nuove…

Film e libro della vita?

“La famiglia Addams” e “Il Profumo” (di Süskind)

Ti piacerebbe diventare una popstar o è una cosa a cui non tieni particolarmente?

LOL


Traduzione e adattamento – Valentina Ajello

VINTED, il più easy dei marketplace che da nuova vita agli accessori pre-loved

Cosa fare se durante le feste si è alle prese con il lockdown e non si è soddisfatti del proprio armadio?

Ce lo spiega il CEO di Vinted, Thomas Plantenga che, agli albori dell’approdo in Italia, ha come mission quella di contribuire a diffondere la moda circolare in tutta Europa (facendo spazio nel proprio guardaroba).

L’app, infatti, consente la registrazione gratuita e a riconosce ai suoi utenti il 100% del venduto nel segno della sostenibilità.
Infatti, Vinted è la più grande piattaforma online C2C europea dedicata alla moda second hand con una community in espansione di 34 milioni di membri che condividono la stessa passione per stili unici e attenti al consumo responsabile. Fondata in Lituania nel 2008 e già disponibile in Francia, Germania, Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Lituania, Lussemburgo, Regno Unito e Stati Uniti, Vinted arriva in Italia per tener fede alla mission dell’azienda: contribuire a diffondere la moda circolare in tutta Europa.



Da New York a Vilnius per condividere le competenze da Ingegnere Biomedico con il team di Vinted. Come un background scientifico può approcciarsi ad una piattaforma dedicata alla moda second hand?

Ci sono alcuni step prima di tutto ciò. Una volta ultimato il percorso formativo scientifico, insieme ad alcuni amici abbiamo dato vita ad un business dedicato alla programmazione, forti del nostro mindset ingegneristico.
Abbiamo iniziato a collaborare con una grande piattaforma dedicata al second hand in fase di espansione. E’ stato quello il momento in cui sono entrato in contatto con gli investors di Vinted che volevano confrontarsi con il mio know how.

Ho detto why not? e mi sono recato a Vilnius. All’inizio dovevano essere cinque settimane poi la realtà mi è piaciuta talmente tanto che ho deciso di restare.



Quale è la differenza tra Vinted e le altre piattaforme dedicate agli articoli pre- loved/second hand?

Uno dei nostri focus è rendere tutto estremamente semplice. La spedizione è integrata, il pagamento è integrato, il sistema di sicurezza è integrato e effettuiamo consegne a costi veramente ridotti. Prima di questo su qualsiasi altra piattaforma tutto era molto più complicato, basti pensare quanto era scomodo gestire l’iter di spedizione per ogni singolo utente.



Gli italiani sono amanti del vintage, cresciuti a pane e capi sartoriali, con un particolare occhio per lo stile ed il buongusto. Qual è il vostro approccio al nostro Paese?

Dalle ricerche nazionali effettuate l’abbiamo assolutamente notato. Gli italiani hanno un mindset focalizzato sulla ricerca della qualità simile a quello francese. Siamo un marketplace manistream e in Italia ci stiamo muovendo come negli altri paesi partendo da una campagna massiva di comunicazione attraverso i vari media. Abbiamo ingaggiato risorse che hanno molta familiarità con il vostro Paese e che ne conoscono non solo la lingua ma anche la cultura.

Vinted è un’ottima opportunità per guadagnare vendendo ciò che non piace nel proprio armadio oppure, per i fashion addicted e gli stakeholder del settore, un modo per proporre la propria personale selezione. Raccontaci le storie di successo che ti hanno particolarmente colpito.

Le storie di successo sono tante come quelle dei giovani studenti che sentono l’esigenza di cambiare costantemente il proprio guardaroba rivendendolo. Ci sono tanti casi di micro business o di madri che si sono aiutate a vicenda rivendendo i capi e gli accessori dei propri figli. I bambini, si sa, crescono alla velocità della luce. Su Vinted sono nate amicizie e anche amori! Siamo molto di più di un marketplace, siamo una vera e propria social community.

Parlaci del future immediate di Vinted durante l’era pandemica

In questo periodo le nostre energie sono focalizzate sul garantire la massima sicurezza per i nostri utenti. Nel primo lockdown abbiamo seguito alla lettera tutte le regolamentazioni e le limitazioni governative stoppando per alcune settimane le spedizioni. Adesso siamo collaudati al meglio con i nostri partner e siamo tornati in modalità ultra safe. Abbiamo anche rafforzato la nostra logistica e le nostre infrastrutture nonché effettuato donazioni per la ricerca Covid19. Nel pieno della seconda ondata, siamo perfettamente in grado di fronteggiare le dinamiche che ne derivano con l’obiettivo di consentire ai nostri membri di operare in sicurezza.

L’innegabile forza di Griffin Matthews

Griffin Matthews è uno scrittore, regista, attivista e attore. L’attore di “Dear White People” è emerso come uno dei talenti più eclettici e ricercati sulla scena cinematografica attuale. Nel 2019, a seguito dell’uscita delle sue performance in “Dear White People” su Netflix e in “Ballers” su HBO, ha dimostrato di essere un’innegabile forza, capace di catturare l’attenzione del suo pubblico.

Quest’anno Griffin reciterà nell’attesissima serie “The Flight Attendant” (L’assistente di volo), con Kaley Cuoco. La serie racconta la storia di Cassie (Cuoco), un’assistente di volo che si sveglia nell’albergo sbagliato, nel letto sbagliato, affianco ad un uomo morto, senza avere idea di cosa sia successo. Griffin interpreta il ruolo di Shane Evans, collega di lavoro di Cassie, che conosce molti dei suoi segreti. La loro amicizia è messa alla prova nel momento in cui la vita di Cassie inizia a sbrogliarsi e le verità di tutti i personaggi iniziano a venire a galla.



Ecco a voi alcune domande che abbiamo posto a Griffin Matthews riguardo la sua carriera, per conoscere meglio il suo talento.

Come hai scoperto di avere una passione per la scrittura, la regia e la recitazione?

Mi esibisco da quando ero bambino. Nel mio soggiorno. Per i miei genitori. Per i miei fratelli. Non ho mai smesso di esibirmi. Fa parte del mio DNA. Recitare è la passione che ho inseguito quando ho dovuto decidere cosa volessi studiare al college. Sono entrato nella prestigiosa School of Drama presso la Carnegie Mellon University per studiare teatro musicale. È stato proprio qui che mi sono davvero appassionato allo storytelling, non solo come attore, ma anche come cantante, ballerino, scrittore e regista. Ho capito che avrei potuto fare molto più di quanto avessi mai sognato!



In che modo la tua carriera ti ha cambiato la vita?

Lavorare in questo ambito significa che la tua vita sarà in continua trasformazione. Lavoriamo ad orari strani. Viaggiamo in posti nuovi, sempre preoccupati per la stabilità e il denaro. Combattiamo per mantenere intatte le nostre relazioni. Questa carriera richiede grandi sacrifici, ma mi permette di crescere, imparare e migliorare costantemente, sia come artista che come persona.

Qual è stato il traguardo più impegnativo della tua carriera?

Penso che il traguardo più impegnativo sia stato rimanere paziente e fiducioso. Ho 38 anni. Mi ci è voluto tanto tempo per emergere in questo settore. Sono davvero orgoglioso di non aver mollato. Di aver aspettato pazientemente. Di essere andato a tutti i casting. Di essere sopravvissuto a tutti i no ricevuti. Ovviamente, ho ancora molti traguardi da raggiungere, ma sono davvero orgoglioso di “The Flight Attendant”. Mi sento così fortunato ad aver preso parte a questo show!



In quanto omosessuale e di colore, hai avuto difficoltà nell’ottenimento dei ruoli che hai interpretato?

La mia battaglia principale è stata dimostrare al mondo e a questo setttore che posso essere qualcosa di più dello “sciocco migliore amico gay”. A volte i ruoli sono così ricchi di cliché e pregiudizi. Mancano di specificità. Mancano di umanità. Mancano di profondità. Quindi ogni volta che ho la possibilità di interpretare un ruolo, faccio tutto ciò che è in mio potere per dargli autenticità. Questo implica essere vulnerabili, intelligenti e ricchi di sfumature. Il mio obiettivo è che gli spettatori vedano qualcosa di nuovo, cosicchè possano cambiare il loro pensiero nei nostri confronti.

Com’è stato lavorare come collega di Kaley Cuoco in “The Flight Attendant?”

Ho adorato ogni minuto di lavoro con Kaley. Abbiamo stretto un’amicizia genuina durante le riprese. Dal momento in cui ci siamo incontrati, al mio provino finale e fino alle riprese, abbiamo avuto una chimica immediata. È molto divertente e simpatica, anche nella vita reale. Non si prende troppo sul serio. Abbiamo passato la maggior parte del nostro tempo a ridere a crepapelle e penso che questo si manifesti davvero nelle nostre esibizioni in “The Flight Attendant”.

Com’è stato girare parte della serie a Roma?

Ho amato Roma più di quanto si possa esprimere a parole. È una città magica e romantica. La sua cultura, il cibo, l’ospitalità italiana, la moda, i luoghi storici. Sono rimasto sbalordito! Nei miei giorni liberi, passavo ore da solo a passeggiare per le strade, fermandomi nei negozi e nei bar a parlare con estranei. Mi sono sentito come fossi a casa. Ho ufficialmente eletto l’Italia come la mia seconda casa.

Quanto è stato importante per te, a livello personale, interpretare un uomo omosessuale di colore in “Dear White People” e perché?

Interpretare D’Unte nella terza stagione di “Dear White People” ha cambiato la mia vita e la mia carriera. Quel personaggio mi ha permesso di essere “grande”. Ho dovuto correre dei rischi, dire cose controverse ed indossare abiti audaci. D’Unte non si è mai scusato per essere rumoroso, gay e fantastico. Mi ha insegnato ad essere rumoroso, gay e fantastico, sia sullo schermo che nella vita reale.

Qual è stata la lezione più importante che hai imparato nella tua carriera?

Sicuramente quella di fidarmi del mio istinto. Quando ho imparato a fidarmi del mio intuito, ho scoperto di saper accettare quelle che sono le conseguenze, buone o cattive che siano. Quando non ascolto il mio istinto, invece, finisco per avere rimpianti. Sto cercando di avere molti meno rimpianti nella mia vita.

Patrick Biedenkapp: il pilota che invita i followers a volare sempre verso i propri sogni

Pilota, influencer, blogger e scrittore, Patrick Biedenkapp è ormai conosciuto in tutto il mondo tramite le sue piattaforme digitali. Super attrezzato con Drone, Gopro e macchine fotografiche, il giovane trentenne gira l’Europa immortalandosi in scatti mozzafiato. Ma come fa un pilota ad avere così tanti followers? Lo abbiamo incontrato per chiederglielo…



Come sei diventato pilota? 

Per diventare pilota ho conseguito una scuola di volo specifica. Nel mio caso, nonostante la laurea all’università sia fortemente consigliata, dopo il liceo ho deciso di non proseguire gli studi accademici, ma mi sono iscritto direttamente alla scuola di volo la quale, conseguendo diversi esami in maniera periodica, mi ha permesso di accedere alla prova finale per diventare pilota. Questa è una scuola vera e propria che ti conduce direttamente all’obiettivo finale.

Prima di accedere al grande giorno ci sono diverse prove da superare, ad esempio esami teorici riguardanti una rigida e completa conoscenza del meteo e di come questo possa facilmente mutare soprattutto in alta quota, della struttura di un aereo e di tutte le sue parti, etc… Inoltre, le prove che devono essere costantemente superate non sono solo teoriche, ma anche pratiche. Alla fine eccomi qua, a 32 anni, un pilota- influencer che ha iniziato a volare ben 20 anni fa.



Oltre ad essere pilota, sei anche un affermato influencer, con quasi 800 mila follower. Come combini queste due professioni?

Quella del pilota non solo è sempre stata la mia professione, bensì la mia più grande passione. Tutta la mia vita è stata improntata per raggiungere questo obiettivo. Quella dell’influencer/blogger, è un’attività che si è creata in maniera spontanea, come una semplice conseguenza. Non ho mai forzato la cosa, semplicemente volevo raccontare a 360 gradi tutta la mia quotidianità: la vera vita di un pilota. Nessuno prima ci aveva pensato (o almeno, non era stato fatto sui social).

Mi sono in breve tempo reso conto che i miei contenuti piacevano, così mi sono attrezzato come un vero influencer (con macchina fotografica, drone, gopro) e l’attività ha preso piede…  Ad oggi porto avanti i due lavori di pari passo. Se devo essere sincero in questi ultimi mesi, che a causa del covid-19 mi è impedito di volare, riesco a dedicarmi di più ai social network.



Tra tutte le cose che fai, hai anche scritto un libro. Come mai? Di cosa parla?

Il libro “My glamorously unglamorous life as a jet-set pilot” è scritto da me, in qualità di pilota, e racconta la mia storia. Narra di come ho raggiunto questo obiettivo e di tutte le esperienze e peripezie necessarie per conseguire questo famigerato titolo: quello che in realtà non racconto sui social. Tutti pensano che quello del pilota sia un lavoro facile e di lusso, tuttavia ho deciso di raccontare gli aspetti più fragili e anche negativi che circoscrivono questa professione. Mi metto a nudo raccontando momenti pazzi e scioccanti che ho vissuto in prima persona, storie di persone che ho avuto a bordo, problematiche legate al mondo dell’aviazione.

Mi batto in prima linea, e questo libro ne è la prova, perché un giorno ci sia una corretta uguaglianza anche nel nostro settore dove oggi, purtroppo, i pregiudizi legati alla sfera sessuale o al colore della pelle sono ancora all’ordine del giorno. Scrivere questo libro è stato una forma di liberazione personale. Spero fortemente che possa  aprire gli occhi a chi, come ho fatto io, spera di lavorare in questo settore con tutto se stesso.

Sin da giovane c’era questa forte idea dentro di me di scrivere un libro, per raccontare la mia storia. Molti pensano che la vita la racconto tutta sui social, tuttavia nelle stories mostro solo una piccola parte di me, saltando decisamente alcuni tasselli importanti di cui non parlo mai. Con il libro posso esprimere tutto me stesso senza filtri e censure.

Continuerai a fare sia l’influencer che il pilota? Come ti vedi tra 10 anni?

Pilota e influencer sono due lavori che si sposano perfettamente: sono sempre più appassionato di foto e video! Nei prossimi 10 anni mi vedo come un portavoce della diversità, un’icona di riferimento per chi fa questo lavoro. Ma voglio che lo possa fare sentendosi libero di essere sé stesso, senza vincoli e pregiudizi. Il mio sogno è anche quello di aprire un negozio dove posso vendere prodotti  legati al mondo dell’aviazione. Infine, convincere le persone ad essere orgogliose di ciò che sono e motivarle ad inseguire, come ho fatto io, i propri sogni in totale libertà, a prescindere dal loro orientamento sessuale e dal colore della pelle.

Manintown incontra One Shot Agency e i suoi giovani talenti

Oneshot agency è una realtà italiana che opera nel settore del management e della comunicazione digital. Nel suo portfolio vanta nomi noti nel panorama social (soprattutto Tik Tok e Instagram) come Elisa Maino, Marta Losito, Paola Di Benedetto e il giovanissimo Tancredi Galli.

Nell’intervista i tre fondatori Eugenio Scotto, Benedetta Balestri e Matteo Maffucci ci raccontano il loro background svelandoci i nuovi progetti social in partenza nei prossimi mesi a cominciare da Chill House, un reality-format di successo con origini USA, che coinvolgerà i creator più famosi d’Italia.

Come è nato il progetto Chill House e chi sono i protagonisti?

M: Il progetto Chill House è un talent show contemporaneo in cui i protagonisti sono influencer con numeri da capogiro, che si trasferiscono in una scenografia da sogno, una villa dove vivere e creare contenuti. Abbiamo replicato lo stesso meccanismo della Hype House americana: gli influencer che abbiamo selezionato sono i Q4 (Tancredi Galli, Gianmarco Rottaro, Diego Lazzari e Lele Giaccari), Valerio Mazzei e Zoe Massenti, e la villa si trova a pochi chilometri da Milano. Nel contesto della villa i ragazzi faranno experience di ogni genere: lezioni di inglese, sport, lezioni di pianoforte, recitazione e molto altro, oltre alla creazione di contenuti insieme sui profili della casa. Stima di numeri aggregati: oltre 13,5 milioni di utenti su Instagram e oltre 25 mln su Tik Tok. E’ un progetto molto ambizioso ma già in ascesa, a un mese dal lancio i profili della casa hanno raggiunto 165mila follower su Instagram e 400mila su TikTok: un incubatore perfetto per aziende di qualsiasi categoria merceologica.

Come la moda si sta avvicinando ai nuovi social media come TikTok?

B: Tik Tok è uno strumento imprescindibile per raggiungere un nuovo target, quello della Gen Z, cioè i consumatori del domani, e sempre più aziende della moda hanno deciso di inserire la piattaforma nelle loro social media strategies. Se prima la piattaforma era dominata da brand del Fast Fashion, nel corso dell’ultimo anno aziende come Prada, Gucci, Burberry, Celine, hanno inaugurato i loro canali social sulla piattaforma, con contenuti costruiti ad hoc per Tik Tok. Molti brand hanno deciso anche di coinvolgere TikTokers per il lancio dei profili o per attività specifiche: ad esempio, si sono rivolti a noi brand come Dolce e Gabbana, che ha ospitato i nostri Tik Tokers in front row alla scorsa Fashion Week o Etro, per il lancio della collezione Toys natalizia 2020.

Quali le strategie secondo voi vincenti per moda e lifestyle con i new media?

M: Una strategia vincente deve rispettare i canoni e il linguaggio propri della piattaforma su cui si sviluppa. Quindi sono giusti i contenuti patinati e molto curati per Instagram, dove vince un feed molto curato, mentre su Tik Tok bisogna lasciar spazio alla creatività utilizzando le features della piattaforma. La prima regola comunque rimane selezionare talent che rappresentino completamente i valori e l’immaginario del brand. Una volta selezionati gli influencer da coinvolgere, bisogna concentrarsi sullo sviluppo di uno storytelling che integri il brand nella storia e nella vita dei creators. 

Gli ultimi talent che avete scoperto?

E: Oggi raccogliamo i frutti di quello che abbiamo seminato nei primi tre anni di vita della nostra azienda. Elisa Maino, Valeria Vedovatti, Gordon, sono gli esempi più lampanti del nostro lavoro. Ultimamente stiamo cercando di cercare target e profili diversi: ad esempio Gaia Sabbatini, atleta delle Fiamme Azzurre, o le 4Calamano, un gruppo di quattro sorelle che su Tik Tok cantano, oppure Ludovica Nasti che è una giovanissima attrice.

Raccontateci il vostro background professionale e perché avete deciso di aprire One Shot Agency?

E: Abbiamo background e storie molto diverse e probabilmente questo è il nostro punto di forza, che ci ha permesso di ottenere risultati così ottimi in soli tre anni. Io lavoro come talent scout da oltre dieci anni, ho scoperto talenti come Frank Matano, Francesco Sole, oltre a Elisa Maino. Matteo oltre alla sua carriera da artista (fa parte del duo musicale Zero Assoluto), ha prodotto programmi televisivi, è appassionato di street art e ha lavorato come speaker e autore di numerosi programmi. Benedetta ci mette in riga, ha una laurea in Economia che fin da giovanissima ha applicato in televisione (RSI), e nel mondo degli eventi e della musica, lavorando per un’etichetta musicale che distribuisce il festival di musica elettronica Tomorrowland. Quando ci siamo incontrati, circa quattro anni fa, è stato tutto molto naturale e immediato. 

Cosa differenzia la vostra agenzia da altre digital agency?

B: Il nostro team è costituito da persone che provengono da realtà diverse tra di loro, con un bagaglio di esperienze nel settore televisivo, radiofonico, musicale e degli eventi. L’età media del gruppo è di 30 anni, siamo Millenials e il nostro linguaggio è a cavallo tra due generazioni che faticano a parlarsi. Il nostro compito è interpretare le richieste e necessità delle aziende e facilitare il dialogo con le nuove generazioni. La nostra carta vincente però è il rapporto che costruiamo con i talent, la familiarità che si respira nei nostri uffici e il lavoro attento che viene fatto su ogni singolo talento. Siamo come una sartoria: i talent arrivano e noi gli cuciamo addosso il vestito perfetto.

Pier Costantini : Analogic nostalgia

“Pier entra in studio, affilato, gli occhi sono attenti e vigili. La fotografia di Pier si arrende nell’assoluta imprecisione di foto mezze sfuocate, nei colori sbiaditi delle Polaroids, in un delirio di luci opache o di impressioni troppo sature comincia a vibrare l’esistenza, il sangue a scorrere nelle vene. La sua fotografia pulsa, diventa solida, concreta, testimone di un amore cucinato negli anni, incomprensibile forse, ma autentico nella sua tenera ferocia” A parlare è Toni Thorimbert , fotografo di moda di fama internazionale, nell’introduzione del progetto “CIBO” divenuto libro e pubblicato dalla Hoepli (Milano). 

Manintown incontra Pier Costantini e gli affida un racconto fotografico dove ad emergere non è solo la sua fotografia ma anche i capisaldi della moda internazionale e i volti di tre talent scoutati dalle migliori agenzie milanesi.


Il ruolo del fotografo nella società contemporanea infestata da oltre un decennio dagli smartphone e dalle vittime dell’analogic nostalgia. Impressioni e considerazioni in merito alla direzione che sta prendendo la cultura visiva?

Credo che, attualmente, la figura del fotografo debba seguire una strada autoriale. Il fotografo deve essere prima di tutto capace di parlare diversi linguaggi per porre una forte base sulla propria cifra stilistica. Non si tratta più di imprimere su un sensore la rappresentazione della realtà, ma di andare oltre il reale proprio per indagare ciò che non è comprensibile ad un primo sguardo.


Autori e fautori di storytelling visivi. Da dove nascono i tuoi progetti e da dove attingi gli spunti ispirazionali che ti guidano nella realizzazione?

Mi dedico molto ai progetti personali che possono toccare le più svariate tematiche. Quando accolgo un progetto lo faccio mio, partecipo attivamente alla sua vita e non mi esulo in qualità di esecutore. La fase di studio e ricerca sono i momenti fondamentali dove mi confronto con i collaboratori al fine di creare connessioni solide che possano portare al miglior risultato di sempre. Oggi abbiamo numerosi strumenti e fonti di ispirazione. Guardo immagini tutto il giorno, creando un archivio non solo digitale ma anche mentale. Mi aiuta molto anche leggere, soprattutto di filosofia perché mi conduce verso mondi inesplorati.


Un’identità forte e una spiccata sensibilità analitica che porta Pier Costantini a lavorare su temi dalla forte valenza sociale. Descrivi ai nostri lettori il tuo background e i “punti focali” su cui di basa la tua personalità.

Arrivo tardi alla fotografia, dopo essermi laureato in Giurisprudenza, avevo una certa inclinazione per le materie umanistiche e per la filosofia (respiravo filosofia dalla mattina alla sera, mia madre è una professoressa di storia e filosofia). Nonostante avessi voti pessimi al liceo, studiavo solo gli autori che mi interessavano spesso lontani da programmi scolastici, come Umberto Eco. Inizio a fotografare e studiare da autodidatta come spesso accade.

La fotografia è stata più di una semplice passione, cosi ho deciso di intraprendere un lungo percorso di formazione. La mia formazione è stata inizialmente dedicata al ritratto, un territorio per me ignoto, prendendo come punto di riferimento il fotografo Eolo Perfido. Ho dedicato parte di essa anche allo studio della Street Photography. Se l’elemento umano è al centro della mia fotografia, la disciplina che mi mette in relazione ad esso nel quotidiano è proprio la Street Photography. Attualmente il mio lungo percorso è guidato da Toni Thorimbert cui ho affrontato e sto affrontando strade diverse, dallo studio della fotografia di moda al ritratto.





“CIBO” progetto fotografico, divenuto libro, con cui sei stato finalista al Premio Voglino 2018 di Fotografia Etica, ed entrato a far parte della Italian Collection 2018 (piattaforma dedicata a tutti gli autori italiani di talento della nostra comunità artistica). Prova a raccontarcelo.

Il progetto fotografico nasce dopo un lungo percorso di ricerca personale, guidato da Toni Thorimbert. Insieme abbiamo iniziato ad indagare e approfondire il mio intimo, al fine di restituire una fotografia che parlasse realmente di me, scevra da qualsiasi sovrastruttura e preconcetto. Da li ho iniziato a fotografare la mia famiglia, cercando di intraprendere un nuovo modo di comunicare, creare un ponte nuovo di contatto con loro. Noi siamo in 3. Io, mio padre Guerino e mia madre Anna.
Il cibo ha sempre avuto un ruolo importante, mai nulla lasciato al caso, mai un pasto consumato alla buona. Mio padre educato con i vecchi valori contadini, dove ogni singolo elemento della terra doveva essere rispettato e trattato per quello che era, cibo da consumare, da vivere!

Guerino, nel corso della sua vita si è ammalato di diabete, una malattia dove l’alimentazione corretta è fondamentale, ma lui non è mai stato attento a questo, andando avanti per la sua strada. La malattia, se trattata con un’alimentazione adeguata e con insulina, dà la possibilità di vivere bene, ma se infrangi quelle poche regole ti logora e ti distrugge, dall’interno. Il grande amore di mio padre per il cibo lo ha portato ad aver sempre più bisogno di insulina, ma si sa l’insulina ammazza le arterie, motivo per il quale è finito in rianimazione per un coma diabetico, di lì a poco tempo 2 infarti; poi altro tempo e la circolazione alle gambe era ormai compromessa, specialmente una di gamba; poi altro tempo ancora, fino a perdere una gamba. Nonostante tutto questo mio padre non si è perso mai d’animo e ha continuato a cucinare, a scrivere ricette sul suo diario e a fare conserve con il suo “brand”: Guerino Forever, un desiderio, una speranza.
Cibo, per me parla di radici, di famiglia. Ho deciso di documentare momenti nella nostra quotidianità, i pezzi sereni di vita dopo la tempesta. Un atto d’amore e di speranza.


Un autore non disdegna i progetti commerciali ed editoriali anzi contribuisce ad arricchirli con il suo occhio e la sua abilità nello storytelling e nella composizione visiva. Come strutturi le proposte creative per brand e testate?

Anche in questo caso la ricerca è la chiave di svolta. Seleziono brand e testate da contattare in linea con la mia estetica. La proposta creativa arriva dopo un’intensa fase di studio insieme al mio team di produzione e sono ben disposto a far fluire le energie del committente in essa, senza snaturare quella che è la mia conclamata identità.


Photographer Pier Costantini  www.piercostantini.com

Special Content Direction, Production & Styling Alessia Caliendo

Hair Piera Berdicchia @The Green Apple Italia

Mua Andrea Severino Sailis

Models Matteo & Zaccaria @Boom Models e Filippo @Urbn Models

Photographer assistant Andrea Re

Styling assistants Andrea Seghesio e Laura Ronga

Special thanks to @NH Hotel Milano Congress Centre  e La Polpetteria 

Edoardo Purgatori, baciato dalla dea fortuna è diventato papà

Edoardo Purgatori, figlio d’arte, nome prezioso per il teatro italiano, da un po’ di tempo oramai legato al grande maestro con cui tutti vorrebbero lavorare ovvero Ferzan Ozpetek. Infatti, tutto ebbe inizio con “La dea fortuna” lo scorso anno, subito dopo è stato chiamato per la messa in scena a teatro di “Mine vaganti”, poi bruscamente interrotta dal lockdown. Ora lo vediamo nello spot Unicredit sempre sotto la regia di Ferzan, con gli auguri di Natale che l’azienda vuole porgere ai suoi clienti.


Ph: Davide Musto


Quando c’è stato il primo lockdown tu dov’eri?

Ero in scena con “Mine Vaganti” di Ferzan Ozpeteck ed avevamo appena terminato Roma e dovevamo partire per Salerno, questo era il giovedì, e poi il sabato l’Italia ha chiuso ed è oramai storia della nostra vita.

E tu personalmente come lo hai vissuto quel periodo?

Essendo un attore sono abbastanza abituato ai tempi morti, quindi forse più facilitato rispetto ad altri, in più arrivavo da tre mesi tournee quindi l’ho vissuto bene, e poi ero con mia moglie a casa.



Però la vera novità qual è?

Beh, che proprio all’inizio di questo funesto 2020, mia moglie mi ha dato la notizia di essere incinta, infatti ero anche turbato all’idea di lasciarla da sola per tanto tempo. Così diciamo che ho avuto tutto il tempo necessario per preparare la stanza del piccolo che nel frattempo è arrivato e ci ha travolti in un fiume d’amore.


Ph: Davide Musto


Possiamo dire che oramai il tuo nome è legato a quello di Ferzan?

Per me già solo il fatto che tu me lo stia dicendo, mi fa commuovere dalla gioia; posso dirti che quasi mi do i pizzicotti per capire se è reale quello mi sta succedendo professionalmente con lui, ho trentun anni e sono cresciuto con i suoi film. Ha promosso una generazione di attori che stimo alla follia. Quando eravamo sul set di “La dea fortuna”, mi prendeva anche in giro dicendomi che non ero credibile come omosessuale, e nella mia testa girava quella vocina: ”oddio adesso mi caccia”.

Poi è arrivato il teatro..

Esattamente dopo la promozione del film mi è arrivata la telefonata per la tournee di “Mine Vaganti”, che è stato sold out immediatamente, e siccome siamo stati interrotti, riprenderemo non appena possibile, nel frattempo è in onda il nuovo spot di Unicredit per gli auguri di Natale, sempre per la regia di Ferzan, che rientra nella categoria di short film per la pubblicità, infatti sono sei minuti di racconto.

Il momento più divertente sul set dello spot?

Ovviamente girare è sempre difficile con una pandemia e devo dire che avevamo quasi cento, comparse tutte con mascherina. Poi a un certo punto una voce diceva:” togliete le mascherine è tutto finito, siate felici”. Per quanto surreale oramai è così, anzi mi fa strano guardare un film con tante persone insieme nella stessa scena e non dirmi che stranezza che non siano distanziati e con mascherina.

Com’è essere papà in un periodo come questo?

Devo dire che son stato tranquillo fino ad una settimana prima che nascesse, poi è arrivata l’ansia, ma l’aiuto di mia moglie è stato fondamentale ricordandomi che stavo diventando come mio padre, che io ho soprannominato” Ansio”, ecco, mi son dato una calmata. Ed ora faccio la cosa più bella del mondo, il padre.

5 personal trainer e i loro consigli su come tenersi in forma durante il lockdown

Nel pieno centro del capoluogo meneghino, nel 5 stelle NH Collection Milano President, Manintown incontra 5 personal trainer social addicted alle prese con lo smart e digital working chiedendo loro di svelare i segreti per un workout perfetto durante il lockdown.


Valerio Gaudio 

Dopo lunghi anni da calciatore si dedica all’atletica leggera compiendo i suoi studi in Scienze Motorie. Si specializza di seguito come Personal Trainer al Wellness Institute di Technogym e come Preparatore fisico di Basket con la Federazione Italiana Pallacanestro (FIP) collaborando con diverse squadre . Dopo l’esperienza fatta nei Club di Virgin allena diversi Top Client di Technogym e collabora con hotel di lusso. È tra i Personal Trainer più apprezzati e cura l’allenamento di numerosi personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport. Alla ricerca di più stimoli e sempre orientato sull’approfondimento della kinesiologia decide, insieme al suo partner Luca Giglio, di creare PURE, un salotto dedicato all’allenamento nel pieno centro di Milano.

Valerio indossa total look Reebok

Sneakers Nano x Mid Reebok

Calzini in spugna Nike


Training  e lockdown, uno dei settori più penalizzati nel 2020 che si e’ dovuto reinventere in tempi brevissimi per far fronte alle esigenze di una clientela sempre più esigente e ferrata grazie ai social. Quale è stato il tuo personale approccio a questa evoluzione?

Tutto il mondo del wellness ha dovuto trovare soluzioni congeniali per la digitalizzazione. Da co-host di Pure, dove da sempre ci dedichiamo all’attività one to one,  abbiamo optato per la “didattica a distanza”. Il lockdown è stata l’occasione per lavorare ad un entusiasmante progetto che svelo in esclusiva per Manintown: la Pure Tv. Una piattaforma in streaming dedicata al fitness che ci consentirà di far conoscere la nostra filosofia al mondo intero.

Il virtual personal coach, i workout tutorial, le digital consulting e ancora profili social influencing sempre più settati sulla propria daily routine , quanto sono importanti i dispositivi digitali per te?

Sono fondamentali, il mondo sta cambiando e i personal trainer, grazie ai social, promuovono il proprio know how con formule sempre più personalizzate di allenamento a distanza.

E proprio per questo motivo i social sono diventati fonte ispirazionale per tutti coloro che vogliono ottenere il massimo delle prestazioni dal proprio corpo. Funziona ancora il connubio alimentazione controllata, workout serrati, integratori e stile di vita sano? Se si, parlaci della tua formula vincente?

Noi siamo ciò che mangiamo e l’attività fisica è la migliore medicina per stare bene. E’ fondamentale sapersi muovere correttamente, rispettando una progressione didattica degli esercizi in base alle proprie abilità motorie.

Per tutti i nostri menintown consiglia un facile workout per tenersi in forma da eseguire in assoluta autonomia mentre si guarda l’ultima serie Netflix.

Difficile suggerire l’allenamento ottimale. Il training si costruisce su misura in base al punto di partenza. Ma invito tutti a scoprire la bellezza del movimento e il benessere che ne deriva.

Outdoor e indoor, home made e palestra quali saranno secondo te le prossime evoluzioni nell’ambito del training?

Sicuramente uno dei più forti trend saranno le studio gym dedicate ad un pubblico di nicchia e le attività all’aperto. 


Alice Mayne

Alice è una trainer di Pure Personal Training Studio. Ha avuto il piacere di prendere parte a molti mondiali di canottaggio conquistando contestualmente anche titoli nazionali e il podio da campionessa del mondo di coastal rowing. Durante la sua carriera sportiva si è anche laureata in Scienze motorie, ha conseguito un Master in Management dello Sport e un Diploma di Personal trainer. Da poco è diventata insegnante di Pilates Fusion (Fusion Workout) e vuole continuare a formarsi nella ginnastica addominale ipoppressiva e nell’allenamento post gravidanza. Inoltre è la preparatrice atletica di diversi atleti di triathlon, canottaggio, e pallavolo. 

Alice indossa total look Reebok

Sneakers multicolor Levi’s


Training  e lockdown, uno dei settori più penalizzati nel 2020 che si è dovuto reinventere in tempi brevissimi per far fronte alle esigenze di una clientela sempre più esigente e ferrata grazie ai social. Quale è stato il tuo personale approccio a questa evoluzione?

Sto davvero bene nel guidare i miei allievi online soprattutto perché, grazie all’impossibilità di seguirli dal vivo, ho dovuto migliorare il mio vocabolario italiano. Infatti, allenandosi da soli davanti allo schermo, gli esercizi vanno spiegati con maggiore minuziosità per far avere maggior consapevolezza dei propri movimenti.

Il virtual personal coach, i workout tutorial, le digital consulting e ancora profili social influencing sempre più settati sulla propria daily routine , quanto sono importanti i dispositivi digitali per te?

La mia vita professionale è intensa grazie ai social. Sulle piattaforme digitali, nel pieno lockdown, riesco a curare tutti i miei personal e anche i corsi di gruppo che effettuo tranquillamente su Zoom.

E proprio per questo motivo i social sono diventati fonte ispirazionale per tutti coloro che vogliono ottenere il massimo delle prestazioni dal proprio corpo. Funziona ancora il connubio alimentazione controllata, workout serrati, integratori e stile di vita sano? Se si, parlaci della tua formula vincente?

Il segreto per mantenersi in forma è imparare a star bene e a diventare intuitivi nella routine quotidiana. Non si può vivere contando le calorie e dipendendo dal proprio fit watch. Il più importante traguardo è avere un bel rapporto con il proprio corpo che va coccolato per una vita intera.

Per tutti i nostri menintown consiglia un facile workout per tenersi in forma da eseguire in assoluta autonomia mentre si guarda l’ultima serie Netflix.

Sapete che si possono fare gli addominali profondi tranquillamente seduti sul proprio divano?

Tirate in dentro la pancia, risucchiate l’ombelico, stringete il perineo e buttate fuori l’aria. Nulla di più semplice mentre si è davanti allo schermo.

Outdoor e indoor, home made e palestra quali saranno secondo te le prossime evoluzioni nell’ambito del training?

Esploderanno tutte le piattaforme online e, grazie ad esse, l’acquisto di tutti gli attrezzi per allenarsi comodamente da casa. E poi vedremo un grande ritorno all’outdoor proprio perché ci sarà tanta voglia di stare in compagnia facendo workout all’aperto.


Isacco Martufi 

Giovanissimo personal trainer nonché atleta agonistico di Crossfit. Nella sua vita ha praticato tanti sport come calcio, rugby, pallanuoto e boxe. Da alcuni anni sta studiando ed esplorando il mondo del fitness dedicandosi principalmente al personal training per atleti e amatori. 

Isacco indossa total look Lamborghini 

Sneakers alte Lotto


Training  e lockdown, uno dei settori più penalizzati nel 2020 che si è dovuto reinventere in tempi brevissimi per far fronte alle esigenze di una clientela sempre più esigente e ferrata grazie ai social. Quale è stato il tuo personale approccio a questa evoluzione?

Sono un personal trainer giovane e i social sono parte della mia quotidianità ma non nascondo che il lockdown abbia modificato il mio modo di lavorare. Mi sono dovuto adattare alle lezioni online con approcci e metodiche del tutto diversi.

Il virtual personal coach, i workout tutorial, le digital consulting e ancora profili social influencing sempre più settati sulla propria daily routine , quanto sono importanti i dispositivi digitali per te?

I social sono un ottimo punto di partenza per trovare una forte spinta motivazionale, sia per noi coach che per i clienti. La mia daily routine è social e chi curo ne è entusiasta e diventa parte della stessa.

E proprio per questo motivo i social sono diventati fonte ispirazionale per tutti coloro che vogliono ottenere il massimo delle prestazioni dal proprio corpo. Funziona ancora il connubio alimentazione controllata, workout serrati, integratori e stile di vita sano? Se si, parlaci della tua formula vincente?

Approcciarsi ad uno stile di vita sano, unito ad una valida alimentazione, agli integratori multivitaminici e agli allenamenti personalizzati è un ottimo passo per raggiungere obiettivi estetici e salutari.

Per tutti i nostri menintown consiglia un facile workout per tenersi in forma da eseguire in assoluta autonomia mentre si guarda l’ultima serie Netflix.

Certo! 5 round di: 20 lunges, 10 push up e 30 mountain climbers.

Outdoor e indoor, home made e palestra quali saranno secondo te le prossime evoluzioni nell’ambito del training?

Io credo nel mash up tra allenamenti online e live. Confido molto nelle evoluzioni che perverranno a seguito di questo grande cambiamento epocale che sta segnando le dinamiche e gli stili di vita.


Walter Marini 

Docente nazionale dell’associazione FORMAFITNESSITALIA e Preparatore atletico e calcistico e Presidente dell’associazione WM PERSONAL COACH, che si occupa di allenare, con l’apporto di diversi tecnici, amatori e professionisti nel settore dell’atletica, triathlon, tennis e sci. La differenza del suo metodo si basa sull’approccio combinato, una fusion tra lavoro muscolare e circuiti cardio-vascolari.

Walter Marini indossa total look WM

Running sneakers Nike


Training  e lockdown, uno dei settori più penalizzati nel 2020 che si è dovuto reinventere in tempi brevissimi per far fronte alle esigenze di una clientela sempre più esigente e ferrata grazie ai social. Quale èstato il tuo personale approccio a questa evoluzione?

Già da tempo usavo l’online perché, avendo clienti professionisti e amatori perlopiù globetrotter che si allenano costantemente, era l’unico mezzo per seguirli. Sappiate che molti di essi ambiscono alle grandi maratone quindi la costanza e l’impegno sono l’unico modo per raggiungere questo obiettivo. Ovunque essi siano.

Il virtual personal coach, i workout tutorial, le digital consulting e ancora profili social influencing sempre più settati sulla propria daily routine , quanto sono importanti i dispositivi digitali per te?

All’inizio del lockdown ho assunto un team di produzione e marketing perché mi sono ritrovato ad allenare atleti, anche olimpionici, senza mai comunicarlo sui social. Ero reticente perché credo nel contatto diretto ma alla fine ho ceduto per trasferire il mio know how ad un pubblico più ampio.

E proprio per questo motivo i social sono diventati fonte ispirazionale per tutti coloro che vogliono ottenere il massimo delle prestazioni dal proprio corpo. Funziona ancora il connubio alimentazione controllata, workout serrati, integratori e stile di vita sano? Se si, parlaci della tua formula vincente?

L’alimentazione è il 50% del nostro risultato, il 25% viene coperto dallo stile di vita che facciamo e il restante 25% dall’allenamento. Collaboro con due nutrizionisti perché la mia competenza e esperienza ventennale si limitano ai workout. Il personal trainer insegna il movimento corretto e la tecnica perfetta e per far si che ciò prenda vita ci vogliono anni e anni di costanza e perseveranza.

Per tutti i nostri menintown consiglia un facile workout per tenersi in forma da eseguire in assoluta autonomia mentre si guarda l’ultima serie Netflix.

Invito tutti a contattarmi privatamente per consigli propedeutici e, solo a seguito, di approcciarsi ad uno dei video training presenti sui miei canali online facilmente eseguibili se si ha una buona tecnica di base.

Outdoor e indoor, home made e palestra quali saranno secondo te le prossime evoluzioni nell’ambito del training?

Il futuro sarà digitale. Pensate a quante cose si possono fare stando in contatto con il proprio personal trainer tra un meeting e un altro oppure quanto possa essere importante per le donne di natura multitasking incastrare gli allenamenti. Una rivoluzione che ci ha educati a una nuova forma di training alla quale difficilmente si potrà dire di no.


Stefania Rega 

Nasce come ballerina classica per poi approfondire in età adulta varie discipline acrobatiche. Nei training da lei curati l’aspetto psicologico deve accompagnare quello fisico. Specializzata in allenamento funzionale, allenamento al femminile, allenamento pre e post parto e appassionata contorsionista, il suo percorso formativo è tuttora in evoluzione.

Stefania indossa total look Lotto

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Training  e lockdown, uno dei settori più penalizzati nel 2020 che si è dovuto reinventere in tempi brevissimi per far fronte alle esigenze di una clientela sempre più esigente e ferrata grazie ai social. Quale è stato il tuo personale approccio a questa evoluzione?

Sicuramente entusiasmante, è una grande opportunità da cogliere al volo per entrare in confidenza con i miei clienti e per fargli capire l’importanza e la percezione del movimento. 

Il virtual personal coach, i workout tutorial, le digital consulting e ancora profili social influencing sempre più settati sulla propria daily routine , quanto sono importanti i dispositivi digitali per te?

Bella domanda, in realtà il mio profilo social non è prettamente incentrato sul lavoro ma rispecchia quello che sono. I follower entrano così in contatto con la mia vita senza filtri, preferisco essere vera per comunicare al meglio me stessa e farmi scegliere da coloro che vogliono essere seguiti.

E proprio per questo motivo i social sono diventati fonte ispirazionale per tutti coloro che vogliono ottenere il massimo delle prestazioni dal proprio corpo. Funziona ancora il connubio alimentazione controllata, workout serrati, integratori e stile di vita sano? Se si, parlaci della tua formula vincente?

La Generazione Z e i Millenial hanno un approccio ancora troppo superficiale al wellness. Molti mirano dritti alla parte estetica per questo bisogna riconnettersi con sé stessi e ispirarsi alle case history che nascono da stili reali e soprattutto sani.

Per tutti i nostri menintown consiglia un facile workout per tenersi in forma da eseguire in assoluta autonomia mentre si guarda l’ultima serie Netflix.

In qualsiasi momento consiglio la ricerca di un qualsiasi movimento. Via libera anche alla cura della respirazione in quelli che possono essere esercizi di stretching.

Outdoor e indoor, home made e palestra quali saranno secondo te le prossime evoluzioni nell’ambito del training?

In realtà vorrei che le palestre tornassero ad essere un luogo di condivisione e socializzazione ma l’online training dà la possibilità a chi non ha tempo di seguire workout comodamente da casa. Si al training green in tutte le aree verdi delle nostre città.


Foto di Matteo Galvanone

Styling assistant Andrea Seghesio

Si ringrazia per l’ospitalità NH Collection Milano President e Healthy color 

Luca Chikovani: “Dalle cover su YouTube al Festival di Cannes anche grazie alla meditazione”

Luca Chikovani è un vero e proprio concentrato di energia. La sua carriera ha avuto inizio con delle cover su YouTube per poi coronare il proprio sogno con la pubblicazione con Universal dell’album “Start”. Adesso Luca ha cambiato pelle, ha avuto una vera e propria evoluzione che l’ha portato prima al cinema interpretando ruoli importanti come Tancredi nel film “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher e poi in tv nella serie Rai “Un passo dal cielo”. Nella nostra lunga chiacchierata abbiamo parlato dell’importanza del credere in se stessi e nelle proprie potenzialità e di come la meditazione può servire per capire realmente chi siamo.


Credits: c.d.a. Studio di Nardo s.r.l.

Luca com’è nata la passione per la musica?

Devi sapere che è nato tutto un po’ per caso anche se la musica mi appartiene fin da piccolo perché in Georgia (il suo paese natale, ndr) c’è proprio una cultura musicale, ogni famiglia ha un pianoforte e alla fine della cena si suona e si canta tutti insieme. Io nel corso degli anni non ho coltivato più di tanto questa passione finché un giorno il bidello della scuola mi ha prestato il dvd di “Moulin Rouge!”, l’ho visto e da lì ho iniziato a cantare senza però ottenere grandi risultati.

In quegli anni su YouTube andavano per la maggiore le cover fatte da Conor Maynard, Shawn Mendes e Justin Bieber e allora ho iniziato a pubblicarne anch’io. Se prima dovevi sperare nel colpo di fortuna per raggiungere le etichette e farti pubblicare, col web avevi il contatto diretto con il pubblico senza intermediari. Inizialmente a scuola mi hanno preso molto in giro, soprattutto i professori, ma io sono andato dritto per la mia strada con l’obiettivo di incidere i miei pezzi. Avevo bisogno di mettere da parte dei soldi per pagare l’incisione e un giorno, mentre cercavo proprio un lavoretto, sono entrato per caso in un negozio senza leggerne l’insegna ed era proprio uno studio di registrazione. Ho poi conosciuto il proprietario, il produttore Roberto Sterpetti, che mi ha visto super motivato, pieno di idee e ha deciso di mettermi alla prova. Dopo un po’ di mesi ho firmato con loro il mio primo contratto e abbiamo pubblicato i primi brani. Poi mi sono trasferito a Milano per l’università e ho conosciuto tra gli altri Michele Bravi che mi ha chiesto di aprire i suoi concerti; alla tappa di Milano mi hanno notato i suoi discografici della Universal che poi mi hanno proposto di lavorare insieme. Così è nato “Start”.



Poi è arrivata Alice Rohrwacher e il suo “Lazzaro Felice”…

Sì, e anche qui c’entra la musica! Quando è uscito il video del mio singolo “On my own” è stato trasmesso da MTV e casualmente un giorno Alice e Chiara Polizzi (la casting director del film, ndr) mentre erano insieme in un bar lo hanno visto e si sono chieste chi fossi, mi hanno cercato e proposto di fare il casting per il ruolo di Tancredi anche se io, sinceramente, non volevo farlo perché non avevo mai recitato in vita mia.

Il provino andò malissimo, ero molto timido. Ricordo che c’era un altro attore che interpretava Lazzaro ma era caratterialmente molto dominante rispetto a me tanto da mettermi in difficoltà e farmi bloccare. Alice lo notò subito e mi chiese “riesci a impegnarti se lo vuoi? Sì? Allora non esci dalla stanza finché non lo fai”. Fu lei a interpretare Lazzaro e io Tancredi e così il provino andò bene. Le sono molto grato, se non ci fosse stata lei avrei perso una grande opportunità. Molte volte si ha paura e si è insicuri senza un reale motivo e lei me l’ha fatto capire.

Tu sei tra i protagonisti del corto “Revenge Room” che tratta una tematica molto attuale…

Sì, dopo “Lazzaro felice” sono stato in giro per molti festival che mi hanno permesso di farmi conoscere. Mi hanno proposto un ruolo nel corto prodotto della Rai “Revenge Room” che parla del revenge porn, un argomento molto caldo in questo periodo, dove ho avuto il piacere di lavorare con Alessio Boni, Violante Placido ed Eleonora Gaggero. Avevo molta paura del ruolo perché era stato precedentemente rifiutato da tre attori a causa dell’immagine malvagia che trasmetteva il personaggio ma Alice mi ha insegnato che le parti bisogna modellarle sull’attore e così ho fatto.

E’ stata un’esperienza significativa perché abbiamo girato tutto in un giorno, era un lungo piano sequenza. Poi Alessio Boni è stato magistrale, mi ricordo che prima di iniziare a girare una scena di un litigio mi ha insultato perché era già entrato nel ruolo per rendere tutto il più veritiero possibile e infatti la scena è uscita benissimo.



Chi è Luca oggi?

Non lo so, come faccio a saperlo? Cambio ogni giorno! Ci pensavo ultimamente, molte volte la gente mi dice: “ora fai cinema? E la musica?”, abbiamo in testa l’idea che ognuno ha un percorso ben definito ma non è così. Se adesso voglio fare il cantante e tra un anno l’archeologo nessuno me lo vieta. Per me è stata fondamentale la meditazione che mi ha permesso di controllare la recitazione che non avevo mai studiato. Mi ha reso conscio del fatto che non sono definito, non so cos’era Luca ieri e cosa sarà domani. Bisogna essere fluidi, sapersi adattare, cambiare, distruggere il proprio ego che a volte ci blocca a non andare oltre.

Qual è il consiglio che vuoi dare a chi sogna di intraprendere un percorso simile al tuo?

Molte volte ci concentriamo solo sull’esterno: “voglio fare il cantante quindi imparo a cantare”, è giustissimo però all’inizio secondo me bisogna concentrarsi su sé stessi. Bisogna lavorare prima interiormente e io l’ho fatto attraverso la meditazione, lo studio delle religioni e guardando dei film. Bisogna prima capire le tue emozioni, i tuoi pensieri, rendersi consci di questo e poi fare ciò che si vuole. A livello tecnico per gli attori consiglio di vedere tanti film perché noi esseri umani copiamo senza rendercene conto, assimiliamo ciò che vediamo.

Progetti per il futuro?

Ho appena finito di girare per Sky Atlantic il film “Power of Rome” dove interpreto Augusto e sto completando le riprese della fiction “Un passo dal cielo” dove posso anticiparvi che canterò ma non vi spoilero troppo. Poi sto valutando dei progetti dall’estero ma la situazione causa covid è complessa, vedremo.

Davide Campagna: dentista di giorno, chef di sera

Un blog aperto quasi per caso, la passione per la cucina e quella marcia in più tipica dei romagnoli hanno reso Davide Campagna ( @cottoaldente ) in poco tempo una star del web: il suo blog conta infatti più di 7mila contatti al mese e su Instagram ha raggiunto oltre 300mila follower. La sua dieta sana, abbinata ad una serie di esercizi, è entrata a far parte del suo metodo che lui stesso ha definito “Cotto al dente”. Davide non è nato con il fisico che ha adesso e così, grazie anche alle sue conoscenze mediche ( è un dentista di professione) , ha deciso di sviluppare e condividere questo suo metodo dietetico e sportivo, attento anche alla salute.



Come è nata la tua passione per la cucina?

Ho sempre amato cucinare, una passione trasmessa da mia mamma e mia nonna. Inizialmente era solo un’attività saltuaria, oggi invece dedico buona parte delle mie giornate a questa attività.

Come nasce invece ‘Cotto al Dente’?

Cotto al Dente nasce esattamente 8 anni fa, quando sono andato a vivere da solo e ho iniziato a cucinare per amici e parenti. Proprio in quel periodo ho deciso di aprire il mio blog. Tutto è nato in modo molto naturale, quasi per caso.



Hai un piatto della tradizione a cui sei particolarmente legato?  

Nonostante io non mangi più carne, porto sempre nel cuore le roselline al forno ripiene di prosciutto, mortadella, panna e parmigiano. Tipico del periodo natalizio e che mia nonna era solita prepararmi.  

Oggi invece hai un ingrediente a cui non rinunceresti mai?

Sono un amante del salmone, in tutte le sue forme. Che sia cotto, sashimi o una semplice tartare, non potrei farne a meno.



Il metodo migliore per tenersi in forma a casa in questo periodo?

Il tipo di allenamento varia da persona a persona, in base al livello di ognuno di noi. Sicuramente consiglierei un allenamento ad alta intensità (Emom, Tabata), di 30 / 35 minuti al giorno per mantenersi sempre in forma. Al contrario, sconsiglio i pesi , a causa della mancanza di attrezzi e spazio sufficienti.  

C’è un personaggio del mondo del fitness che segui sui social e a cui ti ispiri?

Si, mi ispiro molto a The Body Coach, un personal trainer inglese che ammiro in quanto è stato il primo a fare ciò che oggi faccio anche io. Mi piace molto anche Pamela Reif, una trainer tedesca. È un po’ difficile in Italia farsi degli amici che condividano la mia stessa passione e professione, l’invidia regna sovrana.

Come combini allenamenti, social e lavoro?

Per dare il massimo in tutte le attività che faccio, ho deciso di suddividerle in giorni della settimana differenti. Ci sono giornate in cui mi dedico solo alla mia professione, ossia quella del dentista, ed altre invece in cui mi dedico solo ai social.

Oltre alla cucina e al fitness, una delle tue grandi passioni è viaggiare. Quale meta ci consiglieresti di visitare non appena questo periodo di lockdown ce lo permetterà?

Inizialmente vorrei andare in Perù e Bolivia e poi tornare a Bali, compatibilmente con le regole imposte da questa pandemia. Mi piace molto alternare viaggi rilassanti a viaggi più esplorativi ed avventurieri perché lo stare solo in spiaggia alla lunga un po’ mi annoia.

Quali sono 3 oggetti che non potrebbero mai mancare nella tua valigia?

Tre oggetti che porto sempre con me sono le scarpe da corsa, il drone e una guida del luogo che andrò a visitare.

Quali progetti hai per il futuro?  

Nel mese di Dicembre ho creato un calendario dell’avvento sulla mia app “Cotto al Dente”: ogni giorno propongo un allenamento e una ricetta differenti. Nel 2021 invece uscirà il mio secondo libro, che sarà il seguito del primo. Tratterà principalmente del cambiamento avvenuto durante la quarantena, che in qualche modo ha influenzato la vita di tutti noi. Vuole essere una guida per le persone sia dal punto di vista alimentare che sportivo.

Giorgio Lupano: sono l’artefice del mio percorso tra teatro, cinema e televisione

Possiamo dire che l’amore per la recitazione di Giorgio Lupano non è stato un colpo di fulmine, ma un sentimento cresciuto nel tempo sin da quando era giovanissimo. Dopo essersi formato alla Scuola del Teatro Stabile di Torino dove si diploma nel 1993 sotto la guida di Luca Ronconi, il teatro gli porta da subito molte soddisfazioni, ma con il tempo diventa un attore a tutto tondo esplorando anche la strada del cinema e della televisione. Nel 2000 debutta ne Il Manoscritto del Principe di Roberto Andò. Nove anni più tardi la consacrazione internazionale con La Papessa.

Oggi possiamo seguirlo tutti i giorni su Rai 1 ne il Paradiso delle Signore, ma il teatro continua ad essere un ambito costante nella sua carriera e proprio nell’intervista ci racconta il suo ultimo progetto in corso..



Come ti sei avvicinato alla recitazione?

Non ho avuto, come molti, la famosa vocazione e ho scoperto questo mondo in maniera graduale, prima di tutto come spettatore. Mi piaceva molto andare a teatro a Torino, la mia città natale. Mentre guardavo gli spettacoli mi chiedevo come fosse stare sul palco, che emozioni provassero gli attori e con il tempo è stato naturale iscrivermi ad una scuola di recitazione. Da spettatore sono diventato parte dello spettacolo.

Quale evoluzione sta avendo il tuo personaggio ne Il paradiso delle signore?

Il personaggio di Luciano è in continua evoluzione da quando sono entrato nella fiction. È stata la prima esperienza in una serialità davvero lunga e molto strana all’inizio. I tempi sono veloci, le scene hanno un minutaggio molto ridotto. Ho preso per mano il personaggio e insieme abbiamo visto cosa poteva succedere episodio dopo episodio. In questi casi viene data un po’ anche a noi attori la responsabilità di capire che direzione dare. Oggi sicuramente ha un carattere più ironico, meno rigoroso, abitudinario e noioso rispetto a quando abbiamo iniziato.



Ph: Davide Musto


Un personaggio che hai interpretato e al quale sei molto legato?

Nello spettacolo Figli di un Dio minore, interpretavo un insegnante di logopedia che va a lavorare in una scuola per sordi. È stata un’esperienza molto bella e particolare perché ho lavorato con colleghi non udenti. Per prepararmi ho studiato la lingua dei segni e svolto laboratori con persone non udenti.  Il personaggio che conservo nel cuore si chiama James Lee e mi ha permesso di conoscere un mondo e una cultura straordinari. Inoltre è stata un’opportunità anche per le persone non udenti di vederci e capirci a teatro, rendendo questo spettacolo accessibile a tutti.

Cosa puoi dirci invece dei tuoi prossimi progetti a teatro?

Al momento sono impegnato con le prove del Il collezionista, un testo inglese per la rassegna Trend. Con la chiusura dei teatri ad Ottobre siamo arrivati ad un bivio: potevamo scegliere lo streaming o fermarci. Andare in onda in streaming però comportava la mancanza di incassi sufficienti per produrre lo spettacolo, così abbiamo ideato un crowdfunding per chiedere al pubblico di aiutarci nella produzione. In questo tempo di crisi volevamo dare un segnale, le persone hanno ancora voglia di spettacolo dal vivo e questo sistema ha reso possibile il tutto.

Se non fossi diventato un attore oggi quale lavoro faresti?

All’università studiavo scienze naturali quindi direi l’entomologo, come il personaggio che interpreto a teatro ora. Ho sempre trovato il mondo degli insetti affascinante.

I tre capi essenziali nel tuo armadio?

Camicia bianca di lino, un passepartourt per un uomo. Una giacca, che è un capo di abbigliamento molto maschile e identificativo e che mi da sicurezza. Infine una felpa blu (io ne ho ben quattro) per i momenti più casual.

Un luogo che vorresti visitare o in cui vorresti tornare..

Vorrei tornare in Islanda, l’ho visitata in estate e ho scoperto una grande varietà dal punto di vista morfologico e di paesaggi. Questa volta mi piacerebbe vederla in inverno ammirando l’aurora boreale.

Un tuo motto?

Homo faber fortunae suae (l’uomo è artefice della propria sorte). Una frase latina che mi ripeteva un mio professore di lettere delle superiori, perché non amavo il mio percorso di studi. Sono riuscito a metterla in pratica dopo un anno di università quando ho assecondato le mie inclinazioni e ho abbracciato il mondo della recitazione.

Dove sarai tra 10 anni?

Spero su un palcoscenico, in salute a fare ancora il mio lavoro. Per confermare il fatto che il motto del mio professore è ancora valido.

New faces: Guglielmo Poggi

Nonostante la giovane età il curriculum di Guglielmo Poggi è già ricchissimo. All’attivo diversi film di successo come Gli uomini d’oro nel 2019 , Bentornato Presidente, Il tuttofare, Beata ignoranza. Prima ancora lo abbiamo visto ne L’estate addosso e poi Il nostro ultimo. Il suo cortometraggio Siamo la fine del mondo viene poi selezionato per partecipare allo Short Film Corner del Festival di Cannes del 2017. 

Vive a pieno ogni personaggio e per il futuro non si preclude nessuna strada (e non parliamo solo di cinema) per questo motivo, da quello che ci ha raccontato sentiremo spesso parlare di lui.


Photo Credits: Davide Musto

Come è nata la tua passione per il cinema e la recitazione?

Questione di DNA, credo. Guardi e ascolti in casa, e riproponi. Verso i dieci anni ho cominciato col doppiaggio e da lì non mi sono fermato più. Però intendiamoci: non sono uno di quelli che vedevo presentarsi ai corsi di recitazione affermando “io non potrei mai fare altro nella vita”. E poi fanno altro nella vita. Io avrei potuto fare altro nella vita (il politico, l’aiuto cuoco, l’affilatore di coltelli). Per questo faccio l’attore. Per fare altro nella vita. Per fare tutto il resto.

Puoi svelarci qualcosa sul tuo personaggio in Cops – Una banda di poliziotti?

È biondo platino, ma ha una prepotente ricrescita scura. Dorme con il suo elegantissimo pigiama, dentro al commissariato di cui è il centralinista. Sull’ostentazione del suo orientamento sessuale e sulle sue abitudini quantomeno bislacche mi taccio. Ma solo per non fare spoiler.


Photo Credits: Davide Musto

C’è un ruolo tra quelli interpretati fino ad oggi che hai sentito più tuo?

Tutti, perché sono miei. È meno banale di quello che sembra: il privilegio è stato proprio avvicinarli, perché con me non avevano niente a che fare. Ho interpretato drogati, poliziotti, omosessuali, un vicepresidente del consiglio, un praticante avvocato (io l’università non l’ho vista nemmeno in foto), ho visitato gli anni sessanta, il seicento, persino l’antica Roma. Sono molto fortunato, tra i miei coetanei. Non mi hanno mai assunto per “fare me stesso”. E menomale.

Hai diretto alcuni cortometraggi che hanno avuto un grande successo. Quali sono i temi di cui vorresti parlare da regista?

Fin ora ho trattato anoressia, bulimia, molestie sulle donne, bioetica, suicidio giovanile, aberrazioni della tecnologia. Insomma, un allegrone. Mi ha sempre appassionato approcciare con uno sguardo non ordinario (e perché no, anche ironico) i temi più spinosi e drammatici che ci somministra la realtà, che diciamolo, non si fa mai pregare per mostrarci il peggio del peggio di sé. Però la mia opera prima (che prima o poi esisterà), sarà una commedia. Nera, ma commedia.

Come stai vivendo questo periodo di semi lockdown?

Sto girando una serie e la sera resto a casa a cucinare, vedo film, scrivo. Praticamente lo stile di vita che sogno. A rendermelo nemico è la difficoltà dei colleghi che rivedranno i teatri aperti chissà quando. E poi i ristoratori, chi lavora nel turismo e nell’intrattenimento. Ma anche la sofferenza di chi ha perso qualcuno, le difficoltà delle piccole imprese, gli artigiani costretti a chiudere. Ecco, non mi riesce non sentire nel profondo le ingiustizie, per parafrasare un rivoluzionario vero. Cerco di riflettere su come fare a contribuire nel mio piccolo, in questo esausto capitalismo, anche delle idee. Cerco, e non trovo, e questo rende il “semi-lockdown” ancora più cupo di quello precedente.

Un luogo in cui andresti appena si potrà tornare a viaggiare?

Vorrei andare a trovare i miei amici a New York e Los Angeles, sentire l’entusiasmo per il nuovo ciclo politico. E poi andare a scoprire un po’ della Cina, per capire in che direzione andrà il mondo. Ma ancora, tornare sereno e tranquillo a Milano a vedere un bello spettacolo al Piccolo, all’Elfo, al Partenti, ma anche a San Siro a vedere la mia Inter.

Dove ti vedi tra 10 anni?

Al manicomio. O al Mibact. Come Ministro ovviamente. O a vivere in un appartamentino ad Upper West Side, a dirigere film nella mia amata San Pietroburgo, a imparare a fare le torte, magari a le Marais a Parigi (che per un aspirante aiuto cuoco essere incapace coi dolci è imperdonabile). Resta da capire se sarò io, Guglielmo, o i personaggi che interpreterò, a fare tutte queste belle cose. Facciamo che non c’è differenza?


Immagine di cover: Sky/Gianni Fiorito

L’importanza di chiamarsi Lou Smith

Traduzione e adattamento – Valentina Ajello

Circa una decina di anni fa, la scena musicale rock era abbastanza in stallo. Non riuscivo a trovare nulla di particolarmente interessante tra i dischi che uscivano in quel periodo. Ricordo nitidamente che un giorno mi imbattei, in modo del tutto casuale, in un video su YouTube di un’esibizione live di un gruppo chiamato “Fat White Family”. Ne rimasi completamente colpito. Feci altre ricerche, sempre su YouTube, che confermarono ancor più quella mia prima sensazione: finalmente, dopo tantissimi anni, mi trovavo di fronte ad un gruppo musicalmente inclassificabile e dotato di una micidiale miscela di dissacrante anticonformismo. 



Andai avidamente a vedermi tutto quello che riuscii a trovare in video su di loro. Notai che quasi tutti i video erano di un certo Lou Smith. Investigai e scoprii che la firma di Lou Smith era presente anche in moltissime registrazioni live di altri interessantissimi gruppi e che, quasi sempre, la location dove avvenivano queste registrazione era un locale di Londra, più precisamente a Brixton, chiamato  “Windmill”. Rimasi sbalordito dalla freschezza e qualità di tutti quei gruppi. A parte i Fat White Family mi impressionarono molto gruppi come “Meatraffle”, “Warmduscher”, “Pregoblin”, “Goat Girl”, “Madonnatron” e molti altri. Facendo delle ulteriori ricerche venni a scoprire che abbastanza incredibilmente tutte quelle band venivano sì da Londra, ma in particolare dalla zona a sud della città. Una scena ricchissima di stili e generi nata intorno a pochissimi quartieri della città. 



Dopo alcuni anni, mentre continuavo avidamente a seguire tutte le nuove registrazioni di Lou Smith, andai a Londra e, per la prima volta, arrivai al Windmill a Brixton. Ricordo che ero molto emozionato. La stessa emozione che si prova quando si ha la certezza che un desiderio verrà realizzato. Entrai e rimasi subito positivamente colpito dalla gentilezza dello staff e dal fatto che la location era tutto tranne che scintillante e alla moda: un pub scarno e accogliente con un piccolo palco posto sul fondo del bancone addobbato da una tendina carnevalesca e con il logo del locale bene in evidenza. Mi sembrò incredibile e bellissimo che tutte quelle band, tutta quella scena fosse passata da quel palco così ridotto ed intimo. 

Ma quella sera successe un’altra cosa che mi segnò tantissimo: scorsi da dietro una sagoma che mi era familiare. Mi avvicinai a capii che mi stavo trovando di fronte proprio alla persona grazie alla quale mi stavo trovando lì in quel momento: Lou Smith! Mi presentai e lo salutai. Da lì cominciò un’amicizia che mi portò a frequentarlo tutte le volte che andavo a Londra per qualche concerto. Sempre al Windmill, ovviamente. 



A causa del COVID il “Windmill” rischia la chiusura. Sarebbe una tragedia immane. Ecco il link per chi volesse partecipare al crowdfunding e salvaguardare questa storica venue.

Ecco l’intervista che ho fatto a Lou in cui ci racconterà qualcosa della sua vita, del suo rapporto con il Windmill e i Fat White Family e di come e perché è nata quell’incredibile scena musicale proprio nel  sud di Londra. 


Puoi raccontarci qualcosa di te e dei tuoi svariati progetti?

Sono nato a Leeds. Mio padre era un geologo e mia madre un’artista e una creativa. Ci siamo trasferiti a Uxbridge, un sobborgo a ovest di Londra quando avevo 14 anni. Era la lunga estate calda del 1976 quando il punk raggiunse le strade e le onde radio di Londra. Fu in questo periodo che mi regalarono la mia prima macchina fotografica che, però, non portavo mai a quei primi concerti perché era pericoloso: c’erano le guerre tra bande di Ted, Rocker, Punx, Skinz ecc. Non mi sarei sentito sicuro con una macchina fotografica in metropolitana ai tempi. Allora fotografavo paesaggi, persone e animali e documentavo i miei primi viaggi. Iniziai a interessarmi alla musica alternativa ascoltando, tutte le sere dalle 22 alle 24, il programma radio di John Peel: i Clash, i Fall, i Cure, i Ruts, gli Undertones e numerosi altri inclusi musicisti Ska e Reggae. Questa mia passione mi distingueva dai miei compagni di scuola che ascoltavano heavy rock e più tardi heavy metal. In quel periodo, in concerto, ho visto, tra molti altri, i Joy Division, gli Strangers i Jam, i Clash, i Cure, gli Smiths e Kate Bush.

Dopo aver finito la scuola e non aver terminato la laurea in biochimica all’Imperia College, nel 1983, a 21 anni, mi sono trasferito in uno squat di Brixton. Da allora vivo e lavoro nel sud di Londra. Successivamente mi sono trasferito a Camberwell e poi a East Dulwich dove risiedo tuttora. Ho lavorato come ingegnere video, sui set come manovale, scenografo, assistente art director e  art director per numerosi video promo tra cui  “Firestarter” e “Breathe” dei Prodigy e “Where The Wild Roses Grow” di  Nick Cave/ Kylie Minogue e come fotografo freelance, videomaker, regista e montatore di video musicali. Ho imparato da solo a fare il fotografo, saldatore, argentiere, falegname. Recentemente sono diventato  serigrafo, un mestiere che mi permette di guadagnarmi da vivere organizzando feste per bambini e realizzando il merchandise per le band del sud di Londra.



Quando e perché hai iniziato a filmare e documentare tutto ciò che passava al Windmill e gli altri locali del sud di Londra?

Ho iniziato filmando  i musicisti che suonavano regolarmente alla serata Dog’s Easycome Acoustic all’Old Nun’s Head pub a Nunhead. Per me era una valvola di sfogo e un impegno lontano dalle mura domestiche durante i primi anni di vita di di mia figlia Iris. Caricavo sul mio canale YouTube materiale relativo ad artisti quali Lewis Floyd Henry, Boycott Coca-Cola Experience (Flameproof Moth), Andy (Hank Dogs) Allen, Ben Folke Thomas and i fratelli Misty and Rufus (Popskull) Miller. 

Il 9 febbraio 2011 sono sbarcati lì i Fat White Family, che allora si facevano chiamare Champagne Holocaust e hanno suonato la cover dei Monk “I hate You” oltre a una manciata  di canzoni loro tra cui “Borderline” e “Wild American Prairie”.  La formazione era composta dai fratelli Saoudi, Saul Adamczewski  e Anna Mcdowell e Georgia Keeling come coriste. Il batterista doveva essere Chris OC.  Lias (Saoudi) era alla chitarra e Saul alla voce e tamburino. Ho perso il filmato dell’intero concerto, ma mi è rimasto quello del brano “I Hate” che trovate sul mio canale:

I FWF hanno suonato molti altri set acustici all’Easycome nei mesi di febbraio e marzo. Da allora ho seguito la band fino al loro primo vero e proprio concerto intorno all’11 aprile. Insieme a Saul, Lias e Nathan (Saoudi), c’erano  Dan Lyons alla batteria e Jak Payne (Metros) al basso.

Avevo Canon 5D Mkll  e usando una versione “craccata” sel sotware Magic Lantern sono riusito a ottenere un suono decente e a documentare per la prima volta un evento live in HD.

Ti ricordi la prima volta che hai messo piede al Windmill? Qual è la tua serata che non scorderai mai?  

Come ho già’ detto è stato l’11 aprile  2011. Tuttavia ho un lontano ricordo di esserci stato trascinato anni prima visto che mi sono trasferito a Brixton negli anni ’80. Ci sono state molte serate grandiose, ma le migliori erano quelle il cui line-up comprendeva i FWF o i Warmduscher. La raccolta di fondi dopo la morte di Jack Medley è stata un evento intriso d’amore. L’amore era così denso che lo si poteva spalmare. All’evento hanno partecipato sia i Warmduscher che i Fat White Family. 

Adoravo l’atmosfera di anarchia dei primi concerti dei FWF e quella sensazione forte di appartenere a una famiglia, o a qualcosa di più grande della somma delle parti. Mi sono divertito molto anche alle serate dei  Meatraffle e della loro band consorella Scud Fm così come a quelle degli Shame, Sleaze, Amyl e gli Sniffers e Goat Girl. 

Quanto è stato importante il Windmill per la “creazione” di tutta quella che poi è diventata la scena di South London e se ci puoi raccontare quello che è stato il tuo rapporto con quella venue meravigliosa? 

Non credo sia eccessivo dire che la scena di South London (SLS) che conosciamo oggi non sarebbe stata possibile senza il Windmill. Non è facile capire il perché, ma la ragione principale è Tim Perry, l’organizzatore del locale, che coniuga buon gusto musicale con lo scouting di artisti su cui nessuno scommetterebbe (ma anche grandi talenti) e un fiuto allenato a capire le fregature. Il locale ha sempre attratto i migliori ingegneri del suono e la qualità’ del suono è sempre stata una delle sue caratteristiche distintive. Le band si aiutano a vicenda senza la rivalità distaccata e modaiola che ho visto nel nord di Londra. Una volta che il Windmill ha raggiunto la fama attuale, la gente ha iniziato ad assieparsi alle sue porte per partecipare alla magia che si creava al suo interno. Sono felice di aver contribuito  nel mio piccolo con il mio canale YouTube a far sì che quelle fantastiche band avessero un po’ di visibilità’ globale.



Sei stato il primo a documentare il lavoro dei Fat White Family. Hai capito subito quale poteva essere il loro potenziale? Puoi descriverci cosa ne pensi di questa band? 

Direi di si’. Ho capito subito che catturavano lo zeitgeist della crescente sensazione di nichilismo, disgusto e disprezzo totale per il trattamento riservato alla gente comune dall’ondata di gentrificazione, dalla politica neo liberista e dalla finanza globale. Mi ricordavano lo spirito del ’76 e hanno riacceso in me la passione che provavo per le prime band punk. La loro fama si allargava e la famiglia cresceva, non in modo gonfiato, ma per l’entusiasmo che i loro concerti  riuscivano a trasmettere La relazione ambigua e violenta tra i membri della band, in particolare Saul e Lias, e la prontezza se non maestria con cui affrontavano tabù e temi scabrosi con una sorta di humour che confinava con la morbosità’ li rendeva irresistibili. I testi tribali e totemici che nessuno osava mettere in questione accompagnati da ritmi sexy, sporchi, lo-fi country psichedelici rendeva la miscela inebriante. Lias perfezionando il suo falsetto gollomesco gracchiante e imprevedibile mandava il pubblico in estasi, mentre Saul alimentava l’euforia emanata dal sound con il suo sorriso sdentato e il ritmo della sua chitarra. Il resto della band doveva per necessità essere degenerata o geniale.

Secondo te come è possibile che così tante band interessantissime vengano tutte da quella zona di Londra? 

Credo che dipenda dall’ondata di gentrificazione che e’ iniziata da Covent Garden nei tardi anni ’70. Poi gran parte del nord e in seguito l’est ed il sud est sono stati conquistati da orde spietate di yuppy. Brixton, con la sua forte identità culturale, gli squat e la sua popolazione afro-caraibica ha resistito almeno temporaneamente. Gli affitti erano ancora abbordabili e gli studenti del Goldsmith e Comberwell College trovavano qui una comunità e la possibilità di esprimersi sui muri delle strade. I musicisti si riunivano in quei pochi locali dove potevano ancora sopravvivere, esplorare e crescere, ovvero una manciate di pub di cui il Windmill è senza dubbio il più importante, ma di cui fanno parte anche il Grosvenor, l’Amersham, il New Cross  Inn, il Queen’s Head, il Montague Arms, il Five Bells.

Quali sono le tue band preferite di questi ultimi anni? 

Mi appassiono raramente a band diverse da quelle che vedo da vivo, per me la musica deve essere per forza live. Se non fosse così, ascolterei ancora le band che seguivo da giovane, ricordando le glorie passate, come fanno molti uomini della mia età. Ho avuto la fortuna di vivere a due passi dal Windmill e di aver costruito un’amicizia con i proprietari e i musicisti.

Ci puoi anticipare quelle che, secondo te, sono le più interessanti e promettenti tra le band più recenti? 

E’ bello vedere che arrivano ancora band nuove nonostante il COVID. Mi piacciono soprattutto le seguenti: Addywak, STV, Deadletter, PVA, Muckspreader, Misty Miller.


Vi segnalo il suo sito, il suo canale YouTube e quello LBRY.

Photo Credits: Lou Smith

New faces: Bl4ir

Classe 2000 e napoletano DOC, Simone Scognamiglio in arte Bl4ir (@call_me_bl4ir) è originario del quartiere San Giovanni a Teduccio. Esploso nell’estate 2018 con Te Botè Remix, si è da subito distinto per le sue attitudini musicali latine. A seguito di successi come “Me Vo” e “Tu Olor Remix”, è riuscito ad affermarsi nel contesto pop reggaeton italiano, anche grazie ai numerosi consensi ricevuti dai suoi colleghi e dai suoi fan sui social, da lui stesso definiti “famiglia”. Tra il 2019 e il 2020, esce con nuovi singoli, in particolare “Me Iama” e “Caramella”, frutto della collaborazione con l’artista Ivan Granatino. Come ci racconta lui stesso, la sua carriera è solo all’inizio, i nuovi progetti sono molti e le aspirazioni e le ambizioni sono altissime!



Come nasce la tua passione per la musica?

È una passione che mi è stata trasmessa dalla mia famiglia, in primis da mio padre, da piccolo non ero mai davanti ai cartoni ma davanti a mtv music. Poi la scena rap emergente ha iniziato ad incuriosirmi sempre di più finchè non è diventata la musica, il mio pane quotidiano.

Parlaci di Chica Dominicana, su Youtube è già un successo..

Sono super felice che Chica dominicana stia piacendo ai miei fan, è un pezzo molto felice; credo che in un periodo così difficile era proprio ciò che serviva per sollevare l’umore. Spero di poterla portare presto in live.



Alcuni dei tuoi pezzi, come “Me Iama” e “Caramella” sono stati prodotti in collaborazione con Ivan Granatino. Che rapporto hai con lui e che influenza ha avuto questa collaborazione sulla tua crescita musicale?

Con Ivan ho un rapporto speciale, sicuramente abbiamo fatto delle grandi hit insieme; chi ha avuto una forte influenza su di me è stato sicuramente Vinz (Vinz Turner) con le sue produzioni, creando un sound inedito a Napoli e in Italia, legando generi come l’hiphop, la trap e il reggaeton.

Come ti relazioni con la tua community social?

Sono molto legato alla mia famiglia, è cosi che li considero, parlo con loro tutti i giorni per quanto sia possibile, sono loro la mia motivazione ed è per questo che meriano la mia attenzione. Con qualcuno gioco anche alla playstation!



Che legame hai con la tua città natale, Napoli? Hai mai preso in considerazione la possibilità di trasferirti in un’altra città?

Napoli per me è speciale, infatti il dialetto è sempre presente nei miei testi. Difficile allontanarsene, sicuramente sarebbe stimolante fare qualche esperienza all’estero, magari dove è nato il reggaeton, al caldo!

Il tuo rapporto con la moda e i capi a cui non rinunceresti mai…

Non riuscirei mai a rinunciare alle tute. Sono molto legato a dei brand sportivi perchè si avvicinano di più ai miei gusti, anche se la camicia ha sempre il suo perchè.

Quali sono i tuoi progetti e aspirazioni per il futuro?

Per il futuro ci saranno importanti novità, siamo in fase di costruzione per cosi dire… mi avvalgo della possibilità di stupirvi! Sicuramente le aspirazioni e le ambizioni sono altissime, lavoro tanto su me stesso e non mi accontento mai, d’altronde chi si ferma è perduto !

L’arte fotografica di Giampaolo Sgura: old e new generation a confronto

Giampaolo Sgura è un noto fotografo internazionale e da anni collabora con diverse riviste e periodici di moda, scattando foto per le copertine di Vogue, Teen Vogue, Allure, GQ e Interview. Fotografo per alti marchi come Dolce & Gabbana, Roberto Cavalli, La Perla, Pomellato, Versace, Gucci e Armani, Giampaolo è al momento impegnato su diversi progetti che hanno come protagonisti famosi attori, cantanti, sportivi e celebrity di fama mondiale. 

Tra gli ultimi suoi lavori troviamo quello con il magazine Icon: un numero dedicato alla New Generation del cinema italiano che racconta la moda, il costume, le storie e le passioni maschili attraverso i volti nuovi della cultura pop contemporanea e i ritratti dei talenti simbolo della nuova generazione dell’industria dello spettacolo ne fanno da sfondo.

Nello speciale moda, il fotografo Giampaolo Sgura  ha dato vita a un vero e proprio inedito racconto per immagini, senza gerarchie di fama o di settore, in cui i giovani protagonisti del cinema hanno interpretato una selezione di capi delle collezioni autunno-inverno 2020 cercando questa volta di togliersi la maschera da palcoscenico ed essere se stessi.


Riccardo Mandolini, credits Giampaolo Sgura per Icon Magazine

Come nasce la tua passione per la fotografia?

Quando ero piccolo avevo sempre delle macchine fotografiche con me. Mi piaceva inquadrare e scattare foto ai compleanni di amici e alla mia famiglia. Poi feci un corso di fotografia a Fasano e allo stesso tempo iniziai con dei ritratti ad amici e amiche in spiaggia ma senza nessun vezzo fashion o a prova di moda: una fotografia super amatoriale. Con il tempo ho cominciato a nutrire un certo interesse per la moda e iniziai a maturare il desiderio di diventare stilista. Ma vivendo al sud in piccolo paesino ho deciso di intraprendere la strada per la architettura e mettere da parte (momentaneamente) la fotografia. Trasferito a Berlino grazie all’erasmus universitario, ho ritrovato la passione per la fotografia e rientrato a Milano ho conosciuto un redattore di Glamour per il quale ho iniziato a lavorare creando un piccolo portfolio. Ed e così che piano piano è nato tutto.

Ti capita spesso fotografare attori. Nel tuo lavoro hai notato grosse differenze tra old e new generation ?  

Sì, fotografo molti attori, da premi oscar ad attori emergenti. Ma devo dire che la categoria attore fa sempre parte della categoria, quella dell’essere umano: che tu fotografi un modello, un attore, un musicista o uno scrittore, davanti alla macchina fotografica cerchi di raccontare la loro vera personalità: come loro sono nella realtà, ovvero chi sono realmente. Chi molto scontroso, chi divertente, chi spaventato, chi arrabbiato, etc… 

Con alcuni personaggi sul set ho stretto una meravigliosa amicizia e con altri ho persino discusso: sul set si crea una bella sinergia, la mia personalità si fa travolgere dalle altre o può generare conflitti.  Non centra la categoria attore: è la categoria essere umano che deve essere immortalato e di conseguenza si crea sinergia e complicità.



Come pensi che oggi Instagram possa influire sulla fotografia tradizionale?

I social usano la fotografia ma alla fine è il soggetto che conta. Non credo che Instagram oggi influisca sulla fotografia. Purtroppo ormai la agente confonde queste cose ma la fotografia è l’“immortalizzazione” attraverso la macchina fotografica con la tecnica di ripresa: la fotografia resterà sempre fotografia, Instagram rimarrà sempre un veicolo, come il televisore o il magazine, per diffondere la fotografia. Instagram non prenderà mai il posto della fotografia.

Nel progetto Icon, dedicato alla new generation, hai avuto modo di lavorare e scattare i nuovi talenti del cinema italiano. È stato difficile per loro togliersi la maschera del cinema ed essere se stessi ? 

Per il progetto Icon tutti gli attori sono stati molto disponibili e hanno dato il meglio di se stessi senza darsi troppe arie. Alcuni erano più affermati ed altri emergenti, ma tutti super positivi. Una bellissima esperienza e nessuno indossava una maschera o aveva vergogna: hanno rappresentato al meglio la loro personalità e bellezza, il loro “package”, composto da diverse cose: non solo il lato estetico, ma anche espressività e fisicità.


Rocco Fasano, credits Giampaolo Sgura per Icon Magazine


Hai qualche consiglio in particolare per essere se stessi sotto la macchina fotografica ?

L’oggetto macchina fotografia purtroppo mette in soggezione tante persone, da chi si sente spiato a chi scoperto. Tanti non vogliono far vedere dei lati nascosti, ad esempio io non amo essere fotografo perché non mi riconosco nella fotografia che mi viene fatta. Come consiglio è difficile da dare, altrimenti saremmo tutti bravissimi modelli e attori. Tante persone molto belle davanti alla macchina fotografica non rendono e viceversa. Tanti mi chiedo come fare a diventare attori o modelli, ma io come prima cosa rispondo che la fotogenia è fondamentale: non basta essere belli, bisogna vedere anche come si viene in foto.

New Faces: Giancarlo Commare

Giancarlo Commare, protagonista di fiction di successo targate Netflix come “Skam” o “Il paradiso delle signore”, il daytime di RAI1, arrivato dalla Sicilia per lasciare il segno, si racconta con le sue esperienze ed i suoi sogni. Conosce molto bene l’arte, in quanto la pratica e la conosce in tutte le sue forme; infatti, oltre a recitare è stato anche un ballerino a livello agonistico, e poi cantante, su cui ci sta lavorando.




In questi ultimi anni sei ovunque, non puoi lamentarti, che esperienza è stata Skam per te?

È stata un’esperienza al di fuori dell’ordinario, in quanto ho fatto i provini una settimana prima che cominciassero le riprese. Ero totalmente all’oscuro di questo mondo e non sapevo assolutamente a cosa sarei andato incontro, poi il call back, e mi son buttato a capofitto studiando tutto l’universo che lo circondava.

Ti ci sei ritrovato nel tuo personaggio?

Personalmente come Giancarlo nei panni di Edoardo assolutamente no, anche se poi nella terza stagione si è avvicinato al mio mondo, potrei dire che si è formato in corso d’opera come un vero work in progress. E poi è inutile dire quanto ci siamo trovati bene ed affiatatati con tutto il cast.



Ti ha fatto diventare un “istant Icon” dopo l’uscita della serie possiamo dire.

Diciamo che lo dite voi giornalisti, perché non l’ho ancora capito esattamente che cosa vuol dire. Certo ho visto una crescita esponenziale su Instagram, ed è stata una totale sorpresa per me.

Invece con un lavoro completamente diverso che è quello del “Paradiso delle signore” come ti trovi?

Mi diverto tantissimo perché il personaggio è super divertente, e come ho detto altre volte ho preso spunto da mio nonno, anche se lui non è così ignorante, però è goffo e viene dalla campagna, insomma ho trovato delle affinità e mi ci sono davvero affezionato tantissimo. E poi lavorare tutti i giorni con le stesse persone è come essere in famiglia ed in più professionalmente parlando è un’immensa palestra, perché ci si ritrova davanti alla macchina da presa quotidianamente. L’elemento che mi ha spaventato di più all’inizio era la quantità di scene che bisognava girare al giorno e senza margine di errore perché i tempi sono serrati, insomma una macchina da guerra.



Sei un attore direi quasi di formazione Americana, in quanto balli, canti, reciti, quale passione è arrivata per prima?

Il primo amore in assoluto è la recitazione, in quanto l’ho scoperta veramente da piccolissimo mentre facevo una recita natalizia, che all’inizio non volevo nemmeno fare, ed invece la sera stessa ho detto a mia madre che avrei voluto fare proprio quello da grande. Poi negli anni è arrivata la danza, che mi ha anche fatto accantonare la recitazione ad un certo punto poiché avevo intrapreso un percorso agonistico con buoni risultati nell’ambito del hip-hop, del funky e dei balli di coppia latino-americani. Ammetto di non essere un cantante perché in famiglia c’è mia sorella che è bravissima, però canto da attore se mi preparo.

Che rapporto hai con i social? Vedo che hai un ottimo seguito!

Pessimo, capisco quali siano i vantaggi dell’utilizzo di un social network in quanto la comunicazione è più immediata, si può arrivare prima alle persone per un concetto. Per quanto mi riguarda, non mi verrebbe mai in mente di postare cosa mangio a colazione o come mi lavo i denti. La cosa che mi fa innervosire maggiormente è che se tu pubblichi poi incontri un amico e dici: “si si, ma ho visto” e non hai più nulla da raccontare. Io non posto nulla così sono tutto da scoprire. Mi piace utilizzarli per lavoro o per aiutare magari a diffondere un messaggio importante.

In questo momento in cui l’arte è stata calpestata dalla pandemia, tu personalmente come la vivi?

Malissimo. Capisco perfettamente il momento storico e che dobbiamo combattere il virus, ma secondo me non è chiudendo i teatri o i cinema che si debellerà il COVID, anche perché sono proprio gli ambienti dove si assembra meno gente. Credo che sia una scelta di tipo economico non eccessivamente motivata. L’arte non dovrebbe mai essere fermata, è un dono, un regalo che ognuno di noi può ricevere; ad esempio, se vai ad una mostra e vedi un dipinto che ti regala un’emozione, magari ti risolve anche uno stato d’animo che in quel momento non era positivo e ti cambia la giornata. Senza l’arte, dilaga l’ignoranza più facilmente, perché l’arte è coinvolgimento.

Location: Hotel Valadier

Photo: Valentina Cerulli @valentinacerulliph

Mua: Arianna Nota @fotonota

Stylist: Alessia Rossetti @alexis_rode

Support progetto: Rondini Sonia @sonia_rondini

Stefano Cavada: la tradizione in cucina vince su tutto

Dopo gli studi in Italia e all’estero Stefano Cavada è oggi uno youtuber, food influencer e anche cuoco televisivo. Abbiamo incontrato il giovane chef altoatesino che ci racconta la sua idea di cucina, caratterizzata dall’uso di prodotti tipici regionali inseriti nei piatti più moderni e ovviamente anche in quelli della tradizione.


Ti chiederanno in molti come hai cominciato e cosa ti ha spinto a diventare / creare la figura di FoodBlogger che ti caratterizza, ma nella vita normale chi è Stefano?

Nella vita, lontano dai social, sono esattamente la stessa persona che faccio vedere tutti i giorni. Ho una grande passione per la cucina che porto avanti anche lontano dai social. Sono circondato da tre gattini a casa che per me sono come dei figli e che mi fanno tantissima compagnia. Inoltre mi piace dilettarmi con vari sport. Nuoto, canottaggio, crossfit e yoga sono fra i miei preferiti.

Abbiamo potuto visitare ESSEN , la tua cucina / studio fotografico, ci vuoi raccontare il suo carattere?

ESSEN nasce proprio come spazio per la creazione creativa, come punto di riferimento per chi mi segue. È uno studio con il bancone da lavoro e il piano ad induzione, ma ha la stessa familiarità e calore di una cucina di casa (e per me è una seconda casa). Grazie a questo spazio sono riuscito a dare un’identità maggiore al mio lavoro e soprattutto ad ottimizzare la creazione dei contenuti.

La passione per la fotografia è nata insieme a quella per la cucina o si è sviluppata nel tempo?

La passione per la fotografia si è sviluppata in un secondo momento. Avevo avuto da sempre interesse per l’editing video. Quando infatti andavo a scuola montavo i filmati con le fotografie scattate durante le gite scolastiche. Poi quando avevo avviato il mio canale YouTube e avendo fra le mani una macchina fotografica professionale, ho iniziato a dedicarmi alla food photography ed è diventata una mia altra grande passione.



Hai scelto di portare la tua passione, non solo sui social e nel mondo mediatico, ma anche nel mondo dell’editoria con il tuo primo libro “La mia cucina Altoatesina”, ci vuoi parlare di come è nato il progetto?..ora stai lavorando ad un secondo libro… spoileriamo un po’?

Ho sempre avuto il grande desiderio di pubblicare un libro di cucina, un valido strumento offline che possa sempre essere a portata di mano. Io stesso faccio grande uso dei libri di cucina, perché mi piace sfogliarli, lasciarmi ispirare e seguire le ricette così come sono scritte. Così con un’idea ben chiara di come volevo che fosse il mio primo libro, sono andato da Athesia, la mia casa editrice, e da subito si sono innamorati del progetto e abbiamo iniziato a lavorarci dal primo giorno che ci siamo visti. È stata un’avventura nuova per me, sicuramente ho imparato tanto e ci sarà ancora tanto da imparare. Ma sono felicissimo e fiero del mio primo libro.

In porto c’è già il secondo e posso solamente dire che profuma di spezie e ti fa immaginare che fuori casa stia scendendo la neve. Uscirà l’anno prossimo, dopo la primavera.

Ispirazione, Concentrazione, Passione, Racconto, ti ritrovi?

Certamente sì, sono proprio i miei capisaldi nella mia vita privata così come sul lavoro.

Ora più che mai il nostro stile di vita sta cambiando, come scegli cosa mantenere e cosa cambiare per il futuro?

Mi lascio sempre guidare dal mio istinto, cercando di innovare quello che penso non vada più bene per la mia visione o per i miei gusti, lavorativamente parlando. Viviamo in tempi che cambiano molto velocemente, mode che vanno e mode che vengono in ogni campo. Per quanto riguarda la cucina però, la tradizione vince sempre su tutto e quella raramente può essere cambiata.


Ci lasci una ricetta per i lifestyler di Manintown?

Vi lascio la ricetta dello Spiegeleier, un piatto altoatesino di Speck e patate molto amato.

Per 4 persone:

800g patate sode

40g e un cucchiaio di burro chiarificato

8 uova

12 fette di Speck Alto Adige IGP

Prezzemolo tritato (o erba cipollina)

Sale

Pepe nero macinato

Inserire le patate ben lavate e con la buccia in una pentola di acqua fredda. Aggiungere del sale grosso, portare a bollore e lasciare cuocere per 35-40 minuti, finché le patate saranno morbide se punzecchiate con una forchetta. Scolare le patate, lasciarle intiepidire e successivamente tagliare a fette spesse circa 1cm. Scaldare una padella antiaderente con i 40g di burro chiarificato ed aggiungere le patate a fette. Lasciare rosolare per alcuni minuti, girando le patate delicatamente di tanto in tanto, fino a quando inizieranno a formare una crosticina. In un’altra padella antiaderente scaldare un cucchiaio di burro chiarificato e rosolare le fette di speck. Aggiungere anche le uova intere e cuocerle all’occhio di bue, insieme alle fette di speck. Servire le uova e lo speck su un letto di patate saltate con una spolverata di prezzemolo tritato.

Stefano Cavada@stefanocavada

Alberto Malanchino, ecco il DOC nelle vostre mani

Photographer: Davide Musto @davide_musto 

Ass. Photographer: Emiliano Bossoletti @_emilianobossoletti

Stylist: Delia Terranova @deliaterranov

Grooming: Elisa Zamparelli @elisazamparelli @makingbeauty.management

Location: Osteria il Matto – Roma @osteriailmatto 


Alberto Malanchino, attore italiano con madre del Burkina Faso, si definisce un ragazzo dell’Hinterland Milanese, la sua passione per il cinema nasce sin da piccolo, anche se all’inizio intraprende studi più tecnici per poi capire che non erano la sua strada. Ora lo apprezziamo nel ruolo di Gabriel Kidane per la serie “Doc nelle tue mani”, uno dei maggiori successi della fiction targata RAI1.

Dimmi come nasce la tua passione per la recitazione..

La prima volta è stata sicuramente da piccolo in quanto vedevo molti film in compagnia di mia madre che è stata la prima persona a trasmettermi la passione per il cinema. E senza distinzione di bollino rosso o blue me li faceva vedere tutti, ed ho iniziato a subire il fascino degli attori come Al Pacino o Michele Placido, e ti sto parlando ancora di VHS, che sembra una vita fa. Ti confesso che ero molto incuriosito dal fatto che tutti parlassero italiano, allora poi mia madre mi ha spiegato che esisteva il doppiaggio, così è stata una doppia fascinazione.

Invece il secondo momento quando è stato?

Esattamente al quinto anno di ragioneria, dove la professoressa ci portò a vedere “Le allegre comari di Windsor”, mentre avevo amici che volevano proseguire gli studi con la Bocconi o insomma altre scuole, io ho capito di voler fare una scuola di recitazione. E così sono entrato in accademia a Milano alla Paolo Grassi.

In DOC nelle tue mani interpreti un giovane medico, come ti sei avvicinato al personaggio?

Innanzi tutto, ho cercato di vedere che cosa potessimo avere in comune io e lui, e mi è saltato subito all’occhio il fatto che tutti e due avessimo una grande dedizione per il lavoro. Poi c’è stato l’approccio professionale, ed in questo caso devo ringraziare il nostro regista Jan Michelini che ci ha permesso di fare un piccolo training all’interno del Policlinico Gemelli di Roma, per poter studiare tutte le varie dinamiche tra i pazienti ed i medici. Ed è stato di vitale importanza per poter utilizzare termini tecnici con una certa naturalezza e confort.

Il tuo ruolo ha origini Etiopi invece tu che origini hai?

Diciamo che sono dell’hinterland Milanese, dell’Altesana, dell’Adda, e poi per esigenze lavorative ovviamente mi son traferito a Milano. Il mio papà è italiano, mentre mia mamma è africana originaria del Burkina Faso.

Sin dalla prima puntata è stata un vero successo questa fiction, te lo saresti immaginato?

Ovviamente sono molto contento, perché la verità è che è stata una scommessa grandissima, in quanto da quello che mi dicevano il genere “medical” in Italia ha sempre fatto un po’ fatica ad attecchire. In più andando in onda con la prima parte della serie in piena pandemia, ci ha fatto riflettere sul fatto se fosse utile o meno far uscire una serie TV di quel genere in quel momento. E poi più che altro, avevamo iniziato a girare in tempi non sospetti, ma non avevamo finito, quindi aggiungiamo anche il dubbio se aspettare di finire o partire con la prima parte. Ed infine il pubblico ci ha premiato.

Come stai vivendo questa seconda devastante fase di pandemia?

Diciamo un po’ come tutti quelli chiusi in zona rossa sto aspettando giorni migliori, organizzo la mia vita creativa che prima non aveva il tempo di svilupparsi, come stesure di soggetti e scritture. E poi siamo stati svezzati dalla prima ondata quindi abbiamo trovato una quadra.

Che cosa non deve mai mancare nella tua valigia prima di un viaggio, quando torneremo a viaggiare?

Sicuramente una bella crema protezione 50, visto che non possiamo mai cambiare cromia della pelle per lavoro, e poi sicuramente un cellulare con tanta rete da poter comunicare con chi è distante.

New faces: Dìgame

Digame (@basicdigame) è il nome d’arte di Giuseppe Mussolino, giovane cantautore classe 1998 forgiato nel rap che ama spaziare anche tra il pop, l’indie e il rap più “underground”. Il suo percorso comincia in tenera età con le prime poesie, da adolescente talentuoso scrive numerosi testi e nel 2018 si mostra al pubblico rilasciando i primi singoli. Tra la sua discografia ricordiamo: 10 Ottobre” in particolare e “Bende sugli Occhi”, il suo primo Album; questi fanno si che possa diventare uno degli artisti emergenti più chiacchierati della scena napoletana e Campana. Il 20 Marzo 2020 è il momento di “Margherita”, uscita in piena quarantena fa letteralmente impazzire il pubblico permettendogli di fare un passo in più tra i big della scena italiana e iniziando a far gola anche a diverse etichette e artisti. Il 23 Ottobre pubblica sotto la distribuzione di Artist First “Ho Fatto Un Sogno Strano”, brano che viene inserito subito nelle editoriali di Spotify in playlist come “Generazione z” e riscuotendo un ottimo risultato sin dai primi giorni di release. Come ci racconta lui stesso però, siamo solo all’inizio, i nuovi progetti sono molti quindi sarà il caso di prepararci a sentire parlare spesso di lui..


Come nasce la tua passione per la musica?

Mia madre ama la musica, e così da quando sono nato non mi ha lasciato mai un attimo senza. All’età di otto anni ho scritto la mia prima poesia in rime e col passare degli anni ho trasformato tutto in melodia: mi faceva stare bene. Nel 2018 ho pubblicato il mio primo singolo ed ho ottenuto moltissimi feedback positivi, così mi sono detto: “perché non continuare?”. Ormai siamo dentro.

Hai un nome d’arte molto particolare. Puoi raccontarci la sua storia?

Ricordo che quando scrissi il mio primo brano avevamo tutto pronto a parte il nome d’arte, erano giorni che cercavo di capire quale potesse fare al caso mio. Un martedì pomeriggio un mio amico mi scrisse un messaggio ed io invece di rispondergli ‘dimmi’ gli dissi ‘digame’, in spagnolo: a leggerlo mi resi conto che suonava bene. All’epoca non diedi molto peso al nome, perchè non vedevo l’ora di condividere il singolo coi miei amici, era l’unica cosa che avevo in testa. Mai mi sarei aspettato che le mie canzoni potessero avere successo e che il mio nome potesse assumere un’identità così forte, è stato fighissimo!

“Margherita”, è uscita in un periodo singolare per tutti, il lockdown. Per quale motivo hai scelto proprio quel momento?

Margherita è una canzone felice, un inno alla positivitá: la primavera torna per tutti, basta saper aspettare. Il singolo è uscito il 20 Marzo, giorno in cui arriva la primavera e nello specifico periodo in cui tutti noi eravamo in una fase critica a causa della pandemia. Mi auguro di aver portato il sorriso a tutti in un momento ‘no’, ed in parte sono sicuro sia giá successo.

Un cantante a cui ti ispiri o che ti influenza?

Ad essere sincero non sento di essere influenzato da qualcuno in particolare, ascolto musica da quando sono piccolo e non mi sono mai chiuso in una bolla soffermandomi su uno o due generi in particolare. Ultimamente sto ascoltando tanto rap italiano, da Lazza a Tha Supreme, da Marra a Dani Faiv: mi mantengo aggiornato circa tutte le ultime uscite.

Che rapporto hai con i social e con la tua community?

Con i social ho un ottimo rapporto: mi piace mostrare il 100% di me e non ho peli sulla lingua. Chi mi segue lo sa, ci tengo a costruire un rapporto col mio pubblico, gli devo tutto! 

Quali sono i capi che non possono mai mancare nel tuo guardaroba?

Sicuramente Nike non manca mai. Amo le scarpe, quest’anno ho fatto il pieno del modello Jordan 1.

Il 23 Ottobre è uscito il tuo ultimo brano “Ho fatto un sogno strano”, ora quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Abbiamo tantissimi progetti in cantiere, testa bassa e lavorare. Presto ci saranno novità inaspettate e solo chi continua a seguire il mio percorso avrá il lusso d’esserne a conoscenza molto presto. Io ci sono, più carico di sempre, e voi?

Tancredi Galli: il tiktoker che sbarca al cinema

Ha solo 21 anni Tancredi Galli (Roma 5 Agosto 1999)  e per lui tutto comincia nel 2014, anno in cui in cui apre il suo canale YouTube diventando rapidamente una webstar grazie ai vlog, alle video reaction e ai commenti sui videogiochi, che sono del resto uno dei suoi passatempi preferiti, in particolare Call of Duty. Lo abbiamo incontrato poco prima del suo debutto al Festival del Cinema di Roma con il film Cosa Sarà per la regia di Francesco Bruni, dove recita il ruolo di Tito, figlio diciassettenne del protagonista interpretato da Kim Rossi Stuart.



Come è iniziato il tuo percorso?

Il mio percorso è stato piuttosto lungo, ho iniziato un po’ per gioco facendo video su YouTube con i miei amici. Avevamo solo 13 anni e giravamo questi video per divertimento, senza però pubblicarli. Dopo qualche anno, io e il mio gruppo abbiamo preso strade diverse ed è proprio in quel momento che è iniziata la mia carriera. Ho iniziato a chiudermi nella mia stanza e girare video in completa autonomia, senza nessuno che potesse aiutarmi. Inaspettatamente, ho raggiunto un numero di seguaci elevatissimo, che mai avrei pensato di ottenere. I follower non erano di certo il mio obiettivo; lo facevo per hobby e per passione.

L’avvento di Musical.ly, che oggi prende il nome di Tik Tok, mi ha dato l’opportunità di conoscere tre nuovi amici, Diego, Gian e Lele ( con cui Tancredi forma la Crew Q4. ndr) con i quali sono riuscito a trasformare ciò che prima era solo un gioco in una vera e propria professione. Al momento, loro sono diventati i miei soci , anche se non mi piace definirli tali perché in primis sono rimasti degli amici. Questa collaborazione ha richiesto una riorganizzazione del nostro “mondo” e l’introduzione di nuove e precise regole. Sono molto fiero ed orgoglioso di ciò che siamo riusciti a costruire insieme.

Quando hai capito che dal mondo digital saresti voluto passare al mondo della recitazione?

Inizialmente non mi rendevo bene conto di tutto ciò che mi stesse accadendo, non ci prestavo molta attenzione. Ho iniziato a prendere tutto più seriamente solo quando sono stato selezionato per recitare in un film; è proprio in quel momento che ho capito che la mia passione per il cinema si sarebbe potuta trasformare in una vera e propria professione.

Oltre al cinema, sei appassionato di videogiochi, disegni e fumetti. Come convivono questi elementi nella vita di tutti i giorni?

Ho sempre avuto una passione per i videogiochi, essendo l’unico figlio maschio della famiglia passavo tanto tempo a giocarci da solo. Per quanto riguarda la mia vena artistica, sicuramente mi è stata tramandata da mia mamma, che si diletta nella pittura, così come la passione per il cinema e la moda. Lei è certamente un punto di riferimento molto importante nella mia vita.

Su Instagram hai un seguito di 1 milione di follower, mentre su TikTok sfori il milione, arrivando ad un 1,7 milioni di seguaci. Che rapporto hai con il tuo seguito?

Come dicevo precedentemente, il mio percorso è stato piuttosto lungo; con il tempo, ho imparato a rapportarmi con loro. Essendo quotidianamente in contatto, siamo riusciti ad instaurare un legame molto forte, tanto è vero che spesso ci scambiamo anche messaggi. Chiaramente sento di avere una forte responsabilità nei loro confronti, infatti cerco di rendere pubblico solo ciò che può essere un buon esempio per loro, tralasciando invece le parti più brutte e tristi della mia vita.

Che rapporto hai con la moda?

Ho sempre avuto uno stile un po’ particolare, per così dire alternativo, che si è sviluppato durante gli anni trascorsi al liceo artistico. Inoltre, essendo cresciuto in una famiglia composta esclusivamente da donne (mamma e due sorelle), sono stato quasi obbligato ad entrare in contatto con il mondo della moda. Spesso mia madre si divertiva a vestirmi in maniera piuttosto bizzarra, facendomi indossare i più svariati capi di abbigliamento. A 16/17 anni, ho invece iniziato a sperimentare un po’ da solo. Adesso, dopo il mio trasferimento a Milano, il mio stile si è un po’ modificato; ho acquistato nuovi capi più vicini allo streetwear, che non avevo mai considerato prima d’ora.

Ultimamente diversi brand e designer si stanno sempre più interessando a quella che è la nuova generazione. Hai già dei progetti futuri?

Si, ho già alcuni progetti piuttosto imminenti; sabato parteciperò al Festival del Cinema di Roma, dove sfilerò per la prima volta su un Red Carpet, in occasione della presentazione del mio primo film (Cosa sarà). Sono molto felice ed entusiasta di anticiparvi che il mio outfit sarà di MSGM, un brand che mi piace moltissimo. Ci vediamo sul Red Carpet!

Special thanks MSGM

New faces: tra tennis e moda con Alessandro Coppini

Ha solo 22 anni ma le idee molto chiare sul suo futuro Alessandro Coppini, tennista professionista dal cuore metà italiano e metà spagnolo. Impegno e sacrificio sono stati la base per raggiungere tutti i suoi traguardi sportivi, ma anche l’approccio per una carriera nascente tra moda e televisione.

Production & interview Massimiliano Benetazzo

Photographer Alan Pasotti

Styling Veronica De Rosa

Talent Alessandro Coppini

Total look Joma


Come è iniziato il tuo percorso nel tennis?

Fino all’età di 14 anni ho praticato calcio ad alti livelli, solo in un secondo momento mi sono avvicinato al tennis. È stato uno sport in cui mi sono trovato bene sin da subito perché al contrario di ciò che avviene nei giochi di squadra, tutto dipende da te, nel bene e nel male, senza la collaborazione di nessun altro. In breve tempo sono migliorato molto, probabilmente grazie anche alla mia condizione atletica. Così da passione, si è trasformato in una vera e propria professione.

Tra le competizioni svolte quale per te ha un significato particolare?

Ho vinto molti tornei a livello nazionale e non ne ricordo uno in particolare. A livello internazionale invece, ci fu un torneo disputato con un amico, durante il quale siamo riusciti ad arrivare entrambi in finale. Inoltre, ho vinto molte tappe di un altro torneo molto importante, disputato a Como, il quale dava la possibilità di prendere parte ad una competizione con tennisti di altissimo livello.

Sulla base della tua esperienza è più semplice affrontare uno sport individuale o uno di squadra?

In realtà sin da piccolo ho sempre amato gli sport di squadra. Il problema maggiore è sempre quello di trovare il gruppo giusto, infatti, sono necessari connessione e affiatamento poiché se vengono meno, non si riusciranno a raggiungere i risultati sperati. Ad oggi quindi preferisco l’individualità, perché mi permette di contare solo sulle mie forze.

Quando ero piccolo, amavo il calcio ed ero anche piuttosto bravo. Per un periodo, ho giocato nel Milan ma non essendo mai stato valorizzato al massimo, ho deciso di cambiare ed intraprendere una strada diversa. C’è stato un periodo in cui, tutti i giorni, andavo a scuola e praticavo sia tennis che calcio, sacrificando quindi la mia spensieratezza e investendo quasi tutto il mio tempo sul mio futuro da sportivo.

Occhiali Bally, orologio Hugo Boss, giacca e t-shirt talent’s own

Raccontaci la tua giornata tipo..

Nonostante il periodo difficile che stiamo attraversando, mi alleno comunque tutti i giorni qui a Milano. Durante la giornata, che per me inizia alle 8.30 e termina verso le 17.30, mi alleno sia a livello fisico sia in campo, anche se in questo periodo mi sto focalizzando principalmente sulla preparazione fisica in palestra.

In che modo il tennis è stato influenzato dalla pandemia?

Il tennis è stato bloccato, esattamente come tutti gli altri sport, nonostante non vi sia un contatto fisico diretto fra gli atleti. Alle competizioni prendevano parte molte persone, provenienti dai luoghi più disparati del pianeta, e quindi non consentivano il rispetto del distanziamento sociale e delle norme anti-covid. Tutta questa situazione ha avuto un impatto terribilmente negativo a livello economico, psicologico e morale, e ha fatto sì che molti atleti abbiano deciso di lasciare.

Quale è il tuo sportivo di riferimento?

Sicuramente il mio modello è Rafael Nadal, sia a livello tennistico che a livello umano.

Tra i viaggi che hai fatto, quale destinazione ricordi con piacere e ci consiglieresti di visitare?

Sicuramente le isole Canarie, in particolar modo Gran Canaria. Ho trascorso lì un periodo di sole due settimane per un torneo, ma è proprio qui che ho disputato le competizioni migliori a cui io abbia mai preso parte, ottenendo ottimi risultati. Inoltre la popolazione locale ti fa sentire a tuo agio e le spiagge sono bellissime.

Che rapporto hai con la moda? Quali sono i capi a cui non rinunceresti mai?

Ho uno stile che si divide tra street, casual e sportswear. Essendo un’atleta, indosso molto spesso capi tecnici sportivi. Allo stesso tempo mi piace vestirmi bene, essere comodo, senza troppe pretese. In determinate occasioni, prediligo invece un abbigliamento più elegante, indossando un completo e dei mocassini.

Dove ti vedi fra 5 anni?

Voglio continuare ad impegnarmi e dare il 100%, con la speranza, un giorno, di arrivare in alto. Allo stesso tempo sto muovendo i primi passi nel mondo della moda, altro ambito che mi piacerebbe coltivare di pari passo con il tennis. Cercherò di dare sempre il massimo e poi vedremo cosa mi riserverà futuro.

Ecco il “Mare Fuori” di Matteo Paolillo

Matteo Paolillo, giovanissimo talento made in Salerno, ha iniziato a lavorare prestissimo, infatti sin dal secondo anno di Centro Sperimentale si è ritrovato sul set. Lo abbiamo conosciuto nella serie TV al fianco di Elena Sofia Ricci “Vivi e lascia vivere”, ed ora lo possiamo apprezzare in “Mare Fuori” su RAI2 di cui oltre ad essere protagonista ne è anche interprete della colonna sonora, ma non cercatelo come Matteo, in Musica lui è Icaro.

Hai iniziato a lavorare subito durante il centro sperimentale..

Verso la fine del secondo anno mi son ritrovato sul set di “famosa”, film uscito in sala a luglio scorso, e poi il terzo anno devo dire che frequentato poco perché tra il set di “Vivi e lascia vivere” e poi di “Mare fuori” ho praticamente sempre girato.

In quale momento hai capito di voler fare l’attore?

C’è un momento che ricordo e racconto sempre, perché è stato davvero il momento in cui ho capito di aver avuto la cosiddetta chiamata con il sacro fuoco della passione per la recitazione. Quando abitavo a Salerno, la mia città, collaboravo con una compagnia con cui facevo un laboratorio teatrale, e siccome ero molto appassionato a volte mi portavano a fare degli spettacoli in giro.

Un giorno andammo a fare una rievocazione storica a Marina di Camerota, con una scenografia molto suggestiva in quanto noi recitavamo all’interno delle grotte della baia ed il pubblico era sulle barche, alla fine dello spettacolo mentre tornavamo sulla terra ferma, ero davvero stanchissimo e guardando le stelle, ho capito quanto ero felice in quel momento, e di voler replicare al più presto quella sensazione per tutta la vita.

Che rapporto hai con la moda?

Sono sempre stato uno che non ha mai fatto la corsa al brand per forza, soprattutto al liceo quando invece l’unico obbiettivo per i ragazzini è proprio quello. Ho un rapporto molto stretto con i personaggi quindi anche quando vado in giro cerco di mantenere un filo conduttore, potrei dirti in maniera filosofica che la mia moda varia in base alla mia essenza.

Cosa puoi dirci di “MARE FUORI”, come mai si chiama così?

La serie è ambientata nel carcere minorile ed i ragazzi vedono il mare che sta li di fuori, quindi per uno che ci è cresciuto davanti è una vera e propria sofferenza vedere le sbarre di per sé inoltre non potercisi tuffare amplifica il dolore.

Come è successo che sei anche interprete della colonna sonora di Mare Fuori?

Stavo facendo la doccia e pensavo da Edoardo, il mio personaggio di “Mare fuori”, ed ho iniziato a canticchiare il ritornello di quella che poi ne sarebbe diventata la colonna sonora, uscito dalla doccia ho immediatamente chiamato il mio producer dicendogli di voler fare un demo e provare a vedere che ne sarebbe uscito fuori.

Per gioco l’ho mandata al gruppo chat della produzione della serie e quando son tornato sul set la stavano già cantando tutti.

E su richiesta del regista sono stato ben felice di concedergli il brano.

Hai un nuovo singolo in uscita?

Esattamente, è uscito circa un mese fa ed ora sto cercando di mettere insieme anche l’album, ma preferirei essere notato da qualche etichetta discografica, da non doverlo pubblicare in maniera indipendente. Devo anche dirti che però quando canto uso lo pseudonimo di Icaro, questa è una scelta che ho fatto tre anni fa per distinguere le due cose, quindi se mi cercate su Spotify sapete come fare. 

Disembody: la mostra in cui il corpo diventa protagonista

Si chiama Disembody la mostra fotografica di Manuel Scrima presentata alla Fabbrica Eos a Milano a inizio Ottobre e prolungata fino al 19 Novembre dato il grande successo riscosso durante le ultime settimane.

L’esposizione, a cura di Chiara Canali, raccoglie un corpus di lavori inediti di grande formato (100×100 e 50×50 cm) stampati su lastre di vetro e plexiglass montate assieme, in una sovrapposizione di più livelli che ricreano la complessità dell’immagine finale. Sarà presente, inoltre, un pavimento a mosaico, costituito da un puzzle di 400 mattonelle di pietra tagliate a mano, che riportano le stampe fotografiche con i soggetti creati dall’artista. Le mattonelle sono composte da materiali a base quarzo, prodotte da Stone Italiana, una delle aziende più all’avanguardia nella produzione di quarzo e marmo ricomposto.

Noi abbiamo incontrato il fotografo che ci racconta nell’intervista il suo percorso e l’ispirazione per Disembody, per cui tra l’altro sono previsti degli sviluppi futuri…

Quando hai iniziato a fotografare e con quali intenzioni?

Quando mio padre regalò una macchina fotografica a mio fratello maggiore. Avevo credo 6 anni e andammo subito allo zoo a scattare foto eccezionali: noi con le tigri. L’intento era già quello di creare un mondo immaginario, alla Sandokan. Già i miei primi scatti non erano le banali foto di famiglia, che ad esempio faceva mio padre, ma volevano essere qualcosa di nuovo. Poi, da allora, non ho mai smesso.

Se intendi quando ho iniziato a fotografare a livello professionale, è nel 2006. Terminata l’università ho subito trovato lavoro, un buon lavoro a tempo indeterminato, eppure non ne ero soddisfatto. Con grande disappunto della famiglia e sconcerto degli amici, ho lasciato tutto per andare a vivere in Africa e tentare la carriera di fotografo e regista. Ho passato 3 anni in Africa per fare ricerca su me stesso a contatto con quella che era la cultura più lontana dai miei orizzonti formativi. Ho vissuto tra le popolazioni tribali della Rift Valley (Kenya, Etiopia, Uganda e sud Sudan), la culla dell’umanità, e in questi posti ho toccato con mano la sapienza e la spiritualità. L’incontro con queste culture mi ha fatto riflettere. Chi sono? Cosa voglio? Cosa mi accomuna e cosa mi distingue dai miei simili? Lo scopo della vita è sempre quella di conoscere se stessi.

Cos’è per te la fotografia?

È uno strumento che mi è utile per ricreare qualcosa che ho sognato o immaginato. Qualsiasi soggetto è un pretesto per avvicinarsi al senso della vita. Ma chi sono davvero ancora non l’ho capito. Mia madre è belga, di origini francesi, e mi ha educato in un modo molto diverso dagli altri miei coetanei italiani. Mio padre è arbëreshë, appartenente a una etnia che ha resistito in Italia quasi intatta per 500 anni. Seppur io sia nato in Italia, non mi sono mai sentito del tutto italiano, anche se ho respirato fin da bambino la cultura del nostro paese. Credo che l’incertezza dei riferimenti favorisca la creatività.

Quale macchina fotografica utilizzi e che particolari accorgimenti tecnici usi?

Di solito utilizzo macchine Nikon e mi trovo bene. Per realizzare le foto della serie Disembody utilizzo un grande telo retroilluminato e una luce laterale dura, ad esempio una parabola come diffusore. Ciò che più conta è che tutto sia geometricamente allineato e simmetrico in ogni foto: che l’asse ottico passi esattamente nel centro del cubo che fotografo e che il soggetto sia parallelo al piano focale della macchina fotografica. Una volta che tutto è ortogonale ci si può lasciare andare alla libera ispirazione. Sono pignolo e perfezionista.

In che modo la tua fotografia si rapporta con la cultura classica e umanistica?

È più forte di me: la mia fotografia è sempre ispirata dalla cultura classica o neoclassica. Quando non seguo i canoni di bellezza classici lo faccio consapevolmente per creare un’immagine di rottura, per violare le regole dall’interno. Non posso prescindere dalla mia formazione, dal gusto che ho formato durante l’adolescenza, anche se so che il mondo va avanti e la mia ricerca è in continuo dialogo con il contemporaneo. In fondo, la mia esigenza è anche comunicativa, non è confinata nella torre eburnea dei miei sogni personali. 

Quali sono i fotografi o gli artisti a cui ti ispiri?

Non mi ispiro a fotografi, ce ne sono tantissimi bravi, ma la mia ispirazione arriva dall’arte o a volte dalla musica. Non posso dire di ispirarmi a qualcuno in particolare. Trascorro la maggior parte del tempo in viaggio e quando posso visito velocemente e distrattamente gallerie, musei, città d’arte. Per vedere e assimilare il più possibile. Da bambino ho ereditato da mia madre belga l’amore per la pittura simbolista, misteriosa e inquietante, di Fernand Khnopff. Quando frequentavo il liceo ero fanatico della pop art di Andy Warhol: non avevo il diario dei calciatori, ma quello di Keith Haring. Oggi, complice la sovraesposizione di Internet, devo ammettere di essere piuttosto frastornato da mille cose diverse, senza riuscire a concentrami. Rimpiango la sicurezza di gusto che avevo da adolescente. Non so se peggiorerò o se si arriverò a un momento in cui potrò focalizzarmi ancora come prima della frammentazione culturale indotta dal web.

Cosa significa per te la rappresentazione del corpo nudo?

Ciò che ci accomuna tutti come essere umani è la forma del corpo, ma è anche ciò che ci rende diversi gli uni dagli altri. Il corpo umano è un simulacro, un mondo di perfezione ipnotica. Ne sono attratto. È il soggetto più interessante che io possa immaginare. Non voglio rappresentarlo come è già stato fatto da altri, voglio trovare il mio linguaggio. Per farlo ho fotografato più di 50 soggetti diversi componendo i corpi a formare ideogrammi, maschere, figure casualmente simili alle immagini di Rorschach. 

In che modo la tua ricerca si relazione con il tema dell’erotismo?

Il sesso e la morte sono le pulsioni profonde che governano ogni nostra azione. Ma l’impulso va sublimato! Ecco perché nelle mie foto l’erotismo risulta velato e nascosto. Mi porto dietro un’educazione chiusa rispetto a queste tematiche e inconsciamente disapprovo tutto quello che è ostentato ed esplicito. È infatti la prima volta, con questa mostra, che espongo al pubblico una serie di fotografie di nudo, fotografie erotiche. Per tanti anni ho evitato sistematicamente il tema, finché non ho trovato un modo per me interessante di affrontarlo.

In un’epoca di mercificazione del corpo, vorrei restituire all’anatomia umana il suo erotismo originario.

In che modo la tua fotografia si rapporta con il mondo delle immagini divulgate sui social network?

Questa mostra è anche una protesta contro l’estetica dei social, che vivo e viviamo tutti i giorni. Copro i corpi perché reagisco alla bruttura e alla decadenza delle immagini di oggi e all’estrema esposizione sessuale sui social. Da qui deriva quell’urgenza di classico, di riserbo stilistico, di forma ideale e filtrata, non esposta alla volgarità e all’improvvisazione stilistica. Non sfugga poi che tutte le opere sono quadrate come le foto su Instagram: è come un Instagram censurato. 

La tua professione di fotografo di moda ispira la tua ricerca personale oppure sono due ambiti di lavoro distinti?

Sono cresciuto con il mito di Warhol, che non faceva distinzione tra arte commerciale e arte da galleria. Anche la fotografia di moda rientra nella mia ricerca personale, anzi è fondamentale per creare nuovi stimoli, proprio perché limita la libertà espressiva e comporta uno sforzo maggiore per ottenere ciò che si vuole. Inoltre, il continuo confrontarsi con altri professionisti – stilisti, stylist, art director, scenografi, truccatori – fa crescere e suscita nuove idee. Scherzando dico a me stesso che in questa mostra non ci sono abiti perché ne fotografo già abbastanza. 

10. Cosa ti piacerebbe fotografare in futuro?

Sto preparando l’evoluzione di Disembody. Fotografo sempre quello che prima immagino, cercando di conferire forma a sogni di bellezza lungamente accarezzati. Citando l’Ode a Psiche di John Keats, il poeta romantico innamorato del classico: «Sì, ti costruirò un tempio, in qualche remota regione della mia mente».

Woc: l’artista made in Turin che ha stregato Virgil Abloh

Special content direction, production, styling & interview Alessia Caliendo

Photographer Matteo Galvanone

Manintown incontra IN ESCLUSIVA Woc, pseudonimo di Flavio Rossi, artista e designer under 30 che indaga gli infiniti valori simbolici ed estetici che l’immagine ha acquisito nell’era contemporanea. Con la sua tecnica a spray, l’artista mette in scena una rassegna mediatica delle immagini apparse nel web e maggiormente discusse dal pubblico, rendendo eterna un’iconografia altrimenti destinata ad essere fagocitata dalla rapidità della comunicazione Internet. Dal 2018, grazie ad un fortuito incontro virtuale, collabora con Virgil Abloh per il brand Off White nella realizzazione di edizioni limitate.

Woc un ibrido tra la generazione Z e i Millenial e l’indagine sulle immagini iconografiche che diventano iconoclaste tratte dai baluardi della generazione anche antecedente. Come si svolge la tua ricerca ispirazionale e come entri nel loop creativo?

Tutto ciò che dalle mie mani può diventare un prodotto artistico è tratto dalle immagini che mi circondano. La ricerca parte dallo scroll sui social, dal web, dalla TV e dall’attualità, con il focus su tutto ciò che può essere viralmente pop. Sicuramente in essa c’è una forte componente tratta dai ricordi dell’infanzia.

Grazie ai social il tuo getto a spray, più dissacrante delle viralità ASMR, è stato notato da Virgil Abloh che ti ha reso uno dei suoi pupilli per la realizzazione delle grafiche per Off White diventando anche un tuo collezionista. Parlaci del vostro connubio artistico.

Nel 2017 mi stavo approcciando al mondo delle sneakers ed enfatizzavo la mia passione disegnando una serie di sketch dedicati ai modelli must have. Ho iniziato a disegnare svariate Nike finchè, grazie alle Air Max, taggando Virgil, ho ricevuto un suo direct. Sin da subito ha apprezzato i miei lavori dandomi una commissione per Off White. Ad ora posso confermare che molte grafiche del brand sono mie e lo stesso è diventato un collezionista del Woc artista.

Non solo Off White ma anche Nike e Slam Jam per il recente lancio delle Slam Jam x Nike Travis Scott’s “Cactus Trails” e ancora la direzione creativa del brand Italia90, quanto sono importanti le collab per un artista poliedrico come Woc?

Ci tengo particolarmente a questo discorso. Secondo la mia visione un artista non è obbligato ad avere una multidisciplinarietà creativa però, al giorno d’oggi, è un bene essere aperti a vari supporti espressivi. I tempi che corrono ci consentono di essere poliedrici portando l’arte in prodotti più “commerciali” che a loro volta ci consentono di dar voce al lato meramente artistico.

Italia90, un brand, un collettivo torinese, nato con l’obiettivo di rendere il connubio arte e moda più contemporaneo di ciò che già viene definito tale. Alla soglia del lancio di PRIMO TEMPO, la sua collezione d’esordio, raccontaci le peculiarità che la rendono unica nel mondo dell’upcycle.

Siamo un gruppo di creativi local dove la figura del leader non esiste. Siamo contaminati da influenze e sinergie nate sin dai tempi del liceo Cottini e diamo frutto alle nostre idee nella maniera più spontanea possibile. Ogni capo porta con sé una piccola storia prestando particolare attenzione all’upcycling. Ricontestualizziamo, ricreaiamo e riplasmiamo senza sosta.

Nonostante abbia un quarto di secolo, WOC ha già all’attivo molte exhibition presso le art gallery più visionarie del nostro Paese. Quali saranno i suoi prossimi step?

Sicuramente proseguirà la collaborazione con NOIR Gallery, la mia galleria di rappresentanza a livello globale. Non ho ancora progetti ben definiti, ma sono ambizioso nel dire che spero in collaborazioni commerciali sempre più importanti.

Valerio Logrieco: sogno una carriera televisiva

È un modello ma ha il viso da attore Valerio Logrieco, classe 1988 con alle spalle diversi lavori importanti tra cui Dolce e Gabbana e Carlo Pignatelli. I più attenti lo ricorderanno sul piccolo schermo durante una puntata di ”Ciao Darwin” del 2016 all’interno del ”Team Italiani”, dove aveva sfilato in intimo ed era stato acclamato dal pubblico femminile, e nella fiction di canale 5 ”Furore 2”, trasmessa su Canale 5, in cui ha vestito i panni di un ragazzo napoletano che tentava di conquistare la protagonista. Oggi continua con determinazione lo studio per la carriera televisiva, alternando lavori nella moda, allenamenti in palestra e un lavoro in radio come speaker.

Photographer: Paolo Rutigliano @paolorutigliano
Stylist: Stefano Guerrini @stefano_guerrini
Stylist’s assistant: Salvatore Pezzella @sasy_pezz
Grooming: Mara Bottoni @marabottoni_makeup
Models: Valerio Logrieco @valerio_logrieco

Come hai iniziato?

Ho iniziato nell’ormai lontano 2011 partecipando e vincendo a mia sorpresa un concorso di bellezza su convincimento della allora mia ex ragazza invece molto avvezza a frequentarne. Da lì un talent scout presente tra il pubblico mi contatta su un social proponendomi la carriera di modello su Milano e di li a poco mi sono trasferito per la prima volta in una grande città inseguendo i miei sogni parallelamente agli studi universitari.

Pro e contro di questo mestiere?

È un lavoro che ti da molto ma allo stesso tempo ti toglie molto. Ti da la possibilità di viaggiare, conoscere persone nuove, rappresentare il proprio paese per brand a livello mondiale, ti aiuta a crescere e responsabilizzarti stando sempre in giro e spesso da solo, acquisire sicurezza in te stesso e grandi soddisfazioni considerando l’elevata concorrenza. Ma al contempo la vita privata viene sacrificata e non esiste un reale criterio di meritocrazia essendo la moda basata su parametri soggettivi, ci sono grossi sacrifici per tenersi sempre in forma pur non avendo uno stile di vita stabile e bisogna combattere quotidianamente sui molteplici pregiudizi che ci celano dietro la professione del modello.

Cosa hai imparato in questi anni?

Da piccolo ero molto insicuro e timido, indubbiamente questo lavoro ti mette di fronte a situazioni e contesti in cui devi avere un ruolo o impersonificare un mood a seconda della tipologia del lavoro pertanto mi ha sicuramente aiutato a sapermi rapportare con la gente, ampliare la mia mente proveniendo da un piccolo paese di provincia, responsabilizzarmi e saper badare a me stesso fin da giovanissimo.

L’esperienza più bella?

In quasi 10 anni di carriera faccio davvero fatica a ricordarne uno in particolare. Ho avuto la fortuna e forse anche il merito di aver lavorato con brand molto prestigiosi, da Armani a Laura Biagiotti, da Guess a Bikkembergs, ma sicuramente rappresentare un Dolce e Gabbana attraverso sfilate e poi campagna pubblicitaria in tutto il mondo nel 2018 è stata la mia più grande soddisfazione.

Cosa fai nel tempo libero?

Nel tempo libero mi piace molto viaggiare e dedicare tempo a me stesso allenandomi in palestra o cercare di migliorarmi apprendendo una nuova lingua o nuove skills, ma ho una passione del tutto insolita che mi porto dietro da più di 10 anni: coltivo piante carnivore e sul mio balcone ho una vera e propria piantagione con tante specie tropicali.

Cosa non può mancare nel mio guardaroba?

Sono abbastanza casual e a seconda dell’occasione mi piace contestualizzarmi ma sono un collezionatore di cappellini americani e nel mio armadio ne ho più di 50. È una delle prime cose che metto in valigia.

Città del cuore e perche?

Ho avuto la possibilità di viaggiare molto e visitare posti bellissimi ma resto del parere che l’italia è il paese più bello del mondo sotto ogni punto di vista. Sono Pugliese di Bitonto (bari), ma vivo a Milano da anni che rappresenta maggiormente la mia personalità e ritengo di aver raggiunto un perfetto equilibrio e compromesso poiché mi sento molto cosmopolita ma al tempo stesso ho la consapevolezza di avere una seconda residenza al mare nella mia amata Puglia quando voglio.

La vacanza che ricordi e perché?

Ho speso secondi in più per pensare a questa risposta e devo ammettere che faccio davvero fatica perché per ognuna ho dei ricordi indelebili, ma per forza di cose devo menzionare la mia vacanza in Croazia con i miei amici di sempre on the road totalmente all’avventura. È stata la mia prima vacanza all’estero a 19 anni e molto significativa per me perché oltre ai bellissimi ricordi che ho di essa, l’ho guadagnata con i miei risparmi e mi rende molto orgoglioso avendo impostato la mia vita così per tutto quello che ho conseguito negli anni a venire.

Progetti e sogni per il futuro?

Sono un sognatore nato e credo molto in me stesso, diversamente non avrei fatto questo lavoro decidendo di investire tutto su di me. Sono consapevole di essere un bel ragazzo oggettivamente e mi ha aiutato ad avere successo nel campo della moda e anche se non sono riuscito a dare seguito professionale agli studi essendomi laureato in Scienze Politiche. Mi piace poter mostrare altro rispetto al mio bel faccino e avere un ruolo in tv come conduttore televisivo sarebbe per me un sogno, il perfetto connubio per le mie capacità e attitudini e mi sto già attivando per questo lavorando in radio come speaker.

La lana di Woolmark per il Luna Rossa Prada Pirelli Team

Le tante facce della lana, calda per combattere il freddo in arrivo e altamente performante per il mondo dello sport, ora pronta alla conquista dei mari. 

The Woolmark Company, autorità globale della lana Merino australiana, è da oltre un anno partner del team Luna Rossa Prada Pirelli, impegnata nella creazione di capi tecnici in lana dalle tecnologie più innovative per supportare al meglio le sfide del gruppo verso la 36^ America’s Cup presented by PRADA, celebre competizione velica internazionale. 

La divisa realizzata, dalla giacca impermeabile a quella soft shell e dalle polo all’intimo, è isotermica, elastica, traspirante ed impermeabile. Ogni pezzo nasce da tante ore di lavoro, più sperimentazioni e numerosi test per un risultato finale a dir poco impeccabile, che permette di affrontare viaggi anche a 50 nodi. 

Si parla di sostenibilità, performance e moda etica nell’interessante talk a tre voci, Sustainable Performance, disponibile sulla piattaforma digitale di Pitti Immagini Uomo (https://uomo.pittimmagine.com/it/news/talk-sustainable-performance-ortensi-napoleone-sirena) che vede presenti Max Sirena – Skipper e Team Director di Luna Rossa Prada Pirelli – Raffaello Napoleone – CEO della manifestazione fiorentina – e Carlo Ortenzi – Fashion Director di Sportweek. 

Usata in tutte le attività del gruppo, da quelle offshore, all’allenamento fino alla gara, la lana Merino è il miglior materiale utilizzabile per il suo essere biodegradabile, riciclabile e non inquinante. La scelta della fibra 100% naturale è, inoltre, un’importante decisione di responsabilità sociale d’impresa in un mondo che, da anni a questa parte, cerca di puntare sempre più in alto in termini di sostenibilità. Componente ormai essenziale dell’uniforme del team, la lana australiana offre una soluzione a ridotto impatto ambientale e permette a Woolmark di arricchire ancor di più la sua vasta rete di collaborazioni internazionali legandosi ad un settore sportivo d’eccellenza. 

L’ente di certificazione internazionale Allergy Standards Limited (ASL) ha riconosciuto ufficialmente i prodotti per la biancheria da letto in lana Merino come asma e allergy friendly, salutari per la pelle specialmente per le persone con l’epidermide più sensibile.

Abbiamo intervistato per voi Max Sirena, che ci ha raccontato la tanta passione e determinazione per il suo lavoro con uno sguardo sempre volto verso un mondo più verde. 



L’utilizzo della lana Merino nelle uniformi del team Luna Rossa Prada Pirelli ha segnato una svolta tecnica incredibile. Ci racconti di come hai vissuto i tuoi momenti più difficili in navigazione senza la tecnologia presente nei nuovi capi?

La realtà è che l’abbigliamento per noi è sinonimo di performance, e lo stesso vale per la barca e gli altri componenti della barca. Per questo motivo anche nell’abbigliamento abbiamo fatto tanto sviluppo, grazie alla collaborazione del R&D di The Woolmark Company e Prada. Questo ci ha permesso, dopo varie ore di laboratorio e in navigazione, di sviluppare un prodotto tecnico di altissimo livello.

Poter avere dei capi con materiale naturale ad alte prestazioni è il massimo che si possa chiedere, per due motivi fondamentali: “enviroment” e “feeling” sulla pelle.

Parliamo di sostenibilità, tematica a te molto a cuore. Cosa ti spaventa e cosa ti rasserena pensando al futuro? Quanto, a tuo avviso, c’è ancora da fare in questo campo?

C’è tantissimo da fare. Se vogliamo trovare un lato positivo, è che il problema siamo noi, quindi possiamo essere anche la soluzione. Il problema è culturale; credo che negli anni ognuno di noi abbia perso di vista gli effetti del nostro modo di vivere sull’ambiente. Siamo distratti da tante cose futili, di apparenza, e questo toglie la nostra attenzione da quello che stiamo causando al nostro pianeta. Non c’è un pianeta B dove andare. È fondamentale iniziare a capire che, solo con il nostro atteggiamento, possiamo cambiare le cose. Siamo privilegiati, viviamo gran parte della nostra vita in mare ed è fondamentale per noi tutelare il nostro ambiente di lavoro. C’è molto da fare da parte di tutti e siamo indispensabili per riuscire in quello che è il problema più importante oggi, l’inquinamento. Con The Woolmark Company e altre aziende, tra cui Prada, stiamo facendo tanto per sensibilizzare il pubblico, ma per primi noi stessi. L’utilizzo di materiali naturali o riciclabili è il primo passo per il nostro futuro.

Oltre che skipper, sei anche Team Director di Luna Rossa Prada Pirelli. Che tipo di leader sei? 

Questo dovremmo chiederlo a chi lavora con me! Detto questo, non sono uno che urla ma, al contrario, cerco di ascoltare tutti per capire quali sono le cose da migliorare. Ovviamente in un gruppo così grande, che punta alla conquista del trofeo sportivo più antico al mondo, dove la tecnologia è padrona, a volte si deve essere fermi e decisi e a volte una mia decisione può non essere condivisa da tutti, ma questo fa parte del mio ruolo. Per me la rock star è il Team stesso, vale a dire tutti i membri, dal primo all’ultimo: vinciamo o perdiamo insieme. Per questo motivo è fondamentale poter contare sull’aiuto del tuo collega. Ognuno di noi è leader per gli altri, la motivazione deve essere alta per tutti e per questo molto del mio tempo lo passo a parlare con i team member, soprattutto per far capire quanto siamo privilegiati a fare il lavoro che amiamo.

Cosa ti aspetti dal match della 36° America’s Cup presented by Prada?

Quando abbiamo lanciato la sfida, siamo partiti con l’idea di provare a scrivere un capitolo importante nella storia della Coppa America e dello sport italiano. Io e tutto il Team vogliamo una sola cosa. Detto questo, ci sono anche gli altri team che vogliono ottenere il nostro stesso risultato, perchiò i prossimi 6 mesi saranno “full on” e dovremo spingere al massimo per poter bere dalla famosa “brocca d’argento”!

Sei un grande amante del mare. Possiamo definirlo come la tua seconda casa? Cosa ti manca di più della Terra quando sei in navigazione? Di cosa non senti, invece, la mancanza? 

Il mare è l’ambiente dove mi sento più a mio agio, più che a terra! Quando ho la possibilità di navigare con la mia famiglia è ogni giorno un’esperienza nuova: i colori e il vento sono sempre diversi. Ogni volta è come se un pittore facesse un quadro diverso guardando lo stesso paesaggio. Il mare ti permette di stare di più con te stesso, insegna a conoscerti meglio, ti dà i tempi che a terra non riusciresti ad avere, è una buona cura per la mente e un’ottima scuola di vita per i figli.

Nuove prospettive dell’architettura: in dialogo con Filippo Chiesa Ricotti

Milano ritorna punto di riferimento internazionale per presentare quanto non è stato possibile scoprire al mancato Salone del Mobile e grazie alla Milano Design Week 2020 diffusa in tutta la città, il design tornerà finalmente live. Di questo e dei nuovi modi di vivere le nostre case dovuti agli avvenimenti degli ultimi mesi, ne parliamo insieme all’Architetto Filippo Chiesa Ricotti, ( @filippochiesaricotti) fondatore dello studio di architettura e interior design GruppoTre (@gruppotrearchitetti) specializzato nella progettazione di residenze.



Raccontaci il tuo percorso, come ti sei avvicinato a questa professione?

Sin da piccolo amavo giocare con i lego quindi direi che è partito tutto da lì. Ho sempre adorato la costruzione tecnica degli edifici, al di là del loro design. Da qui ho maturato la scelta di iscrivermi alla facoltà di Architettura, dove la mia passione è cresciuta ulteriormente. Inoltre credo nell’importanza della compresenza di creatività e concretezza, è fondamentale concentrarsi non soltanto sul dettaglio estetico, bensì anche sulla funzionalità.  Fondamentale nel mio percorso universitario è stato il Prof. Claudio Sangiorgi, con il quale ho successivamente collaborato, è stato un mentore e tutti i suoi insegnamenti mi hanno permesso di crescere.

Quali sono stati invece gli architetti che ti hanno ispirato? 

Durante il periodo universitario, ho scoperto l’Università di Porto, dove io stesso sono stato più volte. Mi ha sempre colpito quella componente razionale portoghese che, negli anni del razionalismo, in Italia è risultata eccessiva. Al contrario, la scuola di Porto ha saputo essere razionale e creativa allo stesso tempo e dare alle opere un senso estetico maggiore. È proprio qui che ho trovato la mia idea di progettazione: creatività unita a concretezza e funzionalità. 

Questa settimana si svolge la Milano Design Week e tu sei Ambassador per ArchiProducts. Quale sarà il tuo ruolo e cosa ne pensi del tema di questa edizione? 

Sono stato uno dei primi Ambassador di ArchiProducts, progetto nato lo scorso anno in collaborazione con una decina di architetti. Durante la settimana del “Fuori Salone ri targettizzato”, hanno deciso di coinvolgere gli Ambassador di ArchiProducts per creare alcuni momenti di incontro: offriremo delle consulenze gratuite a potenziali clienti o a persone interessate a ricevere consigli di restyling per la propria abitazione (saremo i cosiddetti ambassador at work). Inoltre, abbiamo organizzato un talk destinato ad un target business, al fine di raccontare loro la nostra esperienza, spiegando il progetto e le sue potenzialità. 

Il tema è Future Habitat ed è quanto mai attuale, si parlerà del connubio di nuovi materiali, comfort e colori per un abitare del futuro, emerso a seguito della pandemia che, inevitabilmente, ha influenzato il nostro modo di vivere. 

Quali saranno le nuove tendenze per il futuro imminente? 

Nell’ottica di una maggior attenzione, sicuramente il cliente punterà su una ricerca di materiali veri, meno banali e scontati, facilmente adattabili al suo gusto e alle sue esigenze. Inoltre, a livello estetico, ho notato un ritorno dell’estetica degli anni 60 e 70, rielaborata e reinterpretata in chiave moderna. 

Come immagini la tua casa ideale? 

Nonostante abbia comprato e ristrutturato casa solo tre anni fa, non credo, ad oggi, che la mia casa attuale mi rispecchi: penso che questa situazione sia dovuta ad un mio cambiamento interiore dato dalla mia crescita personale. Vivo in un appartamento molto semplice, minimal e pulito. Ora sento la necessità di avere qualcosa di più sofisticato e ricercato. In generale, vorrei una casa molto luminosa, con una grande vetrata e accesso diretto al terrazzo, elemento indispensabile per la mia casa del futuro. Inoltre, desidero che la cucina sia grande e spaziosa, in quanto adoro cucinare e ospitare molti amici. Lo stile potrebbe essere un classico-contemporaneo.

Se avessimo un budget limitato, su quali elementi ci consiglieresti di puntare? 

È importante investire sulla parte impiantistica, perché durevole e non facilmente modificabile, così come su buoni materiali di finitura, quali il pavimento. Per fare in modo che i costi rientrino nel budget, si potrebbe pensare di abbinare qualche elemento di arredo più commerciale e low cost mixato a qualche pezzo vintage, facilmente reperibile nei mercatini dell’antiquariato. Il risultato è ottimale e il prezzo non eccessivo. 

Cosa non può mai mancare nella tua valigia quando viaggi?

Tendenzialmente non manca mai il costume, essendo un amante dell’acqua non perdo mai occasione per farmi un bel tuffo, che sia nel mare o in piscina. Inoltre, ho una grande passione per gli occhiali da sole, una ricca collezione composta da modelli tra i più svariati brand. Infine, non mi separo mai dal telefono sia per lavorare e annotare idee (anche mentre sono in vacanza) e poi per fotografare e condividere i  momenti più belli con chi mi segue sui social.

Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Abbiamo in cantiere moltissimi progetti. Il 2020, nonostante tutto, ci sta impegnando molto e la voglia di fare sicuramente non manca.  Il primo obiettivo è quello di consolidarci nello studio in cui ci siamo trasferiti da pochi mesi. Inoltre, c’è in campo anche la volontà investire nel design del prodotto, in quanto adoro progettare case, ma anche oggetti d’arredo. Infine, vorrei consolidare sempre più la componente social. (E una lunga rubrica su ManinTown che ci accompagnerà tutta la stagione, ndr).

Dietro le quinte della prima settimana della moda phygital : Vitelli

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano i propri eventi nella prima settimana della moda metà fisica e metà virtuale nel pieno del cambiamento epocale Covid19.

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Vitelli è un brand di maglieria ispirato alla cultura giovanile e allo stile italiano d’oggi, fondato da Mauro Simionato e Giulia Bortoli. La realizzazione dei capi è fortemente focalizzata sulla collaborazione con laboratori locali indipendenti e sui processi di produzione sostenibili.

Dal 2019 Vitelli mira ad una tecnica di upcycling innovativa al 100% grazie a Doomboh: un particolare processo di agugliatura di filati di recupero, raccolti localmente dai rifiuti tessili di maglieria nel distretto di Vicenza.



Parlateci dell’evento svoltosi durante la prima settimana della moda phygital e quali sono le misure adottate per garantire uno svolgimento che mantenesse lo stesso appeal dell’era pre Covid.

Abbiamo ideato un format giornaliero per dare una valida visibilità a tutte le collaborazioni della stagione. Inoltre, lo scindere le presentazioni in quattro giorni ci ha consentito di evitare il sovraccarico di presenze dando la possibilità, a chi fosse in città, di scegliere il momento più adeguato per poterci dedicare del tempo.

Qualche mese fa si parlava della fine degli eventi fisici a favore di una rivoluzione digitale sempre più avanguardista. Essere qui, oggi, smentisce tali affermazioni a favore di una nuova forma di eventi sempre più selettivi e di pari passo con la velocità dei social. Secondo voi quali di questi cambiamenti segneranno esponenzialmente il modo di presentare una collezione al pubblico?

L’integrazione del digital all’interno degli eventi fisici è un’evoluzione fisiologica che prima o poi doveva accadere consentendo l’industry di muoversi su binari paralleli. Il Covid da noi viene visto come acceleratore di un processo evolutivo che rende gli eventi meno elitari e più mainstream. Focus, inoltre, sugli happening local perché crediamo in coloro che ci hanno sostenuti sin dall’inizio o che vogliono farlo a partire da adesso.

La realtà aziendale è cambiata post lockdown? E il suo mindset creativo e progettuale?

Creativamente parlando non siamo particolarmente affini alle modalità di progettazione in remoto tramite Zoom call. Siamo mediterranei e abbiamo bisogno di interagire durante il flow creativo. Vitelli è un team di lavoro ampio, quasi un collettivo. Parliamo a tantissimi giovani sulla scena mondiale e amiamo definirci fisici, in un momento storico in cui la fisicità è bandita. Non demonizziamo la virtualità, ma cerchiamo di contaminarla con i nostri codici di appartenenza.

Gli stakeholder della moda hanno provato ad immaginare, e di conseguenza a proporre, una donna e un uomo segnati da una pandemia globale. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la vostra?

Si tratta di una collezione sviluppata in due fasi. La prima puramente concettuale nata nel lockdown, la seconda è quella unlocked dove, appena è stato possibile, abbiamo lavorato con le nostre mani. Alla riapertura, abbiamo prelevato tutto l’upcycle presente nelle aziende intorno a Schio (Vicenza). Raccogliamo ciò che troviamo e la nostra piccola cerchia di makers dà vita alle visioni più avanguardiste per raccontare un nuovo modo genderless di fare moda. E’ una costante challenge che ci spinge a trovare alternative sostenibili e a sperimentare nuovi materiali.    

Stiamo vivendo una fashion week decurtata delle presenze internazionali. Se doveste fare proiezioni per i prossimi mesi quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Oltre alla shopping experience digitale che diffonde il prodotto a livello macroscopico, crediamo molto nel grande ritorno dei punti vendita local che contribuiscono a imprimerlo nel tessuto sociale in maniera più diretta. 

Dietro le quinte della prima settimana della moda phygital : Genny

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano i propri eventi nella prima settimana della moda metà fisica e metà virtuale nel pieno del cambiamento epocale Covid19.

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Nel 2011 Genny, storico marchio di pret à porter, viene acquisito dalla Swinger, e Sara Cavazza Facchini, nel giugno 2013 è nominata direttore creativo.

Visionaria e piena di interessi è una donna di grande talento con una forte dedizione al suo mestiere, imprenditrice ma prima ancora madre. Manintown la incontra nello showroom meneghino del brand poche ore dopo la proiezione dello show interamente digitale. 



Parlaci del video proiettato durante la prima settimana della moda phygital e quali sono state le scelte creative adottate per garantire lo stesso appeal dell’era pre Covid

La scelta di optare per uno show digitale è stata principalmente dettata per fornire la massima sicurezza per tutti i nostri affezionati e collaboratori. Per trasmettere positività e continuità ho scelto di realizzarlo en plein air in un dei più bei parchi italiani (il Parco Sigurtà ndr), perché si tratta di una collezione dedicata al Belpaese. 

Qualche mese fa si parlava della fine degli eventi fisici a favore di una rivoluzione digitale sempre più avanguardista. Essere qui, oggi, smentisce tali affermazioni a favore di una nuova forma di eventi sempre più selettivi e di pari passo con la velocità dei social. Secondo te quali di questi cambiamenti segneranno esponenzialmente il modo di presentare una collezione al pubblico?

Viaggiamo su due dimensioni parallele: il contatto fisico e quello digitale. La sfilata rimarrà fisica ma la sua trasmissione sarà multicanale. Sappiamo benissimo che i media digitali stanno soppiantando quelli tradizionali.

La realtà aziendale è cambiata post lockdown? E il suo mindset creativo e progettuale?

Genny è la stessa di prima. Ambiamo all’eccellenza qualitativa e nei periodi più restrittivi del lockdown siamo stati costretti a costanti Skype call con i vari comparti dell’ufficio stile. I tessuti venivano spediti e lo sdifettamento avveniva, senza non poche difficoltà, a distanza. Il lavoro di progettazione e prototipazione deve mantenere comunque l’importante fase on live.

Gli stakeholder della moda hanno provato ad immaginare, e di conseguenza a proporre, una donna segnata da una pandemia globale. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la tua?

La donna Genny S/S 2021 vive le fasi della giornata in maniera più casual. I tessuti sono freschi e leggeri, valorizzati dalle stampe ricercate ispirate ai baluardi culturali del Belpaese e dalle particolari lavorazioni. La maglieria vive in forme avvolgenti atte ad enfatizzare la sensualità in maniera raffinata.

Stiamo vivendo una fashion week decurtata delle presenze internazionali. Se dovessi fare proiezioni per i prossimi mesi, quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Non possiamo fare previsioni in merito, ma sicuramente va potenziata la comunicazione digitale, realizzando piattaforme fruibili a tutti. La digitalizzazione è la chiave di svolta per garantire il fluire del mercato in qualsiasi condizione.

Dietro le quinte della prima settimana della moda phygital : KNT

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano i propri eventi nella prima settimana della moda metà fisica e metà virtuale nel pieno del cambiamento epocale Covid19

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Crescere respirando giorno dopo giorno il senso dello stile, il piacere della qualità assoluta e la capacità di intercettare al meglio i desideri del pubblico. Così Mariano e Walter De Matteis hanno costruito un bagaglio di esperienze che li ha portati a creare KNT, l’universo free spirit di Kiton, il marchio di famiglia leader dell’eleganza maschile. 

Parlateci dell’evento svoltosi durante la prima settimana della moda phygital e quali sono le misure adottate per garantire uno svolgimento che mantenesse lo stesso appeal dell’era pre Covid

Facciamo parte di una generazione digital che ci ha consentito ben presto di familiarizzare con una piattaforma che rendesse le collezioni raggiungibili a tutti in un periodo così delicato. Ed è la stessa vision della nostra presentazione interattiva.

Qualche mese fa si commentava la fine degli eventi fisici a favore di una rivoluzione digitale sempre più avanguardista. Essere qui, oggi, smentisce tali affermazioni a favore di una nuova forma di eventi sempre più selettivi e di pari passo con la velocità dei social. Secondo voi quali di questi cambiamenti segneranno esponenzialmente il modo di presentare una collezione al pubblico?

Così come i nostri coetanei, siamo totalmente proiettati sulla tecnologia ma crediamo ancora fortemente nel rapporto con l’acquirente. Senza la touch experience il nostro prodotto non viene vissuto al massimo delle sue potenzialità.

La realtà aziendale è cambiata post lockdown? E il suo mindset creativo e progettuale?

Assolutamente no, così come Kiton, abbiamo continuato a lavorare incessantemente spinti dall’entusiasmo e lasciandoci guidare dal flusso creativo. 
Il brand prosegue nel definire un diverso approccio al guardaroba maschile, fatto di libertà nei movimenti, grazie a noi le regole classiche del ben vestire vengono sapientemente infrante.

Gli stakeholder della moda hanno provato ad immaginare, e di conseguenza a proporre, un uomo segnato da una pandemia globale. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono il vostro?

Ci rivolgiamo ai figli dei clienti Kiton ma alla fine abbiamo scoperto che anche i genitori non disdegnano KNT. Il nostro  è un mondo urban fatto di tessuti tecnici, cashmere e cotone, spugna e tracksuit. Un ruolo chiave nella P/E 2021 è quello della maglieria, realizzata con telai circolari rubati al mondo della calzetteria e traslati da KNT nel menswear anti-convenzionale. 

Fortemente identificative sono poi le fantasie dei tessuti, i cui motivi ispirati a mondi futuribili e suggestioni metropolitane nascono proprio da trama e ordito, anziché essere semplicemente stampate.

Stiamo vivendo una fashion week decurtata delle presenze internazionali. Se doveste fare proiezioni per i prossimi mesi quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

La comunicazione diventerà sempre più virtuale e meno fisica. Noi crediamo fortemente alle azioni dal forte stampo tecnologico perché lo sentiamo affine al DNA KNT.

Dietro le quinte della prima settimana della moda phygital : Kiton

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano i propri eventi nella prima settimana della moda metà fisica e metà virtuale nel pieno del cambiamento epocale Covid19

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Kiton è un brand che rappresenta l’eccellenza dell’alta sartoria italiana fondato da Ciro Paone a Napoli, nel 1968, con l’amore e la passione per il bel vestire.

L’eccezionale competenza nella costruzione sartoriale dei capi e la magnifica ossessione per la qualità dei tessuti, così come di ogni singolo dettaglio, hanno reso Kiton leader indiscusso dell’eleganza masc

Manintown incontra Matteo Antonio de Matteis, Amministratore Delegato Kiton, e Maria Giovanna Paone, Vice Presidente e Creative director della collezione donna. 

Parlateci dell’evento svoltosi durante la prima settimana della moda phygital e quali sono le misure adottate per garantire uno svolgimento che mantenesse lo stesso appeal dell’era pre Covid

Abbiamo cercato di mantenere l’appeal di una presentazione fisica il più possibile, nel segno delle vigenti norme di sicurezza, ma il digitale ci sta aiutando molto grazie alla creazione di una piattaforma molto apprezzata dai buyer che sta dando risultati inaspettati.

Qualche mese fa si commentava la fine degli eventi fisici a favore di una rivoluzione digitale sempre più avanguardista. Essere qui, oggi, smentisce tali affermazioni a favore di una nuova forma di eventi sempre più selettivi e di pari passo con la velocità dei social. Secondo voi, quali di questi cambiamenti segneranno esponenzialmente il modo di presentare una collezione al pubblico?

Non ci saranno grandi stravolgimenti ma il nostro focus tornerà ad essere la clientela locale. Quando sarà possibile riprenderemo il rapporto One to One con piccoli eventi esclusivi in giro per il mondo.

I nostri collaboratori si stanno già muovendo in tal senso con la spedizione dei campioni di tessuti ai clienti affezionati che hanno la possibilità di scegliere le proposte digitalmente ma di toccare comunque con mano la qualità Kiton. In questo modo anche la nostra virtualità è diventata tailor made.

La realtà aziendale è cambiata post lockdown? E il suo mindset creativo e progettuale?

La realtà aziendale non è cambiata minimamente, lavoriamo con le stesse intensità e tempistiche di sempre ma soprattutto con una grandissima voglia di tornare ad una vita priva di limitazioni.

Gli stakeholder della moda hanno provato ad immaginare, e di conseguenza a proporre, un uomo e una donna segnati da una pandemia globale. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono i vostri?

Crediamo fortemente in un uomo e in una donna che possano ricominciare ad apprezzare l’eleganza e la formalità in differenti contesti così come nel DNA Kiton.

Tra le novità di stagione per l’uomo, ci sono la giacca ultra leggera, soli 160 grammi di pregiato cotone e lino nato per la camiceria, ma sapientemente lavorato per regalare un effetto blazer. E la jacket in jersey di cashmere ottenuto lavorando su speciali telai di norma utilizzati per la produzione di calze, che assicurano elasticità solo in orizzontale ma non in verticale, scongiurando così il rischio di deformazione del capo.

Mentre per la donna, tra i capi di punta, l’iconico blazer in drappino di cashmere ultra leggero, con fodera di seta e bottoni in madreperla, prodotti in Australia dalla coltivazione delle conchiglie Silver Lips e gli chemisier in seta, in versione lunga o al polpaccio, sempre declinabili in chiave giorno o sera e amatissimi dalla clientela per la loro estrema versatilità.

Stiamo vivendo una fashion week decurtata delle presenze internazionali. Se doveste fare proiezioni per i prossimi mesi, quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Non si possono fare previsioni, ma complimenti a noi e ai nostri colleghi che siamo qui a crederci e a rischiare. Noi abbiamo avuto reazioni positive su molti mercati che tuttora risultano in crescita costante come riflesso di una collettività che vuole continuare a vestirsi nel segno del buongusto.

Vaderetro: il brand vincitore del Pitti Award

Il nome sembra uscire da un fumetto horror anni Settanta, immediato e decisamente pop: Vaderetro. Mi ha colpito subito una loro felpa con la scritta ‘Nostalgia’, trovandola spiritosamente perfetta per i nostri tempi di malinconia, ricordo e paura del presente.

Ma il marchio fondato da Antonio D’Andrea e Hanna Boyer ha molte frecce al suo arco e non si ferma ad una sentimentale citazione del passato; dietro alla ricerca del duo c’è un’attitudine al recupero di tessuti, che li pone in piena sintonia con le istanze socio/eco-friendly che si stanno facendo giustamente largo nella moda contemporanea. Il brand Made in Italy realizza gran parte della collezione grazie ad artigiani locali che utilizzano tessuti riciclati o inutilizzati. E così dietro all’immaginario pop, la scatola della confezione ricorda un vecchio gioco da tavolo e subito fa pensare a momenti invernali passati nella tavernetta della nonna, c’è una precisa valorizzazione delle risorse del territorio partenopeo e della sartoria napoletana. 

Finalisti al prestigioso concorso ‘Who Is On Next?’, Vaderetro si è meritato il Pitti Award e noi li abbiamo intervistati alla vigilia del concorso. Ve lo facciamo conoscere!

Come vi siete avvicinati alla moda?

Un amore per gli “indumenti” in realtà c’è sempre stato. Non è mai stata una passione per la “moda” intesa come un qualcosa di glamour, di irraggiungibile, di costoso, “di marca”.  Piuttosto un’attrazione verso quegli elementi che poi sono l’essenza di questo mondo: i capi. Che sia una semplice canotta bianca, una felpa o una giacca doppiopetto interamente ricamata a mano, a prescindere dai brand o dai trend che si sono susseguiti negli anni. 

E come avete iniziato?

Negli ultimi 11 anni abbiamo vissuto rispettivamente a Londra (Antonio) e Parigi (Hanna). Sin dall’inizio abbiamo sempre lavorato nel settore moda, coprendo diversi ruoli nei vari department (dal creativo, all’amministrativo, dal commerciale al logistico etc) per brand molto prestigiosi, di cui non possiamo fare nomi  (P*ada, L**is Vui**on, Viv**nne West***d, Y*es S**nt Lau**nt, Arm*ni, shhhhh!)

Queste esperienze per noi sono state più che fondamentali per avere una comprensione a 360 gradi del settore e del suo funzionamento e che, successivamente, ci hanno portato a sviluppare un progetto interamente nostro.

Come è nato il progetto e perché questo nome?

L’idea del progetto Vaderetro è nata a Londra, dove ci siamo conosciuti. In seguito si è sviluppato in totale “isolamento” in Marocco, dove ci siamo trasferiti per circa 1 anno, ed infine, concretizzato interamente in Italia, dove viviamo e lavoriamo, per il momento.

La necessità di voler creare il mondo Vaderetro, che non reputiamo solo un brand, ma una vera e propria Art De Vivre, è scaturita dall’analisi del settore moda dove ci siamo resi sempre più conto che spesso ci si sforza troppo nella ricerca di “creare” il nuovo trend, la nuova “cosa”, la cosa “più cool”, di affermarsi come i creatori di un qualcosa che in realtà già è stato fatto. 

Con la nascita di Vaderetro noi vogliamo semplicemente bypassare questa parte “effimera”, dove ognuno esalta sé stesso per qualcosa che in realtà, spesso, non ha creato. Noi semplicemente vogliamo riprendere e riportare in vita elementi del passato (da qui nasce uno dei nostri motti “You have seen it before.”) e riproporle ai giorni nostri, senza nascondere, anzi accentuando il più possibile la fonte d’ispirazione. Da qui nasce anche il nome Vaderetro, dal latino, “tornare indietro”.



Sapete che sono innamorato di una vostra felpa che recita “Nostalgia”. Da più parti sembra forte l’esigenza di recupero, reale come ri-uso, ma anche come malinconia del passato. Da cosa nasce tutto questo, secondo voi?

Crediamo che la malinconia del passato provenga principalmente da un situazione attuale (economica, politica, sociale, ambientale) dove il panorama è tutt’altro che soddisfacente e rassicurante. L’unico modo per poter “scappare” da questa realtà è quello di rifugiarsi, anche solo per qualche istante, in un momento, in una sensazione provata durante l’infanzia, in un profumo o addirittura raggiungere il punto di essere nostalgici di epoche mai vissute, ma che ci sono state tramandate, raccontate come dei paradisi perduti che non torneranno più.   

Mi raccontate cosa proporrete in questi giorni a WION?

Nel secondo Capitolo delle nostre “Memorie” esploriamo e approfondiamo il tema dell’immigrazione – un tema molto attuale nel panorama mondiale che non risparmia l’Italia, ed esploriamo più precisamente la storia dell’immigrazione italiana negli Stati Uniti. La capsule si focalizza sul fiorire della cultura italo-americana negli anni ’50 e ’60. Per farlo, ripensiamo alla persistenza dell’identità etnica tra gli italoamericani di seconda generazione, attraverso una fittizia trattoria familiare nel centro di Little Italy: Ria Rosa’s.

Con il passare del tempo sembra che si tenda a dimenticare questa parte di Storia, forse perché non vissuta in prima persona. Abbiamo ritenuto necessario affrontare certi eventi, ricordando attraverso questa collezione il tempo in cui eravamo noi italiani ad avventurarci su “barconi” in cerca di una vita migliore.



Da dove nascono le ispirazioni? Un luogo, un artista, una città capaci di ispirarvi? 

La particolarità è che il nostro concept non segue nessuna linea guida. Si resetta sistematicamente in ogni collezione e come conseguenza è molto imprevedibile. Prima di realizzare le nostre capsule, passiamo anche mesi ad analizzare, studiare l’epoca scelta e le sue sub-culture, movimenti artistici, eventi storici rilevanti etc. per far sì che la realizzazione finale possa far immergere, il più possibile, chi osserva nello zeitgeist dell’epoca scelta. 

Senza dimenticare l’arricchimento culturale personale che si acquisisce durante il processo di studio e creazione. Ad esempio la nostra capsula f/w 2020 è interamente dedicata agli anni ’80/’90, più precisamente all’infanzia e adolescenza di quegli anni. Come conseguenza, anche la scelta dei modelli, come potrai notare nella campagna ed e-commerce, sono ragazzi giovani, dall’aria semplice e spensierata, che stanno a ricordare il feeling che si aveva nel vivere la propria gioventù di quegli anni. 

Lo stesso lo si identifica nei capi dove tutta la capsule gira intorno ad un look maggiormente informale, con hoodies cropped che richiamano il merchandise delle famose rock band indossate dai teen dell’epoca, felponi in stile maglia da calcio anni ’80, uno degli sport più popolari dell’epoca tra i ragazzini, T-shirt che si rifanno ai famosi magneti con letterine sui frigoriferi o alla nascita di Windows 3.2, giacche doppiopetto che ricordano i neon quando si entrava in una sala giochi Arcade…in poche parole una “mise en abyme”!

Cosa non deve mancare nel guardaroba di un uomo?

Vaderetro è un brand interamente genderless, quindi la cosa che non devo mai mancare nel guardaroba, a prescindere dal genere, è l’immortale T-shirt bianca.



Un consiglio di stile per i nostri lettori?

Se ti “stai sforzando”, forse ti stai sforzando troppo. Lo stile parte dall’accettare la tua unicità, le tue particolarità, le tue differenze, accettandole e soprattutto amandoti. Una volta che questo lavoro è finito, e lungi dall’essere il più semplice, lo stile arriverà. Lo stile riguarda la nostra natura unica.

Vostro motto personale?
Come disse il pittore Carlo Levi: “Il futuro ha un cuore antico”. Come diremmo noi, in stile Vaderetro: “The past is the present’s future.”

Progetti e sogni per il futuro?

Il sogno sarebbe riuscire ad affermarci non solo come brand di “abbigliamento”, ma come un vero e proprio movimento culturale, avere la possibilità di lavorare con enti ed associazioni che lottano per cause a cui noi teniamo in modo particolare.  Disegniamo vestiti per trasmettere un messaggio, ma non basta: c’è bisogno di una partecipazione pro-attiva e di un impegno concreto.

Progetti ed idee future ne nascono ogni giorno; nel concreto, stiamo sviluppando una collab con una famosa cantina vinicola italiana e lanceremo per l’inverno prossimo la nostra prima collezione di “accessori”, non inteso nell’ambito della moda, ma bensì pezzi di arredamento… e non possiamo svelare dire altro. Stay tuned!

Il percorso di Giorgio Avola, campione olimpico di scherma

Per il campione olimpico di scherma Giorgio Avola (nato a Modica l’8 maggio 1989) non si smette mai d’imparare. Lui è uno degli atleti italiani più medagliati nella scherma e studente di economia alla LUISS. Sport e studio del resto sono due vere palestre integrate nel suo programma quotidiano che gli ha portato nel tempo diverse soddisfazioni, frutto anche di tanti di sacrifici, come ci racconta lui stesso nella nostra intervista.


Foto: Roberto Chiovitti @robertochiovittiphotography
Abito: Boggi
Location: Centro di preparazione olimpica Giulio Onesti Roma


Come hai vissuto il periodo di lockdown e come il tuo allenamento ne ha risentito?

Il lockdown è stato segnato certamente dalla presa di coscienza del rinvio delle Olimpiadi.  Avevamo molta voglia di iniziare e quindi è stata una grande delusione dover mollare tutto. Tuttavia, non ci ho messo molto a trovare un nuovo equilibrio. Sono stato a casa in Sicilia dove ho continuato ad allenarmi normalmente. Inoltre, sono riuscito a dedicarmi anche allo studio. (Giorgio è iscritto alla facoltà di Economia alla LUISS di Roma ndr).

Qual è stato il tuo primo approccio alla scherma?

Ho iniziato a praticare questo sport sin da piccolo, all’età di 5 anni e ho capito sin da subito che era la mia disciplina. All’inizio è partito tutto da mia mamma che ha sempre amato la scherma e desiderava che diventasse per me una palestra di vita con i suoi valori importanti, oltre all’eleganza e allo stile. Così, dopo le Olimpiadi di Atlanta 96 decise di iscrivermi. 

La tua giornata tipo quando prepari una competizione?

Praticando una disciplina a livello agonistico, svolgo 11-12 allenamenti alla settimana, con doppio turno giornaliero. Uno al mattino presto, di preparazione atletica, e uno di scherma alle 18.30. Durante la giornata mi dedico invece allo studio e a seguire le lezioni. Questo mi porta a sacrificare molto amicizie e uscite serali, ma non mi pesa perché in questo momento preferisco investire solo su me stesso.

Una vittoria importante e una sconfitta particolarmente dolorosa?

È una domanda difficile, la vittoria dura poco e forse ricordo meglio le sconfitte.  Tra le vittorie, sicuramente l’oro Olimpico al fioretto maschile nel 2012 a Londra. Quanto alle sconfitte, l’Olimpiade di Rio dove ho perso la medaglia a causa di una stoccata finale, anche se comunque è stato un momento molto importante, perché è lì che ho deciso di riprendere l’università, una sconfitta positiva che mi ha dato uno stimolo nuovo.

Che rapporto hai con il tuo maestro Eugenio Migliore?

Ho un rapporto molto forte con il mio maestro, maturato sin da quando sono piccolo (ci alleniamo insieme da 25 anni), basato su grande fiducia sulla pedana e amicizia al di fuori. Tra di noi c’è un linguaggio tutto nostro, fatto anche di molti silenzi. Siamo in grado di capirci senza necessariamente aver bisogno di parlare. 

Oltre alla scherma hai anche una passione per la musica e la chitarra..

Purtroppo non ho molto tempo da dedicare alla chitarra e alla musica. Tramite quest’ultima riesco ad esprimere lati del carattere che con la scherma non riesco a tirare fuori, una sensibilità insolita rispetto a quando gareggio, che però fa parte di me.  Prima di una gara mi carico ascoltando alternative indie rock o hindie pop perché mi serve ritmo. Dopo la competizione magari un blues o qualcosa di rilassante.

Il tuo rapporto con la moda?

La moda è un altro modo per esprimere un lato della mia personalità e mi piace molto. Sono affiancato da Boggi Milano da molti anni. Sono molto metodico nella scelta dei look, a volte scelgo il giorno prima quello per il giorno dopo. Mi piacciono in generale look basici come i total black ma non voglio mai scadere nella banalità, quindi inserisco sempre un pezzo che possa colpire o che risulti originale.

Come utilizzi i social?

Mi piace comunicare quando ho qualcosa di vero da dire. Quindi vado a momenti, vivo i social come un’opportunità e non un dovere.

Quali sono i tuoi progetti futuri, dove sarai tra 5 anni?

Il primo progetto è la laurea, mentre tra 5 anni mi vedo a fare qualcosa che mi renda felice, che mi permetta di svegliarmi con grinta al mattino e affrontare la giornata. Mi auguro di poter gareggiare alle Olimpiadi di Tokyo nel 2021, ma non voglio affrontare l’argomento fino a che non ne avremo la certezza.

Festival mix 2020, ospiti e anteprime della kermesse dedicata al cinema queer

Un’edizione, quella del 2020, che si svolgerà dal 17 al 20 settembre attraverso una formula ibrida; ai tre giorni di proiezioni digitali in collaborazione con la piattaforma MyMovies si affiancheranno quattro serate di proiezione fisiche al Piccolo Teatro Strehler e al Piccolo Teatro Studio Melato.

Mix, dal 1986 rassegna cinematografica simbolo della comunità LGBTQ, sceglie così questa formula inedita per garantire al meglio le norme di distanziamento sociale, continuando a dare voce ai registi indipendenti più interessanti del panorama Queer.



Noi di Man in Town abbiamo intervistato per l’occasione Andrea Ferrari, CO-direttore artistico del Festival Mix:

Com’è stata l’organizzazione del festival in un anno così particolare? Ovviamente è’ stato molto complicato ma la forza del nostro progetto sta anzitutto in un lavoro di squadra che è costante durante tutto l’anno. Senza il nostro affiatato team nulla si sarebbe potuto realizzare in un periodo “normale”, figuriamoci nei mesi scorsi….e per quanto mi riguarda il mio primo pensiero e ringraziamento va a Debora Guma e Paolo Armelli che insieme a me dirigono il Festival.



Chi saranno gli opiti di questa edizione?

Con orgoglio posso dire che sarà consegnato il riconoscimento #MoreLove a Gino Strada e quindi come di consueto incoroneremo le nostre Queen.La Queen of comedy 2020 è Paola Cortellesi; la Queen of Music 2020 è Miss Keta. Ci sarà anche spazio per la musica dei Booda freschi di X-Factor e un’esibizione di vogueing della grande La B Fujiko. Non mancheranno momenti di comicità con Michela Giraud e Paolo Camilli….e tanto tanto altro. 



Considerazioni sul ddl zan in discussione in parlamento?

Posso solo dire una cosa che mi sembra scontata…. ma purtroppo non lo è per alcuni politici; una legge come questa può solo portare beneficio … non solo alla comunità lgbt ma alla società tutta e trovo veramente fastidioso che il dibattito in corso, come spesso accade quando si affrontano certi temi cari alla comunità lgbt, riesca solo a tirare fuori il peggio da certi personaggi pubblici, con affermazioni che quando non sono offensive  sono come minimo di una stupidià disarmante.


Due film in programma che non possiamo perderci?
And Then We Danced sull’amore contrastato di due ballerini georgiani e poi Welcome To Chechnya, testimonianza durissima sulla feroce oppressione antigay nel Caucaso, ma ce ne sono molti altri da non perdere.

Dankan DJ: da appassionato di musica elettronica a promessa della scena musicale milanese

Da un piccolo paesino a nord della Puglia all’Amsterdam Dance Event. Abbiamo intervistato Francesco Lopez, che ci racconta i suoi viaggi, la sua passione per la musica elettronica e di come un giradischi può influenzare per sempre la tua vita, al suono di Radiohead, Daft punk e Giorgio Moroder.

Quando hai iniziato a fare il DJ, quali erano le tue prime passioni, che aspettative avevi?

Ricordo bene l’episodio in cui è scoccato il colpo di fulmine per la console: ero molto piccolo, non ricordo l’età. Un giorno, io e mio padre siamo entrati in un negozio di dischi e, mentre lui chiedeva informazioni a un commesso, io iniziai a giocare con un giradischi e col vinile che era in negozio. Da allora, anche dopo vent’anni, non ho più smesso di pensare alla musica e a quel giradischi.

Le prime aspettative erano di convincere i miei genitori che quello non fosse solo un capriccio, ma una vera e propria passione.

Che tipo di musica ascoltavi?

Avevo come figura di riferimento “il deejay” ed ero attratto dalla musica da club, ovviamente. Seguivo la corrente dance degli anni 90 che spopolava in Italia, caratterizzata dai beat aggressivi ed energici. Contestualmente, iniziai anche a scoprire artisti e produttori di musica elettronica, come i Kraftwerk, Radiohead, Daft punk, Giorgio Moroder, Chemical Brothers e house come Frankie Knuckles, Bob Sinclair, Antonie Clamaran, Erick Morillo, Roger Sanchez, Arman Van Helden.

Guardando indietro, c’è una canzone che riassume l’atmosfera di quel tempo?

Ci sarebbero tanti brani, ma uno in particolare, che ho scoperto proprio durante i miei inizi, è One more time dei Daft Punk. È un disco che ho apprezzato sempre più col tempo e mi è entrato nel cuore.



Quali momenti considereresti come “la svolta” nella tua carriera fino ad ora?

I momenti che fino ad ora hanno segnato la mia carriera sono: la collaborazione come sound designer della Bookin Agency, con cui ho iniziato a collaborare nel 2016. Ho iniziato a suonare ai party, sfilate, eventi legati alla moda e al design, per poi partecipare all’ADE nel 2019.

Prima DJ, e poi producer, come sei entrato nel mondo della produzione musicale?

É stato un passaggio automatico, spinto dalle necessità espressive e dalle richieste lavorative. Ho affinato un po’ le mie competenze tecniche, frequentando un corso di sound design e da lì ho continuato a sperimentare con le mie passioni, mettendole al sevizio della comunicazione, producendo musica per eventi, spettacoli, show e sfilate.

Negli ultimi due anni, quali luoghi, città o culture ti hanno lasciato un’impressione particolarmente positiva?

Per me Ibiza rimane “la Mecca” per chi vuole cercare vibe giusti e ispirazioni. Sull’isola si concentrano stili e culture e, soprattutto in estate, puoi venire in contatto con nuovi trend, conoscere persone nuove, ampliare i tuoi orizzonti. É un’isola che ti fa crescere.



L’anno scorso hai partecipato all’Amsterdam Dance Event (ADE), raccontaci di questa esperienza.

È stata un’esperienza bellissima, che mi ha fatto sentire parte di un’industria che, nonostante i periodi difficili, è sempre attiva. All’ADE si ha modo di conoscere artisti, deejay, producer, discografici, manager, promoter, agenzie di booking, ed è un’ottima occasione per chi è appassionato o lavora nel settore della musica elettronica per capire le dinamiche di settore.

Io sono grato alla Delights Entertainement per avermi dato l’opportunità di suonare al loro party con artisti del calibro internazionale come CECE ROGER e ALEX GAUDINO.

Cosa ne pensi della correlazione tra moda e musica? Come s’influenzano l’un l’altra?

Una delle ragioni per cui ho iniziato a lavorare sulla produzione musicale è perché ho capito che la musica può essere uno strumento importante per comunicare. Quest’assioma si manifesta in maniera decisa soprattutto in ambito moda, dove il concetto e lo stile del designer, grazie alla musica, può arrivare in maniera diretta a chi guarda una sfilata o un video campagna.

Ci sono molti designer che, quando iniziano a disegnare una collezione, ascoltano musica che suscita loro ricordi o sensazioni. Può essere infatti molto d’aiuto nell’inventare cose nuove.

Quale diresti essere una delle abilità più importanti che qualcuno deve possedere per essere un buon DJ?

A mio avviso la figura del deejay è diventata sempre più importante e ricercata e la vera chiave del successo è essere sé stessi, senza essere scontati o banali. Avere uno stile proprio, meglio se unico ed identificabile.


Dove ti vedi nel prossimo futuro? Quali sono i tuoi progetti?

Mi piacerebbe entrare nel vasto ed infinito mondo della musica, imparando sempre più.

Al momento continuo a sviluppare progetti di musica elettronica, che spero per il prossimo anno di poter pubblicare. Inoltre, porto avanti tante collaborazioni con agenzie di produzione che mi coinvolgono come consulente per i loro eventi.

Riccardo Mandolini: da nerd a teen icon

Riccardo Mandolini, figlio d’arte, la mamma attrice Nadia Rinaldi e il papà regista e drammaturgo Mauro Mandolini, nasce con il cinema nel DNA; si è considerato un nerd fino all’età di tredici anni per poi diventare ana vera e propria “rising star” con la serie cult di Netflix “Baby”.Giovanissimo e molto preparato, riesce a stupirmi con ragionamenti lucidi e introspettivi sulla professione che gli è esplosa tra le mani, quella dell’attore.

E’ diventato anche una star sui social (su instagram ha 702K follower) e le sue fan lo inseguono, ma lui è felicemente fidanzato.

Nella gallery: Total look Prada

Foto: Maddalena Petrosino
Makeup: Simone Belli Agency
Hair: Mimmo la Serra
Styling: Eleonora Pratelli + Umberto Granata – Suite19pr

Come hai trascorso le tue vacanze?

Diciamo che sapendo che avrei dovuto lavorare a settembre, sono stato molto attento.

Ad un certo punto avrei avuto anche la possibilità di partire per la Sardegna, poi per una serie di imprevisti non sono riuscito, e mi son diretto verso Punta Rossa a San felice al Circeo con la mia ragazza.

La verità è che quando è successo tutto il disastro con la Costa Smeralda e la crescita di positivi, mi son spaventato per me stesso, perché non posso sapere come potrebbe reagire il mio corpo, e poi di conseguenza per il mio lavoro, come tutti i miei colleghi son stato fermo da marzo scorso e la voglia di riprendere è davvero tantissima.

Sei stato anche Ischia per il Global Fest …

Esatto si, è stata una bellissima esperienza e devo ringraziare Pascal Vicedomini per l’invito, e poi soprattutto sono molto amico dei suoi figli, specialmente di Matteo che è davvero un mio carissimo amico che definisco “cucciolone”, infatti me lo coccolo sempre ogni qual volta lo incontro.

Hai sempre saputo di voler fare l’attore?

La mia fortuna è stata che ho sempre odiato le baby-sitter, quindi escogitavo sempre il modo per farle impazzire, al punto di farle abbandonare il lavoro, costringendo i miei a portarmi in giro con loro.

In questo modo il set cinematografico è diventato il mio habitat naturale, senza però prefiggermi nessun obbiettivo.

Poi verso i tredici anni ho iniziato davvero ad appassionarmi al cinema, e anche se mia madre non me lo permetteva io di nascosto mi guardavo i film di Tarantino in streaming. E’ stata una vera svolta per il mio gusto e passione per il silver screen.

Invece il tuo primo debutto quando è stato?

Devo dire grazie a mio papà che è sia attore, sia regista teatrale. Ho avuto la possibilità di debuttare al Festival di Todi in uno spettacolo scritto da lui.

Il tutto si svolgeva nella famosa “Sala delle Pietre”, dove non c’è un palco vero e proprio, per me fu davvero un’esperienza unica, e poi non se solo per il fatto che era mio padre ma colleghi ed amici gli fecero tutti i complimenti.

Te la saresti aspettata tutta questa popolarità con il successo di “Baby”?

Assolutamente no, anche perché Baby nasce come “teen-drama”, che poi con una sapiente regia e sceneggiatura, e di conseguenza la costruzione dei personaggi lo ha portato a sconfinare e incuriosire diverse fasce di pubblico.

Ogni attore del cast è riuscito a farsi odiare e amare, anche con personaggi molto negativi come quello interpretato da Isabella Ferrari nel ruolo della madre di Alice Pagani, ma sempre facendo comprendere nel dettaglio il motivo di ogni azione ed emozione. Questa è stata l’arma vincente.

La mia unica polemica a chi ha fatto critiche negative sulla serie è che forse si sono dimenticati che comunque anche se ispirato a fatti realmente accaduti rimane una fiction.

Se avessero voluto rappresentare la sola verità del fatto di cronaca ne avrebbero fatto un film e non una serie TV.

Ti dispiace il fatto che siamo giunti alla terza e ultima stagione?

No, per il semplice motivo che quando vuoi bene a un progetto lo devi far finire così, e credo che la terza stagione sia il momento giusto, dove ogni personaggio prende coscienza di sé stesso.

Alla fine, raccontiamo la storia di questi ragazzi che frequentano il liceo, non avremmo potuto prolungarla fino all’università!

Il ruolo di Damiano te lo senti un po’ tuo?

Me lo porterò nel cuore per tutta la vita, anche perché non avendo studiato recitazione, ho dovuto far congiungere il mio bagaglio emotivo a qualcosa di scritto da un’altra persona cercando di avvicinarmi il più possibile a lui.

Damiano io non l’ho mai visto come il classico ragazzino incazzato, anzi doveva avere una dolcezza nell’essere diverso dagli altri, non perché avesse i muscoli, o perché vendesse il fumo, ma proprio per le esperienze che aveva vissuto e sofferto.

Perdere un genitore com’è successo a lui è un evento che ti segna, ma credo che ti segni anche a cinquant’anni, ti cambia, ti lascia un vuoto incolmabile.

Sei diventato un’icona di stile, sei sempre stato fashionista o lo sei diventato?

La verità è che mia madre mi ha sempre vestito carino, senza essere ne griffato ne nulla, tanto è vero che mia nonna mi chiamava il principino. Ora non posso dire che il mondo non mi sia cambiato, gli stilisti hanno piacere a farmi indossare i loro capi e io mi diverto… alla fine ho sempre vent’anni!

So che stai per partire con un nuovo progetto.

Sto per iniziare a girare un film prodotto da RAI cinema in puglia, si intitola “Ben tornato papà” per la regia di Domenico Fortunato che interpreta anche il ruolo di mio padre, e il cast è davvero fantastico perché insieme a noi ci sarà: Donatella Finocchiaro, Dino Abbrescia, Giorgio Colangeli  e Silvia Mazzieri di cui mi innamorerò nel film.

La metropoli rurale di Federico Cina

Il designer che canta al mondo della propria terra

Intervistiamo oggi Federico Cina, una giovane promessa del firmamento moda che con le sue creazioni sfida i confini tra locale e globale, maschile e femminile, tradizione e innovazione. Dalle sue origini tra i colli romagnoli alle esperienze nelle grandi capitali mondiali del fashion, Federico ci parla della sua brand identity e ci presenta, tra le tante novità, la nuova collezione s-s 2021 Corpi e Luoghi.



La moda è di per sé arte e come tale vuole comunicare messaggi e pensieri. Quali sono i valori celati dietro le trame romagnole delle tue collezioni?

Tutto è partito per dare omaggio e ringraziare a mio modo la mia famiglia, perché la stampa romagnola mi ricorda i pranzi della domenica passati insieme ai genitori e ai nonni. Vedere una giacca o un pantalone con quella fantasia mi ricorda tutta la mia infanzia, gli insegnamenti e i valori trasmessi dai miei cari. È una celebrazione e una rivincita: essendo nato a Cesena, e avendo vissuto nel piccolo paesino di Sarsina, mi sono sempre sentito un pesce fuor d’acqua, da piccolo sognavo la grande città, la fuga dalla campagna. Crescendo ho capito di amare il luogo dove sono cresciuto, il che mi ha spinto a dare omaggio a ciò che da piccolo non mi piaceva e che ad oggi rappresenta invece la mia identità. 

Cosa ti ha spinto a tornare a Sarsina?

Mi sono trovato benissimo nelle città in cui ho vissuto, rifarei tutto da capo, sono state esperienze necessarie. Ciò che mi mancava era proprio la verità del rapporto umano, la relazione sincera e trasparente tipica della mia terra. Molti spostamenti ed esperienze che ho avuto, soprattutto tra il 2016 e il 2017, mi hanno spinto e convinto a rientrare in Romagna. È stata la mia fortuna tornare, fondamentale per l’apertura del mio marchio, paradossalmente è partito tutto dal mio ritorno.

Il tuo background non si ferma perciò alla sola Romagna, vantando esperienze importanti come quella vissuta in Giappone e poi a New York, prima ancora della stessa Milano. Che peso hanno oggi queste tre culture sulle tue collezioni? Come ti ispirano e come convivono nei tuoi abiti?

Faccio un passo indietro dicendo che non riesco a trasmettere agli altri ciò che non sento in primis sulla mia pelle. Le esperienze che ho fatto in Italia e all’estero continuano ad influenzarmi, soprattutto a livello sociale; penso al senso del rispetto che ho imparato in Giappone, ad esempio. Ammetto di subire queste influenze in maniera inconscia, mi seguono e si mischiano mentre creo, è un processo puramente istintivo. Anche l’esperienza a New York presso Brooks Brothers è stata fondamentale a livello sia tecnico che sociale, così come Milano e la stessa Romagna. Tutti questi aspetti emergono nelle mie collezioni. Prendiamo ad esempio il completo uomo color rosso della collezione Corpi e Luoghi: le linee geometriche, pulite e precise ricordano la tipica mentalità quadrata giapponese mentre il retro dell’abito è ispirato al nodo dei grembiuli della nonna. Ogni esperienza che facciamo ci segue e ci influenza soprattutto, nel mio caso, nel processo creativo.



Parlando della collezione s-s 2021 Corpi e Luoghi hai riferito che essa costituisce un “omaggio alla memoria”. Che cosa intendi?

Si tratta dell’omaggio alla mia memoria, alla mia infanzia. Ci sono più corpi, più “me” che hanno vissuto in questi anni in luoghi diversi, dalla campagna alla grande città. Corpi e Luoghi rappresenta il primo debutto con la Camera Nazionale della Moda. La sfilata è stata posticipata a gennaio 2021 a causa della pandemia perciò il vero grande debutto è stato quello in occasione della Fashion Week digitale. In questa collezione ho voluto ripercorrere la mia vita fino ad oggi, perché si tratta esattamente di ciò che voglio raccontare attraverso i miei abiti. Presento le mie collezioni ogni stagione come diversi capitoli della mia vita; la trasparenza e la sincerità sono valori essenziali per la mia brand identity.

Il video di presentazione di Corpi e Luoghi sembra evocare una sorta di “chiusura del cerchio”: si vede l’infanzia di un giovane che cresce in un paese di montagna sognando la grande città, il tempo che scorre, lo sguardo nostalgico e alla fine la ricongiunzione tra i pezzi, la serenità dell’animo. Si tratta di una specie di resa dei conti?

È veramente una chiusura del cerchio. Come debutto alla Camera Nazionale della Moda volevo raccontare ciò che mi ha portato ad essere quello che sono. Come dicevo in precedenza, da piccolo non ero a mio agio in un piccolo paesino e il bambino del video rappresenta me, mentre guardo scontento la campagna e disegno grattacieli seduto in terrazza. Si vede poi un giovane ragazzo con la città proiettata addosso, come se il peso della medesima fosse troppo difficile da sostenere per lui. Alla fine un altro ragazzo, ancora più grande, si risveglia di nuovo in campagna, più tranquillo e sereno perché ha capito ciò che veramente ama. Il cerchio si chiude perché alla fine sono tornato alle origini e il premio è stato la trasformazione della sofferenza nella mia identità, nel mio stesso cavallo di battaglia, una vera e propria rivincita. 

I tuoi abiti riescono ad essere romantici, nostalgici, innovativi, maschili e femminili allo stesso tempo. Questo tratto rispecchia la tua volontà, cioè una moda libera dalla costrizione del genere e dalle etichette?

Assolutamente sì, vorrei portare l’abbigliamento femminile nell’armadio maschile. Molto spesso mi fanno questa osservazione ma ammetto che non c’è uno studio dietro, è un tratto distintivo del mio brand, fortunatamente ancora libero dalle regole del marketing. Noto sicuramente che la donna in abbigliamento maschile risulta alla moda e grintosa mentre l’uomo dall’aspetto femminile è soggetto spesso e volentieri di sguardi indiscreti. Sono contro tutte queste etichette, non lo specifico nemmeno più di tanto perché ad oggi mi aspetto che questa tendenza vada sempre più sgretolandosi. 



Si intende che la tradizione è per te di vitale importanza nonché pilastro dello stesso brand. È corretto dire che la collaborazione duratura con l’Antica Stamperia Marchi fortifichi ancor di più il sapore “glocal” delle tue collezioni?

Assolutamente sì. Per me l’Antica Stamperia Marchi costituisce un po’ il cuore della collezione e della brand identity, trattandosi proprio del posto in cui vengono fatte le tovaglie che mi ricordano la mia famiglia. È sicuramente il luogo in cui nasce tutto, soprattutto per il rapporto che ci lega. Mi hanno supportato fin dall’inizio anche se non presentavano esperienza pregressa nel settore abbigliamento, accettando persino la sfida di stampare a capo finito, il che richiede una tecnica molto delicata e specifica. Presentano una tradizione antichissima, essendo addirittura dotati di un mangano del 1633, una specie di enorme ruota di legno che funziona da pressa per la stiratura. Amo tra l’altro i tessuti il più possibile basici per poterci poi lavorare sopra. L’artigianalità dei miei capi parte tutta da qui.



Dal debutto nel 2019 ad AltaRoma con la collezione Romagna Mia all’ultimo gioiello Corpi e Luoghi: quale sarà il prossimo passo di Federico Cina?

Parto dicendo che il 7 settembre 2020 pubblicheremo un archivio digitale dove figureranno varie collaborazioni con diversi artisti che, partendo dalla stampa romagnola e dai design dei nostri abiti, presenteranno le proprie creazioni rivisitate. 

Segue poi questo lancio il nostro e-commerce, che verrà reso ufficialmente pubblico il 14 settembre 2020 presentando una nuova collezione totalmente ready-to-wear, realizzata artigianalmente con disegno tradizionale romagnolo.

La collezione a-w 2021 calcherà le passerelle a gennaio, godendo dello sponsor di Manteco, azienda leader del settore textile. 

Finisco dicendo che c’è poi una grande collaborazione in corso che farà il suo debutto durante la settimana della moda di settembre e saremo anche presenti, più o meno nello stesso periodo, all’evento di White Milano. Insomma, tante fantastiche novità.

Nicolò De Devitiis: una carriera on the road

Abbiamo incontrato Nicolò De Devitiis, reduce proprio in questi giorni dal Giffoni Film Festival. Nella nostra conversazione ci svela i progetti per la prossima stagione televisiva: sicuramente il ritorno a ‘Le Iene’ (dal 6 ottobre) con le dovute accortezze per realizzare i nuovi servizi e la voglia di intraprendere inchieste interessanti ma allo stesso tempo leggere e che rispecchino le sue passioni. E poi, un nuovo programma, ‘On the road again’ , dal 10 settembre in onda su Sky Sport e Sky Sport MotoGp con Guido Meda. 

Raccontaci qualcosa sul nuovo programma realizzato per Sky..

In On the road again, io e Guido Meda percorreremo in moto ( il mezzo perfetto anche per garantire il distanziamento sociale), in lungo e in largo l’Emilia Romagna. Guido intervisterà alcuni volti noti legati al territorio (tra cui lo chef Bruno Barbieri e la cantante Nina Zilli). Io invece, seguirò le stesse tappe incontrando le realtà autentiche della regione, tra cultura, cibo e aneddoti sulle varie località. Saremo anche a Imola per visitare il circuito e lì Incontreremo Andrea Dovizioso e Claudio Domenicali, Ingegnere e AD della Ducati. Sono davvero esaltato per questo programma, lavorare con Guido Meda è un sogno, lo seguo da quando sono un bambino e sono felice di questa nuova esperienza. 

Come è andata invece l’esperienza da conduttore del Giffoni film festival?

L’esperienza è stata molto positiva, Giffoni mi ha dato l’occasione per scoprire che i ragazzi della nuova generazione sono molto preparati. Hanno interagito in maniera intelligente con registi e personaggi di fama mondiale. Il bello di questo festival è che in un certo senso “prende il mondo e lo porta ai più giovani”. Io ho condotto il festival ma il cuore dell’evento sono proprio loro e il mio ruolo si è rivelato alla fine semplicemente quello di condurre e stimolarli a interagire.

L’immagine simbolo del festival quest’ anno rappresenta la Terra, cosa ne pensi di questa scelta? 

Sono molto attento alla salvaguardia del pianeta. Parlando di sostenibilità da un lato, sono sempre più attento al tema del riciclo in particolare allo smaltimento della plastica, dall’altro però possiamo pensare alla di terra non solo come cura del pianeta ma anche di radici e origini. A Giffoni ho parlato con Toni Servillo di Roma ( protagonista della sua Grande Bellezza e anche mia città d’origine). Per me terra è anche Roma, il Quartiere Monti cuore pulsante della città, Trastevere con il mio ristorante preferito (Da Teo).

Quali tra gli ospiti nazionali e internazionali ti hanno colpito maggiormente?

Certamente Silvester Stallone, Richard Gere,  e ancora Toni Servillo,  ma anche i giovani cantanti della scena musciale attuale come Gaia e Aiello.

Ci sono dei film in concorso che reputi particolarmente interessanti?

C’è un film che si chiama Sul più bello che appartiene alla categoria dramedy, un genere che alterna il drammatico e il comico. La colonna sonora è stata realizzata da Alpha, cantante da tenere d’occhio. Lo consiglio vivamente.

In generale è stata un’edizione particolare, all’insegna di distanziamento e protocolli di sicurezza, come l’hai vissuta?

Nonostante la situazione attuale, l’ambiente è stato davvero familiare e c’era molta energia positiva. Abbiamo dimostrato coraggio e determinazione nel fare un festival di questa portata. Con rigore giudizio ed educazione siamo riusciti a rispettare tutte le norme di distanziamento. I ragazzi erano 600 anzichè 6000 e abbiamo usato zoom per creare i collegamenti con i personaggi che non potevano essere fisicamente presenti. Un’edizione anomala ma certamente riuscita.

Ti interessa il mondo del cinema? Ti vedresti come attore? 

In realtà ho già recitato una piccola parte in Poveri ma ricchissimi con Christian De Sica. Amo molto  la commedia Italiana e con De Sica mi sono trovato davvero bene. In passato a Roma ho frequentato alcune scuole di recitazione ma adesso sto lavorando da 6 anni alle Iene, e nell’ambito della conduzione, settore i cui sento di dover migliorare ancora molto. Voglio concentrarmi sulla tv e mi piacerebbe parlare di musica in televisione, la mia vera passione insieme alla batteria. Non dimentichiamoci infatti che Nicolò ha creato e aggiorna costantemente una seguitissima playlist su Spotify, Divanoletto Groove (ndr).

Giacomo Hawkman, uno youtuber al Magna Grecia Awards

Essendo io non più esattamente un Millennial, scopro ed incontro Giacomo Hawkman, nel contesto del Magna Grecia Awards di Fabio Salvatore in Puglia, dove oltre a premiare le eccellenze della cultura e dello spettacolo, quest’anno hanno aggiunto un confronto tra i “meno giovani” ed i Millennials che con i social media a disposizione comunicano in maniera innovativa. La parola youtuber in Italia non è ancora chiara al grande pubblico, ma Giacomo ispirandosi al film “Perfetti sconosciuti” ha inventato il modo di far scoppiare le coppie.



Spiegami esattamente che cosa combini in giro?

Praticamente io mi diverto a fare delle interviste irriverenti in giro per l’Italia andando dalle coppie di fidanzati chiedendo di scambiare i cellulari per testare il livello di fiducia social, in tal modo da far controllare tutto quello che vogliono sul telefono del partner.

Casi eclatanti di litigi in diretta?

Sinceramente tanti, anche perché, una foto, un messaggino, decontestualizzato fa subito un certo effetto facendo sorgere dei dubbi al punto di far emergere delle vere e proprie magagne, facendo innescare uno screzio iniziale davanti alle telecamere, per poi proseguire in maniera più accesa dopo.



Però son dei pazzi a darti retta ed a fare questo giochino letale, come fai a convincerli?

Il mio approccio è sempre sul fare un test sulla tecnologia, del tipo meglio iPhone o Samsung, oppure a seconda della situazione mi invento qualcosa, il vero problema adesso arriva perché iniziano a riconoscermi, ma ragion per cui la fidanzata obbliga il fidanzato, il quale costretto non può esimersi dal farlo. Anche perché se si rifiuta, sarebbe già come fare una vera e propria ammissione di colpa, quindi al povero disgraziato non rimane che sperare che non riesca a trovarvi nulla di probatorio.

Come hai iniziato a fare questo delirio?

Sin dai tempi dell’università facevo video, scenette comiche, Candid Camera e poi dopo aver visto il film di Paolo Genovese “Perfetti sconosciuti”, ho realizzato di avere un passato sia da traditore che da tradito, mi son detto chissà come sarebbe traslare il film nella realtà. Lo smartphone è diventato la nostra scatola nera, chi non ha qualcosa da nascondere?

Poi comunque andando più indietro con gli anni, quando ero piccolo mio padre mi aveva regalato la mia prima telecamera ancora con le mini-cassette e riprendevo qualsiasi cosa, insomma questa è l’evoluzione della mia passione.



E dove li pubblichi i tuoi video?

Un po’ ovunque, su Instagram ovviamente solo delle pillole, poi Facebook e YouTube che sono in realtà il mio core business, anche se in Italia la parola youtuber fa pensare al ragazzino con i brufoli che si fa dei video nella cameretta. All’estero è una vera professione, un creatore di contenuti, nel mio caso un intrattenitore che distrugge coppie.

E uno youtuber come fa a guadagnare i soldi per il mutuo? 

Intanto c’è la pubblicità sia all’inizio del video che a metà che alla fine, e poi c’è il così detto product placement, che se si riesce a chiudere una campagna con il brand, poi viene inserito all’interno del video stesso. La cosa interessante è che non deve essere una marchetta, anzi bisogna cercare di costruire una storia ad hoc che sia divertente ed interessante per il fruitore.

E quando avrai finito di far scoppiare le coppie che farai?

Come ti dicevo la parte difficile si sta già verificando in quanto mi riconoscono, poi comunque ho un programma in radio e per il futuro spero di arrivare in TV, magari come inviato.



Alessandro Politi, una Iena dal cuore d’oro.

Incontro Alessandro Politi in Puglia al Magna Grecia Awards & Fest, dove viene premiato da Fabio Salvatore, ideatore e conduttore della manifestazione che premia le eccellenze e le persone che si sono distinte nella loro professione. Alessandro ci mette il cuore in ogni sua inchiesta che fa all’interno del programma che lo vede protagonista “Le Iene” di ITALIA1, a volte mettendo a rischio la propria vita, perché l’unica cosa che desidera quando fa un servizio è portare a casa la verità. Ha avuto la sfortuna di contrarre il Coronavirus dapprima, e poi di metterci la faccia con una delle inchieste più forti della sua carriera, scontrandosi con virologi ed immunologi, ma cosciente del fatto che qualcosa stava per essere taciuto per interessi di qualcuno, come sempre Alessandro ci ha aiutato ad aprire gli occhi sulla realtà dei fatti.



Come hai iniziato a fare il giornalista?

Sono figlio di giornalisti, tra cui mio padre davvero bravissimo che stimo all’infinito, in realtà io ho iniziato scrivendo di moda all’età di quindici anni, tra virgolette paesana, nel senso che davo i miei consigli sulle tendenze del momento. E anzi fu proprio mio padre a stimolarmi a mollare la playstation ed iniziare a scrivere seriamente, e così ebbi la mia prima rubrica che si chiamava “Moda e Modi”. Con tutta l’ingenuità che si può avere a quell’età iniziai, per poi presto passare alla cronaca.

E come si sono sviluppati i tuoi studi?

Mi sono laureato in giurisprudenza, ed ho sempre alternato tre mesi in giro per il mondo come in Cina, o Miami, piuttosto che in Austria dando esami ad ogni rientro in Italia, dandomi la possibilità di viaggiare e conoscendo posti nuovi e nuove culture che fanno parte del mio bagaglio culturale che tutt’oggi mi porto dietro.



Invece come ti è venuta l’idea di fare “la Iena”?

Parti dal presupposto che il mio sogno è sempre stato far parte del programma e l’ho sempre inseguito in tutti i modi, ma diciamoci la verità, in quanti magari lo vorrebbero fare. Fa parte di quei lavori, un po’ come il calciatore che rimane nel range dei lavori ambiti dal grande pubblico, in questo devo dire che la mia famiglia mi ha sempre disincentivato. Su questo mi sono sempre battuto, perché quando ti dicono che ce la fa uno su centomila, io mi son sempre detto: “ma perché non dovrei essere io quello lì”. Quindi credo fermamente che sia un errore madornale quello di limitare i sogni dei propri figli da parte dei genitori.

Ora dimmi, come sei arrivato ad ITALIA1?

In quel momento stavo facendo un programma che raccontava il mondo della moda sul web e proprio in quel periodo ho conosciuto una persona che stava lavorando ad un nuovo programma di ITALIA1 che era uno spin-off delle Iene, condotto dalla nostra amatissima Nadia Toffa “Open Space”, così mi proposero di andare a fare un casting in quanto cercavano persone giovani e soprattutto nuove. Insomma, la notte prima non ho nemmeno dormito per l’agitazione, e poi il giorno seguente Nadia e gli altri autori mi hanno scelto.

Te lo ricordi il tuo primo servizio?

Ovviamente si, era sempre sull’ambiente della moda, son andato in giro con telecamera nascosta in tutte le agenzie di modelle di Milano fingendomi l’agente di una modella bellissima ma leggermente fuori misura, stiamo parlando di un 90 cm di fianchi, insomma mi son sentito dire senza filtri che era grassa che non doveva mangiare e che avrebbe dovuto perdere almeno sei centimetri, abbiamo fatto scoppiare una vera bomba. A quel punto Nadia mi ha portato alle Iene. Lì è partito il mio cammino al fianco di Davide Parenti, prima come autore, e poi come vero infiltrato con servizi creati da me.

E poi veniamo alla tua massima esposizione tuo malgrado dopo essere risultato positivo al COVID19.

La mia esperienza personale è stata davvero durissima più a livello psicologico che fisico, perché fortunatamente non ho avuto grandi problemi per il Coronavirus a parte la febbre alta per un paio di giorni e difficoltà respiratorie, insomma ho fatto influenze molto più gravi di questa. Invece psicologicamente questo continuo martellare da parte di colleghi, con bollettino dei morti non riuscivo a capire per quale motivo lo stessero facendo, in quanto forse non si rendevano conto del danno che stessero infliggendo sulle persone a casa. A un certo punto ho dovuto smettere di guardare la TV perché stavo iniziando davvero a pensare forse non ce la farò.



E poi cosa ti è scattato nella mente?

Per fortuna ha avuto la meglio la mia indole da Iena e con Davide Parenti e Marco Fubini siamo riusciti a trasformare questa mia “sfiga”, in un messaggio di speranza per gli altri. Si parlava solo di immunodepressi, ma la pandemia ha creato tanti nuovi depressi a causa di un’informazione incerta e frammentata. Il mio problema è stato che quando telefonavo negli ospedali e chiedevo quanto ci voleva a negativizzarsi, la risposta era dai sette ai quattordici giorni dalla scomparsa dei sintomi, io ero arrivato al ventottesimo da positivo, con quattro tamponi alle spalle. Io non volevo uscire allo scoperto e veicolare il mio problema come hanno fatto tanti altri dal giorno 1. Quando invece l’ho fatto ne è uscito davvero un pandemonio, mi hanno intervistato televisioni asiatiche, russe, rumene, insomma avevo sollevato un polverone. Sono stato il primo ad andare contro all’OMS, in quanto dei giorni di positività non se ne parlava prima.

E alla fine che cosa hai fatto?

Avevo perso sette kg, ed io sono già magrolino di mio, ora ne ho ripresi tre, ma son sempre un po’ l’ombra di me stesso. La prima cosa che ho fatto è stata quella di donare il plasma, ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita, sono fermamente convinto che sia una buona soluzione, ma ci sono troppe polemiche a riguardo, vedremo cosa succederà nei prossimi mesi.

A day with Diego Thomas

In giro per Roma con l’architetto e giudice di Cortesie per gli ospiti

Diego Thomas in posa
Diego Thomas posa
Diego Thomas con la cravatta
Diego Thomas giacca blu
Diego Thomas camicia bianca

Foto 1: Total look Gucci

Foto 2: Camicia Gucci e Impermeabile e jeans Ferragamo

Foto 3: Total look Gucci

Foto 4: Camicia Gucci e Impermeabile e jeans Ferragamo

Foto 5: Camicia Shirtstudio, Pants Fila


A Roma – città dove vive e lavora –  abbiamo incontrato Diego Thomas, l’architetto che ha appena finito di girare la nuova serie di Cortesie per gli ospiti. Tra il serio e il faceto abbiamo fatto un giro per la capitale alla scoperta dei suoi luoghi del cuore.

Ecco i posti dove potrete incontrare Diego e il suo cane Paco passeggiando per la capitale.

Fare jogging al Circo Massimo e sentirsi l’atleta  più acclamato della Roma imperiale

Chiacchierare sotto le stelle seduto sugli scalini di una delle tante scalette di trastevere, poi su altre, poi su altre, poi su altre…

Illudersi di fare tutta la pista ciclabile lungo il Tevere da nord fino al mare e rinunciarci per un gelato vicino al grande raccordo anulare

Prendere il sole cullati dallo scroscio delle cascatelle del Tevere sugli argini dell’Isola Tiberina

Fare un giro di vernissage nelle gallerie tra via Giulia e via dei Coronari per essere aggiornati dai galleristi sugli ultimi pettegolezzi nell’arte

Andare alla ricerca del capo vintage che proprio mancava nel guardaroba per i negozietti del rione monti e tornare a casa vestiti da hippy

Andare a prendere un caffè in piazzetta la domenica e incontrare talmente tante persone che la domenica è già finita

Armarsi di metro in tasca e girare in tutti i mercatini e robivecchi a cercare il mobile dalle dimensioni perfette

Avventurarsi in un piccolo tracking nella foresta nelle zone selvagge di villa Ada o villa Pamphili, poi aperitivo fashion in centro

Innamorarsi per i negozi di antiquariato e modernariato di pezzi che non sai dove mettere ma “vabbè intanto li prendo”

Accendere una candela in qualche intima chiesetta nascosta tra le vecchie case, in quelle grandi e famose la candelina si confonderebbe con le altre

Essere catapultati in giappone nel giardino zen dell’orto botanico

Rinvigorirsi davanti all’imponenza del Foro di Augusto: non avevano l’elettricità, internet e neanche instagram ma erano forti

Scegliere una via, assegnare a ogni palazzo una data di costruzione, calcolare la media matematica, la mediana, frullare bene in una matrice e giocare il risultato al lotto

Lanciare i legnetti al mio bassotto Paco su una  spiaggia deserta in un’assolata giornata di primavera, a volte li riporta.

Passare incolumi tra il dominio dei principi Orsini e dei Colonna elencando tutte le differenze tra quelli di Roma Nord e quelli di Roma sud, rivali fin dal quattrocento e per quanti secoli ancora?

Crediti foto:

Talent: Diego Thomas

Fotografo: Manuel Scrima

Location: Hotel Valadier – Roma

Grooming: Francesca Bova

Special thanks: Sonia Rondini

One day with Antonio Nunziata

Classe 1998, Antonio Nunziata è un talent che ha iniziato a lavorare nella moda dal 2015. Dopo aver collaborato con numerose aziende di abbigliamento, a seguito delle ultime vicende legate al periodo del lockdown, lo vediamo protagonista di numerosi progetti legati al turismo e alla valorizzazione delle bellezze nel nostro paese. Lo abbiamo incontrato e ritratto a Roma, città in cui vive e lavora spostandosi dalla sua amata Napoli.

Foto: Manuel Scrima

Styling: Vincenzo Parisi


Racconta il tuo percorso, di studi e lavorativo..

All’età di 15 anni ho iniziato a scattare le mie prime campagne a Napoli come modello. La prima mi fu proposta da un amico che lavorava per una piccola azienda nel Vesuviano. Mi chiese di scattare qualche foto per un’azienda di moda e questa è stata la mia prima campagna. Da lì ho anche girato qualche spot pubblicitario in tv e ho aperto la mia pagina Instagram su cui condividevo gli scatti che via via realizzavo. 

Contemporaneamente frequentavo il Liceo Scientifico e dopo il diploma, a 19 anni, mi sono trasferito a Milano. Avevo una gran voglia di mettermi in gioco e fare un’esperienza di vita lontano da casa, anche per misurarmi con le sfide di un mondo adulto e diverso da quello in cui sono cresciuto; un’occasione per crescere e cogliere le opportunità di una metropoli super dinamica e complessa. Lì ho avuto le mie prime esperienze lavorative anche in altri settori. 

Come sei arrivato al mondo influencer e social?

Ho impiegato del tempo per capire le potenzialità che avevo in mano. Durante la mia permanenza a Milano continuavo a curare il mondo “social” parallelamente al mio lavoro, dove ho potuto conoscere e frequentare tante persone e da lì sono nate grandi amicizie. In quel periodo mi sono reso conto anche cosa non mi piacesse di questo mondo fatto di luci e scatti. Mi ci sono ritrovato dentro, ma non era nei miei piani. Al liceo pensavo di fare il modello, influenzato da quelle prime opportunità di lavoro, crescendo poi mi son accorto che non era ciò che volevo.

Quali sono le passioni che coltivi o che vorresti avere tempo di seguire?

Più di ogni altra cosa amo viaggiare. Infatti è ciò su cui sto focalizzando il mio profilo Instagram ultimamente. Durante questo periodo di crisi sanitaria, sociale ed economica, si è molto parlato di opportunità e di strategie per rimettere in moto il Paese. Il turismo è stato sicuramente uno dei settori più colpito in Italia e nel mondo. Abbiamo la fortuna di possedere circa il 70% dell’intero patrimonio artistico e culturale e tutto questo va valorizzato. 

Viaggiando ho imparato ad apprezzare le incredibili bellezze e ricchezze del nostro territorio. Tengo molto a cuore il Paese in cui sono nato, in particolare la Campania, Napoli e tutti i tesori che abbiamo, un motivo di orgoglio per il mondo intero. E’ iniziata così la voglia di promuovere collaborazioni per la promozione del turismo. Provo a dare fiducia ai miei follower incoraggiandoli a tornare a viaggiare in Italia, muoversi, scoprire le bellezza e l’offerta eno-gastronomica che è presente in tutto il territorio nazionale. Ogni viaggio che sto facendo è una scoperta sorprendente anche per me, quindi non faccio altro che riportare quelle che sono le mie impressioni ed esperienze, sperando di poter dare nel mio piccolo un contributo al turismo italiano, possibilmente responsabile ed ecosostenibile. Altre mie passioni sono il nuoto e il fitness che spero di riprendere in modo costante appena sarò più stabile e naturalmente la fotografia.

La tua giornata tipo?

Sono un tipo abbastanza mattiniero. Sveglia alle 8, ricca colazione, check delle notizie principali sui giornali online e subito palestra o nuoto. Verso pranzo rispondo alle mail e poi in base agli impegni mi organizzo la giornata. In ogni caso non amo la routine. 

La tua playlist – le tue 5 canzoni del momento?

Vienimi (a ballare) – Aiello , Erykah Badu – On & On, Bimbi per strada – Fedez, Chega –  Gaia, Savage Love – Jason Derulo.

I tuoi posti del cuore dove torni a ricaricarti o cui sei particolarmente legato?

Senza dubbio, la costiera amalfitana! E’ il posto dove stacco i pensieri , spengo il cellulare e passo ore e ore a passeggiare e osservare il paesaggio. 

Che stile hai? Cosa non manca nella tua valigia quando viaggi? 

Come è possibile capire dal mio profilo, ho uno stile abbastanza casual. Alcune volte passo a quello più elegante. In ogni caso la parola d’ordine è: camicie. Non mancano mai nel mio armadio e in valigia. Sono quasi ossessionato, ne ho di tutti i tipi. Monocromatiche, a righe, floreali, cotone, lino, seta etc. Proprio non posso farne a meno. 

Il tuo rapporto con la moda?

Sto imparando a conoscerla. E’ un mondo tanto straordinario quanto complesso che va studiato e conosciuto prima ancora che utilizzato per scopi commerciali. Personalmente non ho gusti “estremi” o eccentrici e difficilmente mi lascio condizionare dai trend del momento. Per certo posso dire che se è italiana è meglio. E non lo dico per solo campanilismo. Sono consapevole che il Made in Italy sta vivendo un periodo di fragilità, assediato dalla competizione manifatturiera di altre aree del mondo che però non garantiscono le nostre stesse performance e qualità. E’ qui che ci giochiamo la partita. In un mondo globalizzato è difficile anche per noi influencer poter collaborare, non dico solo, ma soprattutto con marchi italiani. Ultimamente una sartoria pugliese mi ha spedito una giacca di lino superlativa per qualità e bellezza. Un prodotto tipicamente artigianale, motivo di orgoglio per chi come noi non dovrebbe solo limitarsi a indossare un indumento per scattare, ma anche capirne la storia, il lavoro e la creatività che ci sono dietro a quel capo. Mi piacerebbe che i marchi italiani, soprattutto i piccoli, conoscessero meglio il “mercato dei talent” e noi viceversa il mondo dell’artigianato e della sartoria italiana per far crescere insieme questo mercato con maggior consapevolezza e qualità. 

Cosa vuoi fare da grande? E progetti per il futuro..

Ho intenzione di studiare recitazione, vorrei fare l’attore. È uno dei miei prossimi obiettivi. 

CREDITS:

Talent: Antonio Nunziata @antonionunziata

Fotografo: Manuel Scrima @manuelscrima

Styling: Vincenzo Parisi @vincent_parisi

Grooming: Francesca Bova @francesca_bova_

Jean-Luc Salathiel Meledje: influencer on the rise

Dagli esordi come modello è diventato una presenza fissa della nightlife milanese. Da lì a poco l’apertura di un blog per gioco, tutto basato sulla condivisione della sua vita glamour. Ama lo stile sporty, viaggiare e conoscere nuove culture. E’ inarrestabile: dalla TV ai set ai social, Jean-Luc Salathiel Meledje è l’influencer che vi segnaliamo questo mese.

Parlaci dei tuoi esordi..

Ho iniziato lavorando come modello e fotomodello sotto agenzia su Milano: in quel periodo i primi blogger non ancora definiti influencer muovevano i primi passi; io non avevo ancora inziato ad aprire un blog perché l’attività di modeling mi portava via molto tempo e non avevo certo il tempo di mettermi a scrivere su un blog! Poi all’improvviso da modello qualunque ho iniziato a inserirmi nell’ambiente dei cosiddetti “party” anche grazie alle conoscenze che facevo tramite i casting o durante i lavori sui set, c’era la stylist o il fotografo o l’editore e anche la stessa agenzia ad invitarmi agli after party delle Fashion Week.

Ho iniziato a condividere le mie esperienze sui social quindi parliamo inizialmente di Facebook, Tumblr, Twitter e non ancora Instagram. Postavo di tutto! Era un vero e proprio diario della mia vita! Poi dopo qualche mese ho aperto il mio blog Theyoungissue.com, che è anche l’espressione del mio stile. Si rivolge a ragazzi come me che si sono avvicinati alla moda forse non prendendola troppo sul serio, ma comunque con voglia di esprimersi. Le persone che seguono il mio blog sono giovani ragazzi che sono disposti a osare e allo stesso tempo divertirsi. Mi considero forse un po’ estroverso, ma non ho paura di indossare un capo che forse un ragazzo della mia età non indosserebbe mai, sono un amante della vita e della moda a 360 gradi. Tramite il mio blog ho iniziato a essere notato dagli uffici stampa e dagli stessi brand per cui avevo lavorato precedentemente come modello, ho iniziato a essere invitato ufficialmente non più tramite altri ma perché volevano me, il mio nome, la mia immagine, la mia espressione e il mio mood a sfilate con il mio invito personale e posto a sedere, a partecipare a campagne pubblicitarie, ad eventi e party indossando il capo del brand. Da lì a poco ho aperto Instagram e tutto ciò che condividevo sul blog in parallelo veniva condiviso anche su Instagram e da lì a poco ho iniziato ad avere molto seguito fino ad arrivare ad oggi a 96.000 mila follower, persone che mi seguono e che apprezzano ciò che faccio e mi chiedono consigli, idee, aiuto per come gestire i propri profili social. Instagram mi ha aiutato moltissimo a sviluppare la mia carriera nel settore moda; ho potuto collaborare con magazine importanti tra cui: Elle.it, Gq Italia, Rolling Stone Italia, I-D, Marieclaire.it, Vogue italia, Vanity Fair, rilasciando interviste personali, realizzare progetti di Shooting per interpretare il mood di un brand.

Tra gli highlight della tua carriera c’è la partecipazione a Riccanza di Mtv. Qualche aneddoto divertente?

Sì, è vero! Parallelamente alla carriera di modello  ho studiato recitazione e lavorato molto per spot pubblicitari; per video musicali internazionali e recitato nella sitcom di “Alex & co. 2” per disneychannelitalia. Quindi non sono nuovo alle telecamere: Milano è un ambiente piccolo per quelli che sono del settore e quindi ci si conosce tutti dopo un po’. Quando Mtv Italia ha lanciato il format “Riccanza” sono rimasto affascinato: era divertente, fresco, pazzo un po’ come me. A una festa per caso ho avuto modo di conoscere Cristel Isabel Marcon, una delle protagoniste di Riccanza fin dalla prima stagione. Siamo diventati amici da subito, abbiamo condiviso molte esperienze divertenti, tra cui anche un after party di Paris Hilton! Io ho preso parte alla quarta stagione di Riccanza, l’edizione Deluxe! Secondo me la migliore, devo dire! Come amico di Cristel è stato divertentissimo girare Riccanza: la troupe e gli autori sono fantastici: ci hanno dato ampio spazio di parlare di ciò che volevamo e delle esperienze che ci stavano capitando in quel periodo. Un aneddoto divertente è questo: in una scena di noi riuniti dovevamo “sbocciare” per un tot. di volte e poi rigirare la scena e bere dal flut senza simulare…Beh, dopo qualche bicchierino le bollicine hanno iniziato a fare effetto ed eravamo molto euforici, però la scena è venuta benissimo comunque!

Il luogo che più ti entusiasma del nostro pianeta?

A me piacciono molto i posti esotici e che hanno una storia alle spalle, mi piace visitare l’essenza del luogo e riviverla dentro di me, con il mio blog jowatravel ho iniziato a viaggiare un po’ per il mondo. Uno dei posti che mi ha affascinato di più è Marrakech, la gentilezza delle persone, i colori, i profumi, i riad e i loro colori; il design e la cura dei dettagli, il cibo. Un posto magico e incantevole. 

Descrivi il tuo outfit ideale. Forme e brand.

Da due anni sono diventato brand ambassador di Russell Athletics tramite il gruppo BB Group UK (con #iconicr). I capi sportivi mi sono sempre piaciuti: in origine erano un tabù nel senso che mai qualcuno poteva pensare che si potessero utilizzare per contesti come eventi, cocktail, presentazioni. Essendo di per se’ un capo sportivo il suo unico utilizzo era destinato alla palestra o per attività sportive. Questa evoluzione e concezione negli ultimi tempi è cambiata; indossando Russell mi sento a mio agio; ben vestito e confortevole; le persone che acquistano questo capo sono persone di fascia normale, ricercano la comodità e la possibilità di utilizzare un capo sportivo anche in diversi contesti come dicevo precedentemente; quindi un capo particolare e facilmente indossabile. La combinazione di sport e moda da un’immagine  che può essere utilizzata per vari contesti; prodotti di qualità e dal tessuto confortevole e modellante. 

Se non avessi fatto l’influencer e il consulente d immagine, cosa avresti fatto?

Sono anche appassionato di arredamento e architettura quindi penso che avrei perseguito questo tipo di carriera e avrei cercato di lavorare per Architectural Digest che amo da impazzire!

Le ultime cinque canzoni che hai ascoltato su Spotify?

 Doja Cat: Like That 

 Travis Scott: Highest in The Room 

 Elodie: Guaranà 

 Tinie Tempah feat Not3s: Top Winner 

 Rosalía feat Ozuna: Yo x Ti 

Descrivi la tua casa ideale. E quale è la tua stanza preferita?

Io amo molto il caldo e il mare; la mia casa ideale dovrebbe essere su un’isola, ad esempio Fuerteventura. Ha un clima perfetto per viverci, una grande villa con piscina, dallo stile messicano o arabo: mi piace molto lo stile architettonico che usano, con ampie porte e vetrate e dal colore acceso, magari rosso o rosa, con un piccolo giardino dove poter coltivare le verdure e la frutta biologica, 3 o 4 bagni e diverse camere da letto per ospitare gli amici che mi vengono a trovare. La mia stanza preferita è la camera da letto, il luogo più sacro per me, perché è dove ti riposi da una giornata lunga e dove dormi la sera.

Genere cinematografico preferito? Attore e attrice?

Ho tre generi preferiti: fantascienza, drammatico e thriller. Attore preferito: Ryan Gosling. Attrice preferita: Isabelle Huppert.

Cosa ti auguri per il tuo futuro?

Per il mio futuro mi auguro di crescere sempre di più sia dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista caratteriale; di tenermi cari gli amici che ho e di potermi innamorare follemente! 

Prossimi progetti?

A Settembre se tutto va bene parteciperò al Festival Di Venezia; sarei dovuto andare anche a Cannes ma per via del Covid è saltato tutto! L’anno prossimo andrò al mio primo Coachella! E per l’autunno prenderò parte all’inaugurazione e al lancio della nuova collab di H&M. Sto lavorando anche con la persona che mi segue in ambito televisivo per un nuovo format che ho ideato insieme a una mia amica, speriamo presto di chiudere il contratto! E mi piacerebbe partecipare a Pechino Express. Con Mtv ci sono dei nuovi format che devono prendere piede quindi sto valutando un po’ di cose. E riprenderò i miei viaggi con il mio blog: quest’anno abbiamo pensato di andare a Trinidad e Tobago. Non ci sono mai stato ma ho visto un paio di video è un posto davvero affascinante!

Dietro le quinte della prima digital fashion week italiana: Caterina Ercoli

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano il proprio approccio alla digitalizzazione della Settimana della moda  

Production Alessia Caliendo
Interview Francesco Vavallo

Ph Matteo Galvanone

Caterina Ercoli, buyer presso Antonioli, luxury boutique e punto di riferimento degli amanti dello shopping, dopo aver conseguito studi economici, si specializza nello studio del prodotto diventando una delle buyer italiane più conosciute.

Quali sono le strategie digital utilizzate ai fini del buying durante le attuali campagne vendita?


L’approccio è sicuramente cambiato, attuiamo una strategia di acquisizione più che di ricerca, di brand.
Noi buyer siamo diventati dei semplici spettatori della moda. Non c’è più possibilità di avere un confronto o di poter esprimere il nostro punto di vista sulla collezione interfacciandomi con i nostri colleghi del popolo della moda. Le campagne vendita sono sicuramente cambiate, se in positivo non so. 

Pensi che tale rivoluzione digitale, che ha reso la presentazione delle collezioni assolutamente mainstream, esplorando e promuovendo nuovi linguaggi visivi degni del più rivoluzionario film festival, possa segnare la fine degli eventi fisici

Spero vivamente di no. Gli eventi sono molto importanti nel nostro settore, come detto prima, danno la possibilità di interfacciarsi con diverse realtà e con gli addetti ai lavori.

Quanto è cambiato il tuo mindset professionale Post Covid? 

Sicuramente sto viaggiando molto meno e mi avvalgo dei supporti digitali per continuare il mio lavoro di buying. Potrei dire che ne stiamo giovando tutti sotto l’aspetto lifestyle e spero che questa metodologia venga utilizzata anche nelle prossime pre-collezioni. Riguardo lo smart-working non credo possa che possa diventare “la normale prassi”, abbiamo bisogno di fisicità e di poter toccare il prodotto. 

Quale sarà la nuova visione dell’uomo post-pandemia?

Dopo questi ultimi digital-show ho notato dei look sempre più sobri e basati sul daily-wear, ma devo dire che anche il lounge-wear sta avendo il suo spazio. Credo in ogni caso che l’impossibilità di spostarsi e viaggiare in maniera libera e sicura abbia condizionato o che comunque condizionerà la creatività dei designer.

Se dovessi fare proiezioni per la prossima stagione quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Credo che tutto sarà più digitale che fisico. I negozi sono fortemente penalizzati ma i canali on-line stanno reagendo in maniera positiva e sono in crescita. Gli eventi moda ai fini della comunicazione del prodotto saranno esclusivi e per gli addetti ai lavori. 

Dietro le quinte della prima digital fashion week italiana: Serdar Uzuntas

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano il proprio approccio alla digitalizzazione della Settimana della moda  

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Serdar Uzuntas, designer originario della città di Izmir, a seguito degli studi presso la Central Saint Martins di Londra ha lavorato alla creatività di alcuni marchi a Istanbul, ma è già dalla sua prima collezione che il suo eponimo marchio menswear viene selezionato e presentato a Pitti uomo e, a seguito, durante la Milano Fashion Week.

Parlaci del progetto visivo ideato per la prima Digital Fashion week Made in Italy e quali sono state le fasi di produzione.

Il messaggio del prodotto visivo realizzato trasmette un senso di pace e consapevolezza. Vale a dire che, nonostante tutto, siamo sopravvissuti e stiamo bene.  E’ la profonda positività a contraddistinguerlo come la felicità che esplode in ogni forma d’arte. Mi sento di invitare tutti a danzare con ottimismo senza rimpiangere la mancata presenza delle presentazioni e degli show.

Pensi che tale rivoluzione digitale , che ha reso la presentazione delle collezioni assolutamente mainstream, esplorando e promuovendo nuovi linguaggi visivi degni del più rivoluzionario film festival, possa segnare la fine degli eventi fisici

Gli eventi fisici si fonderanno con quelli digitali.  In questo momento però è davvero importante pensare alla tutela della nostra salute quindi ben venga l’utilizzo delle piattaforme digitali per promuovere il prodotto moda.

Quanto è cambiato il tuo mindset professionale Post Covid? 

La vita è una sola e dobbiamo avere cura di noi stessi. Il mio mindset creativo è stato pervaso dalla gioia di circondarsi dalla bellezza della ricerca. Il momento di progettazione è stato focalizzato sul creare una collezione semplificata al massimo, confortevole e sostenibile. 

Come ha reagito la tua vena creativa nell’immaginare un uomo post pandemico?

E’ un uomo che ama il lifestyle ed ha un approccio cosmopolita.

Il viaggio è nelle sue vene e la palette cromatica rispecchia tutti i luoghi che ho personalmente vissuto girando per il mondo.

Se dovessi fare proiezioni per la prossima stagione quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

La tecnologia sarà più forte che mai e condizionerà il nostro lavoro nel bene o nel male. Ho una visione alquanto fantascientifica del prossimo futuro e, da amante del genere, non vedo l’ora che ciò accada.

Dietro le quinte della prima digital fashion week italiana: Les Hommes

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano il proprio approccio alla digitalizzazione della Settimana della moda  

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Il duo di stilisti belgi Tom Notte e Bart Vandebosch sin dal loro primo incontro alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa hanno formato un duo inseparabile nel segno del luxury menswear. La loro visione della moda ha portato Les Hommes ad essere uno dei marchi di abbigliamento maschile più apprezzati per originalità, più volte protagonista della settimana della moda maschile di Milano.

Parlateci del progetto visivo ideato per la prima Digital Fashion week Made in Italy e quali sono state le fasi di produzione.

Il progetto visivo presentato durante la Digital Fashion Week è simile all’iconicità e alla storicità dei video clip musicali di MTV. In qualche intenso minuto abbiamo dovuto raccontare i look e l’essenza della stagione nel rispetto del nostro DNA.

Pensate che tale rivoluzione digitale , che ha reso la presentazione delle collezioni assolutamente mainstream, esplorando e promuovendo nuovi linguaggi visivi degni del più rivoluzionario film festival, possa segnare la fine degli eventi fisici

Siamo nel pieno di un’evoluzione, tutto va estremamente veloce. Possiamo produrre video al massimo dell’espressione creativa ma gli show non saranno assolutamente valicati dalla digitalizzazione degli eventi. Adesso, però, abbiamo la possibilità di scegliere ed esprimerci in un altro modo. Una stagione  si può optare per la presentazione digitale, un’altra per lo show. 

Quanto è cambiato il vostro mindset professionale Post Covid?

Il mindset creativo non è realmente cambiato e l’essenza è rimasta la stessa. Forse abbiamo un maggior senso di realismo, abbiamo eliminato il superfluo e siamo tornati all’essenza pura del brand. Tutto ciò che è derivato dal lockdown è estremamente positivo e sostenibile.

Come ha reagito la vostra vena creativa nell’immaginare un uomo post pandemico?

Il nostro uomo è diventato più consapevole e ancora più strong, riflette sul valore della vita e su quello della collettività.

Se doveste fare proiezioni per la prossima stagione quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Le piattaforme digitali diventeranno sempre più influenti e molte sono state scoperte proprio durante il lockdown. Tante persone non effettuavano ancora acquisti online e ciò ha cambiato profondamente anche il business delle stesse. L’esperienza fisica però non verrà surclassata in quanto l’emozionalità di toccare un capo e carpirne il suo shape resteranno fondamentali ai fini della vendita e della comunicazione.

Dietro le quinte della prima digital fashion week italiana: Andrea Pompilio

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano il proprio approccio alla digitalizzazione della Settimana della moda  

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Dopo varie esperienze con prestigiosi brand italiani e stranieri, come Alessandro dell’Acqua, Prada, Calvin Klein e Yves Saint Laurent, Andrea Pompilio, nell’ultimo decennio, si è impresso nell’immaginario collettivo della stampa italiana e internazionale come una delle realtà più innovative e ragguardevoli nel settore moda uomo. 

Parlaci del progetto visivo ideato per la prima Digital Fashion week Made in Italy e quali sono state le fasi di produzione.

Si tratta di un progetto che riguarda me stesso. Il lockdown mi ha portato a rivisitare tutto ciò che ho fatto finora affermandosi come un passaggio professionale ricco di introspettività.

This is not a fashion movie. This is Andrea Pompilio.

Pensi che tale rivoluzione digitale ,che ha reso la presentazione delle collezioni assolutamente mainstream, esplorando e promuovendo nuovi linguaggi visivi degni del più rivoluzionario film festival, possa segnare la fine degli eventi fisici?

E’ una valida alternativa per il momento che stiamo vivendo e in futuro credo fortemente nel ritorno degli eventi. I video possono creare grande enfasi ma presenziare alle sfilate non ha prezzo in termini emotivi. 

Quanto è cambiato il tuo mindset professionale Post Covid?

E’ cambiato tantissimo e nel movie tale trasformazione si percepisce. Il loop isterico che circondava le professionalità del sistema moda aveva bisogno di un respiro a favore di modalità più slow. 

Condividendo la nostra intimità, le nostre paure e anche la solitudine durante le fasi  di lockdown siamo stati i protagonisti di un livellamento sociale e di un cambiamento epocale.

Come ha reagito la tua vena creativa nell’immaginare un uomo post pandemico?

In realtà l’uomo post pandemico non si differenzia da quello precedente.

A livello stilistico il focus resta il ritorno al passato e alle mie origini come designer che rivivono in un melting pot di eclettismo italiano e senso di rinascita.

Se dovessi fare proiezioni per la prossima stagione quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Per quanto mi riguarda ho un canale di distribuzione personale (sito web e ecommerce) che non subirà cambiamenti essendo già ampiamente digitalizzato. Sperimentare nuove forme di comunicazione in chiave diversa è la mia prossima sfida e ci sto lavorando.

Dietro le quinte della prima digital fashion week italiana: Fabio Quaranta

Gli stakeholder del Made in Italy raccontano il proprio approccio alla digitalizzazione della Settimana della moda  

Production & interview Alessia Caliendo

Ph Matteo Galvanone

Fabio Quaranta è direttore creativo del marchio omonimo nonché docente e course leader nel corso di laurea magistrale in arti visive e moda all’Università Iuav di Venezia.

Precedentemente vincitore del “WHO’S ON NEXT?” Uomo ha recentemente debuttato a Milano Moda Uomo.

Parlaci del progetto visivo ideato per la prima Digital Fashion week Made in Italy e quali sono state le fasi di produzione.

Io parto sempre dalla musica ed anche questa volta ho scelto di affiancarmi ad un artista per raccontare la mia visione stilistica. Si tratta di Vipra Sativa con il quale, ai fini progettuali, ho deciso di affrontare un viaggio fisico ma anche metafisico durante il lockdown. Abbiamo, infatti, re-inventato l’idea di sfilata in una transumanza animista ambientata in un tempo immaginario, Presenturo, che sfida il concetto di tempo lineare. 

Pensi che tale rivoluzione digitale ,che ha reso la presentazione delle collezioni assolutamente mainstream, esplorando e promuovendo nuovi linguaggi visivi degni del più rivoluzionario film festival, possa segnare la fine degli eventi fisici?

Assolutamente no. Si tornerà all’esclusività dell’evento così come era in principio mentre la digitalizzazione condurrà sempre più verso l’inclusività.

Quanto è cambiato il tuo mindset professionale Post Covid?

Non particolarmente. Adesso faccio più attenzione a certi dettagli che prima mi sfuggivano. Il Covid è stata un’opportunità per passare ad uno step successivo nell’evoluzione dell’intero Sistema Moda.

Come ha reagito la tua vena creativa nell’immaginare un uomo post pandemico?

L’uomo post pandemico ha meno limiti ed si dà maggiori possibilità. Il mio progetto multidisciplinare URANIA vede unirsi moda, arte e musica in un nuovo mondo immaginario che sfida il linguaggio e le abitudini con cui la moda codifica se stessa. Le collezioni sono percepite come edizioni, non vi è fisicità nè stagionalità, non vi è distinzione di genere né tantomeno di classe. Le proposte vengono lanciate quando sono pronte grazie a presentazioni itineranti al fine di unire tutte le edizioni e creare un unico immaginario. Fabio Quaranta promuove progetti paralleli e senza tempo.

Se dovessi fare proiezioni per la prossima stagione quale sarebbe lo scenario in termini di comunicazione e vendita del prodotto?

Previsioni? Si tratta del punto più dolente di questo momento in cui l’unica complessità è l’incertezza. Ma sappiamo tutti che i momenti di incertezza stimolano la creatività. Aspetteremo.

The new Italian wave: Rocco Fasano

Il successo di Skam Italia continua a raccogliere consensi di critica e una community di fan molto forte, così come quello dei giovani e talentuosi interpreti che danno vita ai suoi amati personaggi. In esclusiva per MANINTOWN, abbiamo incontrato Rocco Fasano, uno dei protagonisti che nella serie interpreta il personaggio di Niccolò Fares, un personaggio che ha segnato un momento importante nel percorso dello stesso attore.

Hai avuto sin da piccolo una formazione musicale…

Mi sono avvicinato alla musica molto presto. Mio padre mi ha spinto a fare un corso propedeutico musicale quando avevo 5 anni e da lì l’anno successivo ho iniziato a studiare pianoforte con un’insegnante e mi sono iscritto al conservatorio a 9 anni che ho finito 12 anni dopo.

La musica la vivi ancora, ti eserciti?

La esercito ma più in forma di passione privata; in realtà è sempre stato un po’ così, anche se l’ho studiata in maniera completa. Forse un po’ per timidezza, non mi è mai piaciuto esibirmi davanti a tante persone, mi ha messo sempre un po’ di ansia. Quella del concerto per esempio e quella del set sono molto diverse come situazioni e le vivo diversamente. 

Raccontami il tuo debutto…

Avvenne nel 2014 con un film indipendente in lingua inglese con una distribuzione molto di nicchia. E’ stata la mia primissima esperienza e da lì, anno dopo anno ho sempre cercato di continuare con la mia passione e fare un passo in più rispetto all’anno precedente.

Di questa prima esperienza cosa ti ricordi? 

Il set mi sembrava un luogo astruso, pieno di attrezzatura tecnica: la prima esperienza fa sempre un po’ paura, ti mette in soggezione. Però alla fine ero molto focalizzato, col regista abbiamo fatto un bel lavoro di cui sono ancora oggi contento. 

Dopo quello cosa è successo?

Ho continuato a fare provini e ho fatto una piccola serie per Fox e poi per Sky dal titolo ‘Hundred to Go’ sempre in inglese. Quando posso cerco di lavorare anche in inglese perché mi piace molto. 

Leggevo che parli diverse lingue, dialetti anche?

Dialetti sicuramente, in repertorio come dialetti italiani ho dal milanese al siciliano, napoletano, romano, cadenze che sento abbastanza mie. In inglese ho lavorato col britannico e con l’americano, poi parlo un pochino di francese.

Come è arrivato Skam Italia?

Con un classico provino tramite il mio manager: ho portato una mia idea di personaggio e poi il regista mi ha detto “sarei interessato che tu portassi fuori invece una forma di dolcezza”. Io non conoscevo il progetto al tempo, avevo portato un personaggio un po’ più fighetto e invece abbiamo lavorato su vulnerabilità e dolcezza e da li è nato il personaggio.

Un personaggio molto complesso, visto che non te l’aspettavi. Come ti sei preparato a un ruolo così?

Quando ho letto la sceneggiatura e il disturbo borderline di personalità e l’omosessualità ho fatto ricerche soprattutto sul disturbo borderline. Questi pazienti sono estremamente sensibili e vivono la loro emotività come se ci fosse un’enorme lente di ingrandimento di fronte. Anche la comunicazione e le piccole cose per loro non sono banali; ogni piccola sfida emotiva può diventare una grande sfida. Oltre a questo aspetto c’era quello della paura dell’abbandono, dell’incertezza e delle fasi depressive. Le ricerche poi le ho dovute coniugare con script e sceneggiatura e capire dove si potevano fare uscire questi aspetti, coadiuvato da una direzione oculata.

Quanto ti rispecchi in questo personaggio, in questi lati un po’ oscuri e un po’ fragili?

Tanto! Lavorare su Niccolò è stato importante perché ho dovuto raggiungere quella parte recondita e molto vulnerabile di me stesso, portandola fuori con scioltezza e con tante persone attorno. Il set è un ambiente paradossale, devi cercare di accedere a quelle zone di te stesso magari anche nascoste rapportandoti con altri personaggi. Questa è stata la sfida che poi è parte del lavoro. Questo mi ha fatto riscoprire quel lato di me stesso e me l’ha fatto amare molto di più. Prima tendevo ad accantonare e superare vulnerabilità e fragilità, Niccolò me le ha fatte riscoprire come fonte di ricchezza enorme. 

La serie è importante perché ha un messaggio per i giovani, di essere se stessi..

Di essere se stessi al massimo possibile perché nell’essere te stesso, chiunque tu sia e nei limiti di non fare del male all’altro non c’è nessuna colpa. Questo deve passare come messaggio. Ad esempio la relazione omosessuale che c’è nella seconda serie viene normalizzata del tutto. Questo era l’intento del regista, non pesare sull’aspetto drammatico, ma mostrare gli aspetti normali che esistono nella nostra società, molto semplicemente fra due persone che si amano.

Ti aspettavi un successo così grande visto che alla fine questa serie conquista veramente persone con punti di vista diversi.

Skam ha creato un precedente nella serialità italiana. Dopo la quarta stagione si chiude un primo ciclo di serie teen in Italia. Io non me lo aspettavo quando sono entrato nel cast. Era un bellissimo progetto e scritto molto bene ma non potevo prevedere l’eco e la risonanza che avrebbe avuto e che abbiamo accolto con grande entusiasmo.

La tua vita quotidiana come è cambiata?

È cambiata tanto sia dal punto di vista pratico e pragmatico perché vieni riconosciuto per strada, non si sfugge agli incontri casuali che sono sempre delle gioie. Il fandom di Skam Italia poi è molto educato e pieno di energia. Ti viene davvero voglia di interagire con loro.

Invece con la moda? Come è iniziata la tua carriera di modello?

È iniziata leggermente più tardi della recitazione e per caso. Io stavo a Monti e una fotografa che poi è diventata una mia carissima amica mi ha fermato facendomi notare il mio particolare un profilo greco e mi ha voluto scattare. E da lì molto inconsapevolmente è iniziata questa carriera parallela che ho coltivato, ma la mia passione primaria rimane la recitazione. 

Un sogno nel cassetto che speri di realizzare prossimamente?

Sicuramente continuare a far parte di progetti belli, non è una cosa scontata perché di cose se ne fanno veramente tante e anche in Italia ci sono tantissimi nuovi investimenti in questo settore. La mia speranza è di continuare sul filone di Skam in termini qualitativi e di fare sempre meglio. 

Manintown x Gucci

Photography: Davide Musto @davide_musto

Talent: Rocco Fasano @rocco_fasano

Art Direction & Styling: Giorgia Cantarini @giorgiacantarini Styling Assistant: Giorgia Musci @mushiland

Grooming: Francesca Bova @francesca_bova_

Location: Villa Egeria – Appia Antica

Production: Manintown @manintownofficial 

Video: Marlon Rueberg @marlonrueberg

Camera Operator: Jacopo Lupinella @jacopolupinellaph

Special Thanks: Rocco Panetta @houstonisback

Ganesh Poggi Madarena @andune

Sonia Rondini @sonia_rondini

The new Italian Wave: Ludovico Tersigni

Ludovico Tersigni è tra i giovani talentuosi, che sono parte di una nuova generazione italiana che sta riscuotendo grande successo, anche grazie a Netflix. Il suo successo è stato decretato da due serie tra le più amate e seguite non solo dai teen, come come Skam Italia e Summertime. Carattere riservato e  poco incline ai social, lo abbiamo incontrato a Roma, dove in esclusiva per MANINTOWN ha anche indossato i panni di un dandy, protagonista di una notte romana anni Trenta nel servizio che scoprite qui.



Come è nata la tua passione per il cinema?

È nata prima la passione per il teatro e la musica (amo suonare la chitarra) e poi sono arrivato al cinema. Ho iniziato sin dalle elementari con le prime recite a scuola e ho poi continuato alle medie e superiori a coltivare questa passione a livello amatoriale. 

Quando ti sei detto voglio fare l’attore? 

Non l’ho ancora detto io. È stata una cosa fluida e ho tentato di cogliere le opportunità. Il primo film  Arance e martello l’ho fatto con Diego Bianchi e quel provino è stata la mia occasione. Sono stato preso per il ruolo e poi il film è andato a Venezia; lì ho incontrato Vittorio Pistoia, che mi ha chiesto se volessi entrare nella loro agenzia per fare una prova e ho accettato, anche se dovevo ancora laurearmi. La laurea non l’ha più vista nessuno ma in compenso ho fatto tante cose, ho preso tanti provini e ho continuato negli anni successivi con ruoli molto formativi. È stato un percorso a tratti difficile, per esempio il film ‘Slam. Tutto per una ragazza’ con Andrea Modaioli è stato lungo e complicato. C’è stato bisogno di un allenamento perché il protagonista è uno skater e ho dovuto raggiungere un buon livello in poco tempo. È uno sport che comporta infortuni ed è rischioso. Quindi farlo con l’idea che non ti dovevi fare male è stata una bella sfida.



Ti piacciono le sfide…

Non solo nel cinema, ma anche nello sport come l’arrampicata, dove il rischio è più controllato; tu sai qual è il tuo livello quando approcci una parete e sai di stare in sicurezza. 

Secondo te perché il successo incredibile di Skam Italia?

Skam Italia è un ritratto fedele della realtà dei giovani di oggi. Il successo è dovuto a questa fedeltà. I produttori, i registi e gli attori non vogliono fornire un modello, ma un’idea di quello che è per noi il liceo oggi. Oltre a quello tematiche complesse affrontate in un’età che è l’età della costituzione della personalità, sono dei momenti che ti resteranno dentro per tutta la vita. Questo secondo me è il punto di forza di Skam: la non belligeranza nei confronti dei giovani. È una dichiarazione di alleanza, “noi siamo dalla vostra parte”. È anche un’interrogazione: “noi crediamo che ci siano queste cose, a voi sono successe?”. La cosa bella è che rispondono, si immedesimano e ne parlano. E la cosa bella che la serie ha saputo coinvolgere generazioni diverse.


Nella serie il tuo personaggio conosce un’evoluzione e crescita. Quanto c’è di te in Giovanni il tuo personaggio?

In Giovanni c’è forse una parte di me che ho lasciato da parte. Nessuno di noi vorrebbe crescere. Come dice Caparezza: “è che ho un progetto in mente, di rimanere sempre adolescente”. Giovanni è un po’ il retaggio delle esperienze che ho avuto al liceo e che sono rimaste un po’ inespresse. 

L’altra versione di Skam l’avevi vista?

Sì ma dopo la prima stagione. Ho visto la prima puntata prima di iniziare le riprese e ho visto qualcosa di Skam Francia ed è stato interessante vedere le varie modalità interpretative e i temi diversi in ogni Paese. Skam credo sia uno dei progetti più belli cui ho partecipato. 



Summertime è arrivato a seguito di questo? Come l’hai vissuto?

E’ sicuramente una serie più d’intrattenimento e con un obiettivo di essere più accogliente. Si rivolge a un pubblico più ampio. A livello sociale Skam è una mina, apre degli spazi. Summertime invece accoglie e non si possono mettere a confronto. 

Secondo perché stiamo vivendo un’ondata di serie televisive di genere teen.

Io credo che questo sia dovuta all’età del fruitore, che adesso è molto giovane. Io per esempio alle medie nel fine settimana andavo al cinema con i miei amici.  Era un’usanza, si litigava anche per la scelta del film. E’ proprio diversa la modalità di fruizione. A me dispiace un po’ vedere i giovani molto legati agli schermi, se ci fosse più equilibrio forse sceglierebbero di fare anche altre cose. 



Oggi i giovani sono anche molto legati ai social, tu ad esempio sei un po’ diverso…

La gestione del tempo è molto delicata. Rischi di passare un’ora o due davanti al cellulare e poi non hai fatto niente. Hai visto delle foto dei tuoi amici, vedi cos’hanno fatto nelle stories, hai “partecipato” alla loro vita, ma in una modalità virtuale. Quindi la mia domanda è: poi nella vita reale noi siamo ancora in grado di stare insieme, andare fuori, organizzarci, partire, fare le cose per vederci? O basta sentirci al telefono per avere quel rapporto? Per questo cerco di investire il mio tempo anche in altre cose che non siano soltanto virtuali.



Quindi nel tempo libero che passioni coltivi?

Negli ultimi anni ho avuto la crisi manuale, mi sono reso conto che non sapevo fare molte cose con le mani e ho iniziato un percorso che ha toccato vari ambiti dal restauro (ho fatto un’accademia di liuteria) fino al costruire una chitarra acustica. Mi sono reso conto di come il lavoro manuale aiuta a liberare il pensiero, perché la concentrazione ti fa dimenticare ciò a cui stai pensando e quindi i pensieri si chiariscono. Il fare qualcosa di manuale, la concentrazione e poi il vedere l’opera finita non solo è una grande soddisfazione, ma è anche terapeutico. Adesso sto facendo un corso di scultura in argilla e ho finito la mia prima Venere e adesso sto facendo un busto equino molto difficile. Ci sto mettendo molto tempo però il maestro è contento. 



Che progetti hai per questa summer 2020?

Stiamo lavorando alla seconda stagione di Summertime e si riparte per Ravenna tutti insieme. Nella nuova serie ci saranno interessanti sviluppi e crescita nei personaggi, che l’anno scorso si sono incontrati…stay tuned



Manintown x Gucci

Photography: Manuel Scrima @manuelscrima

Video: Marlon Rueberg @marlonrueberg

Camera operator: Jacopo Lupinella @jacopolupinellaph

Talent: Ludovico Tersigni @ludovicotersigni

Art Direction & Styling: Giorgia Cantarini @giorgiacantarini

Styling Assistant: Giorgia Musci @mushiland

Grooming: Francesca Bova @francesca_bova_

Location: Hotel Valadier – Roma  @hotel.valadier

Production: Manintown @manintownofficial

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Special thanks: Sonia Rondini e Lapalumbo comunicazione

Special Thanks: Sonia Rondini @sonia_rondin

Business al femminile: Mena Marano e Arav Group

La CEO di Arav Group  racconta il suo percorso di imprenditrice

Nata nel 2002 come piccola impresa familiare di produzione e distribuzione di abbigliamento femminile, Arav Group ha sempre orientato le sue scelte verso il cliente con una filosofia molto chiara. “L’obiettivo per il futuro non è quello di cambiare la visione dei nostri fruitori, ma di migliorarli e renderli riconoscibili, belli e intriganti” come sostiene Mena Marano, CEO dell’azienda.

Sin da quando aveva 18 anni, Mena sognava di creare un’azienda tutta sua. Giovanissima si ritrova prima a gestire un negozio di abbigliamento donna e poi nel 1991 capisce che la moda avrebbe contraddistinto tutto il suo percorso perché affine alla sua personalità dinamica e in continuo cambiamento. Nel 2002 insieme al marito, Giuseppe Ammaturo, fonda Silvian Heach, un brand femminile dalla forte identità che si è imposto velocemente sul mercato nazionale e poi internazionale, grazie al rapporto qualità-prezzo delle collezioni e alla strategia di comunicazione molto forte, affidata a fotografi del calibro di Terry Richardon e Giampaolo Sgura che hanno firmato le campagne pubblicitarie. Nel 2009 nasce invece Silvian Heach Kids, linea di abbigliamento dagli zero ai sedici anni, presentata al Pitti Bimbo a Firenze. Il 2014 è stato l’anno del lancio delle collezioni Silvian Heach Eyewear, made in Italy e presentate alla fiera Mido di Milano. Nel 2015 nasce il brand SH, per le più giovani sempre attente alle ultime tendenze moda e con un prezzo ancora più competitivo. Nel 2016 l’inaugurazione del primo flagship store di Silvian Heach in via Dante, in pieno centro a Milano. Nel 2017 l’acquisto del brand John Richmond per il rilancio delle collezioni uomo, donna e bambino e nel 2018 l’ampliamento dello stesso con  la linea underwear e beachwear. 

Il 2019 segna due tappe importantissime, l’apertura della boutique e il quartier generale di John Richmond in Brera, a Milano e  l’acquisizione del brand Marcobologna. Infine proprio nel 2020 si ha un’altra tappa importante per il gruppo: l’acquisizione in licenza del marchio Trussardi kids. Un inizio anno davvero promettente, fino all’arrivo dell’emergenza covid-19..

Come ci racconta Mena Marano, “Fino al giorno prima del lockdown eravamo in piena fashion week per il lancio della collezione FW21 di Marcobologna, per la presentazione del denim e il lancio della linea accessori di John Richmond. Dal giorno dopo,  è stato chiuso tutto. Il covid19 ha rappresentato per noi un bollettino di guerra. Un vero e proprio scenario apocalittico dove giorno dopo chiudevano i vari Paesi e di conseguenza tutto quello che riguardava l’export si è bloccato”.

E continua: “A tutto questo è seguito una riallocazione delle produzioni, e successivamente abbiamo cercato di essere quanto più vicino possibile ai nostri clienti. Non ci siamo mai fermati e ogni unità operativa dell’azienda ha continuato a lavorare da casa supportando le varie problematiche. Abbiamo reagito con un atteggiamento proattivo, guardando al futuro e cercando di capire come riconvertire l’azienda. Oggi non bisogna non avere timore del cambiamento ma avere un occhio molto critico e pensare di rimettersi in gioco e rivedere completamente le strategie, a partire dalla digitalizzazione”. 

Il #digital è la parola d’ordine del nuovo modo di fare imprenditoria. Il mondo digitale rappresenta senza dubbio il futuro e proprio per questo la strategia del gruppo punta molto su questo aspetto. “Abbiamo ampliato il settore e-commerce con risorse specializzate e il commerciale con personale attento alle nuove tecnologie. Inoltre, abbiamo acquisito nuovi supporti per la gestione interna del b2b e del b2c” conclude la stessa Mena.

Del resto anche il sistema moda è cambiato, “noi imprenditori ci siamo dovuti fermare e ripensare ad un approccio starting from zero. Come se dovessimo ricominciare da capo e riformulare la strategia e i team dedicati ai vari dipartimenti. Ci è voluto tempo, dedizione e anche un po’ di follia per affrontare l’evoluzione del fashion system post covid19. Molte  le innovazioni come le implementazioni tra fornitori e supply chain con progetti di vendor integration e  la volontà di abbracciare nuove tecnologie e strategie a lungo raggio, anche per quanto riguarda l’assunzione di nuove risorse, coinvolgendo i migliori talenti oltre i confini geografici del nostro quartier generale, per assicurarci i migliori esperti di tecnologia 3D, campionari virtuali, e intelligenza artificiale.   L’ascesa dello showroom digitale e le nuove pratiche B2B penso che convinceranno tutti gli operatori del settore che esistono tante alternative ai campionari fisici negli showroom e nelle fiere internazionali. Idem per i virtual show e il social selling”.

Anche sulle realtà da poco acquisite ci sono dei progetti in via di consolidamento. “Per John Richmond lo scorso gennaio 2020 abbiamo lanciato a Milano la collezione accessori per completare la gamma di proposte. A oggi abbiamo le linee uomo, donna e bambino, la linea underwear e beachwear, la linea sport. Il brand John Richmond ha un potenziale enorme e rappresenta un’importante fetta di fatturato. Lo stilista, John ha dato tantissimi spunti strategici sul futuro, come ad esempio progetti di collaborazioni, drop prodotto durante l’anno e continue evoluzioni delle presentazioni di collezione. Importante è anche il futuro lancio dell’e-commerce affidato adesso a Farfetch”.

Per quanto riguarda Marcobologna invce è stata presentata la collezione FW21 durante la fashion week di Milano, con una private live performance di Achille Lauro,  poco prima che si fermasse tutto per il lockdown.  Per il futuro la fondatrice del brand vorrebbe completare la filiera, inglobando tutti i nuclei produttivi ad oggi dislocati in vari Paesi, in modo da non affidarsi a società esterne e internalizzare tutto il processo: dall’ideazione alla produzione e distribuzione delle collezioni. Una strategia molto precisa che permette al gruppo di consolidarsi, guardando al futuro di una quotazione in borsa.

Crossfit mania: Nicola Bonura

Si riconferma trend anche per quest’anno il CrossFit, la disciplina creata da Greg Glassman negli Stati Uniti nel 2000, che mira a rafforzare la forza e la prestanza fisica generale dell’individuo attraverso esercizi ad alta intensità, calibrati alle capacità psico-fisiche di ognuno ed eseguiti in brevi intervalli di tempo. Si tratta di un allenamento vario, che attinge da diverse discipline, tutte con differenti funzioni e caratteristiche per raggiungere una preparazione fisica generale. Questa volta ne parliamo con Nicola Bonura, atleta siciliano DOC che rappresenta un esempio di passione autentica per questa disciplina.

Foto @alanpasotti + @alanpasotti_cf_pf

Parlaci del tuo percorso fino ad oggi, cosa fai nella vita?

Sono un militare di professione e come si puó immaginare conduco una vita movimentata, ma nonostante questo sono sempre riuscito grazie alla mia caparbietà a portare avanti anche la carriera sportiva.

Come ti sei avvicinato al Crossfit e da quanto lo pratichi?

Me lo hanno fatto conoscere degli amici nel 2014, ma soltanto nel 2016, per motivi lavorativi che mi vedevano impegnato fuori, iniziai a praticarlo. Sapendo che tipo di persona sono, mi dicevano: “sicuramente ti piacerà”. È stato amore a prima vista. Finalmente uno sport che non mi annoiasse, grazie alla varietà costante degli allenamenti, ma che soprattutto mi desse la possibilità di provare a superare i miei limiti mentali e fisici ogni giorno.


Il box al quale sei legato di più?

Sicuramente quello in cui ho iniziato a praticarlo, Reebok Crossfit Alcamo, perché è lì che mi sono formato e tutto è nato. Se sono arrivato a questo livello oggi devo dire grazie a chi inizialmente ha creduto fermamente nelle mie capacità, il coach Bart Lanzarone. Inoltre, ho avuto modo di allenarmi per diverso tempo in altri box d’Italia perché per esigenze lavorative stavo diversi mesi in altre regioni, e devo dire che ho lasciato un pezzo di cuore anche al Crossfit Mastino. Quest’ultimo è gestito da persone fantastiche per cui consiglio vivamente di fare un drop in per chi si dovesse trovare in zona Verona o dintorni.

Quante volte a settimana ti alleni?

Mi alleno 5 volte la settimana spesso in doppia o tripla sessione più un giorno di recupero attivo e un giorno di riposo che spesso è la domenica.


Raccontaci del tuo esercizio preferito..

Non ho un esercizio preferito perché mi piacciono tutti, ma comunque faccio volentieri i bar muscle up.(combinazione di una trazione alla sbarra seguita da un dip sui tricipiti. Si può eseguire sia alla sbarra sia agli anelli ndr.)


La vittoria o competizione più significativa per te?

Sicuramente le edizioni de French Throwdown a cui ho preso parte e che mi hanno regalato anche un secondo posto nel 2017. Questa è stata una competizione che mi ha fatto acquistare tanta consapevolezza di me stesso e dato carica per affrontare i successivi Day Training al massimo. Inoltre non meno importante la prima gara a cui presi parte e che mi regaló il primo posto nella cat. Scaled, la battaglia di Milano nel 2016, appena dopo 5 mesi dal mio inizio.

Foto @alanpasotti + @alanpasotti_cf_pf

Un consiglio per chi volesse avvicinarsi a questa disciplina?

Cercate di non avere fretta di caricare il bilanciere e di non creare clima di competizione negativo, ma piuttosto siate curiosi della tecnica cercando di studiare e di imparare i vari esercizi nel modo migliore possibile. Ritengo sia un aspetto fondamentale per chiunque voglia approcciarsi a questo sport in maniera sana.

Come è cambiata la tua routine lavorativa e di allenamento durante il lockdown?

Mi trovavo in Austria durante il lockdown, ma per fortuna non è cambiato nulla sotto il punto di vista dell’allenamento perché ho avuto la fortuna di avere a casa di chi mi ospitava l’attrezzatura necessaria per portare avanti ogni mio allenamento.


Obiettivi futuri e prossime competizioni sulle quali stai lavorando?

Uno degli obiettivi principali per un crossfitter sono gli open, sicuramente in questo periodo dove la maggior parte delle gare sanzionate sono annullate, i “Crossfit Open” sono la cosa su cui mi sto focalizzando. Poi per la stagione 2021 spero di prendere parte al French Trowdown, tappa ormai essenziale, ma anche ad altre gare internazionali come German throwdown e crossfit lowland Trowdown.

Foto: Alan Pasotti @alanpasotti_cf_ph

Special thanks: @heavytoolscrossfit